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Terrorismo: il lato oscuro dell’OccidenteMarcello Pamio - 17 agosto 2005
http://www.disinformazione.it/terrorismo2.htmGli esperti dell’intelligence, gli analisti militari e anche qualche giornalista ben oliato, cercano con ogni mezzo di presentare l’annoso problema del terrorismo come un problema di civiltà, anzi come uno “scontro di civiltà”, per usare un termine caro allo stratega Samuel Huntington. Ovviamente la civiltà incriminata è quella islamica!
Tutti all’unisono, con la compiacenza dei media, puntano il dito contro l’estremismo islamico, le moschee, le scuole coraniche, il musulmano, il talebano, il diverso, ecc.
Risultato?
Le moschee da luoghi di culto sono diventate centri pericolosi di addestramento; il burka e il chador da semplici vestiti sono diventati scafandri da kamikaze; gli zainetti scolastici sulle spalle delle possibili bombe, fedeli che pregano in ginocchio dei possibili martiri, ecc.
Nessuno però di questi esperti internazionali si pone qualche semplice domanda: cos’è effettivamente il terrorismo? Cos’è questa rete chiamata al-Qaeda? Ma soprattutto: cosa spinge un giovane a riempirsi di tritolo e a farsi saltare in aria?
E’ semplice condizionamento religioso, come qualcuno vorrebbe farci credere? Bastano delle vergini in paradiso a spingere un ragazzo a immolarsi? O invece c’è dell’altro?
Non è facile rispondere, ma cercheremo di analizzare il problema per trovare, se esistono, eventuali soluzioni.
Cos’è il terrorismo
Partiamo dalla prima domanda: cos’è il terrorismo?
Per rispondere a questa domanda è necessario comprendere quali sono le differenze tra un kamikaze mediorientale che si fa saltare in aria uccidendo persone civili e un missile occidentale che fa saltare in aria un mercato o un quartiere uccidendo persone civili.
Mettiamo da parte gli ideali, religioso nel primo caso e materialistico nel secondo: la risposta, per usare un termine einsteniano, è relativa e dipende dal sistema di riferimento.
Da punto di vista di un iracheno un missile intelligente che massacra a Baghdad centinaia di persone civili è un atto terroristico criminale contro l’umanità, per l’occidente invece (una parte sempre più ristretta per fortuna) è lo scotto da pagare per avere la democrazia!
Quando un kamikaze fa una strage dentro un autobus in pieno centro, dal nostro punto di vista è un atto terroristico criminale, per il mediorientale (una parte sempre più ristretta per fortuna) è lo scotto da pagare per sconfiggere il Satana occidentale.
E allora, come la mettiamo?
Premetto che tutto quello che va contro la vita è da aborrire, ma cambiando il punto di riferimento, cambia la percezione anche se la sostanza è la stessa: sempre un atto criminale è. E infatti il terrorismo è un atto criminale il cui scopo è quello di creare terrore e paura. Quindi non esiste il “terrorismo islamico”, piuttosto che il “terrorismo arabo” piuttosto di quello “basco”, ecc.: esiste solamente “il terrorismo”.
In questa definizione rientrano tutti coloro che creano terrore e spavento.
Lascio a voi il compito di stilare una lista (preparate parecchi fogli) di nomi di personaggi politici e di presidenti che a livello mondiale foraggiano e creano il terrore.
Siamo arrivati al primo esame di coscienza:
le guerre per il petrolio, per l’oro, per i diamanti, per una posizione geostrategica o per esportare la democrazia, che ammazzano sempre e solo persone civili, sono molto diverse dal terrorismo cosiddetto islamico?
Cos’è al-Qaeda
Passiamo alla seconda domanda: cos’è al-Qaeda?
Quella che oggi viene definita “la rete di al-Qaeda” altro non è che una struttura militare creata, organizzata, armata e addestrata dalla CIA per bloccare e contrastare le truppe sovietiche in Afghanistan.
All’inizio si trattava di una vera e propria resistenza afgana, poi nel corso degli anni, e grazie ai parecchi soldi d’oltreoceano, si è trasformata o l’hanno trasformata in qualcosa d’altro...
Pensate che «fino al 1987 si stima che gli USA abbiano fornito a queste forze della guerriglia 65.000 tonnellate di armi, fra le quali i micidiali antiaerei Stinger, e aiuti economici fino a 470 milioni di dollari»[2]
Gli ultimi stanziamenti al regime afgano sono datati agosto 2001! Avete capito? Fino ad un mese prima del disastroso attentato alle Torri Gemelle, il Pentagono ha inviato soldi dei contribuenti ad un paese lontano e desolato! Ce n’è ancora: il signore del terrore, Osama bin Laden, l’ingegnere che ha studiato in Inghilterra nonché miliardario principe saudita, dal 4 al 14 luglio 2001 ha soggiornato nell’ospedale americano di Dubai.[3] La mente di al-Qaeda, la cellula numero uno, solamente 2 mesi prima dell’attentato di New York era ricoverato per problemi renali in un ospedale, e per di più americano…
E’ scontato che, cartina geografica alla mano, chi controlla l’Afghanistan può decidere quali saranno in futuro i destini energetici dell’area…
Quindi oggi, il nemico numero uno al mondo (se fosse ancora vivo!) è una creatura dei servizi segreti statunitensi.
Secondo esame di coscienza: fidarsi è bene, e non fidarsi è meglio si dice! Prima di scegliere le amicizie (il Saddam, l’Osama, ecc.), prima di scegliere le dittature da foraggiare e i governi da ribaltare, sarebbe bene prendere in seria considerazione tutte le possibile conseguenze.
Cosa spinge una persona a farsi saltare in aria
L’ultima domanda è sicuramente la più difficile: cosa spinge un giovane a immolarsi?
Quali motivazioni possono spingere un giovane a farsi detonare?
Prima di tentare una risposta è bene a questo punto smontare una volta per tutte il mantra classico che vuole inculcarci nelle nostre teste come l’origine di tutto sia stato l’11 settembre 2001 con l’attacco al cuore degli Stati Uniti. Assolutamente falso!
L’11 settembre ha decretato l’inizio della Terza Guerra Mondiale: Bene occidentale contro il Male islamico. Se andiamo però ad analizzare onestamente su quale terreno fertile il terrorismo di matrice islamica è nato e si è sviluppato, troveremo sempre lo zampino occidentale, cioè nostro. Non ci credete? So che è molto difficile da mandare giù.
