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Bergoglio in Congo e in Sudan
Bergoglio basta vittimizzare l'Africa e i neri e demonizzare l'Europa, gli USA, l'occidente e i bianchi!Bergoglio in Congo, poveretto, il vittimismo africano e la demonizzazione del mondo industrializzato, del capitalismo multinazionale, dell'Occidente e in fondo in fondo dell'uomo di buona volontà.
Povero Bergoglio con tutta la sua scienza teologica e la fede cristiana non ha ancora capito che la speranza, la salvezza, il benessere, ... dell'umanità, Dio e la natura le hanno messe nelle mani dell'uomo, in particolare nell'uomo ragionevole di buona volontà, che si guadagna il pane con il sudore della fronte mettendo a frutto l'esperienza fatta (con gli innumerevoli errori) e la scienza acquisita. Questo è il vero e unico miracolo possibile, quello operato da Dio e dalla natura attraverso l'uomo di buona volontà, non vi sono miracoli magici e doni gratuiti da parte di Dio e della natura.
Anche l'Africa e gli africani debbono fare la loro parte e ringrazino chi li valorizza e che mette a frutto le ricchezze minerali del sottosuolo africano, la meraviglia del paesaggio e dell'ambiente primitivo, e della buona umanità africana che partecipa della categoria universale multietnica e multirazziale dell'uomo ragionevole di buona volontà, civile e umano che rispetta il prossimo e che si fa rispettare.
Ricordiamo a Bergoglio che il colonialismo europeo dell'Africa è finito da lungo tempo e che gli africani hanno il loro destino nelle loro mani, che non sono vittime dei bianchi e che non hanno alcun diritto di venire clandestini in Europa per essere accolti, ospitati e mantenuti dagli europei, per stuprare e delinquere nei paesi dell'umanità bianca che non ha colpe da scontare e debiti da pagare agli africani.
Papa Francesco è arrivato in Congo: 'Giù le mani dall'Africa'Sky TG24
31 gennaio 2023
https://tg24.sky.it/mondo/2023/01/31/pa ... esco-congoIl Pontefice è atterrato all'aeroporto di Kinshasa. Nel suo primo discorso alle autorità ha detto: “In Congo un genocidio dimenticato”. Sorvolando il deserto del Sahara, Bergoglio ha chiesto di pregare per "le persone che non ce l'hanno fatta". Tra i momenti più importanti l'incontro mercoledì con un gruppo di vittime dell'est del Paese. Dal 3 al 5 sarà in Sud Sudan
È cominciato oggi il viaggio di Papa Francesco in Africa: il Pontefice è arrivato in Congo, dove starà fino al 3 febbraio, poi dal 3 al 5 sarà in Sud Sudan. Una visita, ha spiegato il Vaticano, per parlare di pace e curare le ferite di un popolo stretto tra conflitti e povertà, sfruttamento delle risorse e catastrofi climatiche. Nel messaggio inviato al presidente della Repubblica Sergio Mattarella prima del viaggio, Bergoglio ha scritto che è partito per l'Africa portando "un messaggio di pace e di riconciliazione". Ha poi sottolineato che è "mosso dal vivo desiderio di incontrare i fratelli nella fede e gli abitanti di quelle nazioni". "Sarà un viaggio bello. Avrei voluto andare a Goma ma con la guerra non si può andare", ha detto il Papa durante il volo.
Papa: “Giù le mani dall’Africa, non è miniera da sfruttare"
Nel discorso alle autorità a Kinshasa, Bergoglio ha detto: "Giù le mani dalla Repubblica Democratica del Congo, giù le mani dall'Africa! Basta soffocare l'Africa: non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare". È tragico che questi luoghi, e più in generale il Continente africano, soffrano ancora varie forme di sfruttamento. Dopo quello politico, si è scatenato infatti un 'colonialismo economico', altrettanto schiavizzante". Poi ha ricordato il "genocidio dimenticato che sta subendo la Repubblica Democratica del Congo". Lo sfruttamento dell'Africa "è un dramma davanti al quale il mondo economicamente più progredito chiude spesso gli occhi, le orecchie e la bocca. Ma questo Paese e questo Continente meritano di essere rispettati e ascoltati, meritano spazio e attenzione". Il Papa invita tutta la popolazione della Repubblica Democratica del Congo a porre fine a violenze e odio e dice che la violenza che dilaga nel Paese è come "un pugno nello stomaco". Infine invita le autorità ad investire sui giovani e sulla loro istruzione. "I diamanti più preziosi della terra congolese, che sono i figli di questa nazione, devono poter usufruire di valide opportunità educative, che consentano loro di mettere pienamente a frutto i brillanti talenti che hanno".
