ANPI e 'l so 25 april, n'oror tuto tałian

ANPI e 'l so 25 april, n'oror tuto tałian

Messaggioda Berto » gio apr 24, 2014 6:51 pm

ANPI e 'l so 25 april, n'oror tuto tałian
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Anpi Veneto contro i venetisti e il loro raduno: veri campioni di libertà!

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http://www.lindipendenza.com/anpi-venet ... di-liberta

Ormai siamo al delirio contro il venetismo e all’aspirazione di libertà e di indipendenza. Leggete questa notizia battuta dalle agenzie, come si suol dire in linguaggio giornalistico un po’ antiquato ormai (battere deriva dal fatto che le agenzie un tempo arrivavano per telescrivente, che battevano rumorosamente ogni parola.

«Il 25 aprile è la festa della Liberazione, dopo 20 mesi di resistenza sanguinosa, e così va celebrata. Altre cose, altre manifestazioni, non c’entrano nulla con lo spirito del 25 aprile. E, in ogni caso, siamo contrari a qualsiasi prospettiva di indipendentismo e di secessione del Veneto. Siamo anche contro chi vuole utilizzare la data del 25 aprile per finalità che non c’entrano nulla con la festa della Liberazione». Non usa mezzi termini Maurizio Angelini, presidente dell’Anpi Veneto che spiega la sua posizione e della sua associzione a riguardo delle annunciate manifestazioni venetiste domani a Venezia, in occasione della festa del patrono San Marco. «Non si possono mescolare le due cose – spiega Angelini – la festa di San Marco è una festa religiosa, che viene celebrata da sempre a Venezia. Il 25 aprile è una festa del calendario civile in cui si riconoscono tutti, credenti e non credenti. Adesso i venetisti cercano di utilizzare questo spazio, questa data, che ripeto, ha un nome: Festa della Liberazione , conquistata dopo una lunga Resistenza che ha comportato lutti, morti, e sofferenze. Questo non si può accettare». Di più, il presidente dell’Anpi ribadisce con forza: «dopo di che, anche se i venetisti celebrassero la loro festa il 27 aprile, noi siamo comunque molto lontani dalle loro idee». In ogni caso il presidente dell’Anpi Veneto si dice fiducioso: «Le forze in campo si misureranno nelle piazze: sono convinto che saranno molti di più i veneti che parteciperanno alle cerimonie al fianco dei partigiani e dei rappresentanti dell’Italia, che a quelle indette dai secessionisti».

A me che son Tontolo ma non tontolon viene un solo commento: eccoli i campioni a comando della libertà che mostrano il loro vero volto!

Comenti===============================================================================================================================

Antony Minotti
24 Aprile 2014 at 11:37 am #
I partigiani …..
Occorre innanzitutto verificare quanti siano in realtà e quanti ci marcino sopra.
Ma prima di parlare occorre ristabilire alcune verità:
1 ) la penisola italica è stata liberata dalle forze alleate e non dai partigiani.
2 ) molte azioni dei partigiani erano rivolte a scatenare la reazione dei tedeschi con le rappresaglie e molti civili ne furono coinvolti. Questo risulta da documenti storici sulle strategie partigiane e l’attentato di via Rasella ne fu un esempio (in questo attentato vi furono anche vittime civili romane)
3 ) tra i partigiani c’erano quelli che lottavano per una vera libertà di democrazia e quelli che lottavano per instaurare la dittatura del proletariato cosa assai diversa
4 ) tra le stesse forze partigiane vi furono dissapori con qualche assassinio di partigiani cosidetti bianchi (chissà perché i rossi non venivano mai uccisi dai compagni partigiani piu’ democratici..)
5) Gli eccidi e le ruberie, le nefandezze ed i massacri compiuti dai partigiani furono innumerevoli, di fatti tragici ne sono elencati e descritti in moltissimi libri e molti di noi ne hanno ancora testimonianza da coloro che ne furono testimoni. Le crudeltà erano infinite, dagli stupri, alla tortura, alle inutili violenze psicologiche, alle uccisioni gratuite, per odio o per la semplice antipatia o per i dissapori tra le persone in tempi passati erano sufficienti a giustificare l’uccisione. Donne vecchi e giovani ne furono vittime.
Ecco quando i partigiani riconosceranno che vi fu una guerra civile tra le parti e che sarebbe ora di metterci una pietra sopra, vi sarà vera pacificazione.
La loro intolleranza, il loro rifiuto alla verità storica deriva sempre dalla loro ideologia marxista.
Non sono certo questi partigiani i difensori della libertà, anzi tutt’altro.
Viva la libertà della Nazione Veneta, Viva san Marco, Viva il 25 aprile quale festa dei veneti. Quelli veri che amano veramente la propria terra, la propria cultura, i propri valori.
Quanto diversità con questi partigiani!….


Alberto Pento
24 Aprile 2014 at 5:13 pm #
A go on sogno!
A go on sogno da vivar vanti de morir e lè coeło de poder vedar, miłara de Veneti montegar so łe nostre Alpi sante e ke a miłara łi se raduna so łe piane dei 4 osari vixentini: del Cimon, del Paxoubio, de Axiago, del Gràpa
e ke da łi, łi ghe sighe ai nostri morti, a l’Ouropa e al mondo intiero kel nostro canto no lè coeło barbaro e viołento de łi tałiani, el canto mamełego-roman de łi sasini de Cristo ma tuto naltro, na canta de paxe, de fradernetà e de ben;
e ke dapò a miłara ognoun el porte on tricołor tałian a bruxar so l braxer del riscato e ke l’oxe alto: mi so veneto e no tałian e ke pì gnente me podarà costrenxar a portar sta orenda bandera ke ła gronda del sangoe de ła nostra xente veneta.
No łi se vargogna mia łi alpini de ver sempre en man el tricołor tałian e de cantar l’orenda canta mamełega piena de viołensa e ke ła exalta łi sasini de Cristo.