Jung quando disse che «accettare se stessi senza riserve è la cosa più difficile», intendeva dire che accettarci per quello che siamo realmente, e cioè con i nostri pregi (il lato di luce) ma soprattutto con i nostri difetti (il lato d’ombra, o lato oscuro) non è facile. E aveva perfettamente ragione: è molto più semplice dare la colpa agli altri, al diverso, invece che guardarsi dentro. Ma noi siamo qui per crescere ed evolvere, giusto? E vogliamo anche trovare una risposta al terrorismo! Bene, proviamo una volta per tutte a tirare fuori il lato d’ombra occidentale.
Non serve granché, basta prendere in mano un qualsiasi libro di storia, per vedere come i paesi europei prima e la succursale britannica poi (America), hanno sempre messo a soqquadro le popolazioni e le risorse dei paesi dell’Africa, dell’Asia e del Medioriente. Pochissimi paesi sono riusciti a sfuggire alle sgrinfie colonialiste europee, e se possono vantare questo primato, lo devono solo alla scarsità delle risorse naturali del loro sottosuolo o ad una posizione geografica poco importante nello scacchiere internazionale.
Quali sono gli stati oggi che sfornano più terroristi? Iraq, Palestina, Arabia Saudita, Iran, e altri?
Andiamo per ordine e partiamo dall’Iraq.
Questo Stato sovrano nel 1991 subì l’attacco militare da parte statunitense per aver ufficialmente intrapreso una iniziativa bellica contro il Kuwait. Nessuno però ha il coraggio di dire che la guerra fu pensata, voluta e organizzata dall’allora presidente George Walker Herbert Bush. Ma veniamo ai fatti.
Il 16 gennaio 1990 l’ex ministro degli Esteri e vice primo-ministro Tareq Aziz, scrive una lettera al Segretario della Lega Araba avvertendo che «il Kuwait si sta inoltrando in modo pianificato e premeditato nel territorio dell’Iraq, costruendo installazioni militari, infrastrutture per le trivellazioni petrolifere e creando aziende agricole sul suolo iracheno»[4]
L’Iraq all’epoca era impegnato sull’altro fronte dalla guerra contro l’Iran.
In pratica le truppe militari del Kuwait penetrando illegalmente sempre più nel territorio iracheno, spostando volutamente le frontiere e costruendo stazioni di polizia hanno creato le condizioni per uno scontro armato.
La guerra non è stata spinta da motivi energetici, per il semplice fatto che l’Iraq non aveva bisogno di altro petrolio, era la seconda se non addirittura la prima riserva di oro nero del mondo.
Attenzione alle date:
L’Iraq ufficialmente entra in Kuwait nell’agosto del 1990. Casualmente dall’aprile dello stesso anno, e cioè 5 mesi prima dell’invasione, i principali media americani hanno scritto che Saddam Hussein era l’uomo più pericoloso del mondo, era il nemico della gente, aveva armi di distruzione di massa, ecc. ecc.
Non è un po’ strano tutto ciò? Perché questa campagna diffamatoria ad un ex collaboratore statunitense? Chi c’era dietro, e soprattutto chi ha istigato i kuwaitiani a una politica insensata? Il prezzo del greggio all’epoca era 21 dollari al barile: il Kuwait raddoppiò, non si sa bene perché, la produzione facendo crollare il prezzo a 8-9 dollari. In definitiva cominciarono a perdere denaro e a dare fondo alle riserve petrolifere! Nessuno sano di mente farebbe una cosa simile, se non ci fossero dietro altri scopi…
Ma quali scopi?
La lettera scritta da Tareq Aziz alla Lega Araba non ebbe risposta, e pertanto l’Iraq schierò l’esercito lungo la frontiera del Kuwait. Il 1 agosto la delegazione del Kuwait e quella dell’Iraq non raggiunsero un accordo, e il 2 agosto alle 1:30 di notte, l’esercito di Saddam passò la frontiera. La guerra che ne conseguì fa parte ahimé della storia.
Il 17 gennaio 1991 l’esercito degli Stati Uniti d’America, assieme a 31 paesi della coalizione diede il via all’operazione “Desert Storm”. Secondo un rapporto del Segretario della Difesa statunitense del 4 novembre 1997, le forze armate usarono munizioni di 105 e 120 mm compenetranti a uranio impoverito, e l’aeronautica lanciò missili perforanti A10 in 8077 voli.
L’aeronautica lanciò in totale 783.514 proiettili ad uranio impoverito da 30 mm , i quartieri generali dell’aviazione confermarono di aver fatto esplodere 64.436 proiettili da 25 mm , sempre radioattivi.
Le fonti ufficiali del governo americano e del ministero della Difesa britannico, affermano che la quantità totale di uranio impoverito lanciato sull’Iraq è stato di oltre 400 tonnellate!
I danni di tutto questo? Oltre 1.500.000 persone tra donne e bambini sono morti per gli effetti della contaminazione radioattiva e delle patologie ad essa collegate[5] (tumori, leucemie, malformazioni congenite, aborti e feti nati morti, ecc.). Basti ricordare la tristemente nota “Sindrome della Guerra del Golfo” che colpì i reduci militari.
Nessuno, dal Segretario delle Nazioni Unite alla Commissione Europea ha mandato esperti per verificare cosa realmente avvenne e quale crimine contro l’umanità è stato perpetrato.
Non ci furono controlli, come pure nessuno investigò sullo stranissimo comportamento del generale americano che guidò l’operazione “Desert Storm”. Norman Schwarzkopf infatti dopo la sconfitta di Saddam riconsegnò agli iracheni gli elicotteri catturati permettendogli il volo nel paese[6]. Con quegli elicotteri il criminale iracheno soppresse nel sangue (20.000 morti) la rivolta sciita di Najaf, Serbala, Bassora e Nassirya.[7] Perché fu permesso un simile scempio?
E perché Bush senior, alle porte di Baghdad fece tornare indietro l’esercito e non sconfisse definitivamente Saddam, se quello era il suo vero intendimento? Erano lì a pochi metri.
Forse aveva paura che la caduta dell’ex collaboratore portasse alla nascita di una repubblica islamica sul modello iraniano? Chissà…
Nessuno, tanto meno il sottoscritto, giustifica e accetta il terrorismo. Sia la guerra che il terrorismo vanno contro l’evoluzione dell’uomo. Però è d’obbligo morale cercare di comprendere. Comprendere cosa spinge una persona ad odiare un’altra fino a farsi ammazzare per ammazzarla.
Certamente una guerra illegittima come quella avvenuta in Iraq nel 1991, è un ottimo terreno fertile per coltivare e far crescete la pianta dell’odio. Sterminare senza motivo centinaia di migliaia di persone innocenti, inquinare il territorio per migliaia di anni con le radiazioni, significa accendere una miccia molto pericolosa.
