Le demenziali menzogne sull'Africa del vittimismo africano

Le demenziali menzogne sull'Africa del vittimismo africano

Messaggioda Berto » mar ago 01, 2023 9:23 am

18)
Il piano Mattei per l'Africa


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GIÙ LE MANI DALL'AFRICA
L'Africa visitata dal Papa si racconta. Ma occhio all'ideologia
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26-05-2023

https://lanuovabq.it/it/lafrica-visitat ... 7qHyPkvXVY

I discorsi e le omelie pronunciate da Papa Francesco durante il suo viaggio in Congo e Sudan del Sud sono stati raccolti nel libro Giù le mani dall’Africa. Un testo pieno di incontri, racconti e testimonianze strazianti. Ma rischia di essere presentato come l'ennesimo pamphlet anti-occidentale.

I discorsi e le omelie pronunciate da Papa Francesco durante il suo recente viaggio in Repubblica democratica del Congo e Sudan del Sud sono stati raccolti in un libro edito da Libreria Editrice Vaticana, intitolato Giù le mani dall’Africa. Il volume contiene anche le testimonianze di diverse vittime di violenza incontrate dal Papa nei due Paesi: in Congo, dove le regioni dell’Est ormai da decenni sono territori di scontro e razzia di decine di gruppi armati, e in Sudan del Sud, dove le due etnie più potenti, i Dinka e i Nuer, hanno aperto le ostilità nel 2013 scatenando una guerra.

Nella prefazione, attingendo ai discorsi e alle omelie e rievocando le parole, i gesti di conforto di Francesco per le tante persone sopravvissute a esperienze terribili, eppure ancora capaci di sperare nella giustizia e impegnarsi per costruire un futuro diverso, la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie definisce l’incontro del Papa con le popolazioni dei due Paesi “un omaggio all’importanza primaria degli esseri umani comuni”. Una delle testimonianze più toccanti raccolte nel libro è quella di Emelda M’karhungulu, che in Congo, nel 2005, all’età di 16 anni è stata catturata insieme ad altri abitanti del suo villaggio dai combattenti di un gruppo armato, per tre mesi è stata la loro schiava sessuale, ha visto uccidere in modo atroce altri prigionieri, per non essere uccisa a sua volta ha dovuto più volte mangiarne la carne e tuttavia ha la forza di dire: “perdoniamo i nostri carnefici per tutto quello che hanno fatto e chiediamo al Signore la grazia di una convivenza pacifica, umana e fraterna”.

Ma tutte le persone che si sono presentate alle udienze del Papa tra il 31 gennaio e il 5 febbraio scorsi hanno mostrato, ciascuna a modo suo, di aver saputo perdonare, di non essere state sopraffatte dalla mostruosità della violenza estrema alla quale hanno assistito, e alla quale in parte hanno partecipato sebbene involontariamente. C’è chi – Kombi, un ragazzo di 16 anni – si è presentato all’incontro con un machete, simile a quello con cui a suo padre è stata tagliata la testa davanti ai suoi occhi e portata via in un cesto, e lo ha deposto davanti alla Croce ringraziando Francesco per la sua visita; e un ragazzino ha fatto altrettanto consegnando in segno di perdono e pace il coltello abbandonato dai miliziani, da lui raccolto e conservato, usato per uccidere tutta la sua famiglia. “È difficile comprendere una tale malvagità, questa brutalità quasi animale. Di notte non riesco a dormire” Kombi ha confidato al Papa. Gli uomini che hanno ucciso suo padre hanno portato via sua mamma e di lei non si sono più avute notizie.

Il Papa ha infuso fiducia e speranza in questa umanità violata, mostrandosi – scrive Chimamanda Ngozi Adichie – capace di prestare attenzione “alle minuzie della sofferenza delle persone, al peso e al valore delle emozioni, dei sentimenti”, di dare l’esempio “esortando gli altri a non perdere il senso di meraviglia davanti all’incontro umano”.

Per questo si concorda con Alex Zanotelli quando dice che il libro è importante e auspica che circoli nelle parrocchie e nelle comunità cristiane “perché si incominci a capire il dramma di questo continente”. Se non che per il missionario comboniano, che ha presentato Giù le mani dall’Africa al Salone del Libro di Torino nei giorni scorsi, i drammi dell’Africa sono “le esperienze coloniali, neocoloniali, neoliberiste”, il “rifiuto dell’altro, soprattutto il volto nero”, i Paesi come l’Italia in cerca di materie prime per cui “alla fine è semplicemente un succhiare il sangue senza lasciare nulla sul territorio” e “i governi africani prigionieri di questo sistema economico”.

