El dirito feoudal de ła prima note: travegoła o veretà?

El dirito feoudal de ła prima note: travegoła o veretà?

Messaggioda Berto » dom giu 21, 2015 7:20 pm

El dirito feoudal de ła prima note: travegoła o veretà?
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https://www.facebook.com/groups/Medioev ... 4449285957

Trato fora da wikipedia
https://it.wikipedia.org/wiki/Ius_primae_noctis


IL MEDIOEVO E LO "IUS PRIMAE NOCTIS"

La locuzione latina ius primae noctis (in italiano: "diritto della prima notte") indicherebbe il diritto di un signore feudale di trascorrere, in occasione del matrimonio di un proprio servo della gleba, la prima notte di nozze con la sposa.

È talvolta impropriamente indicato con l'espressione francese "droit du seigneur", letteralmente "diritto del signore", che faceva in realtà riferimento a un'ampia gamma di diritti riconducibili al signore feudatario, inerenti quindi anche la caccia, le tasse, l'agricoltura.

Non vi sono testimonianze della diffusione di tale diritto nell'Europa medievale.

In particolare nelle fonti storiche non ne sono rintracciabili direttive né da parte delle autorità laiche (re, imperatori), né da parte di quelle ecclesiastiche . Molto vivo invece nel sentimento popolare e nei racconti e nelle leggende di paese tanto che molte sono le testimonianze sul diritto della prima notte in cui la giovane maritata doveva concedersi nella sua purezza al signorotto locale.Questo ha portato parte della critica moderna a ritenere lo ius primae noctis come un mito moderno relativo all'epoca medievale ma senza alcuna fonte documentata. D'altronde è facile immaginare come un diritto del genere conferito in forma ufficiale sarebbe stato una fonte di profondo imbarazzo sia per le autorità religiose (che avrebbero visto ufficializzata la precedenza dei potenti sul rito religioso) sia dei potenti che avrebbero dovuto giustificarlo ufficialmente.

Storia

« Lo ius primae noctis è una straordinaria fantasia che il medioevo ha creato, che è nata alla fine del medioevo, ed a cui hanno creduto così tanto, che c'era quasi il rischio che qualcuno volesse metterlo in pratica davvero, anche se non risulta che sia mai successo davvero. In realtà è una fantasia: non è mai esistito. » (Alessandro Barbero)

Se e quanto lo ius primae noctis fosse effettivamente diffuso, e in quale misura i signori feudali ne facessero uso, è stato argomento molto discusso.

Secondo la visione che si affermò nell'età moderna, il servo della gleba era legato alla proprietà padronale, e i vari aspetti della sua vita erano comunque condizionati dal legame con la terra che coltivava e, quindi, anche al feudatario che possedeva i campi. Anche il matrimonio, come altri aspetti della vita sociale, vi era ricompreso e talvolta, per ottenere il consenso ad esso, doveva versare un tributo. La massima espressione di questo stato di subordinazione sarebbe stata la concessione della propria moglie al proprietario terriero per la prima notte di nozze.

Secondo Régine Pernoud si istituì, nel corso del X secolo, l'uso di reclamare un'indennità pecuniaria dal servo che, sposandosi, lasciava il proprio feudo per trasferirsi in un altro. Il "diritto signorile" era pertanto di natura prettamente economica[2]. La stessa Pernoud riconduce ad interpretazioni «completamente erronee» di lessico giuridico e di simboli con cui il feudatario autorizzava il matrimonio di un servo (che, per questo, abbandonava il proprio feudo e si trasferiva), il travisamento della natura pecuniaria del tributo .

Tale preteso diritto viene solo occasionalmente citato in documenti medievali „sol der brütgam den meier bi sinem wip ligen laßen die erste nacht oder er si lösen mit 5 sh. 4 pf.“ (lo sposo deve lasciare che il signore giaccia la prima notte di nozze con la sua sposa, o affrancarla con 5 scellini e 4 pfennig), o confermato dalle tradizioni popolari secondo le quali il servo aveva la possibilità di reclamare la propria sposa per sé pagando una certa somma.

In Italia esistono diversi luoghi in cui, nelle leggende di fondazione del paese o della città, viene menzionato lo ius. Tra questi vi sono Roccascalegna, Melissa, Dolceacqua, Sant'Agata di Puglia, Fiuggi, Francavilla in Sinni, Onzo e Montalto Ligure,il piccolo borgo della Valle Argentina, nell'Imperiese, che la leggenda vuole sia stato il rifugio di due giovani sposi in fuga dallo ius che il conte Oberto di Ventimiglia pretendeva di esercitare. Raggiunti da molti amici, costituirono il primo vero nucleo abitato di Montalto (dal latino Mons Altus). Per nessuno di questi però esistono conferme storiche che lo ius sia mai stato in vigore.