Il viaggio del Papa in Congo
Il volo con a bordo il Pontefice, il seguito e i giornalisti, era partito alle 8.10 da Roma Fiumicino ed è arrivato all'aeroporto di Kinshasa intorno alle 14.30. Sorvolando il deserto del Sahara, il Papa ha chiesto ai giornalisti di pensare e pregare in silenzio per "tutte le persone che, cercando un po' di benessere e di libertà, non ce l'hanno fatta" e anche per tutti quelli che, cercando di raggiungere il Mediterraneo, sono invece finiti nei "lager e soffrono lì". Ad accogliere il Papa in Congo, il primo ministro Jean-Michel Sama Lukonde. Francesco si è quindi recato al Palais de la Nation per la cerimonia di benvenuto e ha incontrato il presidente Félix Antoine Tshilombo Tshisekedi. Poi nei giardini dello stesso Palazzo, il Papa ha incontrato le autorità politiche e religiose, il corpo diplomatico, gli imprenditori, i rappresentanti della società civile e della cultura e ha pronunciato il suo primo discorso. Infine si è trasferito nella Nunziatura, la sua residenza in questo viaggio apostolico.
“Il Congo ha bisogno di aiuto”
Uno dei momenti più importanti sarà l'incontro, mercoledì 1 febbraio, tra il Papa e un gruppo di vittime provenienti dall'est del Paese. "Il Papa vuole manifestare la sua vicinanza, per tutte le sofferenze e le stragi avvenute qui negli ultimi trent'anni e che continuano a essere pane quotidiano. Il Papa vuole consolare, condannare questi attentati, chiedere perdono a Dio per tutte queste stragi, vuole invitare e incoraggiare tutti alla riconciliazione", ha detto monsignor Ettore Balestrero, nunzio apostolico nella Repubblica Democratica del Congo. "Il Congo soffre per la molta corruzione, c'è un alto tasso di povertà e ha un grande bisogno di pace, soprattutto nell'est del Paese", ha aggiunto ad Acs. E ancora: "Poi ci sono le sfide della migrazione, dal momento che ci sono 5,5 milioni di sfollati interni e 500.000 rifugiati. È un Paese di giovanissimi: metà della popolazione, 50 milioni di persone, ha meno di 18 anni. È molto ricco di risorse, con molti minerali fondamentali per la transizione ecologica. Il Congo ha bisogno di aiuto, di più sviluppo e di una coscienza democratica per crescere".
La visita in Sud Sudan
Nei prossimi giorni il Papa visiterà anche il Sud Sudan, il più giovane Paese del mondo che, poco dopo la sua indipendenza, nel 2011, ha vissuto una sanguinaria guerra civile ma ancora fatica a trovare una pacificazione. Dopo la tappa a Kinshasa, infatti, Francesco il 3 febbraio volerà a Juba, la capitale del Sud Sudan, dove sarà accompagnato dal primate della Chiesa anglicana Justin Welby e dal moderatore della Chiesa di Scozia, Ian Greenshields. Bergoglio farà ritorno in Vaticano domenica 5 febbraio.
