Le 10 persone più ricche dell’Africa e l’origine delle loro fortuneAderemi Ojekunle
https://it.businessinsider.com/le-10-pe ... o-fortune/Questi miliardari africani hanno diversi interessi che vanno dal petrolio al gas, ai minerali, passando per l’industria e i media.
Il Sudafrica e l’Egitto hanno la maggior parte dei nomi nella lista, tre ciascuno, seguiti dalla Nigeria con due.
Nella classifica compare solo una donna – la più ricca dell’Angola, Isabel Dos Santos.
Il magazine americano Forbes, descrive queste persone come membri del “club delle tre virgole” (in Usa la virgola si usa al posto del nostro puntino per separare le migliaia, quindi tre virgole= miliardi ndr.). Mentre la maggior parte di loro sono impegnati in iniziative filantropiche, un’eccezione notevole è Issad Rebrab, l’uomo più ricco dell’Agleria.
10. Mohammed Mansour
Ex politico e uomo d’affari egiziano, è presidente della società di famiglia Mansour Group. La holding controlla nove delle 500 migliori compagnie dell’Egitto secondo Fortune. Nominato ministro dei trasporti nel 2006, Mansour è stato costretto alle dimissioni a causa di un grosso incidente ferroviario. Mansour è tornato poi ad occuparsi delle sue aziende e nel 2010 ha fondato Mancapital of London.
Paese: Egitto
Età: 70
Patrimonio netto: 2,7 miliardi di dollari
Area di attività: varie
Attività filantropiche: Mansour Foundation for Development Arab Foundations Forum
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9. Isabel dos Santos
Isabel è un’imprenditrice dell’Angola e la donna più ricca dell’Africa. Il magazine Forbes ha scritto che Isabel ha costruito la sua ricchezza attraverso l’acquisto di imprese che operano in Angola, grazie ai legami della sua famiglia e al potere che le deriva dall’essere la figlia dell’ultimo presidente del Paese. Ha perso una licenza per l’esplorazione petrolifera nel maggio 2018 quando il governo non le ha rinnovato la concessione. Le sue attività spaziano dalle telecomunicazioni ai media, dal retail alla finanza, all’energia, sia in Angola che in Portogallo.
Paese: Angola
Età: 45
Patrimonio netto: 2,7 miliardi di dollari
Area di attività: investimenti
8. Koos Bekker
Il miliardario sudafricano è il presidente di Naspers, un importante gruppo editoriale con la capitalizzazione di mercato più alta di qualsiasi altro operatore del settore all’infuori di Cina e Stati Uniti. La sua compagnia Naspers ha investito 32 milioni di dollari nell’impresa cinese del settore dei media Tencent, che dopo 15 anni vale 66 miliardi di dollari. La scommessa più proficua che abbia fatto. Naspers ha partecipazioni in pay tv, nella telefonia mobile e in vari servizi internet. Il gruppo è attivo in Europa, Africa, America Latina, Cina, Russia, e altri Stati.
Paese: Sudafrica
Età: 65
Patrimonio netto: 2,8 miliardi di dollari
Area di attività: media
Attività filantropiche: Causes and Charity
7. Naguib Sawiris
Il miliardario egiziano è il presidente di Weather Investments Company, di Orascom Telecom Media e di Technology Holding S.A.E. Orascom è stata fondata dal padre. Dal ’79 lavora nel business familiare e, da allora, Sawiris ha contribuito alla crescita della società conosciuta come il conglomerato finanziario più grande e diversificato dell’Egitto e come il più grosso datore di lavoro privato del Paese.
Paese: Egitto
Età: 64
Patrimonio netto: 3,8 miliardi di dollari
Area di attività: telecomunicazioni
Attività filantropiche: Sawiris Foundation for Social Development
6. Issad Rebrab
Un miliardario algerino proprietario del gruppo industriale Cevital, la società privata più grande del Paese. Rebrab si riprese nel 1998 dopo che i suoi impianti industriali vennero distrutti nel ’95 in un attacco terroristico che lo costrinse a lasciare il suo Paese di origine. È tornato indietro nel ’98 per fondare la più importante impresa agricola del Paese, Cevital. La società è proprietaria di una delle raffinerie di zucchero più grandi del mondo. Nel 2016 Rebrab ha aggiunto al suo impero il gruppo editoriale El-Kahabar, oltre al giornale franco-algerino già in suo possesso Liberté.