Nessuno giustifica il terrorismo, ma una persona che ha vissuto sulla propria pelle un simile disastro umanitario, che ha visto morire i propri parenti dalle radiazioni occidentali, che ha visto morire di fame o di malattie gli amici cari, che ha perso la casa e tutto ciò che gli rimaneva, secondo voi, andrà in giro a dispensare amore e fratellanza? Andrà a professare la grandezza di dio, o è più facile che venga catturato da qualche gruppetto di estremisti esperti nell’addestrare le menti e fomentare l’odio contro il Satana occidentale? Che ne so, magari i Fratelli Musulmani, piuttosto che qualche setta wahabita saudita?
E’ molto più facile per una persona che non ha più alcuna voglia di vivere, che ha perso tutto quello che aveva di caro, farsi saltare in aria per un ideale distorto, rispetto ad una persona che ha vissuto relativamente in pace e non ha visto soprusi e violenze di ogni tipo.
Siamo partiti dall’Iraq e adesso saltiamo in Palestina, perché anche in questa zona molto particolare si sta giocando una partita che riguarda il mondo intero.
Tutti guardano preoccupati alla Terra Santa e nessuno fa nulla; tutti sanno dell’importanza di uno Stato Arabo assieme a quello d’Israele e nessuno muove un dito. Perché?
In questo caso però la colpa è dell’Inghilterra.
Il 2 novembre 1917 il Ministro degli Esteri britannico, Arthur James Balfour scrive una lettera, diventata la famosa “Dichiarazione Balfour”, al Lord Rothschild, il filantropo più potente della Federazione Sionista, nella quale si pone l’accento sulla costituzione «in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico». In pratica è una dichiarazione di simpatia del governo inglese per le aspirazioni sioniste.
Qualcuno, a ben donde, vide questa dichiarazione come un vero e proprio tradimento delle promesse fatte! Nell’ottobre 1915 infatti una serie di lettere tra Thomas Edward Lawrence (il famoso Lawrence d’Arabia) e lo sceriffo della Mecca, Hussein, dicevano che la Gran Bretagna negoziava con gli arabi un accordo per sollevare le tribù dell’esercito turco-tedeschi e in cambio prometteva di costruire il Grande Impero Arabo. Gli arabi hanno mantenuto la parola, e il 15 settembre 1919 le truppe inglesi prendevano stabile possesso della Palestina.
Risultato: iniziò l’immigrazione ebraica in Palestina e gli arabi non videro alcuno Stato!
Dopo l’immane tragedia dell’Olocausto si cercò un posto nel mondo dove creare lo Stato d’Israele, e invece di crearlo nel paese che causò l’ecatombe, e cioè la Germania , si pensò alla Palestina. Gli Stati Uniti riconobbero immediatamente lo Stato ebraico.
Non possiamo sapere se Gore Vidal ha ragione quando scrisse nel libro di Israel Shahak che «nel 1948 Harry Truman fu avvicinato da un sionista americano sul treno elettorale che gli consegnò una valigetta con dentro 2 milioni di dollari in contanti. Ecco perché gli Stati Uniti riconobbero immediatamente lo Stato d’Israele»
Quello che sappiamo è che gli inglesi prima e gli americani poi si sono dimenticati di una promessa fatta e di un intero popolo: quello arabo!
Tutto questo ha portato a gratuiti malesseri e profondi disagi nella società palestinese e araba in genere. La goccia poi che ha fatto traboccare il vaso è avvenuta nel 1967, quando lo Stato d’Israele occupa illegalmente la Cisgiordania e le alture del Golan.
Oggi il governo Sharon si sta muovendo, anche in maniera vigorosa, per la restituzione di alcune colonie, ma il vero problema è un muro di cemento alto ben 8 metri . Questa costruzione illegittima e moralmente deprecabile non segue i confini del 1967, e alla fine della realizzazione, i territori palestinesi saranno ulteriormente ridotti, creando una specie di lagerizzazione geografica deleteria e molto pericolosa.
Tutto questo non può aiutare in nessun modo il processo di pace: semmai fomenta odio, rabbia, violenza e di conseguenza il terrorismo!
Numerose sono le generazioni d’israeliani nate e vissute in quella terra, e giustamente la considerano la loro patria, ma lo stesso vale anche per gli arabi.
Gli esperti lo sanno bene: innalzare muri contro il terrorismo non serve a nulla, quello che serve sono “ponti umanitari”, coscienza, comprensione, fratellanza!
Terzo esame di coscienza:
Non sappiamo nulla della natura umana; non conosciamo dove e come nascono i sentimenti, le emozioni, le angosce, ecc. per cui non possiamo conoscere cosa muove e spinge un terrorista al suicido. Per noi è certamente un crimine (e infatti lo è), ma lo è anche muovere guerre ingiuste, ammazzare centinaia di migliaia di persone civili con missili intelligenti o con un calibrato embargo, ecc. Cambia il punto di riferimento ma il concetto della involuzione è lo stesso.
Il discorso che ho appena fatto per l’Iraq e la Palestina si può estendere a moltissimi altri paesi finiti sotto l’egemonia coloniale europea e americana.
Soluzioni per il terrorismo
Esistono delle soluzioni per il terrorismo? Non lo sappiamo, ma le proposte degli esperti fanno ridere i polli. Nessuno qui ha la bacchetta magica, il nostro strumento principale è il cervello, un po’ di neuroni e soprattutto buon senso. Noi però crediamo fermamente che è solo cercando di comprendere le ragioni dell’altro, facendo un serio e profondo esame di coscienza, che possiamo sperare in un vero dialogo!
Con le guerre, con le bombe, con i muri si avranno solo che morti, cadaveri, terrore e divisioni.
Le soluzioni che ci sono venute in mente rappresentano solo una piccola parte delle possibili, ma sono tutte realizzabili. Hanno solo un difetto piccolo: si scontrano con interessi geopolitici ed economici enormi e cozzano contro quelle correnti oscure che utilizzano la situazione odierna di costante paura e terrore per poter controllare e governare meglio le masse.