Anche per i Missionari d’Africa, meglio conosciuti come Padri Bianchi, quel che conta è il messaggio di denuncia contenuto nel libro. “Papa Francesco è da sempre in prima linea contro le ingiustizie e l’avidità dell’Occidente interessato a depredare le ricchezze del continente africano” – così inizia la recensione pubblicata sulla loro rivista, Africa, il 23 maggio – questo libro evidenzia la sua vicinanza a due popoli feriti dalla guerra, impoveriti da potenze straniere predatorie, indeboliti dalla corruzione della classi politiche locali”. Sicuramente i Padri Bianchi concordano però con Zanotelli sul fatto che la corruzione delle classi politiche locali è a sua volta colpa delle “potenze straniere predatorie” e soprattutto del famigerato Occidente che pure, chissà come, è riuscito a generare loro che invece tanto si prodigano per il prossimo nel bisogno. “Risuona nel cuore di queste pagine – prosegue la recensione – il grido di Papa Francesco per il continente, al suo arrivo a Kinshasa (la capitale del Congo, n.d.A.), davanti alle autorità congolesi: giù le mani dall’Africa! Basta soffocare l’Africa: non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare. L’Africa sia protagonista del suo destino!”.

Ma proprio questo “grido” è stato il momento più critico, forse delicato del viaggio. Il Papa infatti è a quelle autorità, e a tutte le autorità politiche del continente, che doveva ordinare di smettere di soffocare, sfruttare, saccheggiare l’Africa come fanno ormai da quasi 70 anni: meglio ancora, non l’Africa, ma gli africani, perché è davvero deplorevole continuare a riferirsi ai 55 Stati africani e agli 1,4 miliardi di africani chiamandoli “Africa”. Mal consigliato, Papa Francesco forse davvero crede che tutto in Africa dipenda dalle ingiustizie e dall’avidità dell’Occidente e non si rende conto che, nel bene e nel male, l’Africa, ovvero i suoi abitanti, è già protagonista del proprio destino, come lo è sempre stata nel corso dei millenni, anche se due colonizzazioni, quella arabo-islamica durata secoli, e quella europea, lunga meno di 100 anni, hanno lasciato la loro impronta.

Prima di Francesco, Papa Benedetto XVI aveva capito che le cause prime e principali dei problemi africani sono il tribalismo e la corruzione e le aveva denunciate durante i suoi viaggi apostolici in Camerun, Angola e Benin.


Il piano Marshall per l'Africa che gli africani non vogliono
Esteri 31-07-2023

https://lanuovabq.it/it/il-piano-marsha ... XZFnKSHJ3w

L'Italia propone un "modello virtuoso di collaborazione e crescita" per il Continente Nero che però si scontra con la realtà di troppi Paesi in cui la corruzione è stile di vita e gli aiuti favoriscono dittatori e autocrati.

Dal Piano Mattei, annunciato a gennaio e rilanciato ad aprile dal governo italiano durante un viaggio in Etiopia del primo ministro Giorgia Meloni, a un «grande Piano Marshall per l’Africa che non si limiti all’impegno dell’Italia, ma si allarghi all’Europa, ai Paesi del Golfo, e magari alla Turchia e agli Stati Uniti». È questa l’iniziativa con cui l’Italia intende assumere la guida dei rapporti con il continente africano e con il futuro dei suoi Paesi, con quattro obiettivi: realizzarne lo sviluppo, sottrarlo all’influenza della Cina e di altri stati, contrastare la diffusione del jihad, fermare l’immigrazione illegale.

«Vogliamo affrontare la questione africana attraverso una strategia di investimenti ampia — ha dichiarato nei giorni scorsi il ministro degli Affari Esteri Antonio Tajani – che passi da impegni concreti, guardando con occhio da amico e non da colonizzatore. Non vogliamo essere predatori. Dobbiamo aiutare a creare aziende e un tessuto industriale, anche attraverso delle joint venture, senza sfruttare i Paesi che hanno materie prime».

