Lagouna veneta (pristoria e storia)

Re: Lagouna veneta (pristoria e storia)

Messaggioda Berto » ven dic 05, 2014 10:52 pm

Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Lagouna veneta (pristoria e storia)

Messaggioda Berto » ven dic 05, 2014 11:02 pm

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... eatego.jpg

Sti kì ƚi ga da ajornarse:

???
http://www.archeosub.it/lgngreca.htm

Antenore non fu solo.
Il mito dell'eroe troiano approdato in laguna e fondatore di Padova prende forma giorno dopo giorno dai ritrovamenti archeologici in laguna.

Prima i micenei, poi gli etruschi e i greci: per secoli la laguna è stata il terminale di intensi traffici commerciali che risalivano in nave l'Adriatico o scendevano dal centro e nord Europa lungo i fiumi e i percorsi carovanieri.

E' bastato alzare il coperchio della soprintendenza ai Beni archeologici del Veneto per scoprire un mondo tutto nuovo, per certi versi inaspettato: duemila anni prima di Venezia, mille anni prima dei romani, la laguna era già vivace e frequentata, come è emerso dall'interessante giornata di studi "I greci in laguna" ???, promossa alla Fondazione Cini di Venezia per iniziativa del professor Lorenzo Braccesi dell’università di Padova in collaborazione con la soprintendenza ai Beni archeologici del Veneto.

"Se finora è mancata una lettura critica del materiale emerso dalla laguna e dalla città di Venezia", spiega il soprintendente Luigi Malnati, non è perché manchino le pubblicazioni degli scavi, ma piuttosto perché la maggior parte dei reperti proviene da recuperi occasionali e sporadici, ad opera di benemeriti appassionati e ispettori onorari".
La laguna, non dimentichiamolo, è un ambiente di ricerca particolare, come sottolinea Luigi Fozzati, responsabile del nucleo di archeologia subacquea del Veneto: "Fare ricerche in laguna è estremamente difficile, soprattutto per la forte antropizzazione che impedisce ricerche estese e in profondità.

Finora conosciamo siti dal neolitico al XVII sec.d.C., ma nella distribuzione dei ritrovamenti c'è una sproporzione tra quelli emersi in laguna nord (molto diffusi) e quelli in laguna sud dove l'intervento dell'uomo (specie con il canale dei petroli) ha pregiudicato la conservazione dei siti archeologici" .

Molti dei materiali ritrovati sono perlopiù sporadici. Provengono da lavori di sterro e ripulitura dei grandi canali lagunari. Molti reperti risalgono addirittura all'800, e di alcuni trovati nel '700 abbiamo solo le relazioni di descrizione.

"La laguna nord è la più ricca di ritrovamenti ed è legata all'area di Altino", interviene Maurizia De Min, archeologo della soprintendenza ai Beni architettonici di Venezia.
"Quella sud è invece collegata all'area di Padova.
??? È comunque attestata una via endolagunare (veneta e de epoca preromana ?) che rappresentava una specie di scorciatoia via acqua, della via Popilia costiera e della strada Adria, Lova, Campagna Lupia.
Era la più veloce per arrivare ad Altino senza passare dalla terraferma".
???

Oggi è possibile disegnare una mappa dei ritrovamenti in laguna. Fusina ha restituito i materiali protostorici più interessanti: ceramica attica della fine del VI-V sec. a.C. e due bronzetti etruschi (o vicino alla produzione etrusca).

Dall'insediamento di San Leonardo in Fossa Mala provengono frammenti di ceramica greca, attica, del V sec. (almeno un centinaio), per la maggior parte crateri. Mancano invece le kylix.

Torcello è area particolarmente ricca e problematica: a San Pieretto le scoperte più interessanti con bronzi protostorici (trovati alla fine dell'800). Ma soprattutto ci sono gli oggetti che oggi costituiscono il museo di Torcello: bronzi e ceramiche recuperate durante lo scavo di un vigneto.

Rimane invece un mistero il vaso miceneo integro conservato in museo per il quale si dubita ancora, date le condizioni straordinarie di conservazione, sia stato trovato a Torcello, dove invece, 30 anni fa, sono usciti tre frammenti di ceramica micenea, in corso di studio.
Non mancano ritrovamenti di bronzi etruschi, vlllanoviani e paleoveneti: tra questi, un'applique a forma di ariete (VII sec. a.C.), un'ansa di oinochoe etrusca con desinenze a testa di ariete.
Statuine di devoto di fattura umbro-meridionale. Statuine di suonatore paleoveneto (Vsec.).

Dietro Torcello, in canal Riga, vicino al canale di San Felice, è stato rinvenuto un frammento di biconico.

Da San Giacomo in Paludo frammenti di ceramica attica recuperati durante la sistemazione delle palanche metalliche a 6 metri di profondità.
Erano tutti conservati in un butto.

Da Mazzorbo una testina greca e un'altra cosiddetta "a pallottola" forse etrusca, e una statuina etrusca con braccia e gambe incrociate: sono tutti materiali sporadici che si sovrappongono ad altri trovati in contesto (ceramica micenea).

"Da Grado ed Aquileia ad Adria", spiega Elodia Bianchin della soprintendenza del Veneto,"siamo di fronte a un'area omogenea per un lungo periodo che va dal XV al VII secolo a.C., al quale appartengono i siti di Pegolotte di Cona e Bojon di Campolongo, Mestre, Campalto, Altino, Meolo, Cittanova di Eraclea, Concordia, Caorle: tutti vicino ai fiumi, su rilievi sabbiosi.
Si va dalla media età del Bronzo al Bronzo evoluto (XV-XII sec.a.C.) caratterizzati da materiale ceramico (brocche, grandi dolii) e pochi bronzi sporadici del medio Bronzo, asce ad alette (XV-XIV sec.)".


I siti dell'età del Bronzo erano su zone protette, a ridosso di fiumi, facilmente raggiungibili dal mare.
Qui i micenei venivano a rifornirsi di metalli: e i molti oggetti in bronzo rinvenuti confermano questa abbondante circolazione di metalli.
Ma finora il materiale miceneo in strato non è stato ancora verificato.
Poi nel XII sec. cadono i siti con la cultura dei popoli terramaricoli.

Ma la laguna torna ad animarsi nella prima età del Ferro.
E' in questo periodo che comincia a imporsi Altino.
"Esiste una Altino protostorica (dalla fine del VII secolo alla romanizzazione) ben inserita nel sistema lagunare", conferma Margherita Tirelli, direttore del Museo archeologico nazionale di Altino.


"Lo conferma l'ultima eccezionale scoperta: un luogo di culto. Trovati tre frammenti lapidei di un altare votivo con iscrizioni in venetico (VII-IVsec.) che provengono dalla zona di un santuario emporico misto articolato in sette aree votive, esterna al limite urbano, e raccordata alle strade Annia, Opitergina e Claudia Augusta".
È lì che sono stati rinvenuti molti bronzetti votivi: rappresentano guerrieri, devoti e cavalieri.
Alcuni si riferiscono a tipologie ed esemplari veneti, altri etruscoumbri. E poi punte di lance, ollette, un alare, palette: sono tutti bronzi miniaturistici. "E' il primo complesso votivo protostorico trovato ancora in situ, comprese le fosse votive: lo studio di questo luogo sacro sarà oggetto di un convegno che si terrà a Ca' Foscari nei prossimi mesi".

Il santuario si trova sulla sponda sinistra del canale di Santa Maria, che sbocca in laguna.
Il santuario ha un evidente ruolo emporico, collegato alla presenza dell'acqua. ???

Fu realizzato probabilmente tra il VII e il VI secolo e poi continuò fino all'età romana quando assunse un aspetto monumentale con dedicazione a Giove.
"È evidente che questa dedicazione non soppresse nè cancellò la divinità locale alla quale era precedentemente intitolato: quindi con ogni probabilità si trattava di una divinità maschile (visti anche i numerosi ex voto) assimilabile a Giove".

Tutta la ceramica greca rinvenuta ad Altino è attica: si tratta di kylix e skiphoi (per la maggior parte).
Ciò non può essere un caso, ma risponde ad esigenze della committenza, visto che è confermato dagli scavi sia in contesto sacro, che funerario o abitativo.

Tutta questa ceramica risale al V-IV secolo a.C.: non c'é ceramica greca del VI secolo.
Al V secolo appartengono le kylix a figure rosse, a vernice nera; lo skiphos di tipo attico a vernice; gli skiphoi con civette.

Un solo frammento, finora, con figura umana viene dal santuario alla Fornace, e risale al V-IV secolo.
Invece del IV secolo sono gli sklphoi con il ragazzo grasso (un soggetto molto diffuso).
Ma chi portava queste ceramiche?
Secondo Simonetta Bonomi, direttore del Museo archeologico nazionale di Adria, gli etruschi.
"I fornitori, i commercianti che ad Altino hanno lasciato solo tazze e coppe per bere (quindi la gente di Altino del V secolo sembra non aver assimilato il sistema egeo del simposio canonico, con crateri e oinochoe), probabilmente non erano greci, ma etruschi dell’Altoadriatico
(adriesi, spinetici e parké no ogagni, reti e veneti? osia ła jente li nostri havos de łe pałafite e daspò de łe teremare ?).

Venivano ad Altino dove sbocca il Piave, che rappresenta uno degli assi di comunlcazione dal centro Europa, da dove provenivano i minerali più importanti dell'antichità". G.T.

Altin (Altino)
viewtopic.php?f=151&t=99
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https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... ZybjQ/edit

La Lejenda de Antenore del profesor Lorenzo Braccesi
http://picasaweb.google.it/pilpotis/LaL ... zoBraccesi
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Re: Lagouna veneta (pristoria e storia)

Messaggioda Berto » ven dic 05, 2014 11:30 pm

Lagouna veneta venesiana ente na carta del XVI secoƚo

https://picasaweb.google.com/pilpotis/L ... lXVISecolo

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... onp-kw.jpg


Cristoforo Sabbadino
http://it.wikipedia.org/wiki/Cristoforo_Sabbadino
Cristoforo Sabbadino (Chioggia, 1489 – Venezia, 3 marzo 1560) è stato un ingegnere veneto.
Detto anche "il Moretto" è stato il primo Consultore della Repubblica Serenissima in materia di sicurezza del regime lagunare, e proto (primo tecnico) al servizio della Magistratura alle Acque.
Considerato il primo ed illustre ingegnere idraulico dei suoi tempi deviando il percorso dei fiumi nella laguna veneta. Noto per il suo "Trattato della acque" che analizzò, storicamente ed idrograficamente con dettagliati rilevamenti tipografici, la laguna veneta.


Immagine
Pianta del progetto del Proto Sabbadino del 1557 per l'ampliamento delle Fondamenta di margine veneziane. Le aree di ampliamento sono segnate in colore verde.

http://www.archivi.beniculturali.it/SAV ... 5B1%5D.doc

http://www.marinozorzato.it/2011/05/chi ... -sabbadino
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Re: Lagouna veneta (pristoria e storia)

Messaggioda Berto » ven dic 05, 2014 11:31 pm

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... eatego.jpg

Ki xe ke ga raxon ???:

Se ƚa ƚagouna cusì come ke ƚa xe ƚa se ga orexenà 6000 ani endrio parké e come gaƚi fato a far na strada soto acoa al çentro de ƚa ƚagouna venesiana ente ƚi ani veneto-romani e parké e come gaƚi fato a fabregar do cexe a Gravo soto acoa sente ƚi ani veneto-romani ???


Par entendar mejo el caranto:

Stratefegasion jeolojega de la lagouna veneta:

http://www.archeosub.it/articoli/laguna/lgngeol.htm

??? E' noto che la Laguna di Venezia si è originata circa 6000 anni orsono durante la trasgressione flandriana che ha portato alla progressiva sommersione della Pianura Alto Adriatica Wurmiana. ???

L'ingressione marina si diffonde in un preesistente bacino lacustre dando origine alla laguna primordiale.

L'innalzamento eustatico del mare prima, l'attività alluvionale dei fiumi veneti poi, furono i principali fattori genetici di tutte le lagune altoadriatiche, i cui caratteri morfologici furono accentuati da sin e postgenetici processi di subsidenza naturale.


Nel sottosuolo si possono distinguere due complessi sedimentari ben definiti:
il continentale tardo-pleistocenico di base sul quale si è deposto il lagunare olocenico.

IL COMPLESSO CONTINENTALE TARDO-PLEISTOCENICO
è rappresentato da alternanze di orizzonti argilloso-limosi e sabbie con frequenti intercalazioni torbose.
La struttura lentiforme e i passaggi laterali con forme addentellate rivelano lo stile fluvio-continentale di tali depositi.
Al tetto di questo complesso si trova il caranto,
nota argilla sovraconsolidata che (pur sviluppandosi in modo discontinuo per le vicende erosive subite durante la emersione preolocenica) sigilla il passaggio al COMPLESSO LAGUNARE OLOCENICO la cui potenza è variabile da luogo a luogo (5....20 m circa) in relazione alla pendenza della paleopianura wurmiana ma anche per i processi di subsidenza naturale particolarmente attivi nelle zone deltizie meridionali.
Prevalentemente limo-sabbioso, il complesso olocenico si presenta trasgressivo su quello pleistocenico, anche se apparentemente in concordanza.
In generale le sabbie iniziali sono ricche di resti conchigliferi che testimoniano l'ingressione marina.
Gli orizzonti sovrastanti sono argillosi o limosi di ambiente deposizionale in genere lagunare ma con episodi fluvio-lacustri; infine nei metri più superficiali, e in particolare lungo i cordoni litorali, i sedimenti sono francamente sabbiosi e l'ambiente nettamente litoraneo.
La ricostruzione della struttura litostratigrafica del sottosuolo è stata ottenuta attraverso una ricca serie di sondaggi a carotaggio continuo che hanno campionato in laguna e lungo i litorali gli orizzonti olocenici e tardo pleistocenici (profondità 5-50 m), nonché dalle numerose analisi condotte anche sulle carote del sondaggio VE 1 CNR che, spinto a circa 1000 metri di profondità, ha campionato in continuo i depositi Plio-Pleistocenici.