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http://www.anpi.it
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: ANPI n'oror tałian

Messaggioda Berto » gio apr 24, 2014 6:57 pm

25 Aprile, l’Anpi contro i venetisti

«Si celebri chi morì per l’Italia»
Gli indipendentisti: «La Liberazione? Noi preferiamo la festa di San Marco»

http://corrieredelveneto.corriere.it/ve ... 5037.shtml

VENEZIA — L’esercito di San Marco sfida quello dei partigiani. Due fronti diversi che hanno in comune una data: il 25 aprile. Festa della Liberazione per tutti gli italiani, festa del patrono di Venezia per gli indipendentisti, che nell’occasione si giocano perfino la carta della richiesta di riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa. Nei giorni scorsi, i rappresentanti del fantomatico Governo Veneto hanno scritto una lettera al Patriarca chiedendogli di ospitare in Basilica, «nello spazio riservato alle autorità civili», una loro delegazione che assisterà alla messa. Inutile dire che il vescovo Francesco Moraglia non ha neppure risposto alla missiva, ma il gruppo guidato dal presidente del Governo Veneto, il veneziano Albert Gardin, ha già annunciato che parteciperà alla celebrazione anche senza invito, «con lo spirito di chi è stato e vuole continuare a essere fedele sostenitore del messaggio cristiano portato a Venezia dall’evangelista Marco».

Insomma, anche questo 25 aprile vedrà mescolarsi storia, politica e religione. Il tutto condito dalle immancabili polemiche. Ma stavolta a far discutere non è l’iniziativa di qualche sindaco di destra che vorrebbe tenere lontani i comunisti o evitare che qualcuno intoni «Bella Ciao». Con il polverone sollevato dal referendum online per la secessione e poi dall’arresto dei venetisti accusati di terrorismo, quest’anno a dividersi le piazze saranno indipendentisti e partigiani. I primi annunciano, oltre alla partecipazione alla messa con indosso la fascia color rosso-oro e la scritta «Repubblica Veneta», una processione (non autorizzata) in onore del patrono e, a partire dalle 16, un raduno «spontaneo» in piazza San Marco al quale hanno già aderito diversi gruppi secessionisti. Manifestazioni che i partigiani non vedono di buon occhio. «Trovo sia di cattivo gusto organizzare delle iniziative che promuovano l’indipendenza del Veneto proprio nel giorno in cui si festeggia la Liberazione dell’Italia dal nazifascismo e si celebra il sacrificio di tanti giovani che hanno dato la vita per la nostra nazione», spiega il coordinatore regionale dell’Associazione nazionale dei partigiani (Anpi), Maurizio Angelini. «Chi porta avanti i valori della Resistenza - prosegue - non può approvare l’idea di una secessione del Veneto. Ma nonostante questa premessa, spero che nessun sindaco o prefetto vieti lo svolgimento di questi eventi: i partigiani hanno combattuto proprio perché i loro figli potessero essere liberi di manifestare apertamente le loro idee. Anche quelle che è davvero difficile condividere».

Le forze in campo - conclude Angelini - si misureranno nelle piazze: «Sono convinto che saranno molti di più i veneti che parteciperanno alle cerimonie al fianco dei partigiani e dei rappresentanti dell’Italia, che a quelle indette dai secessionisti». Nonostante le critiche, il fronte indipendentista non arretra. Albert Gardin assicura: «Noi del Governo Veneto siamo antifascisti, ma quella di Liberazione è una festa che ci è stata imposta dallo Stato italiano. Quindi, per come la vedo io, prima di ogni altra celebrazione deve venire la festa di San Marco, che affonda le sue radici nella storia della nostra terra ed è l’occasione per ricompattare il popolo intorno a un ideale di libertà». Anche Gianluca Busato, il leader di Plebiscito.eu che a marzo ha organizzato la consultazione online sull’indipendenza, sarà in Piazza San Marco. «Ogni veneto dovrebbe fare un salto a Venezia, venerdì», assicura. «Per me il 25 aprile non rappresenta altro che la festa di San Marco. E quest’anno, dopo il referendum e gli arresti dei patrioti avvenuti nelle scorse settimane, l’importanza di celebrare questa ricorrenza è ancora più forte». Per il fronte dei venetisti l’Italia non va festeggiata, neppure quando si tratta di ricordare la caduta del regime nazifascista. «Prima di chiederci di celebrare la sua Liberazione - conclude Busato - lo Stato italiano dovrebbe restituirci la verità storica sulla Resistenza, visto che abbiamo assistito a una progressiva censura di tutto ciò che riguarda quei partigiani che combatterono sotto la bandiera di San Marco, nel nome di una patria chiamata Veneto».

23 aprile 2014
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Re: ANPI e 'l so 25 april, n'oror tałian

Messaggioda Berto » sab apr 26, 2014 1:26 pm

San Marco l’evanxełista ebreo el Santo Paron dei veneti

viewtopic.php?f=153&t=211

25 Aprile, la nostra festa ha invaso Piazza San Marco

http://www.lindipendenza.com/25-aprile- ... -san-marco

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... /wsm22.jpg


di MARCO FESTIN

L’esposizione di un enorme gonfalone con leone di San Marco, grande più di 10 metri quadrati, è stato il clou della manifestazione a sostegno dell’indipendentismo oggi da venetisti e secessionisti a Venezia, nel giorno del patrono. Al gruppo del ‘Governo Venetò si sono uniti in Piazza S.Marco Franco Rocchetta e Lucio Chiavegato, e il leader del movimento referendario di Plebisicito.eu, Gianluca Busato. Si stima che siano convenute in piazza oltre 2.000 persone.