Congo, il Papa nel Paese piagato da tribalismo, corruzione, malgoverno
Esteri
31-01-2023
https://lanuovabq.it/it/congo-il-papa-n ... U.facebookPapa Francesco arriva a Kinshasa, capitale del Congo. Ma non andrà a Goma, nel Nord Kivu, perché la regione è troppo insicura, divisa in bande armate che lottano ciascuna per la propria etnia e con un conflitto latente con il Ruanda. La visita del pontefice riguarda due Paesi, Congo e Sud Sudan, ricchissimi di materie prime, ma con popolazioni estremamente povere. Sono realtà devastate da corruzione, malgoverno e tribalismo, le piaghe storiche, inguaribili, del continente africano.
Kinshasa militarizzata per l'arrivo del Papa
Con l’arrivo a Kinshasa, capitale della Repubblica democratica del Congo, inizia il 31 gennaio il viaggio di Papa Francesco in Africa. Seconda tappa sarà il Sudan del sud dove è atteso il 3 febbraio. Quella intrapresa è una missione delicatissima perché il Pontefice ha scelto di visitare due dei paesi africani più devastati da corruzione, malgoverno e tribalismo, le piaghe storiche, inguaribili del continente. Immensamente ricco di materie prime, il Congo, che per questo è stato addirittura definito uno “scandalo geologico”, è uno dei paesi più poveri del mondo: il 70,99% della popolazione è in condizioni di estrema povertà disponendo di meno di 2,15 dollari al giorno per vivere. Peggiore ancora è la situazione del Sudan del sud che, nonostante abbia acquisito tre quarti dei giacimenti di petrolio del Sudan dal quale si è diviso diventando indipendente nel 2011, detiene il primato mondiale della povertà estrema con l’80,71% degli abitanti in questa condizione. Entrambi inoltre, come ha ricordato il Papa il 29 gennaio all’Angelus, sono provati da lunghi conflitti.
In Congo, Francesco si limiterà a incontrare politici e popolazione nella capitale. L’insicurezza che regna nell’est del Congo rende impossibili altre destinazioni, soprattutto la programmata visita a Goma, la capitale del Nord Kivu, una delle tre province orientali del paese – le altre sono l’Ituri e il Sud Kivu – in cui da quasi 30 anni sono attivi decine gruppi armati: alcuni antigovernativi, quasi tutti a composizione etnica, nati per difendere le rispettive comunità e i loro territori, molti sostenuti dai tre paesi con cui le province confinano: Uganda, Rwanda e Burundi. Vivono di razzie, bracconaggio e contrabbando di materie prime e agiscono quasi incontrollati nonostante la presenza, in aiuto alle forze militari congolesi, della più grande missione di peacekeeping, la Monusco, istituita nel 2010 in sostituzione della precedente, la Monuc, e forte di 18.278 tra militari, esperti, civili, agenti di polizia e osservatori militari.
È nei pressi di Goma che nel febbraio del 2021 è stato ucciso l’ambasciatore italiano Luca Attanasio mentre incautamente percorreva senza scorta insieme ad alcuni dipendenti del Pam, il Programma alimentare mondiale, la strada che collega Goma al centro minerario di Rutshuru, una delle più pericolose del paese tanto da essere stata soprannominata “la strada della morte”. Il 15 gennaio proprio nel Nord Kivu i jihadisti ADF, un gruppo armato affiliato all’Isis attivo dal 2001 in Congo, hanno attaccato la chiesa di Cristo in Congo di Kisindi, in quel momento gremita di fedeli che assistevano alla messa domenicale, facendovi esplodere un ordigno e uccidendone almeno 17. Il 30 gennaio, vigilia dell’arrivo del Papa, l’ADF ha attaccato di nuovo, questa volta tre villaggi nell’Ituri, uccidendo almeno 15 persone.
Ma in questo momento il pericolo maggiore non solo per le popolazioni dell’est, ma per l’intero paese è costituito dal gruppo armato M23, composto da milizie Tutsi e sostenuto dal Rwanda dove i Tutsi scampati nel 1994 al genocidio sono al potere. Nonostante i tentativi internazionali di mediazione e l’impegno a una tregua, i combattimenti continuano e i rapporti tra Congo e Rwanda sono pericolosamente tesi: il Congo accusa il Rwanda di voler occupare aree orientali del paese, il Rwanda replica denunciando una minaccia di genocidio dei Tutsi residenti in Congo. “Non perché temesse per la propria vita – ha spiegato il direttore della Sala Stampa della Santa Sede Matteo Bruni, spiegando le ragioni della rinuncia del Papa a visitare Goma – ma per il rischio di attentati contro la folla di persone che accorrerebbe per vedere il Papa”.
