Il continente nero è tra i più razzisti della terra

Re: Il continente nero è tra i più razzisti della terra

Messaggioda Berto » ven ott 11, 2019 6:25 am

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Il continente nero è tra i più razzisti della terra

Messaggioda Berto » ven ott 11, 2019 6:26 am

La Cassazione: dire “sporco negro” non è reato
Maurizio Tortorella
28 gennaio 2019

https://www.panorama.it/news/in-giustiz ... k1P7nkmAfY

La Cassazione riconosce che l’ingiuria razzista "sporco negro", “non è più reato”, e assolve definitivamente un imputato. Lo ha appena deciso la quinta sezione penale della suprema corte, depositando il 18 gennaio le motivazioni alla sentenza numero 2461 pronunciata lo scorso 6 dicembre.

Con questa assoluzione, la Cassazione per la prima volta prende atto delle modifiche introdotte nel gennaio 2016 dal decreto “svuota-carceri”, e annulla senza rinvio la condanna che la Corte d’appello di Firenze nell’ottobre 2015 aveva inferto a un imputato pisano.

L’uomo aveva apostrofato una ragazzina per strada, gridandole "sporca negra" e "marocchina di mer..", ed era stato condannato in primo e in secondo grado per il reato d'ingiuria, aggravato da motivi razziali. Ora però viene assolto, ed è inevitabile, perché da due anni l'ingiuria per il nostro ordinamento non costituisce più reato.

Il decreto svuota-carceri aveva modificato l'articolo 594 del Codice penale, abrogando proprio il reato di ingiuria e trasformandolo in un illecito civile. Il risultato è facile da capire: chi offende una persona, oggi, può subire esclusivamente una causa in sede civile per il risarcimento del danno, ed eventualmente anche una multa inflitta dal giudice, da versare allo Stato.

È quindi scomparsa la possibilità di querelare in sede penale chi pronuncia frasi insultanti. Restano però punite penalmente sia la diffamazione (cioè il reato di chi, in assenza della vittima, ne parla male in presenza di almeno altre due persone) sia la minaccia che, a volte, si accompagna all’ingiuria.

Quindi, per essere chiari, oggi non è più reato pronunciare le parole: “sporca negra”. Ma resta reato aggiungere la postilla “ti brucio viva”, perché configura una minaccia.

L’assoluzione stabilita dalla quinta sezione ha eliminato anche il risarcimento che la Corte d’appello aveva stabilito nei confronti della parte civile, la ragazzina offesa. La Cassazione ha precisato infatti che "in caso di sentenza di condanna relativa a un reato successivamente abrogato e qualificato come illecito civile (…) sono da revocare anche i capi della sentenza che concernono gli interessi civili”.

La parte offesa conserva però il diritto di agire in sede civile per il risarcimento del danno". Quindi può ripartire dall’inizio con una causa civile.
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Re: Il continente nero è tra i più razzisti della terra

Messaggioda Berto » mer dic 11, 2019 9:25 pm

"Scimmie bianche, la pagherete": la furia dello straniero sugli agenti
Federico Garau - Ven, 29/11/2019

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... PU4tvqzd4s

Una raffica di insulti e minacce, oltre all'aggressione nei confronti di un poliziotto: "Me la pagherete. Vi spacco la faccia, io sono molto forte. Vi denuncio tutti, dirò che mi avete picchiato"

Ha dato in escandescenze nei pressi del Teatro Regio di Parma, aggredendo prima un guineano di 19 anni, accusato di avergli sottratto una bicicletta, quindi gli uomini della locale questura che avevano raggiunto il posto indicato per tentare di riportare la calma.

Protagonista in negativo della vicenda un 26enne della Costa D'Avorio, ora rinchiuso dietro le sbarre di una cella di sicurezza in attesa dello svolgimento del giudizio direttissimo.

Come riportato dalla stampa locale, i fatti si sono verificati durante la serata di ieri, giovedì 28 novembre. Sono all'incirca le 23, quando in centrale giunge la richiesta di aiuto da parte del 19enne guineano, che denuncia una violenta aggressione in corso nei suoi confronti.

Dinanzi al Teatro Regio sopraggiungono gli uomini della squadra Volanti di Parma, subito avvicinati dalla giovane vittima, che presentava sanguinamento ed evidenti tracce delle violenze appena subite.

Il guineano ha indicato agli agenti il responsabile, che si trovava a breve distanza da loro. Nonostante il tentativo di negare le proprie responsabilità, l'ivoriano aveva evidenti tracce di sangue sotto le unghie, che hanno confermato il racconto del 19enne. Fin da subito fortemente ostile nei confronti dei poliziotti, il responsabile, in evidenti condizioni di alterazione psico fisica causate dall'abuso di alcolici, ha iniziato ad insultarli pesantemente.

