Re: Democrazia, cittadinanza, valori, doveri e diritti umani
Inviato: mer apr 10, 2019 7:13 am
Interviste impossibili. Heidi, il nonno e la Res Publica
aprile 2019
Enzo Trentin
https://www.vicenzareport.it/2019/04/in ... hPAcdsfPhA
Vicenza – In passato abbiamo già fatto interviste impossibili, ad esempio, all’uomo autonomista e federalista che, in alcuni casi oggi è diventato indipendentista. È un artificio che di tanto in tanto riprendiamo per far dire a uomini di cultura contemporanei reali ma che si trovano nella condizione di persone appartenenti a un’altra epoca, stanche di battagliare per impossibili traguardi, non perché avulsi dalla realtà ma perché la loro visione politica è sempre proiettata oltre la loro quotidianità. La scelta del personaggio è libera, perché realmente esiste. È un gioco diverso, di fantacritica, di ipotesi, di speculazione intellettuale, e naturalmente per le più varie valutazioni sul personaggio del “rappresentante” politico che persegue l’autodeterminazione.
Heidi: Nonno continui a batterti per il federalismo. Ma questo che cos’è?
Il nonno: Con la tua domanda mi confermi che la nostra sta rischiando di diventare la società più informata che mai, morta nell’ignoranza. Ma per risponderti diciamo che non è un’ideologia. Per esempio il socialismo lo è, e i suoi figli degeneri (il fascismo e nazismo, come il comunismo) o la democrazia puramente rappresentativa possono riassumersi nell’idea espressa da Giovanni Gentile: «Lo Stato è tutto e l’individuo è nulla.» Con il federalismo cambia radicalmente la prospettiva: sono i cittadini “sovrani” che si dotano di libere istituzioni e attraverso l’esercizio della democrazia diretta sostituiscono i “rappresentanti” laddove questi non deliberino nel senso auspicato dalla maggioranza dei “sovrani”. E poi il federalismo (“foedus” o patto) non è tra istituzioni (che i partiti si disputano per ottenere l’esercizio del loro potere) ma tra cittadini “sovrani” che si dotano delle strutture, e che le ordinano secondo l’interesse della collettività, non secondo i vantaggi delle lobby. Il federalismo non si realizza nella semplice automistificazione di un gruppo sociale, non come una semplice ideologia, ma come un pensiero politico attivo di natura scientifica. Gli obiettivi del federalismo non trattano di un dogma o di una sovrastruttura, ma possono essere adottati per colmare alcuni vuoti della globalizzazione.
Heidi: In passato, agli accademici veniva insegnato a ricercare la verità. Oggi gli accademici negano che esista una verità oggettiva. Al contrario, sostengono che nessuno può essere obiettivo, che ognuno è inevitabilmente soggettivo e, di conseguenza, ognuno ha la propria, personale verità. Tuttavia, come scriveva Victor Hugo: l’unico pericolo sociale è l’ignoranza.
Il nonno: Come premessa diciamo che nelle questioni politico-sociali non c’è nulla di scientifico, in cui la critica prescinde completamente dalle persone e si rivolge al metodo, alle analisi e alle conclusioni tratte dalle analisi. Quando senti dei politicanti affermare che sono necessarie leggi per dare stabilità al governo, in realtà tale equilibrio lo si cerca a detrimento dell’esercizio della democrazia reale. Ci sono partiti e politici che sono una peste morale. Chiedono il voto per debellare il “regime”, per fare riforme, per eliminare le distorsioni e le conflittualità. Ma non appena eletti sono inglobati nel sistema partitico-burocratico che apparentemente ha regole simili ad altri paesi democratici. Ma presto interpretano tutto con un’etica bizzarra, e corrono ad allearsi proprio con coloro che dicevano di voler contrastare. Ne diventano simbiotici. Vedi la Lega Nord e tanti altri. Qui un ultimo esempio temporale.
