Congo, la “patria d'adozione” degli stupri di gruppo: ecco a chi abbiamo aperto le portedi Ginevra Sorrentino
2017/09
http://www.secoloditalia.it/2017/09/con ... o-le-porte Li chiamano gang-rape, sono gli stupri di gruppo: sono continui. Efferati. E nove volte su dieci restano impuniti. E il Congo – la patria di nascita di Guerlin Butungu, il capobranco degli stupri di Rimini, e la terra d’adozione delle belve sue complici – è considerata la capitale mondiale delle atroci violenze sulle donne. E purtroppo nel generico termine “donne” vanno incluse le bambine, le adolescenti, le anziane. quanto accaduto in quella terribile notte di fine agosto che ha segnato per sempre le vittime delle feroci aggressioni di Butungu e dei suoi “compari” ha segnato per sempre l’immaginario sociale. Non solo: quella brutalità dello stupro di Rimini ci ha catapultato in scenari che fino a poco credevamo arcaici e lontani nello spazio oltre che nel tempo, e invece…
Congo, la «capitale mondiale» degli stupri di gruppo
Invece ora i protagonisti di quei mondi sono in casa nostra e da quella terribile notte riminese tutti noi ci sentiamo più esposti, più minacciati, più indifesi. E chi fino a ieri ha creduto che quello che abitualmente accade nelle zone rurali, più remote e sperdute dell’India, come nei centri urbani della Nigeria, non potesse mai riguardarci, adesso è stato costretto a ricredersi, e con una veemenza mediatica che non ci ha risparmiato nulla della efferatezza e della malvagità con cui siamo costretti a fare i conti anche in casa nostra. Eppure i campanelli d’allarme ci sono e ci sono sempre stati: da anni studi internazionali e di settore ritraggono dell’Africa – e di alcune sue regioni in particolare – fotografie inquietanti che, nel tempo, hanno dato adito alla definizione e purtroppo all’incremento di un fenomeno drammaticamente noto come il gang-rape: uno stupro di gruppo, incredibilmente crudele e violento per le modalità d’esecuzione e la consuetudine con cui si consuma nell’impunità dei carnefici e nello strazio delle loro vittime. Un fenomeno concentrato soprattutto in Congo che, solo nel 2010 la rappresentante Onu per le violenze sessuali, Margot Wallstrom, è arrivata a definire «la capitale mondiale degli stupri». Il «posto più pericoloso al mondo per una donna», che registra il più alto numero di denunce per il gang-rape – per non parlare del sommerso – e in cui accade con una frequenza mostruosa che una ragazzina, un’adolescente, una giovanissima come una signora d’età, vengano prese, rapite dalle loro case, abusate, torturate e poi lasciate ferite o agonizzante lì dove lo stupro di gruppo si è brutalmente consumato.
La terra da cui proviene Butungu, “caprobranco” degli stupri di Rimini
Ormai non si contano nemmeno più in Congo i casi di ragazze e ragazzine, anche giovanissime, prelevate di notte, mentre dormono nelle loro case prese d’assalto da gruppi di stupratori, per essere violentate a turno nel bosco da branchi di belve che poi, nel tragico rituale che inscenano, alla fine delle violenze gettano le loro vittime al suolo o le abbandonano come «merce consumata» in un bosco, in una radura. Come accaduto alla giovane polacca stuprata dal branco di belve capitanate dal congolese Butungu che, dopo gli abusi, è stata scaraventata in acqua. Quel Butungu sbarcato da una carretta a Lampedusa, esattamente come Usman Matammud, lo stupratore seriale e torturatore somalo di base in Libia e solo dopo anni di abusi e malvagità riconosciuto e segnalato da alcune sue ex vittime mentre si aggirava indisturbato per la Stazione Centrale di Milano. E allora, spalancare indiscriminatamente le porte all’immigrazione africana, senza controlli in grado di evitare l’orrore, senza filtri e senza possibilità di prevenire quello che poi accade – ed è accaduto – significa consentire l’ingresso e il bivacco in casa nostra anche di personaggi come quelli che hanno agito a Rimini. Persone prive di freni inibitori, dilemmi morali e come ha detto lo spiahciatra Vittorino Andreoli, uomini in cui è quasi geneticamente assente il senso di colpa. Persone capaci di comportarsi come abbiamo amaramente appreso, e a ripetere anche sulle nostre spiagge, nei nostri quartieri, usi e abusi tribali praticati nell’impunità e nell’indifferenza nei loro paesi d’origine.
Il Congo e quell'usanza degli stupri di gruppoGiovanni Giacalone - Mar, 05/09/2017
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/con ... 37600.htmlIl congolese Guerlin Butungu, capobranco del ben noto gruppetto di stupratori di Rimini, ha agito con modalità tipiche di quello che in Africa è spesso noto come “gang rape” e guarda caso il Congo è uno di quei paesi dove tale fenomeno avviene con maggior frequenza.
La letteratura al riguardo abbonda sia sul web che sul cartaceo.
Non a caso nel 2010 la rappresentante ONU per le violenze sessuali, Margot Wallstrom, definiva il Congo “la capitale mondiale degli stupri”, che restano in gran parte impuniti, nonché “il posto più pericoloso al mondo per una donna”.
Le testimonianze sono numerose, come a Bukavu nel giugno del 2016, dove venivano denunciati numerosi casi di ragazze e ragazzine, anche giovanissime, prelevate di notte dalle proprie abitazioni assaltate da gruppi di stupratori, per essere violentate a turno nel bosco e poi gettate al suolo e abbandonate come “merce consumata”.
Una scena raccapricciante che ricorda molto le dinamiche che abbiamo visto a Rimini. Una coppia che viene assaltata, picchiata, lei stuprata e poi gettata in acqua… Al trans peruviano spetterà poi la stessa sorte.