Il primo ministro Meloni ha usato espressioni simili: quello italiano deve essere un «modello virtuoso di collaborazione e di crescita tra Unione Europea e nazioni africane, un modello di cooperazione non predatorio, in cui entrambi i partner devono poter crescere e migliorare» e, dice, «ci stiamo lavorando, soprattutto ascoltando e coinvolgendo i Paesi africani». Durante l’incontro con il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, il 27 luglio alla Casa Bianca, il nostro primo ministro ha sottolineato che i rapporti con gli Stati africani devono essere «tra pari»: «dobbiamo essere corretti – ha detto – con le nazioni che sono state sfruttate nelle loro risorse».

La risposta africana arriverà nei prossimi mesi. Il 23 luglio a Roma, alla Conferenza Internazionale su sviluppo e migrazioni organizzata dal nostro governo, sono stati invitati e hanno partecipato otto Paesi africani: Algeria, Egitto, Tunisia, Libia, Mauritania, Marocco, dalle cui coste partono la maggior parte degli emigranti illegali, Etiopia e Niger, quest’ultimo strategico perché è attraversato da una delle rotte più battute dagli emigranti ed è sede di uno dei più importanti hub in cui si concentrano in attesa di attraversare il deserto, la città di Agadez. A ottobre si svolgerà la Conferenza Italia-Africa in cui sarà illustrato e proposto il Piano Mattei. Si vedrà come sarà accolto e da chi. Ma è inutile negare che molti, troppi africani non sono allettati dalla prospettiva di un rapporto “alla pari” con altri Stati, da “amici” uniti nella realizzazione di un «modello virtuoso di collaborazione e di crescita».

La corruzione sfrenata, irresponsabile e devastante che in Africa è diventata, come dicono in Nigeria, uno “stile di vita” e che pervade la vita sociale, economica e politica, a ogni livello, è causa di un immenso spreco di risorse e non risparmia quelle offerte a vario titolo come aiuto allo sviluppo. Da decenni, che si tratti di progetti di cooperazione internazionale o di accordi bilaterali tra Paesi, sull’Africa già si sono riversati migliaia di miliardi di dollari sotto forma di doni, di investimenti e di prestiti (questi ultimi a condizioni quasi sempre estremamente favorevoli, addirittura in certi casi senza interessi). L’esito è stato modesto, molto al di sotto delle aspettative e della quantità di risorse impegnate.

La carità che uccide
Anni fa la Banca Mondiale aveva calcolato che ogni 10 dollari che arrivano in Somalia – doni, prestiti, finanziamenti – 7 sparivano, intascati da chiunque riuscisse a metterci le mani. Spariscono di continuo persino gli aiuti alimentari destinati alle popolazioni colpite da carestia, per ricomparire venduti nei mercati locali. Prima di decidere di impegnare altri miliardi di dollari in un grande Piano Marshall per l’Africa, meriterebbe rileggere un libro, La carità che uccide di Dambisa Moyo, pubblicato nel 2009. L’economista zambiana, vivacemente contestata all’epoca, ha denunciato «la corruzione sfrenata su scala strabiliante» che caratterizza la politica africana. «Le enormi somme degli aiuti – sosteneva – non solo incoraggiano la corruzione, ma la generano. I fondi che arrivano dall’estero sono infatti molto facili da sottrarre o dirottare. Questo fiume di denaro che arriva dall’alto è estremamente distruttivo…».

In simili contesti, c’è chi vuole un modello virtuoso di collaborazione che produca sviluppo? Se lo domandava 30 anni fa la sociologa camerunese Axelle Kabou fa in un libro, anch’esso da rileggere, che fece molto discutere, E se l’Africa rifiutasse lo sviluppo? È una domanda che è ancora necessario porsi.

Complessa, poi, è la scelta dei Paesi africani su cui puntare, quelli da «ascoltare e coinvolgere». Uno era il Niger non solo perché è attraversato da una delle rotte più usate dalle reti criminali che organizzano i viaggi degli emigranti illegali. È in Niger infatti che la Francia e gli alleati europei hanno trasferito la base delle loro truppe in lotta contro i gruppi jihadisti dopo aver deciso di lasciare il Mali troppo inaffidabile, in mano ai militari autori nel 2021 del secondo colpo di stato in meno di un anno. Ma il 27 luglio in Niger un colpo di Stato militare ha deposto presidente e governo. «Investire su autocrati e dittatori non porta stabilità, rinvia il problema e accende bombe a orologeria politiche e sociali in quei Paesi». L’affermazione è dell’onorevole Benedetto Della Vedova in replica alla risposta del question time del ministro Tajani il 19 luglio. Quello in Niger è l’ottavo golpe in Africa in quattro anni: gli altri in Sudan (due), Chad, Guinea e Burkina Faso, oltre che in Mali.




