Africa, aiutiamoli a casa loro, no grazie!

Re: Africa, aiutiamoli a casa loro, no grazie!

Messaggioda Berto » sab apr 20, 2019 8:41 pm

Il leghista: "In Africa ci chiedono di fermare le migrazioni e di aiutarli a casa loro"
Alberto Giannoni - Sab, 20/04/2019

http://www.ilgiornale.it/news/milano/se ... 82366.html

Il leghista presidente delle Attività produttive in Regione: "Aiutarli a casa loro è un'occasione"

«Aiutateci a non partire». L'Africa vista da lì è una sorpresa e una conferma. Il presidente della commissione Attività produttive della Regione, Gianmarco Senna (Lega) si trova in Senegal per una visita istituzionale di sei giorni.

Una missione di alto livello, scandita da un'agenda fittissima. Il Senegal cresce e cerca partner. E aiutarli a casa loro, o meglio fare affari con loro, diventa un'opportunità.

Presidente Senna, come va la missione?

«Sono qui da 5 giorni, sto incontrando molti interlocutori, è un viaggio molto intenso. Ho visto ministri, deputati, il sindaco di Dakar, donna, il nostro ambasciatore, Air Senegal, le categorie, la camera di commercio locale. Sono stato invitato dall'Apix, un'organizzazione interministeriale che dipende dal presidente della Repubblica. Il viaggio ha una duplice finalità. Quella di ordine economico-commerciale ormai va di pari passo col tema immigrazione».

Qual è la situazione dell'economia locale?

«Ho trovato grande voglia di fare. Gente seria, che vuole lavorare. Il Pil è cresciuto del 7%, l'inflazione è sotto controllo, gli investimenti crescono in tutta l'area. Ci sono tre grandi zone franche con notevoli agevolazioni: 25 anni addirittura in cui si dimezza la tassazione. Inoltre, tutto ciò che viene importato, macchinari e materie prime che non si trovano qui, ha dazi zero. Il tutto è finalizzato alla creazione di posti di lavoro, non allo sfruttamento del territorio».

Questo è un punto importante. Un nodo critico.

«Sì, certo, l'obiettivo è internazionalizzare non è delocalizzare. Creare, insomma, le condizioni per lo sviluppo di un mercato interno, non sfruttare. Io ho visitato l'isola degli schiavi, ci sono passati 20 milioni di africani destinati alla schiavitù. E forme di sfruttamento, con le dovute proporzioni, ancora esistono».

Quali sono i problemi?

«Problemi si ritrovano nell'atteggiamento di chi guarda a questi Paesi. I francesi hanno un atteggiamento neocoloniale verso questi Paesi, e anche coi cinesi trovano dei problemi, non riescono a creare relazioni. Per questo cercano rapporti con l'Italia. La nostra partita è questa e dobbiamo giocarcela anche perché qui non ci sono dazi per l'America né dazi o sanzioni verso la Russia. Vogliono rapporti paritari, questo dell'Italia piace molto. Altri sono neocoloniali o al contrario paternalisti, con un approccio del tipo: Poverini, diamo loro da mangiare. In realtà qui ci sono forze giovani, si danno da fare, sta nascendo una nuova borghesia».

Il tema dell'immigrazione. Come la vedono da lì?

«La pensano come noi: vogliono il diritto a non emigrare, il cartello di benvenuto con cui mi hanno accolto diceva: Stop all'immigrazione clandestina, salviamo le vite dei nostri giovani, un messaggio molto forte. Il ministro degli interni ha 42 anni, me lo ha ripetuto, sono tutti allineati su questo: non vogliono che i loro giovani vadano via».

Sono spesso giovani istruiti, energie che sarebbero preziosissime.

«Si rendono conto che ci sono grandi potenzialità. Qui c'è povertà, ma non miseria. Stanno cercando di emanciparsi. Certo, ci vuole tempo, ma hanno giovani colti e istruiti e li vedono partire per viaggi che non hanno senso e non danno prospettive, perché qualcuno li illude facendo credere loro che troveranno il Paradiso in terra. Ho incontrato un giovane senegalese che era stato in Italia, fra Milano e Monza, ed era finito a fare il vu' cumprà, come si dice, sulle spiagge sarde. Non pensavo di fare quella fine mi ha detto. È tornato e ha messo su una tipografia. Sono ingannati, presi in giro».

Stanno lavorando su questo aspetto?

«Stanno facendo una campagna di comunicazione, per spiegare ai loro giovani che l'emigrazione è un grande bluff, che invece di affrontare quel viaggio pericoloso e lunghissimo, attraverso Mali e Niger, senza trovare quello che pensano, è meglio stare nel proprio Paese e darsi da fare».

Non essere assistiti.

«Loro non vogliono essere assistiti, né sfruttati. Vogliono fare business, vogliono partnership, 50 e 50. Ho parlato loro di Enrico Mattei ed è piaciuto moltissimo. È la prova provata che aiutarli a casa loro non è solo uno slogan. Dicono che le nostre società sono anziane è vero, ma se i nostri giovani vanno via e altrettanti ne arrivano dall'Africa, che senso ha questa sostituzione?».

Investire in Africa quindi?

«Spingere sull'investimento sì, chi investe trova una classe dirigente, trova giovani con un livello di istruzione alto, certo devi formarli, non devi venire qui a produrre e vendere a basso costo. Devi vedere quest'area come una grande testa di ponte per l'Africa, dove molti mercati stanno crescendo. Noi non abbiamo avuto questa mentalità ma dobbiamo mettere il naso fuori».


Alberto Pento
Ma perché dovremmo aiutarli? E con quali risorse, siamo poveri, pieni di debiti, di disoccupati, di maloccupati, di trascurati, manca il lavoro, non abbiamo risorse per far figli, molti si ammazzano dalla disperazione? Quelle che lo stato ruba, distoglie, sottrae, malversa, rapina, estorce ai suoi cittadini? No grazie! Si debbono arrangiare, noi non dobbiamo loro niente.
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Re: Africa, aiutiamoli a casa loro, no grazie!

Messaggioda Berto » mer mag 01, 2019 4:27 am

Lo dicono anche gli africani: la solidarietà europea fa male
Mauro Indelicato
30 aprile 2019

http://www.occhidellaguerra.it/lo-dicon ... ea-fa-male

Pioggia di soldi, miliardi di Dollari spesi negli ultimi anni a favore dello sviluppo, ma i risultati appaiono peggiori rispetto a quelli del punto di partenza: il riferimento è all’Africa ed a tutti il flusso di denaro donato al continente nero, senza che però i paesi più poveri siano usciti dalle condizioni di indigenza e difficoltà. Una circostanza questa, che da anni viene evidenziata in primis proprio in Africa. Eppure, proprio dall’Europa, la tendenza alla “facile carità” non sembra essere messa in discussione.

I danni della solidarietà

I problemi che vive il continente africano sono ben noti: dalla miseria alle guerre, da paesi poco stabili a governi fin troppo stabili. Problemi strutturali dunque, che riguardano l’economia così come la società e le varie popolazioni degli Stati che compongono l’Africa. Su nessuno di questi arrivano segnali positivi, a fronte come detto di fiumi di denaro mandati negli anni tra donazioni private o prestiti da parte di fondi ed enti sovrani. Il continente continua ad avere le stesse negative peculiarità di cui soffre da decenni.

Soldi di cui poi si sa poco circa il reale utilizzo: in molti casi, i miliardi di dollari spediti in Africa fanno arricchire locali lobbisti i politici, senza che la loro destinazione d’uso venga minimamente rispettata. Una condizione già nota da tempo, come quando ad esempio viene ritrovato un patrimonio di svariati miliardi di dollari a Mobutu Sese Seko, presidente e padre – padrone dell’ex Zaire per 32 anni. Quando è capo dello Stato, riesce ad intercettare molti di quei fondi in teoria destinati allo sviluppo.

Ciò che colpisce, è come questa considerazione arrivi anche dalla parte che in teoria dovrebbe essere beneficiaria, ossia dall’Africa. Nel continente nero si moltiplicano osservatori e politici che criticano sempre di più la “beneficenza” da parte europea ed occidentale in generale. Nelle recenti elezioni senegalesi, più candidati si scagliano non solo contro il franco Cfa ma anche contro gli aiuti elargiti verso il proprio paese. Proprio perchè, oramai, essi vengono percepiti sempre meno come aiuti e sempre più come strumento di corruzione nella migliore delle ipotesi.

Nel 2010 fa discutere la pubblicazione di un libro da parte di Dambisa Moyo, economista nata nello Zambia e laureata ad Oxford: “Cosa succederebbe se i paesi africani ricevessero una telefonata o un’ email in cui i maggiori donatori annunciano che entro cinque anni i rubinetti degli aiuti saranno chiusi per sempre, fatti salvi i soccorsi straordinari per carestie o disastri naturali? – si chiede nel libro la Moyo – Un numero maggiore di africani morirebbe di povertà e di fame? Probabilmente no: le vittime della povertà in Africa non sono toccate comunque dal flusso degli aiuti. Ci sarebbero più guerre? È dubbio: senza aiuti internazionali, cioè senza soldi, si toglie un grosso incentivo ai conflitti. Si smetterebbe di costruire strade, scuole, ospedali? Improbabile”.