Dagli stessi campioni e da analisi diverse, sono state ottenute stime della subsidenza naturale che risulta essersi esplicata in modo differenziale nello spazio e nel tempo in relazione ai diversi eventi tettonici e deposizionali succedutesi sul territorio.
Riassumendo i risultati salienti degli studi (alcuni ancora in corso) si può dire che la subsidenza media di lungo periodo (² 0,5 mm/anno) che riflette processi tettonici a carattere regionale, è ridotta rispetto a quella avvenuta nel periodo tardo pleistocenico-olocenico (~ 1,3 mm/anno), ascrivibile per lo più a processi di consolidazione naturale dei depositi recenti, ed è decisamente inferiore a quella antropica recente (³ 2,5 mm/anno).
Il tasso medio di subsidenza del periodo evolutivo naturale della laguna, è andato riducendosi negli ultimi secoli da 1,3 inni/anno ai valori attuali di 0-0,5 inni/anno per i diversi interventi antropici che hanno portato ad una drastica riduzione del carico geostatico nel bacino lagunare e lungo i litorali.

La subsidenza antropica è avvenuta dagli anni 1930 per i sovrasfruttamenti delle risorse idriche sotterranee, operati principalmente per scopi industriali con i primi insediamenti di Porto Marghera.
Con il boom industriale postbellico, gli emungimenti incontrollati delle sei falde artesiane che si susseguono fino a 320m circa di profondità si intensificarono progressivamente, e, di pari passo alla depressurizzazione del sottosuolo, nel periodo 1950-1970 si aggravò la situazione altimetrica: i più alti tassi di subsidenza furono misurati tra il 1968 ed il 1969 (17 mm/anno a Marghera e 14 mm/anno a Venezia).
Dopo il 1970 iniziò una fase di regolamentazione e diversificazione degli approvvigionamenti idrici, e si verificò la rapida ripressurizzazione delle falde.
Parallelamente la subsidenza rallentò fino ad annullarsi già nel 1973.
Nel 1975 fu misurata un esiguo ma significativo rebound che nel centro storico raggiunse i 2 cm.
Questo recupero altimetrico, dell'ordine del 15-20% della deformazione totale subita dal sistema, rappresenta la risposta elastica dei sedimenti fini ripressurizzati, ed era stata prevista dal primo modello matematico sviluppato per la simulazione del fenomeno.
I successivi monitoraggi condotti fino alla data odierna, sia attraverso i rilievi tradizionali (livellazioni, GPS) che di più recente attuazione (InSAR), hanno confermato che in generale la situazione altimetrica del territorio, salvo particolari condizioni localizzate (sfruttamenti minori, zone torbose, ecc.) non è preoccupante e si può concludere dicendo che se non interverranno nuovi eventi destabilizzanti, non si dovrebbero più rivivere le preoccupazioni del passato.

http://extra.istitutoveneto.it/venezia/ ... andrei.pdf
http://wug.cab.unipd.it:8080/DigLib/Dat ... p41_62.pdf
http://www.archeosub.it/articoli/laguna/geomorf.htm


http://www.comune.venezia.it/flex/cm/pa ... ID%3D29760

...

Prima fase – Circa 18.000 anni fa, vige in quest’area un dominio fluvio-palustre subsidente, con una superficie morfologica incisa da canali e addolcita da acquitrini e bacini poco profondi.
Seconda fase – Con la successiva fase alluvionale pleistocenica, la deposizione di una spessa coltre limosa e argillosa colma le accidentalità morfologiche e livella il territorio. I materiali fluviali sedimentano soprattutto nelle zone depresse (bacini lacustri) che, associati ad altri depositi, restano esclusi dal successivo processo di sovraconsolidazione per essicamento cui furono coinvolti i suoli delle aree emerse.
Terza fase – La situazione morfologica si stabilizza per molti millenni, durante i quali i terreni emersi, e soprattutto le più recenti alluvioni, sono assoggettati ad un prolungato essiccamento con ossidazione e consolidamento dei materiali. In questo periodo si forma quell’argilla sovraconsolidata che è conosciuta con il termine:

caranto”.
Livello molto resistente su cui poggiano e si sostengono gli edifici della città di Venezia.
Questo livello di caranto rappresenta il limite di separazione tra il Pleistocene e l’Olocene, datato a 10.000 anni fa.
...

Genesi del caranto

Il caranto viene definito come argilla limosa sovra consolidata. Un livello litologico argillosolimoso e in parte anche sabbioso, dello spessore medio di 1-2 m, molto compatto di color grigio chiaro su cui spiccano delle fiammature ocracee. Spesso sono presenti e inclusi noduli calcarei: essi sono il risultato del processo di lisciviazione determinato dalle acque piovane su carbonati presenti nei materiali costituenti la parte superficiale di questi paleo suoli.
Il caranto rappresenta l’ultimo deposito di origine continentale alluvionale prima della trasgressione olocenica e segna il limite tra i sedimenti continentali pleistocenici e quelli lagunari olocenici. Dopo tale deposizione, durante il lungo periodo di emersione che seguì (durato circa 10.000 anni), il caranto subì un lungo processo di essiccamento e consolidazione. L’ingressione marina di circa 6.000 anni fa diede l’avvio al nuovo ciclo deposizionale olocenico ed è in questo momento che si forma l’ambiente lagunare in tutto l’arco nord occidentale dell’alto Adriatico.
Analizzando la figura, dove vengono evidenziati i rapporti stratigrafici, si osserva il livello del caranto, importante e fondamentale per il sostenimento della città di Venezia. Se non ci fosse questo basamento, dove sono appoggiati i pali che sostengono le edificazioni, Venezia non avrebbe nessuna possibilità di rimanere “a galla”. Esso tende ad affiorare in terraferma e si approfondisce gradualmente verso i litorali; si notino al di sopra caranto i materiali argilloso-torbosi ed i più superficiali depositi organici che testimoniano l’ambiente lagunare instauratosi durante la trasgressione olocenica e tuttora presente.
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Re: Lagouna veneta (pristoria e storia)

Messaggioda Berto » sab dic 06, 2014 7:38 am

Anca sto articoƚo el conta de na situasion endoe ƚe tere de ƚa ƚagouna na ‘olta ƚe jera emerse:

Sti pori envaxà de Roma e dei romani ƚi ga ƚa ensemensa de contar ke na ‘olta “ƚe tere emerse de ƚa lagouna” ƚe jera abità dai romani pì ke da ƚe xenti venete (coanto ensemenii ke i xe!).

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... agouna.jpg


http://www.archeosub.it/articoli/laguna/lgnrmn.htm

I ROMANI COLONIZZARONO LA LAGUNA DI VENEZIA?
E' a Roma che la futura potente città dei dogi deve le sue stesse origini?
Non mancano ipotesi coraggiose ed interessanti, ma la soluzione del quesito é ancora lontana.
Per questo è fondamentale l'attività subacquea di ricerca praticata da molti anni sui difficili fondali lagunari di Antonio Rosso - E-mail: info@archeosub.it
pubblicata su "Archeologia Viva" nel numero di Ottobre del 1982

Sino a pochi anni fa i materiali recuperati nelle acque della Laguna di Venezia venivano considerati di riporto, provenienti dalla vicina località di Altino, importante centro, in età romana, all'incrocio della via Annia con la Claudia Augusta.

Altin lè de orexe veneta e no romana
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... ZybjQ/edit
viewtopic.php?f=151&t=99

Oggi le cose sono cambiate. Si può già dire che la presenza romana nella laguna è più di una ipotesi.

Non sono ancora stati rinvenuti dei grossi insediamenti, ma i materiali ed i manufatti riferibili a tale età sono numerosi e associati in qualche caso ad opere murarie che avvalorano l'ipotesi della presenza di nuclei stabili in laguna. Una Venezia romana dunque? Il Marzemin lo ha supposto ed ha lasciato anche un voluminoso libro, "Le origini romane di Venezia", scritto nel 1937, su cui si è discusso molto.

Ancora oggi non si può dire nulla di preciso a riguardo; però molte delle ipotesi attuali sembrano avvicinarsi alle teorie esposte nel libro.
Prima di parlare di quanto è stato fatto, e cosa si è trovato, è bene subito dire che la ricerca archeologica nella Laguna di Venezia ha sempre incontrato difficoltà in quanto il particolare tipo di ambiente spesso impedisce allo studioso l'uso dei classici sistemi di rilevamento e concede poco spazio ad una metodica ricerca di tipo tradizionale, che è stata quindi necessariamente limitata alla gronda lagunare e alle isole. Inoltre l'assiduo lavoro dell'uomo nelle varie epoche per la costruzione di opere di arginatura e di bonifica, per ampliare o innalzare il suolo della stessa Venezia o delle isole, spesso ha portato alla utilizzazione di materiali prelevati da zone diverse e si è avuto un rimaneggiamento orizzontale e verticale dei livelli.
In questo contesto appare evidente l'immediata difficoltà nel riconoscere i materiali in posto da quelli trasportati e rende prudenti gli studiosi nella interpretazione dei ritrovamenti nell'area lagunare.
Numerosi sono gli studiosi interessati al problema della presenza romana in laguna e negli ultimi anni si è venuta maturando una collaborazione tra storici, archeologi, geologi e subacquei che sta sollevando il velo di mistero che ricopre questo periodo.

Ricerche presso Torcello

Le fonti letterarie non chiariscono il problema, anzi lasciano la mente di chi le legge aperta ad ogni suggestione.
Marziale in un suo epigramma paragona le ville costruite sui lidi di Altino a quelle di Baia, nel golfo di Napoli, che era la più rinomata località di riposo e di vacanza dell'epoca.
Il geografo Strabone parla di città situate nelle paludi e costruite su palafitte, comunicanti con il mare per mezzo di piccoli canali;
e Vitruvio, che ci illustra il clima di questi municipi, ne loda la salubrità, che lo stesso Strabone aveva riconosciuto ed apprezzato malgrado l'umidità del suolo e le estese paludi.
Per finire, Plinio riferisce di canali trasversali ("fossae per trasversum"), costruiti artificialmente per poter navigare attraverso vari bacini idraulicamente indipendenti, mettendo così in evidenza una particolare cura per le comunicazioni acquee.


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Vediamo ora quali località riferire a tale epoca.

L'origine romana di Chioggia, l'antica Clodia, è un fatto certo ???. Lo dimostra anche la sua topografia urbana in cui si è riconosciuto un reticolato geometrico facente parte di una centuriazione ???. Che Chioggia rappresenti una propaggine di un disegno più vasto è stato anche dimostrato dalI'elaborazione di foto eseguite da satelliti artificiali che hanno anzi permesso di riconoscere centuriazioni lungo tutta la fascia lagunare, orientate in varie direzioni.

El nome de Cioxa el par de orexene çelta pì ke romana:
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... 1QQ0E/edit
viewtopic.php?f=151&t=107

In quest'epoca fu abitata anche Torcello, forse Mazzorbo (Maior Urbis), così come probabilmente molte località oggi scomparse (Costanziaca, Ammiana) e secondo alcuni autori la stessa area su cui sorge ora Venezia ha conosciuto una presenza romana.


Ricerche a Mazzorbo

Cosa è rimasto oggi di tale periodo? I più importanti resti sono stati rinvenuti ad Altino. Altino era un grosso centro economico-commerciale e importante nodo stradale: ad essa facevano capo la via Annia proveniente da Padova e diretta ad Aquileia, la Claudia Augusta diretta a Feltre e a Trento e la via Popilia che, proveniente da Ravenna, accorciava perché più prossima alla laguna l'itinerario della via Annia alla quale si congiungeva prima di entrare in città. I tracciati di tali strade sono ben visibili nelle foto aeree ed alcuni tratti sono ancora percorribili attualmente.

In questa località, dopo i primi ritrovamenti casuali, si è iniziato quello studio sistematico ancora in corso che ha portato alla scoperta di una necropoli con ricchissimo materiale funerario, fondazioni di case, numerosi pavimenti di abitazioni, frammenti di intonaci dipinti, strade lastricate ed urbane. Tutto il materiale rinvenuto stato poi raccolto nel museo situato al centro della stessa zona archeologica.

Passiamo ora alle località propriamente lagunari.

A Torcello in occasione degli scavi effettuati nel 1962, una équipe polacca ha recuperato una notevole quantità di materiale romano risalente ai primi secoli dopo Cristo e ha dedotto che esisteva una colonizzazione sparsa, ma stabile.

Nei canali che circondano l'isola sono frequenti, del resto, ritrovamenti di sesquipedali (mattoni romani di cm. 45 per cm. 29,6), embrici (quelle tegole particolari, piane, a forma rettangolare con due bordi rialzati) ed anfore. Lo stesso museo di Torcello conserva vari reperti trovati nelle zone adiacenti: fibbie, specchi, alcune are in pietra, iscrizioni latine, figurine in terracotta e in bronzo assieme ad altri oggetti provenienti da varie località situate lungo la gronda lagunare, quali ad esempio una statuetta in marmo proveniente da Campalto, un cippo romano con rilievi messo in luce a Caposile e un idoletto ritrovato a Trepalade.

