Ma la Francia sfrutta colonialmente l'Africa? No!

Ma la Francia sfrutta colonialmente l'Africa? No!

Messaggioda Berto » mer mag 01, 2019 7:42 pm

Ma la Francia sfrutta colonialmente l'Africa? No!
viewtopic.php?f=175&t=2854

Da qualche tempo circola sul web la diceria che la Francia sfrutta le sue ex colonie attraverso un nuovo colonialismo finanziario, economico e politico.
Questa diceria ha fatto presa nelle teste vuote dei complottisti ed è montata negli ambienti grillini dove i complottisti sono la maggioranza e in quelli della destra nazionalista italiana dove non mancano; con qualche ripresa anche nell'area leghista e venetista.

https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 4085574741

Il pacco demagogico statalista fascio-comunista dei 5 stelle, le scimmie irresponsabili dell'ignorante e presuntuoso orango genovese, il salvatore della provvidenza, il comico della patacca sull'idrogeno, lo sciamano della chiacchera a cui non è mai riuscito nemmeno un miracolo.
viewtopic.php?f=129&t=2740
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 8790654040
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ma la Francia sfrutta colonialmente l'Africa? No!

Messaggioda Berto » mer mag 01, 2019 7:44 pm

L'accusa contro la Francia è stata formulata per la prima volta da un certo Mawuna Koutonin
https://www.facebook.com/mawuna.koutonin

e ripresa da un tal Konarè
https://www.facebook.com/konare.shata?fref=ufi


Konare: è la Francia a depredare l’Africa, ditele di smettere
7 agosto 2018

http://www.libreidee.org/2018/08/konare ... i-smettere

Ma la Francia non era il paese dei Lumi, patria della libertà già nel Settecento? Sì, ma solo in Europa: certo non in Africa, dove 14 paesi vivono tuttora sotto il giogo di una dominazione coloniale feroce e parassitaria, che sta facendo esplodere la crisi dei migranti. Lo afferma, in una drammatica video-testimonianza su “ByoBlu”, il leader panafricano Mohamed Konare, originario della Costa d’Avorio. “Libertè, egalitè, fraternitè”: valori che magari hanno ancora un peso in Francia, mentre nel continente nero – schiavizzato dal governo di Parigi – si sopravvive senza libertà e senza nessuna uguaglianza, mentre l’unica fraternità (criminale) è quella che lega alla potenza sfruttatrice i tanti dittatori africani, insediati dalla Francia a suon di sanguinosi colpi di Stato. A milioni, oggi, gli schiavi dell’Africa “francese” si riversano sulle coste italiane? Ovvio: a casa loro non hanno speranze, per colpa della piovra rappresentata dal sistema coloniale, che ancora oggi depreda i paesi sub-sahariani. Non hanno scampo, gli africani: sono vittime del più subdolo dei ricatti, cioè l’imposizione del Franco Cefa, moneta coloniale imposta all’Africa e tuttora di proprietà francese. Un controllo ferreo, per uno smisurato trasferimento di ricchezza: non meno di 500 miliardi di dollari all’anno, secondo stime ufficiali. Ora basta, però: bisogna che i giovani smettano di emigrare, dice Konare. Devono restare a casa, a lottare, perché l’Africa abbia finalmente un futuro.

«Dobbiamo “assediare” pacificamente tutte le ambasciate francesi in Africa, per smuovere l’opinione pubblica internazionale. Ci stiamo preparando: lo faremo». Mohamed Konare è consapevole di quanto sia pericolosa la sua posizione: nel solo dopoguerra, l’Africa ha subito 45 golpe orchestrati da Parigi. La potenza coloniale non ha esitato a far uccidere chiunque abbia osato ribellarsi: le vittime sono decine, dal leader congolese Patrice Lumumba al rivoluzionario sovranista Thomas Sankara, che dal Burkina Faso osò chiedere l’annullamento del debito africano e la fine degli “aiuti” (usurai) della finanza internazionale: miliardi offerti dal Fmi e dalla Banca Mondiale, per vincolare l’economia africana alla schiavitù del debito e imporre la rapina neoliberista delle risorse, affidate alle multinazionali con la complicità dei governanti africani corrotti. Uno schema che è all’origine dell’attuale disastro che investe l’Africa, come spiega l’economista Ilaria Bifarini: il Pil africano sta crescendo ma resta in mano a pochissimi, la popolazione del continente nero sta letteralmente esplodendo ma vive in condizioni economiche molto peggiori, rispetto a trent’anni fa. Nel frattempo è cambiato tutto, nel mondo globalizzato, tranne un aspetto che non è esagerato definire mostruoso: l’arcaico sfruttamento coloniale da parte della Francia, di cui Konare fornisce un quadro semplicemente sconcertante.

Il 50% della produzione delle ex colonie francesi finisce subito a Parigi: un furto sistematico, legalizzato dagli accordi della decolonizzazione, le “false indipendenze” concesse da Charles de Gaulle per continuare la razzia dietro il paravento dell’autonomia solo formale dell’Africa Francese. L’altro 50% del Pil viene comunque sottratto alla popolazione, grazie alla complicità dei regimi africani. Un sistema criminale, la cui regia – accusa Konare – è interamente francese: resta di proprietà della Francia il Franco Cefa, su cui Parigi esercita uno smisurato signoraggio. I paesi africani, obbligati a usare la moneta coloniale francese, non possono sviluppare liberamente la loro economia, né vendere a chi vogliono i loro prodotti. Il gas algerino finisce a Parigi insieme al petrolio. Stessa sorte per le merci di paesi importanti come il Senegal e il Camerun, la Costa d’Avorio, il Mali, il Togo, il Niger. Caffè e cacao, diamanti, oro, rame, uranio, coltan: il continente più ricco del pianeta sopravvive in miseria, sfruttato a sangue dai signori di Parigi, che oggi esibiscono l’ipocrita cinismo di Macron (ospite d’onore di Papa Francesco) ma ieri, almeno, erano capaci di franchezza: «Senza l’Africa – ammise François Mitterrand nel 1975 – la Francia non avrà storia nel 21mo secolo». Profezia confermata dal suo successore, Jacques Chirac, nel 2008: «Senza l’Africa, la Francia scivolerebbe a livello di una potenza del terzo mondo». E l’orrore continua: i paesi dell’Africa ex francese devono far approvare a Parigi i loro bilanci.

Tutto questo deve finire, annuncia Konare: bisogna porre fine all’esodo dei giovani, e iniziare la lotta di liberazione dell’Africa. Come? Svelando, all’opinione pubblica, lo spaventoso vampirismo della Francia: beninteso, i cittadini francesi non ne sono nemmeno consapevoli. Piuttosto, sono potenziali alleati: lo diventeranno, dice Konare, quando prenderanno coscienza di questo orrore, perpetrato dalle stesse élite che, in Europa, organizzano le crisi e l’austerity per gli europei. Carte truccate: come farebbe, la Francia, a mantenere il bilancio in ordine secondo i vincoli Ue, se non avesse dalla sua – ogni anno – quei 500 miliardi “rubati” all’Africa occidentale? E con che coraggio l’ometto dell’Eliseo (sostenuto dal Vaticano) dà lezioni all’Italia sui migranti, visto è proprio Parigi la maggiore responsabile dell’esodo biblico che stiamo vivendo? L’Africa deve svegliarsi, ora o mai più: l’appello di Konare è intensamente drammatico. Missione: salvare gli africani, restituendo loro la sovranità economica. «L’Africa è ricca: se si smette di depredarla, fiorirà. Verremo ancora in Italia, ma come turisti, a visitare Venezia e Firenze».

Patti chiari, dice Konare, e diventeremo amici. Ma di mezzo c’è una rivoluzione, da fare. «Un’alleanza tra popoli, africani ed europei, contro le élite che li sfruttano entrambi». Le armi? Una: l’informazione. «Tutti dovranno sapere. A quel punto, il dominio crollerà. Perché, se l’Africa ridiventerà sovrana, smetterà di esportare migranti». L’Italia? «Bene ha fatto a chiudere i porti: i nostri giovani che partono vengono ingannati dai trafficanti. L’emigrazione va scoraggiata in ogni modo, e l’Italia dovrebbe proprio chiudere le sue frontiere», sottolinea Konare, che si appella al governo gialloverde per ottenere una sponda nella grande battaglia, storica, per la resurrezione del continente nero. Italia cruciale: «Proprio a Roma, a settembre, faremo una grande manifestazione», annuncia Konare, al termine della lunga intervista sul video-blog di Claudio Messora. Una testimonianza, la sua, che vale più di una lezione universitaria: racconta di come l’ignoranza nasconda il peggior abominio, consumato sotto i nostri occhi. Un incubo, e una speranza: riconquistare un futuro. «Non avete idea di quanto siete buoni e di quanto siamo cattivi noi, in Occidente», dice Muhammad Alì ai bambini di Kinshasa, al termine dello storico match di boxe con Foreman, nel 1974. La cinepresa di Leon Gast immortalò un evento politico di portata storica: l’ultima voce africana capace di raggiungere, ed entusiasmare, il pubblico occidentale. Riuscirà nella stessa impresa l’altrettanto coraggioso e commovente Mohamed Konare?

Ma la Francia non era il paese dei Lumi, patria della libertà già nel Settecento? Sì, ma solo in Europa: certo non in Africa, dove 14 paesi vivono tuttora sotto il giogo di una dominazione coloniale feroce e parassitaria, che sta facendo esplodere la crisi dei migranti. Lo afferma, in una drammatica video-testimonianza su “ByoBlu”, il leader panafricano Mohamed Konare, originario della Costa d’Avorio. “Libertè, egalitè, fraternitè”: valori che magari hanno ancora un peso in Francia, mentre nel continente nero – schiavizzato dal governo di Parigi – si sopravvive senza libertà e senza nessuna uguaglianza, mentre l’unica fraternità (criminale) è quella che lega alla potenza sfruttatrice i tanti dittatori africani, insediati dalla Francia a suon di sanguinosi colpi di Stato. A milioni, oggi, gli schiavi dell’Africa “francese” si riversano sulle coste italiane? Ovvio: a casa loro non hanno speranze, per colpa della piovra rappresentata dal sistema coloniale, che ancora oggi depreda i paesi sub-sahariani. Non hanno scampo, gli africani: sono vittime del più subdolo dei ricatti, cioè l’imposizione del Franco Cfa, moneta coloniale imposta all’Africa e tuttora di proprietà francese. Un controllo ferreo, per uno smisurato trasferimento di ricchezza: non meno di 500 miliardi di dollari all’anno, secondo stime ufficiali. Ora basta, però: bisogna che i giovani smettano di emigrare, dice Konare. Devono restare a casa, a lottare, perché l’Africa abbia finalmente un futuro.

«Dobbiamo “assediare” pacificamente tutte le ambasciate francesi in Africa, per smuovere l’opinione pubblica internazionale. Ci stiamo preparando: lo faremo». Mohamed Konare è consapevole di quanto sia pericolosa la sua posizione: nel solo Mohamed Konaredopoguerra, l’Africa ha subito 45 golpe orchestrati da Parigi. La potenza coloniale non ha esitato a far uccidere chiunque abbia osato ribellarsi: le vittime sono decine, dal leader congolese Patrice Lumumba al rivoluzionario sovranista Thomas Sankara, che dal Burkina Faso osò chiedere l’annullamento del debito africano e la fine degli “aiuti” (usurai) della finanza internazionale: miliardi offerti dal Fmi e dalla Banca Mondiale, per vincolare l’economia africana alla schiavitù del debito e imporre la rapina neoliberista delle risorse, affidate alle multinazionali con la complicità dei governanti africani corrotti. Uno schema che è all’origine dell’attuale disastro che investe l’Africa, come spiega l’economista Ilaria Bifarini: il Pil africano sta crescendo ma resta in mano a pochissimi, la popolazione del continente nero sta letteralmente esplodendo ma vive in condizioni economiche molto peggiori, rispetto a trent’anni fa. Nel frattempo è cambiato tutto, nel mondo globalizzato, tranne un aspetto che non è esagerato definire mostruoso: l’arcaico sfruttamento coloniale da parte della Francia, di cui Konare fornisce un quadro semplicemente sconcertante.

Il 50% della produzione delle ex colonie francesi finisce subito a Parigi: un furto sistematico, legalizzato dagli accordi della decolonizzazione, le “false indipendenze” concesse da Charles de Gaulle per continuare la razzia dietro il paravento dell’autonomia solo formale dell’Africa Francese. L’altro 50% del Pil viene comunque sottratto alla popolazione, grazie alla complicità dei regimi africani. Un sistema criminale, la cui regia – accusa Konare – è interamente francese: resta di proprietà della Francia il Franco Cfa, su cui Parigi esercita uno smisurato signoraggio. I paesi africani, obbligati a usare la moneta coloniale francese, non possono sviluppare liberamente la loro economia, né vendere a chi vogliono i loro prodotti. Il gas algerino finisce a Parigi insieme al petrolio. Stessa sorte per le merci di paesi importanti come il Senegal e il Camerun, la Costa d’Avorio, il Mali, il Togo, il Niger. Caffè e cacao, diamanti, oro, rame, uranio, coltan: il continente più ricco del pianeta sopravvive in miseria, sfruttato a sangue dai signori di Parigi, che oggi esibiscono l’ipocrita cinismo di Macron (ospite d’onore di Papa Francesco) ma ieri, almeno, erano capaci di franchezza: «Senza l’Africa – ammise François Mitterrand nel 1975 – la Francia non avrà storia nel 21mo secolo». Profezia confermata dal suo successore, Jacques Chirac, nel 2008: «Senza l’Africa, Macron con Papa Francescola Francia scivolerebbe a livello di una potenza del terzo mondo». E l’orrore continua: i paesi dell’Africa ex francese devono far approvare a Parigi i loro bilanci.

Tutto questo deve finire, annuncia Konare: bisogna porre fine all’esodo dei giovani, e iniziare la lotta di liberazione dell’Africa. Come? Svelando, all’opinione pubblica, lo spaventoso vampirismo della Francia: beninteso, i cittadini francesi non ne sono nemmeno consapevoli. Piuttosto, sono potenziali alleati: lo diventeranno, dice Konare, quando prenderanno coscienza di questo orrore, perpetrato dalle stesse élite che, in Europa, organizzano le crisi e l’austerity per gli europei. Carte truccate: come farebbe, la Francia, a mantenere il bilancio in ordine secondo i vincoli Ue, se non avesse dalla sua – ogni anno – quei 500 miliardi “rubati” all’Africa occidentale? E con che coraggio l’ometto dell’Eliseo (sostenuto dal Vaticano) dà lezioni all’Italia sui migranti, visto è proprio Parigi la maggiore responsabile dell’esodo biblico che stiamo vivendo? L’Africa deve svegliarsi, ora o mai più: l’appello di Konare è intensamente Muhammad Alì a Kinshasadrammatico. Missione: salvare gli africani, restituendo loro la sovranità economica. «L’Africa è ricca: se si smette di depredarla, fiorirà. Verremo ancora in Italia, ma come turisti, a visitare Venezia e Firenze».

Patti chiari, dice Konare, e diventeremo amici. Ma di mezzo c’è una rivoluzione, da fare. «Un’alleanza tra popoli, africani ed europei, contro le élite che li sfruttano entrambi». Le armi? Una: l’informazione. «Tutti dovranno sapere. A quel punto, il dominio crollerà. Perché, se l’Africa ridiventerà sovrana, smetterà di esportare migranti». L’Italia? «Bene ha fatto a chiudere i porti: i nostri giovani che partono vengono ingannati dai trafficanti. L’emigrazione va scoraggiata in ogni modo, e l’Italia dovrebbe proprio chiudere le sue frontiere», sottolinea Konare, che si appella al governo gialloverde per ottenere una sponda nella grande battaglia, storica, per la resurrezione del continente nero. Italia cruciale: «Proprio a Roma, a settembre, faremo una grande manifestazione», annuncia Konare, al termine della lunga intervista sul video-blog di Claudio Messora. Una testimonianza, la sua, che vale più di una lezione universitaria: racconta di come l’ignoranza nasconda il peggior abominio, consumato sotto i nostri occhi. Un incubo, e una speranza: riconquistare un futuro. «Non avete idea di quanto siete buoni e di quanto siamo cattivi noi, in Occidente», dice Muhammad Alì ai bambini di Kinshasa, al termine dello storico match di boxe con Foreman, nel 1974. La cinepresa di Leon Gast immortalò un evento politico di portata storica: l’ultima voce africana capace di raggiungere, ed entusiasmare, il pubblico occidentale. Riuscirà nella stessa impresa l’altrettanto coraggioso e commovente Mohamed Konare?


Anna Bono

https://www.facebook.com/anna.bono.961/ ... 7135184845

dunque, tal Konaré sostiene che l'Africa non è libera perché delle società segrete europee fanno scoppiare continuamente delle guerre tribali, perché da 600 anni è dominata dalla Francia ecc...sulla sua pagina FB sintetizza il suo verbo vetero terzomondista con la frase "Il faut maintenir l'Afrique dans la pauvreté pour faire vivre l'Occident dans l'opulence.."
dice di essere leader di un nascente Movimento Panafricanista, tanto nascente che ancora non esiste, dice che farà una manifestazione a Roma contro la Francia perchè se ci prova in un paese africano uccidono lui e tutta la sua famiglia di notte...quindi deve lottare qui... insomma, la solita tiritera sulle colpe dell'Occidente e la poverà Africa depredata, il solito africano che vive in Europa e campa con l'espediente della vittima che si ribella...c'è tanta gente che ci casca...scaltramente dà ragione al ministro Salvini sul blocco degli arrivi di emigranti illegali e quindi si si, che bravo... dice anche che i paesi ex colonie francesi sono del tutto dominati dalla Francia che prosciuga le loro ricchezze, li strozza con tasse e con la valuta Cfa e non li lascia liberi di commerciare con chi vogliono... è talmente vero che alcuni dei paesi Cfa sono tra quelli con i maggiori tassi di sviluppo del continente, che uno, il Camerun, è addirittura nel Commonwealth, che il presidente della Costa d'Avorio in questi giorni è in Cina con molti altri capi di stato africani per trattare accordi economici con Pechino... che il Mali dopo aver lasciato nel 1962 il sistema monetario Cfa tanto esecrato vi è rientrato nel 1984 e la Guinea Bissau ha chiesto e ottenuto di farne parte nel 1997... l'anno scorso la colpa di tutto era la Cina che vuole svuotare il continente per trasferirci la sua popolazione (bella sfida considerando che in Africa nascono quasi 100 mila bambini al giorno), quest'anno invece è la Francia...chi il prossimo?