Il modello cinese

Semplicemente dunque, nel modello europeo di cooperazione con l’Africa, qualcosa non va. L’elemosina elargita verso il continente africano, peggiora soltanto la situazione. La solidarietà crea molti più danni che benefici al continente africano, elargire somme a fondo perduto arricchisce a volte governi corrotti, paga gruppi e miliziani armati, ma poco o nulla va a finire per incidere significativamente sul territorio che si vorrebbe aiutare. A questo modello, da anni viene visto in contrapposizione quello cinese. Pechino in Africa non dona soldi in beneficenza, al contrario stringe partenariati con gli Stati per la costruzione di opere ed infrastrutture. Non che questo segni un salto deciso di qualità nella vita degli africani, ma di sicuro il modello cinese pone il gigante asiatico in netto vantaggio rispetto all’Europa.

La Cina costruisce infrastrutture che servono ovviamente a Pechino per implementare le esportazioni delle proprie merci ed agevolare l’importazione di materie prima, ma le opere rimangono anche agli africani e permettono di collegare facilmente territori da sempre isolati. La Cina sa che un continente da 1.2 miliardi di persone in via di sviluppo, può essere un’opportunità per il proprio mercato. E dovrebbe saperlo anche l’Europa, la cui pressione demografica potrebbe diventare insostenibile se l’Africa continua a rimanere sottosviluppata. Ma si preferisce fare elemosina e parlare di carità, piuttosto che raccogliere la sfida da un continente sì povero ma molto dinamico come quello africano.
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Re: Africa, aiutiamoli a casa loro, no grazie!

Messaggioda Berto » ven feb 26, 2021 10:28 am

La Banca mondiale taglia le stime sull'Africa: adesso si rischia il collasso
Autore Andrea Massardo
10 luglio 2020

https://it.insideover.com/economia/la-b ... frica.html

Era chiaro sin dal principio della pandemia che l’Africa avrebbe pagato uno dei prezzi più salati della crisi economica che avrebbe fatto seguito al passaggio del Covid-19. Tuttavia, le stime pubblicate sino a poche settimane da parte della Banca africana – il braccio operante sul territorio della Banca mondiale – si “limitavano” ad una contrazione aggregata dell’1,7%. Adesso, con l’ultimo comunicato emanato dall’istituzione internazionale e come riportato dal quotidiano francese Le Monde, tale dato sarebbe infatti raddoppiato, passando al 3,4% del Pil totale del continente. E in questo scenario, purtroppo, l’orizzonte dell’economia del continente appare davvero grigio, con la possibilità che molte delle criticità che già in passato hanno vessato l’Africa rischino di vedere accresciuta la propria incidenza, peggiorando i grandi – ma insufficienti – passi in avanti compiuti negli ultimi anni.


L’economia informale crolla a picco

Con l’attuazione del lockdown applicato negli scorsi mesi a subire i danni peggiori è stata la già delicata economia informale dell’Africa, unica possibilità di sopravvivenza e di possibilità di guadagno per la maggioranza dei nuclei familiari più disagiati. Con l’impossibilità in molte città – come l’esempio eclatante della megalopoli nigeriana di Lagos – di potersi spostare, è stato proprio il commercio di strada a subire gli arresti più significativi, in uno scenario che ha avuto le sue ripercussioni più importanti proprio negli ambienti cittadini.

Mentre nelle campagne infatti la sussistenza è stata parzialmente garantita grazie alla presenza dei campi coltivati, le città hanno subito una sotto-fornitura di beni di prima necessità, col conseguente rincaro dei prezzi e l’aumento delle famiglie in povertà assoluta. In una situazione che, sempre stando a quanto riportato da Le Monde, in molte regioni dell’Africa potrebbe significare un ritorno alle dure condizioni vissute nel 2010.

La sensazione, purtroppo, è quella che sembra condannare i Paesi dell’Africa a duri anni di sforzi per recuperare il territorio perso in questi mesi, riversando la parte maggiore delle difficoltà proprio sulla popolazione già in questo momento più fragile.


Ci si attende un aumento record dei poveri…

Secondo la banca africana sarebbero infatti oltre 50 milioni le persone che vivono in Africa e che a causa del passaggio della pandemia di coronavirus rischiano di cadere nella povertà assoluta; in una situazione generalizzata sostanzialmente in tutto il continente. In questo scenario, purtroppo, si potrebbe verificare una nuova serie di esodi di massa alla ricerca di migliori condizioni di vita, con tutto questo che si tradurrebbe in un nuovo aumento delle dimensioni delle megalopoli e con uno spostamento della popolazione verso il Nord del mondo.
… e delle ondate migratorie

Uno dei Paesi che rischia di subire le peggiori conseguenze sarebbe la Nigeria, già vessata da gravi conflitti interni nel nord del Paese e con la popolazione del Delta alle prese con una convivenza sempre più difficile con le grandi industrie del petrolio. Per il solo Paese bagnato dall’Atlantico, infatti, si stima che l’aumento della popolazione sotto l’indice di povertà si attesti oltre gli otto milioni di abitanti, con percentuali simili riscontrabili anche nella Repubblica Democratica del Congo, alle prese con delle condizioni molto simili ad Abuja. In uno scenario che, ancora una volta, dovrebbe spingere gli osservatori internazionali a preparare dei piani di intervento per evitare delle crisi nella regione; almeno con lo scopo di evitare una nuova crisi migratoria come quella verificatasi agli inizi dello scorso decennio.
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Re: Africa, aiutiamoli a casa loro, no grazie!

Messaggioda Berto » ven feb 26, 2021 10:29 am

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Re: Africa, aiutiamoli a casa loro, no grazie!

Messaggioda Berto » ven feb 26, 2021 10:30 am

Chi era Luca Attanasio, l'ambasciatore italiano ucciso in Congo: originario della Brianza, lascia tre figlie piccole
23 febbraio 2021

https://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/c ... 102k.shtml

Di origini milanesi, si era laureato alla Bocconi e nel 2003 aveva intrapreso la carriera diplomatica. Nell'ottobre 2019 era arrivata la nomina della Farnesina ad ambasciatore italiano nel Paese africano

Attanasio, 43 anni, era presidente onorario dell'associazione Mama Sofia, fondata a Kinshasa dalla moglie Zakia Seddiki per occuparsi di bambini e donne in difficoltà. A Limbiate, il sindaco Antonio Romeo ha disposto le bandiere a mezz'asta in segno di lutto. "Il Sindaco, l'Amministrazione comunale e tutta la città di Limbiate esprimono alla famiglia e ai cari di Luca il proprio profondo e sincero cordoglio. Un concittadino esempio per molti e soprattutto un giovane ragazzo che amava Limbiate", si legge sulla pagina Facebook del Comune.


La carriera diplomatica - Alla Farnesina viene assegnato alla Direzione per gli Affari Economici, Ufficio sostegno alle imprese, poi alla Segreteria della Direzione Generale per l’Africa. Nel 2004 viene nominato vice Capo Segreteria del Sottosegretario di Stato con delega per l’Africa e la Cooperazione Internazionale. All’estero è capo dell’Ufficio Economico e Commerciale presso l’Ambasciata d’Italia a Berna (2006-2010) e Console Generale reggente a Casablanca, in Marocco dal 2010 al 2013. Nel 2013 rientra alla Farnesina dove riceve l’incarico di Capo Segreteria della Direzione Generale per la Mondializzazione e gli Affari Globali. Ritorna poi in Africa quale Primo Consigliere presso l’Ambasciata d’Italia in Abuja, in Nigeria, nel 2015. Dal 5 settembre 2017 è capo Missione a Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo. Dal 31 ottobre 2019 è stato confermato in sede in qualità di Ambasciatore Straordinario Plenipotenziario accreditato in Congo.

La moglie Zakia Seddiki, è fondatrice e presidente dell’associazione umanitaria “Mama Sofia”, opera in aree difficili in supporto di bambini e giovani madri, di cui lo stesso Attanasio era presidente onorario.




"L'ambasciatore Attanasio era musulmano"
Giulio Meotti
24 febbraio 2021

https://meotti.substack.com/p/lambascia ... -musulmano

A riportare la notizia è il sito islamico italiano La Luce:

“L’ambasciatore italiano nella Repubblica democratica del Congo, Luca Attanasio, ucciso in un attacco contro un convoglio delle Nazioni Unite a Kanyamahoro, ad una ventina di km della città di Goma aveva fatto testimonianza di fede durante la sua permanenza in Marocco in qualità di Conosole Generale d’Italia a Casablanca ed era quindi musulmano, il diplomatico italiano aveva inoltre adottato il nome Amir. La notizia è stata confermata a La Luce da fonti affidabili vicine alla famiglia”.

Oggi nell’area in Congo dove è stato ucciso Attanasio, un carabiniere e l’autista c’è stato un altro attacco terroristico a opera degli islamisti di ADF: 13 morti. Non sappiamo come pare se ad assassinare il nostro ambasciatore, il primo nella nostra storia, sono stati gli stessi islamisti, ma i musulmani d’Italia si affrettano a dichiararlo già un loro “martire”.