Quindi la rappresentanza va sottoposta alla deterrenza del possibile intervento del “cittadino sovrano”, che per esercitare tale autodeterminazione in libertà dispone di numerosi strumenti. Tre sono i principali: il referendum senza quorum su qualsiasi legge e delibera; l’iniziativa di leggi e delibere; il recall. Per brevità vai a leggere qui. Quanto all’ignoranza, c’era una volta un popolo così ignorante che conosceva di più le regole del calcio che i propri diritti. Ma bisogna anche prendere atto che c’è un’inerzia culturale laddove ci sono dei personaggi pubblici che non sanno più scrivere i loro stessi discorsi o libri. Limitandomi al Veneto potrei citarne più d’uno che firma libri scritti “assieme” a qualche cattedratico, per dare l’impressione alla plebe di conoscere gli argomenti sui quali impostano la loro campagna elettorale. E ci sono anche alcune prove che non sanno nemmeno leggerli quei libri.
Heidi: Continuano a dirmi che l’esistenza dei partiti è indice di democrazia. Ma i partiti politici potranno sempre essere influenzati dal potere economico e dalle lobby che finanzieranno le loro campagne elettorali, legislative e referendarie.
Il nonno: È vero! Ci sono partiti “borghesi” che dispongono di ingenti capitali per fare propaganda più degli altri. Le principali lobby sono: le banche, le assicurazioni, le multinazionali, qualche tycoon. In occasione delle votazioni referendarie coloro che dispongono di più capitali hanno la possibilità di condizionare maggiormente la popolazione utilizzando al meglio le moderne tecniche del consenso. Ma con l’iniziativa popolare di leggi e delibere, unita al sorteggio degli incarichi tipici della democrazia rappresentativa, e un’informazione istituzionale come quella praticata in Svizzera si può fare molto per limitare la protervia del potere. Infatti nella Confederazione Elvetica, i comuni, circa due mesi prima della data della consultazione elettorale, inviano ai votanti una lettera contenente un piccolo libretto informativo sulle proposte di cambiamento in questione. Ma nessun sedicente riformista, indipendentista etc. lo promuove qui da noi. Non gli conviene, perché è il potere quello che cercano, e che consente loro di vivere di rendite politiche. Con il sorteggio poi diventerebbero inutili anche le costose campagne elettorali; il voto di scambio, le ignobili promesse elettorali, ed altro ancora.
Il sociologo francese Gustave Le Bon già nel 1895 ammoniva: «Per il solo fatto di far parte di una folla, l’uomo discende di parecchi gradi la scala della civiltà. Isolato, sarebbe forse un individuo colto, nella folla è un istintivo, per conseguenza un barbaro. […] Scusare il male significa moltiplicarlo.» Aveva ragione anche Simone Weil a scrivere nel «Manifesto per la soppressione dei partiti politici»: «Dovunque ci sono partiti politici, la democrazia è morta. Non resta altra soluzione pratica che la vita pubblica senza partiti. […] Bisogna creare un’atmosfera culturale tale, che un rappresentante del popolo non concepisca di abdicare alla propria dignità al punto da diventare membro disciplinato di un partito». Ad ogni buon conto ci sono i mezzi e le esperienze per contrapporsi a questo predominio. Si possono osservare non solo la Svizzera, c’è il Liechtenstein, la California e altri ancora. Questo significa che la verità è relativa alla soggettività di ciascun individuo, ma anche che l’etica e la moralità sono relative alla cultura, per cui esiste un qualcosa come bene e male o giusto e sbagliato, che solo i più disinibiti politicanti ignorano.