Il nazista maomettano africano Konarè
https://www.facebook.com/Konar%C3%A8-217456388812805



I VERTICI DEI 5 STELLE SOSTENGONO LA LOTTA DI UN ANTISEMITA
Progetto Dreyfus
24 gennaio 2019

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 8129288538

Tra il vice premier italiano Di Maio e il sottosegretario agli affari esteri Manlio Di Stefano al quale afferra la mano fissando gli obiettivi dei fotografi, Kemi Seba. Nato a Strasburgo nel 1981, è un polemista, predicatore, opinionista, fondatore del movimento Urgences Panafricanistes la cui mission è l’autodeterminazione delle nazioni africane dal “neocolonialismo”. Due giorni fa ha pubblicato su Facebook questa foto descrivendo il suo incontro con i vertici del Movimento 5 Stelle avvenuto lo scorso settembre per raccontare la sua battaglia contro il Franco Cfa. “I 5 stelle hanno capito a differenza di altri partiti italiani, che gli africani non vengono in Italia per amore della pizza ma perché i nostri paesi sono costantemente destabilizzati. Per questa ragione abbiamo deciso di formare un fronte comune contro il neocolonialismo francese e occidentale in Africa. Che Macron sappia che questa è solo la prima fase dell’attacco alle istituzioni…”.

Ma chi è veramente Kemi Seba?
Il suo vero nome è Stellio Capo Chichi, a diciotto anni s’iscrisse alla Nation of Islam di Louis Farrakhan, un predicatore che si diverte a interpretare l’Islam in chiave antisemita, celebre la sua più recente affermazione “io non sono antisemita, sono antitermita” senza perdere mai l’occasione di descrivere gli ebrei con riferimenti satanici e maligni. Nel 2007 Seba/Chichi creò un gruppetto antisemita, “Gioventù Kemi Seba”. Dopo aver definito i poliziotti sionisti al soldo di un governo sionista, fu arrestato e processato per incitamento all’odio razziale e il suo gruppo fu sciolto nel 2009 per ideologia razzista e antisemita. Nel 2015 Seba incontrò in Iran un amicone di Israele, l’ex presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, e tra le sue frequentazioni vanta quella dell’umorista francese Dieudonné M'Bala M'Bala, antisemita, antisionista, che per anni ha fatto spettacoli attaccando gli ebrei e la Shoà ideando la virale quenelle, il saluto nazista capovolto.

Oggi al Quirinale tra i presenti alla celebrazione del Giorno della Memoria che hanno stretto la mano del presidente della Repubblica Sergio Mattarella per il suo bellissimo discorso, c’era anche Luigi Di Maio al quale come capo politico del Movimento 5 Stelle, rivolgiamo una semplice domanda: a che gioco sta giocando?
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ma la Francia sfrutta colonialmente l'Africa? No!

Messaggioda Berto » mer mag 01, 2019 7:46 pm

Il fanfarone di Maio creatura del complottista per eccellenza Beppe Grillo, da uomo di governo l'ha fatta propria

Di Maio attacca la Francia: "Hanno ancore le colonie, impoveriscono l’Africa. Per questo i migranti partono"
20 Gen. 2019

https://www.tpi.it/2019/01/20/di-maio-f ... 2bOsolIP7g

Il vicepremier e ministro del lavoro Luigi Di Maio, intervenendo a una manifestazione del Movimento 5 Stelle ad Avezzano, ha parlato della questione migranti: “Basta ipocrisie, dobbiamo parlare della cause e non degli effetti. Se vogliamo continuare a parlare degli effetti, proseguiamo con la retorica dei morti in mare che ovviamente sono una tragedia e hanno tutto il mio cordoglio, ma detto questo noi dobbiamo parlare delle cause”.

Quindi il duro attacco alla Francia: “Se oggi noi abbiamo gente che parte dall’Africa è perché alcuni paesi europei con in testa la Francia non hanno mai smesso di colonizzare l’Africa. Ci sono decine di stati africani in cui la Francia stampa una propria moneta “il franco delle colonie” e con quella moneta si finanzia il debito pubblico francese”.

E ancora: “Se la Francia non avesse le colonie, perché così vanno chiamate, che sta impoverendo sarebbe la quindicesima forza economica mondiale e invece è tra le prime proprio grazie a quello che sta combinando in Africa. Allora, io ho smesso di fare l’ipocrita parlando – come tutti gli altri – solo degli effetti e ho deciso di iniziare a parlare esclusivamente delle cause”.

Di Maio ha poi tirato in ballo l’Unione europea e l’Onu: “Dovrebbe sanzionare tutti quei paesi come la Francia che stanno impoverendo gli stati africani e stanno facendo partire quelle persone. Perché il luogo degli africani è in Africa. Non in fondo al Mediterraneo. Se vogliamo fermare le partenze, cominciamo ad affrontare questo tema e cominciamo ad affrontarlo anche all’Onu, non soltanto in sede di Unione europea”.

E l’Italia? “Si deve far sentire. Nelle prossime settimane ci sarà un’iniziativa parlamentare del Movimento 5 Stelle che impegnerà sia il Governo italiano sia le istituzioni europee e sia tutte le istituzioni diplomatiche sovranazionali a iniziare a sanzionare quei paesi che non decolonizzano l’Africa”.

Infine, un altro affondo: “Quello che sta succedendo nel Mediterraneo è frutto delle azioni di alcuni paesi che poi ci fanno pure la morale… Macron prima ci fa la morale e poi continua a finanziarsi il debito pubblico con i soldi con cui sfrutta i paesi africani”.




Di Maio: «La Francia sfrutta l’Africa». Parigi convoca l’ambasciatrice italiana
21 gennaio 2019

https://www.corriere.it/politica/19_gen ... c07c.shtml

Sono rapidamente sfociate in una guerra diplomatica tra Francia e Italia le parole del vicepremier M5S Luigi Di Maio che domenica aveva attaccato Parigi ritenendola responsabile, con la sua politica neocoloniale in Africa degli sbarchi in Italia. Da Parigi il ministro per gli Affari europei, Nathalie Loiseau, «ha convocato l’ambasciatrice italiana Teresa Castaldo in seguito ad affermazioni inaccettabili e inutili delle autorità italiane ieri», ha fatto sapere una nota. Domenica, Di Maio aveva accusato la Francia di «impoverire l’Africa» aggravando la crisi migratoria.

Di Maio (a cui ha fatto eco anche Alessandro Di Battista) aveva messo nel mirino delle sue parole il fatto che 14 paesi del continente africano adottino come moneta il franco Cfa, che dal 1945, in base ad accordi internazionali ha parità di cambio con la moneta francese (e oggi con l’euro). «Queste dichiarazioni da parte di un’alta autorità italiana sono ostili e senza motivo visto il partenariato della Francia e l’Italia in seno all’Unione europea. Vanno lette in un cotesto di politica interna italiana»: hanno affermato fonti diplomatiche francesi.

«Se vogliamo continuare a parlare degli effetti continuiamo con la retorica dei morti in mare - aveva scandito Di Maio - che ovviamente sono una tragedia e hanno tutto il mio cordoglio, ma dobbiamo parlare delle cause perché se oggi c’è gente che parte è perché alcuni Paesi europei con in testa la Francia non hanno mai smesso di colonizzare l’Africa». «La Ue dovrebbe sanzionare la Francia e tutti quei paesi che come la Francia stanno impoverendo l’Africa e stanno facendo partire quelle persone», aveva aggiunto il vicepremier italiano (Macron e la moneta «coloniale»).

Il regime di cambio fisso del franco Cfa da un lato mette al riparo i paesi che lo adottano dal rischio di inflazione alta; dall’altro potrebbe rivelarsi un ostacolo alle esportazioni di quegli stessi paesi dal momento che i prezzi delle loro merci rischiano di essere elevati. Gli Stati che oggi adottano il Cfa sono Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea Bissau, Mali, Niger , Senegal, Togo, Camerun, Repubblica centrafricana, Congo, Gabon, Guinea Equatoriale e Ciad.

I dati del ministero dell’interno italiano smentiscono però una relazione diretta tra gli sbarchi in Italia e la politica monetaria delle ex colonie francesi che adottano il Franco Cfa. Secondo il sito del Viminale nel 2018 la maggior parte dei migranti giunti in Italia con i barconi proviene dalla Tunisia (che adotta il dinaro) seguita da Iraq, Eritrea, Sudan, Pakistan, Nigeria, tutti paesi al di fuori della sfera francese. Il primo paese Cfa per numero di arrivi è la Costa D’Avorio (1.064 sbarcati, all’ottavo posto nelle tabelle del Viminale), seguito dal Mali (876).


La Francia controlla, deruba e impoverisce 14 Stati africani

21/08/2018

https://www.italiaoggi.it/news/la-franc ... ni-2292284

Verso metà settembre si terrà a Roma una manifestazione politica piuttosto singolare. A scendere in piazza saranno infatti solo giovani africani, emigrati da tempo in Italia e in altri paesi europei, che si siederanno per protesta davanti all'ambasciata francese, in piazza Farnese, per contestare la politica africana della Francia di Emmanuel Macron. A guidarli sarà Mohamed Konare, originario della Costa d'Avorio, che si definisce «attivista panafricano» ed ha fondato un movimento politico che, per usare un termine corrente, potremmo definire sovranista. L'obiettivo, come lui stesso afferma in una lunga intervista sul web (Byoblu), è di spiegare agli europei i metodi di tipo coloniale con i quali la Francia continua a comandare e depredare in Africa ben 14 Stati, un tempo sue colonie, diventate indipendenti negli anni 60, ma soltanto sulla carta.

Il giogo francese su questi Paesi, sostiene Konare, è soprattutto economico e monetario, ed è congegnato in modo tale da garantire a Parigi un ferreo controllo della loro moneta, oltre a un monopolio esclusivo sulle ricche materie di cui abbondano (oro, uranio, petrolio, gas, cacao, caffè), con un risultato duplice: arricchire la Francia e le sue élites imprenditoriali da un lato, con uno smisurato trasferimento di ricchezza (circa 500 miliardi di dollari l'anno, secondo alcune stime); dall'altro lato. impoverire fino alla miseria i popoli indigeni, che sono così costretti a fuggire per fame verso l'Italia e l'Europa, in cerca di fortuna.

A questo sfruttamento sistematico della Francia, dice Konare, è giunto il momento di dire basta: «Manifesteremo davanti a tutte le ambasciate francesi in Europa e non solo, con l'obiettivo ambizioso, oggi quasi utopico, di giungere alla creazione degli Stati uniti d'Africa, dove i 14 Stati, che sono ancora sotto il giogo francese, diventino veramente sovrani, liberi di usare le loro risorse naturali per lo sviluppo delle economie locali, e non per arricchire sempre più la Francia parassitaria di Macron e i governi burattini da lei insediati in Africa».

Il perno attorno al quale ruota l'intero sistema del controllo francese sui 14 Paesi africani è il franco coloniale, detto franco Cfa, moneta che la Francia impose alle sue colonie nel 1945, subito dopo l'accordo di Bretton Woods, che regolò il sistema monetario dopo la Seconda guerra mondiale. In origine l'acronimo Cfa stava per «Colonie francesi d'Africa», ma negli anni Sessanta, a seguito del riconoscimento dell'indipendenza delle colonie francesi deciso da Charles De Gaulle, il suo significato è cambiato: «Comunità finanziaria africana».

Un riconoscimento puramente formale della fine del regime coloniale, in quanto il franco Cfa ha conservato tutti i vincoli ferrei e giugulatori che aveva fin dall'inizio sulle economie locali. Stiamo parlando di 14 Stati dell'area subsahariana e del Centro Africa, con una popolazione di circa 160 milioni di unità, per i quali la moneta ufficiale è il franco Cfa, coniata e stampata in Francia, paese che ne ha stabilito tutte le caratteristiche e ne detiene il monopolio. Ecco il loro elenco: Camerun, Ciad, Gabon, Guinea Equatoriale, Repubblica Centrafricana, Repubblica del Congo, Benin, Burkina Faso, Costa d'Avorio, Guinea Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo.

Il primo vincolo del franco Cfa consiste nell'obbligo per i 14 Paesi che ne fanno uso di depositare il 50% delle loro riserve monetarie presso il Tesoro francese. In pratica, quando uno dei 14 Paesi del franco Cfa esporta verso un paese diverso dalla Francia, e incassa dollari o euro, ha l'obbligo di trasferire il 50% di questo incasso presso la Banca di Francia. In origine la quota da trasferire in Francia era pari al 100% dell'incasso, poi è scesa al 65% (riforma del 1973, dopo la fine delle colonie), infine al 50% dal 2005. Così, per esempio, se il Camerun, previo un esplicito permesso francese, esporta vestiti confezionati verso gli Stati Uniti per un valore di 50mila dollari, deve trasferirne 25 mila alla Banca centrale francese. Un sistema al quale non sfugge neppure un soldo, in quanto gli accordi monetari sul franco Cfa prevedono che vi siano rappresentati dello Stato francese, con diritto di veto, sia nei consigli d'amministrazione che in quelli di sorveglianza delle istituzioni finanziarie delle 14 ex colonie.

Grazie a questo trasferimento di ricchezza monetaria, la Francia gestisce a suo piacimento il 50% delle valute estere delle 14 ex colonie, investendoli massicciamente in titoli di Stato emessi dal proprio Tesoro, grazie ai quali ha potuto finanziare per decenni una spesa pubblica generosa, sovente ignara dei vincoli di Maastricht. E Konare, nell'intervista sul web, ricorda che quando Angela Merkel ha chiesto ai vari governi francesi di depositare il 50% delle riserve delle 14 ex colonie presso la Bce, invece che presso la Banca centrale francese, la risposta è sempre stata un secco no.

Tra i numerosi vincoli imposti dagli accordi sul franco Cfa, vi è anche il «primo diritto» per la Francia di comprare qualsiasi risorsa naturale scoperta nelle sue ex colonie. Da qui il controllo di Parigi su materie prime di enorme valore strategico: uranio, oro, petrolio, gas, caffè, cacao. Soltanto dopo un esplicito «non interesse francese», scatta il permesso di cercare un altro compratore. Ma attenzione: i maggiori asset economici di tutte le 14 ex colonie sono in mano a francesi che si sono insediati da tempo in Africa, diventando miliardari a palate (su tutti, Vincent Bolloré e Martin Bouygues). Tanto che Konare trova giusto dire che «gli africani vivono in Paesi di proprietà dei francesi. Mentre agli africani, la Francia di Macron lascia solo le briciole. E spesso neppure quelle: soltanto miseria».

Da questa povertà diffusa, sostiene l'attivista panafricano, hanno origine le ondate migratorie verso l'Europa. «Un viaggio che sono il primo a sconsigliare», dice Konare. «L'Italia non ha lavoro a sufficienza per i suoi giovani, non è pensabile che lo trovi per quelli africani. Per questo ha fatto bene Matteo Salvini a chiudere i porti. I giovani africani devono impegnarsi di più nei loro Paesi per chiedere la fine del colonialismo e delle ruberie francesi, e costruire gli Stati Uniti d'Africa, una federazione di Stati indipendenti e sovrani. Un'utopia che può diventare realtà».



La Francia sottrae all’Africa 10 miliardi di euro all’anno
Autore Andrea Costa

https://www.electoradio.com/mag/uomo-av ... ro-allanno

Dicono: i francesi sono più ricchi degli italiani, quindi possono sforare, sforare sforare e tanto meglio se lo faranno anche oltre il 3% per soccorrere i poveri, per soccorrere chi è rimasto indietro, per aiutare le vittime del feticismo del debito pubblico.

Debito rigidissimo per la Grecia, debito rigidissimo per l’Italia, debito rigido per la Spagna, debito rigido per il Portogallo, debito flessibile per gli amici.

Quello che non ci si chiede mai è: ma la Francia da dove prende questa montagna di soldi?

Per non porgere le terga alla commissione europea, il governo italiano è stato costretto, per il prossimo triennio, a sottrarsi alla logica di porre il lato B davanti al calcio già in canna.

E per evitare la temutissima procedura di infrazione, una roba che solo a pronunciarla fa tremare le vene ai polsi, ha dovuto negoziare la propria politica economica. Pensate: la procedura di infrazione, che manco avessero detto la recisione dell’arteria femorale.

Però non importa, andiamo avanti, facciamo finta che si tratti di cosa buona e giusta, ma cerchiamo di capire per quale ragione, al contrario di altri paesi UE, la Francia può permettersi di fare ciò che vuole. La risposta per certi aspetti è perfino banale: i francesi emettono debito sapendo di poterlo sostenere.

Il problema è che la sostenibilità di queste operazioni (che peraltro fanno tutti gli Stati per mantenersi) riconduce ad un’arma segreta, o perlomeno ad un’arma semi sconosciuta, una specie di super missile che in questo caso corrisponde a una moneta battuta da Tesoro francese al di fuori del sistema europeo, e con la funzione di regolare i rapporti commerciali con 14 ex colonie africane.