In ogni caso non si può parlare dello ius primae noctis come di un fenomeno generalizzato del diritto medievale. Oltre all'assenza di riferimenti legislativi ufficiali civili o ecclesiastici va notato come nel medioevo vi furono numerose rivolte dei contadini in occasione delle quali venivano redatte in forma scritta richieste e lamentele dei rivoltosi (vedi, per esempio i dodici articoli della guerra dei contadini del 1525). In questi testi non si trovano mai accenni allo ius primae noctis, né a soprusi sessuali d'altro genere.

Aspetti giuridici e possibili spiegazioni antropologiche

Anche se una parte degli storici contemporanei sostengono che non esista una prova definitiva dell'effettivo esercizio di questa usanza nel Medioevo, persiste comunque un profondo disaccordo riguardo l'origine, il significato e lo sviluppo della diffusa credenza popolare e dell'effettivo significato simbolico legato a questo diritto. Esso viene segnalato a partire dal XIII secolo. La ricerca storica, però, sottolinea la finzione che spesso caratterizza le opere giuridico-letterarie dell'epoca[6], per cui la convinzione che esistesse una pratica generalizzata di questo "diritto" potrebbe essere un mito moderno, che rivelerebbe poco sulla realtà del medioevo.

Si ritiene che l'origine di questa credenza risalga al XVI secolo. Il filosofo scozzese Hector Boece riporta il decreto del mitico re scozzese Evenio III secondo cui "il signore delle terre può disporre della verginità di tutte le ragazze che vi abitano"; la leggenda vuole che Santa Margherita di Scozia fece rimpiazzare lo ius primae noctis con una tassa di matrimonio chiamata merchet. Tuttavia Evenio III non è mai esistito e tutto il racconto di Hector Boece attinge largamente dal mito. Nella letteratura del XIII e XIV secolo e nei codici di legge fondati sul diritto consuetudinario lo ius primae noctis è strettamente correlato alle specifiche tasse di matrimonio dei servi o ex servi.

Secondo alcuni antropologi lo ius primae noctis può essere considerato la degenerazione di un rituale arcaico. La verginità era collegata a un tabù molto forte, che poteva essere rimosso solamente da un re/sciamano/personaggio potente. Ogni altro uomo ne sarebbe rimasto danneggiato.
Studi recenti vedono nel mito dello ius primae noctis e nei riti carnevaleschi di eliminazione del tiranno ad esso spesso collegati (per es. Ivrea o Castel Tesino), una funzione apotropaica tipica dei riti di eliminazione del male, e in ultima istanza propiziatoria della fertilità.

Analogie tra la tradizione dell'Europa medievale e altre culture

Alcuni studiosi hanno sostenuto che lo ius primae noctis sia effettivamente esistito nella tradizione dell'Europa medievale e che potrebbe essere stato simile ai riti di deflorazione dell'antica Mesopotamia o quelli tibetani del XIII secolo.[8] Nella letteratura mesopotamica, il diritto della prima notte, ossia il privilegio del signore di deflorare la sposa di un altro uomo, è un topos assai antico, risalente perlomeno al poema epico Gilgameš (2000 a.C. circa). Anche se le descrizioni letterarie dell'antica Mesopotamia e le leggende dello ius primae noctis nell'Europa medievale mettono in evidenza tradizioni culturali molto diverse, si ricongiungono nel fatto che, in entrambi i casi, sono coinvolti personaggi di elevato rango sociale.

Erodoto che scrive nel V secolo a.C. nelle Storie IV-168 riporta a proposito dei Libici Adimarchidi: “E al re soli [tra i libici gli Adimarchidi] le vergini che sono in procinto d’accasare presentano: quella che al re stima abbia generato, da questo è deflorata” (traduzione letterale).

Marco Polo, ne Il Milione, osservava che nel Tibet del XIII secolo "La gente di queste parti non è avvezza a sposare le ragazze fino a quando queste sono ancora vergini, ma al contrario desiderano che abbiano avuto affari con molti di sesso opposto".[8] Gli studiosi hanno sottolineato l'analogia tra lo ius europeo, l'usanza mesopotamica e quella tibetana, evidenziando però che i tre esempi non rappresentano le istanze di un tiranno che impone la sua volontà ai soggetti femminili, bensì un "rituale di deflorazione", nel quale '"la comunità radunava attorno all'opera di supporto l'individuo", nella fattispecie il defloratore.
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Re: El dirito feoudal de ła prima note: travegoła o veretà?