Impossibile tentare di concludere le operazioni di identificazione, cosa che ha costretto gli agenti a far salire il facinoroso a bordo dell'auto di servizio per tradurlo negli uffici della questura di Parma.

Sia durante il tragitto che una volta giunto a destinazione l'extracomunitario ha continuato a bersagliare di minacce ed insulti i poliziotti, come riportato da "ParmaToday". "Non siete capaci di fare niente, vi dò fastidio solo perchè sono nero. La pagherete davanti a Dio, voi non potete fare niente, io sono molto forte", minaccia l'ivoriano, che poi aggiunge anche: "Vi denuncio tutti e vi accuserò di avermi picchiato". Ma gli insulti non si sono conclusi lì, dato che il 26enne ha proseguito con improperi decisamente più spinti ed espliciti. "Poliziotti di m***a, vi sistemo tutti. Vi spacco la faccia, siete dello scimmie bianche di m***a. Me la pagherete. Il mio c***o è più grosso del vostro". In questura anche il rifiuto di consegnare i documenti e declinare le proprie generalità, oltre al tentativo di colpire con un pugno uno degli uomini in divisa che cercava di placarlo.

Accusato di minacce, oltraggio, resistenza e violenza a pubblico ufficiale, capi di imputazione a cui si aggiunge anche una denuncia per ubriachezza molesta e la probabile aggravante per questioni razziali, è finito dietro le sbarre di una cella di sicurezza, dove si trova in attesa di giudizio direttissimo.
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Messaggioda Berto » mer dic 11, 2019 9:26 pm

I cristiani in Africa li chiamano “i bianchi”
Giulio Meotti
8 dicembre 2019

https://www.ilfoglio.it/esteri/2019/12/ ... I.facebook


Roma. “I cadaveri mutilati delle donne. Quest’uomo a cui viene chiesto di abiurare la fede e che viene fatto a pezzi con un machete. Questa bambina strangolata con la catenina della croce. Quest’altro, frantumato contro un albero. E ogni volta, questa banalità di un male di cui loro stessi non capiscono come sia stato in grado di impadronirsi di pastori che, dopo tutto, sono dannati di questa terra. E il richiamo delle moschee radicalizzate dei Fratelli musulmani, che si moltiplicano nella misura esatta in cui bruciano le chiese”.

È un pezzo dell’inchiesta drammatica di Bernard-Henri Lévy pubblicata giovedì su Paris Match e dedicata ai cristiani nigeriani. Il filosofo parla di “metodica pulizia etnica e religiosa”. L’odio è viscerale. “Ci sono ‘troppi cristiani a Lagos’, ringhia Abdallah, il più loquace e minaccioso. ‘I cristiani sono cani e figli di cani. Tu dici cristiani. Ma, per noi, sono traditori. Hanno assunto la religione dei bianchi. Non c’è posto qui per gli amici dei bianchi, questi impuri. Il venditore di cartoline mi offre ritratti di Erdogan e Bin Laden e dice che i cristiani alla fine se ne andranno e che la Nigeria, quindi, ad Allah piacendo, sarà libera”. Bernard-Henri Lévy paragona la situazione dei cristiani nigeriani a quanto è successo in Darfur “o anche prima, in Ruanda, in quei giorni della primavera del 1994, quando nessuno voleva credere che il quarto genocidio del XX secolo fosse in corso. La storia si ripeterà in Nigeria? E resteremo seduti pigramente mentre l’internazionale islamista, contenuta in Asia, combattuta in Europa, sconfitta in Siria e in Iraq, apre un nuovo fronte su questa immensa terra dove i figli di Abramo hanno convissuto a lungo? Questo è il significato di ‘SOS cristiani in Nigeria’ che lancio qui oggi”.

Bernard-Henri Lévy non è il solo umanitarista appena tornato dal più grande paese africano. C’è appena stata anche la Baronessa Caroline Cox, che denuncia una politica di islamizzazione all’insegna del motto “la tua terra o il tuo sangue”. “Ho visitato molte delle aree colpite e ho visto le tragedie della morte e della distruzione. Un sopravvissuto mi ha detto: ‘I Fulani hanno attaccato con un machete. Ho perso conoscenza. Quando mi sono svegliato, ho visto mia figlia a terra. Era morta, con il mio dito tagliato in bocca’”. Si stima che oltre mille cristiani siano stati uccisi soltanto da gennaio a oggi e che quasi due milioni di persone siano state sfollate internamente in Nigeria, in gran parte a causa degli attacchi di estremisti islamici come Boko Haram e i Fulani.

