All'Africa e agli africani non dobbiamo nulla

Re: All'Africa e agli africani non dobbiamo nulla

Messaggioda Berto » dom mag 13, 2018 9:39 am

Merkel: "Diamo un futuro ai giovani in Africa"
Raffaello Binelli - Sab, 12/05/2018

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 25709.html


La cancelliera Merkel parla ad Assisi, dove ha ricevuto la lampada della pace da parte dei francescani: "Noi europei che abbiamo fatto tanti danni nel continente con il colonialismo dobbiamo aiutare perchè i Paesi d’origine possano offrire un futuro ai loro giovani"

La cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha parlato ad Assisi, dove le è stata conferita la 'Lampada della pace'.

"L'Italia attraversa una fase politica delicata, e qui non voglio entrare, ma noi in Germania vogliamo risolvere con voi i grandi problemi, le sfide della nostra epoca". Una delle sfide indicate è quella dell'accoglienza dei rifugiati africani. "Non dobbiamo pensare solo al nostro benessere ma bisogna affrontare le cause della fuga, dell'esodo. Non abbiamo mai avuti così tanti rifugiati. E il grande compito è quello di occuparci dei loro problemi nella ricerca di una soluzione. Se vogliamo vivere in pace - ha osservato ancora - con i nostri vicini dobbiamo occuparci anche dei problemi degli altri, cercare di risolverli''.

"Il nostro compito è creare un futuro in Africa, noi europei che abbiamo fatto tanti danni nel continente con il colonialismo dobbiamo aiutare perchè i Paesi d’origine possano offrire un futuro ai loro giovani". Ribadendo l’impegno all’accoglienza, la leader tedesca ha sottolineato però che "l’integrazione non è una strada a senso unico. C’è bisogno di persone disposte ad aiutare nell’integrazione dei rifugiati" ma "coloro che arrivano devo imparare certe cose» e «noi dobbiamo cercare di immedesimarci in loro". Per la Merkel "la società deve essere aperta, esempi nella storia ci dicono che i muri non hanno aiutato".

Merkel si è soffermata, poi, sul futuro politico del Vecchio Continente: "L’integrazione europea è un progetto di pace senza pari". Impegnarsi per la pace, ha aggiunto la leader tedesca, vuol dire "accettare la diversità" e avere rispetto. "La pace è fragile, bisogna evitar ei conflitti e impegnarci sempre".

La Merkel dedica una riflessione anche al caso Iran. "Dopo l’uscita degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare la situazione è ancora più tesa. Seguiamo gli eventi tra Iran e Israele, tenendo conto che la sicurezza di Israele fa parte della ragion di stato tedesca". La cancelliera ha poi ricordato il conflitto in Siria, "una delle maggiori tragedie umanitarie", ribadendo che bisogna "adoperarsi di più per la risoluzione" della guerra.

Un pensiero lo ha rivolto anche alla Siria. "Si sta verificando una delle maggiori tragedie umanitarie dei nostri tempi. La metà degli abitanti è in fuga all'interno e all'esterno del Paese. Queste persone hanno bisogno di una luce di speranza che ancora non si vede". Quello nel Paese mediorientale è, a suo avviso, "un conflitto di interessi regionali". "Si pensa troppo poco alla gente che ne vive le conseguenze'', ha affermato Merkel. "La crisi in Siria e nei Paesi vicini ce lo ricordano: la pace non è scontata. Molto spesso la gente si stacca da questo cammino. Uno che invece persevera è il presidente Santos (il capo di Stato della Colombia, Juan Manuel Santos, è presente ad Assisi, ndr) che ha raggiunto la pace nel suo Paese".

"Quello che succede in Ucraina dell’Est ci preoccupa - ha aggiunto la cancelliera tedesca - ogni notte ci sono violazioni della tregua, ogni giorno perdita di vite".