Oltre a queste località, in tutta la laguna settentrionale si ha comunque notizia di vari ritrovamenti. Nell'area delle ex saline di S. Felice, dove probabilmente sorgeva l'isola di Ammiana, è stata trovata una iscrizione, poi perduta, attribuita all'età augustea. Nelle vicinanze di Lio Maggiore, in un canale sono stati individuati da subacquei padovani resti di strutture murarie assieme ad anfore, embrici e sesquipedali. Ritrovamenti analoghi sono stati effettuati anche a Lio Piccolo nel canale dei Bari.
Anfore e palificazioni recuperate nei pressi dell' lsola di Torcello

Frequenti sono poi i recuperi casuali ad opera dei pescatori che rinvengono nelle loro reti colli di anfore, frammenti di vasellame o pezzi di embrici.

Poco numerose sono invece le notizie di ritrovamenti nel bacino centrale della laguna. Nell'isola di S. Angelo della Polvere è stato dissotterrato nel 1849 un cippo dedicato a C. Tiburnio e nei pressi di Fusina sono venute alla luce monete romane, olle cinerarie, embrici e pavimenti.

Infine davanti a Malamocco nel 1899, durante i lavori per la costruzione della strada da S.M. Elisabetta a Malamocco è stata rinvenuta una struttura muraria a cui era associato del materiale riferibile all'età romana.

Molto frequenti invece i ritrovamenti, tra cui anche manufatti idraulici, a Chioggia e dintorni (soprattutto in località Cà Manzo) e ciò è comprensibile in quanto si è già visto come essa sia legata ad origini romane anche nella struttura urbanistica.

Si deve infine ricordare che nella stessa Venezia, nello scavo per il restauro del Fondaco dei Turchi (oggi Museo di Storia Naturale) sono stati ritrovati numerosi oggetti tra cui lucerne, un vaso per unguenti in terracotta, un vasetto in vetro, una figurina in bronzo e una moneta dell'imperatore Traiano.

Sono stati inoltre attribuite a questa età le palificazioni venute in luce durante lo scavo del Rio Nuovo a tre metri di profondità e lungo il canale di S. Pietro di Castello sono stati scoperti «residui strutturali di mura, lunghe e massicce fondazioni... con resti di anfore romane» (G. Marzemin). Sono stati riferiti all'epoca romana anche i resti di strutture scoperte nel 1816 davanti all'isola di S. Giorgio e ritenute molto probabilmente appartenenti ad una salina.

Inseriti nelle murature di case e palazzi veneziani inoltre è possibile trovare altri resti di epoca romana (mejo dir epoca veneto romana).

Presso il campo S.M. Formosa, in Fondamenta dei Preti, è inserita di angolo nel palazzo ai piedi del ponte omonimo una edicola con iscrizione latina, così pure è visibile un'altra iscrizione in campo S. Vidal alla base del campanile e alla fine della calle dei Testori, parallela alla calle della Cà d'Oro; inoltre, alla Madonna dell'Orto, nel Palazzo Mastelli, detto del «Cammello» per il rilievo che raffigura un uomo che trascina un cammello, un'ara romana è stata utilizzata come colonna della finestra d'angolo. Al Museo Archeologico sono anche conservate due are scavate per essere utilizzate come vere da pozzo.

E' ben nota l'abitudine di utilizzare materiale recuperato da case distrutte e centri abbandonati; e Altino, dopo il suo declino, non si è sottratta a tale regola: infatti molte iscrizioni oggi andate in gran parte perdute sono state riconosciute come provenienti da tale zona.

Anche nelle isole si trovano analoghi esempi di riutilizzo in epoche posteriori di materiali romani (romani?).

A Murano, ad esempio, i due pilastri ottagonali sulla facciata della chiesa di S. Donato e quello posto come base dell'acquasantiera provengono da Altino, così come la vasca battesimale è ricavata da un sarcofago.

Il quadro dei ritrovamenti appare dunque molto interessante, ricco di temi affascinanti, ma anche pieno di lacune le cui risposte rimangono ancora sepolte sotto la spessa coltre di sedimenti lagunari.
Materiale recuperato presso l'isola di Torcello

I ritrovamenti sono spesso opera di subacquei ed appassionati.
Ci si riferisce in particolar modo alla notizia apparsa recentemente sulla stampa del ritrovamento e rilevamento di circa trenta argini, costruiti prevalentemente in legno e pietrame (il più lungo raggiunge i 140 metri), associati a materiale romano: alcuni erano situati vicini a resti di edifici.

Numerosi sono gli interventi operati, svolti in collaborazione tra enti pubblici e clubs subacquei locali, tra i quali un cenno merita il Sub San Marco di Venezia, non fosse altro perché lo scrivente ne è socio: è il particolare ambiente in cui si opera che ha portato a questa collaborazione, in laguna infatti i resti riferibili all'età romana si possono trovare o mediante scavi su isole o nel fondo dei canali dove le correnti mettono a nudo ciò che i sedimenti hanno coperto.

Più precisamente, lo strato romano si trova ad oltre due metri di profondità. Si spera pertanto che dalla collaborazione di tutti si ottengano risultati capaci di portare un ulteriore contributo alla conoscenza dell'evoluzione storica della Laguna di Venezia, permettendo così di comprendere meglio quegli uomini che pur accettando l'ambiente che li circondava, non sono stati disposti a subirlo e hanno saputo creare con esso un rapporto probabilmente unico.


Ruderi di ville romane sotto il fango? Una affascinante ipotesi (??? caxo mai le saria vile veneto-romane)

Dicembre 1972. A bordo di una imbarcazione si risale un canale a nord di Torcello. La giornata è limpida e fredda. Siamo al margine della laguna, dove l'acqua salata si mescola a quella dolce e dove cresce rigoglioso il canneto.
Nostra meta una zona arginata, utilizzata per l'allevamento del pesce: durante gli scavi delle vasche nel terreno paludoso, sono venuti alla luce grossi blocchi di legno, alcuni a sezione circolare, altri squadrati, simili a colonne, di notevoli dimensioni associati a numerosi cocci e frammenti di mattoni.

Ci accompagna l'ispettore della Soprintendenza, il sig. Canal, a cui si deve la scoperta. Ormeggiamo e ci prepariamo ad immergerci per ispezionare il fondo delle vasche che potrebbe riservare ancora altre sorprese.
L'acqua ha una temperatura di 6 gradi, ma la curiosità ci spinge.
Per ragioni di spazio abbiamo portato con noi i respiratori ad ossigeno, più leggeri di quelli ad aria.
La visibilità è sufficiente. Ognuno ha il suo settore, ognuno sa cosa fare. Sul fondo si trovano resti di pali ancora saldamente piantati, frammenti di mattoni, tegole, embrici, cocci: materiale appartenente prevalentemente al I secolo d.C. Viene recuperato anche un frammento di mosaico.
I rilevamenti precedentemente compiuti dalla superficie mediante aste metalliche concordano con livelli e direzioni trovate in acqua:

Gli allineamenti dei pali a circa 2,5 metri di profondità si perdono sotto il terreno paludoso; vengono localizzati anche altri blocchi di legno a distanze regolari. Dal rilevamento eseguito la zona appare come un rettangolo con un lato delimitato da colonne a sezione rettangolare, suddiviso da strutture che al suono del sondino che le colpisce sembrano essere in cotto e in pietra viva. Sembra la pianta di una grande e complessa costruzione. Tornano in mente i versi del poeta Marziale: «...o lidi di Altino, emuli delle ville di Baia o selva memore del rogo di Fetonte. . . ».

Una Fantasia? I Frammenti di mosaico lasciano aperta ogni ipotesi. Sono passati dieci anni da allora: il quesito non è stato sciolto, nonostante le ricerche siano continuate; uno scavo del resto sarebbe estremamente costoso. Ci piace però pensare che quei resti possano essere appartenuti proprio ad una delle ville ricordate dal poeta.

Il mistero di quei monoxili in legno

Da alcuni anni si ha notizia del rinvenimento in laguna di interessanti manufatti in legno di varie dimensioni, alcuni dei quali sorretti da pali messi in croce. Sostanzialmente sono tronchi di legno scavati internamente, con un lato troncato e l'altro affusolato.

Il più grande dei manufatti di questo genere è stato trovato in un canale a tre metri di profondità, presso l'isola di S. Cristina, nel Bacino settentrionale della Laguna di Venezia e attualmente si trova custodito presso il Museo Storico Navale di Venezia, in una apposita vasca riempita con acqua per impedire che si deteriori: è lungo m 3,10 con una larghezza massima di cm 75 ed una profondità interna finale di cm 30. A 70 centimetri dal lato troncato perpendicolarmente all'asse longitudinale presenta sul fondo un foro quadrangolare, passante, di mm 125 di lato, in cui vi era (infilata per il codolo e disposta trasversalmente) una paratia, leggermente asimmetrica, sagomata in modo da seguire il contorno della sezione interna del manufatto.

Il manufatto monossile dopo il recupero
Esternamente il legno aveva ancora tracce della corteccia.
Si ritiene che questi tronchi appartengano all'epoca romana 8veneto-romana)(, in quanto sono stati rinvenuti associati a materiale romano, recuperato spesso in notevole quantità.
Il monoxile di S. Cristina, inoltre, è stato sottoposto da ricercatori del C.N.R. a datazione con il metodo del radiocarbonio, ottenendo una età di 1900 + 200 anni,analoga alla ceramica recuperata.
Elemento (valvola ?) datato col C14 all'epoca romana
Non si sa invece a cosa potesse servire. Come ipotesi di lavoro si può parlare di un uso idraulico, forse legato alla agricoltura o a qualche mulino o salina; un dato che comunque sembra essere sempre costante nel rinvenimento di tali manufatti è la loro disposizione obliqua rispetto al canale in cui vengono trovati.

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... agouna.jpg




Tuti sti catamenti o trovamenti ƚi prova ke na ‘olta ƚe tere de ƚa lagouna ƚe jera al suto, emerse e no coverte da l’acoa del mar.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Lagouna veneta (pristoria e storia)

Messaggioda Berto » sab dic 06, 2014 8:33 am

???

LA LAGUNA DI VENEZIA PRIMA DEI ROMANI (cosa col dir? se dovaria dir vantio del periodo veneto-toman e no dei romani)

http://www.archeosub.it/articoli/laguna/lgnprst.htm

Grazie alla costanza e all'abnegazione degli studiosi e dei ricercatori stanno cadendo molti degli interrogativi.

Sappiamo ormai come la laguna si é formata e modificata nel tempo, mentre le indagini si rivolgono ai suoi più antichi abitatori e alle condizioni della loro esistenza di Antonio Rosso - E-mail: info@archeosub.it

pubblicata su "Archeologia Viva" nel numero di Marzo del 1984

Come si è formata la Laguna di Venezia? Come si è modificata nel tempo? Chi erano i suoi primi abitanti? Dove e come vivevano?

Queste domande costituiscono un punto nodale per gli studiosi di storia e problemi veneziani ed è da almeno duecento anni che si scrive intorno ad esse. Oggi finalmente abbiamo le risposte ai primi due quesiti. Per il resto i reperti finora recuperati sono molto pochi, anche se, in alcuni casi, consentono di porre interessanti ipotesi di lavoro.

E ormai certo che l'origine della Laguna di Venezia sia in relazione all'ingressione marina olocenica la cui massima espansione è avvenuta circa 6000 anni fa. ???

Essa ha interessato gran parte dell'attuale laguna spingendosi, nel bacino meridionale, fino a circa sette chilometri più all'indietro dell'odierno litorale e superando, in quello settentrionale, l'attuale posizione dell'abitato di Treporti.

Precedentemente, durante il periodo glaciale, tutta l'area era emersa, cosicché nulla escluderebbe la possibile esistenza di insediamenti paleolitici.
Fino ad oggi tuttavia non è stato rinvenuto alcun manufatto riferibile a tali età. Del resto la zona è stata oggetto di numerosi cambiamenti morfologici per le successive oscillazioni del livello del mare e per gli apporti sedimentari dei fiumi che vi sfociavano.
E difficile pertanto sperare nel ritrovamento di testimonianze così antiche.


Evoluzione del livello marino secondo alcuni autori ???

Dalle campagne di ricerca, condotte con l'impiego di carotatori, i ricercatori del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Venezia hanno potuto dedurre che, nel bacino sud, successivamente all'ingressione marina il litorale si è nuovamente spostato verso il mare di circa 1 km dove è rimasto, sia pure con alterne vicende, relativamente stabilite fino al primo millennio avanti Cristo.??? E in questa fase che nelle aree interne al cordone litoraneo un innalzamento del livello marino, unito al lento abbassamento del suolo, non compensato da un sufficiente apporto di sedimenti, ha favorito lo sviluppo delle prime lagune.

I carotaggi hanno messo in evidenza, infatti, una graduale trasformazione dell'ambiente da fluvio palustre a lagunare, processo questo che, nel tempo, tenderà ad ingrandire gli specchi acquei verso la terraferma fino all'800 a.C. ???