Messaggioda Berto » mar giu 23, 2015 7:13 am

Jus Primae Noctis

http://www.scimmiaurlatrice.com/jus-primae-noctis

Erano secoli di violenza e sopraffazione, nei quali i signori feudali avevano il diritto, dopo la cerimonia nuziale dei loro servi e vassalli, di godere delle grazie della sposina prima del legittimo sposo. Si chiamava droit de seigneur, droit de cuissage o jus primae noctis.

I signori imponevano tasse su ogni attività dei loro sottoposti e riscuotevano denaro anche per le licenze di matrimonio e persino per il diritto dei villici di far l’amore con le loro mogli. Tuttavia alcuni studiosi sostengono che non si trattava di un diritto, una legge, bensì di un abuso, una vera e propria violenza consumata a danno dei più deboli e dei più umili.

Simili soprusi purtroppo, sono rintracciabili in diverse fonti storiche, provenienti da epoche ben più antiche del feudalesimo. Nell’ Epopea di Gilgamesh è infatti documentata l’ irritazione del popolo di Uruk per l’insistenza del Re nel richiedere “di essere il primo con la sposa novella, seguito poi dal marito”.

Secondo lo storico scozzese Hector Boece in Scotorum historiae a prima gentis, del 1526, emerge che Re Malcom III, regnante dal 1059 al 1093, aveva trasformato in tassa, denominata Marcheta mulierum, un precedente Jus primae noctis istituito in precedenza da Augusto. In sostanza il sovrano rinunciava alla compagnia, delle giovani spose dei suoi sudditi, previo pagamento di una somma di denaro. Questo di fatto è da considerare il primo documento che fa riferimento ad una legge del genere in Europa.

In Italia Hieronymo Mutio, nel Tratato di matrimonio, del 1553, racconta come in alcuni luoghi tra Piemonte, Appennini ed Alpi si era sostituita la barbara pratica dell’ abuso signorile con una tassa chiamata Connagio. L’esistenza di uno Jus primae noctis nei feudi Piemontesi ed Italiani è sostenuta da vari storici, a sostegno dei quali diversi documenti attestano la presenza di tasse dai diversi nomi ma dallo stesso scopo, essa infatti andava a sostituire il diritto del signore di abusare dei villici, ad esempio nella Savoia esisteva con il nome di Spontagia, nel Veneto c’era invece la Bannum scozonarie e così via.

Durante l’epoca feudale centinaia di tasse venivano imposte alla popolazione, vassalli, dipendenti e contadini erano vessati nei modi più “fantasiosi”, dovevano fare nel primo giorno dell’ anno un saluto (Kalendatico), dovevano presentare delle regalie per Natale, Pasqua ed altre ricorrenze religiose; dovevano fare dono di galline a Carnevale; dovevano cedere una qualsiasi parte dell’animale macellato;dovevano pagare per tingere in verde o turchino e c’era persino una tassa sul “fiato dei porci”.

Parlando del concetto di verginità, occorre sapere che in società patriarcali di mezzo mondo la perforazione dell’ imene e la conseguente perdita della verginità, considerato comunque un atto cruento, possa attirare la vendetta delle divinità femminili capaci di annullare la virilità. Ecco perché i mariti delegavano altri, per esempio i sacerdoti o gli anziani del gruppo a compiere il rito della deflorazione.

Studi etnologici confermano l’esistenza di simili tradizioni sessuali un po’ ovunque. Nei gruppi tribali in Africa ed Australia si accompagnano le giovani donne fuori dai villaggi non appena mature ed la loro verginità viene interrotta con oggetti lignei. Anche in Sud America le giovani vengono affidate alle autorità religiose che, come nel caso dei bramini in India, usano le dita delle mani per compiere riti sessuali non dissimili. Per i Romani era consuetudine che una giovane sposa perdesse la verginità con un oggetto conico di legno, detto mutinus tutunus, o che si facesse mettere seduta su un fallo di pietra levigata. Più tardi Marco Polo riferì che nessun tibetano avrebbe sposato una donna intatta.

Esempi e spiegazioni non mancano tuttavia è difficile vedere una qualsiasi connessione tra i riti arcaici, di cui sopra, e lo Jus primae noctis. Ernest Borneman, sessuologo tedesco, afferma che i riti antichi dell’ iniziazione delle vergini erano un atto volto a proteggere lo sposo dai fulmini delle divinità femminili, mentre il diritto del signorotto feudale, non era altro che una forma di abuso e di libertinaggio ai danni di un subordinato.