Si tratta di una specie di turbo finanziario concesso soltanto alla Francia da parte dell’Unione Europea, una divisa super fotonica e privilegiata e “spintaneamente” imposta alle 14 ex colonie, di cui non dispone nessun altro paese facente parte del pollaio Ue: si tratta della Guinea Bissau e della Repubblica Centroafricana e poi di altri 12 stati (Benin, Burkina, Costa d’Avorio, Mali, Niger, Senegal, Togo, Camerun, Ciad, Congo-Brazzaville, Guinea Equatoriale e Gabon), stati questi che utilizzano la valuta CFA, stampata in una città della Francia, e ora legata al valore dell’euro ma che fu istituita all’inizio della seconda guerra mondiale.

Cosa prevede l’accordo? Come denuncia da anni il leader panafricano, Mohamed Konarè, la Francia garantisce: a) la convertibilità illimitata del Franco CFA e del Franco delle Comore in qualsiasi valuta straniera; b) il tasso fisso fisso di parità con la valuta francese (prima il Franco, poi l’euro); c) i trasferimenti di capitale all’interno dell’area valutaria gratuiti.

Il problema è che in cambio di questi primi tre principi, il 50% delle riserve valutarie dei Paesi della zona monetaria del franco CFA e il 65% delle riserve del franco delle Comore sono depositate in un conto di transazione della Banque de France a Parigi.

Tanto per capirci, se tizio volesse investire 1000 € per un progetto in Senegal dovrebbe farlo con il franco CFA e la Francia tratterrà il 50% del valore del cambio. Proprio così.

In altre parole, la Francia trattiene le riserve in franchi CFA (Franco delle Colonie Francesi d’Africa coniato nel 1945) presso la Banque de France, e queste riserve sono stimate in circa 10 miliardi di euro (4,6 miliardi per CEMAC – Comunità economica e monetaria dell’Africa centrale – a gennaio 2016 e 5,1 miliardi per WAEMU – West African Economic and Monetary Union – a dicembre 2015).

La fonte è il prestigioso Le Monde, che conferma il meccanismo messo in piedi dalla Francia. Conferma che arriva anche dalla comunità scientifica composta da numerosi economisti.

Come ad esempio il professor Massimo Amato dell’Università Bocconi di Milano, e come conferma anche un servizio di Raidue firmato da Filippo Barone, mandato coraggiosamente in onda nelle tenebre della notte.

La cifra totale che, insomma, i francesi trovano ogni anno sotto il tappeto, è di 10 miliardi di euro, un doping monetario come denunciato anche da Claudio Messora di Byoblu che lungi dall’essere il risultato di politiche economiche, oppure di emissione di titoli pubblici, è in realtà frutto di una tassa dei ricchi imposta ai poveri per sostenere la crescita economica francese.

Si spiega così, o perlomeno si spiega in parte, il motivo per cui nonostante le varie crisi susseguitesi negli anni, l’Eliseo è sempre riuscito a mantenere un rapporto deficit Pil più basso rispetto a quello di altri paesi, come ad esempio l’Italia.

Tutto questo, come è facile intuire, a scapito dell’economia dei paesi in cui è in vigore questa divisa, la quale, essendo molto forte ed avendo un tasso di cambio pari al 50%, praticamente strozza ogni forma di credito, il che equivale a creare i presupposti del disastro. E non è che i francesi non lo sappiano, anzi lo sanno benissimo.

E infatti se ne guardano bene dal rinegoziare gli accordi con i paesi africani, e si guardano bene anche dal difendersi dagli attacchi della Germania della Merkel, la quale più volte ha cercato di mettere in discussione questo sistema parallelo, senza peraltro riuscirci, ma ottenendo in cambio la sopravvivenza dell’asse carolingio. Tant’è vero che non c’è traccia di una revisione dei trattati, né per l’anno in corso, né per quello successivo, e a quanto pare neppure per quelli a venire.

La Francia, insomma, usa il pugno di ferro. Ma anche la maschera di ferro. Questi trattati non si toccano. Questa moneta non si tocca. La nostra divisa non è in discussione. Punto.

Il problema è la ricaduta sui paesi africani, che è paradossale e drammatica. Tra le altre cose, non ultima quella di non avere una propria moneta sovrana, gli africani lamentano di essere costretti ad usare la divisa francese, che però ha un valore talmente alto da non essere prestabile per mancanza di garanzie finanziarie o materiali, perché nessuna banca sarà mai disposta a erogare credito senza garanzie, e poiché l’Africa non ha una banca centrale, nessuno riesce a mettere le mani su questa valuta per creare sviluppo.

In sostanza, gli africani sono ancora schiavi, e non solo perché non hanno una loro valuta, ma perché sono costretti ad acquistarla dalla Francia, lasciando ai francesi il 50% del valore degli scambi. Libertè egalitè, ma i soldi a me.

A Dakar, ad esempio, le banche non prestano soldi, manco per sbaglio. Perché i soldi a Dakar servono a difendere il cambio fisso, e in ogni caso anche quando (raramente) i prestiti vengono erogati, il tasso di interesse varia dal 15 al 25%.

Il sistema di cambio del sistema CFA, quindi, costringere gli istituti di credito a non finanziare alcuna attività, ma senza il microcredito queste terre continueranno ad essere povere in eterno pur essendo tra le più ricche del mondo per quanto riguarda le materie prime tra le quali l’uranio che la Francia preleva per alimentare le sue centrali nucleari.

Così la povertà avanza, la gente vive di stenti, il lavoro non c’è, la sanità è rudimentale.

Tutto è precario. La vita è scandita da un orizzonte temporale di 12 ore invece di 24. Le condizioni sono terribili, in alcuni paesi manca sia l’acqua che l’elettricità, e perfino alcuni generi alimentari come ad esempio le cipolle che vengono importate dall’Olanda a costi altissimi.

E allora perché stupirsi se poi migliaia di persone si riversano sulle coste del Mediterraneo, pagando pure il pizzo ai trafficanti di carne umana i quali poi investono immediatamente quei denari per comprare armi e droga.

“Quello che chiede l’Africa – dice Mohamed Konaré – è una moneta propria, una divisa libera dai vincoli con la Francia, una banca centrale. Le persone muoiono nel deserto. E il paradosso, è che l’Africa pur essendo ricca di materie prime, si trova nella miseria più assoluta. Noi africani chiediamo semplicemente di poter stare nelle nostre terre, ma liberi dalla politica monetaria imposta dell’Occidente”.

Qui l’Unione Europea mostra il volto feroce, quello di un’entità geografica ma non politica, quella di un bambino senza genitori, quello di un orfano per il quale è difficile distinguere il bene dal male, quello avido degli istinti monetari e finanziari.

Nel marzo 2008 Jacques Chirac affermava: “Senza l’Africa, la Francia scivolerebbe a livello di una potenza del terzo mondo”.

Il predecessore di Chirac, François Mitterand, già nel 1957 profetizzava che “senza l’Africa, la Francia non avrà storia nel 21esimo secolo”.

Più modestamente Riccardo Cocciante nel 1974 pennellava, a sua insaputa, il ritratto di questa Europa: “E adesso siediti su quella seggiola, stavolta ascoltami senza interrompere, è tanto tempo che volevo dirtelo. Vivere insieme a te è stato inutile, tutto senza allegria, senza una lacrima, niente da aggiungere ne da dividere, nella tua trappola ci son caduto anch’io, avanti il prossimo, gli lascio il posto mio”.

Bella senz’anima. Avanti il prossimo.



Di Maio insiste: "L'Ue inizi la decolonizzazione vera dell'Africa"
Raffaello Binelli - Lun, 21/01/2019

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 32297.html

Di Maio insiste: "La Francia è uno di quei Paesi che stampando la moneta per 14 Stati africani impedisce lo sviluppo e contribuisce alla partenza dei profughi"

Non contento del pandemonio che ha fatto scoppiare con la Francia (il governo di Parigi ha già convocato l'ambasciatrice italiana), il vicepresidente del Consiglio, Luigi Di Maio, rincara la dose.

"Io non credo che sia un caso diplomatico, io credo che sia tutto vero", dice a chi gli chiede conto della dura protesta francese dopo le sue affermazioni. "La Francia è uno di quei Paesi che stampando la moneta per 14 Stati africani impedisce lo sviluppo e contribuisce alla partenza dei profughi - ribadisce Di Maio - se l’Europa in questo momento vuole avere un po' di coraggio deve avere la forza di affrontare il tema della decolonizzazione dell’Africa".

"Noi - ha aggiunto Di Maio - abbiamo messo un faro sulla verità è finchè non lasceremo in pace quella gente in Africa continueranno a partire". Per il vicepremier pentastellato "l’Europa deve avere il coraggio di affrontare il tema della decolonizzazione dell’Africa che è la causa del mancato sviluppo degli stati africani che noi dobbiamo lasciare in pace a casa loro e noi stare a casa nostra: per noi intendo stati come la Francia".

Nessun passo indietro, dunque, ma avanti a testa bassa contro Parigi. Intanto la polemica divampa, ovviamente, anche in Italia. "Di Maio sta coi Gilet gialli contro le istituzioni francesi - scrive Matteo Renzi su Twitter - poi dice che Macron è responsabile per la morte dei migranti, Di Battista farfuglia assurdità sulla moneta dei colonialisti. Il loro bisogno di crearsi nemici sta ridicolizzando 70 anni di politica estera italiana". Pina Picierno, europarlamentare dem, rincara la dose: "Di Maio, con le sue uscite degne dei peggiori troll di Facebook, mette e repentaglio rapporti consolidati e fondamentali di amicizia con un Paese come la Francia. Invece di lavorare pensando al bene dei cittadini, continua a fare becera propaganda, provocando assurdi scontri diplomatici. In un Paese normale, dopo le parole pronunciate oggi, Di Maio sarebbe costretto alle dimissioni".

Il Movimento 5 Stelle, però, non demorde. "Sono felice nel constatare che l’argomento del Franco Cfa, ovvero del controllo monetario della Francia sulle sue ex colonie africane, sia esploso sulla stampa italiana a seguito di dichiarazioni di Di Maio e Di Battista - scrive su Facebook Manlio Di Stefano, sottosegretario agli Esteri -. Meglio tardi che mai visto che ne parliamo, seppur con minore risalto, da tempo. Peccato che in un continuo tentativo di denigrarci invece che di affrontare i problemi reali, la stampa utilizzi anche questo argomento come terreno di scontro col M5S facendo, quindi, da sponda a chi continua a umiliare e sottomettere politicamente Paesi e generazioni di loro cittadini".

"Alcune parole sono pronunciate solo per politica interna, per provocare delle reazioni e assomigliano molto a delle provocazioni tanto il loro contenuto è vuoto e irresponsabile". ha detto il commissario agli Affari economici, Pierre Moscovici. Le dichiarazioni di Di Maio "non hanno senso", ha sentenziato Moscovici.


Decolonizzazione dell’Africa e questione migratoria
21 gennaio 2019
di Otto Bitjoka, fondatore di UCAI (Unione delle comunità africane in Italia)

https://www.ilblogdellestelle.it/2019/0 ... toria.html

Finalmente ci siamo, occorre costruire un nuovo paradigma sulla questione immigrazione africana nera in Italia. Dobbiamo realizzare le condizioni di un confronto dialettico partendo dalle cause e non gli effetti.
A cogliere il punto è Alessandro di Battista durante una sua intervista da Fabio Fazio ieri sera a “Che tempo che fa”. Di Battista chiede una decolonizzazione totale, riconosce che senza la sovranità dei popoli Africani difficilmente si risolverà la questione immigrazione in quanto tentativo di welfare shopping, cosa ben diversa dal concetto di mobilità globale.
Bravo Alessandro, il punto è il rinascimento economico basato sul paradigma endogeno, non il banalissimo leitmotiv del Piano Marshall. L’uso in 15 paesi africani di una moneta basata su un patto coloniale costituisce un gran freno e crea tantissimi effetti perversi in queste aree geo economiche sotto tutela Francese.
Dobbiamo fare saltare questo tappo costi quel che costi, questa è la via maestra, non la solita propaganda vacua di una visione risolutiva. Nel marzo 2008 Jacques Chirac affermava: “senza l’Africa, la Francia scivolerebbe a livello di una potenza del terzo mondo”, Francois Mitterrand, nel 1957 profetizzava che: “senza l’Africa la Francia non avrà storia nel 21mo secolo”.
Bravissimo Alessandro di Battista, avanti tutta, sono convinto che tutta l’Africa nera sarebbe con te in questa battaglia.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ma la Francia sfrutta colonialmente l'Africa? No!

Messaggioda Berto » mer mag 01, 2019 7:47 pm

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Re: Ma la Francia sfrutta colonialmente l'Africa? No!

Messaggioda Berto » mer mag 01, 2019 7:48 pm

La bufala della tassa coloniale francese


La tassa coloniale dei Paesi africani alla Francia — BUTAC - Bufale un tanto al chilo
maicolengel butac

http://www.butac.it/la-tassa-coloniale- ... la-francia

In pochissime ore siete stati in tanti ad avermi chiesto delucidazioni riguardo una fantomatica tassa coloniale che 14 Paesi africani pagherebbero alla Francia. Uno degli articoli che mi avete segnalato di più è apparso su Globalist a fine agosto 2017.

Titolo:

E potremmo già fermarci qui, perché messa così è quella che a Roma chiamano una fregnaccia. Ma so che non sareste soddisfatti quindi cercherò di dare fonti e spiegazioni di quello che si può recuperare con una semplice ricerca in rete su siti affidabili.

Non è mia intenzione analizzare tutto il contenuto dell’articolo di Globalist, quello che ci interessa è l’affermazione, molto definita, del titolo.

No. L’articolo pubblicato da Globalist è un brutale copia e incolla del suo originale (o meglio, una copia dell’originale pubblicato su SiliconAfrica e riportato su Africa News) a firma Mawuna Remarque Koutonin, un giornalista africano. L’articolo di Mawuna è già stato trattato in Francia, dai colleghi di Les Decodeurs, sito francese di fact-checking legato a Le Monde, che ha analizzato la storia in maniera approfondita. Curioso che Le Monde abbia una squadra apposita per questo genere di verifiche e in Italia siano pochissime le testate con una sezione fact-checking all’interno.

Solo due dei 14 Paesi citati hanno ancora rapporti con la Francia che prevedono restrizioni economiche di qualche tipo: si tratta della Guinea e della Repubblica Centroafricana. Nessuna tassa anche in questo caso, ma comunque qualche impedimento per i due Paesi in esame. Tutti gli altri citati non devono pagare nessuna tassa: hanno scelto, liberamente, di fare parte del gruppo di paesi che utilizza il franco CFA. Una valuta speciale, legata al valore del franco francese (quindi oggi legata all’euro) che fu istituita all’inizio della Seconda guerra mondiale.

Sono quattro le regole che vengono applicate al franco CFA:

La Francia garantisce la convertibilità illimitata del franco CFA e del franco delle Comore in qualsiasi valuta straniera;
il tasso di parità con la valuta francese – prima il franco, poi l’euro – è fisso;
i trasferimenti di capitale all’interno dell’area valutaria sono gratuiti;
in cambio di questi primi tre principi, il 50% delle riserve valutarie dei Paesi della zona monetaria del franco CFA e il 65% delle riserve del franco delle Comore sono depositate in un conto di transazione della Banque de France a Parigi.

Quindi niente tassa coloniale, ma solo un accordo che i 14 Paesi posso recidere quando vogliono. Non ci sono obblighi a restare nel sistema, se un Paese lo fa è perché trova conveniente farlo.

Mawuna (senza fonti) fa una dichiarazione molto precisa:

È un sistema malvagio denunciato dall’Unione Europea, ma la Francia non è pronta a spostarsi da quel sistema coloniale che muove 500 miliardi di dollari dall’Africa al suo ministero del tesoro ogni anno.

Le Monde dice:

Le riserve in franchi CFA presso la Banque de France sono stimate in circa 10 miliardi di euro – 4,6 miliardi per CEMAC a gennaio 2016 e 5,1 miliardi per WAEMU a dicembre 2015.

Non è chiaro a cosa faccia riferimento Mawuna, ma la cifra totale che si ricava è 10 miliardi di euro, che sono decisamente lontani dai 500 miliardi di dollari citati di sopra. Si parla di confisca del denaro, ma anche qui non viene portata alcuna prova a supporto.

Nell’articolo di Mawuna sono riportate un po’ di teorie sui colpi di Stato nei Paesi africani addossando la colpa alla Francia, se non addirittura per aver organizzato omicidi di Stato.

Ho cercato tracce che potessero confermare questi golpe francesi costruiti per obbligare questi stati al giogo dei CFA. Non ne ho trovate di valide e affidabili a supporto di queste teorie.

Sia chiaro, Les Decodeurs non danno il sistema dei franchi CFA come perfetto, evidenziano anche le criticità. Ma spiegano chiaramente che quel titolo è una bufala, completando l’opera con fonti approfondite.

Oltretutto non solo la redazione di Le Monde ha trattato l’argomento in maniera completa.

Anche Liberation, altra testata francese con una redazione dedicata alla verifica dei fatti (Desintox), sempre l’anno scorso confermava grossomodo quanto riportato da Le Monde/Les Decodeurs. Liberation oltretutto lo fa usando parole di persone molto critiche verso il sistema del franco CFA. Ma il titolo resta decisamente chiaro:

Nell’articolo le critiche sono ben presenti:

“Nessun paese in Il mondo non può avere una politica monetaria immutabile per settantuno anni. Lo stesso vale per Nubukpo, l’economista togolese, per il quale “la parità fissa tra franco CFA ed euro” penalizza fortemente lo sviluppo economico dei paesi interessati: “Oggi, il franco CFA attraverso il suo attaccamento all’euro è molto più determinato dagli eventi nell’area dell’euro che dalla situazione nella zona del franco. È un’eresia!”

Ma anche la conclusione è decisa:

Ma qualunque cosa si pensi del sistema, non ha nulla a che fare con una “tassa coloniale”

Per quelli che leggono con la bava alla bocca in attesa di arrivare nei commenti a offendere perché sto difendendo qualcuno che gli sta poco simpatico: chiedo solo una cosa, leggete, rileggete, ponderate.