Cfr. co sto grafego del CNR kel conta robe dal tuto difarenti:
Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... eatego.jpg


Variazioni della linea di costa

L'esistenza di insediamenti umani nella laguna, in questi periodi, è controversa in quanto è ipotizzabile solo dal ritrovamento di pochi oggetti.
Infatti, a parte qualche manufatto in selce recuperato casualmente lungo gli argini o le rive delle isole e un corno di cervo lavorato rinvenuto negli scavi per la costruzione del ponte degli Scalzi, i soli oggetti ritenuti preistorici sono venuti alla luce a Venezia durante i lavori per il restauro del Fondaco dei Turchi, ora sede del Museo di Storia Naturale, e sotto l'attuale palazzo Papadopoli, dove sono stati trovati con altri materiali anche strumenti in corno di cervo, punte di freccia, accette in diorite e in selce.
Isola Petta di Bo: un residuo di un antico cordone di dune della linea di costa di 5000 anni fa

Eppure, poiché sembra che l'ambiente fosse ricco di acque dolci e di vegetazione, si può supporre che l'area avesse tutte le caratteristiche necessarie per attirare insediamenti umani. In particolare dovevano essere facili la caccia e la pesca. Eventuali resti, tuttavia, si dovrebbero localizzare a oltre quattro metri di profondità e pertanto non sono facilmente reperibili. A conferma di ciò si ha la recente scoperta di una punta di freccia peduncolata, delle dimensioni di mm 30 x 19, in selce, con lavorazione bifacciale, datata al II millennio a.C., recuperata nel terreno argilloso del canal Tresso, presso l'isola del Lazzaretto Nuovo a 4,5 metri di profondità ed esposta alla mostra «Venezia e la Peste» tenutasi al Palazzo Ducale nel 1979.
Punta di selce peduncolata rinvenuta nel fondale del Canal Tresso (Lazzaretto nuovo)

Questo è tutto ciò che si conosce, anche se, a voler essere esatti, ogni tanto si hanno notizie di nuovi ritrovamenti: ma si tratta per lo più di rinvenimenti limitati e casuali. Addirittura, in alcuni casi, certi manufatti in selce, ritenuti preistorici, si sono successivamente rivelati acciarini in uso fino al XVIII secolo; e frammenti di corna di cervo si sono poi dimostrati essere resti di lavorazione di età altomedievale.

Anche una piroga, rinvenuta nel 1893 presso Lova e oggi conservata nel Museo di Storia Naturale di Venezia, ha dato da discutere: scavata da un grosso tronco di quercia, era situata a 2,45 m di profondità e proprio tale giacitura, unitamente alI'impiego di utensili metallici per il suo scavo, ha indotto a ritenerla non più antica dell'età dei metalli, se non addirittura risalente ad epoche storiche. (Nel 1999 stata datata con il C14 e la dendrocronologia: età medievale)

Imbarcazione monossile rinvenuta nei pressi di Lova

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... i-Lova.jpg

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... l-Lova.jpg



Ben diverso invece si presenta il quadro dei ritrovamenti appena fuori della conterminazione lagunare.

In terraferma, infatti, sono state rinvenute numerose selci lavorate, spesso di tipo microlitico; e, a volte, si sono potuti persino individuare alcuni insediamenti. Ricerche sistematiche sono iniziate da pochi anni ed è ancora troppo presto per avere un quadro completo della situazione.

L'area interessata è molto ampia avendosi segnalazioni a Meolo, Altino, Dese, Mestre.

In questo settore, un punto di riferimento sono diventati i ricercatori dell'Università di Ferrara, affiancati anche da appassionati e da gruppi spontanei che hanno dato un contributo significativo alle ricerche. E'a loro che si deve, ad esempio, il ritrovamento di strumenti microlitici appartenenti a industrie mesolitiche, che sono stati attribuiti al Sauveterriano (8000-6000 a.C.), per l'insediamento di Altino, e al Castelnoviano (6000-4500 a.C.), per gli insediamenti di Meolo; così come le più recenti segnalazioni di Dese e Mestre.

La gronda lagunare, pertanto, è stata abitata almeno dal VI millennio avanti Cristo.

Divenuto nell'800-900 a.C. il clima più freddo e avutosi un forte aumento delle precipitazioni (??? de solito se el contraro: col caldo se desfa de pì i jasi, aomenta l'acoa evaporà e prasiò le piove), nella laguna meridionale la linea di costa ha ripreso ad avanzare fino ad arrestarsi lungo una linea corrispondente a quella attuale; nella laguna nord, invece, è rimasta più o meno sulle medesime posizioni: spostata di circa quattro chilometri più all'interno rispetto a quello che è oggi il litorale. Tale mutamento è avvenuto rapidamente e nel 500 a.C. Ia nuova situazione sembra già stabilizzata.

All'interno della nuova linea di costa, i bacini precedentemente lagunari, per le intense precipitazioni piovose che avevano arricchito i fiumi di sedimenti non disgiunte da nuove variazioni eustatiche, vanno riempiendosi: come conseguenza si sposta verso il mare anche il confine tra ambiente di acque dolci e salate.

E a questa fase climatica, caratterizzata da dissesti idrologici ed interessante aree ben più vaste che le sole lagune, sono state ad esempio riferite le varie opere compiute dagli Etruschi per difendere città e colonie dall'interramento.

Anche Altino, almeno un parte, deve essere rimasta coinvolta in questa vicenda in quanto si è potuto appurare con certezza che era abitata almeno dal VII sec. a.C. Di un altro insediamento, ritenuto protostorico, individuato in vicinanza di Jesolo mediante foto aeree ed avente «una struttura urbanistica ed un sistema di canalizzazioni artificiali simili a quanto rilevato per la città etrusca di Spina» si conosce ancora troppo poco.

E se Scymno di Chio (geografo del II sec. d.C.) riporta la presenza di numerose città venete in un'area che definisce «insenatura», è ancora discussa la possibilità che si riferisse proprio alla Laguna di Venezia.
Gli studiosi ritengono, pertanto, che in questa età (VIII-III sec. a.C.) non ci fossero grossi insediamenti nell'area lagunare o importanti centri portuali; la stessa Altino doveva infatti essere ancora in via di espansione.

E' certo, tuttavia, che queste lagune fossero sede di traffici e commerci terrestri e acquei e che pertanto esistessero luoghi di scambio, mercati, «porti», sia pure non nel senso a cui siamo oggi abituati: lo confermano i numerosi ritrovamenti di oggetti etruschi e greci, tra cui frammenti di ceramica attica a fondo nero e a fondo rosso.

Inoltre, secondo alcuni autori, attraverso le lagune, prima, e il Brenta, poi, si sarebbe sviluppato anche un tratto di quella «Via dell'Ambra» che giunta alle foci del Timavo proseguiva poi per Padova e quindi nell'entroterra padano.

A che punto siamo e come può la ricerca anche subacquea dare un contributo chiarificatore a queste età preromane?

Gli studi sono ormai avviati per quanto riguarda l'area circumlagunare, grazie agli scavi effettuati ad Altino e nelle zone citate, mentre sono appena agli inizi sui pochi frammenti ritrovati in laguna.

Nulla a priori esclude che qualche zona possa essere stata abitata, ma non è emersa ancora alcuna prova certa, anche se in un insediamento composto prevalentemente di materiale di epoca romana, localizzato in immersione nei pressi di Burano (Laguna nord), sono state ritrovate fondazioni lignee che con il metodo radiometrico C 14 sono state attribuite al IV sec. a.C. e un frammento lungo poco più di un metro in legno con numerose cavicchie simmetricamente disposte a «V» (sempre della stessa località) è stato riferito al 500 a.C.

E proprio questa carenza di notizie che fa divenire importanti anche i ritrovamenti isolati: anzi, se opportunamente raccolti ed esaminati, potrebbero divenire la chiave decisiva per illuminare il buio che circonda queste età.


Uno scavo ottocentesco in Laguna

Riportiamo in stralcio la descrizione degli scavi effettuati nel 1874-75 per la ricostruzione del Fondaco dei Turchi e del Palazzo Papadopoli, a Venezia, quando fu riportata alla luce un'importante documentazione preistorica:

. . .«ln ambedue questi scavi si rinvennero parecchi oggetti di alta antichità i quali farebbero ritenere le isole che compongono Venezia popolate in epoche più remote di quello che di ordinario si crede.
...«intrapresi i lavori di scavo fino alla profondità di m l,50 dalla ordinaria marea, si riscontrarono avanzi di industrie non più antiche del secolo decimoquarto.
...«Alla profondità di m 2,50 dalla c.m. incominciarono ad apparire avanzi industriali di epoche ben più antiche... secoli decimo ed undecimo
...«Alla profondità di m 3 e 3,50 dalla c.m. si riscontrarono avanzi delle industrie anteriori al sec. X.
...«Proseguendo gli scavi alla ,~profondità di m 4,00 dalla c.m. si incontrarono avanzi di industrie dell 'epoca romana.
...«Sotto a questo strato di fango misto a sostanze animali si scoprì a m 4,50 dalla c.m. uno strato torboso dello spessore di cm 15 che si estendeva per uno spazio di mq 20 circa. Si componeva esso di sostanze vegetali, di conchiglie, ed avanzi di pesci. Fra la torba rinvenni parecchi strumenti in corno di cervo, cioè un ramo tagliato a foggia di piccone, altro preparato ad inserirvi uno strumento di pietra e qualche frammento di corno ad uso di lisciatoio.
«Quivi stavano pure due punte di freccia, una ad alette in diorite nero-verdastra scheggiata, l'altra in selce rossastra ad alette di forma allungata e mancante di punta. Le pietre colle quali sono lavorate si trovano fra le ghiaie dei fiumi del padovano. «Presso a questi due oggetti stava una scodella in terracotta lavorata al tornio con ansa rialzata, un vasellino modellato a mano che dimostra l 'arte del figulo assai modesta ed una fusajuola semplicissima in terracotta.
«I bronzi raccolti nella torba sono due armille una delle quali in filo semplicissimo, l'altra vuota all'interno e striata.

«Si rinvennero pure in questo strato due pezzi di selce nera, uno dei quali tagliato a forma quadra, l'altro scheggiato forse, per prepararlo al lavoro. «Alla medesima profondità in un terreno analogo al precedente si scoprirono oggetti consimili nel preparare le fondazioni del Palazzo Tiepolo ora Papadopoli a S. Apollinare. Ivi, battendo le palificate alla profondità di m 4 circa dalla c.m. il terreno vennero alla luce gran quantità di corna cervine che raccolte dagli operai furono vendute a peso. Avuta notizia del fatto, mi recai sul luogo e giunsi a raccogliere dieci pezzi di corno cervino lavorati ad uso di lisciatoi simili a quello trovatosi nello scavo del Fondaco. E quivi pure scopersi un'ascia a mandorla in diorite nera levigatissima, altra piccola ascia della medesima pietra e levigata, altra in bronzo o celt, ed un ornamento dello stesso metallo di uso incerto. . . ».

C.M. Urbani De Gheltof - 1881

Bibliografia:

AA.VV., Le Origini di Venezia (Problemi, esperienze, proposte), Marsilio Editori, Venezia 1981.
Favero - Serandrei Barbero, Evoluzione paleoambientale della Laguna di Venezia nell'area archeologica tra Burano e Canale S.Felice, Lavori Soc. Ven. Sc. Nat., Vol. 6 - Venezia 1981.
Favero - Serandrei Barbero, La sedimentazione olocenica nella piana costiera tra Brenta ed Adige, Mem. Soc. Geol. It., Vol. 19, pp. 337-343, 1978.
Favero - Serandrei Barbero, Origine ed evoluzione della Laguna di Venezia. Bacino Meridionale, Lavori Soc. Ven. Sc. Nat., Vol. 5, pp. 49-71, Venezia 1980.
Alberotanza - Serandrei Barbero - Favero, I sedimenti olocenici della Laguna di Venezia (Bacino settentrionale), «Boll. Soc.Geol. It.», Vol. 96 pp. 243-269 1977.
AA.VV., Venezia e i problemi dell'ambiente, Ed. Il Mulino, Bologna 1975.
N. Negroni Catacchio, L'ambra nella protostoria italiana in L Ambra, oro del Nord, Catalogo della mostra omonima, Venezia 1978.
Cucchetti - Padovan - Seno, La storia documentata del litorale nord, Ed. Armena, Venezia 1976.
Urbani De Gheltof, Venezia preistorica, «Boll. Arti Industrie e curiosità veneziane», Anno 111, pp. 132-144, Venezia 1881.
AA.VV.,Atti convegno Conservazione e Difesa della Laguna e della città di Venezia, Ist. Veneto Scienze Lettere ed Arti, Vene zia 1960.
Gallegari A., museo di Torcello, Catalogo a cura dell'Amministrazione Provinciale di Venezia, Stamperia Zanetti, Venezia 1930.
Fogolari G., Padova preromana, «Archeologia veneta», vol. 1, pp. 2943, 1978.
Bosio L., I problemi portuali della frangia lagunare veneta nell'antichità, Venetia, Vol.1, Padova.
Fairbridge, World Sea Level and Climatic Change Quaternaria, Vol. Vl, 1962.
Scarfi B.M., Documentazione archeologica preromana e romana, Catalogo Mostra Storica Laguna Veneta, pp. 59-62, Venezia 1970.
Favero V., Aspetti dell'evoluzione recente dell'alto Adriatico, Atti convegno scient. naz.Oceanografia e fondi marini, pp. 1219-1231, Roma 1979.
Broglio A., Culture e ambienti della ne de Paleolitico e del Mesolitico nell'Italia nordorientale. Preistoria Alpina, Vol. XVI, pp. 7-29, 1980.
Marsale S., Nota preliminare sui ritrovamenti epipaleolitici della fascia perilagunare (Venezia), Lavori Soc. Ven. Sc. Nat., Vol. 8, pp. 103-110, Venezia.
Dorigo W., Venezia Origini, Ed. Electa, 3 vol., Venezia 1983.
Favero V., Evoluzione della Laguna di Venezia ed effetti indotti da interventi antropici sulla rete fluviale circumlagunare, Atti convegno di studi «Laguna, fiumi lidi cinque secoli di gestione delle acque nelle Venezie» 10-12 giugno, Venezia 1983.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Lagouna veneta (pristoria e storia)

Messaggioda Berto » sab dic 06, 2014 8:52 am

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... eatego.jpg


A tre metri soto el liveƚo de l’acoa, xe stà catà:
http://www.archeosub.it/articoli/laguna/ammiana.htm

In laguna nord alla ricerca delle "radici"
Storia e leggenda sulle origini della civiltà veneziana a confronto con le scoperte degli archeologi
di Augusto Pulliero

pubblicato su "Il Gazzettino" di Venezia - 29 luglio 2002

In laguna nord, poco più avanti del sacro recinto di Sant' Ariano, pietoso grumo di verde che copre le reliquie di tante genti del passato, il solitario barcaiolo che sia penetrato nella vasta palude lagunare ove un tempo erano Ammiana, Ammianella, Costanziaco, Castrazio - ieri terre fervide di vita oggi acque deserte e barene fiorite di limonium - può anche pervenire nei pressi d'un dosso che niente di più può apparire se non uno spruzzo di fango, alghe, e salicornia, protetto da una scottante cintura pietrosa.