Soddisfatto dell’esito del raduno il presidente del ‘Governo Veneto’, Albert Gardin, organizzatore dell’evento. «È stata una bellissima giornata – ha detto – che ha messo insieme le anime venetiste, e in cui ha prevalso lo spirito patriottico rispetto a quello partitico». In piazza San Marco non c’erano infatti bandiere ma neppure rappresentanti dei movimenti più vicini a questi temi, neppure della Lega. Gardin, al quale le autorità avevano vietato la processione in piazza, ha elogiato l’atteggiamento della polizia «che si è limitata – ha detto – ad un servizio d’ordine civile e discreto». La manifestazione del resto è stata del tutto pacifica. Secondo Gardin, la partecipazione è stata «quattro volte superiore» allo stesso appuntamento del 25 aprile 2013. «Siamo riusciti a ricreare il clima di una festa di San Marco su scala nazionale – ha proseguito – com’era al tempo della Serenissima». Gardin ha detto di aver avuto comunicazione dalle autorità che nei suoi confronti scatterà comunque una denuncia, per l’inosservanza dell’ordine del Questore che vietava la sola processione in piazza, che inizialmente figurava come l’unico avvenimento annunciato dai venetisti alle autorità.

Di seguito un po’ delle immagini della giornata (tratte dai social network), che aggiorneremo in continuazione.

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... 4/wsm1.jpg

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... /wsm51.jpg
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Re: ANPI e 'l so 25 april, n'oror tałian

Messaggioda Berto » sab apr 26, 2014 1:34 pm

El 25 april lè na festa de łi tałiani e naltri ke semo veneti e no tałiani no ghemo gnente da festexar se no el nosto Santo Paròn San Marco.
Par naltri veneti no ghè stà gnaona łeberasion, semo ancora opresi da łi tałego-fasio-comounisti rosi e neri, bianki e verdi.
Naltri a festexaremo co se garemo łeberà da łi tałiani, da tuti łi tałiani ke łi xe ła nostra pì granda dexgràsia e da ła so capital romana co ła so falba çentrałetà metega, coultural e łengoestega e sora tuto da ła costitusion tałiana ke lè ona de łe pexo del mondo, dal tuto antidemocratega.


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e ke da łi, łi ghe sighe ai nostri morti, a l’Ouropa e al mondo intiero kel nostro canto no lè coeło barbaro e viołento de łi tałiani, el canto mamełego-roman de łi sasini de Cristo ma tuto naltro, na canta de paxe, de fradernetà e de ben;
e ke dapò a miłara ognoun el porte on tricołor tałian a bruxar so l braxer del riscato e ke l’oxe alto: mi so veneto e no tałian e ke pì gnente me podarà costrenxar a portar sta orenda bandera ke ła gronda del sangoe de ła nostra xente veneta.
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Re: ANPI e 'l so 25 april, n'oror tałian

Messaggioda Berto » sab apr 26, 2014 1:38 pm

Par mi ła pì granda ofexa a ła me degnetà omana ła xe ke łi me diga o ke łi me ciàme tałian!
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Re: ANPI e 'l so 25 april, n'oror tałian

Messaggioda Berto » sab apr 26, 2014 8:00 pm

Esecuzioni, torture, stupri Le crudeltà dei partigiani

La Resistenza mirava alla dittatura comunista. Le atrocità in nome di Stalin non sono diverse dalle efferatezze fasciste. Anche se qualcuno ancora lo nega

http://www.ilgiornale.it/news/cultura/e ... 44311.html

Giampaolo Pansa - Dom, 07/10/2012 - 12:05

C’è da scommettere che il nuovo libro di Giampaolo Pansa, La guerra sporca dei partigiani e dei fascisti (Rizzoli, pagg. 446, euro 19,50; in libreria dal 10 ottobre), farà infuriare le vestali della Resistenza. Mai in maniera così netta come nell’introduzione al volume (di cui per gentile concessione pubblichiamo un estratto) i crimini partigiani sono equiparati a quelli dei fascisti.

Giampaolo Pansa imbastisce un romanzo che, sull’esempio delle sue opere più note,racconta la guerra civile in chiave revisionista, sottolineando le storie dei vinti e i soprusi dei presunti liberatori, i partigiani comunisti in realtà desiderosi di sostituire una dittatura con un’altra, la loro.

Tanto i partigiani comunisti che i miliziani fascisti combattevano per la bandiera di due dittature, una rossa e l'altra nera. Le loro ideologie erano entrambe autoritarie. E li spingevano a fanatismi opposti, uguali pur essendo contrari. Ma prima ancora delle loro fedeltà politiche venivano i comportamenti tenuti giorno per giorno nel grande incendio della guerra civile. Era un tipo di conflitto che escludeva la pietà e rendeva fatale qualunque violenza, anche la più atroce. Pure i partigiani avevano ucciso persone innocenti e inermi sulla base di semplici sospetti, spesso infondati, o sotto la spinta di un cieco odio ideologico. Avevano provocato le rappresaglie dei tedeschi, sparando e poi fuggendo. Avevano torturato i fascisti catturati prima di sopprimerli. E quando si trattava di donne, si erano concessi il lusso di tutte le soldataglie: lo stupro, spesso di gruppo.