Alberto Pento
Non sappiamo con precisione perché si sia fatto maomettano: forse per sposare la moglie marocchina e mussulmana, forse per convinzione, forse per convenienza di carriera, forse perché trattasi di agente speciale dei servizi.
Certo la vicenda della sua morte andrebbe indagata anche alla luce di questa informativa, chisà cosa mai c'è sotto.


Nessuna coversione all'Islam dell'ambasciatore Attanasio anche se ha sposato una marocchina che probabilmente si è convertita lei al cristianismo.
Mi è già molto più simpatico, altro che martire maomettano, caso mai è un martire cristiano ucciso dai maomettani del Congo.


Luca Attanasio, a Limbiate i funerali celebrati dall’Arcivescovo
24 febbraio 2021

https://www.chiesadimilano.it/news/chie ... 41365.html

Il rito funebre alle 10 al centro sportivo, venerdì 26 la camera ardente in Comune. Il cordoglio di monsignor Delpini: «Nella sua educazione cristiana le radici del suo impegno»

Sarà l’Arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini a celebrare, sabato 27 febbraio alle 10, al centro sportivo di Limbiate (via Tolstoj), i funerali di Luca Attanasio, l’Ambasciatore italiano nella Repubblica Democratica del Congo, ucciso lunedì scorso. Venerdì 26 la camera ardente in Comune.

Pubblichiamo il messaggio di cordoglio dell’Arcivescovo per l’uccisione dell’ambasciatore Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e del loro autista, Mustapha Milambo.

È stato ucciso un uomo buono, un diplomatico competente, un giovane intraprendente e, insieme con lui, sono stati uccisi un carabiniere e il loro autista: sono vittime di una violenza incontrollabile e devastante.
Mentre mi preparavo a far visita ai nostri missionari in Kinshasa l’ambasciatore Luca Attanasio mi ha fatto visita a Milano, perché non sarebbe stato possibile incontrarci in Congo. Era il 7 luglio del 2019.
Ricordava il suo passato in oratorio, la sua educazione nella comunità cristiana, le radici della sua scelta professionale in una considerazione della fraternità universale che nella sua stessa famiglia si è realizzata.
Quando sono stato a Kinshasa, a proposito dell’Ambasciatore Attanasio ho raccolto parole di stima, di gratitudine, di apprezzamento per il suo modo di vivere la missione, per la moglie e il suo impegno per opere di solidarietà, per il personale dell’ambasciata che rappresenta il governo italiano in Congo. Sono stato a far visita all’Ambasciata e quindi ho incontrato i carabinieri che vi prestavano servizio, presumo quindi anche il carabiniere Iacovacci.
Anche per questo è più profondo e personale il dolore per la morte di persone dedicate al loro dovere, che hanno interpretato il servizio diplomatico come una forma di solidarietà tra i popoli, hanno mostrato la disponibilità a farsi carico della povertà desolante di un Paese ricco di risorse, la rabbia incontenibile di una popolazione troppo tribolata.
Nella mia visita a Kinshasa i nostri missionari mi hanno descritto una situazione così difficile, confusa e percorsa dalla violenza spietata che insinuava in ogni cosa inquietudine, in ogni iniziativa un senso di precarietà, in ogni evento un pericolo.
L’evento tragico che oggi commuove il nostro Paese scuote l’indifferenza che talora ci paralizza, invita alla preghiera che ci apre orizzonti, costringe a pensare e a sentire la responsabilità di mettere mano all’impresa di aggiustare il mondo.

Mario Delpini
Arcivescovo di Milano



Il cattolico convertito all’Islam che guida i jihadisti fra i sospettati dell’uccisione dell'ambasciatore
Giulio Meotti
24 febbraio 2021

https://meotti.substack.com/p/il-cattol ... o-allislam

Fra i sospettati dell’uccisione del nostro ambasciatore Luca Attanasio, del carabiniere e dell’autista ci sono le Adf (Allied Democratic Forces), una formazione jihadista nata in Uganda e radicata nelle zone orientali della Repubblica democratica del Congo.

Sono state fondata da Jamil Mukulu nel 1989, oggi detenuto in Uganda. Mukulu è un cattolico convertito all’Islam più intransigente, che si ritiene abbia trascorso i primi anni '90 a Khartoum, in Sudan, dove sarebbe diventato vicino al fondatore di al Qaeda Osama bin Laden, all’imam Hassan al Turabi e a molti altri islamisti che si erano rifugiati lì. Mukulu era un religioso cristiano prima di convertirsi all'Islam. Con un importante background di teologia islamica maturato in Arabia Saudita, Pakistan e Sudan, Mukulu si è consolidato come una figura radicale nella comunità musulmana nel 1991, dice Hussein Lutwaama, un amico e disertore dell'Adf. “È tornato dall'Arabia Saudita come un musulmano più devoto e pronto a morire per l'Islam. Ha sempre parlato di difendere l'Islam”. Mukulu ha creato una organizzazione portando a sè molti convertiti all’Islam. Come Benjamin Kisokeranio, capo dell’intelligence del gruppo terroristico. Racconta il Washington Post che “Mukulu ha supervisionato un sistema di schiavitù mediante il quale l'Adf ha rapito donne e bambini congolesi, li ha costretti a convertirsi all'Islam e ha richiesto alle donne di sposarsi”.

Fra le stragi di cui si è intestato Mukulu quelle dei pastori cristiani che rifiutano la conversione all’Islam. L’Adf negli ultimi anni si è avvicinato molto all’ideologia dello Stato Islamico, modificando il nome del gruppo in Madinat al Tawhid wal Muwahedeen, “La città del monoteismo e dei guerrieri sacri”. Da ottobre 2017 ad ottobre 2019, questi terroristi hanno realizzato 174 attacchi, causando 704 morti. Numerosi gli assalti alle comunità cristiane. Solo a dicembre, 30 morti. Uno dei sopravvissuti, Tony Longi, ha detto che mentre uccidevano i cristiani i ribelli dell’Ad dicevano di farlo perché si erano rifiutati di convertirsi all'Islam.



La morte dell’Ambasciatore, le ipotetiche verità nascoste
Fabio Marco Fabbri
24 febbraio 2021

https://opinione.it/esteri/2021/02/24/f ... nazionali/

Che la morte dell’Ambasciatore Luca Attanasio e del carabiniere Vittorio Iacovacci, probabilmente “vittima collaterale”, fosse poco chiara, è emerso subito, soprattutto grazie ad una serie di notizie date sui principali media che descrivono, senza fornire le fonti, una vicenda forse lontana dalla realtà.

La verità sulla dinamica dell’attentato è abbondantemente documentata da foto e testimonianze dirette date, senza alcuna reticenza, da chi era presente e contattabile, ma perché l’Ambasciatore italiano in Congo si trovasse su quella rotta, per le autorità congolesi, è sicuramente meno chiaro. Premettendo che per conoscere la realtà dei fatti sarebbe necessario “stanziare” per un po’ di tempo in loco, se leggiamo le precoci analisi degli addetti all’indagine congolesi, ci potremmo avvicinare a comprendere, quantomeno, una realtà poco nota ai più e mal percepibile in generale.

Tanto per iniziare va detto che l’ambasciatore è andato ad est della Repubblica democratica del Congo raggiungendo Goma, dove il governatore del Nord Kivu non era minimamente a conoscenza del suo arrivo e non risulta fosse stato formalmente informato della missione di Attanasio; inoltre, il commissario di polizia della città di Goma ed il Maggiore di Stato dell’esercito del Nord Kivu, non erano nemmeno informati della missione legata al Programma alimentare mondiale (Pam). Lo scopo dell’Ambasciatore era quello di patrocinare, anche fisicamente, il Programma alimentare mondiale o World food programme (Wfp), al fine di consegnare cibo ed altro materiale necessario, nell’area del monte vulcanico Nyiragongo situato a circa 25 chilometri a nord del Lago Kivu e della città di Goma e a poca distanza dal critico confine con il Ruanda.

Le autorità locali, anche governative, che in queste ore sono sotto pressione della politica e delle critiche internazionali a causa dell’apparente pressapochismo manifestato nel non dare protezione al diplomatico italiano ed al suo entourage, stanno valutando alcuni fattori e si stanno ponendo alcune domande che di seguito riporto: “Che tipo di paternità intercorreva tra l’ambasciatore e il Pam? Perché l’ambasciatore ha nascosto la sua missione di lavoro ai funzionari provinciali? Perché non eravamo a conoscenza della sua visita o dell’arrivo del Pam? Perché l’ambasciatore ha scelto di andare da solo nella zona della morte dove le Forze armate della Repubblica democratica del Congo (Fardc) non hanno ancora pacificato la regione?”. Secondo le autorità locali, le risposte a queste domande provano a sufficienza che c’era una missione sospetta, una missione clandestina che l’ambasciatore stava per compiere nell’Est, con la motivazione di “accompagnare” gli operatori del Pam.