Non sto difendendo le posizioni francesi sull’immigrazione o sulle ex-colonie.

Non sto difendendo “gli immigrati” o i francesi, sto facendo un’analisi dei fatti. Anzi, sto sfruttando le analisi fatte da colleghi per dare delle informazioni aggiuntive su quanto riportato da una testata italiana.

Il fatto che Globalist (e tanti altri) abbiano copiato e incollato pari pari un articolo del 2014 (avranno chiesto il permesso all’autore originale?) per me non è sinonimo di affidabilità. Ho pensato fosse utile mostrarvi cosa ne pensano dei colleghi (dopo aver a mia volta verificato l’affidabilità delle loro fonti).



La Francia tiene metà dei soldi donati all'Africa — BUTAC - Bufale un tanto al chilo
maicolengel butac

http://www.butac.it/la-francia-tiene-me ... -allafrica

Siamo sicuri le cose siano come ci racconta Bartolo Dall’Orto sulle pagine del Giornale online? Secondo l’inchiesta di Night Tabloid (citata ma non linkata, la trovate qui):

In sostanza a Parigi rimarrebbe “la metà” dei fondi versati destinati all’Africa. In che modo? “I soldi arrivano qui – spiega il servizio – per essere convertiti in monete africane, ma la metà di quel denaro viene trattenuto a titolo di garanzia”.

Quindi per capirci Dall’Orto sostiene che la metà dei soldi che noi italiani doniamo all’Africa finisca in banche francesi e aiuti così il governo. La prima cosa da dire è che stiamo parlando di accordi tra 14 Paesi africani e il governo francese, 14 Paesi su 54. Non è chiaro a che soldi donati si faccia riferimento, ma se si parla genericamente di Africa gli Stati che la compongono sono 54, quelli a cui si sta facendo riferimento sono circa un terzo. Già questa ritengo sia una precisazione importante.

Ogni euro che spediamo verso l’Africa, spiega Mohamed Konare del Movimento Panafricanista, “passa dalla Banca di Francia per forza”. Qui viene convertita in Cfa (la moneta africana) e viene poi spedito in Africa. Dove sta l’inghippo? “Quell’euro rimane nella banca francese”, spiega Konare.

“Sia le banconote che le monete africane sono stampate in Francia”, aggiunge Kako Nubukpo, ex dirigente della Banca centrale africana. Anche gli aiuti umanitari in dollari, sterline e euro. Tutti verrebbero poi trasformati in Cfa. E questo – spiega il programma Rai – “succede per 14 paesi africani, tutte ex colonie francesi e tutte con un sistema monetario messo in piedi e controllato dalla Francia, il Franco Cfa: cambio fisso e valuta forte”.

Si parla di CFA, argomento che proprio qui su BUTAC avevo già trattato qualche tempo fa, e mi pare che quanto avessi riportato sia tutt’ora valido:

Solo due dei 14 Paesi hanno ancora rapporti con la Francia che prevedono restrizioni economiche di qualche tipo: si tratta della Guinea e della Repubblica Centroafricana. Nessuna tassa anche in questo caso, ma comunque qualche impedimento per i due Paesi in esame. Tutti gli altri citati non devono pagare nessuna tassa: hanno scelto, liberamente, di fare parte del gruppo di paesi che utilizza il franco CFA. Una valuta speciale, legata al valore del franco francese (quindi oggi legata all’euro) che fu istituita all’inizio della Seconda guerra mondiale.

Sono quattro le regole che vengono applicate al franco CFA:

La Francia garantisce la convertibilità illimitata del franco CFA e del franco delle Comore in qualsiasi valuta straniera;
il tasso di parità con la valuta francese – prima il franco, poi l’euro – è fisso;
i trasferimenti di capitale all’interno dell’area valutaria sono gratuiti;
in cambio di questi primi tre principi, il 50% delle riserve valutarie dei Paesi della zona monetaria del franco CFA e il 65% delle riserve del franco delle Comore sono depositate in un conto di transazione della Banque de France a Parigi.

Non c’era bisogno di scomodare Massimo Amato della Bocconi come ha fatto Night Tabloid, nessuna di queste regole è segreta, non c’è nulla da scoprire, solo un po’ di voglia di far fact-checking. Quindi ci sono 12 Paesi africani che per libera scelta hanno deciso di aderire a un accordo con la Francia che fa sì che parte delle loro riserve monetarie in franchi CFA sia tenuta da una banca francese. Il PIL sommato dei Paesi africani a cui si fa riferimento è di circa 450 miliardi, lo capite che 10 miliardi sono piccola cosa? Non sono sicuramente l’ago della bilancia. Ma raccontarla come se lo fossero è utile al giornalismo a tesi.

Purtroppo ci siamo abituati.

Spero sia chiaro che i soldi donati all’Africa per lo più non vanno in mani francesi, ma anche quando lo facessero sono comunque soldi a disposizione degli Stati che li hanno versati, con i pro e i contro del caso, ma senza che vi siano obblighi nei versamenti.

Come ripetuto l’altra volta non sto difendendo gli accordi tra Francia e Paesi africani, sto cercando di aiutarvi a capire quanto la cosa sia rilevante e in che termini ha senso indignarsi nel caso. Io, di mio, m’indigno di più per quanto vedo fare giornalismo a tesi senza che nessuno abbia niente da dire al riguardo.



https://www.facebook.com/BufaleUnTantoA ... 4623094462



Ecco la bufala

Ciad: uscire dal sistema finanziario francese — L'Indro
Sull'autore Fulvio Beltrami

https://lindro.it/ciad-uscire-dal-siste ... o-francese

Il discorso pronunciato dal Presidente ciadiano Idris Deby Itno presso la città di Abeche (est del paese) l’11 agosto ha creato allarmi al sistema coloniale francese rovinando le vacanze di Monsieur Francois Hollande. Il Presidente ha annunciato la volontà del Ciad di uscire dalla zona monetaria FCFA e di battere una propria moneta. La dichiarazione ha grosse e imprevedibili conseguenze sulla tenuta del dominio coloniale francese sulle sue ‘ex’ colonie africane. «Abbiamo la possibilità di battere una nostra moneta. Il Franco CA ai giorni d’oggi non è che un pezzo di carta senza valore che sta distruggendo le economie africane. L’Africa non può svilupparsi con il FCFA. Occorre conquistare la nostra indipendenza finanziaria» ha dichiarato Idriss Deby Itno durante le celebrazioni ad Abeche del Cinquantacinquesimo anniversario dell’Indipendenza.

Il FCFA (Franco delle Colonie Francesi d’Africa), creato in piena epopea coloniale (26 dicembre 1945) in coerenza con gli accordi di Bretton Woods, è una moneta imposta a 14 stati africani ex colonie francesi, escluse la Guinea Equatoriale e la Guinea Bissau che hanno aderito volontariamente. Trattasi di Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Mali, Niger, Senegal e Togo riuniti nella Unione Economica e Monetaria dell’Africa Occidentale (UEMAO). Un’unione monetaria simile e sempre imposta è quella della CEMAC (Comunità Economica e Monetaria dell’Africa Centrale) che comprende gli stati del Camerun, Repubblica Centrafricana, Repubblica del Congo-Brazzaville, Gabon e Ciad. Le Isole Comore, nell’Oceano Indiano, sono associate al Franco CFA dentro la cosiddetta ‘zona franco’. Sia la UEMAO che la CEMAC non sono unioni economiche create dagli stati africani, ma creazioni artificiali dell’impero francese mantenute con la forza dopo l’indipendenza delle varie colonie africane. La creazione del FCFA fu dettata con il proposito ufficiale di creare uno sviluppo armonioso tra le ex colonie rafforzando i commerci interni.

In realtà la moneta comune di queste ex colonie africane è stata imposta dalla Francia per assicurarsi il controllo finanziario totale. Il FCFA non è convertibile ed è stato legato prima al Franco Francese e ora all’Euro. Il valore di cambio tra FCFA ed Euro è deciso dalla Banca Centrale di Parigi. Legati alla moneta unica dell’Africa Occidentale sono gli obblighi di versare la tassa coloniale dell’8% del PIL alla Francia e l’obbligo di depositare e far gestire dalla Banca Centrale di Parigi le riserve di moneta pregiata: Dollaro ed Euro. I Governi africani in necessità di pagare investimenti in valuta pregiata devono richiedere l’autorizzazione al Ministero delle Finanze francese.

Questo per la Francia, vittima di una profonda crisi che sta minando il cuore produttivo e finanziario dell’economia nazionale, si traduce in una possibilità di accedere a immense riserve di denaro che viene utilizzato o investito senza il parere vincolante dei Paesi africani. Dopo le materie prime a basso costo (petrolio, uranio, ferro, coltan, rame, etc) il FCFA rappresenta la principale risorsa economica su cui la Francia può contare per tenersi a galla, mantenere lo statuto di potenza mondiale e far fronte all’espansionismo tedesco in Europa. La terza risorsa economica proviene dalla vendita diretta o indiretta di armi francesi nei teatri di guerra africani spesso creati dalla politica estera francese… La necessità di succhiare le risorse finanziarie delle colonie africane viene garantita dall’Unione Europea che ha accettato l’anomalia proposta dalla Francia. Il FCFA viene gestito dal Tesoro francese e non dalla Banca Centrale Europea.

Il presidente ciadiano propone che il suo Paese esca dalla zona FCA entro il 2018 iniziando a battere moneta propria legata a tre circuiti finanziari internazionali: il Dollaro americano, l’Euro e il Yuan cinese. «Il FCFA è controllato dalla Francia ma è una moneta africana. Occorre che sia convertibile in tutti i circuiti monetari internazionali e le riserve siano gestite dai Paesi africani in Africa. È una scelta dolorosa che i nostri amici francesi devono prendere», dichiara il Presidente incoraggiando gli altri stati dell’Africa Occidentale e Centrale a rivedere le clausole finanziarie della cooperazione con la Francia.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ma la Francia sfrutta colonialmente l'Africa? No!

Messaggioda Berto » mer mag 01, 2019 7:49 pm

Quel legame di Parigi con le ex colonie
2015-11-21

https://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2 ... d=ACS71leB


È inevitabile pensare alla Francia. Inevitabile tornare con la memoria ai giorni in cui la bandiera jihadista sventolava sui tetti di Timbuctu. Ripensare alle migliaia di manoscritti antichi bruciati dalla furia iconoclasta degli estremisti e ai due reporter di Radio France International brutalmente sgozzati lungo la strada per Tinessako. Alle truppe speciali francesi che rastrellavano le regioni desertiche a caccia di estremisti. Ecco perché il commando di 10 jihadisti armati fino ai denti che, al grido di «Allahu Akbar» («Allah è grande»), ha fatto incursione nell’Hotel Radisson, nella capitale del Mali, non può non far pensare all’ennesima ritorsione contro la Francia.

Minacciata dall’espansione cinese, ma anche da quella di Paesi emergenti come India, Brasile e Turchia, decisi ad accaparrarsi le risorse africane, la Francia continua ad esercitare una forte influenza in molti Stati africani. Un ruolo che è determinata a difendere con le unghie. Françafrique; con questo termine si usa descrivere quelle complesse – e non sempre trasparenti- relazioni tra la Francia e le sue ex colonie africane. Sono interessi geopolitici ma anche economici. Perché in gioco ci sono risorse naturali e materie prime. L’uranio del Niger e della Repubblica Centroafricana, il petrolio del Gabon e del Ciad. Le risorse agricole di altri Paesi, i metalli della Guinea Conakry.

Quando lo ha ritenuto necessario, Parigi non ha mai esitato a intervenire militarmente nelle sue ex colonie, alcune delle quali sembra considerare ancora dei meri protettorati. È accaduto in Costa d’Avorio durante la sanguinosa guerra civile che sconvolse il Paese del cacao tra il 2002 e il 2004. Per cercare di riportare la calma l’Onu inviò i suoi Caschi blu affiancati dalla missione francese Licorne, composta da quasi 5mila soldati. Poi è stata la volta del Ciad, nel 2006, quando i caccia francesi bombardarono almeno due località per fermare l’avanzata dai ribelli del Fuc, che puntavano a espugnare anche la capitale N’Djamena e rovesciare il controverso presidente Idriss Deby. Certo non un capo di Stato paladino della democrazia.

Poi, nel febbraio del 2011, Parigi è stata capofila della missione internazionale in Libia contro Muammar Gheddafi. E in quell’anno i militari francesi partecipano nuovamente in Costa d’Avorio all’ultima offensiva catturando l’ormai indesiderato presidente uscente, Laurent Gbagbo.

Per meglio comprendere l’intervento francese in Mali occorre tornare indietro ai tempi della guerra contro Gheddafi. Quando insieme al crollo del regime libico un esercito di miliziani Tuareg al soldo dell’ex rais ritornò in Mali e Niger. Nell’aprile 2012, il Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad (Mnla), composto da quei Tuareg di matrice non radicale, prese il controllo delle principali città e dichiarò unilateralmente l’indipendenza dell’Azawad, la parte settentrionale del Paese. Il sogno durò meno di due mesi. Perché le truppe jihadiste, Ansar Dine, il famigerato movimento Mujao e l’ancor più temibile al-Qaeda nel Maghreb islamico estromisero i ribelli dell’Mlns. La giunta al potere in Mali, che aveva conquistato Bamako nel 2012 con un colpo di Stato, sembrava impotente. Scattò l’Operazione Serval, una forza internazionale intervenuta su mandato Onu, per ristabilire la sovranità del Mali sui territori sahariani settentrionali. La Francia inviò migliaia di soldati. E riuscirono a riconquistare le città, infliggendo perdite ingenti alle forze jihadiste, che tuttavia si nascondono ancora oggi in aree desertiche.

L’obiettivo della missione francese in Mali era respingere l’avanzata dei jihadisti in un’area del mondo dove Parigi esercita una forte influenza politica. Ma è forse ingenuo illudersi che l’intervento sia del tutto svincolato da un altro obiettivo, più nell’ombra, ma non meno importante: proteggere gli interessi economici della Francia. In primo luogo l’uranio del vicino Niger. Parigi non può permettersi di perderlo. Perché la Francia ricava quasi l’80% della sua produzione di elettricità dall’uranio. Nessun altro Paese al mondo presenta un rapporto così “intenzionalmente” sbilanciato. Grazie alle sue 58 centrali nucleari, e al costo relativamente basso di produzione, è divenuta il maggior esportatore mondiale di energia elettrica. E quando entrerà a pieno regime la gigantesca miniera di uranio di Imuraen, sviluppata dal colosso minerario francese Areva, chi ne beneficerà sarà soprattutto la Francia. E il Niger passerà dunque da quarto a secondo fornitore di uranio della Francia.

Burkina-Faso, Mali, Mauritania, Niger, Ciad. In questi Paesi i 3.500 miliari francesi della operazione Barkhane stanno affiancando i 6mila soldati della Minusma, provenienti da 11 Paesi africani nel tentativo di sostenere le forze governative contro i jihadisti. E in questi Paesi la Francia è ormai un acerrimo nemico di questi spietati movimenti estremisti.



Il racconto shock di Giorgia Meloni: 'La Francia per il Burkina Faso stampa moneta coloniale in cambio pretende che il 50% di quello che il Burkina Faso esporta finisca nelle tasche dello stato francese'
20/01/2019

http://www.la7.it/nonelarena/video/il-r ... 019-260829

Giorgia Meloni prosegue il suo intervento a Non è l'Arena, dove spiega il vincolo che molti stati Africani hanno con la Francia

Alberto Pento
Quante idiozie dice la Meloni


Gianni Cecchinato
https://www.facebook.com/gianni.cecchin ... 7304869591
I giornalisti che si schierano con la Francia e sono contro le dichiarazioni di DiMaio e di Lannutti o sono in malafede o sono ignoranti.
Da oltre un anno in rete FB girano notizie sul Franco Africano, sul come la Francia condiziona la politica e l'economia delle ex colonie, ma tutti cadono dalle nuvole.
Pochi ricordano che dietro l'assassinio di Gheddafi c'era la manina francese.

Danilo Cazzaro
Gheddafi voleva dare delle garanzie sostitutive del Franco africano. L'occidente ha deciso che era più conveniente continuare con la stabilità garantita dal franco ed ha eliminato Gheddafi, sacrificando parte degli interessi italiani. Sappiamo tutto del neocolonialismo. Quello che per ora non mi è chiaro è l'interesse italiano in questa polemica con la Francia, dal momento che restano solo le parole. Ovvero slogans per la prossima campagna elettorale.

Gianni Cecchinato
Peccato che DiMaio abbia usato le notizie sul CFA senza averne approfondito le conoscenze, come al solito la fretta ha fatto nascere i gattini ciechi!
Impazienza e non conoscenza (ignoranza) fanno più danni di una guerra civile.


Gianni Cecchinato
Nella zona CFA vengono applicate quattro regole, formalizzate in due trattati firmati dalla Francia e dai 14 Paesi (zona in rosso) in questione nel 1959 e nel 1962.

1) la Francia garantisce la convertibilità illimitata del CFA in euro;
2) il tasso di conversione tra CFA e euro (prima franco) è fisso: 1 euro=655,957 franco CFA;
3) i trasferimenti di capitali tra la zona CFA e la Francia sono liberi;
4) il 50% delle riserve di cambio dei Paesi della zona franco devono essere depositate su un conto della Banca di Francia, a Parigi [quale contropartita ai primi tre principi-punti].



200milioni di africani sotto il dominio monetario francese
21 gennaio 2019
Alessandro Di Battista

https://www.ilblogdellestelle.it/2019/0 ... ncese.html

Se non affrontiamo il tema della sovranità monetaria in Africa, non potremo mai risolvere veramente il problema. Attualmente la Francia, nei pressi di Lione, stampa la moneta utilizzata in 14 paesi africani (quasi tutti paesi della zona subsahariana). I quali non soltanto utilizzano una moneta stampata dalla Francia, ma per mantenere il tasso fisso – prima con il Franco francese e oggi con l’Euro – sono costretti a versare circa il 50% dei loro denari in un conto corrente gestito dal tesoro francese. Conto corrente con il quale viene finanziata una piccola parte del debito pubblico francese, ovvero circa lo 0,5%.