I frati di Assisi hanno chiesto alla cancelliera tedesca di "chiamare a raccolta le forze civili dell'Europa" e di "convocare persone e governi capaci di rinunciare a interessi particolaristici, privilegi e miopi esercizi di sovranità per un orizzonte di unità che sappia valorizzare le differenze e perseguire un destino di pace e di sviluppo per il mondo". E' questo il compito che il custode del Sacro convento di Assisi, padre Mauro Gambetti, ha affidato alla Merkel, consegnandole la lampada della pace di San Francesco per la sua opera a favore della "pacifica convivenza dei popoli".



Pensa prima alla tua gente e al tuo paese che ne hanno bisogno, invece che agli africani e all'Africa
viewtopic.php?f=205&t=2681
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Re: All'Africa e agli africani non dobbiamo nulla

Messaggioda Berto » sab giu 30, 2018 7:37 pm

???

IL FURTO DELLA TERRA
Raiawadunia
Silvestro Montanaro · Giu 23, 2018

https://raiawadunia.com/le-vere-ragioni ... ella-terra

L’Unione europea ha appena deciso di triplicare i fondi per la gestione dei migranti: la somma messa a bilancio passerà dagli attuali 13 miliardi di euro (anni 2014-2021) ai futuri 35 miliardi di euro (anni 2021-2027).
Prima di compiere l’analisi dei costi preventivati, dove i soldi vanno, per fare cosa, dobbiamo sapere cosa noi prendiamo dall’Africa, e cosa restituiamo all’Africa. Se noi aiutiamo loro oppure se loro, magari, danno una mano a noi.
Conviene ripetere e magari ripubblicare. Quindi partire dalle basi, dai luoghi in cui i migranti partono.
Roberto Rosso, l’uomo che dai jeans ha ricavato un mondo che ora vale milioni di euro, ha domandato: “Come mai spendiamo 34 euro al giorno per ospitare un migrante se con sei dollari al dì potremmo renderlo felice e sazio a casa sua?”.
Già, come mai? E perchè non li aiutiamo a casa loro?
Casa loro? Andiamoci piano con le parole. Perchè la loro casa è in vendita e sta divenendo la nostra. Per dire: il Madagascar ha ceduto alla Corea del Sud la metà dei suoi terreni coltivabili, circa un milione e trecentomila ettari. La Cina ha preso in leasing tre milioni di ettari dall’Ucraina: gli serve il suo grano. In Tanzania acquistati da un emiro 400mila ettari per diritti esclusivi di caccia. L’emiro li ha fatti recintare e poi ha spedito i militari per impedire che le tribù Masai sconfinassero in cerca di pascoli per i loro animali. La loro vita.
E gli etiopi che arrivano a Lampedusa, quelli che Salvini considera disgraziati di serie B, non accreditabili come rifugiati, giungono dalla bassa valle dell’Omo, l’area oggetto di un piano di sfruttamento intensivo da parte di capitali stranieri che ha determinato l’evacuazione di circa duecentomila indigeni. E tra i capitali stranieri molta moneta, circa duecento milioni di euro, è di Roma. Il governo autoritario etiope, che rastrella e deporta, è l’interlocutore privilegiato della nostra diplomazia che sostiene e finanzia piani pluriennali di sviluppo. Anche qui la domanda: sviluppo per chi?
L’Italia intera conta 31 milioni di ettari. La Banca mondiale ha stimato, ma il dato è fermo al 2009, che nel mondo sono stati acquistati o affittati per un periodo che va dai venti ai 99 anni 46 milioni di ettari, due terzi dei quali nell’Africa subsahariana. In Africa i titoli di proprietà non esistono (la percentuale degli atti certi rogitati varia dal 2 al 10 per cento). Si vende a corpo e si vende con tutto dentro. Vende anche chi non è proprietario. Meglio: vende il governo a nome di tutti. Case, villaggi, pascoli, acqua se c’è. Il