E' nominato San Lorenzo di Ammiana.

Ed stato sede di uno dei ritrovamenti più interessanti effettuati in laguna in questi ultimi anni, in grado di aiutare a spiegarne quei mutevoli trascorsi che pur hanno dato i natali alla tanto orgogliosa marmorea presenza quale si specchia ad onor degli Avi - ed interesse dei contemporanei - sul Canal Grande.

A tre metri circa sotto il livello attuale delle acque è stata qui, nel profondo, scoperta la pavimentazione d'una villa romana (mejo dir vila veneto-romana): un mosaicato.

Se ne è detto anche qualche tempo fa.

E s'è osservato come il luogo degli scavi fosse stato abbandonato troppo disinvoltamente all'azione distruttiva del tempo.

Acqua e cespugli hanno occupato ogni cosa e vanno sottraendo le prove delle certezze scientifiche raggiunte: la cadenza dell'aumento dei livelli delle acque, il patire della gente nel costruire e ricostruire il proprio castello di sogni uno sopra l'altro.

Non resta che rinnovare il lamento.

Se davvero sono i ritrovamenti archeologici i soli ad aiutare a distinguere la realtà della nascita della città di San Marco dalla fantasia di chi ha tratto dai libri disparate, estrose ricostruzioni delle vicende storiche e geologiche - si deve ben dire che quello scoglio dovrebbe essere meglio salvaguardato alla curiosità scientifica dei posteri.

In laguna nord sono state trovate oltre duecento strutture di epoca romana: sono per lo più disposte a partire da Lio Piccolo, nella palude della Centrega e quelle del Vigno, in direzione delle foci del Dese o fors'anche di quelle di un antico Piave di cui, poco più a nord, lungo i canali Cenesa e Lanzoni, è stato recentemente identificato un vecchio alveo.

E' da ricordare, peraltro, che per molti storici, prima del Mille, Sile e Piave sarebbero stati un unico fiume.

In qualche parte di questa vasta area sono state rinvenute anche testimonianze di insediamenti preromani (???), ovvero paleoveneti.

Etiam periere ruinae, anche le rovine perirono, è frase che storici riportano con riferimento a luoghi più illustri dell'antica laguna, e ricordati soltanto per essere stati citati nella grande letteratura.

Anche la laguna ha divorato il passato, le sue antiche rovine.
Quanto è stato del tutto travolto nessuno lo potrà mai più conoscere ???

Quelle duecento strutture sommerse, pur se non indagate con lo stesso metodo della domus romana (o veneto-romana) di San Lorenzo e non ancora riconosciute dalla intera comunità scientifica, sono comunque bastevoli a lasciar immaginare, nei luoghi di cui si è detto, l'espandersi al tempo di Roma - fra il primo ed il secondo secolo prima di Cristo ed il primo e secondo dopo Cristo, quando il livello delle acque era alquanto più basso di oggi fors'anche due metri - se non di una città, quanto meno di una vigorosa e folta comunità legata ai traffici fra il mar Egeo, Spina, Altino, il nord.

C'è stato chi ha speso l'intera sua vita nel tentativo di dimostrare che anche Venezia è nata romana (ke mamcaki, ke envaxà!).

Che era abitata e costruita prima delle leggendarie emigrazioni, verso la laguna, di genti venete incalzate dalle furie de vandali, dei goti, degli unni, dei gepidi, degli svevi ???

Citiamo Giuseppe Marzemin e Wladimiro Dorigo.

E c'è stato chi, di converso, ha voluto, e anche potuto, dimostrare che le testimonianze del tempo dell'impero di Roma, rinvenute in città, erano state qui trasportate in tempi più tardi, del più splendido dogado: Roberto Cessi e Theodoro Mommsen.

Non sembra che in occasione di scavi operati anche di recente in città, in occasione della ricostruzione di edifici e di sottoservizi, sia mai venuta alla luce alcuna struttura la cui costruzione sia attribuibile al tempo di Roma.

Quello che è stato rinvenuto apparirebbe databile al medioevo, alto e basso.

Ciò fornisce occasione ad una nuova interpretazione delle origini della grande Venezia in cerca di una ambita conferma.

E' suggerita da Ernesto Canal lo scopritore della domus romana (veneto-romana) di cui si è detto più sopra, delle duecento strutture romane e delle migliaia e migliaia di cocci che sono frammenti di vita dell'abitare, del gioire e del patire, nei secoli, dell'intera umanità lagunare.

E, dunque, sarebbe stata la laguna nord la prima ad essere abitata, ben avanti che i barbari venissero a spingere le genti che vivevano in Oderzo, Altino e Padova a rifugiarsi fra velme e dossi.

Rivoalto, invece, al tempo di Roma sarebbe stata niente di più che barena. Al massimo coltivata a vigneto.

Nel codice del Piovego - raccolta di antichissimi atti giudiziari - si legge che il 28 settembre 1296, al tempo di Pietro Gradonico incito doge dei veneziani, di Dalmazia e Croazia, avanti al giudici ed ufficiali delegati alla giustizia lagunare Giovanni Vigioni, Giovanni de Priolis e Marino lusto - venne sancita la vendita a un certo Andrea Vituri da parte della chiesa di Murano di alcuni terreni, ovvero d'una tumba, chiamata Salaria, sita nei pressi di Sant'Erasmo. Nei prezzo d'affitto era anche fatto obbligo all'acquirente di consegnare ai religiosi cedenti una parte del vino raccolto.

E per la difesa di detta tumba la chiesa di Murano vendeva al Vituri anche una vicina barena perché la potesse utilizzare per rialzare il podere a fronte del continuo incalzare della marea, dell'inarrestabile salire del livello delle acque.

Sono abbastanza concordi gli studiosi sui tempi del mutare del livello del mare e quindi in laguna.
Negli anni della nascita di Cristo sarebbe stato due metri inferiore all'attuale.
L'acqua sarebbe quindi salita costantemente per seicento anni per scendere, poi, per altri duecento, risalire di un metro sino al XII secolo e ridiscendere per altrettanto nel 1500.
In questo altalenare ci sono stati momenti definiti dagli studiosi di cesura della vita in laguna.
Nel Settecento d.C. uno di questi.
Solo oltre il Settecento dunque sarebbe individuabile il primo tempo della nuova Venezia, fino allora zona di saline e di vigneti, costantemente sollevato, il terreno, a spese delle vicine barene cosi come nella tumba Salaria.
Dopo il Settecento l'inizio della grande avventura: dei viguaioli e dei salinari in cammino verso l'Oriente, verso Bisanzio, la via delle spezie, e dell' oro.

Giusto? Non giusto? Quasi giusto? Intanto, si ponga maggiore attenzione alla domus romana (saria mejo dir veneto-romana) di San Lorenzo.

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Lagouna veneta (pristoria e storia)

Messaggioda Berto » sab dic 06, 2014 4:06 pm

Fose e canaƚi par ƚa naugar o navegar ente l’entrotera paluego o paƚustre de acoa dolçe (e/o lagounar salmastro ?) veneto.

Storia di Pontelagoscuro
http://www.andreacavallari.it/Ponte/Ponte4.htm

La storia del fiume Po

Parlare della storia di Pontelagoscuro senza conoscere la storia del Po è impossibile. Infatti non solo il paese è sempre stato strettamente connesso con il grande il fiume, da cui ha ricavato ricchezza e prosperità, ma la stessa terra su cui è sorto il paese e tutta l'immensa pianura che lo circonda è stata forgiata dalla millenaria azione del fiume.

Dieci milioni di anni orsono il Po era un modesto torrente che non si distingueva affatto da migliaia di altri torrenti e come tutti costoro si gettava nel grande golfo marino che occupava allora quella che adesso è la Pianura Padana.

Il fondo di questo grande golfo era molto corrugato essendo soggetto alle stesse forze che avevano fatto innalzare le Alpi e gli Appennini. Verso la zona dove ora c'è il bolognese vi era una profonda fossa ma poi il fondale marino si innalzava in quella che dai geologi è detta la Dorsale ferrarese fino ad emergere in alcune isole.
Le altre isole di questo vasto golfo erano quelli che ora sono i monti Berici, i Lessini ed i Colli Euganei. Successivamente la zona della Dorsale ferrarese sprofondò e tutto il territorio del ferrarese tornò sott'acqua.

Il Po e migliaia di altri torrenti come lui trasportavano con sé tonnellate di materiali erosi dalle montagne e li portavano fino al grande golfo dove si gettavano. Qui i materiali più pesanti si fermavano mentre quelli più leggeri si disperdevano nel mare posandosi poi sul fondo.
Questo processo durò milioni di anni e pian piano portò a riempire di sedimenti il grande golfo [1].
La nascita del Po

Un milione di anni fa iniziò una fase di importanti glaciazioni ed il livello del mare si abbassò molto cosicché il fondo del grande golfo marino uscì dalle acque.
Un torrente che scendeva dal Monviso fu reso sempre più ricco d'acque da numerosi affluenti ed ebbe la ventura di diventare il corso d'acqua principale di questa nuova pianura.

Un corso d'acqua, quando non è regimentato ed incanalato dall'uomo, passa sempre per la via più ripida. I nuovi fiumi però portavano enormi quantità di detriti e sedimenti che si depositavano quando la corrente rallentava.
Per questo motivo le depressioni si riempivano e l'azione del Po e dei suoi affluenti era quella di rendere sempre più livellata la pianura.

Un fiume che scorra libero in una pianura tende a spargersi su di un'area enorme ma così facendo la sua corrente varia molto: è forte al centro del fiume e debole ai lati. Pertanto i sedimenti più fini si depositano solo lateralmente e formano degli argini naturali.
Il fiume, così ingabbiato, deposita i sedimenti solo all'interno del suo alveo innalzandolo fino a che diventa più alto della campagna circostante ed appena riesce a rompere i suoi deboli argini naturali, si sparge per la campagna creandosi un nuovo corso.

Il corso del fiume, dato che segue la linea di massima pendenza, non è mai lineare ma presenta molte curve. La corrente del fiume è forte nella parte esterna della curva e debole in quella interna.
L'effetto che ne risulta è che la parte esterna della curva viene erosa mentre, in quella interna, vengono depositati dei sedimenti per cui la curva diventa sempre più chiusa su stessa. Una curva di questo tipo è detta meandro dal nome di un fiume, in Asia Minore, particolarmente tortuoso.

Col tempo quindi il corso del fiume tende a diventare estremamente tortuoso. Accade però che i meandri si incurvino sempre di più finché il fiume rompe l'ormai sottile istmo di terra che divide il suo corso da prima a dopo il meandro e taglia via il meandro che diventa un lago di acque morte.

Un lago può formarsi anche quando un fiume invade un'area più bassa oppure ne impedisce lo scolo delle acque meteoriche. Laghi di questo tipo hanno acque poveri di nutrienti ma con l'andare del tempo evolvono in un lago ricco di nutrienti che tende poi ad interrirsi fino a scomparire [2].

E' più facile che ciò avvenga nelle zone al centro dei sinclinali (che sono gli antichi corrugamenti delle rocce che si trovano sotto la Pianura Padana), essendo tali zone soggette ad una maggiore subsidenza. Detto con un linguaggio meno tecnico ciò significa che, in quelle zone, prima di arrivare alla roccia, si trova uno strato di sedimenti più profondo che altrove e dato che i sedimenti col tempo si compattano, queste zone si abbassano più rapidamente di quelle circostanti.
Considerato che Pontelagoscuro si trova al centro del sinclinale Ficarolo - Copparo, è probabile che questa sia stata l'origine anche del nostro Lago scuro [3].

Nel corso dei millenni quindi il corso del Po è cambiato continuamente. I geologi però sono in grado di leggere nel terreno la storia di questi cambiamenti e di individuare i paleoalvi, (detti anche alvei fossili) di un fiume cioè i resti di quello che anticamente era il suo letto.
Inoltre lo studio dei cordoni litoranei permette di riconoscere l'antica linea della costa e di individuare i rami principali del fiume osservando l'evoluzione delle foci.
Purtroppo però è molto difficile datare con esattezza gli alvei ed i cordoni litoranei e dire quindi come era il corso del Po in una certa epoca.
Il Po fino all'epoca romana

Si pensa che il Po, durante l'epoca glaciale, scorresse più a sud, rispetto al suo corso attuale, ed attraversasse la Romagna girando poi verso sud una volta arrivato circa al centro di quello che ora è il mare Adriatico settentrionale e sfociando in mare, all'altezza di Ancona.
Però prospezioni marine, abbastanza recenti, hanno permesso di individuare i cordoni litoranei risalenti all'epoca glaciale quando il livello del mare era più basso dell'attuale individuandone una serie al largo di Ravenna [4].
Poi, sciogliendosi i ghiacci, il mare rioccupò tutte le terre dell'Adriatico settentrionale.

??? Nella preistoria la linea della costa era molto più arretrata rispetto ad oggi ed il Po si divideva in due rami circa all'altezza della attuale Guastalla. ???
A Nord scorreva il Po di Adria (e la città che sorse alla sua foce diede poi il nome al Mare Adriatico) che sfociava vicino a Chioggia mentre il ramo più a sud raggiungeva il mare presso la città di Spina (quindi poco sotto l'attuale foce).