Heidi: Com’è possibile che l’uomo qualunque non sia in grado di deliberare su questioni importanti che presuppongono che il cittadino, sempre impegnato nel problemi esistenziali, famigliari e di lavoro, abbia anche il tempo di soffermarsi a riflettere sulla res publica
Il nonno: Beh…! Che cosa ci ha garantito lo Stato italiano retto dai partiti? Decenni di emigrazione (ricominciata nel nuovo millennio) per mancanza di lavoro. Gli stessi problemi di oggi: denatalità, declino culturale, militarismo, statalismo, c’erano anche nel 1890. E poi due guerre mondiali più altre guerre minori in Africa, Spagna, Albania e altrove. Ma s’è mai vista una dichiarazione di guerra fatta attraverso un referendum popolare? È vero che oggi ci sono le cosiddette guerre asimmetriche, ma anche una missione di peacekeepig potrebbe essere disattivata per mezzo di un’iniziativa popolare. Invece nessuna tutela del territorio, dei cosiddetti “sacri confini” penetrati da immigrazione incontrollata o clandestina. Montagne di parassiti e fannulloni “coperti” da una sindacal-burocrazia asfissiante. Mafie in regioni dove nemmeno esistevano. Terrorismo. Carneficine chiamate “stragi di stato”. Tasse oramai oltre al 70% per (dis)servizi ridicoli o svolti in maniera imprecisa. Nessuna sicurezza e tutela della proprietà privata. Cartelli monopolistici in molti settori in nome dello Stato, del welfare, del solidarietà hanno generato debiti su debiti che sono perennemente accollati (senza mai vederne la fine) a intere generazioni passate, presenti e future. È meglio che faccia un omissis per mancanza di spazio, visto che si potrebbe andare avanti all’infinito. Quanto a chi detiene il potere attraverso la democrazia rappresentativa, basterebbe guardare la situazione dal dopoguerra a oggi dove tutto è da sempre saldamente in mano alle oligarchie, e alle élite finanziarie di cui lo Stato è protettore, esecutore e garante.
Heidi: Insomma, mi stai dicendo che il problema è strutturale ed è insito nel sistema rappresentativo, che funziona così: il cittadino vota un rappresentante e, così facendo, delega a lui ogni potere decisionale. Risultato: votando, il cittadino si autoesclude da ogni possibilità di decidere. Quello che trovo assurdo è che lo stesso cittadino che vota spesso si lamenta perché è escluso dal potere decisionale. Non capisce che è proprio lui ad escludersi da quel potere nel momento in cui decide di delegare votando. Se davvero si vuole decidere, dovemmo fare semplicemente due cose: 1) Smettere di votare, in modo da fare cadere il sistema. 2) Preparare, a priori, un sistema politico alternativo che ci consenta di partecipare al potere decisionale. O cos’altro?
Il nonno: A partire grosso modo dagli anni ’80 del 20° secolo sono sorti un’infinità di partiti e soggetti politici che hanno attratto l’insoddisfazione degli elettori per la Repubblica nata dalla Resistenza (e non credo che chi l’ha fatta pensasse ad un risultato del genere; come non si può ignorare che molte “forze innovative” trovano spazi anche come conseguenza di appoggi esterni), ma la caratteristica di tutti questi soggetti “up to date” è stata quella di omologarsi al sistema. Sono entrati nella “stanza dei bottoni” (comunale, provinciale, regionale, nazionale) per mezzo d’intenzioni innovative, progressiste, riformiste, ma presto il sistema e la burocrazia li hanno plagiati.
C’è dunque necessità di un soggetto politico riformatore che imperni la sua azione nella materializzazione della democrazia diretta, come indicato dalla Commissione di Venezia che è l’organo consultivo del Consiglio d’Europa sulle questioni costituzionali. Tale Commissione sta testando come la società civile, e le autorità locali abbiano messo in pratica questa relativamente giovane Convenzione sulla partecipazione democratica, in cui una precisa raccomandazione risiede nel suo parere 797/2014.
Mancando un soggetto politico che si occupi della democrazia diretta (il M5s malgrado le promesse elettorali è sinora latitante) abbiamo una concezione valoriale che comunque distingue tra “ideologia particolare” (come menzogna deliberata per nascondere interessi particolari) e “ideologia totale”, ossia quel tipo di ideologia che non nasce da un deliberato sforzo di ingannare, ma dal diverso modo in cui la realtà si rivela al soggetto in conseguenza della sua diversa posizione sociale.