Nel 2018 i cristiani uccisi per la propria fede nel mondo, secondo Open Doors, sono stati 4.305. Di questi, 3.731 sono stati uccisi in Nigeria. “Quasi ogni giorno, mi sveglio con messaggi dagli amici in Nigeria, come questo di oggi: ‘I pastori hanno pugnalato a morte un contadino Ogan’”, ha detto l’avvocato per i diritti umani Ann Buwalda. I media ne parlano spesso come di un conflitto economico e sociale. Ma come ha recentemente spiegato suor Monica Chikwe, “è difficile dire ai cristiani nigeriani che questo non è un conflitto religioso poiché ciò che vedono sono combattenti Fulani vestiti interamente di nero, che cantano ‘Allahu akbar!’ e che urlano ‘morte ai cristiani’”. E il mattatoio ha esondato nei paesi vicini alla Nigeria.

In Burkina Faso, nei giorni scorsi, estremisti islamici hanno ucciso quattordici persone dentro a una chiesa protestante (molti i bambini fra i morti). Sono nere le vittime e i carnefici, ma gli islamisti chiamano i cristiani così, “i bianchi”, portano i segni di una fede più ancestrale dell’islam in terra africana, ma considerata come estranea e quindi da eliminare. Sono i figli di un dio minore.
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Re: Il continente nero è tra i più razzisti della terra

Messaggioda Berto » lun giu 08, 2020 9:05 pm

L'Africa nazi maomettana, la civiltà islamica, l'umanità interazziale e intertnica dell'Umma mussulmana, il paradiso infernale di Allah.

Cos'è successo ai tuoi capelli?" "I tuoi algerini, i tuoi bravi musulmani lì, mi hanno bruciato i capelli!".
Tra disordini e isteria di massa sul "razzismo sistemico" negli Stati Uniti che non esiste, ecco un vero razzismo in Algeria, tra diverse testimonianze ne traduciamo una, come raccontato dalla vittima.
https://www.goethe.de/prj/ruy/fr/m/mig/ ... 83076.html

Sono venuta dal Mali per i miei studi.
È stata la mia famiglia a scegliere l'Algeria.
Volevo andare negli Stati Uniti o in Canada, ma i miei genitori preferivano mandarmi in un paese musulmano.
Per me, l'importante era essere liberi e indipendenti.

Prima di venire, ho pensato che l'Algeria fosse un paese aperto, dove le persone vivevano bene insieme.
Ma quando sono arrivata all'aeroporto, sono rimasta scioccata. Ci fissavano, ci indicavano e qualcuno urlava: “benvenuti in Algeria, kahloucha!
Ricordo molto bene quella parola, non sapevo ancora che fosse un insulto.

Il giorno in cui sono arrivato alla Cité U, è stato lo stesso, siamo stati insultati. Più tardi, in strada (i miei capelli erano afro) un giovane mi ha messo una sigaretta tra i capelli.
Li ha bruciati e ha fatto un buco. Una vecchia signora venne ad aiutarmi a fermare la fiamma. Tutti risero, mi sono messa a correre, stavo piangendo.

Fu allora che alcune belle ragazze mi insegnarono a insultare in algerino.

Più uscivo, più ero assalita, insultata o colpita. Per tutto il tempo era: "kahloucha" (negro, peggiorativo), "kahloucha zobbi" (nero del cazz..), "nik mok" (vaffanculo a tua madre), roh bledek (torna nel tuo paese). Avevo paura, un nodo allo stomaco. Non c'è mai stato un giorno senza essere stata aggredita, picchiata o strappato i capelli. Sono entrata in una terribile depressione, l'inizio della follia. Ho camminato con i bastoni per difendermi.

Una ragazza non sopportava la vita qui, non poteva nemmeno uscire dalla sua stanza e nel primo anno tentò il suicidio. Una settimana dopo, la sua famiglia venne a prenderla. Non potevo tornare indietro perché mi vergognavo che la mia compagnia mi vedesse come incapace di studiare, non sanno cosa sta succedendo qui.

Costantino è una città particolarmente conservatrice, è molto peggio che ad Algeri o Bejaïa. I ragazzi ci attaccano costantemente. Se vedono una ragazza sola per strada, impazziscono. Ti lanciano pietre, ti lapidano. Mi sentivo come se tutti volessero farmi del male. Quindi ho iniziato a rispondere con la violenza, mi hanno colpita, li ho colpiti, mi hanno colpita, li ho colpiti. Tutti i miei anni di scuola erano combattimenti mattina, mezzogiorno e sera. Non sapevo nemmeno di avere così tanta violenza dentro di me, ma in Algeria ha portato tutto fuori.

Alla Cité U, alcune ragazze mi hanno detto che ero bella, ma era per prendermi in giro. Altri erano così scioccati nel vedere una ragazza nera, che rimasero congelati o gridarono e fuggirono. A volte, alcuni venivano a scusarsi in seguito. Anch'io ho fatto amicizia, erano lì per me e mi hanno invitato nella loro famiglia. Queste amicizie sono la parte migliore dei miei anni a Costantino.