Ma soprattutto la Francia, attraverso il controllo geopolitico di quell’area – dove vivono 200 milioni persone che utilizzano banconote e monete stampate in Francia – gestisce la sovranità di interi paesi impedendo la loro legittima Indipendenza, la loro sovranità monetaria, fiscale, valutaria e la possibilità di fare politiche espansive. Fino a quando non si “strapperà” questa banconota, che in realtà è una manetta nei confronti dei popoli africani, noi potremo continuare a parlare a lungo di porti aperti o porti chiusi, ma le persone continueranno a scappare, a morire in mare, a cercare altre rotte e a provare a venire in Europa. Oggi è necessario, per la prima volta, occuparsi delle cause, perché se ci si occupa esclusivamente degli effetti si è nemici dell’Africa.

Alberto Pento
Di Battista un'altro fanfarone complottaro
L'ignorante complottista fanfarone Di Battista sulla moneta africana

14 paesi africani costretti a pagare tassa coloniale alla Francia e poi vengono a fare la morale a noi...
2018/06/14

https://terrarealtime.blogspot.com/2018 ... e.html?m=1

Sapevate che molti paesi africani continuano a pagare una tassa coloniale alla Francia dalla loro indipendenza fino ad oggi?
Quando Sékou Touré della Guinea decise nel 1958 di uscire dall’impero coloniale francese, e optò per l’indipendenza del paese, l’elite coloniale francese a Parigi andò su tutte le furie e, con uno storico gesto, l’amministrazione francese della Guinea distrusse qualsiasi cosa che nel paese rappresentasse quelli che definivano i vantaggi della colonizzazione francese.
Tremila francesi lasciarono il paese, prendendo tutte le proprietà e distruggendo qualsiasi cosa che non si muovesse: scuole, ambulatori, immobili dell’amministrazione pubblica furono distrutti; macchine, libri, strumenti degli istituti di ricerca, trattori furono sabotati; i cavalli e le mucche nelle fattorie furono uccisi, e le derrate alimentari nei magazzini furono bruciate o avvelenate.
L’obiettivo di questo gesto indegno era quello di mandare un messaggio chiaro a tutte le altre colonie che il costo di rigettare la Francia sarebbe stato molto alto.

Lentamente la paura serpeggiò tra le elite africane e nessuno dopo gli eventi della Guinea trovò mai il coraggio di seguire l’esempio di Sékou Touré, il cui slogan fu “Preferiamo la libertà in povertà all’opulenza nella schiavitù.”Sylvanus Olympio, il primo presidente della Repubblica del Togo, un piccolo paese in Africa occidentale, trovò una soluzione a metà strada con i francesi. Non voleva che il suo paese continuasse ad essere un dominio francese, perciò rifiutò di siglare il patto di continuazione della colonizzazione proposto da De Gaule, tuttavia si accordò per pagare un debito annuale alla Francia per i cosiddetti benefici ottenuti dal Togo grazie alla colonizzazione francese. Era l’unica condizione affinché i francesi non distruggessero prima di lasciare.Tuttavia, l’ammontare chiesto dalla Francia era talmente elevato che il rimborso del cosiddetto “debito coloniale” si aggirava al 40% del debito del paese nel 1963. La situazione finanziaria del neo indipendente Togo era veramente instabile, così per risolvere la situazione, Olympio decise di uscire dalla moneta coloniale francese FCFA (il franco delle colonie africane francesi), e coniò la moneta del suo paese. Il 13 gennaio 1963, tre giorni dopo aver iniziato a stampare la moneta del suo paese, uno squadrone di soldati analfabeti appoggiati dalla Francia uccise il primo presidente eletto della neo indipendente Africa. Olympio fu ucciso da un ex sergente della Legione Straniera di nome Etienne Gnassingbeche si suppone ricevette un compenso di $612 dalla locale ambasciata francese per il lavoro di assassino. Il sogno di Olympio era quello di costruire un paese indipendente e autosufficiente. Tuttavia ai francesi non piaceva l’idea. Il 30 giugno 1962, Modiba Keita , il primo presidente della Repubblica del Mali, decise di uscire dalla moneta coloniale francese FCFA imposta a 12 neo indipendenti paesi africani. Per il presidente maliano, che era più incline ad un’economia socialista, era chiaro che il patto di continuazione della colonizzazione con la Francia era una trappola, un fardello per lo sviluppo del paese. Il 19 novembre 1968, proprio come Olympio, Keita fu vittima di un colpo di stato guidato da un altro ex soldato della Legione Straniera francese, il luogotenente Moussa Traoré. Infatti durante quel turbolento periodo in cui gli africani lottavano per liberarsi dalla colonizzazione europea, la Francia usò ripetutamente molti ex legionari stranieri per guidare colpi di stato contro i presidente eletti:

– Il 1 gennaio 1966, Jean-Bédel Bokassa, un ex soldato francese della legione straniera, guidò un colpo di stato contro David Dacko, il primo presidente della Repubblica Centrafricana.

– Il 3 gennaio 1966, Maurice Yaméogo, il primo presidente della Repubblica dell’Alto Volta, oggi Burkina Faso, fu vittima di un colpo di stato condotto da Aboubacar Sangoulé Lamizana, un ex legionario francese che combatté con i francesi in Indonesia e Algeria contro le indipendenze di quei paesi.

– il 26 ottobre 1972, Mathieu Kérékou che era una guardia del corpo del presidente Hubert Maga, il primo presidente della Repubblica del Benin, guidò un colpo di stato contro il presidente, dopo aver frequentato le scuole militari francesi dal 1968 al 1970.

Negli ultimi 50 anni un totale di 67 colpi di stato si sono susseguiti in 26 paesi africani, 16 di quest’ultimi sono ex colonie francesi, il che significa che il 61% dei colpi di stato si sono verificati nell’Africa francofona.

Ex colonie francesi
Altri paesi africani
Paese Numero di colpi di stato

Togo 1 Egitto 1 Tunisia 1 Libia 1 Costa d’Avorio 1 Guinea Equatoriale 1 Madagascar 1 Guinea Bissau 2
Rwanda 1 Liberia 2 Algeria 2 Nigeria 3 Congo – RDC 2 Etiopia 3 Mali 2 Uganda 4 Guinea Conakry 2 Sudan 5

SUB-TOTALE 1 13
Congo 3 Ciad 3 Burundi 4 Repubblica centrafricana 4 Niger 4 Mauritania 4 Burkina Faso 5 Comores 5

SUB-TOTAL 2 32
TOTAL (1 + 2) 45 TOTALE 22

Come dimostrano questi numeri, la Francia è abbastanza disperata ma attiva nel tenere sotto controllo le sue colonie, a qualsiasi prezzo, a qualsiasi condizione.

Nel marzo del 2008, l’ex presidente francese Jacques Chirac disse:
“Senza l’Africa, la Francia scivolerebbe a livello di una potenza del terzo mondo”

Il predecessore di Chirac, François Mitterand già nel 1957 profetizzava che:
“Senza l’Africa, la Francia non avrà storia nel 21mo secolo”

Proprio in questo momento mentre scrivo quest’articolo, 14 paesi africani sono costretti dalla Francia, attraverso un patto coloniale, a depositare l’85% delle loro riserve di valute estere nella Banca centrale francese controllata dal ministero delle finanze di Parigi. Finora, 2014, il Togo e altri 13 paesi africani dovranno pagare un debito coloniale alla Francia. I leader africani che rifiutano vengono uccisi o restano vittime di colpi di stato. Coloro che obbediscono sono sostenuti e ricompensati dalla Francia con stili di vita faraonici mentre le loro popolazioni vivono in estrema povertà e disperazione.
È un sistema malvagio denunciato dall’Unione Europea, ma la Francia non è pronta a spostarsi da quel sistema coloniale che muove 500 miliardi di dollari dall’Africa al suo ministero del tesoro ogni anno.
Spesso accusiamo i leader africani di corruzione e di servire gli interessi delle nazioni occidentali, ma c’è una chiara spiegazione per questo comportamento. Si comportano così perché hanno paura di essere uccisi o di restare vittime di un colpo di stato. Vogliono una nazione potente che li difenda in caso di aggressione o di tumulti. Ma, contrariamente alla protezione di una nazione amica, la protezione dell’occidente spesso viene offerta in cambio della rinuncia, da parte di quei leader, di servire il loro stesso popolo e i suoi interessi.
I leader africani lavorerebbero nell’interesse dei loro popoli se non fossero continuamente inseguiti e provocati dai paesi colonialisti.
Nel 1958, spaventato dalle conseguenze di scegliere l’indipendenza dalla Francia, Leopold Sédar Senghor dichiarò: “La scelta del popolo senegalese è l’indipendenza; vogliono che ciò accada in amicizia con la Francia, non in disaccordo.”
Da quel momento in poi la Francia accettò soltanto un’ “indipendenza sulla carta” per le sue colonie, siglando “Accordi di Cooperazione”, specificando la natura delle loro relazioni con la Francia, in particolare i legami con la moneta coloniale francese (il Franco), il sistema educativo francese, le preferenze militari e commerciali.
Qui sotto ci sono le 11 principali componenti del patto di continuazione della colonizzazione dagli anni 50:

1. Debito coloniale a vantaggio della colonizzazione francese
I neo “indipendenti” paesi dovrebbero pagare per l’infrastruttura costruita dalla Francia nel paese durante la colonizzazione.
Devo ancora trovare tutti i dati specifici circa le somme, la valutazione dei benefici della colonizzazione e i termini di pagamento imposti ai paesi africani, ma ci stiamo lavorando (aiutaci con più info).

2. Confisca automatica delle riserve nazionali
I paesi africani devono depositare le loro riserve monetarie nazionali nella Banca centrale francese.
La Francia detiene le riserve nazionali di quattordici paesi africani dal 1961: Benin, Burkina Faso, Guinea-Bissau, Costa d’Avorio, Mali, Niger, Senegal, Togo, Camerun, Repubblica Centrafricana, Ciad, Congo-Brazzaville, Guinea Equatoriale e Gabon.
“La politica monetaria che governa un gruppo di paesi così diversi non è complicato perché, di fatto, è decisa dal ministero del Tesoro francese senza rendere conto a nessuna autorità fiscale di qualsiasi paese che sia della CEDEAO [la comunità degli stati dell’Africa occidentale] o del CEMAC [Comunità degli stati dell’Africa centrale]. In base alle clausole dell’accordo che ha fondato queste banche e il CFA, la Banca Centrale di ogni paese africano è obbligata a detenere almeno il 65% delle proprie riserve valutarie estere in un “operations account” registrato presso il ministero del Tesoro francese, più un altro 20% per coprire le passività finanziarie.
Le banche centrali del CFA impongono anche un tappo sul credito esteso ad ogni paese membro equivalente al 20% delle entrate pubbliche dell’anno precedente. Anche se la BEACe la BCEAO hanno un fido bancario col Tesoro francese, i prelievi da quel fido sono soggetti al consenso dello stesso ministero del Tesoro. L’ultima parola spetta al Tesoro francese che ha investito le riserve estere degli stati africani alla borsa di Parigi a proprio nome.
In breve, più dell’ 80% delle riserve valutarie straniere di questi paesi africani sono depositate in “operations accounts” controllati dal Tesoro francese. Le due banche CFA sono africane di nome, ma non hanno una politica monetaria propria. Gli stessi paesi non sanno, né viene detto loro, quanto del bacino delle riserve valutarie estere detenute presso il ministero del Tesoro a Parigi appartiene a loro come gruppo o individualmente.
Gli introiti degli investimenti di questi fondi presso il Tesoro francese dovrebbero essere aggiunti al conteggio ma non c’è nessuna notizia che venga fornita al riguardo né alle banche né ai paesi circa i dettagli di questi scambi. Al ristretto gruppo di alti ufficiali del ministero del Tesoro francese che conoscono le cifre detenute negli “operations accounts”, sanno dove vengono investiti questi fondi e se esiste un profitto a partire da quegli investimenti, viene impedito di parlare per comunicare queste informazioni alle banche CFA o alle banche centrali degli stati africani.” Scrive Dr. Gary K. Busch
Si stima che la Francia detenga all’incirca 500 miliardi di monete provenienti dagli stati africani, e farebbe qualsiasi cosa per combattere chiunque voglia fare luce su questo lato oscuro del vecchio impero.

Gli stati africani non hanno accesso a quel denaro.

La Francia permette loro di accedere soltanto al 15% di quel denaro all’anno. Se avessero bisogno di più, dovrebbero chiedere in prestito una cifra extra dal loro stesso 65% da Tesoro francese a tariffe commerciali.

Per rendere le cose ancora peggiori, la Francia impone un cappio sull’ammontare di denaro che i paesi possono chiedere in prestito da quella riserva. Il cappio è fissato al 20% delle entrate pubbliche dell’anno precedente. Se i paesi volessero prestare più del 20% dei loro stessi soldi, la Francia ha diritto di veto.

L’ex presidente francese Jacques Chirac ha detto recentemente qualcosa circa i soldi delle nazioni africane detenuti nelle banche francesi. Questo qui sotto è un video in cui parla dello schema di sfruttamento francese. Parla in francese, ma questo è un piccolo sunto: “Dobbiamo essere onesti e riconoscere che una gran parte dei soldi nelle nostre banche provengono dallo sfruttamento del continente africano.”

3. Diritto di primo rifiuto su qualsiasi materia prima o risorsa naturale scoperta nel paese
La Francia ha il primo diritto di comprare qualsiasi risorsa naturale trovate nella terra delle sue ex colonie. Solo dopo un “Non sono interessata” della Francia, i paesi africani hanno il permesso di cercare altri partners.

4. Priorità agli interessi francesi e alle società negli appalti pubblici
Nei contratti governativi, le società francesi devono essere prese in considerazione per prime e solo dopo questi paesi possono guardare altrove. Non importa se i paesi africani possono ottenere un miglior servizio ad un prezzo migliore altrove.
Di conseguenza, in molte delle ex colonie francesi, tutti i maggiori asset economici dei paesi sono nelle mani degli espatriati francesi. In Costa d’Avorio, per esempio, le società francesi possiedono e controllano le più importanti utilities – acqua, elettricità, telefoni, trasporti, porti e le più importanti banche. Lo stesso nel commercio, nelle costruzioni e in agricoltura.

5. Diritto esclusivo a fornire equipaggiamento militare e formazione ai quadri militari del paese
Attraverso un sofisticato schema di borse di studio e “Accordi di Difesa” allegati al Patto Coloniale, gli africani devono inviare i loro quadri militari per la formazione in Francia o in strutture gestite dai francesi.
La situazione nel continente adesso è che la Francia ha formato centinaia, anche migliaia di traditori e li foraggia. Restano dormienti quando non c’è bisogno di loro, e vengono riattivati quando è necessario un colpo di stato o per qualsiasi altro scopo!

6. Diritto della Francia di inviare le proprie truppe e intervenire militarmente nel paese per difendere i propri interessi
In base a qualcosa chiamato “Accordi di Difesa” allegati al Patto Coloniale, la Francia ha il diritto di intervenire militarmente negli stati africani e anche di stazionare truppe permanentemente nelle basi e nei presidi militari in quei paesi, gestiti interamente dai francesi.
Basi militari francesi in Africa
Quando il presidente Laurent Gbagbo della Costa d’Avorio cercò di porre fine allo sfruttamento francese del paese, la Francia ha organizzato un colpo di stato. Durante il lungo processo per estromettere Gbagbo, i carri armati francesi, gli elicotteri d’attacco e le forze speciali intervennero direttamente nel conflitto sparando sui civili e uccidendone molti.
Per aggiungere gli insulti alle ingiurie, la Francia stima che la business community francese abbia perso diversi milioni di dollari quando, nella fretta di abbandonare Abidjan nel 2006, l’esercito francese massacrò 65 civili disarmati, ferendone altri 1200.
Dopo il successo della Francia con il colpo di stato, e il trasferimento di poteri ad Alassane Outtara, la Francia ha chiesto al governo Ouattara di pagare un compenso alla business community francese per le perdite durante la guerra civile.
Il governo Ouattara, infatti, pagò il doppio delle perdite dichiarate mentre scappavano.

7. Obbligo di dichiarare il francese lingua ufficiale del paese e lingua del sistema educativo
Oui, Monsieur. Vous devez parlez français, la langue de Molière! [Sì, signore. Dovete parlare francese, la lingua di Molière!]
Un’organizzazione per la diffusione della lingua e della cultura francese chiamata “Francophonie” è stata creata con diverse organizzazioni satellite e affiliati supervisionati dal Ministero degli esteri francese.
Come dimostrato in quest’articolo, se il francese è l’unica lingua che parli, hai accesso al solo 4% dell’umanità, del sapere e delle idee. Molto limitante.

8. Obbligo di usare la moneta coloniale francese FCFA
Questa è la vera mucca d’oro della Francia, tuttavia è un sistema talmente malefico che finanche l’Unione Europea lo ha denunciato. La Francia però non è pronta a lasciar perdere il sistema coloniale che inietta all’incirca 500 miliardi di dollari africani nelle sue casse.
Durante l’introduzione dell’Euro in Europa, altri paesi europei scoprirono il sistema di sfruttamento francese. Molti, soprattutto i paesi nordici, furono disgustati e suggerirono che la Francia abbandoni quel sistema. Senza successo.

9. Obbligo di inviare in Francia il budget annuale e il report sulle riserve
Senza report, niente soldi.
In ogni caso il ministero della Banche centrali delle ex colonie, e il ministero dell’incontro biennale dei ministri delle finanze delle ex colonie è controllato dalla Banca Centrale francese/Ministero del Tesoro.