costo? Dai due ai dieci dollari ad ettaro, quanto due chili d’uva e uno di melanzane al mercato del Trionfale a Roma. Sono state esaminate 464 acquisizioni, ma sono state ritenute certe le estensioni dei terreni solo in 203 casi. Chi acquista è il “grabbatore”, chi vende è il “grabbato”. La definizione deriva dal fenomeno, che negli ultimi vent’anni ha assunto proporzioni note e purtroppo gigantesche e negli ultimi cinque una progressione pari al mille per cento secondo Oxfam, il network internazionale indipendente che combatte la povertà e l’ingiustizia. Il fenomeno si chiama land grabbing e significa appunto accaparramento della terra.
I Paesi ricchi chiedono cibo e biocombustibili ai paesi poveri. In cambio di una mancia comprano ogni cosa. Montagne e colline, pianure, laghi e città. Sono circa cinquanta i Paesi venditori, una dozzina i Paesi compratori, un migliaio i capitali privati (fondi di investimento, di pensione, di rischio) che fanno affari. E’ più facile trasportare una tonnellata di cereali dal Sudan che le mille tonnellate d’acqua necessarie per coltivarle. E allora la domanda: aiutiamoli a casa loro? Siamo proprio sicuri che abbiano ancora una casa? Le cronache sono zeppe di indicazioni su cosa stia divenendo questo neocolonialismo che foraggia guerre e governi dittatoriali pur di sviluppare il suo business. In Uganda 22mila persone hanno dovuto lasciare le loro abitazioni per far posto alle attività di una società che commercia legname, l’inglese New Forest Company. Aveva comprato tutto: terreni e villaggi. I residenti sono divenuti ospiti ed è giunto l’avviso di sfratto… Dove non arriva il capitale pulito si presenta quello sporco. La cosiddetta agromafia. Sempre laggiù, nascosti dai nostri occhi e dai nostri cuori, si sversano i rifiuti tossici che l’Occidente non può smaltire. La puzza a chi puzza…
Chi ha fame vende. Anzi regala. L’Etiopia ha il 46 per cento della popolazione a rischio fame. E’ la prima a negoziare cessioni ai prezzi ridicoli che conosciamo. Seguono la Tanzania (il 44 per cento degli abitanti sono a rischio) e il Mali (il 30 per cento è in condizioni di “insicurezza alimentare”). Comprano i ricchi. Il Qatar, l’Arabia Saudita, la Cina, il Giappone, la Corea del Sud, anche l’India. E nelle transazioni, la piccola parte visibile e registrata della opaca frontiera coloniale, sono considerate terre inutilizzate quelle coltivate a pascolo.
Il presidente del Kenya, volendo un porto sul suo mare, ha ceduto al Qatar, che si è offerto di costruirglielo, 40mila ettari di terreno con tutto dentro. Nel pacco confezionato c’erano circa 150 pastori e pescatori. Che si arrangiassero pure!
L’Africa ha bisogno di acqua, di grano, di pascoli anzitutto. Noi paesi ricchi invece abbiamo bisogno di biocombustibile. Olio di palma, oppure jatropha, la pianta che – lavorata – permette di sfamare la sete dei grandi mezzi meccanici. E l’Africa è una riserva meravigliosa. In Africa parecchie società italiane si sono date da fare: il gruppo Tozzi possiede 50mila ettari, altrettanti la Nuova Iniziativa Industriale. 26mila ettari sono della Senathonol, una joint-venture italosenegalese controllata al 51 per cento da un gruppo italiano. Le rose sulle nostre tavole, e quelle che distribuiscono i migranti a mazzetti, vengono dall’Etiopia e si riversano nel mondo intero. Belle e profumate, rosse o bianche. Recise a braccia. Lavoratori diligenti, disponibili a infilarsi nelle serre anche con quaranta gradi. E pure fortunati perchè hanno un lavoro.
Il loro salario? Sessanta centesimi al giorno.