In quest’ottica va inquadrata la grande l’operazione “noi stiamo con i cittadini che hanno bisogno” del nuovo Pd di Nicola Zingaretti. Solo che il Senatore Luigi Zanda, forse per la non più verde età, ha equivocato ed ha capito che non fossero i “cittadini bisognosi” da aiutare bensì gli “eletti dai cittadini bisognosi”. Si consideri che Luigi Zanda difficilmente può aver agito senza il consenso di Zingaretti. Chi lo dice non conosce l’apparato Pd, poiché è semplicemente impossibile. Il Pd ci ha provato ma gli è andata male sebbene tuttora continui ad associare la questione del salario parlamentare alla difesa della Democrazia (bel modo di difenderla. Così i cittadini sono portati ad allontanarsi). Se fosse attivo il recall Zanda non avrebbe depositato in Senato una proposta di legge per equiparare i compensi dei parlamentari a quelli degli eurodeputati, che arriverebbero così a guadagnare tra i 16mila e i 19mila euro al mese. Mentre nel frattempo ha già rilanciato l’idea di un tesoretto da 90 milioni per i partiti dopo l’addio al finanziamento pubblico.
Come constatazione finale si può rilevare che una nuova classe dirigente nasce quando si affermano nuove idee, o quando la storia imbocca nuove vie. Parafrasando Gandhi, quei soggetti politici che perorano l’indipendenza dovrebbero essere il cambiamento che vogliono produrre. E per questo debbono riuscire a trasformarsi in un programma positivo minimo di cambiamento sociopolitico. Il federalismo dovrebbe essere assunto come risposta a tutti coloro che pensano che il mondo contemporaneo sia avvolto da un grande “deserto postideologico” secondo cui abbiamo una rappresentazione delle negatività astratta delle masse senza alcun progetto utopico significativo alle spalle (uno “spirito di rivolta senza rivoluzione”). Di fatto ai giorni nostri quelli che attendono di sostituire i predecessori, prendendone il posto, non sono una nuova classe dirigente anche quando parlano e straparlano di democrazia diretta o addirittura d’indipendenza; essi sono la continuazione della precedente. Il senso di vuoto che si vive in molte parti dello stivale lo si deve al non identificare nulla di nuovo, di efficiente ed efficace per l’esercizio facile e tempestivo della democrazia rappresentativa controbilanciata dalla deterrenza della democrazia diretta.
aprile 2019
Enzo Trentin
https://www.vicenzareport.it/2019/04/in ... hPAcdsfPhA
Vicenza – In passato abbiamo già fatto interviste impossibili, ad esempio, all’uomo autonomista e federalista che, in alcuni casi oggi è diventato indipendentista. È un artificio che di tanto in tanto riprendiamo per far dire a uomini di cultura contemporanei reali ma che si trovano nella condizione di persone appartenenti a un’altra epoca, stanche di battagliare per impossibili traguardi, non perché avulsi dalla realtà ma perché la loro visione politica è sempre proiettata oltre la loro quotidianità. La scelta del personaggio è libera, perché realmente esiste. È un gioco diverso, di fantacritica, di ipotesi, di speculazione intellettuale, e naturalmente per le più varie valutazioni sul personaggio del “rappresentante” politico che persegue l’autodeterminazione.
Heidi: Nonno continui a batterti per il federalismo. Ma questo che cos’è?
Il nonno: Con la tua domanda mi confermi che la nostra sta rischiando di diventare la società più informata che mai, morta nell’ignoranza. Ma per risponderti diciamo che non è un’ideologia. Per esempio il socialismo lo è, e i suoi figli degeneri (il fascismo e nazismo, come il comunismo) o la democrazia puramente rappresentativa possono riassumersi nell’idea espressa da Giovanni Gentile: «Lo Stato è tutto e l’individuo è nulla.» Con il federalismo cambia radicalmente la prospettiva: sono i cittadini “sovrani” che si dotano di libere istituzioni e attraverso l’esercizio della democrazia diretta sostituiscono i “rappresentanti” laddove questi non deliberino nel senso auspicato dalla maggioranza dei “sovrani”. E poi il federalismo (“foedus” o patto) non è tra istituzioni (che i partiti si disputano per ottenere l’esercizio del loro potere) ma tra cittadini “sovrani” che si dotano delle strutture, e che le ordinano secondo l’interesse della collettività, non secondo i vantaggi delle lobby. Il federalismo non si realizza nella semplice automistificazione di un gruppo sociale, non come una semplice ideologia, ma come un pensiero politico attivo di natura scientifica. Gli obiettivi del federalismo non trattano di un dogma o di una sovrastruttura, ma possono essere adottati per colmare alcuni vuoti della globalizzazione.