Inoltre, la domanda che si pongono i congolesi è: “perché gli addetti al Pam e accompagnatori vari, non volevano essere scortati dalle Fardc fino a destinazione?”. Aggiungendo la perplessità sulla motivazione del “perché questi ambasciatori non vanno in altre province del Paese e solo all’est della Repubblica democratica del Congo, perché non visitare e sostenere le province del Bandundu, Équateur, Kasaï dove c’è una devastante carestia?”. Va aggiunto che le riflessioni delle autorità locali congolesi si avventurano nel sostenere che “l’80 per cento degli ambasciatori accreditati presso la Repubblica democratica del Congo contrabbandano minerali nell’est del Paese, ed hanno, conseguentemente, rapporti con i ribelli”.

Le considerazioni terminano con una sorta di avvertimento: “Cari diplomatici, smettete di contrabbandare minerali ad est perché è molto pericoloso e rafforza l’insicurezza nel nostro suolo”. Tali dichiarazioni e perplessità, che riporto per dovere di cronaca, espresse da gruppi di critici ma seguiti congolesi, oltre ad essere preoccupanti per quanto chiaramente palesano sulla manifestazione della poca empatia esistente tra gli “autoctoni” e i non autoctoni, soprattutto nell’emergenza attuale, tendono a generare dubbi anche sull’applicazione e sulla gestione dei ricchi programmi firmati Nazioni Unite. Perplessità e dubbi che aggravano, essenzialmente, le condizioni delle popolazioni di queste province africane, che sicuramente necessitano di aiuti e non di drammi o querelle internazionali.



Attanasio, il parroco: «Luca era un cattolico praticante, non si era convertito all’Islam»
AL MAGHREBIYA NEWS 24
24 febbraio 2021

https://almaghrebiya.it/2021/02/24/atta ... -allislam/


Don Angelo Gornati, parroco di Lambiate smonta, prove alla mano, l’illazione circolata che l’ambasciatore Luca Attanasio si fosse convertito all’Islam, sposando Zakia Seddiki, la moglie marocchina, di fede musulmana, come sostengono invece l’Ucoi nel quotidiano on line Luce e Hamza Piccardo, ex portavoce dell’Ucoii. Secondo i musulmani italiani il diplomatico ucciso in Congo avrebbe fatto prova di fede e quindi sarebbe da considerarsi un tutti gli effetti un martire secondo la definizione islamica, poichè ucciso da innocente e nell’ambito del suo impegno umanitario. «Era un cattolico praticante Luca. Lo conoscevo bene – dice il parroco al Messaggero – Ho celebrato personalmente il suo matrimonio, con il rito previsto per la mista religione. In pratica si permette ad una persona di altra religione di assistere alla promessa e all’impegno sacramentale. La stessa cosa Luca ha fatto in Marocco, con una cerimonia simile per la moglie. Dovevo andare anche io in Marocco ma non sono riuscito. Posso però dire che Luca era praticante cattolico. Aveva mantenuto i legami con l’oratorio. Era una persona molto aperta e positiva e magari può essere che abbia accompagnato la moglie a qualche rito islamico, ma non saprei. Forse questa sua apertura è stata presa come una dichiarazione. In ogni caso a noi non risulta, nè a noi in parrocchia, nè alla famiglia Attanasio». ilmessaggero




L'ambasciatore Attanasio, la moglie Zakia Seddiki: «Luca tradito da chi gli era vicino»
Flaminia Savelli
25 febbraio 2021

https://www.ilmessaggero.it/italia/luca ... 91230.html

«Luca è stato tradito da qualcuno vicino a noi, alla nostra famiglia. Quella mattina la sua era un’operazione che non implicava direttamente il suo lavoro di ambasciatore». È ancora stravolta dal dolore Zakia Seddiki, moglie dell’ambasciatore italiano Attanasio ucciso lunedì mattina in un agguato nella foresta di Virunga in Congo.
Nella stessa imboscata è stato ucciso anche il carabiniere, Vittorio Iacovacci.

Funerali Attanasio e Iacovacci, fuori dalla Chiesa una piccola folla con tricolore

Ieri, dopo i funerali di stato che si sono svolti nella basilica di Santa Maria degli Angeli a piazza della Repubblica a Roma, Zakia si è diretta a Limbiate dove sabato verranno celebrate le esequie. Al telefono, la sua voce è strozzata dal pianto. Ma è un dolore lucido.

Attanasio, la moglie Zakia: «Era un angelo, non un eroe» Giallo sulla conversione di Luca all'Islam


Quella mattina, quando ha parlato l’ultima volta con suo marito?
«Ci siamo scritti via WhatsApp. Lui lo faceva sempre, mi ha mandato due foto nel giro di pochissimi minuti. Venti minuti dopo mi ha ripetuto la stessa frase che mi diceva quando non eravamo insieme: “Ti amo amore mio e mi mancate”. Era tranquillo, sorridente. Non avevo nessuna percezione del pericolo e come me, lui. Anche nell’ultima foto, quella con il carabiniere Iacovacci rimasto vittima insieme a Luca nell’agguato. Nello scatto, sorridono e salutano. L’appuntamento di quella mattina poi era in programma da tempo per un progetto del World Food Programme. E invece...».

Dal numero di suo marito, l’ultimo accesso è registrato alle 8.49: pochi minuti dopo averle scritto quindi e, da quanto ricostruito dagli investigatori, appena un’ora prima dell’agguato...
«Esatto. Anche se, cosa sia davvero accaduto ancora non è stato chiarito. Così come, cosa ci sia dietro la sua uccisione».

L’ambasciatore però, pochi giorni prima dell’agguato, aveva fatto richiesta di una nuova auto blindata: temeva forse per la vostra incolumità?
«No. Non ne avevamo motivo. Anzi, la nostra vita fino a quella mattina è andata avanti senza nessuna avvisaglia. Però è vero: Luca aveva fatto richiesta per una nuova macchina. Perché quella che era a disposizione in ambasciata, aveva avuto alcuni problemi meccanici. Quindi non c’è nessuna relazione con ciò che è accaduto quella terribile mattina».

Lei ha qualche sospetto?
«No, saranno le indagini ad accertare cosa è accaduto nella foresta. In queste ultime ore sono stata travolta dagli eventi, dal dolore per me, per la mia famiglia distrutta. L’unica risposta che mi sono data, e che posso dare, è che qualcuno che conosceva i suoi spostamenti ha parlato, lo ha venduto e lo ha tradito. Mentre io ho perso l’amore della mia vita».


Come vi siete conosciuti?
«La prima volta che ci siamo incontrati Luca era console in Marocco. Un amico comune ci ha presentati, il giorno di San Valentino. Per tutti è due è stato un colpo di fulmine. Abbiamo iniziato a frequentarci, ci siamo innamorati. E non ci siamo mai più separati. Non so dire se è stato destino, di certo ci siamo scelti. Ma scegliere Luca è stato facile. Un uomo davvero speciale».

Quindi vi siete sposati...
«Sì, nel 2015 con il rito delle religioni miste. Perché sono di origine marocchine e di fede islamica. Ma tra di noi non c’era alcuna divisione, non è stato neanche necessario affrontare la questione. Dividevamo e condividevamo tutto perciò anche le rispettive religioni: frequentavo la chiesa, con i riti cattolici. E lui faceva lo stesso, partecipando ai riti islamici. Non c’è stato mai alcun problema anche sull’educazione delle nostre figlie a cui abbiamo sempre letto sia la bibbia che il corano».

Dopo i funerali che si celebreranno a Limbiate cosa farà?
«Non lo so. Negli ultimi quattro giorni la mia vita, quella delle mie figlie e della mia famiglia è stata stravolta: è un dolore che non so ancora come affrontare».


Attanasio, il rapporto degli 007: «Uccisi mentre stavano pagando il loro pedaggio»
Cristiana Mangani
26 febbraio 2021

https://www.ilmessaggero.it/mondo/luca_ ... 91234.html

C’è una sorta di “pedaggio” che le auto delle missioni sono solite pagare in quella zona del Congo, a nord di Goma, dove dominano milizie e guerriglieri. Un lasciapassare di qualche centinaia di dollari che garantisca, almeno in parte, la tranquillità del viaggio.
Il convoglio del World food programme con l'ambasciatore Luca Attanasio si sarebbe imbattuto proprio in questa specie di posto di blocco. Ed è per questo che lunedì mattina uno degli addetti alla sicurezza del gruppo Onu avrebbe cercato di intavolare una trattativa con i sei uomini armati di Kalashnikov Ak47. Probabilmente perché pensava di convincerli a trovare il solito accordo.

L'ambasciatore Attanasio, la moglie Zakia Seddiki: «Luca tradito da chi gli era vicino»


IL REPORT

In base a un report degli 007: «Le dinamiche dell’evento sembrano evidenziare che gli assalitori fossero a conoscenza del passaggio del convoglio lungo la viaria RN2. Il personale e i mezzi della missione Monusco4 sono un target generalmente pagante».
Ma quella mattina il destino aveva già preso una strada diversa. Gli spari in aria per convincere le jeep a fermarsi, hanno richiamato l’attenzione dei rangers che presidiano il parco di Virunga e dell’unità dell’esercito congolese che si trovavano a poche centinaia di metri.