Grazie a me, molto è cambiato al college. Inizialmente, gli studenti stranieri parlavano molto poco con gli algerini, tenevano le cuffie per non essere disturbati. Non avevano modo di difendersi, né un posto dove lamentarsi. Ma io, ogni volta che qualcuno mi ha insultato, ho litigato e sono andata all'amministrazione. Fu da lì che gli studenti neri iniziarono a essere rispettati. Un giorno una ragazza mi disse: "Grazie a te, ora posso togliermi le cuffie, non mi insultano più." È stato con la violenza che mi sono fatta rispettare.

Tra studenti neri, abbiamo quindi creato come una famiglia, con molta solidarietà. Il vecchio si è preso cura del nuovo. Non appena uno di noi ha avuto un problema, eravamo tutti lì.

L'amministrazione dice che è lì per noi. In effetti, possiamo presentare un reclamo contro coloro che ci attaccano e l'amministrazione li sanziona fino a un anno di esclusione. Ma non fa nulla per educare gli studenti, oltre a condividerci con il gruppo di lavoro in modo che ci mescoliamo con gli algerini. Vuole che ci integriamo, ma loro non vogliono l'integrazione. Molte ragazze hanno sperimentato il razzismo anche con gli insegnanti. Un insegnante ha chiesto a una ragazza: "Sei un uomo o una donna?"

Per i neri, non posso capire la differenza ”.

La società algerina, la vedo chiusa e razzista. I neri sono ancora visti da molti come schiavi, come una razza inferiore. Qui, le immagini che mostriamo dell'Africa nera, è la malattia, la carestia, le persone che vivono in villaggi lontani senza alcuna civiltà. Pochi documentari vanno in onda sull'Africa, la storia africana non viene insegnata e gli algerini non si considerano africani. Dovrebbe essere insegnato loro che le persone che vengono da grandi paesi e anche loro sono africani. Non sanno nulla della loro storia, solo della rivoluzione algerina e del decennio oscuro, quindi come possono rispettare i neri? La società li ha brutalizzati. Sono come pecore, mentre quelli al potere diventano più ricchi.

Quando tornai a casa, mia madre si aspettava di vedermi religiosa, con l'hijab. Mi ero rasata la testa, come una rockstar. La povera ragazza all'aeroporto, ha quasi avuto un infarto. Mi disse: "Dov'eri? - Beh, ero in Algeria! - ma cosa è successo ai tuoi capelli? - i tuoi algerini, i tuoi bravi musulmani lì, mi hanno bruciato i capelli! ".
https://www.goethe.de/prj/ruy/fr/m/mig/ ... 83076.html
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Re: Il continente nero è tra i più razzisti della terra

Messaggioda Berto » gio giu 11, 2020 3:40 am

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Re: Il continente nero è tra i più razzisti della terra

Messaggioda Berto » gio giu 11, 2020 3:40 am

Sudafrica, donna incinta uccisa a coltellate e appesa a un albero
09 giugno 2020

https://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/s ... 002a.shtml

La 28enne, allʼottavo mese, era scomparsa da casa; dopo alcuni giorni il macabro ritrovamento. La polizia apre unʼinchiesta, il Paese si indigna

Un nuovo episodio di violenza in un Paese dove, secondo recenti statistiche, viene uccisa una donna ogni tre ore. Ma la storia di Tshegofatso Pule, forse anche a causa della sua condizione e di quel bambino che aveva in grembo e che sarebbe dovuto nascere tra circa un mese, è diventata molto popolare.

Per ora di lei si sa poco, mentre girano sui media locali le foto del suo volto incorniciato da una pioggia di treccine afro. E anche la famiglia che vive a Soweto non vuole rilasciare dichiarazioni.

L'unico a parlare con i media è stato un parente che ha ricostruito la vicenda, raccontando - riferisce il sito di informazioni Sowetan Live - che la giovane donna era sparita la scorsa settimana prima del ritrovamento del suo cadavere. Secondo quanto ha raccontato ci sarebbe stato un un litigio con il suo fidanzato, sposato con un'altra. Lei avrebbe poi chiamato la famiglia raccontando del diverbio e dicendo che stava rientrando a casa. Da quel momento non si è saputo più nulla.

"Abbiamo provato a chiamarla quella notte, ma non siamo riusciti a contattarla. Abbiamo chiamato di nuovo per giorni ma il suo telefono era spento", ha aggiunto il parente spiegando che anche i tentativi di raggiungere telefonicamente il fidanzato sono andati a vuoto.

La famiglia ha dunque deciso di denunciare alla polizia la scomparsa, affiggendo manifesti per aiutare le ricerche, fino a quando "qualcuno ci ha contattato e ci ha detto che avrebbe potuto averla vista. Ci ha mostrato una sua foto e abbiamo capito che era lei", ha dichiarato il famigliare che conclude: "Non siamo in grado di fare ipotesi su ciò che ha portato alla sua morte, ma sappiamo che le cose non andavano bene con il suo fidanzato. Anche sua moglie sapeva di Tshego ed era sempre in lotta con lei".