di Antonello Caporale



Africa, crescita della popolazione «Raddoppierà in trent’anni»
Michele Farina
14 luglio 2017

https://www.corriere.it/cronache/17_lug ... 9751.shtml

Problema o vantaggio, la crescita demografica africana? All’ultimo G20 di Amburgo, Emmanuel Macron ha detto che «l’Africa ha avuto problemi di civilizzazione», e che parte della sfida attuale è costituita da quei Paesi dove «si continuano ad avere sette-otto figli per donna». C’è chi ha bollato queste parole come «razziste», riflesso della vecchia mentalità del colonialismo francese. Ma l’altro giorno anche la Danimarca, che non passa per Paese colonizzatore, ha annunciato che accrescerà i fondi per il controllo delle nascite nei Paesi in via di sviluppo. La ministra per la Cooperazione, Ulla Tornaes, ha detto che 225 milioni di donne nei Paesi più poveri non hanno accesso a strumenti di «family planning». E riferendosi all’Africa in una conferenza a Londra, ha parlato delle misure per la riduzione della natalità come di «una priorità della politica estera e di sicurezza danese». Se continuano a nascere bambini con i tassi attuali, ha detto Ulla allarmata, «la popolazione africana raddoppierà fino a raggiungere i 2,5 miliardi di persone entro il 2050». Contribuire a una frenata delle nascite sotto il Mediterraneo, per il governo di Copenaghen, «aiuterebbe anche a limitare la pressione migratoria sull’Europa».

Meno bambini, più crescita economica, meno migranti? È una formula troppo semplificata per essere risolutiva. È innegabile che si debba parlare di esplosione demografica. Nella lista mondiale dei Paesi dove si fanno più figli, i primi 15 sono tutti africani. Sono 26 le nazioni del continente che nel giro dei prossimi trent’anni vedranno raddoppiata la propria popolazione. Secondo le proiezioni delle Nazioni Unite, alla fine del secolo metà dei bambini del mondo (sotto i 14 anni) saranno africani.

Numeri impressionanti. Che non impressionano Mario Giro, viceministro degli Esteri italiano con delega alla Cooperazione internazionale: «La crescita demografica è dovuta allo sviluppo che c’è stato e che continua a esserci, e ce ne dobbiamo rallegrare — dice Giro al Corriere —. E comunque tutti i Paesi africani, Nigeria a parte, sono oggi sottopopolati. L’Africa avrà un quarto della popolazione mondiale, come aveva prima della tratta, soltanto intorno al 2050».

La tratta degli schiavi, e tutta la storia che si è succeduta — dice il viceministro — «hanno finito per spopolare il continente». Rispetto alla densità demografica europea, «l’Africa ha enormi territori disabitati: è l’unico continente che abbia nuova terra arabile». Eppure proprio l’agricoltura sta subendo le conseguenze più terribili del cambiamento climatico, con la peggior siccità degli ultimi 20 anni: «È questa sfida che porta la popolazione a spostarsi da certe zone aride verso le città».

Più della metà degli africani vivono oggi nelle città. Bamaiyi Guche, 17 anni, secondo l’Economist è il tipico giovane imprenditore africano. Al mattino va a scuola. E al pomeriggio vende sacchettini di acqua potabile nelle strade assolate, portando a casa un dollaro al giorno, metà del quale va in tasse scolastiche. Vuole diventare dottore, non calciatore. Ci riuscirà nel suo Paese?

La Nigeria è il gigante d’Africa. La prima economia per prodotto interno lordo, 180 milioni di abitanti che diventeranno 410 milioni nel 2050, quando sarà il terzo Paese più abitato al mondo, dopo India e Cina. I tassi di natalità sono scesi da 6,5 figli per donna nel 1990 a 5,6 nel 2014. Come il resto del continente, la Nigeria ha sofferto la frenata dell’economia: per la prima volta da vent’anni a questa parte, il pil pro capite è diminuito. Complessivamente, il pil africano è crollato nel 2016 fino a toccare un magro +1,4% (la metà del tasso di crescita demografica).