Una gang spietata di violentatori che scorazza per la città pensando di poter fare il bello e il cattivo tempo. Chissà, magari Butungu pensava di essere ancora in Congo, o che in Italia funzionasse allo stesso modo.
Del resto esistono testimonianze di ex miliziani congolesi che parlano chiaro, come alcuni intervistati sul lago Kivu nel 2013 dal Guardian:
“Eravamo in venticinque e abbiamo stabilito che avremmo violentato dieci ragazze a testa…Io ne ho stuprate 53 ed anche bambine di cinque o sei anni”.
Un altro ventiduenne dichiarava:
“Non ho violentato perché ero arrabbiato, ma perché ci dava piacere. Quando siamo arrivati qui abbiamo incontrato tante donne. Potevamo fare quello che volevamo”.
Si è spesso sentito associare il gang-rape a guerriglie interne al Paese, ma quella è solo una parte del problema, perché il fenomeno è ben più vasto ed esteso.
Del resto anche in altri paesi africani, come ad esempio la Nigeria, i casi non mancano. Basta tornare al dicembre 2011 quando una donna venne aggredita e violentata a turno da cinque soggetti, tutto filmato in un video poi finito in rete. Nel filmato si vedono gli assalitori “all’opera” mentre ridono e la donna che a un certo punto, per la disperazione, chiede addirittura di essere uccisa. Un fatto raccapricciante che aveva generato orrore a livello mondiale, come documentava la BBC.
Non serve però andare troppo indietro nel tempo, perché lo scorso luglio in un campus dell’Ondo State in Nigeria, una studentessa veniva stuprata a turno da cinque ragazzi che avevano anche filmato il tutto con un telefonino.
Due mesi prima ad Ogba due soggetti di 25 e 30 anni violentavano una ragazzina di 13 nei pressi di una chiesa. Erano tutti e tre membri della stessa congregazione religiosa.
Nel 2016 un report pubblicato da Uchendu e Forae, due ricercatori dell’ Annals of Biomedical Studies/African Journals Online, rendevano noto come nella città nigeriana di Benin City il gang-rape stava diventando una vera e propria “epidemia”, con 133 casi in 6 anni.
Per concludere, in Africa la violenza sessuale sulla donna e il gang-rape sono non soltanto una consuetudine ma anche un crimine che resta molto spesso impunito. Spalancare indiscriminatamente le porte all’immigrazione dall’Africa, senza alcun filtro, implica l’elevato rischio di far entrare sul territorio anche personaggi che non hanno scrupoli a ripetere qui certe pratiche che sono “cosa comune” nei propri paesi d’origine.
Butungu era arrivato col “barcone” a Lampedusa, così come Usman Matammud, il violentatore-torturatore somalo operante in Libia e fortunatamente riconosciuto e segnalato da alcune sue ex vittime mentre si aggirava tranquillamente per la Stazione Centrale di Milano. Certe politiche irresponsabili giocano col fuoco e purtroppo sono i cittadini a bruciarsi.
Congo capitale degli stupri: l’inviata Onu definì il Paese di Butungu «il posto più pericoloso per una donna»Francesco Minardi
2017/09/05
http://www.nanopress.it/mondo/2017/09/0 ... nna/183249Il Congo, il Paese di origine di Guerlin Butungu, il capobranco accusato degli stupri di gruppo a Rimini, sarebbe «il posto più pericoloso al mondo per una donna». Margot Wallstrom, inviata speciale delle Nazione Unite per la violenza su donne e bambini nei conflitti, definì la Repubblica democratica del Congo «la capitale mondiale dello stupro».
La donna, era il 2010, spiegò: «Le donne non sono mai al sicuro: né sotto il tetto di casa propria, né dentro i loro letti, quando viene la notte. Vivono un’esistenza di paura e violenza».
Margot Wallstrom auspicò l’intervento dell’Onu affinché mettesse in moto interventi per proteggere le vittime e prevenire il reato: «Se le donne continuano a subire violenze sessuali, non dipende dal fatto che non esistano leggi per proteggerle ma perché queste leggi non vengono applicate come si deve».
Secondo i dati dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), in Congo nel primo trimestre del 2010 furono violentate 1.244 donne: «Una media di 14 violenze al giorno». In tantissimi casi si trattava dei cosiddetti “gang rape”, stupri di gruppo. Come a Rimini.
Tra le cause dell’impunità, secondo la Wallstrom, una società, quella congolese, «profondamente maschilista e patriarcale», con la tendenza a sminuire un reato grave e disgustoso.
Non che queste cose accadano solo nel paese africano. Basti pensare a quando, pochi mesi fa, un sindaco definì «una bambinata ormai passata» lo stupro di gruppo ai danni di una ragazzina. Dove? In Italia. A Pimonte, vicino Napoli.
L’ex militare congolese: «Ho stuprato 53 donne e bambine di cinque anni»
Le parole di Margot Wallstrom sono state ripescate sette anni dopo proprio per la nazionalità di Guerlin Butungu, il rifugiato congolese secondo le accuse a capo della banda che ad agosto ha stuprato a Rimini una turista polacca e una trans peruviana.
A proposito degli stupri in Congo, il Giornale (cavalcando l’attuale ansia anti-rifugiati) ha riportato anche degli spezzoni di un’intervista a due ex militari congolesi intervistati nel 2013 dal Guardian. Uno dei due raccontò: «Eravamo in venticinque e abbiamo stabilito che avremmo violentato dieci ragazze a testa… Io ne ho stuprate 53 ed anche bambine di cinque o sei anni».
Un altro: «Non ho violentato perché ero arrabbiato, ma perché ci dava piacere. Quando siamo arrivati qui abbiamo incontrato tante donne. Potevamo fare quello che volevamo».