- Lanciare una Fatwa che separi definitivamente al-Qaeda da tutti i veri musulmani. Sappiamo bene che al-Qaeda non c’entra nulla con l’islam, per cui tutti i musulmani del mondo hanno il diritto e dovere di prendere le distanze da criminali terroristi;
- Uscita immediata delle truppe militari di occupazione da Iraq, Afghanistan e da qualsiasi altro paese mediorientale. Smantellamento di tutte le basi ed entrata delle forze di pace internazioni arabe;
- Abbattimento immediato del muro in Palestina, non solo perché considerato illegale dalla Corte di Giustizia Internazionale dell’AIA, ma soprattutto perché non serve a prevenire il terrorismo;
- Creazione di uno Stato Palestinese riconosciuto da Europa, Stati Uniti e soprattutto Israele;
- Controllo serio dei flussi di denaro che partono dall’Arabia Saudita e che vanno nelle madrasse coraniche (scuole) per poi arrivare ai gruppi fondamentalisti («Alla base della casa regnante saudita c’è la setta Wahabita, una delle tante dell’islam: una setta integralista che dà una lettura molto restrittiva delle norme del Corano»[11]);
- Eliminazione del cosiddetto brodo di cultura nei paesi mediorientali. Aiuti e finanziamenti per la creazione di scuole serie che permettano lo studio corretto e non integralista del Corano;
- Impedire qualsiasi ingerenza e/o intromissione occidentale nelle politiche locali dei paesi mediorientali;
- Impeachment (accusa, incriminazione) per «menzogna alla popolazione», «crimini contro l’umanità», e per aver «fomentato il terrorismo» a coloro che hanno voluto e collaborato a questa guerra ingiusta, illegale e illegittima;
- Rivedere i sistemi elettorali nel mondo anglosassone;
- Apertura dell’OPEC alla possibilità di uno scambio diretto petrolio-euro.
- Dirottare gli oltre 1000 miliardi di dollari (spesi l’anno scorso) per le armi verso le energie sostenibili ed ecologiche, in modo da non dipendere più dall’Arabia;
- ecc. ecc.
Non sappiamo se la realizzazione di questi punti, o di una parte di essi, sortirà i benefici paventati: certamente non aggraverà la già preoccupante situazione odierna!http://www.disinformazione.it/venderelaguerra.htm La madre di tutte le bugie
Estratto dal libro: «Vendere la guerra»
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La storia dei neonati strappati alle incubatrici dai soldati iracheni durante la prima Guerra del Golfo è l'ennesima dimostrazione di un principio, da tempo compreso dai propagandisti, secondo cui una bugia ripetuta tante volte finisce per essere accettata come verità.
L'offuscamento dei confini tra la verità e il mito non è certamente iniziato con l'Amministrazione Bush. La disinformazione ha fatto parte della guerra almeno dai giorni di Alessandro Magno, che disseminava grosse corazze lungo il percorso delle sue truppe in ritirata, per far credere al nemico che i suoi soldati fossero dei giganti.
L'aneddoto sul trucchetto di Alessandro Magno di solito viene raccontato ai soldati nella prima lezione di addestramento in operazioni psicologiche (spesso dette "psyop").
In un documento dell'aeronautica Usa del 1998, intitolato Information Operations, si dichiara che "le operazioni di informazione vengono applicate in tutto il raggio d'azione delle operazioni militari, dalle missioni di pace al pieno conflitto... è importante sottolineare che la guerra dell'informazione è una formula che viene attuata in tutte le attività dell'aeronautica, dalla pace alla guerra, allo scopo di consentirne l'effettiva esecuzione di tutti i compiti... L'esecuzione di operazioni d'informazione in ambito aeronautico, spaziale e cyberspaziale attraversa tutti gli aspetti del conflitto"(si osservi l'uso del "doublespeak" [o "linguaggio doppio", NdT] nel contesto dei termini "pace" e "operazioni militari").
Il documento Information Operations contiene sezioni intitolate "operazioni psicologiche", "guerra elettronica", "attacco informativo", "controinganno" e "inganno militare".
Nel mondo attuale, si dichiara: "la crescente infrastruttura dell'informazione trascende l'industria, i media, l'esercito, e coinvolge entità governative e non governative. e' caratterizzata da una fusione di reti e tecnologie militari e civili... In realtà, un notiziario, un comunicato diplomatico o un messaggio militare contenente l'ordine di esecuzione di un'operazione, dipendono tutti dalla [infrastruttura dell'informazione globale]".
In questo contesto, le psyop "sono ideate per trasmettere indizi e informazioni selezionati ai leader e al pubblico straniero, allo scopo di influenzarne le emozioni, gli stimoli, le motivazioni obiettive e infine il comportamento", mentre "l'inganno militare confonde gli avversari, portandoli ad agire in base all'obiettivo dei suoi artefici".
In pratica, si dice sul documento citando lo stratega militare cinese Sun Tzu, "tutte le operazioni di guerra sono basate sull'inganno".5
La vicenda dei "neonati strappati alle incubatrici"6 dai soldati iracheni ha contribuito alla creazione del sostegno pubblico alla prima Guerra nel Golfo Persico. Al momento della sua diffusione, la storia venne largamente creduta e non vi fu alcuna smentita fino alla fine della guerra. Da allora, alcuni giornalisti e organizzazioni umanitarie hanno svolto delle indagini, giungendo alla conclusione che si trattava di un falso. Il fatto venne considerato gravissimo negli ambienti stessi delle pubbliche relazioni, eppure parte del pubblico crede ancora che sia vero.
Dopo il 2 agosto 1990, data dell'invasione del Kuwait da parte dell'Iraq, gli Stati Uniti dovettero fare dietro front alla svelta. Per circa un decennio, sino ad allora, Hussein era stato un alleato degli Usa nonostante le condanne dei gruppi internazionali per i diritti umani.
La Hill & Knowlton, in quel periodo la più grande agenzia di pubbliche relazioni del mondo, fu l'ideatrice della massiccia campagna messa in atto per convincere gli americani ad appoggiare una guerra di liberazione del Kuwait occupato dall'Iraq.7
Gran parte del denaro per finanziare la campagna in favore della guerra proveniva dal governo kuwaitiano stesso, che sottoscrisse un contratto con la H&K nove giorni dopo l'entrata dell'esercito di Saddam nel paese.
La Hill & Knowlton creò il gruppo "Citizens for a Free Kuwait", una classica operazione di propaganda ideata per celare la sponsorizzazione del governo kuwaitiano in combutta con l'Amministrazione Bush senior. Durante i sei mesi successivi, il governo kuwaitiano stanziò circa 12 milioni di dollari per il Citizens for a Free Kuwait, mentre il restante finanziamento ammontava a 17.861 dollari e proveniva da 78 singoli donatori. Praticamente, tutto il budget del gruppo - 10.800.000 dollari - andò come compenso alla Hill & Knowlton. 8
I documenti archiviati al Dipartimento di Giustizia Usa dimostravano che 119 funzionari della H&K dislocati in 12 uffici in tutti gli Stati Uniti lavoravano per conto del Kuwait. L'agenzia organizzò le interviste agli esponenti kuwaitiani, la celebrazione del "Giorno di liberazione nazionale del Kuwait" e altre manifestazioni pubbliche, la distribuzione di notizie e kit informativi, e collaborò alla diffusione presso giornalisti influenti e l'esercito Usa di oltre 200.000 copie di una mini guida di 154 pagine sulle atrocità compiute dall'Iraq, intitolata The Rape of Kuwait (Lo stupro del Kuwait, NdT).9 Le dimensioni della campagna Hill & Knowlton misero in soggezione persino l'O'Dwyer's PR Services Report, una delle maggiori pubblicazioni nel settore delle pubbliche relazioni. L'editore Jack O'Dwyer scrisse che la Hill & Knowlton "ha assunto un ruolo senza precedenti come agenzia di pubbliche relazioni nella politica internazionale". La H&K ha impiegato un'incredibile varietà di tecniche e accorgimenti per la creazione di un'opinione pubblica favorevole al sostegno degli Usa al Kuwait... Tra le tecniche rientravano le esaurienti conferenze in cui venivano descritte le torture e le altre violazioni dei diritti umani compiute dal regime iracheno, e la distribuzione di migliaia di magliette con lo slogan 'Free Kuwait' e adesivi nei campus universitari in tutti gli Stati Uniti".10
Tutti i grandi eventi mediatici hanno bisogno di quello che i giornalisti e i pubblicitari chiamano "aggancio". L'aggancio ideale e' l'elemento centrale affinché una vicenda faccia notizia, provochi una forte risposta emotiva e rimanga impressa nella memoria.
