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La persecuzione giudiziaria dell'ebreo algerino naturalizzato francese Eric Zemmour, da parte dei nazi maomettani e dei loro demenziali difensori e alleati politicamente corretti; uno dei pochi uomini in Francia che ha il coraggio di dire la verità e di chiamare le cose con il loro nome: Islam = nazismo maomettano, Maometto peggio di Hitler, nazismo moamettano dell'Umma peggio del nazismo ariano.
Lo chiamano razzista per demonizzarlo, ma lui dice solo la verità e non si nasconde, nonostante le denunce, le condanne e i tentativi di ammazzarlo.
Ecco l'esempio di un giornale asservito al nazismo maomettano:Il polemista di estrema destra Eric Zemmour si è candidato alle presidenziali in Francia
Anais Ginori
30 novembre 2021
https://www.repubblica.it/esteri/2021/1 ... 328387310/PARIGI - «Perché i nostri figli non conoscano la barbarie, le nostre figlie non siano velate, perché i francesi si sentano di nuovo a casa loro, ho deciso di candidarmi alla presidenza della Repubblica». Éric Zemmour si lancia ufficialmente nella corsa all’Eliseo con un video diffuso su YouTube. «Non è più tempo di riformare la Francia ma di salvarla», dice l’ex giornalista del Figaro, leggendo per quasi dieci minuti un testo che riprende molti dei temi dei suoi libri: un Paese in “decomposizione”, dove «una minoranza opprime la maggioranza», nella sua visione sconvolto dall’immigrazione e dall’Islam.
Con un tono lirico, in un’atmosfera crepuscolare, accompagnato dalla settima sinfonia di Beethoven, Zemmour si rivolge ai francesi: «Camminate nelle strade delle vostre città e non le riconoscete più. Accendete la televisione e vi sembra di sentire una lingua strana, per non dire straniera». Scorrono le immagini delle banlieue violente, degli immigrati nei quartieri più poveri, delle donne velate, alternate a quelle di una Francia «quando era grande», da personaggi mitici come Napoleone e De Gaulle, alla potenza tecnologica e culturale, l’invenzione dell’aereo supersonico Concorde, le centrali nucleari ma anche idoli popolari come Brigitte Bardot e Jean-Paul Belmondo. «Un Paese di cui i vostri figli hanno nostalgia senza averlo neanche conosciuto», dice il candidato. «Da decenni - continua - i nostri governi di destra e di sinistra ci hanno condotto sul cammino funesto del declino e della decadenza».
Sessantatre anni, cresciuto in una famiglia di ebrei algerini, il giornalista ricorda di essersi a lungo accontentato di svolgere il “ruolo di Cassandra” attraverso articoli e libri che descrivevano quello che secondo lui era l’inesorabile declino della grandeur, il suo bestseller s’intitolava “Le suicide français”. Con l’ultimo pamphlet, “La France n’a pas dit son dernier mot”, la Francia non ha detto l’ultima parola, ha cominciato tre mesi fa una lunga tournée, preparando di fatto la sua candidatura. «Credevo che un politico avrebbe preso la torcia che gli passavo», racconta Zemmour nel filmato per spiegare come mai ha aspettato prima di lanciarsi ufficialmente. «Mi dicevo: a ognuno il suo mestiere, il suo ruolo, la sua lotta. Sono tornato su questa illusione. Ho capito che nessun politico era pronto a riprendere in mano il destino del nostro Paese».
Alla fine l’annuncio è arrivato nel giorno in cui Emmanuel Macron celebrava l’ingresso al Panthéon dell’artista Joséphine Baker, impegnata nella Resistanza e nei movimenti contro le discriminazioni, simbolo dell’universalismo francese. Nei dieci minuti di dichiarazione, Zemmour guarda poco la telecamera, resta chino nella lettura dei fogli, parla con un certo fervore davanti a un microfono un po’ d’antan, con un chiaro riferimento all’appello alla resistenza pronunciato da Londra al generale De Gaulle. Ora comincia la parte più dura. Nella campagna per il voto di aprile è in diretta competizione con Marine Le Pen e il candidato dei Républicains che sarà scelto sabato. Secondo gli ultimi sondaggi, Macron raccoglierebbe il 25% dei voti al primo turno e affronterebbe al ballottaggio non più Zemmour, come sembrava qualche settimana fa, ma Le Pen, che raccoglie fra il 19 e il 20% delle intenzioni di voto. L’aggressivo polemista è finito al 14-15%. Meno di qualche settimana fa, ma sempre davanti all’ancora ignoto candidato della destra.
Le varie condanne per incitamento all’odio razzista - era di nuovo imputato qualche settimana fa per aver detto che tutti i minorenni immigrati sono «ladri, strupratori e assassini» - non hanno frenato Zemmour nella sua ascesa ma le sue provocazioni permanenti cominciano forse a spaventare o stancare una parte degli elettori. Qualche giorno fa in trasferta a Marsiglia è stato inseguito dai fischi degli oppositori e l’immagine in cui ricambia il dito medio a una passante ha fatto il giro della Francia. Il giornalista dovrà raccogliere cinquecento firme di eletti per poter depositare la sua candidatura e far capire come vorrebbe governare la Francia. È difficile immaginare che i francesi mandino all’Eliseo solo una Cassandra.