Nel settembre 2018, il ricco uomo d’affari ha smentito i rumors sulla sua candidatura alle elezioni presidenziali del 2019.
Ha detto che la sua unica ambizione è contribuire allo sviluppo dell’Algeria e di essere “più utile al suo Paese nel creare ricchezza e posti di lavoro”.
Issad-Rebrab
Paese: Algeria
Età: 74
Patrimonio netto: 4 miliardi di dollari
Area di attività: Cibo, media, allevamento e agricoltura
Attività filantropiche: Nessuna
5. Mike Adenuga
Miliardario nigeriano e secondo uomo più ricco in Nigeria, Adenuga è proprietario di Globacom il secondo operatore di telecomunicazioni in Nigeria, presente anche in Ghana e in Benin. Mike Adenuga Jr ha ricevuto tre onorificenze nazionali in 6 anni. L’ultima gli è stata conferita dal presidente francese Emmanuel Macron durante la sua visita in Nigeria nel luglio 2018. Il premio fa di Adenuga il primo nigeriano a essere decorato con la Legion d’Omore della storia.
Affettuosamente chiamato “il toro”, Adenuga nel 2003 sconvolse il settore delle tlc quando la sua compagnia, Glo Mobile, introdusse delle tariffe più basse, il pagamento a secondi delle telefonate e altri nuovi servizi.
Paese: Nigeria
Età: 65
Patrimonio netto: 5,3 miliardi di dollari
Area di attività: Telecomunicazioni, petrolio
Attività filantropiche: Mike Adenuga Foundation
4. Nassef Sawiris
Nassef è al momento la persona più ricca in Egitto. Detiene il 30% di OCI, un’impresa di costruzioni con sede in Olanda, e il 27% della Orascom Construction, un gruppo di infrastrutture e di ingegneristica con sede a Dubai. Altri suoi asset sono azioni nell’azienda di abbigliamento Adidas e LafargeHolcim, il più grande produttore di cemento al mondo.
Nel 2015, ha attirato l’attenzione del mondo per aver fatto un’offerta per un’isola del Mediterraneo dell’Italia o della Grecia per un prezzo compreso tra 1 e 100 milioni di dollari per costruire un nuovo Paese dal nulla e ospitare i migranti.
I giornali dicono che Nassef Sawiris e il suo socio d’affari americano, Wesley Eden, hanno investito 4 milioni nell’Aston Villa. Si dice che i due abbiano acquistato insieme il 55% delle azioni dell’Aston Villa dal comproprietario cinese Tony Xia.
Paese: Egitto
Età: 57
Patrimonio netto: 6,8 miliardi di dollari
Area di attività: Costruzioni, chimica, calcio
Attività filantropiche: Sawiris Foundation for Social Development
3. Johann Rupert
L’imprenditore sudafricano è il figlio più vecchio del tycoon Anton Rupert e di sua moglie Huberte. Possiede la compagnia di beni di lusso con sede in Svizzera Richemont e la società con sede in Sudafrica Remgro.
Ha stupito il mondo nel 2005 quando il periodico inglese di design Wallpaper ha scritto che l’Afrikaans è “una delle lingue più brutte al mondo”. Rupert ha risposto ritirando la pubblicità delle sue compagnie come Cartier, Van Cleef & Arpels, Montblanc e Alfred Dunhill dal magazine.
Paese: Sud Africa
Età: 68
Patrimonio netto: 7,2 miliardi di dollari
Area di attività: beni di lusso
Attività filantropiche: Laureus Sport for Good Foundation
2. Nicky Oppenheimer
Miliardario e filantropo del Sudafrica, Nicky è attualmente l’uomo più ricco del Paese. È stato in precedenza presidente della compagnia mineraria De Beers e della sua controllata Diamond Trading Company, e vicepresidente di Anglo American. Il re dei diamanti pensa che l’Africa possa fare tutto da sola senza il sostegno dei governi occidentali. Se Nicky dovesse spendere un milione di dollari al giorno, ci vorrebbero 20 anni per esaurire tutto il suo patrimonio.
Paese: Sud Africa
Età: 73
Patrimonio netto: 7,7 miliardi di dollari
Area di attività: diamanti
Attività filantropiche: Brenthurst Foundation
1. Aliko Dangote
Dangote è il conglomerato d’affari più grande del continente africano e senza dubbio l’orgoglio dell’Africa. Dangote è anche tra le dieci persone più ricche al mondo. Il miliardario nigeriano ha interessi nelle materie prime della Nigeria e di altri Stati africani. All’età di 61 anni, Dangote non sta diventando più giovane come ha recentemente dichiarato: dopo aver completato il suo progetto di una raffineria da 12 miliardi di dollari si defilerà dalla gestione del suo impero finanziario e prenderà moglie.