Heidi: In passato, agli accademici veniva insegnato a ricercare la verità. Oggi gli accademici negano che esista una verità oggettiva. Al contrario, sostengono che nessuno può essere obiettivo, che ognuno è inevitabilmente soggettivo e, di conseguenza, ognuno ha la propria, personale verità. Tuttavia, come scriveva Victor Hugo: l’unico pericolo sociale è l’ignoranza.
Il nonno: Come premessa diciamo che nelle questioni politico-sociali non c’è nulla di scientifico, in cui la critica prescinde completamente dalle persone e si rivolge al metodo, alle analisi e alle conclusioni tratte dalle analisi. Quando senti dei politicanti affermare che sono necessarie leggi per dare stabilità al governo, in realtà tale equilibrio lo si cerca a detrimento dell’esercizio della democrazia reale. Ci sono partiti e politici che sono una peste morale. Chiedono il voto per debellare il “regime”, per fare riforme, per eliminare le distorsioni e le conflittualità. Ma non appena eletti sono inglobati nel sistema partitico-burocratico che apparentemente ha regole simili ad altri paesi democratici. Ma presto interpretano tutto con un’etica bizzarra, e corrono ad allearsi proprio con coloro che dicevano di voler contrastare. Ne diventano simbiotici. Vedi la Lega Nord e tanti altri. Qui un ultimo esempio temporale.
Quindi la rappresentanza va sottoposta alla deterrenza del possibile intervento del “cittadino sovrano”, che per esercitare tale autodeterminazione in libertà dispone di numerosi strumenti. Tre sono i principali: il referendum senza quorum su qualsiasi legge e delibera; l’iniziativa di leggi e delibere; il recall. Per brevità vai a leggere qui. Quanto all’ignoranza, c’era una volta un popolo così ignorante che conosceva di più le regole del calcio che i propri diritti. Ma bisogna anche prendere atto che c’è un’inerzia culturale laddove ci sono dei personaggi pubblici che non sanno più scrivere i loro stessi discorsi o libri. Limitandomi al Veneto potrei citarne più d’uno che firma libri scritti “assieme” a qualche cattedratico, per dare l’impressione alla plebe di conoscere gli argomenti sui quali impostano la loro campagna elettorale. E ci sono anche alcune prove che non sanno nemmeno leggerli quei libri.
Heidi: Continuano a dirmi che l’esistenza dei partiti è indice di democrazia. Ma i partiti politici potranno sempre essere influenzati dal potere economico e dalle lobby che finanzieranno le loro campagne elettorali, legislative e referendarie.
Il nonno: È vero! Ci sono partiti “borghesi” che dispongono di ingenti capitali per fare propaganda più degli altri. Le principali lobby sono: le banche, le assicurazioni, le multinazionali, qualche tycoon. In occasione delle votazioni referendarie coloro che dispongono di più capitali hanno la possibilità di condizionare maggiormente la popolazione utilizzando al meglio le moderne tecniche del consenso. Ma con l’iniziativa popolare di leggi e delibere, unita al sorteggio degli incarichi tipici della democrazia rappresentativa, e un’informazione istituzionale come quella praticata in Svizzera si può fare molto per limitare la protervia del potere. Infatti nella Confederazione Elvetica, i comuni, circa due mesi prima della data della consultazione elettorale, inviano ai votanti una lettera contenente un piccolo libretto informativo sulle proposte di cambiamento in questione. Ma nessun sedicente riformista, indipendentista etc. lo promuove qui da noi. Non gli conviene, perché è il potere quello che cercano, e che consente loro di vivere di rendite politiche. Con il sorteggio poi diventerebbero inutili anche le costose campagne elettorali; il voto di scambio, le ignobili promesse elettorali, ed altro ancora.