Per la campagna sul Kuwait, l'aggancio arrivò il 10 ottobre 1990, quando l'Assemblea congressuale per i diritti umani tenne un'udienza a Capitol Hill, presentando ufficialmente per la prima volta le violazioni dei diritti umani dell'Iraq. L'udienza apparve come un normale procedimento congressuale ufficiale ma non era esattamente così.
Sebbene l'Assemblea fosse presieduta dai deputati Tom Lantos e John Porter, non era una commissione ufficiale del Congresso. Soltanto pochi osservatori hanno notato l'importanza di questo dettaglio. Tra questi vi era John MacArthur, autore di The Second Front, che resta il miglior libro mai scritto sulla manipolazione delle notizie durante la prima Guerra del Golfo. "L'Assemblea sui diritti umani non e' una commissione del Congresso, quindi e' libera da quelle implicazioni legali che farebbero esitare un testimone prima di mentire", ha osservato MacArthur. "Mentire sotto giuramento di fronte a una commissione congressuale e' reato; mentire dietro l'anonimato di fronte a una riunione al vertice e' soltanto diplomazia".11 La testimonianza più commovente del 10 ottobre fu quella di una ragazzina kuwaitiana di 15 anni, identificata soltanto per nome, Nayirah. Secondo l'Assemblea, il cognome di Nayirah restava riservato per evitare ritorsioni irachene contro la sua famiglia che si trovava nel Kuwait occupato. Singhiozzando, la ragazzina descrisse ciò che aveva visto con i suoi occhi in un ospedale di Kuwait City. La trascrizione della sua testimonianza venne diffusa in un kit informativo del Citizens for a Free Kuwait. "Ero volontaria all'ospedale al-Addan", raccontò Nayirah. "Mentre ero lì, ho visto i soldati iracheni entrare nell'ospedale con i fucili e dirigersi nelle camere dove si trovavano i bambini nelle incubatrici. Hanno tolto i bambini, hanno portato via le incubatrici e li hanno lasciati morire sul pavimento gelido." Continuò affermando che questo era accaduto a "centinaia" di bambini.12
Passarono tre mesi dalla testimonianza di Nayirah all'inizio della guerra. Durante questi mesi, la storia dei bambini tolti dalle incubatrici veniva ripetuta in continuazione. La raccontò il Presidente Bush. Fu raccontata durante le testimonianze al Congresso, nei talk show in TV, alla radio e al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Amnesty International riporto' la denuncia in un rapporto sui diritti umani del dicembre 1990, dichiarando che "oltre 300 neonati prematuri sarebbero deceduti dopo essere stati tolti dalle incubatrici portate via dai soldati iracheni".13
"Di tutte le accuse mosse contro il dittatore", osservò MacArthur, "nessuna ebbe più impatto sull'opinione pubblica americana di quella secondo cui i soldati iracheni avrebbero tolto 312 neonati dalle incubatrici lasciandoli morire sul pavimento gelido dell'ospedale di Kuwait City".14
All'Assemblea sui diritti umani, tuttavia, la Hill & Knowlton e il deputato Lantos non avevano detto che Nayirah era un membro della famiglia reale kuwaitiana. Infatti suo padre e' Saud Nasir al-Sabah, l'ambasciatore del Kuwait negli Stati Uniti, anch'egli presente nell'aula dell'assemblea durante la testimonianza. L'Assemblea non rivelò inoltre che il vice presidente della Hill & Knowlton, Lauri Fitz-Pegado, aveva istruito Nayirah per la testimonianza.15
Dopo la guerra, alcuni investigatori sui diritti umani cercarono conferme sulla storia di Nayirah, senza trovare alcun testimone o altre prove che potessero sostenerla. John Martin di World News Tonight dell'ABC visitò l'ospedale al-Addan e intervistò il dottor Mohammed Matar, direttore del sistema sanitario del Kuwait, e sua moglie, la dottoressa Fayeza Youssef, che dirigeva il reparto di ostetricia dell'ospedale. Secondo la loro testimonianza, le accuse di Nayirah erano false. In tutto il Kuwait erano disponibili pochissime incubatrici, non certamente le "centinaia" citate da Nayirah, e nessuno aveva visto soldati iracheni strappare neonati alle macchine. "Credo si sia trattato solo di propaganda", disse Matar.16 La testimonianza di Martin portò all'avvio di un'indagine indipendente di Amnesty International, che al tempo della testimonianza di Nayirah aveva preso per buona la storia dei "neonati strappati alle incubatrici".