Aliko Dangote sta ancora puntando all’acquisto di una squadra di calcio di Londra, l’Arsenal. Ha detto che si impegnerà a ricostruire la squadra e si propone per un ruolo di consulenza quando sarà il momento.
Paese: Nigeria
Età: 61
Patrimonio netto: 12 miliardi di dollari
Area di attività: Cemento, zucchero, farina
Attività filantropiche: Aliko Dangote Foundation
In Africa 18 super ricchi con un patrimonio superiore al miliardo di dollari3 febbraio 2021
https://www.agi.it/estero/news/2021-02- ... -11251960/AGI – Forbes Africa ha pubblicato la sua lista annuale di miliardari africani operativi sul continente e con un patrimonio pari o superiore al miliardo di dollari : Sono 18 e insieme possiedono una fortuna calcolata in 73,8 miliardi di dollari, poco più del valore complessivo di 73,4 miliardi di dollari attribuito ai 20 in lista l’anno scorso.
L’incremento sarebbe da attribuire all’impennata del mercato azionario della Nigeria. Per il decimo anno consecutivo, la prima posizione è occupata dal nigeriano Aliko Dangote: il valore del suo patrimonio è stimato da Forbes in 12,1 miliardi di dollari. Sono 2 miliardi di dollari in più rispetto all’anno scorso, dovuti in larga parte a un aumento del 30 per cento del prezzo delle azioni di Dangote Cement, la sua impresa più importante che ha impianti e terminali di importazione in dieci stati africani.
Al secondo posto c’è l’egiziano Nassef Sawiris, la cui risorsa maggiore è una partecipazione di quasi il 6 per cento al brand Adidas. Dopo di lui, il sudafricano Nicky Oppenheimer, azionista di maggioranza della compagnia mineraria Anglo American Plc e socio di diverse imprese minerarie minori.
Il miliardario che si è arricchito maggiormente nel corso del 2020 è Abdulsamad Rabiu, altro magnate del cemento nigeriano: le azioni della sua Bua Cement Plc, quotata alla borsa valori della Nigeria nel gennaio 2020, hanno raddoppiato il valore nell'ultimo anno. Ciò ha spinto la fortuna di Rabiu a salire di uno straordinario 77 per cento, a 5,5 miliardi di dollari.
Come mette in rilievo Forbes Africa, la posizione di Rabiu e di suo figlio, che insieme possiedono il 97 per cento dell'azienda, sembrerebbe non soddisfare i requisiti fissati dalla legge nigeriana in materia di società quotate.
La borsa valori nigeriana richiede infatti che almeno il 20 per cento di azioni sia messo sul mercato pubblico e qui siamo appena al 3. La legge ammette però un'alternativa: ossia mettere sul mercato azioni con un valore complessivo minimo di 20 miliardi di naira, circa 50 milioni di dollari. E sarebbe questo il caso di Bua Cement.
Nella classifica del 2020 non compaiono donne miliardarie. Le due che erano presenti nel 2019 hanno perso posizione e sono scese infatti sotto al miliardo di dollari. Si tratta della nigeriana Folorunsho Alakija, che possiede una compagnia di esplorazione petrolifera, ed è stata colpita dalla diminuzione del prezzo del petrolio legata alla pandemia. La seconda è l’angolana Isabel dos Santos, colpita invece dalle note vicende giudiziarie che hanno portato al congelamento dei suoi beni sia in Angola sia in Portogallo.
I 18 miliardari africani provengono da sette paesi diversi. Il Sudafrica e l'Egitto hanno ciascuno cinque miliardari, seguiti dalla Nigeria con tre e dal Marocco con due. Nell’elenco non compaiono personalità come il sudanese Mo Ibrahim o l’egiziano Mohamed Al-Fayed, perché non residenti in Africa o perché le loro attività non sono dislocate nel continente.
Aumentano i milionari africani Rivista Africa
Raffaele Masto
https://www.africarivista.it/aumentano- ... ni/139168/Uno dei luoghi comuni più diffusi di questi tempi è che l’Africa è il continente che cresce di più in termini economici, cioè di Pil, Prodotto Interno Lordo.