Intanto, con l'hashtag #JusticeForTshego in Sudafrica diventato virale su Twitter, i cittadini sollecitano la polizia, che ha aperto l'inchiesta per omicidio, a trovare il colpevole, chiedendosi anche se il sistema garantirà davvero giustizia.

Lo scorso anno, il presidente Cyril Ramaphosa ha dichiarato il Sudafrica "uno dei luoghi più pericolosi al mondo in cui essere una donna". Le statistiche sulla criminalità pubblicate nel 2019 hanno mostrato che nel periodo di 12 mesi che va dal 2017 al 2018 sono state uccise 2.930 donne, dato che equivale a un omicidio ogni tre ore.
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Re: Il continente nero è tra i più razzisti della terra

Messaggioda Berto » mer giu 24, 2020 7:52 am

Il razzismo africano in buona parte del continente è caratterizzato da quello nazi maomettano del Magreb contro gli africani neri e da quello dei neri nazi maomettani contro i neri cristiani e animisti.in Sudan, in Somalia, nel Corno d'Africa e in tutta l'Africa subsahariana e centrale.


Schiavi dell'Islam o del nazismo imperialista maomettano
Gli schiavi dei mussulmani, degli arabi, dei turchi, dei nazi maomettani
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 149&t=1336
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Re: Il continente nero è tra i più razzisti della terra

Messaggioda Berto » mar lug 07, 2020 10:01 am

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Re: Il continente nero è tra i più razzisti della terra

Messaggioda Berto » mar lug 07, 2020 10:01 am

Schiavismo, la strana autoflagellazione dell'Occidente
Anna Bono
2 luglio 2020

https://lanuovabq.it/it/schiavismo-la-s ... loccidente

La tratta atlantica degli schiavi non è né il primo né il più grave dei fenomeni di schiavismo nella storia, anche per quel che riguarda l'Africa. Quasi mille anni prima è iniziata quella arabo-islamica, con una stima che va dai 14 ai 17 milioni di schiavi. E anche il tribalismo africano ha dato un enorme contributo.

Si dice che la storia la scrivono i vincitori. Se è vero, noi europei siamo dei perdenti oppure degli strani vincitori perché, invece di presentare le nostre imprese nella luce migliore, da decenni non facciamo che autoaccusarci di misfatti e torti chiedendone continuamente scusa e per contro onoriamo di virtù e valore il resto dell’umanità.

Il fenomeno della schiavitù è un esempio. Se negli atenei europei si studia lo schiavismo, se i mass media ne parlano, si può essere certi che il riferimento è alla tratta atlantica degli schiavi che ha portato milioni di africani nelle Americhe. «Il termine ‘schiavitù evoca immagini di catene, ceppi e navi transatlantiche»: così inizia un articolo peraltro interessante e ricco di dati scritto e pubblicato nel 2019 da Kate Hodal, corrispondente del The Guardian specializzata in condizione femminile e schiavitù. Gli studenti dell’ateneo di Torino imparano che cos’è la schiavitù nei corsi di Lorenzo Kamel, associato di Storia contemporanea e direttore delle collane editoriali dell’Istituto affari internazionali secondo cui la tratta atlantica rappresenta «la più grande emigrazione forzata della storia».

Per limitarsi all’Africa, la tratta atlantica tra il XVI e il XIX secolo ha portato tra 9 e 12 milioni di schiavi africani oltreoceano: catturati o acquistati da mercanti e mediatori africani, da questi venduti ai negrieri europei che a loro volta li rivendevano arrivati a destinazione. Ma la tratta atlantica è stata preceduta quasi mille anni prima da quella arabo-islamica, iniziata nel VII secolo e durata fino agli inizi del XX, simile nello svolgimento, superiore nei numeri: si calcola tra 14 e 17 milioni di schiavi. Entrambe sono state rese possibili dal tribalismo e dall’endemica conflittualità etnica.

La lotta contro la tratta di schiavi africani è iniziata a partire dal 1833 con la decisione della Gran Bretagna di proibire la schiavitù in tutto l’impero. Ha messo fine prima alla tratta atlantica e, molto dopo, a quella araba.