Il sociologo francese Gustave Le Bon già nel 1895 ammoniva: «Per il solo fatto di far parte di una folla, l’uomo discende di parecchi gradi la scala della civiltà. Isolato, sarebbe forse un individuo colto, nella folla è un istintivo, per conseguenza un barbaro. […] Scusare il male significa moltiplicarlo.» Aveva ragione anche Simone Weil a scrivere nel «Manifesto per la soppressione dei partiti politici»: «Dovunque ci sono partiti politici, la democrazia è morta. Non resta altra soluzione pratica che la vita pubblica senza partiti. […] Bisogna creare un’atmosfera culturale tale, che un rappresentante del popolo non concepisca di abdicare alla propria dignità al punto da diventare membro disciplinato di un partito». Ad ogni buon conto ci sono i mezzi e le esperienze per contrapporsi a questo predominio. Si possono osservare non solo la Svizzera, c’è il Liechtenstein, la California e altri ancora. Questo significa che la verità è relativa alla soggettività di ciascun individuo, ma anche che l’etica e la moralità sono relative alla cultura, per cui esiste un qualcosa come bene e male o giusto e sbagliato, che solo i più disinibiti politicanti ignorano.
Heidi: Com’è possibile che l’uomo qualunque non sia in grado di deliberare su questioni importanti che presuppongono che il cittadino, sempre impegnato nel problemi esistenziali, famigliari e di lavoro, abbia anche il tempo di soffermarsi a riflettere sulla res publica
Il nonno: Beh…! Che cosa ci ha garantito lo Stato italiano retto dai partiti? Decenni di emigrazione (ricominciata nel nuovo millennio) per mancanza di lavoro. Gli stessi problemi di oggi: denatalità, declino culturale, militarismo, statalismo, c’erano anche nel 1890. E poi due guerre mondiali più altre guerre minori in Africa, Spagna, Albania e altrove. Ma s’è mai vista una dichiarazione di guerra fatta attraverso un referendum popolare? È vero che oggi ci sono le cosiddette guerre asimmetriche, ma anche una missione di peacekeepig potrebbe essere disattivata per mezzo di un’iniziativa popolare. Invece nessuna tutela del territorio, dei cosiddetti “sacri confini” penetrati da immigrazione incontrollata o clandestina. Montagne di parassiti e fannulloni “coperti” da una sindacal-burocrazia asfissiante. Mafie in regioni dove nemmeno esistevano. Terrorismo. Carneficine chiamate “stragi di stato”. Tasse oramai oltre al 70% per (dis)servizi ridicoli o svolti in maniera imprecisa. Nessuna sicurezza e tutela della proprietà privata. Cartelli monopolistici in molti settori in nome dello Stato, del welfare, del solidarietà hanno generato debiti su debiti che sono perennemente accollati (senza mai vederne la fine) a intere generazioni passate, presenti e future. È meglio che faccia un omissis per mancanza di spazio, visto che si potrebbe andare avanti all’infinito. Quanto a chi detiene il potere attraverso la democrazia rappresentativa, basterebbe guardare la situazione dal dopoguerra a oggi dove tutto è da sempre saldamente in mano alle oligarchie, e alle élite finanziarie di cui lo Stato è protettore, esecutore e garante.
Heidi: Insomma, mi stai dicendo che il problema è strutturale ed è insito nel sistema rappresentativo, che funziona così: il cittadino vota un rappresentante e, così facendo, delega a lui ogni potere decisionale. Risultato: votando, il cittadino si autoesclude da ogni possibilità di decidere. Quello che trovo assurdo è che lo stesso cittadino che vota spesso si lamenta perché è escluso dal potere decisionale. Non capisce che è proprio lui ad escludersi da quel potere nel momento in cui decide di delegare votando. Se davvero si vuole decidere, dovemmo fare semplicemente due cose: 1) Smettere di votare, in modo da fare cadere il sistema. 2) Preparare, a priori, un sistema politico alternativo che ci consenta di partecipare al potere decisionale. O cos’altro?