A conti fatti, anche la Resistenza si era macchiata di orrori. Quelli che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ricorderà nel suo primo messaggio al Parlamento, il 16 maggio 2006, con tre parole senza scampo: «Zone d'ombra, eccessi, aberrazioni». Un'eredità pesante, tenuta nascosta per decenni da un insieme di complicità. L'opportunismo politico che imponeva di esaltare sempre e comunque la lotta partigiana. Il predominio culturale e organizzativo del Pci, regista di un'operazione al tempo stesso retorica e bugiarda. La passività degli altri partiti antifascisti, timorosi di scontrarsi con la poderosa macchina comunista, la sua propaganda, la sua energia nel replicare colpo su colpo.

Soltanto una piccola frazione della classe dirigente italiana si è posta il problema di capire che cosa si nascondeva dietro il sipario di una storia contraffatta della nostra guerra civile. E ha iniziato a farsi delle domande a proposito del protagonista assoluto della Resistenza: i comunisti. Ancora oggi, nel 2012, qualcuno si affanna a dimostrare che a scendere in campo contro tedeschi e fascisti e stato un complesso di forze che comprendeva pure soggetti moderati: militari, cattolici, liberali, persino figure anticomuniste come Edgardo Sogno. È vero: c'erano anche loro nel blocco del Corpo volontari della liberta. Ma si e trattato sempre di minoranze, a volte di piccole schegge. Impotenti a contrastare la voglia di egemonia del Pci e i comportamenti che ne derivavano. Del resto, i comunisti perseguivano un disegno preciso e potente che si è manifestato subito, quando ancora la Resistenza muoveva i primi passi. Volevano essere la forza numero uno della guerra di liberazione. Un conflitto che per loro rappresentava soltanto il primo tempo di un passaggio storico: fare dell'Italia uscita dalla guerra una democrazia popolare schierata con l'Unione Sovietica.

Dopo il 25 aprile 1945 le domande sulle vere intenzioni dei comunisti italiani si sono moltiplicate, diventando sempre più allarmate. Mi riferisco ad aree ristrette dell'opinione pubblica antifascista. La grande maggioranza della popolazione si preoccupava soltanto di sopravvivere. Con l'obiettivo di ritornare a un'esistenza normale, trovare un lavoro e conquistare un minimo di benessere. Piccoli tesori perduti nei cinque anni di guerra. Ma le élite si chiedevano anche dell'altro. Sospinte dal timore che il dopoguerra italiano avesse un regista e un attore senza concorrenti, si interrogavano sul futuro dell'Italia appena liberata. Sarebbe divenuta una democrazia parlamentare oppure il suo destino era di subire una seconda guerra civile scatenata dai comunisti, per poi cadere nelle grinfie di un regime staliniano?

Era una paura fondata su quel che si sapeva della guerra civile spagnola. Nel 1945 non era molto, ma quanto si conosceva bastava a far emergere prospettive inquietanti. Anche in Spagna era esistita una coalizione di forze politiche a sostegno della repubblica aggredita dal nazionalismo fascista del generale Francisco Franco. Ma i comunisti iberici, affiancati, sostenuti e incoraggiati dai consiglieri sovietici inviati da Stalin in quell'area di guerra, avevano subito cercato di prevalere sull'insieme dei partiti repubblicani, raccolti nel Fronte popolare. A poco a poco era emerso un inferno di illegalità spaventose. Arresti arbitrari. Tribunali segreti. Delitti politici brutali. Carceri clandestine dove i detenuti venivano torturati e poi fatti sparire. Assassinii destinati ad annientare alleati considerati nemici. Il più clamoroso fu il sequestro e la scomparsa di Andreu Nin, il leader del Poum, il Partito operaio di unificazione marxista. Il Poum era un piccolo partito nel quale militava anche George Orwell, lo scrittore inglese poi diventato famoso per Omaggio alla Catalogna, La fattoria degli animali e 1984. Orwell aveva 34 anni, era molto alto, magrissimo, sgraziato, con una faccia da cavallo. Era arrivato a Barcellona da Londra alla fine del 1936. Una fotografia lo ritrae al fondo di una piccola colonna di miliziani del Poum. Una cinquantina di uomini, preceduti da un bandierone rosso con la falce e martello, la sigla del partito e la scritta «Caserma Lenin», la base dell'addestramento.

Orwell stava sul fronte di Huesca quando i comunisti e i servizi segreti sovietici decisero la fine del Poum. Lo consideravano legato a Lev Davidovic Trotsky, il capo bolscevico diventato nemico di Stalin. In realta era soltanto un gruppuscolo antistaliniano con 10 mila iscritti. L'operazione per distruggerlo venne ordita e condotta da Aleksandr Orlov, il nuovo console generale dell'Urss a Barcellona, ma di fatto il capo della filiale spagnola del Nkvd, la polizia segreta sovietica. Nel giugno 1937, un decreto del governo repubblicano guidato dal socialista di destra Juan Negrin, succube dei comunisti, dichiaro fuori legge il Poum, sospettato a torto di cospirare con i nazionalisti di Franco. Tutti i dirigenti furono imprigionati. Se qualcuno non veniva rintracciato, toccava alla moglie finire in carcere. Gli arrestati si trovarono nelle mani del Nkvd che li rinchiuse in una prigione segreta, una chiesa sconsacrata di Madrid. Interrogato e torturato per quattro giorni, Nin rifiuto di firmare l'accusa assurda che gli veniva rivolta: l'aver comunicato via radio al nemico nazionalista gli obiettivi da colpire con l'artiglieria. Gli sgherri di Orlov lo trasportarono in una villa fuori città. Qui misero in scena una finzione grottesca: la liberazione di Nin per opera di un commando di agenti della Gestapo nazista, incaricati da Hitler di salvare il leader del Poum. Ma si trattava soltanto di miliziani tedeschi di una Brigata internazionale, al servizio di Orlov. Nin scomparve, ucciso di nascosto e sepolto in un luogo rimasto segreto per sempre. E come lui, tutti i suoi seguaci svanirono nel nulla. Quanto accadeva in Spagna fu determinante per la svolta ideologica di uno scrittore americano di sinistra, John Dos Passos. Scrisse: «Ciò che vidi mi provoco una totale disillusione rispetto al comunismo e all'Unione Sovietica. Il governo di Mosca dirigeva in Spagna delle bande di assassini che ammazzavano senza pietà chiunque ostacolasse il cammino dei comunisti. Poi infangavano la reputazione delle loro vittime con una serie di calunnie». Le stesse infamie, sia pure su scala ridotta, vennero commesse in Italia da bande armate del Pci, durante e dopo la guerra civile.