Come sempre le cifre assolute esprimono male la realtà. Così per esempio la Nigeria, che nel 2016 ha superato il Pil del Sudafrica divenendo il Paese con la crescita maggiore di tutto il continente, non è conseguentemente il Paese con gli abitanti più ricchi perché è al tempo stesso la nazione più popolosa. Così, dividendo il Pil da record per il numero degli abitanti del Paese, si scopre che i nigeriani sono tra i più poveri dell’intera Africa.
Un problema di distribuzione della ricchezza, dunque, che appare ancora più evidente se si guarda la tendenza africana all’accumulazione di ricchezza, di lusso, di proprietà immobiliari, in una parola di patrimoni.
Secondo dati Onu riportati nel portale Open Data for Africa, la ricchezza patrimoniale in Africa è cresciuta del 13% in dieci anni, cioè dal 2007 al 2017. Solo in quest’ultimo anno è cresciuta del 3%. In sostanza, in dieci anni l’élite economico-finanziaria africana è aumentata di diciannovemila milionari, che possiedono almeno un milione di dollari in patrimoni. Si stima che questa ricchezza crescerà ancora a ritmi vertiginosi nei successivi dieci anni aumentando del 34% entro il 2027.
In termini macro-economici ciò significa che la forbice tra ricchezza e povertà si apre sempre più, come del resto avviene nel mondo intero. Ma in Africa questo divario è più significativo perché denuncia il fatto che la crescita della domanda interna in molti Paesi non esprime un aumento, in termini numerici, della classe media ma semplicemente una maggiore domanda interna espressa da questi nuovi ricchi. Ci sono Paesi in cui il fenomeno è appariscente, come l’Angola, che è diventato il Paese con la capitale, Luanda, che è la città più cara al mondo, con una popolazione che è rimasta sostanzialmente povera.
https://it.wikipedia.org/wiki/Economia_dell%27Africa La crescita economica in Africa: un gigante che si muove scomposto Il Bo Live UniPD
https://ilbolive.unipd.it/it/news/cresc ... e-si-muove Di Africa si parla spesso e volentieri, soprattutto per sottolinearne i problemi. Guerre, povertà, migrazioni, siccità, deserto. Queste sembrano essere le parole chiave che abitano il senso comune quando pensiamo al continente africano, intrappolato in uno schema mentale rigido e più ancorato ai pregiudizi piuttosto che alla realtà.
Certo, l’Africa è ancora il continente con la più alta concentrazione di poveri del mondo, ed è ancora il continente che i giovani lasciano per cercare altrove sicurezza e opportunità.
Ma fermarsi ancora una volta ai soli problemi, preclude di soffermarsi sui cambiamenti in atto, e sulle conseguenti possibilità. L’Africa è cresciuta, è cambiata nel corso degli ultimi 25 anni, con velocità e modi diversi a seconda delle zone, confrontandosi con i suoi problemi, vecchi e nuovi.
A testimoniare l’andamento a livello economico è l’African Economic Outlook 2018, un rapporto stilato dall’African Development Bank che si occupa di analizzare le performance delle diverse economie africane. Il rapporto fornisce anche delle previsioni a breve-medio termine sull’evoluzione dei principali indicatori economici.
Ovviamente quando si parla di economia africana occorre tenere presente che i 54 stati che la popolano presentano un’importante eterogeneità, anche economica, infatti sarebbe più corretto parlare di “Afriche”, che viaggiano a velocità diverse. Ci sono stati che hanno fatto registrare ottime performance, in altri, invece, la crescita è stata tiepida. Generalizzando, i miglioramenti nella produttività e la trasformazione strutturale sono più evidenti nei paesi che non dipendono dalle risorse.
Ciò che emerge dai dati raccolti e analizzati è che le economie africane sono state resilienti e hanno avuto uno slancio in avanti. Nonostante gli shock regionali e globali registrati nel 2016 che hanno rallentato il ritmo della risalita economica africana, ci sono stati degli importanti segni di ripresa già nel 2017. La crescita del prodotto in termini reali è aumentata del 3,6% durante lo scorso anno, e per il 2018-2019 è attesa un’accelerazione fino al 4,1%. Questi numeri si riferiscono all’Africa nel suo insieme, nonostante le entrate siano diminuite e le spese aumentate in alcuni paesi. Le riforme strutturali, solide condizioni macroeconomiche e la vivace domanda interna, stanno sostenendo i paesi che necessitano di molte risorse.