Eric Zemmour non è affatto d'estrema destra.Il figlio che vorrei
Renaud Dély
30 novembre 2021
Questo articolo è pubblicato sul numero 48 di Vanity Fair in edicola fino al 30 novembre 2021
https://www.vanityfair.it/article/il-fi ... rie-le-penTornare alle origini. Andare indietro nel tempo per capire la metamorfosi di un giornalista che sogna di farsi salvatore della Francia. Andare alla fonte della mutazione di Éric Zemmour, ayatollah della dottrina del declino, autore di best seller ansiogeni e instancabile «polemista» di professione che si è trasformato in attore politico: nel momento in cui scriviamo, il possibile candidato alle presidenziali del 2022 supera Marine Le Pen nelle intenzioni di voto: nell’ultima rilevazione Harris Interactive ha il 17-18% contro il 16 della presidente del Rassemblement National. Per capire come questo ammiratore di Napoleone, che sognava una Austerlitz all’Eliseo, sia riuscito a riesumare vecchie paure del tipo «la Francia sta per sparire», «la civilizzazione cristiana sta correndo un pericolo mortale», seminando il panico nel mondo politico, e sparigliando le carte della campagna presidenziale, bisogna ascoltare le parole di Jean-Marie Le Pen: il patriarca dell’estrema destra francese è sempre stato affascinato dal «caso Zemmour» ed è legato al giornalista da una lunga amicizia.\
A Montretout, appena fuori Parigi, si trova l’imponente villa in stile Napoleone III di Le Pen con le sue dépendance e il grande giardino che domina la Torre Eiffel e offre una vista pazzesca sulla capitale. All’interno, le undici stanze custodiscono la lunga storia di quell’estrema destra che ha partorito il «fenomeno Zemmour». Jean-Marie Le Pen tarda ad arrivare: un problema con la protesi acustica lo ha costretto a una deviazione dal medico. Mi raggiunge con fatica nel suo studio al primo piano, stipato di statuine di Giovanna d’Arco e modellini di vecchie navi. Si appoggia al bastone, respira con affanno e, un passetto dopo l’altro, si lascia cadere sulla poltrona di fronte al camino. Il capo storico dell’estrema destra francese dimostra tutti i suoi 93 anni. Subito evoca la morte in agguato: «Non ci pensavo mai, ma da quando ho varcato la soglia dei 90 so che ho iniziato l’ultimo rettilineo...».\
Malgrado il sole illumini la stanza, l’atmosfera è sottilmente crepuscolare. Le Pen sembra stanco, quasi sfinito, ma appena pronuncio il nome di Éric Zemmour gli brillano gli occhi: «Ah sì, Éric... Abbiamo sempre avuto rapporti cordiali, mai un problema. È sempre stato gentile, affascinante, e condividiamo un sacco di idee». \
L’artefice della «riabilitazione»
Le Pen l’ha visto crescere, Zemmour. Cominciano a frequentarsi alla fine degli anni ’80. All’epoca, il futuro polemista è un giovane giornalista politico al Quotidien de Paris. La prima volta che si reca alla villa di Montretout frequenta già le quinte della destra, indaga i punti deboli di Jacques Chirac (l’ex presidente della Repubblica – dal 1995 al 2007 – scomparso nel 2019, nonché fondatore del Rassemblement pour la République, il partito neogollista che nel 2002 confluirà nell’Union pour un mouvement populaire, ndr) e si lascia conquistare dalle certezze di Charles Pasqua (ministro dell’Interno dal 1986 al 1988 nel secondo governo Chirac, e dal 1993 al 1995 nel governo di Édouard Balladur. Scomparso nel 2015, è stato tra gli esponenti dell’ala più oltranzista del Rassemblement pour la République, ndr).
Ma è «l’animale» Le Pen ad attirarlo: Zemmour intercetta quello che fa tremare il quartetto dei partiti di potere: socialisti e comunisti da una parte, il Rassemblement pour la République e l’Union pour la démocratie française (di ispirazione liberal-democratica, nel 2007 è poi confluito nel Mouvement démocrate, ndr). Forte di un gruppo parlamentare che conta 35 deputati, il leader del Front National, la destra nazional-populista, è in netta ascesa. Siamo nel pieno della campagna presidenziale del 1988. Senza un avvicinamento tra la destra e il FN, il socialista François Mitterrand sembra essere destinato a una rielezione. Zemmour deplora l’ostracismo della destra nei confronti di Le Pen. Più volte chiede a Chirac: «Perché non parla con Le Pen?», senza mai ottenere una risposta soddisfacente. Grazie ad alcuni articoli, Zemmour diventa l’artefice della dédiabolisation, in pratica un tentativo di «riabilitazione» di Le Pen. Se non che Le Pen è ormai infrequentabile, travolto dallo scandalo dell’autunno del 1987, quando definì le camere a gas «un dettaglio della storia della Seconda guerra mondiale», affermazione che gli varrà tre condanne per aver contestato l’esistenza di un crimine contro l’umanità. Da parte sua, Zemmour relativizza la colpa. Nel libro Le Suicide français (Albin Michel) la riduce all’espressione di «anacronismo».