Se l’est è la regione del paese più instabile, tutto il paese però risente delle conseguenze di decenni di governi affidati a uomini impegnati solo a impadronirsi delle risorse del paese, in una corsa sfrenata ai proventi della vendita di materie prime preziose, trascurando infrastrutture e servizi al punto da rendere difficile per la gente comune spostarsi nel paese e quasi impossibile condurre un’esistenza sicura e tutelata. Il dittatore Sese Seko Mobutu al potere dal 1965, cinque anni dopo l’indipendenza dal Belgio, al 1997, secondo cui era solo normale che un leader politico in carica per tanti anni accumulasse miliardi, è stato sostituito da capi di stato apparentemente democratici, altrettanto avidi di potere e ricchezza: Laurent-Désiré Kabila, dal 1997 al 2001, suo figlio Joseph, fino al 2019, che in meno di 20 anni è riuscito a incrementare i beni ereditati dal padre fino a costituire uno dei maggiori imperi finanziari e immobiliari del continente, e dal 2019 Félix Tshisekedi, vincitore delle elezioni presidenziali di fine 2018 e attuale presidente nonostante le accuse di irregolarità e brogli mosse tra l’altro anche dalla Chiesa Cattolica che aveva posto 40mila osservatori a monitorare il voto.
Benché non sussistano minacce specifiche, tuttavia i luoghi degli appuntamenti del Papa sono stati fatti oggetto di misure di sicurezza estreme per impedire l’accesso anche a piedi a persone non autorizzate. Il governo congolese si è impegnato con fermezza in tal senso e anche a mostrare pulite e in ordine le vie della capitale. Ne hanno fatto le spese migliaia di venditori ambulanti che da un giorno all’altro sono stati costretti a smontare i loro negozietti. Chi ha tardato a obbedire ha perso tutto perché la polizia è intervenuta con piedi di porco e bulldozer ad abbattere baracchini e bancarelle.
L'Africa è meno sicura. E la democrazia fa passi indietroAnna Bono
2 febbraio 2023
https://lanuovabq.it/it/lafrica-e-meno- ... 0.facebookIl continente africano nel suo insieme è meno sicuro che nel 2012 e la democrazia fa passi indietro. A sostenerlo è il rapporto 2022 sulla governance in Africa appena presentato dalla Mo Ibrahim Foundation. In fondo alla classifica ci sono proprio Congo e Sud Sudan, assieme a Centrafrica, Somalia, Eritrea e Guinea Equatoriale.
Congo, milizie armate a Goma
Il continente africano nel suo insieme è meno sicuro che nel 2012 e anche la democrazia ha fatto passi indietro rispetto a dieci anni fa. A sostenerlo è il rapporto 2022 sulla governance in Africa appena presentato dalla Mo Ibrahim Foundation in concomitanza con la pubblicazione dell’Indice Ibrahim di governance. La fondazione lo prova con analisi, dati e cifre e le conclusioni a cui arriva meritano tutta l’attenzione perché i suoi rapporti periodici sulla situazione del continente africano sono tra i più esaurienti e affidabili. Per chi non lo sapesse, la fondazione è stata creata nel 2006 da Mo Ibrahim, un miliardario sudanese che ne è il presidente, con l’obiettivo di contribuire a monitorare, valutare e promuovere governance e leadership in Africa.