Questi in sintesi sono i fatti. Ecco come li racconta il professor Kamel dell’università di Torino. Prima di tutto riduce la tratta arabo-islamica a 9 milioni di schiavi. Inoltre, precisa che «l’espressione "mercanti arabi" di schiavi dovrebbe essere intesa in senso culturale, non etnico o "razziale"» non sussistendo - secondo lui - una distinzione netta tra mercanti arabi e africani. Il professore prosegue spiegando che oltre a essere stata «la più grande emigrazione forzata della storia» (il che è provatamente falso), la tratta atlantica «ha determinato una svolta senza precedenti nella storia dell’umanità in generale e del sistema della schiavitù in particolare. È infatti solo con l’avvio della tratta atlantica che l’essere schiavo divenne, per la prima volta nella storia, un tratto permanente. La qualifica di schiavo divenne infatti ereditaria nel contesto dello sviluppo delle colonie del Nuovo Mondo», mentre in Africa e in altre parti del mondo era previsto «“che il figlio di uno schiavo non acquisisse ipso facto il medesimo status. In altre parole, quanti venivano fatti schiavi nelle fasi storiche antecedenti all’avvio della tratta atlantica erano socialmente e politicamente "mobili", ovvero non soggetti ad alcun vincolo ereditario di matrice schiavista».

È falsa anche questa ricostruzione dei fatti. In Africa gli schiavi erano «socialmente e politicamente mobili» solo nel senso che era facoltà e arbitrio dei loro proprietari affrancare loro e ai loro figli nati schiavi un marchio che persisteva per generazioni e tuttora segna e discrimina i discendenti di schiavi, tanto più se, come spesso succede, estranei per etnia. D’altra parte la società africana tribale ammette ben poche forme di mobilità sociale e politica poiché vincola idealmente status e ruoli a fattori ascritti.

Almeno si riconosce che un’altra tratta di schiavi sia esistita, oltre a quella atlantica. Invece, quando si parla di colonizzazione, è ammessa solo quella europea, al punto che di solito non si ritiene neanche necessario aggiungere un aggettivo specificativo. Si dice: epoca coloniale – periodo, dominazione… – ed è scontato che sia quella europea. Invece due colonizzazioni di portata continentale hanno preceduto quella europea della fine del XIX secolo. La prima, forse la più cruenta, si è svolta nel primo millennio dopo Cristo ed è stata compiuta dal grande gruppo etno-linguistico dei Bantu. Si è trattato di una migrazione plurisecolare grazie alla quale la lavorazione del ferro e l'agricoltura sono state introdotte in gran parte delle regioni subsahariane. I Bantu però hanno respinto le etnie dedite alla pastorizia transumante nelle grandi savane semi aride e hanno decimato i cacciatori-raccoglitori costringendoli a ritirarsi nelle foreste e nei deserti, gli ambienti più inospitali dove tuttora sopravvivono, disprezzati ed emarginati.

Dal VII secolo è incominciata la seconda colonizzazione del continente, anch’essa devastante per violenza e impatto destabilizzante. È quella arabo-islamica che, partendo dall'Arabia Saudita pochi anni dopo la morte del profeta Maometto avvenuta nel 632 dopo Cristo, ha conquistato il nord Africa per poi proseguire più lentamente verso sud. Ha diffuso l’Islam al quale molte etnie si sono convertite, sistemi politici meglio organizzati, contatti economici più estesi e complessi. Quasi subito le merci più richieste del commercio a lunga distanza sono diventate alcuni prodotti animali – zanne di elefante, pelli… – e gli esseri umani.



Schiavitù moderna e ipocrisia del politicamente corretto
Judith Bergman
5 luglio 2020

https://it.gatestoneinstitute.org/16201 ... tu-moderna

Mentre Black Lives Matter (BLM) e i suoi lacchè discutono incessantemente dell'obiettivo di cambiare i nomi delle strade e di rimuovere le statue, ignorano la sconcertante cifra di 40 milioni di vittime della schiavitù reale nel mondo, di cui circa 9 milioni di uomini, donne e bambini attualmente ridotti in schiavitù in Africa. Nella foto: Il 22 giugno 2020, vandali tentano di abbattere la statua dell'ex presidente americano Andrew Jackson a Lafayette Square, la piazza nei pressi della Casa Bianca, a Washington, D.C. (Foto di Tasos Katopodis/Getty Images)

La cronaca è densa di notizie riguardanti i sostenitori del movimento Black Lives Matter (BLM) che hanno vandalizzato e abbattuto le statue di mercanti e di proprietari di schiavi e di chiunque essi ritengono sia stato coinvolto storicamente nella schiavitù. A Bristol, in Inghilterra, una statua del mercante di schiavi Edward Colston è stata abbattuta e gettata nelle acque del porto. In Belgio, le statue del re Leopoldo II sono state deturpate.

Questi attacchi hanno indotto alcune autorità locali a valutare se tutte le statue ritenute offensive della sensibilità attuale debbano essere rimosse. Il sindaco di Londra Sadiq Khan ha annunciato una commissione che valuterà le future sorti dei monumenti, come le statue e i nomi delle strade, nella capitale del Regno Unito.