C'è da scommettere che il nuovo libro di Giampaolo Pansa, La guerra sporca dei partigiani e dei fascisti (Rizzoli, pagg. 446, euro 19,50; in libreria dal 10 ottobre), farà infuriare le vestali della Resistenza. Mai in maniera così netta come nell'introduzione al volume (di cui per gentile concessione pubblichiamo un estratto) i crimini partigiani sono equiparati a quelli dei fascisti. Giampaolo Pansa imbastisce un romanzo che, sull'esempio delle sue opere più note, racconta la guerra civile in chiave revisionista, sottolineando le storie dei vinti e i soprusi dei presunti liberatori, i partigiani comunisti in realtà desiderosi di sostituire una dittatura con un'altra, la loro.
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Re: ANPI e 'l so 25 april, n'oror tałian

Messaggioda Berto » sab apr 26, 2014 8:08 pm

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Re: ANPI e 'l so 25 april, n'oror tałian

Messaggioda Berto » sab apr 26, 2014 8:11 pm

LE FALÌE
«La maestra e i cattivi partigiani» Il paese-teatro recita la sua storia
di Fabrizio Ravelli

http://www.lefalie.it/hannoscrittodinoi ... sua-storia

VELO VERONESE – C’è il Paese della tv deficiente, ma poi per fortuna c’è anche un paese come questo. Un paesino, settecento abitanti a mille metri di quota nella meraviglia di pascoli e boschi dei Monti Lessini. Un paese, diceva quello, vuol dire non essere soli. Qui a Velo, ormai da quattordici anni, vuol dire andarsi a cercare la proria storia, chiederla in prestito alla memoria dei vecchi, metterla in scena, riviverla da capo. Recitare se stessi, tagliare e cucire il passato per poterselo infilare addosso, ritrovare parole sperse del dialetto, pronunciarle forte perché sentano tutti, anche quelli delle file giù in fondo. Battersi le mani alla fine, quelli sopra e quelli sotto il palco. Ritrovarsi l’indomani per strada, nei negozi e per i campi, ricordarsi qualcos’altro da aggiungere la prossima volta.
Qualcosa più del teatro. «Non è una compagnia teatrale, è un paese che mette in scena se stesso. E reinventa anche il proprio modo di vivere». Alessandro Anderloni compie oggi 32 anni, sembra un ragazzo ed è il motore di questa vicenda. Aveva quattordici anni quando tutto è cominciato: un giornale aveva scritto che, in base a non si sa quale statistica, risultava che Velo era il paese più depresso di tutta la provincia di Verona. «C’erano da raccogliere soldi per una missione in Cameroun. Montammo uno spettacolo in cui ribaltavamo la statistica: i giornalisti salivano a Velo, trovavano famiglie festanti, locali affollati, servizi eccellenti, una sola vacca dava 9 milioni di latte al giorno». Era il 1986. Si divertirono parecchio.
Hanno continuato. Prima un coro, messo su dal prete, diretto dalla mamma di Alessandro, e poi da lui. Il coro divenne un gruppo teatrale. Qualcosa del genere s’è sempre fatto, in montagna. «C’erano i filò, cioè le serate d’inverno nelle stalle a raccontarsi storie. C’era la gente che recitava a memoria interi canti della Divina Commedia». Alessandro intanto si è laureato in Lettere con una tesi di storia contemporanea sulla vita di don Alberto Benedetti, un prete della Lessinia fatto a modo suo: libertario, anticonformista, controcorrente. Il gusto per il teatro contagia il paese, aggira i rischi del pittoresco, prende la strada della Storia. Anderloni (regista, scrittore, musicista, impresario, eccetera) comincia a intervistare i suoi compaesani più vecchi, a mettere insieme materiale sulla storia di Velo.
Che cosa ricordano di assolutamente memorabile? Ricordano tutti quando, nel 1950, passò da Velo la Madonna Pellegrina. Ne esce il primo spettacolo, che è del 1993: La Madona l'à portà la luce. E poi quello sulle fiabe recitato dai bambini, 1996: Sera i oci, te conto ’na storia..., chiudi gli occhi che ti racconto una storia. Nel ’99 I colori dell’arcovergine sulla figura di un pittore di madonne. Nel 2000 La cattolica e l’ardito ambientato nel 1939: fascio e acqua santa in paese. Fino all’ultimo, replicato l’altra sera nella sala parrocchiale strapiena: Gli esulanti dell'8 settembre, l’anno e mezzo della guerra partigiana visto da un paesino della Lessinia, quaranta persone in scena.
Questa faccenda del teatro è l’esperienza intorno a cui ha girato per tutti questi anni la vita del paese. Circa 300 dei 700 abitanti hanno collaborato in varie maniere. Hanno cucito costumi, costruito mobili di scena, trovato suppellettili d’epoca, imparato canzoni, recitato, ballato, cucinato, stampato manifesti, raccolto testimonianze, provato e riprovato nella sala senza riscaldamento. Un lavoro che occupa tutto l’inverno: «Ho scoperto – dice Anderloni – quanto la mia gente trovi un sano orgoglio nel mettere in scena i fatti del suo passato». Nessuno aveva esperienza teatrale. «Ho visto, anno dopo anno, come tutto questo influisce sui rapporti fra le persone, dentro la comunità, come quelli che non riuscivano a parlare si appassionano».
Il risultato è assolutamente non professionale, ma strepitoso per quanto è coinvolgente. Recitano operai, commercianti, insegnanti, pensionati, bambini, muratori, contadini, allevatori. E gli spettacoli sono ben costruiti, perché il materiale è assolutamente vero e genuino: dramma, comicità, amori, politica, famiglia. Chiesa, lavoro. E Gli esulanti dell'8 settembre è una ricostruzione molto forte, non convenzionale dei mesi di “guerra civile” a Velo.