Secondo la fondazione, il paese africano più sicuro e democratico attualmente è Mauritius, che tuttavia registra il punteggio più basso mai finora ottenuto. Seguono Seychelles, Tunisia, Capo Verde, Botswana e Sudafrica. Al fondo della classifica figurano Repubblica democratica del Congo, Repubblica Centrafricana, Guinea Equatoriale, Somalia, Eritrea e Sudan del sud. Il deterioramento di sicurezza, legalità, diritti umani, libertà democratiche, partecipazione e inclusione ha colpito più di 30 stati, sostengono i ricercatori della fondazione. “L’arretramento si è accentuato soprattutto a partire dal 2019 – ha spiegato Mo Ibrahim intervenendo alla conferenza stampa in occasione della presentazione del rapporto – È una situazione davvero molto preoccupante. La crescente insicurezza e il generale degrado delle istituzioni democratiche hanno infatti vanificato i progressi conseguiti in altri ambiti”. Ibrahim si riferisce ai progressi nel frattempo registrati nel settore delle infrastrutture e in termini di opportunità economiche e di sviluppo umano: quest’ultimo grazie al fatto che sono migliorati i servizi sanitari, soprattutto quelli destinati ai bambini e alle donne incinte, che qualche passo avanti è stato fatto nel controllo e nella prevenzione delle malattie e anche nel campo dell’istruzione, con un numero crescente di bambini che frequentano la scuola e che completano il ciclo degli studi.
Bande e gruppi armati minacciano la vita e le proprietà di decine di milioni di persone, spesso quasi del tutto incontrastati. Nella Repubblica democratica del Congo questa situazione ha creato circa quattro milioni di sfollati, in Burkina Faso se ne contano almeno due. Nel Sudan del sud gli sfollati sono due milioni e altrettanti sono i rifugiati. In Somalia ci sono tre milioni di sfollati e i rifugiati sono quasi 850mila.
“Il deterioramento della situazione della sicurezza dimostra che le risposte governative non funzionano” ha spiegato prendendo la parola durante la conferenza stampa Alex Vines, direttore del Programma Africa della Chatham House, un centro studi inglese – anche per questo la Francia ha ritirato parte delle sue truppe dall’Africa occidentale. Adesso molti nel continente guardano ai mercenari russi del gruppo Wagner come la soluzione, cosa sulla quale non concordo”. La Francia ha ritirato parte dei propri militari, in Mali ad esempio, sostenendo che è impossibile combattere il jihad che ormai opera in tanti Stati africani se i governi non si impegnano a rimuovere le cause che ne favoriscono la diffusione. Ma lo ha fatto anche sotto la pressione dell’opinione pubblica, in alcuni paesi – Niger, Ciad, Burkina Faso, e lo stesso Mali – rabbiosamente convinta che se i gruppi jihadisti non sono stati sconfitti è colpa, non dei rispettivi governi, ma dei paesi europei che non hanno fatto abbastanza. Con la stessa logica, nella Repubblica democratica del Congo la popolazione chiede da tempo, in questo caso non a torto vista la scarsa operatività dei caschi blu, il ritiro della missione di peacekeeping Onu Monusco. È possibile che l’Africa debba contare di più sulle proprie forze nel prossimo futuro, e non è una prospettiva incoraggiante.
Il rapporto della Fondazione Mo Ibrahim indica la pandemia di Covid-19 e l’invasione dell’Ucraina, due fattori esterni, come corresponsabili del peggioramento della situazione del continente. Tuttavia pone l’accento soprattutto su quelli interni evidenziando, ad esempio, che tra i paesi ultimi nell’Indice di governance figurano quelli governati da più di 20 anni dagli stessi leader. Il record mondiale, non solo africano, di permanenza al potere attualmente è detenuto dal presidente della Guinea Equatoriale (51° nell’Indice, su 54 stati), in carica dal 1979, rieletto lo scorso dicembre con il 95% dei voti.