Anche gli investigatori di Amnesty International non trovarono "prove credibili" che confermassero la storia e smentirono il loro precedente rapporto.17 "Siamo convinti... che la vicenda dei neonati deceduti non sia avvenuta nelle proporzioni inizialmente riferite, qualora sia effettivamente avvenuta", ha riportato un portavoce di Amnesty International.18
Anche Middle East Watch, un'altra organizzazione sui diritti umani, ha svolto un'indagine propria, concludendo che la storia fosse una mistificazione. Il direttore di Middle East Watch, Aziz Abu-Hamad, che ha condotto un'indagine di tre settimane in Kuwait dopo la guerra, ha dichiarato: "Le ricerche accurate di Middle East Watch non hanno prodotto alcuna prova per sostenere queste accuse. Dopo la liberazione del Kuwait, abbiamo visitato tutti gli ospedali nei quali secondo la testimonianza sarebbero accaduti tali episodi. Abbiamo intervistato i dottori, le infermiere e gli amministratori e abbiamo consultato gli archivi delle strutture. Ci siamo anche recati nei cimiteri e abbiamo esaminato i registri. Sebbene avessimo chiari risconti sulle varie atrocità commesse dagli iracheni, non ne abbiamo trovato alcuno sull'accusa secondo cui i soldati iracheni avrebbero tolto i neonati dalle incubatrici lasciandoli morire. Alcuni testimoni del governo kuwaitiano, che durante l'occupazione irachena avevano sostenuto la veridicità della storia delle incubatrici, hanno cambiato idea e altri sono stati screditati. La diffusione di resoconti falsi sui crimini commessi reca un grave danno alla causa dei diritti umani. In questo modo si distoglie l'attenzione dalle reali violazioni commesse dall'esercito iracheno in Kuwait, compresa l'uccisione di centinaia di persone e la detenzione di migliaia di cittadini kuwaitiani e non, centinaia dei quali sono ancora dispersi"19
Perché inventare queste storie quando il regime di Saddam Hussein offre una vastità di crimini veri? Non vi e' alcun dubbio che fosse un dittatore brutale, colpevole di aver torturato e ucciso migliaia - o meglio, centinaia di migliaia - di persone innocenti. Una spiegazione potrebbe essere che storie come quella sugli "assassini di neonati" rappresentano l'"aggancio" per la propaganda di guerra. Durante la Prima Guerra Mondiale, ad esempio, i francesi e gli inglesi avevano diffuso storie (mai documentate o confermate) secondo cui i soldati tedeschi avevano sparato a un bambino di due anni e "tagliato le braccia di un bambino rimaste appese alle vesti della madre", la vicenda venne ricamata ulteriormente quando un giornale francese pubblicoò un disegno raffigurante soldati tedeschi che mangiavano mani.20
Se gli organizzatori di guerra degli Stati Uniti volevano attaccare l'etichetta di "assassino di neonati" al collo di Saddam, avrebbero comunque potuto farlo in modo onesto. Delle 5.000 persone uccise dal gas di Saddam, nel villaggio dei curdi iracheni di Halabja nel 1988, il 75% erano donne e bambini. Il problema e' che l'episodio di Halabja e altri che videro l'utilizzo di armi chimiche, avvenivano mentre l'Iraq riceveva sostegno economico e militare dagli Stati Uniti.
"Ad ogni modo, la posizione dell'America su Halabja e' vergognosa" disse Joost R. Hiltermann di Human Rights Watch, l'organizzazione che ha svolto indagini approfondite sulla vicenda di Halabja. Infatti, il Dipartimento di Stato Usa aveva persino "dato istruzioni ai diplomatici di riferire che parte della responsabilita' ricadeva sull'Iran. Il risultato di tale sofisticheria fu che la comunità internazionale smise di raccogliere gli appelli per una ferma condanna dell'Iraq per un atto efferato quanto l'attacco al World Trade Center."21
Durante la campagna per la guerra nel 1990, l'atrocità commessa a Halabja e il tacito consenso del Dipartimento di Stato erano fatti così recenti che sarebbe stato difficile per la prima Amministrazione Bush convincere qualcuno dell'onesta' della sua indignazione morale. Dire la verità avrebbe suscitato troppe domande imbarazzanti. La campagna a favore della guerra intendeva raccontare la verità sulla natura del regime di Saddam Hussein ma per proteggersi dalle enormi conseguenze di quella verità era necessario ricorrere a quello che Churchill o Rumsfeld chiamerebbero una "scorta di bugie".
Pertanto, durante la pianificazione dell'operazione "Tempesta del Deserto", la prima Amministrazione Bush ha evitato di menzionare l'episodio di Halabja, e i giornalisti ne hanno parlato raramente.
Una ricerca nel database delle notizie di LexisNexis mostra che negli Stati Uniti la vicenda di Halabja e' stata menzionata in 188 articoli durante il 1988 (l'anno in cui si e' verificato il fatto). e' stata tuttavia citata raramente nell'anno successivo: in 20 articoli nel 1989 e solo in 29 nel 1990, l'anno in cui Saddam invase il Kuwait. Nell'intervallo di tempo tra l'invasione del Kuwait, 2 agosto 1990 e la fine dell'operazione "Tempesta del Deserto", 27 febbraio 1991, vi sono stati soltanto 39 riferimenti a Halabja.
Nel decennio successivo, la media e' stata di 16 riferimenti l'anno. Durante le elezioni presidenziali del 2000, sono stati soltanto 10.
Effettivamente la vicenda non e' ricomparsa sui media statunitensi fino al settembre 2002, quando l'Amministrazione di George W. Bush ha iniziato la pressione pubblica per la guerra in Iraq. Da allora, i riferimenti iniziano ad aumentare notevolmente. L'episodio di Halabja e' stato riportato 57 volte soltanto nel mese di febbraio 2003. In marzo, il mese dell'inizio della guerra, lo e' stato 145 volte. Erano passati quasi 15 anni, i ricordi si erano sbiaditi e si poteva tranquillamente parlare dell'uccisione con il gas dei cittadini iracheni da parte di Saddam. Furono pochi i giornalisti che scrivendo di Halabja nel 2002 e nel 2003 si sono presi la briga di menzionare il fatto che Saddam aveva commesso le atrocità peggiori mentre il padre dell'attuale Presidente lo ricopriva di aiuti finanziari.
In ben altro modo sono andate le cose dopo il racconto di Nayirah sui "neonati strappati alle incubatrici". Secondo lo stesso database di Lexis-Nexis, la storia dei neonati tolti dalle incubatrici ha ricevuto 138 citazioni durante i sette mesi intercorsi tra l'invasione del Kuwait e la fine dell'operazione "Tempesta del Deserto". Subito dopo la fine della guerra, i giornalisti, una volta andati negli ospedali kuwaitiani e raccolte le testimonianze del personale ospedaliero secondo il quale la storia era falsa, hanno iniziato a ridimensionare la versione originale. Dopo il 1992, la storia e' quasi del tutto scomparsa, con una media di appena 10 citazioni all'anno nel decennio successivo. Tuttavia, la vicenda dei neonati riaffiorò brevemente nel dicembre 2002, quando il canale HBO trasmise in anteprima un documento "basato su una storia vera" dal titolo "Live From Baghdad", nel quale si ripercorrevano le avventure di Peter Arnett e di altri giornalisti della CNN durante l'operazione "Tempesta del Deserto".
"Live From Baghdad" includeva l'intero servizio sulle dichiarazioni di Nayirah e di alcuni osservatori, dando l'impressione che la storia fosse vera.