Racconta Anderloni: «In tutti questi anni, intervistando gli anziani, mi sono accorto che i loro ricordi della Resistenza e dei partigiani erano pessimi. Qui i partigiani avevano lasciato una memoria peggiore dei tedeschi. Ho verificato, e in effetti la banda partigiana che s’era installata a Velo era stata sconfessata dal Cln, e alcuni di loro addirittura condannati a morte».

Il loro comandante si chiamava Giuseppe Marozin, detto “Vero”, e venne amnistiato nel 1960.
I ricordi su quei giorni sono nettissimi, e sempre nuovi particolari si aggiungono: «Ancora l’altra sera una signora, dopo lo spettacolo, mi ha avvicinato. Lei, bambina, abitava nella casa dove i partigiani torturarono e uccisero una maestra di Tregnago». La signora si chiama Norina: «Mia mamma ci portò a dormire in un’altra stanza, perché noi bambini non sentissimo le urla. Andiamo di là, che fa più fresco, ci diceva». In paese, nei fienili e nei letamai, la gente di Velo nascondeva tutti quelli che avevano bisogno di aiuto: due soldati inglesi, ma anche uno tedesco che venne poi ucciso dai partigiani. Era un ragazzo sbandato, forse un disertore, il padre ex-ufficiale della Wermacht venne a riprendere il corpo a guerra finita. Si nascondevano poi i giovani renitenti ai bandi della Rsi, c’erano gli sfollati da Verona. Nascevano anche amori. Il sangue dei vinti e quello dei vincitori si mescolava, sulla scena pietosa di Velo.
Matteo Bonomi, 22 anni, che recita la parte del capo partigiano sanguinario, di mestiere fa il pavimentista. Come il suo amico Nicola Menegazzi, che fa “il renitente” Olindo. Hanno cominciato insieme nel coro dei bambini, 14 anni fa. Mauro Dalla Valentina, forestale, è Fachinato, il commissario prefettizio. Mariarosa Corradi, insegnante, è la bottegaia Ginepra. Nella Pozzerle, pensionata, è la nonna Celide: un’attrice fantastica, sembra non abbia fatto altro in vita sua. Elisa Anderloni, sorella di Alessandro, è la segretaria comunuale che dopo la Liberazione venne rapata e oltreggiata in piazza: partì per il Sudamerica e nessuno l’ha più vista. Così come sparì per sempre una ragazza violentata per due giorni dai parigiani. In scena c’è anche una ragazzina di 12 anni, Giulia Carpene, bravissima.
Alla fine, sono tutti preoccupati che «si capisse bene». Si finisce in piazza, una piazzetta che pare un campiello, a bere un bicchiere. Molta gente è rimasta fuori, e chiede nuove repliche. Gli attori se ne vanno a casa soddisfatti. La sola cosa che stona sono le mega-antenne sul monte dietro Velo: sono i ripetitori delle tv che nessuno, anche stasera, ha acceso.

La Repubblica - Venerdì 6 agosto 2004
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Re: ANPI e 'l so 25 april, n'oror tuto tałian

Messaggioda Berto » dom apr 27, 2014 7:44 am

Mi spiace ma prima di festeggiare il 25 aprile...

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lunedì 25 aprile 2011
Mi spiace ma prima di festeggiare il 25 aprile...

Mi spiace ma prima di festeggiare il 25 aprile bisognerebbe far mente chiara sul fatto che "i cattivi" non erano tutti così cattivi e, soprattutto, che "i buoni non erano tutti così buoni".
In che senso?
E' presto detto: Ci sono voluti sessant'anni perchè agli occhi della massa Giampaolo Pansa, uno che era sempre stato di sinistra e che proprio da quella sinistra è stato prontamente all'occorrenza rinnegato, sconvolgesse la coscienza almeno di quella parte di Italiani che oltre a guardare il grande fratello leggono qualchè libro, con il suo "Il sangue dei vinti".
Eh si, perchè mentre la gente di destra con la testa sulle spalle, come si ritiene il sottoscritto, è pronta a condannare e condanna perpetuamente i crimini commessi dai fascisti nascosti dietro un'ideologia per la quale molti si sono fatti prendere la mano, la sinistra ha taciuto sempre, e sempre vorrebbe poter continuare a tacere sui crimini commessi dai suoi "eroi" ai danni di coloro che nella stragran maggioranza dei casi avevano, come unica colpa, quella di essere figli, mogli, parenti, fidanzate, nipoti, amici, di chi aveva portato la camicia nera o aveva avuto la tessera del partito fascista che fu. Mettiamoci bene in testa che i figli di buona donna che nascosti dietro al fascismo avevano commesso crimini efferati, fra l'8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945 si sono improvvisamente trasformati in partigiani, sono diventati comunisti, hanno stracciato vecchie tessere e vecchi ideali... quelli più che fascisti erano criminali o, nella migliore delle ipotesi, bulli di squadra.