Tra i fattori interni che ostacolano lo sviluppo del continente e quindi causano insicurezza e deficit di democrazia il rapporto cita giustamente il problema energetico. Quasi metà degli africani, circa 600 milioni, non hanno accesso a fonti sicure di energia. È un dato sorprendente in un continente che dispone di risorse energetiche immense: petrolio, gas naturale, ma anche l’energia che si ricava da corsi d’acqua e laghi, dal sole e dal vento. Il rapporto cita il caso esemplare del Sudafrica, paese emergente, alla prese con una crisi energetica gravissima, con sempre più frequenti blackouts anche di 12 ore, al punto che il presidente Cyril Ramaphosa ha rinunciato a recarsi al World Economic Forum di Davos dovendo presenziare agli incontri in corso per trovare una soluzione. Ma ancora più grave è la situazione della Nigeria, prima economia e primo produttore di petrolio del continente, dove 85 milioni di persone, il 43% della popolazione non ha accesso all’energia elettrica, un record mondiale. La Nigeria è anche uno dei paesi africani più violenti, dove nessuno è più al sicuro e dove, così come in altri stati africani, proliferano i gruppi armati di autodifesa.
Le demenzialità degli adoratori di Bergoglio che mente sull'AfricaPapa Francesco grida dal Congo La stampa italiana è sorda e muta
Umberto Folena giovedì 2 febbraio 2023
https://www.avvenire.it/rubriche/pagine ... rda-e-muta Quanto “vale” il Papa in Congo per i quotidiani italiani? Proviamo a metterci nei panni dell’inviato ammesso al volo papale: atterra, sente pronunciare parole forti contro lo sfruttamento, il neo colonialismo, la violenza dimenticata da chi, in Occidente, semplicemente gira le spalle; chiama la redazione; e il giorno dopo si ritrova con 13 righe sotto la foto di Francesco all’interno della pagina 9 che annuncia, notizia di rilievo ben maggiore, che «Meloni andrà a Kiev».
L’inviato è Gian Guido Vecchi e il quotidiano è il “Corriere” (tutte le citazioni sono dai giornali di ieri, 1/2). Potrebbe guardare con invidia il collega della “Repubblica” Iacopo Scaramuzzi, che ha una pagina intera, la 13 (titolo: «Stop al colonialismo»), sia pure divorata dalla pubblicità, e addirittura un richiamo in prima: la “Repubblica” è l’unico quotidiano a piazzare, sia pure piccino picciò, Francesco in copertina. Davvero il Papa fa così poco notizia?
Domenico Agasso, inviato della “Stampa”, strappa due colonne di spalla a pagina 17. Il “Quotidiano nazionale” (“Giorno”, “Carlino” e “Nazione”) dedica alla visita apostolica l’apertura di pagina 13 con il servizio di Nina Fabrizio: «Parole dure verso le grandi potenze. “Questa terra non è una miniera da saccheggiare”». Meglio di tanti altri fa il “Sole 24 Ore” con mezza pagina firmata da Roberto Bongiorni, che chiude il suo servizio con uno degli intenti – oltre a visitare le comunità cattoliche africane – del viaggio: «I congolesi ora si augurano che la visita di Papa Bergoglio possa essere il megafono affinché il mondo possa udire il grido di questa terra ferita». Peccato che il grido del Papa, perché esattamente questo è, per ora sia ampiamente inascoltato. Il “Fatto” e “Libero” non hanno nulla: per loro, Francesco non è mai partito né arrivato. Il “Messaggero ha una breve di 5 righe a pagina 15, “Domani” una breve di 9 righe a pagina 7. La “Verità” ha un servizio di piede a pagina 5; ma in prima pubblica un appello del defunto cardinale Pell, uscito sul “Timone”: «Papa Ratzinger diventi subito Dottore della Chiesa», con la foto di Benedetto XVI. Un vero capolavoro. Intanto Francesco prosegue il suo viaggio in una delle terre più martoriate del mondo, in un abominevole e imbarazzante disinteresse della nostra stampa quotidiana.
Gino Quarelo
Meno male perché le balle che racconta Bergoglio sono stratosferiche, come quelle sulla guerra in Ucraina, quando dava la colpa alla NATO (alla UE e agli USA) di averla causata provocando la Russia.
Poveretto questo demenziale individuo, perfido e bugiardo.