«Da quel momento è nata la nostra simpatia», ricorda Le Pen. All’epoca, nonostante l’odore di zolfo che aleggia sul presidente del FN, Chirac, con le spalle al muro, accetta di incontrarlo: la sera del 24 aprile 1988, al primo turno delle presidenziali, accusa un ritardo di 14 punti su François Mitterrand, e ha quindi bisogno del sostegno di Le Pen, in quarta posizione col 14,4% dei voti. Sul settimanale Valeurs actuelles Pasqua si erge ad araldo dei «valori comuni» tra Rassemblement pour la République e FN. Sotto il suo impulso, tra i due turni delle elezioni viene organizzato un incontro segreto tra i candidati. Pasqua vuole «terrorizzare i terroristi» ma ammansire Le Pen. Non funziona. L’incontro è glaciale. Chirac è teso. Racconta Le Pen: «Era nervosissimo, faceva fatica a guardarmi negli occhi, diceva: “Cerchi di capirmi, questo non lo potrò mai fare, quello non lo potrò mai dire. Non le concederò nulla, né sull’immigrazione, né sul resto!”. Ho risposto: “Se lei non può fare nulla, allora non mi è chiaro il motivo di questo nostro incontro. Non potrò chiedere che si voti per lei”».\
Presidente, mio presidente
Per molto tempo Zemmour ha rimpianto quest’occasione persa. L’ha raccontata nel libro dedicato a Chirac L’Homme qui ne s’aimait pas (Balland). Deluso dall’allora sindaco di Parigi, si lega più apertamente a Le Pen. Redattore a Le Figaro dal 1996, stringe da quel momento una complicità intellettuale con il leader dell’estrema destra, più vecchio di lui di trent’anni. Bisogna riconoscere che Zemmour ci sa fare: che si trovi a una conferenza stampa a Montretout o al «Paquebot», la sede del partito, Zemmour evita accuratamente di stare in mezzo ai colleghi. È l’unico giornalista a chiamare Le Pen «presidente», non risparmia le lusinghe e il capo se ne compiace, così come si diverte alle vere «false domande» che il giovane provocatore fa scivolare nelle sue ampie analisi politiche farcite di riferimenti storici: l’Impero e le gesta napoleoniche, l’Appello del 18 giugno (De Gaulle, ndr), i traumi delle guerre coloniali, e chi più ne ha più ne metta. «Éric era uno dei rari giornalisti con il quale si poteva parlare a ruota libera. Spesso gli altri mantenevano un certo riserbo per paura che poi si riportassero parole potenzialmente imbarazzanti. Al contrario, Éric era molto chiaro, molto libero!», dice Le Pen e, come lui, si piccava di riscrivere la Storia.
Durante i loro tête-à-tête, Zemmour va in visibilio di fronte ai bronzi di Giovanna d’Arco che riempiono gli scaffali di Le Pen. Si entusiasma per i busti di Napoleone. I due compari mettono alla gogna il tradimento del vescovo Cauchon, che consegnò Giovanna d’Arco agli inglesi, e quello del maresciallo Grouchy, che piantò in asso l’Imperatore a Waterloo. Zemmour diventa un habitué della sala da pranzo di Montretout, dove viene regolarmente invitato.
Sotto la penna del Figaro lavora il Rastignac dell’estrema destra (Eugène de Rastignac è un protagonista dei romanzi di Honoré de Balzac nelle vesti di uomo esperto della vita parigina e dell’alta politica, ndr). Al riparo da orecchie indignate, i due uomini concordano sulla riabilitazione del maresciallo collaborazionista Philippe Pétain. Tant’è che, quando nel 2014, nel Suicide français Zemmour spiega che Pétain ha protetto gli ebrei francesi durante l’occupazione, Le Pen vola in suo soccorso e lo difende così in tv: «Éric è un uomo intelligente e coraggioso, lo conosco da tempo, per lui ho simpatia e stima perché so bene quanto coraggio ci voglia per osare dire certe cose». A più riprese, Le Pen ripeterà che ai suoi occhi il capo del regime di Vichy «non era un traditore». L’anno dopo, proprio la difesa di Pétain sarà uno dei motivi della sua esclusione dal FN: «È stato uno degli argomenti della requisitoria contro di me. Come ha potuto farmi questo Marine Le Pen?», si indigna ancora a sei anni di distanza riferendosi alla sua terzogenita, presidente del Rassemblement National.
Quando, nel settembre 2020, Zemmour si lancia nell’ennesimo tentativo di riabilitazione di Pétain, Jean-Marie Le Pen si entusiasma: «Non ha paura di nulla e dà prova di un’eccezionale libertà di spirito!». Per il fondatore del FN, le molteplici condanne per «incitamento alla discriminazione razziale» sono altrettante medaglie: «Come me, Éric è vittima delle toghe rosse!». Bisogna precisare che, secondo lui, se Zemmour riesce coraggiosamente a «rimuovere qualche tabù storico» è perché dispone di un «paracadute». Un paracadute? Ci viene un dubbio. Cosa intende Le Pen ? Abbassa la voce e dice: «Éric è israelita [sic]...». Ed eccoci nel calderone dell’antisemitismo. Insiste: «Éric può dire cose che altri non possono dire, pena la minaccia di essere chiamati fascisti o nazi. Difficile dare del nazi a Zemmour visto che è israelita [ri-sic]... Questo gli offre una certa protezione». Dopo queste parole, sento che sto per avere un mancamento...
(Si noti inoltre che, il 17 novembre scorso, si è aperto a Parigi il processo al polemista per «complicità in provocazione all’odio razziale» e «ingiuria razziale», dopo le sue controverse dichiarazioni sui migranti minorenni isolati definiti come «ladri, assassini e stupratori», ndr).
Dire la verità non è odio razziale e sull'Italia non ha tutti i torti, è una nazione sbagliata mal riuscita e piena di magagne.
Francia: odio razziale, al via il processo a Eric Zemmour Agenzia ANSA
17 novembre 2021
https://www.ansa.it/sito/notizie/topnew ... 6c26b.html Il processo al polemista francese di estrema destra nonché possibile candidato alle elezioni presidenziali del 2022, Eric Zemmour, si è aperto oggi a Parigi.
Zemmour è oggetto di una nuovo procedimento giudiziario per le sue controverse dichiarazioni sui migranti minorenni isolati.
Il processo si è però aperto in sua assenza, "per evitare che l'aula giudiziaria si trasformi in uno studio televisivo all news", ha detto ieri il suo avvocato, Olivier Pardo.
Noto per le sue dichiarazioni incendiarie, Zemmour è a processo per "complicità in provocazione all'odio razziale" e "ingiuria razziale". Oggetto del processo sono questa volta le controverse parole da lui pronunciate il 29 settembre 2022 sull'emittente CNews. Durante un talk show, il polemista bollò i migranti minorenni isolati come "ladri, assassini e stupratori".
"Non sono nient'altro che questo - aggiunse Zemmour - bisogna mandarli via e non devono neanche venire". Il polemista fu già condannato lo scorso autunno a pagare una multa di 10.000 euro per ingiuria e incitamento all'odio dopo una diatriba contro l'Islam e l'immigrazione.