Nel secolo scorso diversi esperti si diedero battaglia sull’ esistenza o meno del fenomeno fin qui trattato, c’era chi difendeva a spada tratta la sua certa esistenza e chi avanzava alcuni dubbi. Alcuni studiosi francesi, sostenitori delle tesi possibilistiche dello storico Schmidt, ipotizzarono che lo jus si potesse annoverare tra i Droits ridicules che i signori feudali pretendevano dai propri villici e servi. Non era violenza fisica ma un gesto simbolico per ribadire il potere delle investiture. Il giurista Alessandro sacchi, afferma che “lo jus non è mai esistito nel senso materiale, letterale e sessuale delle espressioni, neanche in epoca feudale”, tuttavia poiché simili espressioni si ritrovano nella storia del diritto, non è possibile accantonare il tutto nel campo della letteratura romantica e delle novelle boccaccesche.

La conclusione è che lo jus primae noctis era un invenzione del feudalesimo e della chiesa per giustificare le assurde pretese dei signorotti dell’ epoca, trasformando di fatto in diritto una scusa per giungere ad una conclusione fiscale. Vicende tanto crudeli e signori feudali senza rispetto per i propri villici, possono portarci a credere in una società medievale senza alcun rispetto per la femminilità e per gli esseri deboli. Non esisteva dunque lo jus primae noctis? Forse. sicuramente furono questi i secoli che videro l’amor cortese, S. Francesco, Giotto e Dante.


Bibliografia:

Alessandro Sacchi, Jus primae noctis, Nuovo Digesto Italiano, Utrt, 1938;
Edgar Gerson, Pratiche sessuali, Lyra, 1987;
Ferruccio Butini (e altri), Medioevo al femminile, Laterza, 1989;
Michel Mollat, I poveri del Medioevo, Laterza, 1987;
Reay Tannahill, Storia dei costumi sessuali, Rizzoli, 1985;
Winspeare, Storia degli abusi feudali, Napoli, 1883.


Erano secoli di violenza e sopraffazione ???, nei quali i signori feudali avevano il diritto, dopo la cerimonia nuziale dei loro servi e vassalli, di godere delle grazie della sposina prima del legittimo sposo. Si chiamava droit de seigneur, droit de cuissage o jus primae noctis.

Comento:
Alberto Pento
Nell'articolo è scritto: "Erano secoli di violenza e sopraffazione,..." anche in questo articolo siamo alle solite idiozie e menzogne sul Medioevo. Durante l'impero romano vi era forse il paradiso in terra, specialmente negli ultimi secoli prima della sua fine? Romani buoni e barbari cattivi? Non credo proprio!
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Re: El dirito feoudal de ła prima note: travegoła o veretà?

Messaggioda Berto » mar giu 23, 2015 7:15 am

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Re: El dirito feoudal de ła prima note: travegoła o veretà?

Messaggioda Sixara » mer giu 24, 2015 10:14 am

Berto ha scritto:Sto dirito, sto abouxo nol ghè.

Ma te pare ke on abuso, na violen'za i vegna testimonià da cuei ca le faxeva?
O ke le testimonian'ze de i sen'za oxe bixognarà ben 'zercarle fòra da i documenti uficiali de la storiografia, la voxe popolare, la memoria, le conte, le fòle...
Considera ke i servi no i contava gnente, considera ke la femena de l servo la contava manco de gnente. On putìn, na putìna manco de manco de gnente e via scalare.
Mi no ghe darìa tuto sto credito a i siori e a cueo ke i scrivea ( o nò ) so i documenti.
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Re: El dirito feoudal de ła prima note: travegoła o veretà?

Messaggioda Berto » mer giu 24, 2015 11:30 am

Sixara ha scritto:
Berto ha scritto:Sto dirito, sto abouxo nol ghè.

Ma te pare ke on abuso, na violen'za i vegna testimonià da cuei ca le faxeva?
O ke le testimonian'ze de i sen'za oxe bixognarà ben 'zercarle fòra da i documenti uficiali de la storiografia, la voxe popolare, la memoria, le conte, le fòle...
Considera ke i servi no i contava gnente, considera ke la femena de l servo la contava manco de gnente. On putìn, na putìna manco de manco de gnente e via scalare.
Mi no ghe darìa tuto sto credito a i siori e a cueo ke i scrivea ( o nò ) so i documenti.