In un attimo la situazione è precipitata. Il commando ha sparato e ucciso l’autista dell’auto che trasportava l’ambasciatore Luca Attanasio e il carabiniere Vittorio Iacovacci, probabilmente per far capire che dovevano eseguire gli ordini: scendere subito dalla jeep e seguirli.


È avvenuto tutto molto in fretta, tanto che il militare italiano di scorta al diplomatico non ha avuto il tempo di prendere l’arma che è rimasta nell’auto e che è stata recuperata dai carabinieri del Ros durante la missione in Congo. È stato accertato, poi, che la pistola di ordinanza non ha sparato, a conferma di questa ricostruzione.
Il gruppo viene trascinato nella foresta. L’altro italiano, Rocco Leone, vice direttore del Wfp del Congo, comincia a zoppicare, forse finge per tentare di salvarsi. Viene lasciato lì, e ancora oggi la sua versione dei fatti non c’è stata, perché sconvolto da quanto accaduto. Ros e procura potranno sentirlo quando tornerà in Italia, ma solo dopo aver avviato una rogatoria, in quanto dipendente Onu.


Criminali e ostaggi non fanno in tempo a entrare nella giungla che piombano rangers e militari. Scoppia un conflitto a fuoco e, ancora oggi, dai risultati dell’autopsia effettuata al policlinico Gemelli sui corpi delle vittime, non si esclude che Attanasio e Iacovacci siano stati uccisi dal “fuoco amico”: quattro colpi - due ciascuno -, con una traiettoria da sinistra a destra.


PIANO DI VIAGGIO


Le indagini, intanto, stanno puntando a definire meglio la dinamica. Agli atti c’è anche il tablet dell’ambasciatore, trovato a bordo della jeep. Potrebbe fornire elementi importanti, soprattutto per quanto riguarda il piano di viaggio e l’organizzazione degli spostamenti. L’obiettivo di chi indaga è capire quante persone fossero a conoscenza della missione e raccogliere elementi sul perché non fosse stata prevista una scorta armata. I due connazionali si trovavano nell’area nord est del Paese da almeno due giorni. Una presenza che, probabilmente, non è passata inosservata a chi era pronto a «vendere» a bande di rapitori i due cittadini occidentali.

L'attacco in Congo “Raddoppiate la mia scorta”: l’appello di Luca Attanasio, inascoltato dalla Farnesina
Il Riformista
Vito Califano
26 Febbraio 2021

https://www.ilriformista.it/raddoppiate ... na-199275/

Luca Attanasio sarebbe stato tradito. L’ambasciatore morto in un agguato, insieme con il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo, nella Repubblica Democratica del Congo non solo, secondo le parole della moglie, è stato tradito da qualcuno di molto vicino alla famiglia ma aveva anche chiesto una scorta rafforzata alla Farnesina. Che però non venne accordata. L’attacco di lunedì mattina, secondo quanto ricostruito in questi giorni, avrebbe avuto come obiettivo il sequestro.

A far emergere i dettagli sul caso un’intervista alla moglie dell’ambasciatore Zakia Seddiki e un retroscena della Stampa. Secondo quest’ultimo, un articolo a firma Grazia Longo, Attanasio aveva chiesto al ministero degli Esteri di rafforzare la propria scorta. Un allarme inascoltato. L’ambasciata, prima dell’arrivo del diplomatico originario del varesotto del 2017, contava quattro persone di scorta. Poi ridotte a due. Un anno dopo il suo arrivo l’ambasciatore formulava la sua richiesta alla Farnesina che aveva mandato un ispettore sul posto senza apportare infine nessun rinforzo.

Ancora troppi dubbi dunque sul caso. Si cerca di chiarire il ruolo dell’Onu del World Food Programme nella missione Monusco. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha chiesto chiarimenti urgenti. Rocco Leone, vicedirettore del Programme in Congo, ha raccontato che gli assalitori erano sei, cinque armati di kalashnikov Ak47 e uno di machete. Dapprima hanno ucciso l’autista e poi hanno spinto i passeggeri a scendere e a seguirli nella foresta. I due italiani sarebbero stati uccisi in un conflitto a fuoco e non in un’esecuzione. Leone sarà ascoltato dai pm Sergio Colaiocco e Alberto Pioletti.

“Luca è stato tradito da qualcuno vicino a noi, alla nostra famiglia. Quella mattina la sua era un’operazione che non implicava direttamente il suo lavoro di ambasciatore”, ha detto in un’intervista a Il Messaggero la moglie dell’ambasciatore Zakia Seddiki. Che ha confermato altri dubbi sui dispositivi di sicurezza in forza all’ambasciata di Kinshasa: “Luca aveva fatto richiesta per una nuova macchina. Perché quella che era a disposizione in ambasciata, aveva avuto alcuni problemi meccanici. Quindi non c’è nessuna relazione con ciò che è accaduto quella terribile mattina”.


Gino Quarelo
Poteva anche limitare le sue uscite ma aveva la fregola del salvatore dei poveri neri.


Congo-Ruanda-Onu, una complessità spesso sconosciuta
Fabio Marco Fabbri
26 febbraio 2021

https://opinione.it/esteri/2021/02/26/f ... ama-sofia/

Continuano a crescere gli interrogativi sulla morte dell’ambasciatore Luca Attanasio e del maresciallo Vittorio Iacovacci avvenuta nella Repubblica democratica del Congo (Rdc). Le domande sono: se l’ambasciatore italiano nella RDC sia stato vittima della “faccenda dei rapimenti” e perché era in viaggio nel Nord Kivu?

Secondo fonti provenienti da “notabili locali” Luca Attanasio, avendo preso confidenza con il Congo orientale, è stato talvolta considerato più umanitario che diplomatico; a Kinshasa aveva creato con la moglie un’associazione che si occupa anche di ex bambini-soldato, denominata “Mama Sofia”, ed era un visitatore abituale dell’ospedale Panzi di Bukavu. Invitato dal Programma alimentare mondiale nel Nord Kivu, ha visitato i progetti delle Nazioni Unite e, lunedì mattina, si era recato in una scuola. Arrivato venerdì a bordo di un volo Monusco, non si è presentato alle autorità locali e non ha informato la polizia del suo viaggio, contrariamente alla prassi diplomatica.

L’assenza di una scorta armata ha sorpreso l’opinione pubblica, ma le diverse Ong locali, tra cui Médecins Sans Frontières (Msf) e Médecins du Monde, preferiscono operare in questo modo ritenendo che le guide armate, che rischiano di essere i primi ad aprire il fuoco, possano rappresentare un ulteriore pericolo. Inoltre, la regione in cui è avvenuto l’attacco è stata definita “zona gialla”, dove la protezione armata non è obbligatoria. Ma chi poteva avere interesse ad attaccare il diplomatico? Risulta che nell’area Nord Kivu operino circa 120 gruppi armati, alcuni praticano regolarmente il sequestro di ostaggi. Molti notabili congolesi confermano questa “faccenda del rapimento”; la dinamica è che dopo il sequestro da parte di uomini armati, viene inviata alle famiglie una richiesta di riscatto, i canali di pagamento risultano ben consolidati e le somme richieste possono raggiungere alcune decine di migliaia di dollari.

Il pagamento del riscatto viene canalizzato tramite intermediari e consente la liberazione dell’ostaggio. Identificato da “gruppi noti” operanti nell’area come una “cattura” interessante, il diplomatico italiano sarebbe stato “seguito” a Goma dai rapitori e dai loro complici. Verosimilmente questo è il motivo per cui gli aggressori hanno prima tentato di trascinarlo a piedi nella vicina boscaglia, poi lo scambio di colpi di arma da fuoco è stato innescato dall’irruzione delle guardie del parco nazionale dei Virunga. Il carabiniere Iacovacci e l’autista congolese sono stati uccisi sul colpo mentre l’ambasciatore è stato colpito a morte. Un primo sospetto è che i ribelli Utu possano essere stati convolti, ma le Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Fdlr), che spesso praticano la presa di ostaggi, hanno negato con forza il loro possibile coinvolgimento nell’attacco. Tale ipotesi è credibile, perché non sono molto presenti in questa regione che è situata a meno di 5 chilometri dal confine ruandese dove operano le forze congolesi con al loro fianco elementi dell’esercito ruandese. Questi ultimi stanno ora lavorando a stretto contatto con i loro vicini in virtù di un accordo tra i due Paesi, rinnovato pochi giorni fa dal generale ruandese Jean Bosco Kazura e François Beya, consigliere del capo di Stato in materia di sicurezza.