Alberto Pento

Questo governo a maggioranza meloniano e berlusconiano (a cui si è accodato anche l'ometto Salvini ancora ignobilmente filo russo) segue il demenziale Bergoglio che promuove e cavalca la propaganda antioccidentale comunista e nazi maomettana incentrata sulla menzogna calunniosa di un'Africa predata e sfruttata dall'Occidente ricco, egoista e disumano, dalle sue politiche e dalle sue multinazionali, per demonizzare la sua cultura economica, l'industrializzazione tecnologica, il capitalismo, il sistema bancario e monetario, la sua civiltà tecnicamente ed energeticamente sviluppata che altererebbe il clima mondiale e provocherebbe siccità e carestie in Africa, causando esodi biblici delle popolazioni subsahariane sterminate dalla fame e decimate dai conflitti, costringendo i poveri africani alle rischiose migrazioni clandestine dove molti trovano la morte magari affogando nel Mediterraneo.
La verità è che l'Africa si è sviluppata solo laddove l'Occidente ha valorizzato le sue risorse energetiche, minerarie, agricole, forestali, marine, turistiche, pagandole agli africani con il loro prezzo di mercato. Si pensi alla Libia di Gheddafi che con i proventi del gas e del petrolio estratto e lavorato da compagnie e da lavoratori prevalentemente occidentali ha garantito al libici una rendita economica che li ha fatti vivere da signori e senza lavorare.



Libia: petrolio, Gheddafi e islamismo.
Una storia senza senso?
17/02/2016
https://www.fondazionecdf.it/index.php? ... dossier=22

La Libia è parte del Sahara, il più grande deserto al mondo, perciò la popolazione è concentrata sulla costa, attorno a due città principali: a occidente Tripoli, al centro della regione Tripolitania, a oriente Bengasi, nella regione chiamata Cirenaica (mappa a lato). Le due grandi aree urbane sono separate da circa 650 chilometri di deserto e sono abitate da tribù diverse, che prima della conquista coloniale italiana del 1911 si governavano in modo autonomo, anche se erano parte dell’Impero Ottomano.

Nel 1951 la Libia divenne un regno indipendente sotto il re Idris Senussi, della regione della Cirenaica, che durante la Seconda Guerra Mondiale aveva schierato la sua forte tribù contro gli Italiani e in favore degli Inglesi.

Negli anni ’80 fra l’Arabia Saudita e la Libia ci fu una guerra fredda sotterranea, coperta dal manto della comune appartenenza al mondo arabo, ma non per questo meno feroce. Durante la guerra Iraq-Iran del 1980-88 Gheddafi sostenne l’Iran.

Gli abitanti di entrambe le regioni sono di etnia araba (?) e di religione sunnita (mappa a lato). Una terza regione, quella di Fezzan, è stata creata nel deserto del sud, dove fra le oasi abitate si spostano i Beduini, popolazione nomade originaria della regione. A sud della Cirenaica, al confine con il Niger, vive un piccolo numero di Tebou, popolazione africana dedita all’allevamento e alla pastorizia, presente in tutto il Niger e in Chad.

I Libici sono circa 6,5 milioni, di cui 6 milioni vivono lungo la costa. Sono molto ricchi, perché fra il 1956 e il 1959 scoprirono grandi giacimenti di petrolio. La maggior parte dei giacimenti sono nella Cirenaica. ll 70 % dei Libici sono dipendenti dello stato, pagati con la rendita del petrolio.

Re Idris era laico e filo-occidentale. Durante la Guerra fredda, nel 1969, un giovane colonnello di simpatie comuniste, Muhammar Gheddafi, organizzò una ribellione fra i militari, rovesciò re Idris e assunse il potere, facendo della Libia una repubblica socialista araba, sorella di quelle create negli stessi anni in Egitto, in Siria e in Iraq, in nome del nazionalismo arabo e del socialismo. Gheddafi era di Sirte, in Tripolitania, e si circondò di uomini della sua regione della sua tribù, con grave scontento della popolazione della Cirenaica. Gheddafi governò per decenni sia con il bastone – la repressione violenta – sia con la carota – la distribuzione della rendita del petrolio. Usò tutti i mezzi per omogeneizzare la popolazione libica, superando il tribalismo.