Sixara no se ga da confondar n'istituto juredego co ati de prepotensa.
On conto lè ła condision de ła sciavetù, ke gh'era na 'olta ente l'Ouropa e k'a ghè ancora en volta pal mondo ; on conto lè n'istituto juredego de corvé, n'angaria sesual e on conto lè ła prepotensa de on sioràso.
Ła prepotensa de on sioràso, de on paron, de on cào ke l'estorxe, ricata e minaça łi so dipendenti, łi so sotoposti, ła pol senpre esarghe e ła pol esarghe anca al di de ancó, ma n'istitudo juredego, n'angaria de tipo sesual da verse ła prima note de nòse łè on non senso juredego, n'asurdansa beła e bona e no ghè gnaona atestasion storega.
Anvençe ła storia ła atesta de viołense e de prepotense sesuałi ke gnente łe ga a ke far co ła prima note de nòse o co asurdi istitudi jurideghi ke no łi garia mai podesto catar posto drento ła morałe e łe dotrina cristiane.
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Re: El dirito feoudal de ła prima note: travegoła o veretà?

Messaggioda Sixara » mer giu 24, 2015 7:58 pm

Berto ha scritto:Anvençe ła storia ła atesta de viołense e de prepotense sesuałi ke gnente łe ga a ke far co ła prima note de nòse o co asurdi istitudi jurideghi ke no łi garia mai podesto catar posto drento ła morałe e łe dotrina cristiane.

Bòni cuei : ke oncora i jera drìo a discùtare se la femena la ghe n ése on toketo de ànema o se la fùse sen'za cofà le bestie.
Nò vàra, no me ghe meto gnanca so ste robe cuà de le Istitu'zion Juridighe e de come el Dirito Canonico-Legale el ga tratà le dòne e i putìni par secoli-seculorum...
Nò. E lo sèto parké : jrela e voltela come ca te vòi ma la Storia Granda - cuea scrita co le Maiuscole - lè stà fata da i òmeni, ke i se la gà scrita e contà come ke i gà volesto lori.

La storia picinìna, cuea de le femene e de tute le vitime sen'za nome e sen'za voxe, cuea no se ga podesto scrivarla o contarla altro ke te la memoria mitica.
Ma justamente ke la Storia Granda la la gà liquidà cofà fòle da contarse fra femene-putìni, tornovia de l fogolaro.

Berto ha scritto:ma n'istitudo juredego, n'angaria de tipo sesual da verse ła prima note de nòse łè on non senso juredego, n'asurdansa beła e bona e no ghè gnaona atestasion storega.

So cuesto a te dago raxon : no ghe ne jera de bixogno, la jera na lèje ke la s intendea istéso benon, prima-dopo de la prima-nòte e tute kele altre driomàn.
Pò vàra ghe sarìa stà ben da ridare eh, va bè ke no i ghea gnente da fare tutaldì kei sioràsi lì , però insoma ... còsa se metevelo lì, so la sala de l trono e l dixea : Vànti ki ca ghe toca :lol:
Ridicolo.

Ghe torno so ste robe cuà ke i è inportanti : dentro a ghè na costion de verità. Verità storica ke la se pòe cavàre da i documenti, e cuea lè roba pa i stòrici, e dopo a ghè na storia de la verità ke lè pì difi'zie da individuare ke la ghe pàsa traverso i documenti o anca la ga da far sen'za i documenti.
Tel nostro caxo a ne manca on elemento fondamentale pa dire lè vero/falso : la testimonian'za de l ojèto de la costion de l " dirìto feudale de la prìma-nòte".
La testimonian'za de la femena n costion, ke la pòe dire lè vero o lè falso, indoxela?
Indovè ca lo càto mi on documento de l jenere? E parké dovarìa fidarme de cueo ke ghè scrito te i documenti storici sa ghe ne manca na parte ?
Nò ke no se pòsa fare istéso na storia de la verità, ma ono el se ciàpa i so ris-ci de ndare pa strade ke no le xe cuée de la verità storica, strade poco sicure, poco conoséste, labirinti indoe ca te te perdi volentieri.

( ghe so' ndà n 'zerca de l secondo vol. de la Storia della sessualità de Michel Foucault - ca ghevo lèto el primo e pò basta - indoe ke l ghe prova fare na ri-costru'zion de la storia sessuale de l omanità, da l sec. XX fin la cultura greco-romana e indrio ncora... vedarò se l dixe calcòsa anca sol dirito feodal)
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Re: El dirito feoudal de ła prima note: travegoła o veretà?