Le variabili economiche fondamentali e la resistenza agli shock sono migliorate in molti stati africani, in alcuni la mobilitazione delle risorse interne supera quella degli stati asiatici e sudamericani con un livello simile di sviluppo.
In generale, nel 2017 l’economia africana è salita allo stesso ritmo di quella globale, ma dato che l’aumento della popolazione è più ampio rispetto a molte altre regioni, la crescita del reddito pro capite è ancora al di sotto della media mondiale. Si è stimato che la crescita economica globale passi dal 3,1% del 2016 al 3,6% nel 2017, e quindi al 3,7% nel 2018. Fattori che possono portare al rialzo dei prezzi delle materie prime, a beneficio degli stati africani dato che si tratta della loro principale merce esportata.
Cresce anche il Pil, seppur in modo altalenante: la media in termini reali è salita raggiungendo il 3,6% durante il 2017, dopo un 2016 tiepido (Pil al 2,2%). Le previsioni parlano di un +4,1% durante il 2018-2019. In realtà il Pil dell’Africa, in termini globali, ha mantenuto un segno positivo costante dal 2009, noncurante del colpo sofferto dalle esportazioni a causa del deprezzamento delle materie prime (dal 2013 al 2015). l fattori che hanno contribuito a questo progresso vanno ricercati nel miglioramento delle condizioni economiche globali, la ripresa delle quotazioni delle materie prime (soprattutto petrolio e metalli), una domanda interna sostenuta e solo in parte soddisfatta grazie all’importazione, e i miglioramenti nel campo della produzione agricola. Importanti sono anche gli investimenti pubblici e privati, che sono aumentati ogni anno dal 2012 al 2016. A questo riguardo, la variazione interna a seconda degli stati è molto significativa.
Gran parte del rallentamento registrato nel 2016 è collegato alla recessione della Nigeria, dove le uscite si erano ristrette al 1,5%, a causa dell’abbassamento dei prezzi del petrolio. La ripresa nel 2017, unita alla forte performance nel settore agricolo, hanno risollevato il paese dalla recessione, ma non abbastanza per non considerare più la Nigeria come una delle economie più deboli dell’Africa. Tra le altre grandi economie del continente, il Sud Africa ha frenato la sua crescita, registrando un tiepido aumento del 0,3% nel 2016, mentre l’Egitto ha registrato una crescita sopra la media del 4,3%.
Ad ogni modo, l’andamento varia molto nelle cinque sottoregioni africane.
L’Africa Orientale è la porzione del continente che sale a passo più sostenuto: il 5,6% registrato nel 2017 va a sostituire il 4,9% del 2016. La crescita attesa rimane vivace per il 2018 (5,9%) e per il 2019 (6,1%). Il tasso positivo è diffuso in tutta la regione, con Gibuti, Etiopia, Kenya, Ruanda, Tanzania e Uganda che hanno registrato un tasso di crescita del 5% o superiore. Il consumo privato è il più importante motore della crescita in Comore e in Kenya. L’agricoltura è in fase di ripresa dopo i raccolti scarsi del 2017, mentre l’attività edilizia rimane forte. In alcuni paesi, inoltre, l’espansione dei servizi, tra cui le tecnologie di informazione e comunicazione, continua e sarà fondamentale per il futuro.
L’Africa del Nord è la seconda sottoregione per velocità di crescita nel continente, con un tasso al 5% per il 2017, che scalza il 3,3% registrato l’anno precedente. Anche in questa zona la crescita dovrebbe continuare nel 2018 raggiungendo il 5,1%, per poi rallentare al 4,5% nel 2019. A sostenere il tasso è stata la ripresa della produzione petrolifera in Libia, mentre l’Egitto continua a essere stabile.
Per quanto riguarda l’Africa meridionale, la crescita è quasi raddoppiata nel 2017. Il tasso si ferma al 1,6%, ma nel 2016 era allo 0,9%. Questo miglioramento è dovuto ai risultati ottenuti dai tre maggiori esportatori della zona: il Sud Africa (0,9%), l’Angola (2,1%) e lo Zambia.
Anche la crescita dell’Africa Occidentale è prevista in aumento. Se nel 2016 il tasso è stato ampiamente sotto l’1%, nel 2017 si stima una ripresa superiore al 2%; le prospettive per gli anni a venire sono ancora migliori: 3,6% nel 2018 e 3,8% nel 2019. Oltre alla già citata Nigeria, anche la Costa d’Avorio, il Ghana e il Senegal risultano in espansione. Altri stati più piccoli come Benin, Burkina Faso, Sierra Leone e Togo, dovrebbero registrare una crescita superiore al 5%.