Le stime puntano a un +2,6% per il 2017 (comunque la metà rispetto a cinque anni fa). Dei migranti sbarcati in Italia nel 2017, la Nigeria è il primo Paese di provenienza (15%). Se l’Europa (e l’Italia) vogliono aiutare i ragazzi come Bamaiyi Guche a diventare dottori «a casa loro», non basterà ridurre il numero dei loro fratellini.



Alberto Pento
Non è colpa nostra se aumentano di numero e poi annegano per entrare clandestinamente in Europa.
Non dobbiamo nulla a questa gente, che si arrangino.



L’ Africa sempe più alla fame per la crescita demografica incontrollata
About the Author maxalb - Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi
Franco Nofori
Mombasa, 16 aprile 2017

https://www.africa-express.info/2017/04 ... ontrollata


Non sono soltanto corruzione, malgoverno e ingordigia dei propri leader ad affamare l’Africa, ma è soprattutto lo spaventoso tasso di crescita demografica che moltiplica esponenzialmente i bisogni di sopravvivenza in un contesto dalle risorse sempre più insufficienti.

Tenaci convenzioni religiose e tribali tendono a fare di questo riscontro un argomento tabù, ma per quanto si presenti impopolare, esso resta comunque un’inconfutabile realtà che meriterebbe un’attenzione molto più responsabile da parte dei vari istituti internazionali di monitoraggio.

Famiglia con figli

Uno di questi la Center Intelligence Agency americana (CIA) dal cui rapporto risulta che è proprio l’Africa, il continente più povero e più mal governato del mondo, a primeggiare in quanto a natività.

Ecco i dati riferiti ad alcuni paesi africani:


PAESE
TASSO ANNUALE DI CRESCITA DEMOGRAFICA (x 1000)
ZIMBABWE 4.3
NIGER 3.7
ETIOPIA 3.0
SENEGAL 2.5
NIGERIA 2.4
KENYA 2.1

Questi dati diventano ancora più preoccupanti se si considera che l’Africa detiene anche il più alto tasso si mortalità infantile del mondo con 17 bambini ogni 100 che perdono la vita, per fame e malattie infettive, prima di raggiungere i 5 anni (riscontro riferito all’Angola).

Negli ultimi anni, grazie ai continui interventi degli organismi internazionali, il tasso di mortalità infantile in Africa va gradualmente riducendosi e questo non può che rappresentare un successo di alto valore umanitario, ma è fatale che, riducendosi la mortalità infantile, si incrementerà inevitabilmente la crescita demografica ed il problema dell’assistenza al continente, nei decenni a venire, si farà sempre più difficile.

Spesso i crudi dati statistici non vengono percepiti nel reale impatto che essi producono all’interno delle società cui si riferiscono. Ecco quindi un’informazione che, riferita all’attuale trend di crescita, dà una chiara visione del fenomeno che stiamo trattando: nel 2011, il continente africano contava 1 miliardo e 51 milioni di abitanti; nel 2051, cioè 40 anni dopo, gli abitanti stimati saranno ben 2 miliardi e 300 milioni, cioè, nel volgere di due generazioni, si saranno più che raddoppiati!

In Occidente si considera convenzionalmente che un arco generazionale si compie in 25 anni. In Africa, la precoce capacità riproduttiva, restringe questo arco a soli 20 anni. Chi si occuperà di tutta questa gente? Chi la sfamerà? Soprattutto in un paese come lo Zimbabwe che, tra quelli sopra considerati, ha il più alto tasso di crescita demografica e che, nonostante le ingenti risorse minerarie, vede la propria economia in costante declino e con un tasso di inflazione che sfiora il mille per cento annuo?

Tutto quanto detto rischia, infine, di riflettersi con devastanti conseguenze anche sull’Europa, in virtù della costante fuga delle genti africane verso il vecchio continente. L’Italia, con il suo ridicolo tasso di crescita demografica dello 0,3 per mille (in buona misura dovuto agli stessi immigrati), potrebbe essere travolta da questo esodo. Potrebbe perfino perdere le proprie connotazioni storiche e culturali se non dovesse riuscire a mediare con loro per raggiungere un compromesso che permetta di affermare i fondamentali principi sui cui si basa la nostra organizzazione sociale.