Messaggioda Berto » dom nov 01, 2015 8:49 am

Gastaldo, Aldo, Aldii
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...
Per quanto si riferisce ai rapporti familiari, le unioni matrimoniali degli aldi erano protette dalla legge come del resto anche quelle dei servi.
Il padrone - ordina Liutprando (140) - che commette adulterio con la moglie del proprio servo o del proprio aldio, perde entrambi i coniugi, i quali diventano per legge liberi et absoluti fulfrealis, ed hanno facoltà di andare dove vogliono tamquam si thingati fuissent.
E poiché il thinx, secondo Rotari, 224,1, dovrebbe essere fatto dal padrone, che in questo caso non può, così la legge prescrive che a lui si sostituisca il principe.
Mentre per i matrimoni fra aldi dello stesso padrone non pare fosse necessario il permesso del medesimo, per quelli invece fra aldî di padroni diversi - come risulta da Liutprando, 139 - occorreva che questi si fossero messi d'accordo fra loro.
---

ALDIO
Enciclopedia Italiana (1929)
di Francesco Brandileone

http://www.treccani.it/enciclopedia/ald ... taliana%29

ALDIO (aldius, aldia; aldio, - nis; aldiana). - Gli aldi costituivano, presso i Longobardi, una classe piuttosto numerosa, a giudicarne dalle non poche disposizioni legislative e dai documenti che la ricordano; ma non tanto, che si possa consentire nell'opinione di coloro che sostengono essere stati i vinti Romani ridotti dai Longobardi appunto nella condizione di aldi. Oltre che presso i Longobardi, si ha notizia di aldi in pochi documenti bavaresi; ma sembrano dovuti ad influenza italiana. Se però tra i Germani occidentali manca il nome, non manca la cosa.
I Franchi, i Sassoni, gli Anglosassoni e i Frisi hanno essi pure una tale classe, ma la designano coi nomi di liti, laeti, lassi o lazzi, che spiegano i laeti dell'ultima età imperiale romana.

Tacito non ne parla; ma il riscontrarla in tutte le popolazioni germaniche occidentali autorizza ad ammetterne l'esistenza fin da epoca remota, e ad accedere all'opinione che la ritiene originata dalla sottomissione di una gente ad un'altra, dalla quale era stata debellata.

L'aldio longobardo nelle fonti ora è avvicinato al libero, ora, e assai più spesso, al liberto e al servo.
Lo si considera in possesso di uno status libertatis, quando, p. es., si stabilisce che chi uccide l'aldia altrui, credendola strega, paga la composizione di sessanta solidi pro statum eius; e quando si ordina che l'aldia, la quale sposa un servo, perda libertatem suam (Edic. Rot., 376 e 217). Era, è vero, compreso nella categoria dei pertinentes, e quindi soggetto al suo patronus; ma la sua soggezione differiva da quella del servo e il patronus, benché detto anche dominus, non aveva su di lui un diritto di proprietà, ma un potere analogo a quello che gli spettava sui congiunti familiari, il mundio. Quel potere aveva un prezzo, variabile da tre a sei solidi.
A cominciare dall'età franca il prezzo andò via via abbassandosi; e fu segno della maggiore libertà acquistata dagli aldi. La loro soggezione al dominus non era solo personale, ma anche reale, per riguardo alle terre ricevute, alle quali erano attaccati, in guisa da dare ad esse il nome di terrae aldiariciae. Erano perciò tenuti a servizî, od opere, a censi e a prestazioni periodiche de personis et de rebus. Le leggi, come Edic. Rot., 78, 79, 72, e Liutpr., 69, 142, non parlano se non di operae, ma i documenti ricordano anche censi in prodotti naturali, o in danaro. Queste contribuzioni però, una volta stabilite, non avrebbero dopo potuto essere aumentate.
Grimoaldo (1) aveva stabilito che, da un lato, l'aldio, il quale aveva per un trentennio servito il suo padrone, non poteva più rifiutargli obbedienza, e d'altro lato il padrone non gli poteva più imporre nuovi oneri e gli doveva continuar a lasciare res suas, quas per triginta annorum spatia iuste possedit.

Ciò che soprattutto mancava all'aldio era la libertà dei suoi movimenti, non potendosi allontanare dalla terra dove il padrone lo aveva collocato. Al servo fatto aldio per manomissione (Rot., 224,4) non erano date le quattro vie, appunto perché non era libero di andare dove volesse, fatta eccezione per il solo caso speciale in Rotari, 216. Se il dominus di un aldio sapeva che questi, lasciata la terra assegnatagli, s'era trasferito presso altri, aveva il diritto di domandarne la restituzione per mezzo della pubblica autorità, allo stesso modo come poteva fare se si trattava di un servo (Liutprando, 69, 142, 143).
L'aldio differiva dal liberto in quanto a questo erano state date le quattro vie negate a lui (Rot., 224, 3, 4). E quando la manumissio in ecclesia fu equiparata alla forma di manomissione nazionale longobarda, che accordava la piena libertà, quella non poté essere usata per manomettere come aldio un servo. E quindi Liutprando (23) stabilì che chi voleva rendere aldio il suo servo non poteva farlo in ecclesia, ma doveva usare un'altra forma. In non pochi testi legislativi si vede l'aldio o trattato poco diversamente dal servo ministeriale (Rot., 129, 130, 376), o addirittura pareggiato ad esso (Rot., 76 e 102).