Ciò che risulta incomprensibile è in che modo l'attacco alle vecchie statue di persone che sono morte da tempo dovrebbe servire a qualcuno, soprattutto a milioni di persone che a prescindere dal colore della pelle sono oggi ridotte in schiavitù. Sembrerebbe che gli attivisti BLM del politicamente corretto e i loro numerosi sostenitori che si sono messi in ginocchio non si preoccupino del dramma degli schiavi moderni, che si stima siano attualmente 40 milioni. Evidentemente, è molto più facile e presumibilmente più piacevole distruggere i monumenti storici occidentali piuttosto che avviare il difficile lavoro di abolire la schiavitù moderna.

Nello stesso Regno Unito, c'è una sconcertante gamma di schiavitù moderna, qualcosa che i fautori autoctoni del politicamente corretto ignorano tranquillamente mentre attaccano con ardore le statue in pietra e di bronzo. Secondo il Rapporto annuale sulla schiavitù moderna del 2019, redatto dal governo britannico, nel Regno Unito, ci sono almeno 13 mila potenziali vittime della schiavitù, anche se tale cifra è opinabile poiché il report governativo risale al 2014. Secondo il Global Slavery Index (Indice Globale della Schiavitù) del 2018, sono circa 136 mila le persone che vivono in una situazione di schiavitù moderna in Gran Bretagna.

La schiavitù nel Regno Unito assume la forma del lavoro forzato, della servitù domestica e dello sfruttamento sessuale. Albanesi e vietnamiti sono tra i gruppi che costituiscono la maggioranza degli schiavi.

I media britannici hanno riportato numerose notizie riguardanti diverse migliaia di vietnamiti, metà dei quali hanno meno di 18 anni, che vengono rapiti divenendo vittime del traffico clandestino che li porta nel Regno Unito, dove sono costretti a lavorare come schiavi nelle fattorie di cannabis. Lì, costituiscono una piccola parte della "vasta macchina criminale che rifornisce il mercato nero della cannabis da 2,6 miliardi di sterline". Coloro che non sono costretti a lavorare nell'industria della cannabis vengono schiavizzati nei "negozi di manicure, nei bordelli e nei ristoranti o dietro le porte delle abitazioni private, lavorando come domestici". A gennaio, BBC News ha pubblicato un articolo su una ragazzo vietnamita di nome Ba, che è stato rapito da una banda cinese e portato nel Regno Unito, dove il suo padrone cinese gli faceva soffrire la fame e lo picchiava ogni volta che una delle piante di cannabis non attecchiva.

Al BLM potrebbe non interessare molto la vita dei vietnamiti nel Regno Unito, dopotutto, per il movimento contano le vite dei neri, e quelle degli schiavi neri in Africa? Secondo il Global Slavery Index, attualmente nel continente africano ci sono circa 9,2 milioni di uomini, donne e bambini, che vivono in una situazione di schiavitù moderna, termine che include il lavoro forzato, lo sfruttamento sessuale e i matrimoni coatti.

"Secondo l'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), oggi ci sono oltre il triplo di persone che vivono in una condizione di servitù forzata rispetto a quante ne sono state catturate e vendute nel corso dei 350 anni della tratta transatlantica degli schiavi", ha riportato Time Magazine, nel marzo del 2019. Stando all'OIL, 25 milioni di schiavi moderni sono costretti a svolgere un lavoro forzato e 15 milioni sono vittime di matrimonio forzato.

Attualmente la schiavitù frutta alle reti criminali circa 150 miliardi di dollari all'anno, poco meno del traffico di droga e di armi. "La schiavitù moderna è senza alcun dubbio più redditizia ora che in qualsiasi momento della storia umana", ha detto al Time Siddhart Kara, un economista del Carr Center for Human Rights Policy. Secondo il Global Slavery Index del 2018, "i Paesi del G-20 importano ogni anno prodotti a rischio di provenienza da lavoro forzato, generati tramite schiavitù moderna, per un valore di circa 354 miliardi di dollari."

Nel 2017, sono emerse immagini scioccanti di vere e proprie aste di schiavi in Libia: la CNN ha documentato un episodio in cui uomini che parlavano arabo hanno venduto dodici nigeriani. Nel 2019, Time Magazine ha intervistato un migrante africano, Iabarot, che era stato venduto come schiavo mentre cercava di raggiungere l'Europa:

"Quando Iabarot raggiunse il confine meridionale della Libia, incontrò un tassista che con fare apparentemente amichevole si offrì di condurlo gratuitamente nella capitale, Tripoli. Invece, fu venduto a un 'libico bianco' o arabo per 200 dollari. Iabarot fu costretto a ripagare il suo 'debito' lavorando in un cantiere edile, uno schema che tornava a ripetersi ogni volta che veniva venduto e rivenduto".

Lo sfruttamento sessuale costituisce una parte considerevole della schiavitù moderna. La mafia nigeriana, ad esempio, secondo un reportage del 2019 del Washington Post, gestisce il traffico di decine di migliaia di donne:

"Alcuni esperti affermano che tra il 2016 e il 2018 sono arrivate in Sicilia fino a 20 mila donne nigeriane, alcune delle quali minorenni, in un traffico coordinato tra i nigeriani in Italia e quelli nel loro Paese".