10. Rinuncia a siglare alleanze militari con qualsiasi paese se non autorizzati dalla Francia
I paesi africani in genere sono quelli che hanno il minor numero di alleanze militari regionali. La maggior parte dei paesi ha solo alleanze militari con gli ex colonizzatori! (divertente, ma si può fare di meglio!).
Nel caso delle ex colonie francesi, la Francia proibisce loro di cercare altre alleanze militari eccetto quelle che vengono offerte loro.

11. Obbligo di allearsi con la Francia in caso di guerre o crisi globali
Più di un milione di soldati africani hanno combattuto per sconfiggere il nazismo e il fascismo durante la seconda guerra mondiale.
Il loro contributo è spesso ignorato o minimizzato, ma se si pensa che alla Germania furono sufficienti solo 6 settimane per sconfiggere la Francia nel 1940, quest’ultima sa che gli africani potrebbero essere utili per combattere per la “Grandeur de la France” in futuro.
C’è qualcosa di psicopatico nel rapporto che la Francia ha con l’Africa.
Primo, la Francia è molto dedita al saccheggio e allo sfruttamento dell’Africa sin dai tempi della schiavitù. Poi c’è questa mancanza di creatività e di immaginazione dell’elite francese a pensare oltre i confini del passato e della tradizione.
Infine, la Francia ha 2 istituzioni che sono completamente congelate nel passato, abitate da “haut fonctionnaires” paranoici e psicopatici che diffondono la paura dell’apocalisse se la Francia cambiasse, e il cui riferimento ideologico deriva dal romanticismo del 19° secolo: sono il Ministero delle Finanze e del Budget della Francia e il Ministero degli Affari esteri della Francia.
Queste 2 istituzioni non solo sono una minaccia per l’Africa ma anche per gli stessi francesi.

Tocca a noi africani liberarci, senza chiedere permesso, perché ancora non riesco a capire, per esempio, come possano 450 soldati francesi in Costa d’Avorio controllare una popolazione di 20 milioni di persone!?

La prima reazione della gente subito dopo aver saputo della tassa coloniale francese consiste in una domanda: “Fino a quando?”

Per paragone storico, la Francia ha costretto Haiti a pagare l’equivalente odierno di $21 miliardi dal 1804 al 1947 (quasi un secolo e mezzo) per le perdite subite dai commercianti di schiavi francesi dall’abolizione della schiavitù e la liberazione degli schiavi haitiani.

I paesi africani stanno pagando la tassa coloniale solo negli ultimi 50 anni, perciò penso che manchi un secolo di pagamenti!
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ma la Francia sfrutta colonialmente l'Africa? No!

Messaggioda Berto » mer mag 01, 2019 7:51 pm

Il problema del franco Cfa, la "tassa coloniale" di Parigi ai Paesi africani
Andrea Muratore
22 gennaio 2019

http://www.occhidellaguerra.it/cose-fra ... ale-parigi

Nel mondo politico italiano, il recente rinfocolamento del problema migratorio ha fatto scoppiare la polemica sul franco Cfa. Il presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, intervenendo a “Non è l’Arena” su La 7, ha mostrato una banconota del franco Cfa e la foto di un bambino del Burkina Faso che lavora in una miniera d’oro e ha detto: “La soluzione non è prendere gli africani e spostarli in Europa ma liberare l’Africa da certi europei, come i francesi, che la sfruttano”. Dichiarazioni che hanno fatto il paio con quelle poi pronunciate da Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista, che hanno puntato il dito contro Parigi, accusata di essere la principale potenza sfruttatrice dei Paesi del continente africano.

L’argomento è, per certi versi, sicuramente semplificatorio: le problematiche dell’Africa sono molte e ben profonde, questioni geopolitiche, economiche e sociali a cui si aggiungono una forte corsa per il controllo del continente da parte delle maggiori potenze e questioni come il land grabbing che sottraggono ampie porzioni dei territori africani alla sovranità dei loro popoli. Tuttavia, in certi contesti l’ingerenza di Parigi è ravvisabile e macroscopica. E il franco Cfa si presenta come strumento fondamentale per questa ingerenza.

Storia e struttura del franco Cfa

Tale sistema valutario è stata creata nel 1945 come Franco delle Colonie Francesi d’Africa, ideando l’acronimo significativamente rimasto inalterato dopo lo sviluppo della sostitutiva Comunità Finanziaria Africana a partire dagli Anni Sessanta. Al franco Cfa fanno riferimento due valute, una per l’Africa occidentale ed una per l’Africa centrale e 14 Paesi: Camerun, Ciad, Gabon, Guinea Equatoriale, Repubblica Centrafricana, Repubblica del Congo, Benin, Costa d’Avorio, Burkina Faso, Guinea Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo.

Secondo un accordo tra la Francia e le sue ex colonie, il franco Cfa si è legato al franco francese prima e all’euro poi attraverso un tasso di cambio fisso, con Parigi che garantisce la piena convertibilità della valuta e i trasferimenti interni all’area monetaria attraverso il Ministero del Tesoro, che però chiede il deposito, preso un conto del ministero, del 65% delle riserve estere dei paesi aderenti all’unione monetaria.

Le problematiche del Franco Cfa

Secondo l’analista Giuseppe Masala, qua iniziano i problemi relativi al sistema valutario in questione. “Infatti il cambio fisso azzera il rischio di cambio per gli investimenti delle multinazionali occidentali nel paesi dell’Unione monetaria”, scrive Masala su Globalist intravedendo il “diavolo del colonialismo” dietro il franco Cfa. “Non basta, il cambio fisso (per giunta garantito dal Ministero del Tesoro francese) favorisce l’accumulo nei forzieri delle banche occidentali di immensi tesori frutto della corruzione dei governanti locali . Come se non bastasse, tutto questo avviene a scapito dell’economia reale locale, soffocata dalla rigidità del cambio con una moneta fortissima come l’Euro”.

“Il secondo punto probabilmente è anche peggio del primo. Quale nazione sovrana depositerebbe, a garanzia della convertibilitá della propria moneta, ben il 65% delle proprie riserve estere presso il ministero del Tesoro di uno stato estero per giunta quello del paese ex coloniale? Nessun paese sovrano farebbe mai una cosa del genere, che consegna le chiavi dello sviluppo (o del sottosviluppo) ad una nazione straniera”.

E qua si entra in un terreno scivoloso: sull’effettiva sovranità dei Paesi del franco Cfa sussistono numerosi dubbi. E Parigi, in questo contesto, ha contribuito a infittirli. Basti pensare alla leggerezza con cui la Francia ha considerato il pre-carrè africano come un vero e proprio “cortile di casa”. Dalla Costa d’Avorio al Mali, passando per la Repubblica Centrafricana, Parigi è stata in prima linea nell’ingerenza politico-economica e nella corsa alle risorse, tra cui è spiccato per anni l’uranio nigerino vitale per la sua industria atomica. La connivenza dei governi locali ha fatto il resto, con la Francia che si è impegnata in una vera e propria operazione sussidiaria facendo negli ultimi anni del Ciad il suo “gendarme” regionale.

Che ruolo ha il franco Cfa nel sottosviluppo dei Paesi africani?

Le critiche di Masala e la presa di consapevolezza dell’influenza di Parigi nel Sahel e nel resto dell’area ex coloniale non devono però portare a invertire i termini della questione: non è tanto il franco Cfa ad essere la causa diretta delle problematiche notevoli che i rapporti tra il centro e l’ex periferia dell’impero coloniale francese presentano oggigiorno, quanto piuttosto la moneta ad essere una componente fondamentale di un sistema che prefigura il mantenimento di un legame ombelicale tra Parigi e le sue ex colonie.

Come scrive Metalli Rari, “il franco Cfa non è stata in grado di sradicare i problemi cronici delle economie africane, anche se non è facile determinare in che misura ha contribuito a peggiorare la situazione. Di certo, ha modellato il funzionamento di queste economie e, dal momento che si tratta di una valuta forte, non aiuta di certo le esportazioni. Probabilmente, in paesi con settori agricoli fragili e industrie in una fase embrionale, la rigidità di questa moneta e la difficoltà a svalutarla (serve l’approvazione francese) sono un grosso ostacolo per lo sviluppo”.

Ma questo ci aiuta a comprendere come, in ultima istanza, il problema sia prettamente politico: cambiare moneta non aiuterà i Paesi del continente africano a ottenere un dignitoso livello di sviluppo se non si arriverà a un livello di sviluppo delle classi dirigenti locali tale da rendere possibile un’azione autonoma. E questo, a ben guardare, a Parigi non piace.

Oltre il franco Cfa: così Parigi condiziona i governi africani

Il franco Cfa appare funzionale a uno strumento di controllo di numerosi Paesi africani che ha puntualmente inghiottito tutti i leader che hanno provato a cambiare lo status quo. Il caso più emblematico è quello dell’eroe panafricanista, il Presidente burkinabe Thomas Sankara, ucciso nel 1987 poco dopo aver proclamato la sua volontà di rompere la schiavitù del debito che opprimeva i Paesi africani.

Ma i numeri che riguardano la Françafrique vanno oltre il famoso caso Sankara e sono eclatanti. “L’elenco dei colpi di stato compiuti in Africa, specie nelle ex colonie francesi, è impressionante”, scrive Italia Oggi. “Cinque in Burkina Faso e nelle Comore. Quattro in Burundi, Repubblica Centrafricana, Niger e Mauritania. Tre in Congo e Ciad. Due in Algeria, Mali, Guinea Konakry. Almeno uno in Togo e Costa d’Avorio. Gli storici hanno calcolato che negli ultimi 50 anni vi sono stati 67 colpi di stato in 26 paesi africani, 16 dei quali erano ex colonie francesi. È la prova concreta che, dal 1945 in poi, la Francia ha fatto di tutto, con qualsiasi mezzo e a qualsiasi prezzo, pur di tenere sotto controllo le sue ex colonie”. Sylvanus Olimpio, Presidente del Togo ucciso nel 1963, e Modiba Keita, Presidente del Mali rovesciato nel 1968, furono estromessi dal potere poco dopo aver esplicitamente criticato il franco Cfa.

A questo si aggiunge il tema della dipendenza militare dei Paesi africani da Parigi. Attualmente, la Francia è legata a 12 paesi da accordi militari di tipo difensivo, ed è presente in 10 paesi con delle missioni militari, per un totale di oltre 5mila unità presenti. Tutto questo contribuisce a delineare un quadro di dipendenza che non può e non deve ridursi al singolo tema monetario, ma guardare oltre, nella consapevolezza che sì, il franco Cfa è un problema per i Paesi africani, ma all’interno di un contesto ampio che vede la Francia spadroneggiare. Con effetti devastanti sulle esistenze di centinaia di milioni di persone, abitanti di Paesi privi di reali prospettive e di sovranità autonoma che troppo spesso cercano nell’emigrazione la risposta all’insostenibilità dei contesti in cui vivono.



LE VERE RAGIONI DELL’EMIGRAZIONE AFRICANA: IL FRANCO CFA
Raiawadunia · Lug 3, 2018

https://raiawadunia.com/le-vere-ragioni ... franco-cfa

Il Franco CFA (in tempo coloniale Franc Colonies françaises d’Afrique, oggi Franc Communauté Financière Africaine) è la valuta comune di 14 stati africani per lo più ex colonie francesi.
Il franco CFA è suddiviso in Franco CFA occidentale (è il franco usato nell’ Unione economico – monetaria dell’Africa occidentale, emesso dalla BCEAO, Banque Centrale des États de l’Afrique de l’Ouest con sede a Dakar, Senegal) e Franco CFA centrale (usato nella Comunità economico e monetaria dell’Africa Centrale, emesso dalla BEAC, Banque des États de l’Afrique Central con sede a Yaoundé, in Gabon). Il primo è usato da otto stati indipendenti: Benin, Burkina Faso, Guinea-Bissau, Costa d’Avorio, Mali, Niger, Sénégal e Togo; il secondo dai restanti sei: Cameroon, Repubblica Centrafricana, Chad, Republic of the Congo, Guinea Equatoriale e Gaboon.
La Francia garantisce la convertibilità illimitata del franco CFA e del franco delle Comore in euro;il tasso di parità con la valuta francese – prima il franco, poi l’euro – è fisso.
In cambio il 65% delle riserve valutarie dei Paesi della zona monetaria del franco CFA sono depositate in un conto di transazione della Banque de France a Parigi e le politiche delle due banche di emissione sono decise insieme a rappresentanti francesi.
Tutto apparentemente normale e frutto di accordi volontari. Una vergognosa bugia.
Di volontario c’è molto poco in Africa e specialmente nella vicenda storica dell’indipendenza delle colonie francesi in quel continente. Le indipendenze non furono un regalo di Parigi ma l’esito di un periodo di battaglie per la libertà spesso represse nel sangue e la Francia le concesse a caro prezzo, tentando in ogni modo di mantenere il controllo assoluto del suo impero africano e soprattutto delle risorse delle sue colonie.

Alcuni leader di quella stagione, come Patrice Lumumba in Zaire, oggi Repubblica Democratica del Congo, furono eliminati, altri che tentarono di contestare le nuove forme del colonialismo francese, come Thomas Sankara in Burkina Faso, subirono la stessa sorte.
I paesi della francofonia africana, poi, sono quelli che hanno vissuto il più grande numero di colpi di stato e guerre civili. Come mai? Chi le ha volute e armate in un’area totalmente priva di produzioni belliche? Questa instabilità, è un fatto inoppugnabile, ha reso, guarda caso, permanente il controllo politico e economico francese nell’area.
Tra i pilastri di questo dominio ferreo, oltre alle attività di servizi segreti e truppe speciali, c’è , senza ombra di dubbio, il CFA. Una delle ragioni della guerra a Gheddafi e del concomitante defenestramento di Laurent Gbabo in Costa D’ Avorio sembra essere stata proprio la loro volontà di avere una banca e una moneta tutte africane…se ci fossero riusciti, addio Cfa.

L’economista e docente universitario, Nicolas Agbohou da sempre si è scagliato contro questa valuta affermando che è strumento di neocolonialismo in quanto non permette una libera politica economico – monetaria (ovvero una piena libertà) nei paesi in cui è in circolazione, relegandoli a serbatoio di materie e manufatti per la Francia e per l’Europa. Il suo libro, “Il Franco Cfa e l’Euro contro l’Africa”, è uno straordinario e doloroso atto di accusa.
Quella che segue è una intervista con lui a cura di Mohamed Berkani.

D: Il suo libro è un atto d’accusa contro l’Euro e il Franco CFA. Perché queste due monete sarebbero contro l’Africa?

R: Fondamentalmente, gli istituti finanziari che gestiscono il Franco CFA, le banche centrali, sono contro l’Africa. II consigli di amministrazione della BCEAO (Banca Centrale degli Stati dell’Africa Occidentale), della BEAC (Banca degli Stati dell’Africa Centrale) e della Banca delle Comore, sono dominate dai francesi che beneficiano del diritto di veto. Le Comore non controllano la loro economia, perché nel cda della Banca centrale vi sono 4 francesi e 4 abitanti delle Comore. Dal momento che le decisioni devono essere prese all’unanimità o con la maggioranza di almeno cinque persone, basta che un solo francese sia contrario a un qualsiasi progetto, perché sia bocciato. Inoltre bisogna che gli africani non dimentichino che il CFA è una moneta francese.

D: Ma oltre a questo aspetto, perché il Franco è contro l’Africa?

R: Gli africani sono esseri umani a pieno titolo come tutti gli altri. In quanto tali, è importante che gli africani siano liberi di condurre la politica monetaria che soddisfi meglio le proprie aspettative. I 15 paesi della zona del Franco CFA sono costretti a lasciare in deposito in Francia il 65% dei loro proventi delle esportazioni, chiamate “riserve in valuta estera”. Questo è il presupposto per la stabilità della loro valuta. Supponiamo che un paese come il Niger, che non è in grado di pagare i propri funzionari, esporta prodotti per il valore di un miliardo di dollari, automaticamente deve lasciare in Francia un deposito di 650 milioni di euro. Questo è assurdo! Nel frattempo i nigeriani muoiono di fame! Ci sono anche dispositivi tecnici che rendono il Franco CFA uno strumento di impoverimento e di colonizzazione permanente.

D: Che cosa sono questi dispositivi?

R: Dobbiamo ricordare che il CFA, originariamente, era chiamato “Franco delle colonie francesi d’Africa”. Come suggerisce il nome, è la Francia che trae il maggior beneficio. I principi che disciplinano questa valuta sono la libera trasferibilità e convertibilità e la centralizzazione degli scambi. A questo proposito, dobbiamo sapere con chiarezza e precisione che: in primo luogo, la libera trasferibilità favorisce la fuga di capitali africani, e in secondo luogo, quando un paese non ha risparmi, si ritrova con un debito estero che lo strangola.

D: Chi sono le persone che esportano i loro capitali?

R: Alcuni leader e quelle che io chiamo neo-colonie. Ricordate che la prima decisione che Mitterrand aveva preso, della sua ascesa al potere, era di vietare la fuga di capitali. Da allora, l’Africa è doppiamente penalizzata: non solo deve affrontare la fuga di capitali, ma in aggiunta, è tenuta a riacquistare la propria moneta. In poche parole: i leader africani vanno a Parigi con le valigie piene di franchi CFA che scambiano contro franchi o in dollari. Ma le banche centrali africane sono obbligate a riscattare questi CFA che i leader hanno lasciato in Francia e che la Francia non vuole tenere. E devono farlo con una valuta forte! Quindi dal 65% dei proventi sulle esportazioni, che rimangono in deposito per le operazioni.

D: Perché anche l’Euro sarebbe in contrasto agli interessi africani?

R: Prima di fissare il cambio Franco CFA con l’Euro, solo la Francia aveva voce in capitolo sulle nostre economie. Ora è tutta l’Europa! Peggio ancora, le misure draconiane di Bruxelles sono incompatibili con le esigenze delle nostre economie. Ecco perché io insisto a ripudiare al più presto il CFA.