A differenza tuttavia del servo l'aldio, come si è detto, aveva un guidrigildo. Ma, nonostante ciò, né sotto i Longobardi né sotto i Franchi gli aldi poterono entrare nell'esercito o partecipare alle assemblee del popolo. Nell'età feudale le cose cambiarono.

In quanto alla capacità patrimoniale, i commentatori della Lombarda, 11, 34 credettero tuttavia di potere, al tempo loro, affermare che gli aldi pro servis habentur, quod nihil suum habent, dominus vero omnia habet et viventibus et morientibus eis. Però, se non avevano nulla di proprio in quanto a libera disponibilità, l'avevano in quanto al godimento.
Grimoaldo, 1, già citato attribuisce all'aldio res suas, che il padrone non gli può togliere; e queste res sono anche ricordate in Rotari, 216 e 219. Egli però, se non è reso haamund, non può senza il permesso del padrone alienare terre o servi, né dare a questi la libertà (Rot., 235). Viceversa, come mostrano i documenti, gli aldî erano alienati insieme con la terra di loro residenza. In Liutprando, 87, è stabilito che se un aldio, un servo o un pertinente contratta con un terzo intorno a qualsiasi cosa, e risulta essere derivato dal contratto un danno per il padrone, l'acquirente deve restituire al padrone la cosa absque praetio, e giurare anche quod amplius exinde non tulisset. E il padrone può fare dell'aldio o del servo quod illi placuerit (cfr. Liut., 78 e Notitia de actor. reg., 5).

Né sono questi i soli rapporti nei quali l'aldio è trattato allo stesso modo del servo; come, ad es., si può vedere in Liutprando, 111, 121, 124, 140, 142. Un'assai notevole differenza però è racchiusa in Liutprando, 139.

Per quanto può riferirsi alla capacità di agire, l'aldio deve sempre essere rappresentato e difeso in giudizio dal padrone aut per sagramentum aut per pugnam, secondo la natura della causa (Liut., 68). Quindi solo il padrone può esigere la composizione per le offese fatte al suo aldio, ed è rispettivamente tenuto a rispondere delle offese fatte ad altri dall'aldio. Se - stabilisce Rotari (127) - sorge il dubbio che la ferita inferta ad un aldio possa produrne la morte, il padrone può, per il momento, pretendere soltanto la metà della composizione dovuta dal feritore. L'altra metà resterà sospesa per un anno, affinché si possa vedere se frattanto il ferito guarisca o muoia. Se guarisce, si paga al padrone l'altra metà. Se invece muore, si deve la somma stabilita per l'uccisione, dedotto però quello che s'era già pagato (cfr. Rot., 28, 129, 205, 208, 376).
Fu una novità eccezionale quella della Notitia de actoribus regiis, 4, che stabilì che il guidrigildo dell'aldio regio andasse per metà alla Curtis regia e per metà ai parenti del morto.
In quanto alla responsabilità del padrone per le colpe dell'aldio, era piena solo quando questi aveva agito per volere e col consenso di lui. Fuori di tal caso, la responsabilità padronale era attenuata e dalle pene corporali, a cui gli aldi vennero sottoposti in misura sempre più larga, in rispondenza del progressivo riconoscimento della loro personalità, e del diritto riconosciuto al padrone di liberarsi, almeno parzialmente, consegnando l'aldio autore del reato all'offeso.
Se - dice Liutprando (121) - il reato consistente nel turpiter conversari cum uxore aliena è commesso da un aldio o da un servo, il padrone del colpevole deve al marito della donna offesa sessanta solidi, e di più ipsa persona det ei in manu. Ma se il servo o l'aldio ha agito per voluntatem domini sui et provatum fuerit quod ipse dominus consenserit, questi deve il suo guidrigildo, sic tamen ut ipse servus in ipsa compositione tradatur. Se poi non consti della volontà del padrone, questi deve purificarsi col giuramento, restando la pena quella della prima ipotesi; cfr. Liut., 143; Rot., 258 e Liut., 125 e 147.

Se però un servo o un aldio commetteva un furto o un omicidio, la parte lesa poteva agire contro il padrone, soltanto finché era ancora in vita l'autore del reato. Dopo la morte del colpevole non poteva più agire (Liut., 97).