Festeggerei il 25 aprile come "liberazione" se i comunisti non l'avessero fatta una loro prerogativa, peché bisogna sottolineare che l'Italia dal nazi-fascismo non l'hanno liberata i partigiani ma gli Americani, i quali avevano ben altra forza e altre risorse. E fu così che però i partigiani si arrogarono la memoria storica non di aver combattuto e resistito fino all'arrivo delle truppe alleate (senza poi chiedersi quale differenza avrebbe fatto la loro assenza sulla liberazione - probabimente nessuna) bensì quella di aver vinto la guerra ed aver "liberato" l'Italia.

Ora, i partigiani non erano tutti comunisti, erano un'eterogeneità di gruppi alcuni dei quali avevano nobilmente creduto nella resistenza, ci mancherebbe! Ma la parte comunista come solito, quando c'è stato da godere di una vittoria e raccogliere meriti ha fatto la voce più grossa e si è saputa vendere meglio con quel modus operandi che è tipico degli impostori. Da questo vennero nascoste le azioni che subito dopo quella "liberazione" vista con i loro occhi (o meglio "paraocchi") si rivelarono forse il peggior momento della storia della nostra Nazione.

Lo so che in questo momento se qualche "comunista della vecchia guardia" sta leggendo si sente ribollire il sangue, ma non può che farmi piacere perché è la prova che la verità è tale e fa male, quindi calco la mano e porto qualche esempio:

Walter Ascari
Bastiglia (MO) 27 aprile 1945.
Alcuni partigiani (Brigata Garibaldi) si introdussero nell’abitazione di Walter Ascari, lo derubarono, fecero razzia di carni e salumi; lo prelevarono e lo trasportarono in aperta campagna.
Ascari non era fascista, ma neanche comunista, era un benestante e questa era una grandissima colpa durante le “Radiose Giornate” quindi colpendo Walter Ascari avrebbero colpito lo “Stato Borghese“.
Giunti in località Montefiorino alcuni partigiani estrassero dei bastoni e cominciarono a colpire il malcapitato come dei forsennati; altri con l’ausilio di una canna di bambù lo seviziarono fino a rompergli parte dell’intestino. Ma era ancora ben poca cosa, una fine orrenda attendeva il povero Walter Ascari. “A morte!” “A morte!” Urlavano gli assassini… Per la sua mattanza finale, i gloriosi e pluridecorati eroi garibaldini pensano a qualcosa di diverso dalla solita raffica di mitra… Qualcosa di speciale… Qualcosa che soltanto la loro mente perversa e assassina poteva immaginare, qualcosa che va aldilà dell’umana cattiveria.
Lo appesero per i polsi ad un grosso ramo in modo che il corpo del moribondo fosse ben teso assicurandolo per i piedi al terreno con una corda. Poi, con una grossa sega da boscaiolo a quattro mani, lo tagliarono in due! Da vivo! Il suo corpo fu gettato in seguito in una porcilaia. Quando lo ritrovarono, ben poco era rimasto di quel pover’uomo.
(fonte)

Ines Gozzi:
Ines Gozzi era una ragazza ventiquattrenne di Castelnuovo Rangone (MO).
Era il 21 gennaio 1945 quando una squadra di partigiani dell' "onoratissima" brigata Garibaldi fece irruzione in casa Gozzi prelevando Ines e suo padre.

I due furono portati in un casolare in aperta campagna e qui legato il genitore e costretto ad assistere inerme, la ragazza venne violentata a turno e seviziata brutalmente da coloro che poi ebbero la sfrontatezza di definirsi "coraggiosi salvatori della patria". (sono noti ulteriori dettagli ma preferisco ometterli in quanto mi viene il voltastomaco solo a pensarci, e a pensare a come chi li ha commessi abbia poi potuto vivere una vita da impostore accettando chissà quante volte l'epiteto di "eroe").

Le atrocità si protrassero per tutta la notte e quando fu ormai giunta l'alba i "coraggiosi partigiani" finirono padre e figlia con numerosi colpi di pistola alla testa.
Vennero ritrovati cadaveri solo alcuni giorni dopo ed il corpo della ragazza era talmente straziato e sfigurato da dover essere nascosto agli occhi della madre.

Giuseppina Ghersi:
Il 26 aprile 1945 i genitori di Giuseppina, che aveva solo 13 anni, si recarono al lavoro presso il loro ingrosso di frutta e verdura, erano passate non da molto le 6 del mattino quando furono fermati da alcuni partigiani armati e successivamente tradotti al Campo di concentramento di Legino. Ivi arrivati furono loro sequestrate le chiavi di casa e del magazzino della merce. Dopo circa mezz’ora fu tradotta al campo anche la cognata che viveva nella loro casa che nel frattempo, unitamente al magazzino, venne depredata di oro e denaro e merci.
Il 27 aprile verso le 10 del mattino, le guardie minacciarono di morte la moglie per sapere dove fosse la figlia tredicenne. Terrorizzati i Ghersi accompagnarono le guardie a prenderla presso l'abitazione di conoscenti in via Paolo Boselli a Savona, da dove fu presa e condotta al campo.
Nel pomeriggio la ragazza fu condotta in un cortile e le guardie ci giocarono a pallone, riducendola in uno stato comatoso, perdendo tanto sangue da non avere più la forza di chiedere aiuto.
Poi le guardie, non paghe di quanto appena ignobilmente commesso, presero a malmenare la madre della eagazza ed alle cinque successive batterono il padre con il calcio del moschetto, sulla testa e sulla schiena, chiedendogli di rivelare dove avesse nascosto altri soldi e altro oro.
Verso le 18 furono condotti in via Niella, al Comando partigiano, dove fu loro detto che a loro carico non era emerso nulla. Furono tuttavia portati al Carcere di S. Agostino.