D: Cosa dovrebbe sostituirlo?

R: Nessun paese può svilupparsi senza l’indipendenza monetaria. Abbiamo bisogno di una nuova moneta comune che non sia guidata dall’estero. Bisogna buttare nell’immondizia i principi che reggono il Franco CFA. L’Africa ha bisogno di una politica monetaria che soddisfi i propri bisogni e interessi.


L'ignorante complottista fanfarone Di Battista sulla moneta africana e sul sovranismo monetario
https://www.youtube.com/watch?v=lNN9IJXq-Bc
https://www.facebook.com/dibattista.ale ... 3986930541
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ma la Francia sfrutta colonialmente l'Africa? No!

Messaggioda Berto » mer mag 01, 2019 7:56 pm

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Re: Ma la Francia sfrutta colonialmente l'Africa? No!

Messaggioda Berto » mer mag 01, 2019 7:57 pm

Il caso della guerra in Libia e l'intervento francese.
Il dittatore nazi maomettano Gheddafi fatto passare per un santo e per un politico eroe africano social-nazi-comunista che operava per liberare l'Africa dal giogo occidentale-capitalistico e per farla progredire umanamente, civilmente ed economicamente.

Francesco Sorrenti
22 gennaio 2019

https://www.facebook.com/fsorrenti3/pos ... 5852147543

Il colonialismo non é stato tutto negativo !!! Ha portato gli africani dalla eta della pietra al mondo moderno !!! Erano 100 milioni e morivano come moscerini d'inverno , oggi sono 1,3 miliardi e vivono in case di cemento e non di fango , hanno ospedali auto treni aerei elettricità ecc...sono diventati troppi, questo é il vero principale motivo di emigrazione , i soli nigeriani sono 200 milioni, lo sfruttamento francese c'entra molto poco .....il vero problema é la crescita demografica

Carlo Scaglioni
Diciamo che la Guerra in libia voluta da Sarkozy e Obomba non era per motivi umanitari ... Con tutte le conseguenze negative sopratutto per noi...

Alberto Pento
La guerra in Libia l'anno fatta i libici, poi è intervenuta l'ONU, poi la Francia, gli USA e altri, la NATO.
https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_civile_in_Libia
Prima guerra civile in Libia (17 febbraio - 20 ottobre 2011) – conflitto svoltosi nel paese nordafricano e che ha visto opposte le forze lealiste di Mu'ammar Gheddafi e quelle dei rivoltosi, riunite nel Consiglio nazionale di transizione.
Intervento militare in Libia del 2011 (19 marzo - 31 ottobre 2011) – intervento militare internazionale svoltosi a sostegno dei ribelli libici del Consiglio nazionale di transizione.
Seconda guerra civile in Libia (16 maggio 2014 - in corso) – conflitto in corso tra due governi rivali, basati a Tripoli e Tobruk.

https://it.wikipedia.org/wiki/Intervent ... a_del_2011
L'intervento militare in Libia del 2011 iniziò il 19 marzo ad opera d'alcuni paesi aderenti all'Organizzazione delle Nazioni Unite autorizzati dalla risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza che, nel marzo dello stesso anno, aveva istituito una zona d'interdizione al volo sul Paese nordafricano ufficialmente per tutelare l'incolumità della popolazione civile dai combattimenti tra le forze lealiste a Mu'ammar Gheddafi e le forze ribelli nell'ambito della prima guerra civile libica.
L'intervento fu inaugurato dalla Francia con un attacco aereo diretto contro le forze terrestri di Gheddafi attorno a Bengasi, attacco seguito, qualche ora più tardi, dal lancio di missili da crociera tipo "Tomahawk" da navi militari statunitensi e britanniche su obiettivi strategici in tutta la Libia.


La bufala di Gheddafi e il suo fantomatico piano di cambiare moneta
Le bombe di Sarkozy sulla moneta africana

http://www.nigrizia.it/notizia/le-bombe ... a-africana

Dalle mail desecretate di Hillary Clinton emergono nuovi brandelli di verità sui bombardamenti francesi del 2011: Parigi voleva far fallire il progetto di Gheddafi di creare una nuova valuta panafricana alternativa al franco Cfa utilizzato da 14 paesi dell’area Françafrique.
di Gianni Ballarini
[Le bombe di Sarkozy sulla moneta africana]

E se i bombardamenti francesi alla Libia gheddafiana, del marzo 2011, non fossero stati dettati solo da ragioni petrolifere (incrinare il predominio Eni nel paese); di immagine per Sarkozy (in ribasso per i suoi appoggi ai dittatori nordafricani, nella prima fase delle Primavere arabe) e umanitari (la grave situazione di assenza di diritti nel paese)? Se, insomma, quelle prime bombe del 19 marzo su Bengasi fossero state sganciate, in realtà, per evitare di incrinare il predominio di Parigi sull’Africa francofona? Per far fallire il progetto di Gheddafi di realizzare una valuta panafricana legata al dinaro d’oro libico, che consentisse ai 14 paesi francofoni di sganciarsi dal franco francese Cfa?
Non sono domande uscite da menti complottiste, proprio ora che si torna a raccontare di possibili nuovi raid aerei francesi in Libia contro i seguaci del Gruppo stato islamico. Ma nascono dalla lettura di alcune delle oltre 3mila email di Hillary Clinton pubblicate dal Dipartimento di Stato il 31 dicembre scorso, su ordine di un tribunale americano. Sono le email della candidata alla Casa Bianca spedite quando era segretario di stato, utilizzando un server privato di posta elettronica. Email declassificate e pubblicate in Italia dal sito Scenari Economici.
Ciò che emerge dalla corrispondenza di Clinton ha riflessi anche italiani, visto che tra gli obiettivi di Sarkozy c’era quello di scalfire l’influenza dell’Eni nell’area. In particolare, nella mail del 2 aprile 2011 – inviata all’ex segretario di stato dal funzionario e suo stretto collaboratore, Sidney Blumenthal – si spiegano i motivi che avrebbero spinto Parigi ad attaccare la Libia. Quattro sono più o meno noti: guadagnare una quota maggiore della produzione di petrolio, in mano italiana; aumentare l’influenza francese sul Nordafrica; rafforzare la posizione di Sarkozy in patria; riaffermare la posizione militare francese in Africa.
Ma c’è una quinta spiegazione, per nulla nota, che nasce dal timore di Parigi di vedersi sgretolare sotto gli occhi la sua creatura africana: Françafrique. Secondo i consiglieri di Sarkozy, infatti, Gheddafi stava per dare attuazione al piano di creare una valuta panafricana in grado di soppiantare il Cfa come moneta di riferimento per 14 paesi africani. Il progetto dell’ex dittatore libico era garantire questa nuova valuta con ingenti riserve d’oro e argento (stimate in 143 tonnellate), che sarebbero state trasferite dai caveau della Banca centrale di Tripoli a Sabha, nel sudovest del paese, città ritenuta più sicura.
Come ci racconta oggi Milano e Finanza, «il valore del Cfa è fissato all’euro e il Tesoro francese ne garantisce la convertibilità. Almeno il 65% delle riserve nazionali di questi 14 paesi sono depositate presso il dicastero del Tesoro transalpino che, in tal modo, si fa garante del cambio monetario. In sostanza, la Francia ha a sua disposizione le riserve nazionali delle sue ex colonie».

È evidente, quindi, come l’iniziativa gheddafiana mettesse in pericolo l’architrave del business francese in Africa. Da qui, l’esigenza di buttare fuori dalla scena il ràis libico.
Un’iniziativa militare che mise all’angolo l’Italia e il governo Berlusconi, costretto a malavoglia e solo alla fine, a partecipare alla missione. Non solo. Fu anche la prima crisi nella quale un presidente statunitense si è accodato al blitz di un presidente europeo.
La rivolta libica, infatti, fu l’occasione per Sarkozy di rilanciare la politica francese nella regione e, insieme, di offrire una nuova percezione presso il mondo arabo: non più una Francia compromessa con gli autocrati, ma una Francia in soccorso delle esigenze di libertà e democrazia richieste dalle popolazioni del Mediterraneo.
Scopriamo ora, in realtà, che quella era solo la “verità” mediatica lanciata come fumo negli occhi di un’opinione pubblica europea distratta e desiderosa di “purificarsi” la coscienza eliminando un dittatore africano. La “verità”, indicibile pubblicamente, nasconde invece il progetto francese di mantenere e rinnovare il suo dominio sull’area africana.
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Re: Ma la Francia sfrutta colonialmente l'Africa? No!

Messaggioda Berto » mer mag 01, 2019 7:58 pm

Libia: il nodo della Banca Centrale Libica, l'oro di Gheddafi, i beni congelati dalle megabanche, la sorte del dinaro.
Maria Grazia Bruzzone
2015/12/15

https://www.lastampa.it/2015/12/15/blog ... agina.html

Tra i tanti nodi che il Libia l’accordo politico deve sciogliere c’è la Banca Centrale Libica. Ovvero le due banche centrali, dal momento che nel gennaio 2014 le milizie del generale Khalifa Haftar (governo di Tobruk riconosciuto a livello internazionale) si sono impossessate della filiale di Bengasi della Banca Centrale Libica il cui quartier generale è a Tripoli. “Con $100 miliardi dentro” titolava Business Insider (22/ 1/2015). Mentre secondo il NewYorkTimes ,citato, $100 miliardi era quel che rimaneva alla Banca Centrale nel suo insieme.

Non solo. Il governo di Tobruk licenziava l’attuale governatore della Banca Centrale a Tripoli, la sede principale, Sadiq al-Kabir e ne nominava uno di sua fiducia, Ali Salim al-Hibri. Ma Kabir continuava imperterrito a lavorare nella sede principale di Tripoli. Che fra l’altro controlla i ricavi del petrolio, vitali per il paese– raccontava Reuters a luglio.

La scelta (politica) del Fondo Monetario Internazionale. Il FMI ha deciso di riconoscere Hibri come suo interlocutore unico, informava Reuters . E spiegava come questa mossa complicasse molto le cose. La Banca basata a Tripoli si è sforzata di star fuori dai conflitti. E sia il FMI sia i paesi stranieri fino a quel momento trattavano con entrambi i banchieri, cercando di dar vita a un budget comune dei due governi (che hanno da pagare stipendi delle milizie, stipendi pubblici, medicine e altro ancora).

“Il FMI ha rotto un accordo a cui erano giunti i due governi per un budget comune”, osservava Mattia Toaldo del Council of Foreign Relations Europe. Aggiungendo che il FMI difficilmente potrà tornare sui suoi passi.

Peraltro Hibri, il banchiere nominato da Tobruk, ha sì stabilito il nuovo quartier generale a Bengasi ma non è riuscito a convincere i clienti del petrolio a pagare attraverso i suoi conti in quanto le prove della proprietà degli asset petroliferi si trovano a Tripoli. Rendendo ancor più difficile la vendita di petrolio - la cui estrazione del resto si è quasi del tutto interrotta. Pur avendo la Libia le maggiori riserve petrolifere dell’Africa (ancora Reuters).

Anche secondo il NYT la banca centrale di Tripoli era una delle poche istituzioni ancora funzionanti nel paese, e Kabir aveva viaggiato all’estero per assicurare i leader stranieri dell’integrità dello Stato libico nella crisi.

Quel che è certo è che istituzioni esterne come il FMI entrano nel gioco politico, così come hanno fatto, e probabilmente si accingono a fare ancora, le megabanche straniere, in primo luogo anglosassoni che come vedremo più avanti hanno già avuto un ruolo.

Il bottino nella Banca Centrale di Bengasi.

“Il generale Haftar vuole che il governo di Tripoli sappia che può controllare la maggior parte del contante e delle riserve d’oro rimasti”, scrive BI. Che en passant qualifica come ‘disertore’ ( renegade) quello che non è esattamente un bel personaggio, ma è vicino agli Usa dove ha vissuto a lungo dopo essere fuggito a suo tempo dalla Libia, ed è l’uomo forte nel governo di Tobruk.

A metà del 2014 la Banca Centrale aveva ancora $113 miliardi di riserve in valuta straniera, riportava Al-Ayat, uno dei maggiori giornali panarabi, basato in Libano. Molto meno dei $321 miliardi che deteneva prima delle sommosse del 2011, ma ancora abbastanza per pagare i salari e assicurare il funzionamento delle infrastrutture petrolifere - aggiungeva BI.

$113 miliardi in valuta estera rafforzate da 116 tonnellate d’oro, a dar retta a un post sul sito indipendente medio orientale Al-Monitor (luglio 2014). E faceva notare come le riserve estere ammontavano appunto a $321 miliardi prima della rivoluzione del 2011 – quando l’oro di Gheddafi era valutato dal World Gold Council in 143 tonnellate (150 t, secondo altri ). Con la rivoluzione vennero subito ritirati dai depositi bancari $20 miliardi costringendo la Banca Centrale a vendere 5 t d’oro, e poi anche a disfarsi di $19 miliardi di riserve estere, spiegava, sottolineando tuttavia le rassicurazioni della Banca Centrale: un collasso della Libia non è in vista, almeno per altri 5 anni. Va aggiunto per precisione che la Banca Libica aveva altre due filali, a Sirte e a Sabha, nel sud, ma di queste non si è più parlato. Cosa vi fosse dentro non sappiamo.

I ‘ribelli’ avevano subito dato vita a una loro Banca Centrale a Bengasi. Una mossa sospetta per la sua immediatezza, forse ‘pilotata’ ( vedi The New American 30/3/20 11 ripreso da Global Research ).

Che una parte consistente delle riserve in valuta e oro di Gheddafi fossero nella filiale di Bengasi lo raccontava (6/6/ 2011) lo stesso vice capo della Banca Centrale nominato dai ‘ribelli’, Abdalgader Albagrmi ( qui). Vivida la descrizione dello scasso.

“C’erano due camere blindate sotterranee incassate in doppi muri e protette da una pesante porta blindata per aprire la quale servivano tre chiavi. Due erano a Bengasi, mentre la terza era a Tripoli, ancora sotto il controllo di Gheddafi. Ci vollero tre giorni per riuscire a penetrare all’interno. Nella prima camera trovarono dinari e contante in valuta estera. Albagrmi non è autorizzato a rivelare la quantità, si limita a dire ‘tra 500 milioni e 1 miliardo di dinari’, quanto alla valuta estera ‘non era molto’.

Nella seconda camera c’era una grande pila di barre d’oro che alcuni hanno valutato in $1 miliardo”.

Albagrmi minimizzava? Molto probabilmente sì.

Una mossa subitanea che già in quei mesi del 2011 appariva a qualcuno sospetta, quella dei ‘ribelli’, che allora apparentemente non si sapeva neppure chi fossero. La rivolta a Bengasi scoppia il 15 febbraio 2011. Già il 27 febbraio nasce il TNC – Transitional National Council, autoproclamato governo provvisorio a Bengasi che si spaccia come ‘unico rappresentante del popolo libico’e a marzo la comunità internazionale si affretta a riconoscere – a settembre o farà anche l’ONU. Ebbene, già a marzo il TNC dà vita alla sua Banca Centrale e alla nuova Lybian Oil Company, anch’essa a Bengasi.


“Mai sentito di una banca centrale creata in poche settimane da una rivolta popolare” nota un analista economico nel post di The New American. “ Suggerisce che quei ribelli erano più che una banda di rivoltosi e che c’erano delle influenze sofisticate”.

Un altro blog a cui si rimanda è sarcastico: “Quando il conflitto finirà quei ribelli potranno diventare consulenti”. Il blog citato avanza il sospetto di un coinvolgimento esterno. “Sembra che qualcuno ritenesse molto importante controllare le banche e il rifornimento di denaro prima ancora che un governo vero fosse formato”.

Dubbi esprimevano anche media mainstream come CNBC. “E’ la prima volta che un gruppo rivoluzionario si preoccupa di dar vita a una banca centrale mentre sta ancora combattendo per prendere il potere. Un’indicazione di quanto straordinariamente potenti siano diventate le banche centrali oggi”.

La Banca Centrale statale e il piano OIL for GOLD fu la causa prima dell’intervento Nato per rimuovere Gheddafi?

“Alcuni osservatori sono convinti che il tema della Banca Centrale sia stato addirittura la motivazione alla base degli interessi internazionali nei confronti del regime libico” osserva il post di New American citando un altro pezzo che ha circolato molto sul web, secondo il quale “finanzieri globali e manipolatori del mercato non tolleravano l’indipendenza dell’autorità monetaria libica” sotto il Raiss.La Banca Centrale era infatti pubblica, dello Stato.


“Il governo libico crea la sua moneta attraverso la sua Banca Centrale, il dinaro libico agganciato al valore dell’oro. Il maggior problema dei cartelli bancari globalisti è che per fare affari con la Libia devono passare attraverso la Banca Centrale e la moneta nazionale, sui quali non hanno assolutamente alcun dominio né capacità di fare pressioni. Obama non ne parla, e nemmeno Sarkozy e Cameron, ma in cima all’agenda globalista c’è certamente la volontà di assorbire la Libia nel novero delle nazioni compiacenti”. Magari sostituendo il dinaro, comunque agganciandolo al dollaro: questa sarà la via da seguire alla fine, veniva ipotizzato.

OIL FOR GOLD. Tanto più che Gheddafi pianificava di vendere il petrolio libico in cambio di dinari agganciati all’oro invece che in cambio di dollari come si era fatto fino ad allora. Oil for gold, appunto, il nome del piano. Una mossa che avrebbe potuto contagiare altri paesi, e minacciare molto da vicino la supremazia del dollaro fondata proprio sui petrodollari. “Ricordate Saddam Hussein? Nel 2000 voleva fare qualcosa di simile, vendere petrolio in euro, abbandonando il dollaro. La sua fine è nota”.