Franco Nofori
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Re: All'Africa e agli africani non dobbiamo nulla

Messaggioda Berto » mar lug 10, 2018 7:36 pm

In Africa uccidono i cristiani africani
Giulio Meotti

https://www.facebook.com/noicheamiamois ... cation=ufi

In Nigeria stanno uccidendo i bambini cristiani. Lo ha rivelato all'emittente americana Cbn l'avvocato nigeriano e attivista dei diritti umani Emmanuel Ogebe. "La Nigeria è ora il luogo più mortale al mondo per essere un cristiano", ha raccontato l'avvocato Ogebe. "Quello che abbiamo è un genocidio, stanno cercando di spostare i cristiani e di imporre la loro religione ai cosiddetti infedeli". Due settimane fa, 238 persone sono state uccise in un massacro nella Nigeria centrale. Sei dei parenti di Ogebe erano tra le vittime. "Da quello che siamo riusciti a mettere insieme, il marito ha cercato di portare fuori di casa in salvo la moglie incinta e tornare per i bambini", ha detto Ogebe. "Ma hanno incontrato i mandriani lungo la strada e hanno sparato a lui e alla moglie incinta e sono andati a casa loro e hanno ucciso il loro figlio di quattro anni e la loro figlia di sei anni che dormivano nei loro letti". Ogebe ha detto che migliaia di nigeriani sono già morti in attacchi quest'anno, di cui 500 a Benue (la foto del bambino qui si riferisce a un altro massacro ed è di Bródà Ayo). Ad aprile, i mandriani musulmani hanno aperto il fuoco sui membri di una chiesa cattolica durante la messa. Un sacerdote che serviva la comunione e 18 parrocchiani sono stati uccisi. Dove sono i media a fornirci le immagini e le storie di questo genocidio cristiano? Dov'è la voce del Papa? Dove sono le organizzazioni dei diritti umani a invocare sessioni speciali dell'Onu e dell'Unione europea di condanna e ritorsione? C'è solo un silenzio che perfora i timpani, riempito dalle urla delle vittime e dai colpi di kalashnikov dei loro assassini. Qui le magliette rosse dei nostri vippastri non servono. Sono già tinte di rosso dal sangue, vero, dei cristiani.



Islam e persecuzione e sterminio dei cristiani (cristianofobia)
viewtopic.php?f=181&t=1356
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Re: All'Africa e agli africani non dobbiamo nulla

Messaggioda Berto » lun lug 16, 2018 5:11 pm

Quei nigeriani clandestini e criminali che ci costano 1.100 euro al mese
Gabriele Bertocchi - Mar, 08/05/2018

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 23794.html

Solo nel 2018 le aggressioni dai nigeriano sono moltissime: ultima in ordine di tempo quella sul treno Milano-Lecco. Emblematico l'omicidio di Macerata. Ora Grimoldi chiede: "Necessità di dare una stretta a questo circo miliardario dell'accoglienza dei falsi profughi cominciando proprio dai nigeriani"

L'ennessima aggressione a un poliziotto da parte di richidenti asilo nigeriani avvenuta il 17 maggio sul treno Milano-Lecco è il chiaro segnale che la situazione sta diventando insostenibile.

A sottolinearlo anche l'onorevole Paolo Grimoldi, che spiega come ci sia la "necessità di dare una stretta a questo circo miliardario dell'accoglienza dei falsi profughi cominciando proprio dai nigeriani".
Tutte le aggressioni del 2018

Il pestaggio sul vagone partito dalla stazione milanese di Porta Garibaldi poco dopo le 14.30 e diretto a Lecco è solo l'ultimo episodio di violenza perpetrato da cittadini nigeriani. A sottolinearlo è anche l'onorevole Paolo Grimoldi: "C'è la necessità di dare una stretta a questo circo miliardario dell'accoglienza dei falsi profughi cominciando proprio dai nigeriani".