Tra l'altro, il 15 aprile 2020, polemizzando in pieno lockdown sull'emittente Paris-Premiere, Zemmour replicò a un cronista italiano dicendo che "l'Italia non esiste, non è mai esistita, non è una nazione e voi (italiani, ndr) dovreste essere francesi. Se Napoleone avesse vinto, sareste francesi".
“Viva l’islam, viva Allah”. E il giornalista francese viene nuovamente aggredito per strada20 maggio 2020
https://www.ilfoglio.it/esteri/2020/05/ ... ur-318831/Roma. La prima minaccia di morte a Éric Zemmour risale al 7 giugno 2012, quando una lettera arrivò alla radio Rtl, il suo datore di lavoro, in rue Bayard nell’ottavo arrondissement di Parigi. Zemmour è chiamato “SS in libertà” e gli autori annunciano di voler attaccare fisicamente il giornalista e la sua famiglia. L’ultima minaccia, due settimane fa, ha spinto anche il presidente francese Emmanuel Macron a esprimergli solidarietà. “Parigi. Francia 2020. Questa donna inveisce contro Zemmour nel nome di ‘Viva l’islam!’. E’ ridicolo, non lo accetto. Mi rifiuto di abituarmi”, ha reagito l’avvocato Gilles-William Goldnadel in un video. Il polemista del Figaro, antimmigrazione e antisistema, il più critico dell’integrazione e delle banlieue, camminava per strada a Parigi senza scorta (gli è stata tolta mesi fa) quando una donna gli si è avvicinata gridando “Éric Zemmour! Lunga vita all’islam! Lunga vita ad Allah! Lunga vita a Maometto!”. E’ il secondo episodio in due settimane. Il 1° maggio, Zemmour era stato aggredito e insultato sempre a Parigi mentre faceva la spesa. “Figlio di puttana! Fanculo a tua madre!”, gli urlano. Il video, diventato virale, aveva causato tumulti sui social e un’ondata di indignazione da parte dei politici di tutte le parti. Nel novembre scorso, Zemmour era stato chiamato “bastardo sionista” da una fiche S, un sospettato di terrorismo, di fronte alla sede di Cnews durante una dimostrazione. Una manifestazione chiamata “Stop Zemmour” era stata indetta davanti all’emittente che ha arruolato il polemista di destra. Il co-fondatore del Coordinamento contro il razzismo e l’islamofobia, Abedelaziz Chaambi, prende la parola dal palco e chiama Zemmour “bastardo sionista”, “virus” e “bestia disgustosa”.
Francia: Criticare l'Islam e vivere sotto scorta della poliziadi Giulio Meotti
3 marzo 2016
Pezzo in lingua originale inglese: France: Criticize Islam and Live under Police Protection
Traduzioni di Angelita La Spada
https://it.gatestoneinstitute.org/7552/ ... care-islam "Dopo alcuni momenti di paura, ho pensato che se esistono queste minacce è perché la mia lotta ha sventato i piani dei Fratelli musulmani portandoli alla luce. Ho deciso di non rinunciare." – Laurence Marchand-Taillade, segretaria nazionale del Parti Radical de Gauche.
Lo scrittore Éric Zemmour vive sotto scorta della polizia. Due poliziotti lo seguono ovunque vada – anche in tribunale, dove le organizzazioni musulmane hanno cercato di diffamare lui e il suo operato accusandolo di "islamofobia", per farlo tacere.
In Francia, la stagione di caccia è ancora aperta per chi critica l'Islam.
"Sei condannata a morte. È solo questione di tempo." Questo messaggio in arabo è stato inviato dagli islamisti a Laurence Marchand-Taillade, segretaria nazionale del Parti Radical de Gauche. Ora, vive sotto scorta della polizia francese.
Su pressione del Ministero dell'Interno, madame Marchand-Taillade ha costretto la Fratellanza musulmana a rinunciare all'idea di invitare tre fondamentalisti islamici a un convegno a Lilla. Gli islamisti in questione sono il siriano Mohamed Rateb al Nabulsi, il marocchino Abouzaid al Mokrie e il saudita Abdullah Salah Sana'an, secondo i quali la punizione per l'omosessualità è "la pena di morte", la coalizione internazionale contro lo Stato è "infedele", che gli ebrei "distruggono le nazioni" e che solo la musica religiosa è lecita.
Laurence Marchand-Taillade ha pubblicato un articolo su Le Figaro in cui invocava l'espulsione di questi islamisti, con il loro "messaggio antisemita e pro-jihadista".
Sul magazine Marianne, Marchand-Taillade ha poi scritto, assieme al giornalista franco-algerino Mohamed Sifaoui, un articolo che chiedeva le dimissioni dei vertici dell'Osservatorio della laicità. In un'intervista ella mi ha detto:
"Sono presidente di un'associazione che sostiene la laicità nella Val-d'Oise. E da anni osservo rinunce e compromessi irragionevoli da parte dell'Osservatorio della laicità nazionale, che ha incentivato un aumento del comunitarismo radicale partecipando a forum dal titolo 'Siamo uniti', accanto al rapper Médine che ha chiesto la 'crocifissione dei laici', il 'Collettivo contro l'islamofobia' e Nabil Ennasri, un Fratello musulmano del Qatar. Il presidente dell'Osservatorio della laicità, Jean Louis Bianco, ha dato credito a queste organizzazioni salafite in guerra con i nostri valori.
"Nei primi mesi del 2014, ho iniziato anche a riferire alle autorità dell'arrivo di alcuni imam come Nader Abou Anas, che giustifica lo stupro coniugale, e Hatim Abu Abdillah, che promette una 'punizione atroce' per le belle donne. Poi, sono andata a Lilla, il 6 e 7 febbraio, in cui Tariq Ramadan e altri erano venuti a indottrinare i nostri giovani". Da allora, la sua vita non è stata più la stessa.