Il fanalino di coda è rappresentato dall’Africa Centrale che, nonostante la ripresa dei prezzi del greggio, ha continuato a dare segnali negativi. Le uscite si sono ristrette nella Repubblica del Congo e nella Guinea Equatoriale, trascinando la media di crescita della sottoregione al 0,9% nel 2017. Nonostante ciò, le previsioni sono positive per il 2018, con un tasso di crescita del 2,6% e del 3,4% per il 2019.
Sebbene la mobilitazione delle entrate nazionali sia migliorata negli ultimi anni, i rapporti tra le imposte e il Pil sono ancora bassi in molti stati africani. I regimi di reddito dovrebbero catturare più guadagni dalla crescita e dal cambiamento strutturale quando le economie si formalizzano e gli stati diventano più urbanizzati. Visto che i prezzi delle materie prime, sebbene in ripresa, non sono ancora tornati ai livelli registrati prima della crisi, molti governi africani si sono rivolti ai mercati di capitali internazionali per soddisfare i propri bisogni finanziari, con il risultato di un accumulo di debito. In Ghana nel 2016, per esempio, il debito estero è aumentato del 41%. Così, dopo un periodo di rientro, il tasso del debito pubblico è in aumento.
La presenza del debito, di per sé, non è un problema, perché se viene usato per investire sulla crescita del paese, può attuare un circolo virtuoso in cui gli investimenti non solo ripagheranno il debito, ma anche miglioreranno il saldo di bilancio e delle partite correnti. Attualmente ci sono molto stati africani che si trovano in questa fase cruciale di sviluppo, infatti necessitano di finanziamenti urgenti per alzare la crescita e gli standard di vita. Quindi la politica fiscale non dovrebbe minare gli effetti della crescita e nemmeno cancellare i progressi ottenuti nella lotta contro la povertà, per la salute ed educazione del popolo. Altri stati africani, invece, usano il debito per ridurre i deficit fiscali, ma questa opzione è sempre meno frequente, o comunque in calo rispetto al passato.
Un’altra vulnerabilità fiscale è rappresentata dal possibile aumento dei tassi di interesse in dollari e dall’inasprimento dello spread, che metterebbero a rischio l’arrivo di flussi di capitali privati. Dall’inizio del 2015 molte delle valute africane hanno perso circa il 20-40% del loro valore di cambio con il dollaro, ma questa svalutazione della moneta non si traduce necessariamente con un vantaggio nell’esportazione verso l’estero. La gestione della domanda interna dovrebbe poter sostenere l’onere di risanare i conti con l’estero. I progetti in corso relativi alle infrastrutture devono essere completati e quindi mantenuti, bilanciando i fondi per i progetti degli oleodotti con le altre necessità. Le spese ricorrenti dovranno essere monitorate, inclusi i costi salariali. Nel medio periodo però, l’Africa dovrebbe considerare una riforma fiscale, per migliorare i regimi di reddito e per eliminare il gran numero di eccezioni e di perdite economiche che mina il sistema tributario attuale.
La percezione quindi, che il mercato africano sia poco dinamico, è sbagliata. L’Africa genera ogni anno più di 500 miliardi in introiti e altre entrate fiscali, più di dieci volte gli aiuti esteri che riceve annualmente, a cui vanno a sommarsi anche 60 miliardi di dollari in rimesse stanziate per i Paesi in via di sviluppo. Nonostante questi numeri, il continente africano spende più di 300 miliardi di dollari ogni anno per importare i beni che potrebbe produrre internamente (e a basso costo), se solo i governi promuovessero l’industrializzazione. Grazie a delle politiche adeguate, il processo di industrializzazione dell’Africa potrebbe portare il continente a migliorare la produttività, stimolare il progresso tecnologico, creando allo stesso tempo posti di lavoro e aumentando il reddito medio e i consumi interni. Alla fine di una lunga catena di benefici si vedrebbero i paesi africani smarcarsi del tutto, o parzialmente, dalla dipendenza dalle esportazioni di petrolio e metalli.
Nessuno di questi cambiamenti e di queste scelte fiscali, sono immediati e menchemeno facili. Una trasformazione strutturale profonda, solitamente, richiede decenni perché consiste in cambiamenti ampi e permanenti nella struttura della produzione, quindi il cambiamento non è dietro l’angolo, ma è decisamente a portata di mano.