Adria fu fondata dei veneti e poi occupata dai greci (VI secolo a.C.) e dagli etruschi. In epoca romana era ancora un porto importante ma che si stava già interrando per l'avanzare della linea delle costa.
Spina era una città etrusca del VI secolo a.C. (secondo Dionigi di Alicarnasso era però stata fondata dai Pelasgi di Grecia [5]) ed era il porto di scambio fra la civiltà greca e l'entroterra d'Europa, infatti qui terminava la via dell'ambra che giungeva fin dalle lontane spiagge del Baltico.

Il Po di Adria però stava già perdendo d'importanza perché la Rotta di Sermide (VIII secolo a.C.) modificò il corso del Po che ora arrivava fino all'attuale Ficarolo e poi piegava verso sud. Il Po di Adria riceveva meno acqua e si interrò nel volgere di alcuni secoli.
Intanto il Po di Spina si suddivise in due rami: l'Olana (ora Po di Volano) e il Padoa (da cui deriva il nome Po), noto anche come Eridano.

Secondo Plinio gli Etruschi furono i primi a tentare di regolamentare il fiume costruendo argini e scavando le prime Fosse cioè dei canali che univano bracci del fiume per favorire la navigazione e distribuire le acque durante le piene.
In particolare gli Etruschi avrebbero costruito la Fossa Filistina.


Con l'arrivo dei Galli ogni lavoro idraulico cessò e le paludi presero il sopravvento. ???
Strabone (63 a.C. - 19 d.C.) racconta che la città di Spina esisteva ancora ai suoi tempi ma che era ridotta ad un paesino per essere stata invasa e distrutta dai Galli.

Alla foci dell'Eridano si accumularono sedimenti per molti secoli formando un ampio delta nella zona ora fra Comacchio e Ravenna.
La linea della costa era però più arretrata rispetto all'attuale e rimangono gli antichi dossi, ora all'interno delle Valli di Comacchio (Argine Agosta).
L'Olana invece sfociava più a nord ed aveva anche una ulteriore diramazione da cui nasceva il tratto detto Gaurus (da cui derivano i nomi Goro e Codigoro) che sfociava nei pressi dell'attuale Mesola; di questa foce rimangono le dune fossili di Massenzatica.


Il Po in epoca romana

Con l'arrivo dei Romani (pì ke dei romani, saria da dir el stado roman) vengono costruite strade (la via Popilia, che andava da Rimini ad Adria, è del 132 a.C.) e fatti grandi lavori idraulici.
Vengono costruiti argini, scavati canali di drenaggio per bonificare le zone paludose e specialmente vengono scavate numerose fosse per favorire la navigazione interna.
Nel I secolo d.C. esistono le fosse Augusta, Clodia, Filistina, Flavia, Messanicia e Neronia che permettono di navigare da Ravenna ad Aquileia rimanendo sempre all'interno di lagune e percorrendo canali artificiali e tratti di fiumi.


Fose de acoa dolçe:
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Gli scrittori Romani che ci parlano del Po sono numerosi. Polibio afferma che il Po si risaliva per 2000 stadi (cioè per 355 chilometri, circa fino al Tanaro) a partire dall'antica foce del Volano [6]. Per Plinio invece il Po era navigabile fino a Torino e navigabili erano i suoi affluenti maggiori [7] mentre Strabone ci informa che per andare da Piacenza a Ravenna seguendo il corso del Padus occorrevano due giorni e due notti [8].

In epoca romana i porti più importanti sul Po sono: Cremona, Pavia (che si trova sul tratto terminale del Ticino), Piacenza, Brescello, Ostiglia, Vicus Varianus (l'attuale Vigarano) e Vicus Hobentia (l'attuale Voghenza).

Secondo Polibio, il Po scendeva con un unico corso fino ad un luogo chiamato Trigaboli dove si divideva nei due rami dell'Olana e del Padoa. A monte di questo luogo vi sarebbe stato un porto, che dava un ancoraggio sicuro come nessun altro in Adriatico, che si chiamava Bodencus.

Per vari storici, Trigaboli deriverebbe dalle parole celtiche tres gabuli cioè tre capi e corrisponderebbe all'attuale Codrea (anche il suffisso Co, diffuso nei nomi geografici del ferrarese, è di origine celtica).
Bodencus o bodincus invece è un termine celtico ma di origine ligure che significava profondo e che fu usato anche per indicare il fiume Po. ??? Cfr. co Bodensee.

Secondo il Muratori [9] proprio da Bodincus sarebbe derivato il nome Po: la parola sarebbe stata troncata e la B sarebbe diventata una P.
Invece, secondo Metrodoro di Scepsi, il nome deriverebbe dal termine celtico che indicava i pini che crescevano fitti alle sue sorgenti [10]. I Celti infatti chiamavano i pini col termine padi che deriva da pades che significa resina [11]. ???

Io penso che, se Po deriva da pades che significa resina, sia più facile che ciò sia dovuto al fatto che lungo il corso del fiume veniva portata la preziosa ambra piuttosto che al nome dei pini che crescevano alle lontanissime sorgenti. ???
E' vero che non sappiamo se allora si sapesse che l'ambra deriva dalla resina dei pini ma non si tratta di cosa difficile da capire, come faceva già notare Plinio il Vecchio quasi duemila anni fa, dato che l'ambra, quando brucia, emette odore di resina e la fiamma è simile a quella che si sviluppa dalla resina di pino [12].
Tacito da parte sua scriveva E' chiaro comunque che si tratta della resina di un albero, poiché spesso vi si vedono in trasparenza animaletti terrestri o anche dotati di ali, che, impigliatisi nel liquido vischioso, vi restano in seguito racchiusi quando la materia si indurisce [13].

Il ramo più a sud e cioè il Padoa non va confuso con il Po di Primaro che ancora non esisteva in epoca romana. Passava per la città di Voghenza ed era più a nord del corso del successivo Po di Primaro. Era collegato a Ravenna dalla Fossa Messanicia lunga dodici miglia romane (circa 18 chilometri).


Il Po durante il Medioevo

Con la caduta dell'Impero Romano il sistema viario decade (???) ed aumentano i rischi del trasporto per via di terra per cui il Po ed i suoi affluenti acquistano grande importanza come vie di comunicazione fluviale.
Nel contempo però non vengono più eseguiti grossi lavori di manutenzione per cui si hanno numerosissime rotte e vaste zone che ritornano paludi.

Cassiodoro ci dice che, ai suoi tempi (VI secolo d.C.), era possibile andare da Pavia a Ravenna in cinque giorni e che, lungo il corso del Padus, esisteva un servizio di posta che collegava Ravenna con Cremona e Pavia [14].
L'invasione longobarda divide la Pianura Padana in due aree politiche e ciò ostacola i traffici lungo il fiume per cui vi sono specifici accordi, come quello del 715 fra il re longobardo Liutprando e Comacchio, per mantenere in funzione il traffico fluviale.

Nell'VIII nasce un nuovo ramo del Po posto a sud ed è che poi sarà chiamato Po di Primaro e che percorre quello che ora è il corso terminale del fiume Reno ed il tratto del Po morto di Primaro.
Secondo alcune fonti (Flavio Biondo, 1392-1463 [15]) questo ramo del Po, detto Po della Torre della Fossa, nacque, nel 709 d.C., da un intervento umano. Sarebbe stato Felice, Arcivescovo di Ravenna, che avrebbe fatto tagliare il Po sotto Ferrara per allagare i campi attorno a Ravenna per impedire che un esercito raggiungesse la città.

In poco tempo il Po di Primaro acquisisce grande importanza per la navigazione perché collega Ravenna al Po e da qui a tutta la Pianura Padana comprese Pavia e Milano (tramite il Lambro).
Il corso del Po, in questa epoca, è simile all'attuale fino a Ficarolo dove deviava decisamente verso meridione passando a sud di Ferrara dove si divideva nei due rami del Po di Volano e del Po di Primaro.

Dove il Po di Primaro sfociava in mare (cioè alle attuali foci del Reno) si formò una grande cuspide deltizia che giungeva ben più al largo della attuale linea della costa che era chiamata Sacca Testa d'asino e che sopravvisse a lungo all'erosione anche dopo che il Primaro si era in parte interrato.
Al largo delle foci del Reno vi sono sott'acqua i resti di una torre di guardia degli Estensi che sono stati esplorati da subacquei di Ravenna.

Anche presso la foce di Volano crebbe una cuspide deltizia che venne parzialmente erosa dopo il XVI secolo e di cui rimangono ancora alcune vestigia. I dossi della Mesola mostrano l'antica linea della costa mentre quelli della Pineta di San Vitale mostrano la linea della costa preesistente alla nascita del Po di Primaro.

Non ci sono rimasti molti documenti altomedievali ma abbiamo notizia di alcuni viaggi per via fluviale intrapresi in quell'epoca. Nel 963 Ottone I navigò sul Po da Pavia a Ravenna per attaccare Berengario II. Il vescovo di Cremona, Liutprando, nel 969, si imbarcò a Pavia ed andò a Venezia in tre giorni.
Ottone III, nell'aprile 996, si imbarca a Pavia e discende il Po, fa scalo a Cremona e poi giunge a Ravenna. Nel 998 ripete il viaggio da Cremona a Ferrara dove viene raggiunto dal figlio del Doge, Pietro Orseolo II, figlioccio dell'imperatore, anche lui giunto a Ferrara su di una nave. Ottone poi, bordo di una nave veneziana, arriva a Ravenna [16].


La rotta Siccarda


Il Bedani, storico di Pontelagoscuro [17] pone nel 1167 la rotta Siccarda che formò un nuovo corso del Po verso nord dando origine al gran braccio del Po di Venezia e la attribuisce ad un intervento dell'uomo: Il popolo di Ficarolo, nemico di quello di Ruina, tagliò l'argine del Po mentre era gonfio per consiglio di certo Sicardo, a fine di sprofondare i Ruinesi sotto il diluvio delle acque. Si produsse di tal rotta il gran braccio del Po che passa da Pontelagoscuro e va al mare. Si tratta di notizie prese dalla storia di Ferrara di Gasparo Sardi [18].

La maggior parte degli storici però pone la data della rotta a parecchi anni prima (1152 o 1155) e la attribuisce a cause naturali. Molto probabilmente non è un'unica rotta a creare il nuovo corso del Po ma più rotte succedutesi per parecchi anni senza che si intervenisse in maniera risolutiva sugli argini.
In quei tempi infatti era frequente che le rotte durassero a lungo perché una volta passata la piena, l'acqua non usciva più e si lasciavano le cose come stavano.

Il Po si trovò quindi un nuovo corso, più breve di quelli esistenti. Non si sa se s'incanalò in alvei di fiumiciattoli o canali preesistenti. E' molto probabile, ma non sappiamo come fosse la situazione idraulica di quella zona prima della rotta.
Secondo alcuni studiosi la rotta di Ficarolo si incanalò nel letto di quello che era un mediocre corso d'acqua detto Fossa Saga o Bodigata (Canale dei Buoi) [19].
In effetti il ritrovamento, nel 1953 alla Fornace Grandi di Pontelagoscuro, del relitto di una grossa imbarcazione risalente a prima dell'anno mille [20], fa pensare che lì vi fosse un canale od un fiume di una certa dimensione ben prima della rotta di Ficarolo.

La Chronica Parva Ferrariensis [21] racconta che, dopo la rotta di Ficarolo, l'acqua del Po si suddivideva in vari fiumi, i più importanti dei quali erano il Bonello (che corrispondeva circa all'attuale corso), e più a nord, il Tassarolo ed il Barzaga. Questi fiumi si sarebbero poi riuniti in uno solo presso un luogo detto Litiga.

Il fatto che il nuovo ramo del Po avesse un percorso più breve degli altri due rami è molto importante. Infatti minor lunghezza significa maggior pendenza media e quindi maggior velocità dell'acqua.
In questo nuovo ramo era quindi maggiore la quantità di sedimenti che arrivavano al mare e minore quella che si depositava nell'alveo del fiume rispetto ai rami di Volano e di Primaro.

E' molto probabile che per lungo tempo la quantità d'acqua che passava per il nuovo ramo del Po fosse di gran lunga inferiore a quella che passava per il Po di Volano e di Primaro. Sappiamo infatti che, per molti secoli ancora, il traffico fluviale per Ferrara risalì il Po di Primaro.
Inoltre, sempre secondo la Chronica Parva, nel 1222 a Pontelagoscuro vi era un ponte, cosa che fa supporre che il fiume fosse meno largo di quanto diventò poi e Fra Paolino, nella sua mappa, disegna un ponticello minuto su di un fiume altrettanto minuto apparentemente ben più piccolo del ramo del Po che passava a sud di Ferrara.

Più sedimenti si depositavano nel Po di Primaro ed in quello di Volano e più la corrente rallentava, favorendo quindi il depositarsi di altri sedimenti. Il nuovo ramo del Po acquistò quindi un sempre maggior volume di acque e si suddivise a sua volta in due rami. Il nuovo ramo sfociava verso nord alla bocca detta delle Fornaci, dal nome di una taverna che era lì (ce lo racconta Flavio Biondo, 1392-1463, già citato).

Gli Estensi tentarono in ogni modo di salvare il Po di Primaro dall'interramento e continuarono sempre a considerare il porto di Ferrara quello a sud della città, posto immediatamente a monte alla suddivisione in Po di Volano e Po di Primaro.
Il porto a nord di Ferrara, sito su nuovo ramo del Po, detto Po di Venezia, era considerato secondario ed utilizzato solo per i collegamenti con Venezia e quasi solo per il trasporto di persone che si recavano a cavallo fino al porto.