In risposta alle proteste suscitate dall'osservatorio sui media FAIR, la HBO aggiunse una nota alla fine dei titoli di coda, in cui si ammetteva che "le accuse mosse ai soldati iracheni di aver tolto i neonati dalle incubatrici... non sono mai state comprovate".22 Naturalmente, la nota e' stata vista soltanto dai pochi telespettatori che hanno letto i titoli di coda. Prima dell'inserimento della nota, il critico televisivo del Washington Post Tom Shales, nella sua recensione di "Live From Baghdad", aveva scritto: "L'orrore compiuto in Kuwait ritorna vivido durante una sequenza in cui [Robert, il produttore della CNN] Wiener e la sua troupe viaggiano attraverso il Kuwait per indagare sulle accuse secondo cui i soldati iracheni avrebbero strappato via dei neonati alle incubatrici durante un saccheggio, ricordate?".23
Sarebbe ingiusto puntare il dito contro Shales per aver rievocato un fatto mai accaduto. Il racconto di Nayirah sulle incubatrici e' soltanto l'ennesima dimostrazione di un principio, da tempo compreso dai propagandisti, secondo cui una bugia ripetuta tante volte finisce per essere accettata come verità.
John Stauber e' il fondatore e il direttore del "Center for Media & Democracy", un istituto che analizza la propaganda condotta dalle multinazionali e dai governi. Lui e Sheldon Rampton pubblicano su "PR Watch", l'osservatorio Usa sull'industria delle pubbliche relazioni.
Note:
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https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_del_GolfoIl 2 agosto del 1990 il ra‘īs (presidente) iracheno Saddam Hussein invase il vicino Stato del Kuwait per via delle sue grandissime riserve di petrolio. Le ragioni dell'invasione vanno rintracciate su due livelli: il primo, consistente in una prova di forza con gli Stati Uniti ed i loro alleati, come conseguenza dell'ambigua politica mediorientale portata avanti dal governo di Washington durante e dopo la Guerra Iran-Iraq[senza fonte]; il secondo rivendicando l'appartenenza del Kuwait alla comunità nazionale irachena, sulla scorta del comune passato ottomano e di una sostanziale identità etnica, malgrado tuttavia l'Iraq avesse riconosciuto l'indipendenza del piccolo Emirato del golfo Persico quando questo era stato ammesso alla Lega araba.
L'invasione provocò delle immediate sanzioni da parte dell'ONU che lanciò un ultimatum, imponendo il ritiro delle truppe irachene. La richiesta non conseguì risultati e il 17 gennaio 1991 le truppe degli Stati Uniti, supportate dai contingenti della coalizione penetrarono in Iraq. Le operazioni di aria e di terra furono chiamate, dalle forze armate della coalizione Operation Desert Storm motivo per cui spesso ci si riferisce alla guerra usando la locuzione "Tempesta nel deserto". L'intervento della coalizione anti-irachena ha trovato la sua motivazione più concreta nelle risorse di petrolio e nel blocco dei capitali kuwaitiani sulle piazze finanziarie americane, asiatiche ed europee, causato dall'invasione irachena.
https://it.wikipedia.org/wiki/Invasione_del_KuwaitIl Kuwait era un ottimo alleato dell'Iraq durante la guerra Iran-Iraq poiché possedeva il più importante porto del golfo Persico, dopo che quello di Basra venne distrutto nei combattimenti. Tuttavia, a guerra conclusa, le relazioni tra i due paesi crollarono a causa di ragioni economiche e diplomatiche che culminarono nell'invasione irachena del Kuwait.
Disputa sul debito finanziario
Il Kuwait finanziò pesantemente l'Iraq durante la guerra con l'Iran, inimicandosi così la nazione persiana. Quest'ultima colpì più volte i depositi di carburante nel 1984 e il personale dell'isola di Bubiyan nel 1988.
Alla fine della guerra tra Iraq ed Iran, gli iracheni non erano nella posizione finanziaria di ripagare i 14 miliardi di dollari che il Kuwait aveva prestato loro; non potendo quindi ripagare il debito, gli iracheni diedero il via all'invasione. L'Iraq affermò che la guerra era cominciata per prevenire l'ascesa dell'influenza persiana nel Mondo arabo. Tuttavia, la riluttanza kuwaitiana a condonare il debito portò all'attrito tra i due paesi arabi. Alla fine del 1989, furono organizzati diversi incontri ufficiali tra i leader dei due paesi ma non si riuscì a trovare un accordo.
Guerra economica e perforazioni petrolifere
Nel 1988, il Ministro del Petrolio iracheno, Issam al-Chalabi, ribatté contro l'ulteriore riduzione della quota di produzione del petrolio ai membri dell'OPEC, a causa del surplus di produzione degli anni ottanta. Chalabi affermò che se il prezzo del petrolio fosse cresciuto gli introiti dell'Iraq sarebbero aumentati e il paese sarebbe stato in grado di pagare il debito di 60 miliardi di dollari. Tuttavia, a causa della propria industria petrolifera, il Kuwait fece poco riferimento al prezzo del petrolio greggio e, nel 1989, richiese il permesso all'OPEC di incrementare la propria produzione totale di petrolio del 50%, fino a un milione e trecentocinquantamila barili al giorno. Per la maggior parte degli anni '80, la produzione del Kuwait fu considerevolmente oltre il consentito dall'OPEC e questo evitò un aumento del prezzo del greggio. Una mancanza di consenso tra i membri dell'ente internazionale minò i tentativi iracheni di porre fine al surplus iracheno e di riprendersi dalla guerra. Secondo l'ex-Ministro degli Esteri iracheno, Tariq Aziz, "ogni dollaro in più sul prezzo di un barile di petrolio causava un miliardo di dollari in più di rendita innescando una forte crisi finanziaria a Baghdad." Si stima che tra il 1985 e il 1989, gli iracheni persero 14 miliardi di dollari all'anno a causa della strategia adottata al prezzo del petrolio kuwaitiano. Il rifiuto del Kuwait di diminuire la produzione di petrolio venne visto dall'Iraq come un atto d'aggressione nei suoi confronti.
Le crescenti tensioni tra le due nazione furono ulteriormente aggravate quando l'Iraq affermò che il Kuwait sta perforando lungo il confine nella regione della Rumaila appartenente all'Iraq stesso. La disputa sulla regione nacque già nel 1960 quando una dichiarazione della Lega Araba stabilì che il confine tra i due paesi fosse a circa 3 km a nord del confine più meridionale della Rumaila. Durante la guerra Iraq-Iran, le perforazioni irachene nella regione diminuirono mentre crebbero le operazioni di trivellamento del Kuwait. Nel 1989, l'Iraq accusò il Kuwait di usare "tecniche di perforazioni avanzate" per estrarre petrolio dalla loro parte della Rumaila. Gli iracheni stimarono che 2,4 miliardi di dollari di petrolio, che sarebbero dovuti finire nelle casse dell'Iraq, furono "rubati" dal Kuwait, chiedendo poi un rimborso. Il Kuwait ribatté che le accuse erano false e che si trattava di una scusa adottata dagli iracheni per giustificare azioni militari contro di loro. Diverse imprese straniere che lavoravano in Rumaila confermarono che si trattava di una "cortina di fumo per mascherare le intenzioni più ambiziose dell'Iraq".