Come ha reagito alla condanna a morte?
"Dopo alcuni momenti di paura, ho pensato che se esistono queste minacce è perché la mia lotta ha sventato i piani dei Fratelli musulmani, portandoli alla luce. Ho deciso di non rinunciare, pur sapendo che devo assumere precauzioni per la mia sicurezza. Gli islamisti hanno iniziato un lungo lavoro sotto copertura in tutti i settori della società civile. Rispondono a una dottrina scritta da Hassan al-Banna, il nonno di [Tariq] Ramadan. La loro bandiera ha due spade e il Corano: l'indottrinamento e la violenza sono metodi per ottenere il potere. La Francia è un paese prescelto per numerosi motivi: ha una popolazione di grandi dimensioni originaria del Nord Africa; è un paese laico contro il quale si possono usare le stesse armi democratiche; ha avuto politiche deboli. L'unico modo per fermare la minaccia è quello di riaffermare l'assoluta libertà di coscienza. Non possiamo permettere che intere fasce della popolazione francese, musulmane, cadano nella trappola dell'odio verso il paese in cui sono nate e, soprattutto, che le considera parte della nazione. È una scelta di civiltà, mentre l'oscurantismo cerca di distruggere due secoli di progresso per l'umanità".
Quanto accaduto a Marchand-Taillade – vivere 24 ore al giorno sotto scorta della polizia perché ha esercitato il suo diritto costituzionale alla libertà di espressione – ci dice molto sulla Francia, dove decine di accademici, intellettuali, scrittori e giornalisti ora sono costretti a vivere sotto protezione solo a causa della loro posizione critica nei confronti dell'Islam.
Non si tratta solo di politici come Marine Le Pen e Samia Ghali, sindaco di Marsiglia, o di giudici come Albert Lévy, titolare di inchieste sui fondamentalisti islamici.
Il più famoso è Michel Houellebecq, autore del romanzo Soumission, che vive sotto scorta della gendarmerie da quando ha pubblicato il suo ultimo libro. Haute protection – alta protezione – anche per Éric Zemmour, l'autore di Le Suicide Français. Due poliziotti lo seguono ovunque vada, anche in tribunale, dove le organizzazioni musulmane hanno cercato di diffamare lui e il suo operato accusandolo di "islamofobia", per farlo tacere.
"Riss", il direttore di Charlie Hebdo, e i vignettisti superstiti vivono sotto protezione della polizia e i loro nuovi uffici si trovano in una località sconosciuta. Il mio amico Robert Redeker, un docente di filosofia condannato a morte nel 2006 dagli islamisti per un articolo pubblicato su Le Figaro, vive ancora come un fuggitivo, come se fosse un prigioniero politico nel suo paese. Le sue conferenze e i corsi sono stati annullati, la sua casa venduta, il funerale del padre è stato celebrato in segreto e il matrimonio di sua figlia è stato organizzato dalla polizia.
Anche Mohammed Sifaoui, che si è infiltrato in una cellula francese di al Qaeda e ha scritto un libro sconcertante, Combattre le terrorisme islamiste ("Combattere il terrorismo islamista"), vive sotto scorta della polizia. La sua foto e il nome appaiono nei siti web jihadisti accanto alla parola murtad (apostata).
Il filosofo e saggista francese, Michel Onfray, ha deciso di non pubblicare in Francia un saggio critico nei confronti dell'Islam. Egli sostiene che "nessun dibattito è possibile" nel paese dopo gli attacchi terroristici del 13 novembre a Parigi (il suo libro è stato appena pubblicato nel mio paese, l'Italia).
È sotto scorta Frédéric Haziza, giornalista radiofonico e della rivista Le Canard Enchaîné, bersaglio di minacce da parte degli islamisti. Vive sotto protezione Philippe Val, l'ex direttore di Charlie Hebdo e di France Inter, che nel 2006 decise di pubblicare le vignette su Maometto. La giornalista franco-algerina Zineb Rhazaoui è sempre accompagnata da sei poliziotti, come lo è il coraggioso imam Hassen Chalgoumi, che è protetto come se fosse un capo di Stato.
In Gran Bretagna, la fatwa del 1989 contro Salman Rushdie eliminò qualsiasi dubbio a letterati e giornalisti sull'opportunità di criticare o meno l'Islam. Nei Paesi Bassi, è bastato recidere la gola di Theo van Gogh per aver realizzato "Submission", un film che parla di una donna vittima di abusi in un matrimonio forzato. Il parlamentare olandese Geert Wilders ha partecipato a dibattiti indossando un giubbotto antiproiettile e Ayaan Hirsi Ali, la sceneggiatrice di "Submission", ha lasciato il paese e ha trovato rifugio negli Stati Uniti. In Svezia, il vignettista Lars Vilks ora vive come un'ombra. In Danimarca, la sede del quotidiano Jyllands Posten, che pubblicò per primo le vignette su Maometto, è circondata da un recinto di filo spinato alto due metri e che si estende per un chilometro. È simile a un'ambasciata americana in Medio Oriente.
In Francia, la stagione di caccia è ancora aperta per chi critica l'Islam. Ma per quanto tempo ancora?
Giulio Meotti, redattore culturale del quotidiano Il Foglio, è un giornalista e scrittore italiano.
Francia: più terrorismo, più silenzioGiulio Meotti (*)
5 ottobre 2020
https://www.opinione.it/esteri/2020/10/ ... arbonnier/Il 25 settembre, a Parigi, due persone sono state accoltellate e sono rimaste gravemente ferite all’esterno dell’ex redazione di Charlie Hebdo, in cui nel 2015 furono assassinati dagli estremisti islamici 12 redattori e fumettisti della rivista satirica. Il sospettato dell’attentato, in custodia cautelare, è indagato per terrorismo.