Due settimane fa, le operazioni congiunte sono riprese nella regione, specificatamente nei territori del Rutshuru, Masisi e Walikale, interrompendo le attività umanitarie. Gli operatori economici del Nord Kivu denunciano regolarmente le operazioni di destabilizzazione della loro regione alla vigilia dell’inaugurazione di grandi progetti turistici, a Goma o nel parco dei Virunga. Inoltre, le foto pubblicate sui social network mostrano che durante il suo ultimo fine settimana nel Nord Kivu, il diplomatico ha visitato siti minerari non ufficiali dove lavorano giovani minatori, il che avrebbe potuto portarlo a tornare, per trarre forse conclusioni inquietanti. Secondo le stesse fonti, l’ambasciatore italiano nella Repubblica democratica del Congo avrebbe avuto un’agenda per cercare e localizzare le fosse comuni disseminate nella provincia del Nord Kivu, dove sono ammucchiati i corpi delle vittime dei massacri perpetrati, in vari periodi, da svariati “raggruppamenti, congressi, movimenti di ribellione ed alleanze varie” tutti legati ad un’unica sigla che, sostengono “i locali”, potrebbero avere deciso l’operazione del 22 febbraio.

Intanto, da Kinshasa, Valentin Mubake, ex consigliere politico di Etienne Tshisekedi e leader dissidente dell’Unione per la democrazia e il progresso sociale (Udps), si è chiesto perché i 1.800 uomini della Guardia repubblicana fossero stati inviati nel Katanga e non nel “calderone” del Nord Kivu.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Africa, aiutiamoli a casa loro, no grazie!

Messaggioda Berto » lun apr 26, 2021 3:05 pm

Colonizzazione e decolonizzazione dell'Africa
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 194&t=1822



È difficile aiutare l’Africa quando l’Africa non vuole aiutare se stessa
Franco Nofori
03/04/2021
Un’analisi oggettiva anche se dolorosa

https://www.italiettainfetta.it/e-diffi ... se-stessa/

Ricevo da un amico lettore lo sfogo di un imprenditore keniano che non potrebbe spiegare meglio perché l’Africa non decolla, ma sceglie di schiavizzare se stessa svendendo la propria credibilità al resto del mondo. Si tratta di un appello accorato e tristemente sincero che fa comprendere come un grande continente, dotato di enormi risorse naturali, si condanna alla perenne indigenza, all’illegalità e alla disparità sociale. Non ci sarà mai modo si aiutare efficacemente l’Africa, finché l’Africa non saprà offrirsi al resto del mondo come un partner onesto, capace e affidabile. Tutto il resto è melensa retorica.

Sono il titolare di un’azienda manifatturiera in Kenya che gestisce anche la commercializzazione dei propri prodotti. Le maggiori difficoltà che incontro nel condurre la mia attività, non sono rappresentate dalle frequenti interruzioni di corrente e neppure dall’assenza di adeguate infrastrutture, ma dalla difficoltà di trovare personale onesto e affidabile. Sembra che la missione di ogni persona che assumiamo sia quella di rubare quanto più possibile; falsificare fatture; registrare incassi inferiori all’importo reale e alterare anche la quantità di articoli prodotti. La parte peggiore di questa strategia truffaldina è che non è solo attuata dal singolo, ma si realizza attraverso la collusione di tutti i settori, da quello produttivo a quello commerciale, finanziario e logistico, fino a coinvolgere l’intero corpo dirigenziale.

In un solo anno sono stato costretto a sostituire per ben tre volte tutte le posizioni direttive della mia azienda, ma solo per ripiombare nella stessa situazione, finché ho trovato un rimedio: ho affidato le posizioni di maggiore responsabilità a dirigenti indiani espatriati che si sono rivelati molto più onesti, efficienti e responsabili dei loro equivalenti africani. Inizialmente ero piuttosto dubbioso su questa scelta. La difficoltà a ottenere i necessari permessi di lavoro, la sistemazione abitativa e il personale domestico, comportavano costi non indifferenti, ma la rapida riduzione dei furti e delle truffe ai danni della mia azienda compensarono presto e largamente le spese di questa decisione che produsse anche livelli di efficienza mai ottenuti prima.


Scelta umiliante ma necessaria
Furto delle ruote a un auto parcheggiata in Sudafrica

Oggi tutto il mio staff dirigenziale è composto di espatriati indiani, mentre al personale africano restano affidate le sole mansioni di scarsa influenza gestionale. Si è trattato di un provvedimento che non avrei mai immaginato di adottare, poiché io stesso ero sempre stato apertamente critico nei confronti delle grandi aziende nazionali che impiegavano un gran numero di personale straniero, quando molti cittadini africani erano disoccupati, ma adesso comprendo la necessità di queste scelte, per quanto esse restino umilianti e dolorose. Il punto dolente non è rappresentato dall’incompetenza, perché chiunque sia privo di esperienza, può essere opportunamente istruito, ma chi è disonesto resta disonesto, anche se titolare di una laurea ottenuta a pieni voti.

Noi africani siamo usi a lamentarci per la situazione economica e per la difficoltà a trovare uno stabile impiego, eppure conosco molte aziende straniere che sarebbero pronte a investire massicciamente in Africa creando grandi opportunità di lavoro, ma non lo fanno per le troppe esperienze negative di chi li ha preceduti e per l’impossibilità di trovare africani qualificati e onesti cui affidare la gestione dei propri investimenti. Anche molti africani dotati di sufficienti disponibilità economiche, sono restii a creare attività imprenditoriali, per le stesse ragioni e preferiscono far fruttare il proprio denaro investendolo in buoni del tesoro o altre speculazioni finanziarie che non li espongano ai rischi di furto da parte dei propri connazionali.

L’Africa potrebbe creare milioni di opportunità di lavoro, attraverso partnership internazionali, ma ne è impedita a causa della vasta corruzione dell’apparato governativo, cui si aggiunge il costante impulso di rubare tutto il possibile anche da parte di una grande fetta della sua popolazione. Quella stessa popolazione che si lamenta del proprio governo corrotto, ma che è subito pronta a comportarsi nello stesso modo, appena si trova nella possibilità di farlo. Che si tratti di una grande impresa, o di una piccola attività rurale, l’impulso ad appropriarsi dei beni altrui, resta comunque irresistibile. Provate a condurre un modesto allevamento di pollame e vi ruberanno le uova. Vi diranno di aver trovato dei polli morti durante la notte, così da poterseli portare a casa per cena.


Perché non seguire gli esempi virtuosi?
L’aeroporto internazionale di Kigali, capitale del Ruanda

Qualunque sia l’attività che avete intrapreso, scoprirete che quando voi siete presente, essa renderà dieci volte di più di quando non ci siete, perché in vostra assenza, gran parte del denaro incassato finirà nelle tasche del vostro staff. Affittate loro un’auto e guardate come la porteranno rapidamente allo sfascio. Aprite un ristorante e vedrete come metà delle provviste che acquistate passeranno rapidamente dalla vostra alle loro cucine domestiche. Non si renderanno mai conto di quanto il loro comportamento sia dissennato, poiché oltre a privarvi del vostro denaro, stanno distruggendo l’attività grazie cui sopravvivono loro e le loro famiglie, uccidendo la speranza del proprio paese e del proprio futuro.

Eppure li vedrete sempre puntare l’indice accusatore verso la classe politica al potere, mentre se loro non hanno potuto rubare le stesse quantità di pubblico denaro, è solo perché non ne hanno avuta l’opportunità. Voi, pochi africani onesti, siete un’esigua minoranza e tutti vi guarderanno come degli idioti, ma non siete idioti, siete quelle poche persone di cui l’Africa avrebbe disperato bisogno. Come possiamo sperare in uno sviluppo di negozi, supermercati, aziende, ospedali, scuole, imprese pubbliche, ecc. quando il personale dell’Azienda elettrica ruba i cavi di rame; i medici si appropriano di farmaci, coperte, cuscini, lenzuola, viveri per poi rivenderli sul mercato nero?

A tutti i livelli sono gli africani il vero e grande problema dell’Africa. Chi ci potrà mai salvare da noi stessi? Eppure basterebbe seguire i pochi ma illuminanti esempi virtuosi, come il Ruanda. Un Paese risorto da una terribile strage e ora ammirato dal mondo intero, dal quale raccoglie importanti investimenti internazionali, perché sanno che in Ruanda la corruzione è energicamente bandita sia nel settore pubblico e sia in quello privato. Ecco perché sotto la guida di Kagame, il Ruanda fiorisce ponendosi come esempio all’intero continente africano. Facciamone tesoro e ridiamo speranza alla nostra amata Africa.
K.W. Kariuki

Giornalista e scrittore, fin dall’epoca del liceo, quando si occupava di cronaca cittadina. Nel 1983 si è trasferito in Africa, facendo base in Kenya e inviando a testate nazionali e straniere, molti reportage sulle situazioni africane di cui è diventato un profondo conoscitore. Nell’anno 2000 ha fondato e diretto, per quattordici anni, il periodico d’opinione “Out of Italy” rivolto alle comunità italiane dell’est-Africa. Ha scritto oltre mille articoli e pubblicato tre libri. Fino al 2018 ha anche ricoperto l’incarico di consigliere dell’Ambasciata Italiana in Kenya.