Per quanto si riferisce ai rapporti familiari, le unioni matrimoniali degli aldi erano protette dalla legge come del resto anche quelle dei servi. Il padrone - ordina Liutprando (140) - che commette adulterio con la moglie del proprio servo o del proprio aldio, perde entrambi i coniugi, i quali diventano per legge liberi et absoluti fulfrealis, ed hanno facoltà di andare dove vogliono tamquam si thingati fuissent. E poiché il thinx, secondo Rotari, 224,1, dovrebbe essere fatto dal padrone, che in questo caso non può, così la legge prescrive che a lui si sostituisca il principe.
Mentre per i matrimoni fra aldi dello stesso padrone non pare fosse necessario il permesso del medesimo, per quelli invece fra aldî di padroni diversi - come risulta da Liutprando, 139 - occorreva che questi si fossero messi d'accordo fra loro.

Se un aldio prendeva per moglie un'aldia o una liberta, i figli seguivano la condizione del padre (Rot., 218). Se l'aldio di un padrone prendeva l'aldia di un altro, senza averne da costui acquistato il mundio, i figli seguivano la madre ed erano aldi del padrone materno. Se invece ne acquistava il mundio, i figli erano aldî del padrone del padre (Liut., 126).
Secondo Rotari (217) se l'aldia di uno o anche una liberta in casa aliena ad maritum intraverit et servum tulerit, perde la sua libertà. E se il padrone trascura eam replecare ad servitium, ella, se restava vedova, vadat sibi una cum filiis suis et cum onmis res suas, che portò con sé nel momento del matrimonio, nam amplius nulla consequatur vitium suum reputit, quia servum consensit.
Il libero, che voleva prendere in moglie l'aldia propria o di altri, doveva prima renderla widerbora, ossia sua eguale. Se non faceva ciò e la teneva con sé quasi uxorem, procreava con lei figli non legittimi, ma naturali (Liut., 106, cfr. Rot., 222).

Rotari (219) aveva stabilito che se un aldio prendeva in moglie l'ancilla sua o di altri, i figli erano servi del padrone dell'ancilla. E nel c. 216 aveva detto: Se un aldio prende in moglie una libera e ne acquista il mundio, e, dopo aver procreato figli con lei, muore, nel caso che la vedova in ipsa casa noluerit permanere et parentes eam ad se recolligere voluerint, questi dovevano restituire al padrone dell'aldio defunto praetium, quod pro mundium ipsius mulieris datum est. La donna però riprendeva soltanto il faderfio, se lo aveva portato con sé dalla casa paterna, ma nulla dei beni del marito, neanche la morgengabe. E se i figli non volevano continuare a restare in casa patris, non solo non avevano nessun diritto sui beni del padre, che appartenevano al padrone, ma dovevano anche a costui mundium pro se, quantum pro matre eorum datum est, ed erano liberi di andare dove volevano. La libera dunque maritata all'aldio restava libera insieme con i figli.
Per quanto riguarda la condizione dei figli, si è già visto che, se il marito aveva acquistato il mundio della donna, i figli seguivano il padre; se non lo aveva acquistato, i figli seguivano la madre.
Nel corso dell'età feudale si verificò un certo pareggiamento tra le varie classi di condizione servile e semiservile, specialmente nelle campagne, e tutte finirono col fondersi nella classe unica dei servi della gleba. I ricordi degli aldì diventarono sempre più rari; e la memoria ne sopravvisse soltanto nei nomi propri.
Bibl.: H. Boos, Die Liten und Aldien nach den Volksrechten, Gottinga 1874; F. Schupfer, Aldi, liti e Romani, in Enciclopedia giuridica italiana, 1887; id., Degli ordini sociali e del possesso fondiario appo i Longobardi, in Sitzungsber. der Wiener Akad. der Wissensch., phil.-hist. Classe, XXXV (1860), p. 269 segg.; cfr. anche Davidsohn, Gesch. von Florenz, Berlino 1896, I, p. 314 segg.; H. Brunner, Deutsche Rectsgeschichte, 2ª ed., p. 147; G. Waitz, Deutsche Verfassungsgeschichte, 3ª ed., II, i, Berlino 1882, p. 239.
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Re: El dirito feoudal de ła prima note: travegoła o veretà?

Messaggioda Berto » mer mar 15, 2017 9:16 pm

Lo IusPrimaeNoctis non è mai esistito.
Destrutturiamo questo mito con il Prof. Alessandro Barbero.

https://www.facebook.com/raistoria/vide ... 1216102565
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Re: El dirito feoudal de ła prima note: travegoła o veretà?

Messaggioda Berto » mer mar 15, 2017 9:25 pm

Andrea Da Mosto: I bravi de Venesia
(altro ke łe vesasion de i nobełi de tera de secołar orexene jermanega o d’altra, cofà Don Rodrigo!)
http://sbmp.provincia.venezia.it/mir/mu ... aMosto.pdf
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