Con l'idea di velocizzare il corso del Po di Primaro e di quello di Volano facendovi scorrere un maggior volume d'acque, si pensò di immettere il Reno in Po, infatti il Reno non aveva allora l'attuale corso ma si perdeva in una vasta palude tra Ferrara, Bologna e Ravenna.
Nel 1526 il Duca Alfonso I decise quindi di far immettere il Reno in Po e ciò fu fatto all'altezza dell'attuale Porotto. I risultati furono disastrosi e si dovette fare marcia indietro: il Reno infatti è a regime torrentizio e quindi apportava grandi quantità di sedimenti che peggiorarono ancor più la situazione.
Il taglio di Viro

Nel 1598 gli Estensi dovettero cedere Ferrara al Papa e ai Duchi subentrarono i Legati Pontifici che permisero due cose che gli Estensi avrebbero impedito con tutte le loro forze.
Permisero infatti di togliere il Reno dal Po ma lo immisero nelle valli della Sammartina e Poggio Renatico, vicine a Ferrara e permisero ai veneziani di effettuare il cosiddetto taglio di Viro.
Entrambe le cose accaddero nel 1604.

Il ramo principale del Po era quello più a nord e stava quindi creando una cuspide deltizia verso nord che tendeva ad interrare la laguna di Venezia e perciò i veneziani volevano fare un taglio che spostasse verso sud l'ultimo tratto del ramo principale del Po e salvasse la loro laguna.

Il taglio fu fatto nel 1604 a Porto Viro e col tempo si vide che, per il ferrarese, i risultati furono disastrosi. La cuspide deltizia si spostò infatti nella zona dove si trova ora, interrando gli sbocchi a mare delle grandi bonifiche fatte dagli Estensi nel XVI secolo e così gran parte della provincia di Ferrara finì di nuovo sott'acqua.
Il Reno, da parte sua, allagò ed impaludò una vasta zona a sud di Ferrara arrivando non troppo distante dalla città.

Nel ferrarese vi fu grande penuria di grano e quando dal 1628 al 1680 furono fatte ingenti spedizioni di grano da Ancona e Senigallia verso il ferrarese [22], si preferì risalire il Po Grande ed attraccare a Pontelagoscuro anziché risalire il Po di Primaro ed attraccare direttamente a Ferrara.

Questa scelta fu fatta forse non solo per motivi di navigazione ma anche per ragioni economiche: infatti, nel 1602, era accaduto che una analoga spedizione di grano da Ravenna a Ferrara, per soccorrere il popolo dopo una carestia, aveva dovuto pagare delle tasse di transito non solo ad Argenta come accadeva da secoli, ma anche a Filo che le aveva pretese ed ottenute in questa occasione.
Il risultato fu che il grano arrivò nel 1603 quando già cominciava a deteriorarsi e che il costo finale del grano era composto per la metà di tasse (anche se non tutte di transito) [23].

Inoltre, nel 1601, era stato realizzato un canale navigabile, il Canale Panfilio, (non collegato direttamente al Po) fra Pontelagoscuro e Ferrara. Il grano veniva quindi trasbordato a Pontelagoscuro su barche più piccole che permettevano di raggiungere non solo Ferrara ma anche Bologna.
Il traffico sul Po di Venezia, detto ora Po Grande, diventò quello più importante e crebbe sempre di più di importanza.
Il Po in epoca moderna

Nel 1700 il Po di Volano e quello di Primaro sopravvivono anche se sono sempre più poveri d'acqua. I tentativi di mantener viva la navigazione, specie sul Volano, continuano ancora a lungo ma con esiti pressoché nulli, vi è un traffico locale ma nulla più.

Nel 1620 si toglie dal Primaro il fiume Lamone che si fa sboccare direttamente nell'Adriatico e nel 1742 si cerca di risolvere il problema del Reno con la costruzione del Cavo Benedettino che permette di far confluire il Reno direttamente nel Po di Primaro a Traghetto.
Anche il nuovo alveo si interra rapidamente e nel 1750 c'è una grave rotta a Sant'Agostino e le acque vanno naturalmente verso est. Tra il 1767 e il 1782 si consolida questa soluzione inalveando il Reno nel letto del Primaro prima di giungere all'Adriatico.

Nel 1807 l'Imperatore Napoleone I dispone lo scavo di un canale artificiale, detto Cavo Napoleonico, con l'intento di portare le acque del Reno da Sant'Agostino al fiume Panaro (nei pressi di Bondeno) e quindi in Po. L'opera è abbandonata nel 1814 e poi ripresa e completata molto dopo (1954 - 1963), dopo le rotte del Reno a Gallo del 1949 e 1951.
Il Reno ora sbocca in mare ma il Cavo Napoleonico serve da scolmatore delle piene in inverno e fornisce acqua per l'irrigazione al Canale Emiliano-Romagnolo in estate.

Il Po di Primaro continua ad esistere ma ora è il Po morto di Primaro perché non giunge più al mare ma termina a Traghetto vicino all'argine del Reno che ora sfocia in mare in quella che era la vecchia foce del Po di Primaro.

Tra le due guerre si realizza il Canale Boicelli che corre ad ovest di Ferrara e che collega il vecchio alveo del Po a quello nato nel XII secolo e negli anni '50 e '60 viene realizzata l'Idrovia ferrarese che permette di riprendere la navigazione nel Po di Volano anche a grandi navi che poi possono passare nel Po grande alla conca di Pontelagoscuro.

Per poter fare questo il Po di Volano è stato trasformato in un corso d'acqua canalizzato e semiregolato per mezzo degli sbarramenti di Valpagliaro, Tieni e Valle Lepri. La nave che voglia risalire dal mare l'Idrovia ferrarese (lunga 70 chilometri) entra a Portogaribaldi nel Canale Navigabile che va da Migliarino al mare ed è un canale artificiale. Invece il ramo naturale del Po di Volano da Migliarino va a sfociare nella sacca di Goro.

Da Migliarino a Ferrara l'idrovia coincide con il corso del Po di Volano. Una nave, prima di arrivare in Po, deve superare varie chiuse: ci sono la Conca di Valle Lepri (che alza la nave di un metro e mezzo), la Conca di Valpagliaro (che la alza di altri tre metri e 10) e la biconca di Pontelagoscuro che la alza fino al livello che ha in quel momento il Po. Tutte le conche hanno porte di tipo vinciano.

Per l'abbassamento del letto del Po la biconca ha cominciato a dare dei problemi e nel 2003 è stata inaugurata la nuova conca di Pontelagoscuro. E' lunga 110 metri e larga poco più di dodici consentendo il passaggio di navi in grado di trasportare dalle duemila alle quattromila tonnellate di carico [24].

Col tempo il ramo principale del Po ha ormai sviluppato una imponente cuspide deltizia nella quale si aprono sei bocche. Da nord a sud sono Po di Levante, Po di Maistra, Po di Pila, Po delle Tolle, Po di Gnocca e Po di Goro.
Nel tempo però i sedimenti si sono depositati anche nell'alveo del fiume innalzandolo, inoltre il problema della subsidenza, presente soprattutto nella zona della foce, ha ridotto la pendenza del fiume.
Nonostante i tanti interventi dell'uomo si sono quindi avute numerose rotte, molte delle quali disastrose. La più grave, fra quelle recenti, è quella del novembre 1951 ad Occhiobello.


[1] - AA. VV. L'Italia fisica - Collana Conosci l'Italia, 1° volume - Touring Club Italiano - Milano 1957.
[2] - Gérard Lacroix - Lacs er rivières, milieux vivants - Bordas - Paris, 1991 (pubblicato anche in italiano da A. Vallardi - Garzanti Editore s.p.a. con il titolo Laghi e fiumi: mondi viventi).
[3] - a cura di Carlo Ferrari e Lucio Gambi - Un Po di terra: guida all'ambiente della bassa pianura padana ed alla sua storia - Edizioni Diabasis - Reggio Emilia, 2000
[4] - Idro.S.E.R. S.p.A. - Ricerca di depositi sabbiosi sul fondo del Mare Adriatico per il ripascimento delle spiagge in erosione - 2a Campagna di ricerca - Bologna, 1990.
[5] - Dionisio di Alicarnasso - Storia di Roma arcaica (le Antichità Romane) - a cura di Floriana Cantarelli - Rusconi - Milano, 1984.
[6] - Polibio Le Storie - Libri 1.-2. - II,16 - BUR - Milano, 2001
[7] - Plinio Storia naturale - Cosmologia e geografia: libri 1-6 - III 17, 123 - Einaudi - Torino, 1982.
[8] - Strabone Geografia - L'Italia: libri V-VI - BUR - Milano, 1994.
[9] - Lodovico Antonio Muratori - Delle antichità estensi et italiane - Stamperia Ducale - Modena, 1717-1740 (ristampa anastatica: Cassa di Risparmio di Vignola - Vignola, 1987-1988).
[10] - Eliseus Reclus . Nuova geografia universale. La Terra e gli uomini - Volume V, parte 2°: l'Italia - Società editrice libraria - Milano, 1903.
[11] - Pierino Boselli - Toponimi lombardi - Edizioni SugarCo - Milano, 1977.
[12] - Plinio - Storia Naturale - Mineralogia e Storia dell'Arte: libri 33-37 - XXXVII, cap. 11, par. 42-43 - Giulio Einaudi Editore - Torino, 1988.
[13] - Tacito P. Cornelio - La Germania - cap. 45, par. 2-6 - Sellerio Editore - Palermo, 1993.
[14] - Cassiodoro - Variarum libri 12 - Turnholti Brepols, 1973.
[15] - Flavio Biondo - Le historie del Biondo, da la declinatione de l'imperio di Roma, insino al tempo suo - Michele Tramezzino - Venezia 1543.
[16] - Edmond Pognon - La vie quotidienne en l'an mille - Hachette, 1981.
[17] - Giovanni Bedani - Memorie storiche di Pontelagoscuro Ferrara, 1905.
[18] - Gasparo Sardi - Libro delle historie ferraresi - Ferrara, 1646-1655 - (ristampa anastatica: Forni - Bologna, 1967).
[19] - Domenico Cullatti - Breve trattato storico, e cronologico dell'Origine delle Parrocchie, e de' Parrochi, e del loro Ministero - Appresso Simone Occhi - Venezia, 1745.
[20] - Marco Bonino - Archeologia e tradizione navale tra la Romagna e il Po - Edizioni Longo, Ravenna 1978. [21] - Riccobaldo da Ferrara - Chronica parva ferrariensis - a cura di G. Zanella in Atti della Deputazione Ferrarese di Storia Patria - Ferrara 1983.
[22] - Werther Angelini - Economia e cultura a Ferrara dal '600 al tardo '700 - Edizioni Argalia - Urbino, 1979. [23] - Franco Cazzola - L'Annona e il commercio dei grani a Ferrara dal 1510 al 1650 - Tesi di Laurea - Università degli studi di Bologna - Anno accademico 1964/65.
[24] - Dal quotidiano Il Resto del Carlino - Edizione di Ferrara - Anno 2003.

Po, Padus, Bodinkus/cos,*Bodencos, Eridano
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... t3ZFk/edit
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Padova, Pava, Padoa, Padua, Patavium,
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... 1tNG8/edit
viewtopic.php?f=151&t=425

Pol e Połexeła de Valpołexeła
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... 1xRFE/edit
viewtopic.php?f=45&t=981
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Re: Lagouna veneta (pristoria e storia)

Messaggioda Berto » sab dic 06, 2014 11:07 pm

Eco coel ke scrivea Jijo Xanon (Luigi Zanon dito nonogigio)

???
L’ Isonzo, data la sua posizione, ha creato le isole di Grado, di Barbana ecc.
il Tagliamento le isole di Porto Buso e la laguna di Marano e parte di Bibione,
il Livenza il resto di Bibione e la laguna di Caorle,
il Piave la laguna nord di Venezia,
il Brenta Malamocco, Pellestrina e parte di Chioggia,
l’ Adige il resto di Chioggia e le isole di Valli,
e il Po’ – con la sua vasta foce – il suo grande delta a le lagune di Comacchio.
???

Ovviamente si parla dei fiumi che sfociano in mare, non dei loro affluenti, ma sappiamo bene che è grazie a loro se arriva la maggior parte del materiale.

Poi i Veneziani hanno deviato le foci dei fiumi nel corso dei secoli e degli anni.
Infatti prima il Piave sfociava in laguna nord a Capo Sile, dando forma alle isole di Torcello, Burano, e altre isola ora scomparse, ora sfocia dopo il canal Cavetta.
Però il Piave in parte è stato deviato dai Veneziani, ma in parte l’ultimo tratto di alveo fino al mare se lo è fatto lui da solo, sommergendo quella che un tempo si chiamava Eraclea e che ora è stata nuovamente sepolta sotto terra e sempre dal Piave.
Infatti quella che ora chiamiamo Eraclea, fino ai primi del 1900 si chiamava Cittanova, poi modificato con decreto legge per avere più importanza.

Lo stesso vale per Jesolo che era Cavazuccherina. E altri nomi cambiati.

Altino, per esempio.
La vecchia Altino di prima di Venezia era posta sull’orlo della laguna, ed era un porto di mare (non di fiume), e dal mare arrivavano o per il Piave o direttamente per un canale. ???
Ora anch’essa è sommersa, o per meglio dire: sotterrata.

La Altino di epoca romana la si trova un paio di kilometri più entroterra, ma anche quella è andata distrutta dalle orde barbariche (???) e i suoi abitanti hanno contribuito alla nascita di Venezia.
Nel mente la Altino attuale, che è chiamata “Quarto d’ Altino” per distinguerla meglio, è a un paio di kilometri da quella vecchia ed è vicino agli argini del Sile.