Nella stampa del Kenya torna il tormentone della “mafia italiana di Malindi”
Franco Nofori
08/04/2021

https://www.italiettainfetta.it/nella-s ... i-malindi/

Puntuale, inesorabile e fastidiosa come un ciclo mestruale, ricompare ancora una volta l’acredine che la stampa del Kenya riversa sulla presunta “Mafia italiana di Malindi”. Questa volta, a cimentarsi nella bisogna, provvede un certo John Kamau, articolista del Nation, che per trovare lo spunto a esprimere il suo bilioso attacco, va addirittura a riesumare, il tragico evento della morte di Edoardo Agnelli avvenuta oltre vent’anni fa e – nel suo articolo di domenica scorsa – s’ingegna a guarnirla con una lunga e disgustosa serie d’illazioni che coinvolgono non solo, lo sventurato erede suicida, ma anche suo padre, dipinto come un Tycoon anaffettivo e sesso-dipendente.

Chi mi segue da tempo, sa che non sono mai stato tenero nei confronti di alcuni connazionali che, soprattutto sulla costa del Kenya, tenevano e tengono, comportamenti non proprio edificanti ai fini di salvaguardare l’immagine del proprio Paese. Queste prese di posizione, mi hanno spesso assoggettato a valanghe di piccate reazioni e d’insulti, dimostrando quanto, tra questi trasgressori, fossero diffuse le code di paglia, cui la verità provocava effimere indignazioni di “Lesa Maestà”. Tuttavia, com’è stato più volte detto, queste discusse figure, pur se in numero non trascurabile, non sono mai state tali da rappresentare l’intera comunità italiana che vive e lavora in Kenya e che, mantiene grandi meriti nello sviluppo del Paese che la ospita.


“No Italians, no Malindi”

Cos’erano Malindi e Watamu prima dell’avvento dell’imprenditoria italiana? La risposta la danno gli stessi abitanti di queste due cittadine: “No Italians, no Malindi”, recitano. E questa indiscussa verità trova conferma nella golden age degli anni ’90, quando gli afflussi turistici si costituirono come la prima voce nell’economia keniana. Le due località costiere, prima dell’avvento degli italiani, erano due sparuti e miseri villaggi di pescatori, afflitti da una costante indigenza e quasi totalmente abbandonati al proprio destino dalle autorità centrali. Oggi, grazie soprattutto agli italiani, questi villaggi si sono rapidamente trasformati in fiorenti centri commerciali dove tutti i funzionari pubblici sono disposti a pagare decine di migliaia di euro per esservi trasferiti. Perché il solerte John Kamau del Nation non si chiede la ragione di questo possente desiderio di approdare sulla costa keniana?

Se il nostro Kamau si ponesse questa domanda, forse potrebbe definire meglio il suo concetto di “Mafia Italiana”, scoprendo che più spesso, anziché di corruzione mafiosa, si tratta di vera e propria “estorsione” attuata proprio da quei pubblici funzionari che, approdati a Malindi, si sono subito dati alacremente da fare per recuperare l’esborso di cui si erano fatti carico per raggiungere l’ambito scopo. Allora, Kamau, di quale mafia stai parlando, quando la migliore espressione mafiosa è proprio quella offerta dai tuoi connazionali che rivestono cariche pubbliche? Il maggio scorso a un posto di blocco in Mtwapa, un poliziotto mi aveva dichiarato in arresto perché avevo una strisciata sul parafango sinistro e quindi “non provvedevo un’adeguata manutenzione alla mia auto”. Nella sua eccelsa magnanimità, l’agente in questione, era tuttavia disposto a concedermi il “perdono” contro un modesto obolo d 2.000 scellini (circa 15 euro).



Corruzione o estorsione?

Kenya: Un agente del traffico mentre sollecita la bustarella al conducente di un veicolo

Grazie alla mia pluridecennale esperienza di Kenya, lo mandavo a quel paese e ripartivo, infischiandomene della sua espressione tra l’attonito e il risentito, ma quanti altri stranieri, residenti o turisti, avrebbero subito messo mano al portafoglio per evitare di finire in carcere? Tu, caro Kamau, avresti forse il coraggio di definirli “corruttori”, oppure incolpevoli vittime del ricatto e della prevaricazione attuati da un tutore della legge? Tu, Kamau, sei un meschino imbrattacarte, fazioso e menzognero. Hai semplicemente fatto un copia e incolla di quanto scritto dai colleghi che ti hanno preceduto per gettare fango su un’intera comunità. Tu parli di “mafia” senza avere la più pallida idea di cosa la “mafia” realmente sia e quel “paradiso mafioso” che citi è proprio quello costituito dall’entourage dei tuoi connazionali che con il loro comportamento avvelenano il vivere del proprio Paese, ma tu, di loro, ti guardi bene dal parlare e quindi, definirti “giornalista” è un oltraggio all’intera categoria.


John Kamau, autore dell’articolo sulla “mafia italiana” in Kenya

Evidentemente la mia opinione su John Kamau non è condivisa dal “Media Council of Kenya” (MCK) che nel 2016 gli ha conferito nientemeno che l’awards come migliore giornalista dell’anno. Eppure, leggendo ciò che scrivi, è piuttosto ostico ritenerti tale, caro Kamau. Come puoi non renderti conto che il tuo Paese è un’inesauribile fonte di corruzione, soprusi, malversazioni e degradi di cui potresti più attivamente occuparti, anziché lordare una comunità che, pur nelle sue imperfezioni, ha portato e porta al Kenya occupazione, assistenza e benessere? Ma è ovvio che tu sei supinamente sodale con la linea tracciata dai tuoi padroni ai quali ti genufletti, facendo forfait della tua dignità professionale e umana. Poteva essere legittimo che tu stigmatizzassi qualche discutibile comportamento italiano, se avessi messo in altrettanta evidenza tale comportamento con il fertile humus locale che lo favoriva, ma evidentemente l’obiettività non è una tua caratteristica e con il tuo scritto, ciò che hai voluto offrire ai tuoi lettori e all’intero mondo editoriale, è uno spettacolo infimo e rivoltante.

Giornalista e scrittore, fin dall’epoca del liceo, quando si occupava di cronaca cittadina. Nel 1983 si è trasferito in Africa, facendo base in Kenya e inviando a testate nazionali e straniere, molti reportage sulle situazioni africane di cui è diventato un profondo conoscitore. Nell’anno 2000 ha fondato e diretto, per quattordici anni, il periodico d’opinione “Out of Italy” rivolto alle comunità italiane dell’est-Africa. Ha scritto oltre mille articoli e pubblicato tre libri. Fino al 2018 ha anche ricoperto l’incarico di consigliere dell’Ambasciata Italiana in Kenya.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Africa, aiutiamoli a casa loro, no grazie!

Messaggioda Berto » sab dic 11, 2021 8:54 am

Paradosso Africa: tutti vantano programmi di aiuti, ma intanto si buttano milioni di vaccini
Anna Bono
11 Dic 2021

https://www.atlanticoquotidiano.it/quot ... i-vaccini/

Dal 15 al 20 novembre il segretario di Stato Usa Antony Blinken ha svolto il suo primo viaggio in Africa. Nel corso dei colloqui con le autorità dei Paesi visitati – Kenya, Nigeria e Senegal – Blinken ha illustrato le linee politiche per l’Africa della nuova amministrazione statunitense. “Troppe volte i Paesi africani sono trattati come partner minori o peggio – ha detto durante l’incontro con il presidente nigeriano Muhammadu Buhari – è ora di considerare l’Africa come un soggetto, non come un oggetto di scelte geopolitiche”. Senza citarla, ma chiaramente riferendosi alla Cina, “troppo spesso – ha aggiunto – gli accordi internazionali in materia di infrastrutture sono poco trasparenti, coercitivi. Caricano i paesi di debiti ingestibili. Sono deleteri per l’ambiente. Non sempre vanno a beneficio delle popolazioni. Noi ci comporteremo diversamente. Gli Stati Uniti saranno trasparenti e sostenibili”.

Partito Blinken il 20 dal Senegal, il 29 e 30 novembre la capitale senegalese Dakar ha ospitato il vertice di cooperazione Cina-Africa, un incontro che si svolge ogni tre anni a partire dal 2000. Alla vigilia del summit il Consiglio di Stato cinese aveva diffuso un documento programmatico intitolato: “Cina e Africa nella nuova era: una partnership tra pari”. “Nella lotta per la liberazione nazionale e l’indipendenza – si legge nell’introduzione – la Cina e i paesi africani si sono aiutati a vicenda (…) sostenendosi nel perseguimento dello sviluppo economico. Entrando nella nuova era, il presidente Xi Jinping afferma i principi della politica cinese per l’Africa: sincerità, risultati concreti, amicizia e fiducia”.

Al di là delle dichiarazioni di intenti, sembra tuttavia che l’immagine dell’Africa continui a essere quella di un continente in costante bisogno di assistenza, di doni, aiuti, incentivi, prestiti che i donatori decidono come, quando e in che misura concedere. La Cina, nel corso del vertice, ha assicurato che donerà all’Africa, come già annunciato nei giorni precedenti, un miliardo di dosi di vaccini contro il Covid-19: 600 milioni arriveranno direttamente e il rimanente verrà fornito sotto altre forme, ad esempio investendo in centri di produzione di vaccini in Africa. Inoltre ha confermato che nei prossimi anni sarà aperta una linea di credito pari a 10 miliardi di dollari.