Secondo un rapporto del luglio 2017 dell'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) delle Nazioni Unite:

"Nel giro di tre anni il numero delle potenziali vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale arrivate via mare in Italia è aumentato del 600 per cento. Un aumento che è continuato anche in questi primi sei mesi del 2017, con la maggior parte delle vittime che arriva dalla Nigeria".

In questo rapporto, l'OIM ha stimato che l'80 per cento delle ragazze, spesso minorenni, provenienti dalla Nigeria – il cui numero è passato da 1.500 nel 2014 a oltre 11 mila nel 2016 – fossero "potenziali vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale".

In alcune parti del continente africano, specialmente nel Sahel, la schiavitù è ancora radicata nella cultura tradizionale, anche se, ufficialmente, è stata bandita. In Paesi come il Mali e la Mauritania, la cosiddetta schiavitù ereditaria o "basata sulla casta" – in cui la schiavitù viene tramandata di generazione in generazione, in modo che gli schiavi nascano tali – è ancora praticata da qualcuno.

Si stima che nel 2013 circa 250 mila persone vivessero in condizione di schiavitù in Mali, dove la schiavitù non è illegale. Una schiava maliana di nome Raichatou, ha raccontato al Guardian nel 2013 di essere stata ridotta in schiavitù all'età di 7 anni quando sua madre, anche lei schiava, morì. "Mio padre non poté fare altro che guardare quando il padrone di mia madre venne a reclamare me e i miei fratelli", ha raccontato la donna. Ha lavorato gratis come domestica per quasi vent'anni ed è stata costretta a sposare un altro schiavo che non conosceva, in modo da poter fornire al suo padrone altri schiavi.

Si è calcolato che in Mauritania fino al 20 per cento della popolazione è asservito, anche se la schiavitù è stata abolita ufficialmente nel 1981. Gli schiavi provengono principalmente dalla minoranza di etnia Haratin, mauri neri, mentre quasi la metà della popolazione è costituita da arabi o berberi. Secondo un reportage del Guardian pubblicato nel 2018:

"La schiavitù ha una lunga storia in questa nazione dell'Africa sahariana. Per secoli, i Mori arabofoni hanno fatto irruzione nei villaggi africani, dando vita a un rigido sistema di caste che esiste ancora oggi, con abitanti dalla pelle più scura che hanno un debito nei confronti dei loro 'padroni' dalla pelle più chiara. Lo status di schiavo viene tramandato di madre in figlio e gli attivisti che si battono contro la schiavitù vengono regolarmente torturati e detenuti. Tuttavia il governo nega sistematicamente l'esistenza della schiavitù in Mauritania, vantandosi di aver sradicato questa pratica".

Il reportage descriveva altresì alcuni degli orribili destini degli schiavi Haratin:

"Aichetou Mint M'barack era una schiava ereditaria della zona di Rosso. Come sua sorella, venne portata via da sua madre e poi data a un membro della famiglia del padrone come serva. Si è sposata nella casa dei suoi padroni e ha avuto otto figli, due dei quali le furono portati via per diventare schiavi di altre famiglie. Nel 2010, la sorella maggiore di Aichetou riuscì a liberarla (...) dopo essere fuggita a sua volta dai suoi padroni quando loro versarono dei carboni ardenti addosso al suo bambino, uccidendolo".

Black Lives Matter e numerosi dirigenti aziendali, professori universitari, personalità della cultura, dello sport e dei media che sostengono il movimento sembrano totalmente indifferenti al destino di persone come Aichetou. È molto probabile che essi non abbiano mai sentito parlare di lei e dei suoi innumerevoli compagni di sventura. Sono apparentemente vite di neri che non contano per nessuno tranne per le persone coraggiose che operano nelle organizzazioni locali che si battono contro la schiavitù.

Piuttosto, BLM e i suoi lacchè discutono incessantemente dell'obiettivo di cambiare i nomi delle strade e delle università e di rimuovere le statue, tutte cose che non fanno altro che indicare una virtù puerile. Perdono tempo a discutere se le persone che non sono mai state schiave dovrebbero ottenere risarcimenti da parte di chi non ha mai posseduto uno schiavo.

Assumere queste prese di posizione, ignorando la sconcertante cifra di 40 milioni di vittime dell'attuale schiavitù, non solo rappresenta gli abissi incommensurabili dell'ipocrisia del politicamente corretto, ma costituisce un insulto estremo a coloro che soffrono in silenzio la loro schiavitù, morendo lentamente a causa degli abusi fisici, sessuali ed emotivi che sono costretti a sopportare. Se c'è qualcosa di "offensivo", beh, è proprio questo.

Judith Bergman è avvocato, editorialista e analista politica. È Distinguished Senior Fellow presso il Gatestone Institute.



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