Il nonno: A partire grosso modo dagli anni ’80 del 20° secolo sono sorti un’infinità di partiti e soggetti politici che hanno attratto l’insoddisfazione degli elettori per la Repubblica nata dalla Resistenza (e non credo che chi l’ha fatta pensasse ad un risultato del genere; come non si può ignorare che molte “forze innovative” trovano spazi anche come conseguenza di appoggi esterni), ma la caratteristica di tutti questi soggetti “up to date” è stata quella di omologarsi al sistema. Sono entrati nella “stanza dei bottoni” (comunale, provinciale, regionale, nazionale) per mezzo d’intenzioni innovative, progressiste, riformiste, ma presto il sistema e la burocrazia li hanno plagiati.
C’è dunque necessità di un soggetto politico riformatore che imperni la sua azione nella materializzazione della democrazia diretta, come indicato dalla Commissione di Venezia che è l’organo consultivo del Consiglio d’Europa sulle questioni costituzionali. Tale Commissione sta testando come la società civile, e le autorità locali abbiano messo in pratica questa relativamente giovane Convenzione sulla partecipazione democratica, in cui una precisa raccomandazione risiede nel suo parere 797/2014.
Mancando un soggetto politico che si occupi della democrazia diretta (il M5s malgrado le promesse elettorali è sinora latitante) abbiamo una concezione valoriale che comunque distingue tra “ideologia particolare” (come menzogna deliberata per nascondere interessi particolari) e “ideologia totale”, ossia quel tipo di ideologia che non nasce da un deliberato sforzo di ingannare, ma dal diverso modo in cui la realtà si rivela al soggetto in conseguenza della sua diversa posizione sociale.
In quest’ottica va inquadrata la grande l’operazione “noi stiamo con i cittadini che hanno bisogno” del nuovo Pd di Nicola Zingaretti. Solo che il Senatore Luigi Zanda, forse per la non più verde età, ha equivocato ed ha capito che non fossero i “cittadini bisognosi” da aiutare bensì gli “eletti dai cittadini bisognosi”. Si consideri che Luigi Zanda difficilmente può aver agito senza il consenso di Zingaretti. Chi lo dice non conosce l’apparato Pd, poiché è semplicemente impossibile. Il Pd ci ha provato ma gli è andata male sebbene tuttora continui ad associare la questione del salario parlamentare alla difesa della Democrazia (bel modo di difenderla. Così i cittadini sono portati ad allontanarsi). Se fosse attivo il recall Zanda non avrebbe depositato in Senato una proposta di legge per equiparare i compensi dei parlamentari a quelli degli eurodeputati, che arriverebbero così a guadagnare tra i 16mila e i 19mila euro al mese. Mentre nel frattempo ha già rilanciato l’idea di un tesoretto da 90 milioni per i partiti dopo l’addio al finanziamento pubblico.
Come constatazione finale si può rilevare che una nuova classe dirigente nasce quando si affermano nuove idee, o quando la storia imbocca nuove vie. Parafrasando Gandhi, quei soggetti politici che perorano l’indipendenza dovrebbero essere il cambiamento che vogliono produrre. E per questo debbono riuscire a trasformarsi in un programma positivo minimo di cambiamento sociopolitico. Il federalismo dovrebbe essere assunto come risposta a tutti coloro che pensano che il mondo contemporaneo sia avvolto da un grande “deserto postideologico” secondo cui abbiamo una rappresentazione delle negatività astratta delle masse senza alcun progetto utopico significativo alle spalle (uno “spirito di rivolta senza rivoluzione”). Di fatto ai giorni nostri quelli che attendono di sostituire i predecessori, prendendone il posto, non sono una nuova classe dirigente anche quando parlano e straparlano di democrazia diretta o addirittura d’indipendenza; essi sono la continuazione della precedente. Il senso di vuoto che si vive in molte parti dello stivale lo si deve al non identificare nulla di nuovo, di efficiente ed efficace per l’esercizio facile e tempestivo della democrazia rappresentativa controbilanciata dalla deterrenza della democrazia diretta.