Ecco cosa dichiarò l’in. Eugenio Miozzi (Miozzi è quell’ingegnere che costruì il ponte degli Scalzi, il ponte translagunare, il palazzo della mostra del cinema e del casinò, la caserma dei pompieri, e molti altri edifici):
“Il sottosuolo di Venezia è un terreno di origine alluvionale di epoca recente quaternaria; è costituito da stratificazioni di sabbia, da argille plastiche mescolate a sabbia, da argille compatte; non mancano elementi vegetali, ma in genere si tratta di materie organiche in quantità minime, e che non possono avere influenza sulla sua resistenza come terreno di fondazione.

Questa condizione non è comune per il restante litorale veneto, perché tanto a Nord (Ceggia e S. Stino) quanto a Sud (Cona e Cavarzere), a differenza di quanto si ha nelle nostre zone il sottosuolo presenta notevoli banchi di torbe, sulle quali sarebbe per lo meno imprudente elevare una città; basta osservare l’ondulazione delle strade e l’affondamento di alcuni ponti avvenuto in questi territori.

Si vede che i tanti fiumi che nel passato sfociavano in questa nostra terra non hanno dato requie alle canne palustri di vivere in pace; questi fiumi dovevano essere consapevoli dei destini futuri di queste terre, dovevano sapere che sarebbero diventate lagune e su queste lagune sarebbe sorta Venezia e non hanno permesso né disturbi né sabotaggi: solo argille e sabbie avevano diritto a sosta; per le erbe di valle era proibito il posteggio e fu così che il terreno di Venezia presenta ora caratteristiche che destano meraviglia tanto esse sono diverse da quello che potrebbe sembrare e da quello che sono i vicini territori della costa. “

E ancora, a detta dell’ing. Luigi D’Alpaos, professore di idrodinamica dell’Università di Padova, dice che:

“… Sempre volendo individuare la genesi delle lagune dell’Alto Adriatico, dinamiche evolutive un po’ diverse rispetto a quelle sinteticamente delineate dovrebbero ipotizzarsi seguendo le più moderne interpretazioni dei processi che governano la formazione e l’evoluzione degli ambienti costieri di transizione fra terra e mare. I lidi delle lagune adriatiche, che le marginano rispetto al mare, sarebbero, infatti, ciò che resta delle antiche barriere di sabbia che si sarebbero formate di fronte alle foci dei fiumi, come conseguenza del deposito di sedimenti trasportati in abbondanza e dell’incontro fra correnti costiere e correnti fluviali. Disponendosi ad una certa distanza dalla linea di riva con andamento sub-parallelo alla costa, queste barriere, rese discontinue dalla presenza di passaggi di collegamento con il mare incisi dall’azione erosiva delle correnti di marea, configurano un ambiente costiero morfologicamente articolato, ma generalmente poco profondo e apprezzabilmente influenzato nella sua risposta bio-morfodinamica anche dai fenomeni di sommersione….”

Tralascio tutto il resto del dibattimento e non dico nulla delle figure meschine fatte dai periti della Parte Civile, perché non interessa a queste note, e proseguo con un riassunto di quanto è stato detto nell’aula Tribunale e anche fuori quando chiedevamo spiegazioni a questi illustri personaggi.
(chi volesse entrare nel merito più profondamente, potrà sempre rivolgersi all’ archivio del Tribunale di Venezia e chiedere la sentenza e dibattito del processo a carico di Montanelli + 24. Oppure chiederlo direttamente a Franco Rocchetta o a Paolo Rosa Salva o Piero Bortoluzzi, ecc.)

Da quanto fin qui scritto sulla nascita delle lagune, si può benissimo capire che i cosidetti Paleoveneti o i Veneti dell’età del ferro o di prima dell’ avvento di Roma, nelle lagune, nelle città di Grado, Bibione, Caorle, Jesolo, Torcello e Burano, Venezia, Chioggia, ecc .ecc NON vi abitavano, in quanto tutte queste isole o città NON ESISTEVANO: semplicemente!

I primi cordoni litoranei – o Lidi – cominciano a crearsi verso il duemila a.Cristo.
E a quell’epoca i Veneti risiedevano in terraferma, nei casoni o nelle capanne su palafitte per difendersi dagli animali feroci che a quei tempi erano molto numerosi.

Una volta che queste isole si sono formate e il terreno consolidato siamo già arrivati verso il mille a. C.
Ma anche qui bisogna fare una considerazione: sempre a quei tempi i Nostri Antenati non conoscevano l’esistenza dei pozzi artesiani e pertanto no potevano emungere l’acqua dal sottosuolo. Fontane non ce n’erano.
E sappiamo tutti che per vivere ci vuole l’acqua.

Dunque su queste isole potevano sopravvivere solo dei pescatori o salinari saltuariamente e poi far ritorno in terraferma.

Almeno finchè non hanno inventato il pozzo o i contenitori per l’acqua dolce.
Basti solo pensare che a Venezia fino al 1862 - anno in cui è stata portata la prima condotta d’acqua potabile da una ditta francese – per bere usavano l’acqua piovane dei pozzi depurata dalla sabbia, ecc. (ma per la costruzione di un pozzo Veneziano vi rimando al mio sito http://www.venetonostro.it), oppure con apposite barche-serbatoio che portavano l’acqua dal fiume Brenta fino a Venezia e poi la travasavano nei pozzi.
A Venezia, in quei tempi, il servizio idrico era gratuito…
???Una volta trovato il sistema dell’approvvigionamento dell’acqua dolce, hanno pensato di costruire anche le abitazioni. ???

E quali, se non i casoni che ancor oggi troviamo in giro per le lagune e perfino nella terraferma?
Perfino nella antica stampa (del 800 d.C.) che rappresenta la nascita di Venezia vediamo che vi è un solo palazzo, ed è quello del Podestà, e tutte le abitazioni, chiesa compresa, hanno il tetto di paglia.
Il discorso che ho fatto fin qui su Grado, ovviamente vale anche per il resto di TUTTE le lagune, isole di Venezia comprese.

Pur se verso l’anno mille Venezia n on si chiamava così, ma era divisa in tre agglomerati con il terreno più solido e compatto che emergevano sulle altre isole, e questi agglomerati si chiamavano: DOSSO DURO, l’attuale Dorsoduro; RIVO ALTO, o Rialto e GEMINI, l’attuale zona di Castello basso e S. Pietro o Olivolo.
Vale la pena che rammenti ancora una volta che a Dorsoduro, sotto la chiesa di S. Nicolò dei Mendicoli, è stato trovato il muro di un molo d’attracco per navi risalente all’VIII secolo a. C. e di fattura greca.
Però quello non era l’unico porto della laguna di Venezia. Oramai le lagune erano già state divise dalle foci dei fiumi, e pertanto ogni laguna faceva parte di una città o di un paese.
Di Altino ho già accennato.
Per Eraclea il discorso è diverso. Era anch’essa una città di mare. Forse più importante di Altino o di altre città dell’epoca, in quanto essa era proprio una città di mare con il quale si connetteva con un breve canalporto.
Solo che … a quei tempi era posta sulla DESTRA del Piave, guardando la foce.
E solo che … il Piave non era un fiume placido ma turbolento e ha cambiato diverse volte il suo corso nei secoli.
Dapprima sfociava in laguna a nord di Torcello, come detto.
Ma siccome con i suoi materiali di risulta stava interrando troppo la laguna, i Veneziani hanno deviato il suo corso a S. Donà creandogli un apposito alveo verso il mare e lasciando solo il varco dell’intestadura affinchè portasse quell’acqua sufficiente al ricambi odi quella lagunare.
Ma per portare il fiume al mare, hanno dovuto creare un argine. Argine che ancor oggi conosciamo e vediamo come “L’Argine di S. Marco.
Solo che si vede che questa soluzione gli andava stretta, e nel XIII secolo, con una grossa piena deviò dal suo corso per crearsene uno di nuovo e che è quello attuale.
Di conseguenza la città di Eraclea si trovò non solo sulla sua sinistra – sempre guardando il mare – ma venne anche sommersa.
Poi con l’apporto dei suoi soliti materiali la coprì di terra.
Dal lato opposto invece c’era l’argine per salvare quei territori: s. Lucia, ecc. però si trovano sotto il livello del mare, ed ancor oggi lo sono e sono all’asciutto solo grazie alle idrovore del consorzio di bonifica.
Al posto di Eraclea, poi fu costruita un’altra città più a ovest alla quale fu messo il nome di Cittanova. Poi tramutato in Eraclea.
Ma la vecchia Eraclea sommersa è stata ritrovata anni or sono con delle fotogrammetrie ai raggi infrarossi e la sua pianta è oggi ben visibile in ogni sua strada, nei moli del porto, nei depositi, ecc.
Il Sile, invece, nel XVI secolo venne deviato con un taglio longitudinale per la laguna e immesso nell’alveo di Piave vecchio, prendendo il suo posto, e mandato a mare.


Fonti:
Luigi D’Alpaos, ingegnere idraulico e docente ordinario di idrodinamica all’ Università di Padova.
Eugenio Miozzi, ingegnere emerito del Comune di Venezia e ordinario di ingegneria idraulica e pontiera.
Antonio Paruzzolo, ingegnere idraulico e membro della Commissione per la costruzione del MO.SE.
Ugo Scortegana, geologo e naturalista
Claudia Pizzinato, archeologa
Ferdinando Furlan, capitano di lungo corso ed economista, già direttore dell’ azienda comunale di navigazione.
Archivio di Stato Veneto.

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Ste ixle de ƚa lagouna veneta de ancó, na olta ƚe jera mote/motarone/alture so ƚa tera veneta, ixle/mote drento n’ara de palù, de ƚaghi, de pòcie/póse, ciòxe e basure de acoa dolçe ... el mar el jera pì bàso de do metri (2 m) pì endrio e lonsi de coalke km e ste conke ƚe jera piene de acoa portà xo dai fiumi e dai torenti veneti.

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Mota (Motta) come Monte, Montegan, Montagnon, Montagnana, Montagna, Moton, Monton, Motaron, Montà, ...)
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Re: Lagouna veneta (pristoria e storia)

Messaggioda Berto » dom dic 07, 2014 3:33 am

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L’eidrografia venet-furlana

http://www.archeoveneto.it/portale/?page_id=453

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I fiumi furono per il Veneto il tessuto connettivo dell’intero quadro geografico regionale e un fattore fondamentale per lo sviluppo degli insediamenti. Bisogna dire che esiste una oggettiva difficoltà nel ricostruire la trama di dettaglio creata in età storica dalle aste fluviali per le variazioni di percorso verificatesi dall’Antichità ad oggi a causa di divagazioni naturali o artificiali. Si tratta quindi di un paesaggio che venne più volte a modificarsi dalla Preistoria all’Altomedioevo. Di lunghezza e portata diversa, i molti fiumi veneti presentavano però comuni caratteri, come il regime costante e tranquillo, che garantiva una loro navigabilità perenne in doppia direzione, e soprattutto un’estensione di percorso in direzione nordovest-sudest dalle sorgenti alpine fino alle lagune e al mare; così era garantita la comunicazione tra tutte le aree della regione. Infatti lungo le aste fluviali si snodavano percorsi che risalivano lagune, pianure, colline e Prealpi per insinuarsi nelle vallate alpine e, più oltre, condurre allo scavalcamento della catena alpina attraverso i passi di Resia e del Brennero (Adige e Brenta), di M. Croce Comelico (Piave) e M. Croce Carnico, Mauria e Sella di Camporosso (Tagliamento). Tale vero “scheletro” di comunicazione funzionò dalla Preistoria all’Altomedioevo per il trasferimento di persone e soprattutto di merci.
Esso venne solo potenziato, ma non sostituito, dalla poderosa rete stradale terrestre di età romana.

La fitta trama dei corsi d’acqua che a raggiera solcano il territorio veneto dall’interno verso la costa

La funzione di queste vie fluviali della regione, detta da Servio fluminibus abundans (Servio, In Vergilii Georgica commentarii, I, 262), appariva ben chiara agli occhi del geografo Strabone, che sottolinea come molti abitati fossero collegati al mare da “corsi d’acqua navigabili controcorrente” (Strabone, Geographia, V, 1, 8; Procopio, De bello Gothico, I, 1, 16-23; Cassiodoro, Variae, V, 17).

Fu tale altissimo potenziale di comunicazione proprio dei corsi d’acqua che generò una forza di attrazione nei confronti dei principali abitati antichi, che vennero a disporsi lungo i fiumi in punti strategici di guado, di confluenza o di foce. La relazione degli abitati con i corsi d’acqua diventa così dalla Protostoria la caratteristica più netta di tutta la storia della regione; la celebre descrizione della decima regio di Plinio (Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, III, 126-130) contiene riflessi continui di questa relazione abitati-fiumi; ma su di essa già prima Strabone si era soffermato, con puntuali osservazioni di morfologia insediativa, osservando come “alcune città sono delle vere isole, mentre altre sono solo in parte circondate dalle acque; e le città esistenti all’interno, oltre le paludi, hanno mirabili vie fluviali” (Strabone, Geographia, V, 1, 5).

Nell’affrontare una rapida disamina di tale fondamentale apparato fluviale da sud-ovest a nord-est appare chiaro come esso sia fondato sui bacini di alcuni corsi d’acqua “egemoni”: il Po, l’Adige, il Bacchiglione, il Brenta, il Sile, il Piave, il Livenza, il Lemene e il Tagliamento. Questi erano dotati di proprie foci a mare e attiravano una serie minore di aste fluviali come l’Illasi, il Tione, il Tartaro, l’Astico, il Tergola, il Musone, il Reghena, il Meduna e altri ancora.

...


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