Negli anni ’70 i prezzi del petrolio erano altissimi, gli stati arabi produttori di petrolio tentavano di mettere in ginocchio l’economia dell’Occidente manovrando il prezzo del petrolio, di comune accordo (vedasi grafico a lato). Ma negli anni ’80 i prezzi del petrolio crollarono e Gheddafi ebbe meno risorse da distribuire – il malcontento in Cirenaica tornò a farsi sentire. Ne approfittò l’Arabia Saudita, che durante la Guerra fredda si era schierata contro i comunisti sovietici e i suoi alleati, perché l’ideologia comunista minacciava la loro corona e la loro ricchezza personale. Negli anni ’80 fra l’Arabia Saudita e la Libia ci fu una guerra fredda sotterranea, coperta dal manto della comune appartenenza al mondo arabo, ma non per questo meno feroce. Durante la guerra Iraq-Iran del 1980-88 Gheddafi sostenne l’Iran, paese non arabo e non sunnita, contro l’Iraq arabo e sunnita, per di più formalmente socialista! La posizione di Gheddafi era ispirata da forti sentimenti anti-americani e anti-sauditi. Gheddafi, che aveva finanziato la rivoluzione degli Ayatollah in Iran, voleva che l’Iran indebolisse i Sauditi e gli Americani, così come lo voleva la Siria, altro paese arabo che sostenne l’Iran nel conflitto con l’Iraq.

Per decenni Gheddafi organizzò, o aiutò a organizzare, attentati contro leader filo-occidentali in Arabia Saudita, in Egitto, in Sudan, Chad, Zaire, Tunisia. La Libia degli anni ’70 e ’80 ospitava e finanziava i campi di addestramento di tutte le organizzazioni terroriste anti-occidentali, dall’IRA in Irlanda alle Brigate Rosse in Italia, dalla RAF tedesca all’ETA spagnola al PLO palestinese. Organizzava attentati internazionali come quello che provocò l’esplosione in volo dell’aereo Pan Am 103 nel 1978 e la morte di tutti i passeggeri. Ma Gheddafi si allarmò quando fra le organizzazioni terroriste apparve al Qaeda, di ideologia anti-occidentale ma di cultura saudita e finanziata dai Sauditi. Il laico Gheddafi reprimeva duramente gli islamisti in Libia, che accorsero a combattere per Bin Laden in Afghanistan, contro i Sovietici. Non a caso la ribellione contro Gheddafi del 2011 scoppiò in Cirenaica fra gli islamisti guidati da reduci dall’Afghanistan e dal Pakistan, dove avevano combattuto con Bin Laden. Sin dal 1990 il Libyan Islamic Fighting Group, affiliato ad al Qaeda, aveva tentato ripetutamente di assassinare Gheddafi.

Il timore dell’islamismo di matrice saudita e la caduta dell’Unione Sovietica obbligarono Gheddafi a cambiare politica e a cercare l’avvicinamento all’Occidente. Nel 2004 gli Stati Uniti rimossero la Libia dall’elenco degli stati colpiti da sanzioni internazionali in quanto fiancheggiatori del terrorismo: Gheddafi aveva iniziato a collaborare con l’intelligence inglese e americana, contro gli islamisti di al Qaeda. Aveva consegnato anche armi nucleari e chimiche, per mostrare la propria determinazione a collaborare, e aveva pagato un indennizzo alle vittime del volo Pan Am 103, ammettendo la propria responsabilità. Paradossalmente anche gli odiati Sauditi collaboravano in quegli anni con l’intelligence inglese e americana per neutralizzare gli islamisti di al Qaeda, da loro originariamente finanziati e sostenuti!

I rapporti fra l’Italia e Gheddafi divennero quasi idilliaci: costruimmo i 540 chilometri del gasdotto Greenstream da Mellita a Gela, sotto al Mediterraneo, e la Libia investì pesantemente in aziende italiane – inclusa la Juventus F.C. Ma nel 2011 nessuno intervenne a salvare Gheddafi dagli islamisti che l’avevano rovesciato: il suo convoglio fu anzi bombardato da aerei francesi, permettendo agli inseguitori di catturarlo e ucciderlo.

Come si vede, capire chi è amico o nemico di chi nel mondo arabo non è facile per noi, abituati alla logica degli stati-nazione con interessi geopolitici stabili, di lunga durata.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Le demenziali menzogne sull'Africa del vittimismo africano

Messaggioda Berto » mar ago 01, 2023 9:23 am

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Messaggioda Berto » mar ago 01, 2023 9:23 am

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