Così un altro blog. Una teoria diffusa soprattutto nei media non occidentali, rimarcava un successivo post NewAmerican (30/11/2011), molto più analitico del precedente e ricco di citazioni. Eccone qualcuna.

“Sarkozy arrivò a dichiarare che la Libia rappresentava una “minaccia per la ‘sicurezza finanziaria del mondo”.

“Nel 2009, in quanto capo dell’Unione Africana, Gheddafi aveva proposto che il continente azzoppato economicamente adottasse il dinaro il Dinaro aureo.

“Il suo piano avrebbe rafforzato l’intero continente africano agli occhi degli economisti – per non dire degli investitori. Ma sarebbe stato devastante per l’economia Usa, il dollaro americano e l’élite del sistema.

Non solo la moneta. Anche i progetti africani del Raiss andavano fermati.

In quell’estate del 2011, Gheddafi era ancora vivo e combatteva, ma la ‘rivoluzione’ libica appoggiata – chi dice preparata – dalla Nato aveva subito prodotto il congelamento dei beni all’estero del Fondo Sovrano Libico e nuove sanzioni. Mohammed Siala, ministro della cooperazione nonché direttore del fondo sovrano libico, rilasciava una interessante intervista. Ne aveva scritto a suo tempo Underblog .

L’intervento in Libia, raccontava Siala, mira o comunque ha per conseguenza di bloccare non solo progetti di infrastrutture in Libia già assegnati a ditte europee, oltre che russe e cinesi. Ma di fermare anche progetti di cooperazione della Libia gheddafiana con paesi africani, volti a emancipare quelle economie. Col risultato, fra l'altro, di impoverire ulteriormente quelle popolazioni e spingerle a riversarsi in massa in Europa.

I libici col Raiss si erano infatti lanciati in grandi investimenti. In Libia. “Il primo era stato il canale di 4000 Km che trasporta l’acqua prelevata dal gigantesco bacino naturale sotterraneo scoperto anni fa, con una portata pari alle acque del Nilo per 50 anni, e rifornisce fra l’altro Bengasi e Tripoli. C’è chi dice che sullo sfruttamento di queste acqueavrebbero messo gli occhi i francesi, primi nel mondo nel settore acque.

“C’è una ferrovia che attraversa il Nord Africa, ad eccezione della Libia. Vogliamo portare a termine l’integrazione nell’economia regionale e spingerla oltre. I cinesi costruiscono il tratto Tunisia-Sirte. I russi hanno il compito della Sirte-Bengasi. C’era una trattativa con l’Italia per la sezione Bengasi-Egitto, così come per le locomotive . Abbiamo anche iniziato la costruzione di una linea transcontinentale nord-sud, con il tratto Libia-N’Djamena. Sono investimenti di interesse internazionale e il G8 aveva promesso di aiutarci, ma non abbiamo visto arrivare nulla”. Così Siala.

E in Africa. Il visionario Gheddafi voleva sviluppare il continente. Una quota del fondo sovrano libico va in azioni di sviluppo del continente, in agricoltura, commercio, miniere, ecc. raccontava Siala. Per il quale è questo l’aspetto più critico del blocco.
“Il continente non è in grado di esportare materie prime. Noi investiamo in modo che queste siano trasformate e commercializzate in Africa, dagli africani. Si tratta di creare posti di lavoro e mantenere il plusvalore in Africa. Da un lato gli europei ci incoraggiano, perché si prosciuga il flusso migratorio, dall’altro si oppongono perché dovrebbero abbandonare lo sfruttamento coloniale”.

Un’Africa ‘gheddafiana’ aperta a russi e cinesi, oltre che agli europei, certo non poteva piacere all’Occidente e segnatamente agli Usa, che, sebbene nel 2004 avessero promosso un’apertura nei confronti della Libia, sull’Africa aveva in realtà altri piani. Per il Raiss fu un brusco risveglio.

Gli affari dell’Occidente con la Libia e le fregature date a Gheddafi.

“Fare affari con la Libia era legale anche per società americane dal 2004, dopo che Gheddafi aveva rinunciato al terrorismo e alle sue aspirazioni nucleari e Bush aveva cancellato le sanzioni”. Banche, petrolifere e ditte di costruzioni ci si erano buttate a capofitto.

Così il New York Times in un'inchiesta del 2011 . Che raccontava come la creazione dell’Autorità Libica per gli Investimenti avesse gasato le banche occidentali. Attratte dall’opportunità di mettere le mani sui 40 miliardi di $ del Fondo Sovrano. Cresciuti poi rapidamente, tanto da diventare 64 miliardi lo scorso settembre, secondo recenti documenti (Siala si parla di di 70 miliardi$). Blair sorrideva in foto col Raiss, Saif al-Islam Gheddafi, il secondo e il più british dei figli, PhD all’LSE, era di casa a Londra, amico di lord Mandelson e di un Rothschild (non è un caso forse che a rilanciare Saif sia stato qualche mese fa Foreign Affairs, la rivista del CFR, vedi Underblog ).

La britannica Hsbc era diventata il partner bancario occidentale maggiore del regime di Gheddafi, dal quale aveva ricevuto 1,4 miliardi $. Goldman Sachs a settembre 2011 aveva ancora $45 milioni, JPMorgan Chase $173milioni. Ma anche la francese Société Génerale e altre banche europee avevano aiutato il regime a gestire i proventi del petrolio. Al 22° piano del grattacielo più alto di Tripoli, sede dell’Autorità, c’era un gran via vai.
Ma questi investimenti ai libici hanno fruttato ben poco. Ritorni bassissimi o nulli, mentre le commissioni sono rimaste alte, documenta l’inchiesta del NYT citata.

Per non dire della fregatura subita quando - vedi il Wall Street Journal online - l’Autorità per gli Investimenti affidò a Goldman Sachs 1,3 miliardi $ del fondo sovrano. La banca li investì in un paniere di valute e azioni di sei società: tre banche, l’americana Citigroup, l’italiana Unicredit e la spagnola Santander, più la società tedesca Allianz, l’Eléctricité de France e l’italiana Eni. Era la prima metà del 2008, con la crisi i capitali freschi facevano gola assai. Un anno dopo, il crack Lehman ancora fresco, Goldman Sachs comunicò ai libici che, causa crisi, l’investimento era andato male, e il fondo libico si era ridotto a 25 milioni: aveva perso il 98% del suo valore.

Furiosi, forse con qualche ragione, i libici piombano a Londra, finiscono per non accettare le proposte di Goldman, minacciano azioni legali internazionali che certo non avrebbero giovato alla reputazione della banca d’affari. In questo caso come per le perdite subite dagli investimenti fatti da varie altre società - l’americana Permal, l’olandese Palladyne, la francese Paribas, la britannica HSBC, il Credit Suisse, ecc. ( vedi dettagli qui).

“Finché le sanzioni e l’intervento militare non hanno risolto il problema, congelando i fondi.
Hsbc e altre banche di investimento sono già sbarcate a Bengasi per creare una nuova Central Bank of Libya che permetterà loro di gestire i fondi libici quando saranno scongelati e i nuovi ricavi dell’export petrolifero, già ripreso”, raccontava Siala.

E poi....

Come si sa le cose in Libia si sono poi complicate. Fino ad arrivare ai due governi con rispettivi sponsor e agli accordi odierni, che dovranno essere approvati dalle rispettive assemblee. Risolutivi? Vedremo.

Quel che è andato avanti è i l piano di Africom – il comando centrale americano per l’Africa creato da George W. Bush. Progetti che coinvolgono anche UK e soprattutto la Francia e vanno ben oltre la Libia per realizzare i quali tuttavia il regime del Raiss era un ostacolo. Vedi qui Underblog feb 2015 sulla scia del Guardian, vedi qui dove si dice che forze Usa stazionano già in 35 paesi, e qui un post ben più analitico di William Engdahl, giornalista americano controcorrente specialista in questioni geopolitiche.


La conferma che Gheddafi fu ucciso per il progetto “dinaro d’oro panafricano”
16 febbraio 2018
Inviato su propaganda mediatica, bufale mainstream e disinformazioneTag Clinton, dinaro d'oro, europa, Gheddafi, unione africana

https://suriyayahabibati.wordpress.com/ ... anafricano

La conferma che Gheddafi fu ucciso per il progetto “dinaro d’oro panafricano”
Le guerre dell’imperialismo contro i non allineati. La Libia di Gheddafi era una minaccia del sistema occidentale perché voleva rendere indipendente e ricca l’Africa attraverso il dinaro d’oro. Per questo motivo è stato ucciso Muammar Gheddafi e distrutta una nazione. Nicolas Sarkozy arrivò a definire la Libia una “minaccia alla sicurezza finanziaria del mondo”. Comprendi queste parole?
Cosa dicono quei quattro disperati libici, o presunti tali, che manifestavano in giro per l’Europa contro il colonnello Gheddafi? Cosa pensano adesso della distruzione della loro nazione? Sono felici? Sicuramente il colonnello non sarà stato un santo, come tra l’altro non lo è nessun presidente/governatore/politico/ecc… Però manifestare per la distruzione della propria nazione è semplicemente da malati mentali. L’imperialismo, l’occidente tutto è contro la vita. Il Nuovo Ordine Mondiale, a cui la maggioranza non crede, e ci trova pure da ridere, passa attraverso la distruzione e la morte di chi è indipendente. Alla speculazione non interessa una banana della vita della gente. Basta vedere quante guerre sono state causate dal 1900 ad oggi. Non passa giorno che non scoppi una nuova guerra. Eppure dovremmo affogare nel BENESSERE più sfrenato. Ed invece viviamo in un mondo di sofferenza. Anche gli occidentali stessi, che si credono liberi, soffrono ogni giorno sempre più. Siamo tutti sempre più schiavizzati.

Gli occidentali credono di pulirsi la coscienza facendo beneficenza e volontariato. Sono sempre stato contro questi strumenti perché sono dell’idea che ognuno debba essere indipendente. Mi sta bene la solidarietà ma far sentire inferiore gli altri è solo un’altra trovata occidentale che si sentono superiori sempre e comunque.
Non dimentichiamo che le guerre che portiamo in giro del mondo con la scusa di portare la democrazia nei paesi dittatoriali ci rende complici attraverso un silenzio assordante che fa davvero molta paura. Fintato tocca agli altri chissenefrega!
Guarda caso vengono colpiti sempre e comunque le nazioni che non sono filo-imperialiste. Chi non si piega ai loro voleri viene criminalizzato. Viene ritenuto un pericolo. Viene definito dittatore ecc…
Speriamo che il passato serva finalmente per un futuro migliore. Ognuno di noi deve agire nel proprio quotidiano. Solo così possiamo evolverci e liberarci da questo cappio che ci sta strangolando sempre più tutti quanti.
Non ci resta che attendere tante NORIMBERGHE!! Chi ha tramato e continua a tramare contro la collettività deve pagare salatamente.
Seguono i passaggi più importanti dell’articolo pubblicato sul blog aurorasito: Email di Hillary, dinari d’oro e Primavera araba
Blumenthal scrive a Clinton, “Secondo le informazioni sensibili disponibili a questa fonte, il governo di Gheddafi detiene 143 tonnellate di oro e una quantità simile in argento… l’oro fu accumulato prima della ribellione ed era destinato a creare una valuta panafricana basata sul dinaro d’oro libico. Questo piano era volto a fornire ai Paesi africani francofoni un’alternativa al franco francese (CFA)“
L’attuale guerra tra sunniti e sciiti o lo scontro di civiltà sono infatti il risultato delle manipolazioni degli Stati Uniti nella regione dal 2003, il “divide et impera”. Nel 2008 la prospettiva del controllo sovrano in un numero crescente di Stati petroliferi africani ed arabi dei loro proventi su petrolio e gas causava gravi preoccupazioni a Wall Street e alla City di Londra. Un’enorme liquidità, migliaia di miliardi, che potenzialmente non potevano più controllare. La primavera araba, in retrospettiva, appare sempre più sembra legata agli sforzi di Washington e Wall Street per controllare non solo gli enormi flussi di petrolio dal Medio Oriente arabo, ma ugualmente lo scopo era controllarne il denaro, migliaia di miliardi di dollari che si accumulavano nei nuovi fondi sovrani.
Leggi anche: Sei anni fa l’assassinio di Gheddafi, per non dimenticare
Nel 2009 Gheddafi, allora Presidente dell’Unione africana, propose che il continente economicamente depresso adottasse il “dinaro d’oro”. Nei mesi precedenti la decisione degli Stati Uniti, col sostegno inglese e francese, di aver una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per aver la foglia di fico del diritto alla NATO di distruggere il regime di Gheddafi, Muammar Gheddafi organizzò la creazione del dinaro-oro che sarebbe stato utilizzato dagli Stati africani petroliferi e dai Paesi arabi dell’OPEC per vendere petrolio sul mercato mondiale. Al momento Wall Street e City di Londra erano sprofondati nella crisi finanziaria del 2007-2008, e la sfida al dollaro quale valuta di riserva l’avrebbe aggravata. Sarebbe stata la campana a morto per l’egemonia finanziaria statunitense e il sistema del dollaro. L’Africa è uno dei continenti più ricchi del mondo, con vaste inesplorate ricchezze in minerali ed oro, volutamente mantenuto per secoli sottosviluppato o preda di guerre per impedirne lo sviluppo. Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale negli ultimi decenni furono gli strumenti di Washington per sopprimere un vero sviluppo africano. Gheddafi invitò i Paesi produttori di petrolio africani dell’Unione africana e musulmani ad entrare nell’alleanza che avrebbe fatto del dinaro d’oro la loro valuta. Avrebbero venduto petrolio e altre risorse a Stati Uniti e resto del mondo solo in dinari d’oro. In qualità di Presidente dell’Unione africana, nel 2009 Gheddafi presentò all’Unione Africana la proposta di usare il dinaro libico e il dirham d’argento come unico denaro con cui il resto del mondo poteva comprare il petrolio africano. Insieme ai fondi sovrani arabi dell’OPEC, le altre nazioni petrolifere africane, in particolare Angola e Nigeria, creavano i propri fondi nazionali petroliferi quando nel 2011 la NATO bombardava la Libia. Quei fondi nazionali sovrani, legati al concetto del dinaro d’oro di Gheddafi, avrebbe realizzato il vecchio dell’Africa indipendente dal controllo monetario coloniale, che fosse sterlina, franco francese, euro o dollaro statunitense. Gheddafi attuava, come capo dell’Unione africana, al momento dell’assassinio, il piano per unificare gli Stati sovrani dell’Africa con una moneta d’oro negli Stati Uniti d’Africa. Nel 2004, il Parlamento panafricano di 53 nazioni aveva piani per la Comunità economica africana, con una moneta d’oro unica entro il 2023. Le nazioni africane produttrici di petrolio progettavano l’abbandono del petrodollaro e di chiedere pagamenti in oro per petrolio e gas; erano Egitto, Sudan, Sud Sudan, Guinea Equatoriale, Congo, Repubblica democratica del Congo, Tunisia, Gabon, Sud Africa, Uganda, Ciad, Suriname, Camerun, Mauritania, Marocco, Zambia, Somalia, Ghana, Etiopia, Kenya, Tanzania, Mozambico, Costa d’Avorio, oltre allo Yemen che aveva appena scoperto nuovi significativi giacimenti di petrolio. I quattro Stati africani nell’OPEC, Algeria, Angola, Nigeria, gigantesco produttore di petrolio e primo produttore di gas naturale in Africa dagli enormi giacimenti di gas, e la Libia dalle maggiori riserve, avrebbero aderito al nuovo sistema del dinaro d’oro. Non c’è da stupirsi che il presidente francese Nicolas Sarkozy, che da Washington ricevette il proscenio della guerra contro Gheddafi, arrivò a definire la Libia una “minaccia” alla sicurezza finanziaria del mondo .
Nelle prime settimane della ribellione, i capi dichiararono di aver creato una banca centrale per sostituire l’autorità monetaria dello Stato di Gheddafi. Il consiglio dei ribelli, oltre a creare la propria compagnia petrolifera per vendere il petrolio rubato, annunciò: “la nomina della Banca Centrale di Bengasi come autorità monetaria competente nelle politiche monetarie in Libia, e la nomina del governatore della Banca centrale della Libia, con sede provvisoria a Bengasi“.
Robert Wenzel del Economic Policy Journal, osservò, “non ho mai sentito parlare di una banca centrale creata poche settimane dopo una rivolta popolare. Ciò suggerisce che c’è qualcos’altro che non una banda di straccioni ribelli e che ci sono certe piuttosto sofisticate influenze“.
Il sogno di Gheddafi di un sistema basato sull’oro arabo e africano indipendente dal dollaro, purtroppo è morto con lui. La Libia, dopo la cinica “responsabilità di proteggere” di Hillary Clinton che ha distrutto il Paese, oggi è lacerata da guerre tribali, caos economico, terroristi di al-Qaida e SIIL. La sovranità monetaria detenuta dal 100% dalle agenzie monetarie nazionali statali di Gheddafi e la loro emissione di dinari d’oro, è finita sostituita da una banca centrale “indipendente” legata al dollaro. Nonostante ciò, va notato che ora un nuovo gruppo di nazioni si unisce per costruire un sistema monetario basato sull’oro. Questo è il gruppo guidato da Russia e Cina, terzo e primo Paesi produttori di oro nel mondo. Questo gruppo è legato alla costruzione del grande progetto infrastrutturale eurasiatico della Nuova Via della Seta della Cina, comprendente 16 miliardi di fondi in oro per lo sviluppo della Cina, decisa a sostituire City di Londra e New York come centri del commercio mondiale dell’oro. L’emergente sistema d’oro eurasiatico pone ora una serie completamente nuova di sfide all’egemonia finanziaria statunitense. Questa sfida eurasiatica, riuscendo o fallendo, deciderà se la nostra civiltà potrà sopravvivere e prosperare in condizioni completamente diverse, o affondare con il fallimentare sistema del dollaro.
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