Gli accusati di omicidio della strage del 2015 sono attualmente sotto processo a Parigi.
Poco prima dell’attacco a coltellate, il 22 settembre, la direttrice delle risorse umane di Charlie Hebdo, Marika Bret, non è tornata a casa. In effetti, non ha più una casa. È stata costretta a fuggire a seguito di gravi e concrete minacce di morte lanciate contro di lei dagli estremisti islamici. La donna ha deciso di rendere pubblica la propria esfiltrazione dal suo domicilio da parte dell’intelligence francese per allertare sulla minaccia dell’estremismo in Francia.
“Vivo sotto la protezione della polizia da cinque anni”, ha raccontato la Bret al settimanale Le Point.
“I miei agenti di sicurezza hanno ricevuto minacce specifiche e dettagliate. Avevo dieci minuti per fare le valigie e lasciare la casa. Dieci minuti per rinunciare a una parte della propria vita sono un po’ poco ed è stato molto violento. Non tornerò dove abito. Sto perdendo la mia casa per via dell’odio, quell’odio che inizia sempre con la minaccia di instillare la paura. Sappiamo come può finire”.
La Bret ha inoltre affermato che la Sinistra francese ha abbandonato la battaglia per la laicità.
Dall’inizio del processo agli uomini accusati di essere gli autori dell’attacco alla sede di Charlie Hebdo, nel 2015 – e soprattutto con la ripubblicazione delle vignette su Maometto – Charlie ha ricevuto minacce di ogni tipo, comprese quelle di al-Qaeda. Oggi, alla rivista satirica la sicurezza è imponente. “L’indirizzo della nostra redazione è segreto, ci sono cancelli di sicurezza ovunque, porte e finestre blindate, agenti di sicurezza armati, difficilmente riusciamo a fare entrare qualcuno”, ha dichiarato la Bret.
Attualmente, ci sono 85 poliziotti a proteggere i giornalisti di Charlie.
Marika Bret è un’altra clandestina della libertà di espressione in Francia, il Paese di Voltaire. Il primo fu un professore di filosofia, Robert Redeker. Il 17 settembre 2006, Robert Redeker si alza presto per scrivere un articolo per il Figaro sull’Europa alle prese con l’islamismo. Tre giorni dopo, era in una casa sicura e in fuga.
Lo scorso gennaio, Mila O., una sedicenne francese, ha espresso commenti offensivi sull’Islam in un video in diretta su Instagram.
“Durante la diretta streaming, un ragazzo musulmano le chiede un appuntamento che lei rifiuta di dargli dicendo di essere gay. Il giovane risponde accusandola di razzismo e definendola una ‘sporca lesbica’. In un video furioso in streaming, successivo agli insulti ricevuti, Mila replica con veemenza asserendo che ‘odia la religione’”.
E la ragazza dice tra l’altro: “Conosci la libertà di espressione? Non ho esitato a dire quello che pensavo. Detesto la religione. Il Corano è una religione di odio. Non c’è altro che odio in esso. Questo è ciò che penso. Dico quello che penso (...) l’Islam è m*rda. (...) Non sono affatto razzista. Non si può essere razzista nei confronti di una religione. (...) Dico quello che voglio, dico quello che penso. La vostra religione è una m*rda. Il vostro Dio, gli metto un dito nel c*lo...”.
Dopo che l’indirizzo della sua scuola era stato pubblicato sui social media, Mila è stata costretta a lasciare l’istituto e a traferirsi in un’altra scuola, questa volta tenuta segreta.
Il giornalista Éric Zemmour è stato aggredito più volte sotto casa, mentre la giornalista franco-marocchina Zineb el Rhazoui si è vista pubblicare sui social l’indirizzo della sua abitazione.
Nel frattempo, a suo merito, il presidente francese Emmanuel Macron ha difeso il diritto di Charlie Hebdo alla libertà di espressione. “La blasfemia, egli ha dichiarato, non è un reato”.
“La legge è chiara: (in Francia, ndr) abbiamo il diritto alla blasfemia, alla critica, alle caricature delle religioni. L’ordine repubblicano non è un ordine morale (...) ciò che è fuorilegge è incitare all’odio e attaccare la dignità”.
In un procedimento giuridico del 2007, i giudici hanno stabilito che “in Francia è possibile offendere una religione, le sue figure e i suoi simboli (...) ma, non chi la professa”.
Tuttavia, le parole coraggiose delle autorità francesi sembrano innocue, smorzate e sorde rispetto alla forza della violenza e dell’intimidazione estremista.
Il fondamentalismo islamico è già riuscito a rimpiazzare non solo migliaia di cristiani perseguitati – come Asia Bibi, costretta a fuggire in Canada dopo essere stata assolta dall’accusa di blasfemia in Pakistan. Questo tipo di estremismo è riuscito anche a trasformare molti cittadini europei in prigionieri, persone che si nascondono nei loro Paesi, condannate a morte e costrette a vivere in case sconosciute insieme ai loro amici e familiari. E noi ci abbiamo fatto l’abitudine!
Il giorno della condanna a morte iraniana contro Salman Rushdie per il suo romanzo I versi satanici, lo scrittore e sua moglie, Marianne Wiggins, furono prelevati dalla loro casa a nord di Londra, dal servizio segreto inglese, per essere portati nella prima delle oltre cinquanta case sicure in cui Rushdie è vissuto per i dieci anni successivi.
Il parlamentare olandese Geert Wilders – il cui nome, il prossimo sulla lista dei “bersagli”, era scritto su un foglio di carta infilzato con un pugnale nel petto di Theo Van Gogh, il regista olandese accoltellato a morte – vive in case sicure dal 2004. “Io sono in carcere”, egli dice “e loro se ne vanno in giro liberamente”.