Francesco in Sud Sudan: "Prego perché scorrano fiumi di pace, voltate pagina: c'è bisogno di pace"Antonio Bonanata
3 febbraio 2023
https://www.rainews.it/articoli/2023/02 ... 96e54.html Il 40esimo viaggio apostolico
Seconda parte del viaggio in Africa. Qui l'incontro con l'arcivescovo di Canterbury e il moderatore dell'Assemblea generale della Chiesa scozzese. Il Paese, nato dopo 30 anni di guerra civile, vede convivere decine di gruppi etnici e religiosi
Francesco in Sud Sudan: "Prego perché scorrano fiumi di pace, voltate pagina: c'è bisogno di pace"
“Qui da pellegrino prego perché in questo caro Paese, dono del Nilo, scorrano fiumi di pace; gli abitanti del Sud Sudan, terra della grande abbondanza, vedano sbocciare la riconciliazione e germogliare la prosperità”. Sono le prime parole di Papa Francesco a Juba. Le ha scritte sul libro d'onore del Palazzo presidenziale dove ha tenuto un discorso alle autorità del Paese, tra cui il presidente Salva Kir, che ha ringraziato il Pontefice e ha definito la sua visita “una pietra miliare” nella storia del Paese.
“È tempo di voltare pagina, è il tempo dell'impegno per una trasformazione urgente e necessaria. Il processo di pace e di riconciliazione domanda un nuovo sussulto” dice poi ai leader del Paese. Il Pontefice si appella affinché “vengano coinvolte maggiormente, anche nei processi politici e decisionali, pure le donne, le madri che sanno come si genera e si custodisce la vita. Nei loro riguardi ci sia rispetto, perché chi commette violenza contro una donna la commette contro Dio, che da una donna ha preso la carne”.
Il Pontefice chiede con forza che venga “arginato l'arrivo di armi che, nonostante i divieti, continuano a giungere in tanti Paesi della zona e anche in Sud Sudan: qui c'è bisogno di molte cose, ma non certo di ulteriori strumenti di morte”. Quindi è necessario, nel giovane Paese africano, “lo sviluppo di adeguate politiche sanitarie, infrastrutture vitali, l'alfabetismo e l'istruzione, unica via perché i figli di questa terra prendano in mano il loro futuro. Essi, come tutti i bambini di questo continente e del mondo, hanno il diritto di crescere tenendo in mano quaderni e giocattoli, non strumenti di lavoro e armi”.
È cominciata all'insegna degli appelli più forti la seconda parte del 40esimo viaggio apostolico di Papa Francesco, il quinto in Africa. La parte, se si vuole, più ecumenica e improntata ad uno spirito di condivisione e avvicinamento interreligioso. Qui infatti il Pontefice giunge con l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, massima autorità della Chiesa anglicana, e il pastore Iain Greenshields, moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia, in occasione di un incontro a lungo progettato e fortemente voluto da Bergoglio. Uno speciale “incontro a tre” tra comunità religiose diverse ma non incompatibili, che intende mettere al centro di un contesto diviso e insanguinato da decenni di lotte e violenze un anelito di pace.
Diverse Chiese e comunità ecclesiali archiviano così antiche rivalità confessionali e operano fianco a fianco nel cercare di spegnere i conflitti e sostenere la costruzione di una convivenza civile pacifica, orientata al bene comune: con questa fondamentale aspirazione, si compie lo speciale vertice spirituale tra Bergoglio, Welby e Greenshields.
Uno Stato “giovane”, frutto di una sanguinosa guerra civile
Nato nel 2011 tra due guerre civili atroci, il Sud Sudan raggiunge l'indipendenza dopo quasi 30 anni di guerra. La capitale diventa Juba, dove convivono attualmente almeno 50 gruppi etnici. Nel 2005 il Comprehensive Peace Agreement (CPA) tra le regioni del sud e il governo di Khartoum ha aperto la strada all'indipendenza del Paese. Da quando si è staccato dal Sudan, la maggior parte dei cattolici che erano concentrati a Juba e nelle aree circostanti ha scelto di rimanere in Sud Sudan.
Le donne hanno una media di 5-6 figli e l'aspettativa di vita non raggiunge i 60 anni di età. Più della metà della popolazione è a rischio fame e vive nella più totale insicurezza alimentare. Circa due milioni di bambini soffrono di denutrizione.