Blinken da parte sua ha garantito il proseguimento della Prosper Africa Initiative, creata per incrementare commercio e investimenti, la Growth and Opportunity Act, meglio nota come AGOA, voluta dal presidente Clinton per consentire accesso preferenziale al mercato Usa da parte di Paesi in via di sviluppo, e il Build Back World, una iniziativa avviata nel giugno del 2021 dai Paesi del G7 che fa concorrenza alla Cina nel campo dello sviluppo di infrastrutture. Inoltre ha promesso che il suo Paese donerà oltre 1,1 miliardi di dosi di vaccini anti Covid-19, in gran parte a Paesi africani, e contribuirà a far sì che gli africani siano presto in grado di fabbricare i vaccini di cui hanno bisogno.

Se saranno diversi d’ora in poi i rapporti di Stati Uniti e Cina con l’Africa resta da vedere. Quanto all’Italia, anche il nostro Paese sostiene di voler fondare su una partnership paritaria le relazioni con il continente. “Il rapporto con i Paesi del Continente e le sue organizzazioni – si legge nell’introduzione a “Il partenariato con l’Africa”, testo programmatico del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale – è oggi basato su una partnership paritaria, orientata ad uno sviluppo condiviso e ad affrontare insieme le molteplici sfide globali, superando così la tradizionale visione donatore/beneficiario”. L’Italia, ricorda inoltre il Ministero degli affari esteri, “ha da sempre svolto un ruolo apprezzato e riconosciuto a favore del Continente africano, contribuendo in maniera determinante a far mobilitare risorse maggiori verso l’Africa, con una serie di iniziative e proposte”. Deve continuare a farlo “nei diversi fora internazionali, in primis le Nazioni Unite e l’Unione Africana, al fianco dell’UE e dei suoi singoli Stati membri”.

Proprio per questo ruolo che l’Italia vanta di svolgere è importante porre finalmente alcuni interrogativi fondamentali a proposito dei progetti di aiuto e sviluppo per l’Africa, siano essi ideati e realizzati da stati, agenzie Onu, organizzazioni non governative, fondazioni private, nell’ambito della cooperazione bilaterale o multilaterale.

La prima domanda riguarda la effettiva realizzabilità dei progetti internazionali di cooperazione. Blinken, Xi Jinping hanno parlato di iniziative per miliardi di dollari come se non sapessero o ritenessero irrilevante il fatto che i 54 stati del continente, quasi senza eccezioni, sono alle prese con serie crisi sociali e politiche, oltre tutto in molti casi persistenti; 12 stati africani sono sotto la minaccia jihadista. Gruppi armati affiliati ad al Qaeda o allo Stato Islamico infestano e controllano vaste estensioni dei loro territori nazionali. Sei altri Paesi hanno subìto in passato attacchi islamisti e potrebbero essere colpiti di nuovo. Lo scontro politico e sociale, già di per sé violento in Africa, è degenerato in conflitto armato, oltre che in Libia, in sei Paesi, in tre dei quali negli ultimi 12 mesi il governo è stato deposto con un colpo di stato militare (per due volte in Mali).

La crisi del Covid-19 ha dimostrato, e non per la prima volta, quanto sia difficile realizzare un programma di aiuti in tali contesti. L’Africa ha il tasso di vaccinazioni più basso del mondo. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità a fine ottobre solo il 6 per cento degli africani erano stati vaccinati. Ma questo non dipende soltanto dal fatto che i governi africani non ricevono dosi di vaccino sufficienti, come sostiene l’Oms. Nel continente, che ha poco più di 1,3 miliardi di abitanti, sono già arrivati 384 milioni di dosi. Il Botswana, che ha 2,3 milioni di abitanti, ha ricevuto circa 2,4 milioni di dosi; il Sudafrica ne ha ricevuti 32,5 milioni su una popolazione di circa 40 milioni di adulti. La lentezza delle campagne di vaccinazione dipende dall’estrema carenza di personale sanitario e dalla mancanza di infrastrutture.

Ma un ostacolo ulteriore sono i territori fuori controllo, resi insicuri e impraticabili dalla guerra, dalla presenza di jihadisti, trafficanti, contrabbandieri, gruppi armati antigovernativi. Il risultato è che diversi stati lasciano scadere i vaccini e li devono distruggere (insieme a quelli inutilizzabili perché conservati male). Il Sudan del sud ad aprile ha distrutto 59 mila dosi scadute e ne ha restituite 72 mila. Il Malawi ne ha lasciate scadere e gettate via quasi 20 mila. La Repubblica democratica del Congo aveva ricevuto 1,7 milioni di vaccini all’inizio di marzo 2021. Due mesi dopo aveva vaccinato solo mille persone e ha restituito 1,3 milioni di dosi. La Nigeria nei prossimi giorni dovrà distruggere addirittura un milione di dosi scadute.

I risultati conseguiti da programmi di aiuti umanitari e di cooperazione allo sviluppo costati mesi e anni di lavoro e milioni di dollari possono, ed è successo spesso, essere annullati o resi inservibili in poche settimane da una crisi politica, una guerra, una rivolta armata, l’avanzata del jihad, e anche da disastri naturali che nessuno si è preoccupato di prevenire. La seconda domanda dunque è se sia prudente e giusto continuare a investire così tante risorse umane, finanziarie e tecnologiche quando in un Paese mancano fondate garanzie di stabilità politica e sociale.

Una terza domanda è come mai l’Africa, 60 anni dopo che, terminata la breve epoca coloniale europea, i suoi Paesi sono diventati indipendenti, continui a essere talmente povera da aver bisogno di aiuti e prestiti agevolati per realizzare i suoi progetti umanitari e di sviluppo. Il prodotto interno lordo del continente cresce costantemente da 25 anni. Dal 2010 al 2019 la crescita media annua del Pil della Repubblica democratica del Congo, ad esempio, è stata del 6,1 per cento, quella del Rwanda del 7,6 per cento, del Niger del 5,9 per cento, del Tanzania del 6,7 per cento.

Soltanto il Pil di cinque stati africani è diminuito, quattro dei quali produttori di petrolio. Il caso della Guinea Equatoriale dà la risposta alla terza domanda. Il Paese è spesso citato quando si parla di “paradosso” o “maledizione” della ricchezza. È uno dei dieci maggiori produttori africani di petrolio e, da quando negli anni ’90 del secolo scorso sono stati scoperti grandi giacimenti di petrolio e di gas naturali, ha il Pil pro capite più alto del continente: 7.143 dollari annui nel 2020 (un massimo di 22.942 dollari nel 2008). Tuttavia è 146° nell’Indice di sviluppo umano dell’Undp e ha una speranza di vita alla nascita di 58,7 anni (oltre 20 anni meno di quella dei Paesi ad alto reddito). La spiegazione di questo paradosso è che il presidente della Guinea Equatoriale Teodoro Obiang Nguema e i suoi famigliari si considerano i padroni del Paese e delle sue ricchezze e vi attingono senza ritegno, scrupoli e limiti, lasciando gran parte degli 1,4 milioni di abitanti in povertà. Nguema è il capo di stato africano da più tempo in carica (ha preso il potere con un colpo di stato nel 1979) e uno dei più spregiudicati e brutali. Suo figlio Teodolin, che detiene la carica di vicepresidente, sciala milioni di dollari concedendosi lussi sfrenati e stravaganti.

La Guinea Equatoriale è un caso esemplare. Tuttavia tanti altri africani che occupano cariche governative e amministrative si comportano come gli Nguema. La corruzione è diffusa ovunque nel continente. Come dicono in Nigeria, è diventata uno “stile di vita” che la maggior parte dei governi non desiderano, né possono, contrastare. Il più recente scandalo di grandi proporzioni risale al 19 novembre. Una fuga di dati da una banca ha rivelato che le imprese possedute da famigliari e amici dell’ex presidente della Repubblica democratica del Congo, Joseph Kabila, in carica dal 2001 al 2019, hanno dirottato milioni di dollari di fondi pubblici nei loro conti bancari. Peraltro già nel 2012 si diceva che Kabila avesse stornato dalle casse pubbliche 5,5 miliardi di dollari. Nel 2002 una commissione dell’Onu aveva denunciato lo sfruttamento, il saccheggio delle immense risorse minerarie del Congo da parte delle leadership al potere. “Noi siamo congolesi – era stata la risposta ufficiale dei politici accusati – e quindi possiamo fare quel che vogliamo del nostro Paese, le sue risorse ci appartengono, non si può dire che le stiamo saccheggiando”.

Sarebbe bastato prestar fede ad autori come Axelle Kabou, “E se l’Africa rifiutasse lo sviluppo?”, 1991, Dambisa Moyo, “La carità che uccide”, 2009, Michela Wrong, “It’s our turn to eat”, 2010; e, risalendo nel tempo, Jacques Giri, “L’Africa in crisi”, 1986, Jacques Dumont, “L’Afrique noire est mal partie”, 1961. Sembra che nessuno, tra le persone che contano, lo abbia fatto.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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