Dieci anni fa, anche una giornalista del Seattle Weekly, Molly Norris, disegnò una caricatura di Maometto in solidarietà con gli autori minacciati di South Park. L’ultimo articolo di giornale che ha parlato di lei rilevava: “Avrete notato che la striscia di Molly Norris non è contenuta nel numero di questa settimana Questo perché Molly non esiste più (...) su consiglio degli specialisti della sicurezza dell’Fbi, lei si trasferirà e cambierà nome...”.
Il quotidiano danese Jyllands Posten, che nel 2005 pubblicò per primo le vignette su Maometto, ha rinunciato. Il giornale ha deciso di non ripubblicare le caricature del Profeta dell’Islam quando Charlie Hebdo le ha riproposte in prima pagina. Flemming Rose, il responsabile della cultura del Jyllands Posten che ha pubblicato le vignette sul quotidiano, è ancora scortato da guardie del corpo. “Ammiro davvero il coraggio di Charlie”, ha dichiarato Rose.
“Eroi che non hanno ceduto alle minacce o alla violenza. Sfortunatamente, nessuna pubblicazione in Francia o in Europa si comporta come Charlie. Ecco perché credo che in Europa esista una legge – non scritta – contro la blasfemia. Non sto criticando i giornalisti e gli editori che fanno questa scelta. Non possiamo incolpare le persone che, a differenza di Charlie, non mettono in pericolo la propria vita. Ma non lasciamoci ingannare: questa mancanza di coraggio nel seguire le orme di Charlie ha un prezzo, stiamo perdendo la libertà di parola e una forma insidiosa di autocensura sta guadagnando terreno”.
Nei giorni scorsi, il nuovo direttore del Jyllands Posten, Jacob Nybroe, ha ribadito: “Non le pubblicheremo più. Ho confermato questa linea editoriale quando sono arrivato e ho ricevuto molti applausi. Potrò sembrare un vigliacco, ma non possiamo farlo”.
I nomi dei vignettisti danesi sono apparsi sulla stessa hit list che Al-Qaeda ha pubblicato con il nome del direttore di Charlie Hebdo, Stéphane Charbonnier, ucciso nel massacro del 2015. Il vignettista danese Kurt Westergaard è vivo solo perché durante un attacco terroristico alla sua abitazione è riuscito a nascondersi.
Oggi, la sede centrale del Jyllands Posten ha vetri antiproiettile, sbarre e lastroni metallici, filo spinato e videocamere. Si trova di fronte al porto di Aarhus, la seconda città più grande della Danimarca, ed è sorvegliata giorno e notte. Ogni porta automatica, ogni ascensore richiede un badge e un codice. Si entra come se fosse un caveau di una banca. Si apre una porta e quando si richiude si apre quella di fronte. I redattori entrano uno alla volta. “In poche parole, la libertà di espressione è in pessime condizioni in tutto il mondo. Anche in Danimarca, in Francia e in tutto l’Occidente. Questi sono tempi difficili; le persone preferiscono l’ordine e la sicurezza alla libertà”, ha dichiarato Rose.
Se tutti noi non difendiamo le nostre libertà, presto non le avremo più.
Ecco le menzogne del Post contro Zemmour che da vittima aggredita viene fatto passare per carnefice aggressoreLa campagna elettorale di Éric Zemmour è iniziata con scontri e violenze
Eric Zemmour durante il comizio per l'apertura della sua campagna elettorale, domenica 5 dicembre a Villepinte, poco fuori Parigi (AP Photo/ Rafael Yaghobzadeh)
lunedì 6 Dicembre 2021
https://www.ilpost.it/2021/12/06/eric-z ... lettorale/ Nel primo vero comizio alcuni attivisti antirazzisti sono stati picchiati dai sostenitori del candidato di estrema destra, aggredito a sua volta
Domenica a Parigi ci sono stati scontri e violenze durante il comizio di apertura della campagna elettorale di Éric Zemmour, popolarissimo giornalista e conduttore tv di estrema destra che martedì scorso si era candidato ufficialmente alla presidenza francese, dopo mesi di voci insistenti. Un gruppo di attivisti antirazzisti che avevano provato a contestare Zemmour al comizio è stato insultato, aggredito e colpito con delle sedie dai suoi sostenitori. Un altro video diffuso online sembra mostrare lo stesso Zemmour che a un certo punto viene preso per il collo da un uomo.
Il comizio di inaugurazione della campagna elettorale di Zemmour si è tenuto nel polo fieristico di Villepinte, nella periferia nord-est di Parigi, dove tra le altre cose lui era già stato a fine ottobre per una fiera dedicata alla sicurezza, durante la quale aveva puntato un fucile ad alta precisione contro i giornalisti presenti. Domenica, riprendendo i temi più cari dei suoi discorsi in questi mesi, tra cui l’ostilità al multiculturalismo, al femminismo e all’accoglienza delle persone migranti, Zemmour ha detto che «la posta in gioco è altissima» e ha aggiunto che se verrà eletto i francesi potranno cominciare a «riprendersi il paese più bello del mondo».
Le violenze sono cominciate dopo che gli attivisti del gruppo SOS Racisme si erano alzati dalle proprie sedie, mostrando la scritta Non au racisme (“no al razzismo”) formata sulle loro magliette. Gli attivisti sono stati aggrediti, picchiati e rincorsi dai sostenitori di Zemmour, che li hanno anche colpiti lanciando delle sedie. Almeno due di loro sono stati visti lasciare la sala con i vestiti insanguinati, scrive France24.
Aline Kremer, che ha organizzato la protesta di SOS Racisme, ha detto all’agenzia di stampa AFP che gli attivisti del gruppo volevano soltanto «manifestare in maniera pacifica», e che invece i sostenitori del candidato presidente li hanno aggrediti e picchiati.
All’evento hanno partecipato migliaia di sostenitori di Zemmour, che già prima di candidarsi ufficialmente si era fatto notare per alcuni gesti assai poco presidenziali. In città invece vari gruppi antifascisti avevano organizzato una manifestazione per contestare la sua candidatura.