L'instabilità politica, economica e sociale che vive il Paese è dovuta soprattutto al lungo conflitto tra il presidente Salva Kiir, dell'etnia più numerosa dei dinka, e il suo vice Riek Machar, di etnia nuer. I due nemici mortali nel 2019 si sono recati in Vaticano e Papa Francesco baciò loro i piedi, implorando la pace.
Nonostante in Sud Sudan solo il 4-5% della popolazione abbia l'elettricità e l'accesso all'acqua sia quasi inesistente, il Paese è molto ricco di risorse naturali, compresi oro, diamanti, petrolio. Risorse rese inattingibili a causa della situazione di insicurezza e dell'instabilità politica e sociale. Prima della nascita del Sud Sudan come Stato indipendente, il conflitto in Darfur, regione situata nella parte occidentale del Paese, ha complicato la situazione.
Esploso ufficialmente nel 2003 e dichiarato concluso nel 2009, la guerra ha causato almeno 400mila morti e circa due milioni di sfollati. Nonostante un accordo di pace firmato in Etiopia nel 2018 e mai rispettato, ad oggi permangono forti tensioni etniche.
In Sud Sudan, dallo scorso mese di agosto, sono ripresi i combattimenti tra milizie rivali. Per la fine del 2024, nel Paese sono previste elezioni più volte rimandate.
Il Sud Sudan, quasi il 40% di cattolici in una terra di fede e missionari comboniani
E non è un caso che le tre autorità religiose abbiano scelto proprio il Sud Sudan come sede del loro summit. Una terra dove “l’annuncio cristiano”, ha ricordato padre Christopher Hartley, missionario spagnolo della diocesi di Toledo, ora a Nandi, diocesi di Tombura-Yambio “era arrivato nell'attuale regione del Sud Sudan già nel VI secolo”. In molte regioni che ora fanno parte del Sud Sudan l'attività missionaria assume rilevanza e continuità a partire dagli anni Settanta del secolo scorso.
Su una popolazione di oltre 16 milioni di persone, circa 6.2 milioni di sud-sudanesi (il 37.2% della popolazione nazionale) sono cattolici. “Santa Giuseppina Bakhita, prima suora comboniana africana nata intorno al 1845 sui Monti Nuba, e san Daniele Comboni sono i due grandi martiri venerati dai sud-sudanesi”. Nonostante la loro espulsione nel 1964 e la sanguinosa guerra nel 1983, l'opera dei missionari comboniani non è mai venuta meno.
Le altre comunità ecclesiali e i musulmani (una minoranza)
Altre Chiese e comunità ecclesiali non cattoliche giungono nei territori del Sudan a partire dal 1899. Gli anglicani, attraverso la Church Missionary Society, già nei primi anni di presenza nella regione, grazie alla predicazione e all'impegno missionario, amministrano il battesimo a decine di migliaia di abitanti. Attualmente, la Chiesa episcopale del Sudan, che fa parte della Comunione anglicana, rappresenta dal punto di vista numerico la seconda Chiesa sia in Sudan che in Sud Sudan, dopo la Chiesa cattolica. La United Presbyterian Church, che fa parte della Comunione mondiale delle Chiese riformate, ha iniziato la sua opera in Sudan nel 1900. Poi, nel corso del XX secolo, i missionari di molte altre comunità ecclesiali di impronta riformata e evangelica, come la Sudanese Church of Christ, hanno raggiunto il Paese, concentrando le loro attività nel sud.
Tra le altre comunità di fede presenti nel Paese, i musulmani sono una minoranza.
Una realtà, quindi, composita, variegata, dove però la compresenza di fedi, credi e chiese – nonostante le guerre e le lotte politiche perpetratesi negli anni – non ha fatto venir meno lo spirito comunitario con cui le varie comunità hanno convissuto per decenni. Ecco il senso del viaggio “autenticamente ecumenico” immaginato da Papa Francesco con Justin Welby e Iain Greenshields.