Dopo 12 giorni fu rilasciata la Signora Ghersi e l'11 giugno, senza mai essere stato interrogato fu liberato il padre della ragazza che apprese in tale occasione che sua figlia Giuseppina era stata violentata ed uccisa.
Il corpo senza vita della ragazza fu abbandonato nel cimitero di Zinola, (Savona) nell'aprile del 1945.



Rolando Rivi.
Il 10 aprile del 1944 Rolando Rivi, quattordicenne seminarista esce di chiesa, torna a casa, i suoi genitori vanno a lavorare nei campi. Rolando, con i libri sottobraccio, si reca come al solito a studiare nel boschetto a pochi passi da casa.

Indossa, come sempre, la sua veste nera. Inseparabile veste nera.
A mezzogiorno, non vedendolo ritornare, i genitori lo vanno a cercare. Tra i libri, sull'erba trovano un biglietto: "Non cercatelo. Viene un momento con noi, partigiani". Il papà e il curato di San Valentino, don Camellini, in forte ansia cominciano a girare nei dintorni alla ricerca del ragazzo. Che cosa sarà mai capitato?...

Alcuni partigiani comunisti lo hanno portato nella loro "base". Rolando capisce con chi si trova. Quelli lo spogliano della veste talare che li irrita troppo. Lo insultano, lo percuotono con la cinghia sulle gambe, lo schiaffeggiano. Adesso hanno davanti un ragazzino coperto di lividi, piangente; rimarrà nelle mani di quegli ignobili personaggi (che poi probabilmente saranno stati osannati e portati come eroi da chi si credette liberato da loro)
Una valanga melmosa di bestemmie contro Cristo, di insulti contro la Chiesa e contro il Sacerdozio, di scherni volgari si abbatté su di lui. Quindi (secondo quanto hanno detto alcuni testimoni) l'orrore della flagellazione sul suo corpo puro di ragazzo. E l'indicibile, che è preferibile non raccontare.
Rolando, innocente, piange e geme come un agnello condotto al macello, prega nel suo cuore e chiede pietà. Tuttavia, nella sua anima, posseduta da Cristo, è forte e sereno. Qualcuno si commuove e propone di lasciarlo andare, perché è soltanto un ragazzo e non c'è motivo o pretesto per ucciderlo. Ma altri si rifiutano: "Taci, o farai anche tu la stessa fine". Prevale l'odio al prete, all'abito che lo rappresenta.

Decidono di ucciderlo: "Avremo domani un prete in meno"!
Scende la sera ormai. Lo portano, sanguinante, in un bosco presso Piane di Monchio (Modena).
Davanti alla fossa già scavata Rolando comprende tutto. Singhiozza, implora di essere risparmiato. Gli viene risposto con un calcio. Allora dice: "Voglio pregare per la mia mamma e per il mio papà.
Si inginocchia sull'orlo della fossa e prega per sé, per i suoi cari, forse per i suoi stessi uccisori. Due scariche di rivoltella lo rotolano a terra nel suo sangue.
Quelli lo coprono con poche palate di terra e di foglie secche. La veste del prete diventa un pallone da calciare; poi sarà appesa, come trofeo di guerra, sotto il porticato di una casa vicina.
Era il 13 aprile 1945, Rolando aveva quattordici anni e tre mesi.

Come potrei festeggiare quindi il 25 aprile assieme a coloro (e rischiando di venire identificato con gli stessi) i quali osannano ancora oggi i partigiani?

No, mi dispiace, mi dispiace per i miei nonni che di 25 aprile non se ne perdevano uno, loro avevano fatto la guerra, erano stati deportati come prigionieri dopo l'8 settembre del 1943 e per loro la "liberazione" era la fine della guerra, delle sofferenze, il ritorno alle famiglie con la speranza di non dovervisi più allontanare. Non gli interessava della politica (almeno in quei frangenti) festeggiavano la fine della guerra e di questo loro sentimento non posso che provare un profondo rispetto.

Ma oggi io, che sono di destra ma non sono fascista perchè è un periodo che non ho vissuto, perchè considero anacronistica l'espressione della nostalgia di quei momenti, perché vedo nei giovani che "giocano" a fare i neofascisti lo stesso atteggiamento patetico che vedo nei ragazzotti ventenni che si iscrivono all'associazione partigiani probabilmente per il solo desiderio di appartenere a qualcosa, che scelgono un atteggiamento politico alla stregua di una tifoseria calcistica, oggi io quando la ragione sta prevalendo sui sentimenti e la politica più che mai divide perché è venuto a galla l'olezzo delle schifezze tenute nascoste per più di mezzo secolo, io NON posso festeggiare unendomi a certa gente. Non sono per l'abolizione di questa festività, ma così dipinta a sostegno di criminali che hanno infangato i buoni propositi di coloro che si sono davvero sacrificati, indipendentemente dalla parte dalla quale stessero, proprio non la sento mia.

Pubblicato da Raffaele Ferroni
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Re: ANPI e 'l so 25 april, n'oror tuto tałian

Messaggioda Berto » dom apr 27, 2014 7:47 am

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