Il 25 luglio 1990, solo pochi giorni prima dell'invasione irachena, l'OPEC comunicò che il Kuwait e gli Emirati Arabi Uniti si erano accordati per limitare la produzione giornaliera ad un milione e mezzo di barili, decretando potenzialmente una divergenza tra la politica petrolifera del Kuwait e dell'Iraq. All'epoca, più di 100 000 soldati iracheni erano dispiegati lungo il confine tra Iraq e Kuwait e degli ufficiali americani indicarono un lieve calo delle tensioni nonostante le decisioni dell'OPEC.
Pretese egemoniche irachene
Gli iracheni non affermarono mai di aver invaso il Kuwait per prendere il controllo delle riserve petrolifere ma di averlo fatto perché consideravano il Kuwait come parte dell'Iraq, separatosi a causa dell'imperialismo britannico. Dopo la firma della Convenzione anglo-ottomana del 1913, il Regno Unito strappò il Kuwait dall'Impero ottomano. Il governo iracheno affermò inoltre che l'Emiro del Kuwait era una figura molto impopolare. Rovesciando l'Emiro, l'Iraq dichiarò di voler garantire una estesa libertà politica ed economica ai kuwaitiani.
Il Kuwait fu quindi tolto al Governatorato ottomano di Basra e, anche se la famiglia reale al-Sabah aveva concluso un accordo con i britannici per la gestione degli affari esteri nel 1899, non aveva mai cercato la secessione dall'Impero Ottomano. Per questa ragione, i confini con la provincia di Basra non furono mai ben definiti e riconosciuti. Oltretutto, gli iracheni sentenziarono che l'Alto Commissariato Britannico "disegnò i confini impedendo deliberatamente all'Iraq l'accesso all'oceano in modo che l'eventuale futuro governo iracheno non avrebbe potuto minacciare il dominio britannico del golfo".
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Nel dicembre 2002, Saddam Hussein si scusò ufficialmente per l'invasione del Kuwait, poco tempo prima di essere deposto in seguito alla seconda guerra del Golfo. Due anni dopo, anche la leadership palestinese si scusò per il loro supporto a Saddam in tempo di guerra. Un alleato di lunga data dell'Iraq, il presidente yemenita Ali Abdullah Saleh, sostenne l'invasione del Kuwait e, a guerra finita, il governo kuwaitiano deportò in massa gli yemeniti presenti nel loro paese.
Iraq: i motivi dell'invasione del Kuwait
Un approfondimento a cura di Studenti.it sulle principali vicende storiche che hanno visto protagonista l'Iraq
di Carlotta Ricci 5 ottobre 2007
http://www.studenti.it/maturita/iraq5.phpSaddam Hussein era salito al potere in Iraq nel 1968 con un colpo di stato; nel corso dei successivi dieci anni Saddam Hussein ha represso in modo feroce qualsiasi tipo di opposizione alla sua dittatura personale: la ribellione kurda del 1974, i comunisti di tutte le tendenze, anche frazioni del proprio stesso partito (il Partito della resurrezione araba socialista - Baath), sono stati tutti annegati nel sangue. L'irresistibile ascesa di Saddam Hussein è culminata nel 1980 con la concentrazione di tutti i poteri nelle sue mani, e da allora è iniziato un culto ufficiale della sua personalità. La dittatura di Saddam Hussein si basa su una burocrazia borghese civile, militare e poliziesca, a cerchi concentrici, largamente determinati dall'appartenenza alla famiglia, al clan o alla provincia (Takrit) del tiranno. I privilegi di questa burocrazia sono assicurati dalla rendita petrolifera dello stato iracheno.
Nel settembre 1980, l'Iraq attacca l'Iran, dove l'anno precedente una vittoriosa rivoluzione era riuscita a cacciare il regime dello Scià: l'obiettivo iracheno era di appropriarsi dei campi petroliferi dell'Arabistan iraniano (la principale regione petrolifera iraniana) ed affermarsi così come potenza regionale dominante. La guerra dura più di otto anni, e dalla sola parte irachena i morti sono 300.000. A queste vittime devono essere aggiunti almeno 100.000 kurdi (alcune fonti kurde arrivano alla cifra di 180.000 vittime) massacrati dall'esercito nel nord dell'Iraq dal 1987 al 1989 con largo uso di armi chimiche, che portò alla distruzione della maggioranza dei villaggi del kurdistan iracheno (il caso-simbolo di questa repressione, grazie alla disponibilità di documenti fotografici, è stato lo sterminio il 16 marzo 1988 di tutti gli abitanti del villaggio di Halabdja, circa 5.000 persone, con iprite e gas sarin, mentre i sopravvissuti vennero spianati con i bulldozer). Il cessate il fuoco con l'Iran venne firmato nel 1988, senza che la frontiera esistente prima del conflitto fosse modificata.
Le distruzioni materiali provocate dalla guerra con l'Iran furono enormi (stimate a 150 miliardi di dollari), e Baghdad uscì dalla guerra con un indebitamento di 60 miliardi di dollari, oltre a ritrovarsi con un esercito totalmente sproporzionato rispetto alle dimensioni (un milione di persone mobilitate) che può mantenere.
È in questa situazione che matura la decisione di occupare il Kuwait (uno stato artificiale creato dall'imperialismo britannico delineando un confine attorno ai pozzi petroliferi, proprietà personale dell'emiro e della sua famiglia, dove nessun minimo diritto democratico era garantito): un'occupazione permanente e l'annessione del Kuwait all'Iraq avrebbe risolto tutti i suoi problemi finanziari grazie alla rendita petrolifera aggiuntiva, mentre un accordo di mediazione (in cambio del ritiro dal Kuwait) avrebbe comunque portato risorse aggiuntive.
Baghdad non si aspettava una reazione statunitense e internazionale così determinata e inflessibile (numerosi altri casi simili nel passato non avevano provocato reazioni significative a livello internazionale, per Israele, per l'Iran, il Marocco, la Turchia, l'Indonesia, ecc.) contando piuttosto che la fine della guerra fredda avrebbe consentito un maggior margine di manovra rispetto al passato per un paese come il suo, lasciando comunque spazi per mediazioni vantaggiose. Una volta resosi conto che così non era, il regime di Saddam Hussein non poté ritirarsi senza passare attraverso la guerra del 16 gennaio - 28 febbraio 1991 - la prima guerra del Golfo - (il cui esito, vista la sproporzione nel numero delle vittime, era scontato), in quanto la legittimazione del suo regime ne sarebbe uscita a pezzi.