Durante il comizio vero e proprio i suoi sostenitori hanno insultato e contestato l’attuale presidente francese, Emmanuel Macron. Uno dei temi della sua campagna elettorale è la riduzione di quello che ha definito il «potere dei media»: alcuni giornalisti e la troupe di un popolare canale televisivo francese che stavano documentando l’evento sono stati fischiati e allontanati.
Oltre alle immagini delle violenze nei confronti dei manifestanti che stavano protestando contro il razzismo, come detto, un altro video sembra mostrare Zemmour che nella confusione viene aggredito da un uomo che gli mette le mani attorno al collo. Secondo quanto scritto dal Guardian, Zemmour avrebbe riportato lievi ferite.
Alberto PentoIn verità i veri razzisti e fascisti sono gli internazi fascisti rossi, social democratici e comunisti, sono coloro che non amano e non rispettano i francesi, gli italiani, gli inglesi, i tedeschi, i polacchi, gli europei tutti, coloro che non amano e non rispettano i nativi e i cittadini europei bianchi e cristiani e laici e non religiosi, i loro diritti umani, civili e politici tra cui il sano nazionalismo democratico
e
il loro diritto umano civile e politico a dire no:
no alla schiavitù dell'accoglienza e alla solidarietà scriteriata e indiscriminata, no al nazismo maomettano o Islam e alla dhimmitudine, no all'africanizzazione forzata dell'Europa, no alle demenzialità del politicamente corretto, no alla demonizzazione e alla colpevolizzazione dell'occidente bianco e giudaico cristiano, no alla predazione dell'occidente euro americano, no alla nostra distruzione e alla distruzione di Israele faro di umanità e di civiltà nell'inferno mussulmano del Medio Oriente.
Tra i veri razzisti e i veri fascisti, demenziali e criminali nemici dell'occidente bianco e giudaico cristiano, euro americano e israeliano, vi è anche Bergoglio Francesco l'irresponsabile, fanatico e demenziale papa romano cattolico che ci demonizza e ci colpevolizza, che ricatta i cristiani, che sostiene e promuove l'invasione scriteriata e indiscrimanta, la solidarietà forzata, l'islamizzazione violenta e la dhimmitudine, la santificazione del male e dei criminali tra cui la santificazione di Maometto e del Corano, la sottomissione al Politicamente Corretto che ci nega i nostri sacrosanti e naturali diritti umani, civili e politici tra cui la sovranità democratica e nazionale cioè delle comunità etniche e statuali storiche europee.
Zemmour aggredito, rissa al primo comizio. L'anti-Macron promette: zero immigrazioneScontro con gli attivisti anti-razzisti: feriti. L'assaltatore gli è saltato al collo
Gaia Cesare
6 Dicembre 2021
https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1638771572 Scoppia la rissa, sedie che volano, pugni e il volto di un paio di contestatori insanguinato al primo grande comizio elettorale di Eric Zemmour, l'intellettuale di estrema destra da una settimana candidato ufficiale anti-Macron. Il polemista prestato alla politica ha aperto ieri, in grande stile, le danze di una campagna elettorale che si preannuncia caldissima: 15mila sostenitori ad acclamarlo, 400 giornalisti accreditati, centinaia di bandiere francesi e cori. Ma dopo la dichiarazione di sostegno dell'ex leader dei gilet gialli, Jacline Mouraud, l'arrivo del candidato anti-Macron, tra la folla in tripudio, è stato condito da due fuori programma: un uomo gli salta al collo durante l'ingresso in sala, e viene subito allontanato dalle guardie del corpo, poi fermato dalle forze dell'ordine. Zemmour non si ferma, sale comunque sul palco e comincia il suo discorso, ma a fine serata si scopre che è stato ferito a un polso. Non è tutto. Un gruppo di attivisti dell'associazione Sos Racisme - mentre il candidato parla - urla «No al razzismo», uno slogan esibito a sorpresa anche su alcune magliette. I fan di Zemmour si infuriano e finisce con sedie che volano, una contestatrice colpita con un pugno, gli altri messi a terra. Almeno due i feriti.
È la prova che saranno presidenziali ad alta tensione. D'altra parte il comizio di Zemmour, che si è svolto in una mega-sala a Villepinte, Seine-Saint-Denis, banlieue nord di Parigi, era previsto in un primo momento allo Zenith ma è stato spostato sul finale a venti chilometri dalla capitale. «Entusiasmo popolare», hanno spiegato gli organizzatori. Ma a pesare è stata la questione sicurezza, dopo che una cinquantina fra organizzazioni sindacali, movimenti e associazioni di sinistra hanno organizzato a Parigi una manifestazione anti-Zemmour, «per mettere a tacere il candidato» e «non lasciare che il fascismo avanzi».
Zemmour ha cambiato i piani e ha scaldato la platea con un programma estremo, lanciando lo slogan «impossibile non è francese» (citazione attribuita a Napoleone) e annunciando il nome del nuovo partito: «Reconquête», Riconquista, a indicare la necessità di riappropriarsi di una Francia che non c'è più, vittima della crisi economica, culturale e dell'immigrazione. Da qui le promesse: via tutti i clandestini, immigrazione zero, fine dello ius soli, limitazione del diritto d'asilo e degli aiuti sociali agli extra-europei. «Io razzista? - chiede - Impossibile, sono berbero», dice. Intanto promuove l'uscita dalla Nato, promette di reindustrializzare la Francia con un ministero ad hoc, meno tasse e imposte, la priorità alle imprese francesi e a quelle familiari. La sua discesa in campo, ne è certo, «è l'inizio della riconquista del più bel Paese al mondo». Macron viene liquidato con frasi sprezzanti: «Nessuno sa chi è, perché non è nessuno. La Francia ha eletto il vuoto e ci è finita dentro».