Una aggressione simile a quella di Milano è avvenuta a Osimo (provincia di Ancona): due nigeriani sono stati pizzicati senza il biglietto dal controllore. Per evitare di pagare la multa hanno tentanto la fuga aggredendolo. Botte che si vista rifilare anche una capotreno sul treno partito alle 19.08 da Tirano e diretto a Milano Centrale il 7 aprile. Cambia il modus operandi ma i protagonisti sono sempre gli stessi: il convolgio si era fermato per un guasto a Delebio e il clandestino (nigeriano, ndr) ha tentato di salire. Quando gli è stato spiegato che era vietato l'accesso perché la sosta non era per i far salire i clieni ha prima alzato la voce e poi ha sferrato un pugno al volto della 36enne.

E anche quando cambia lo scenario, passando dai treni alla strada poco cambia: a Napoli un 20enne sempre proveniente dalla Nigeria ha ferite 3 passanti con un coccio di bottiglia. Uno dei feriti è stato addirittura sottoposto a un intervento chirurgico. Il ragazzo avrebbe agito in uno stato di alterazione psicofisica. Come dimenticare la rapina con tanto di pestaggio ai danni di una sordomuta di Mestre: la donna ha pregato i 3 banditi nigeriani di lasciarle almeno il cellulare, ma questi hanno pesanto bene di aggredirla e derubarla della borsetta.

Pochi mesi e già moltissime aggressioni. Come spiega il leghista Grimoldi: "I nigeriani non scappano da nessuna guerra, considerando che anche il loro presidente della Repubblica li ha più volte invitati a tornare in patria aggiungendo che quelli che partono sono soprattutto delinquenti, falsi perché i nigeriani non hanno il minimo requisito per essere considerati rifugiati e questo lo dicono le statistiche relative agli esiti delle domande di accoglienza: nel 2016 su 15.616 domande di asilo presentate da nigeriani appena 439 hanno ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato e si trattava quasi sempre di donne o minori".

E ancora: "Bastano questi numeri per chiedere al prossimo Governo, al prossimo ministro degli Esteri, di attivarsi subito con la presidenza della Nigeria per rimpatriare questi clandestini che stiamo inutilmente mantenendo a 1100 euro al mese e che per di più in molti caso delinquono o uccidono come purtroppo è accaduto a Macerata". Caso emblematico che ha scioccato l'Italia intera.
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Re: All'Africa e agli africani non dobbiamo nulla

Messaggioda Berto » lun lug 16, 2018 6:25 pm

???

CONDIVIDO.....COLONIALISTI OCCIDENTALI RITIRATEVI DALL'AFRICA.....DOBBIAMO RESTITUIRE L'AFRICA AGLI AFRICANI....BASTA GUERRE BASTA BOMBARDAMENTI...BASTA SFRUTTAMENTO....

https://www.facebook.com/livio.braga/po ... ment_reply

???
Per fermare l'immigrazione dobbiamo restituire l'Africa agli africani.
!!!
No, non dobbiamo restituire nulla poiché non possediamo l'Africa



Marinko Blagojevic
L’unica vera soluzione, che tutti conoscono, ma che nessuno osa nemmeno menzionare è la restituzione dell’Africa agli africani. Il solo deterrente efficace per non spingere milioni di bambini, donne e uomini ad abbandonare le loro case, le loro terre e le loro radici è di riconsegnare loro l’acqua, le piantagioni tradizionali, il petrolio, il gas, i diamanti, i minerali preziosi ed i metalli per le alte tecnologie. Per poter vivere del loro lavoro, delle loro risorse, senza dover scappare.

Alberto Pento
Cosa vuol dire restituire? Quante assurdità.

Livio Braga
MI SPIEGO MEGLIO ! Premetto che sono d'accordo con Lei in linea generale. Ma il nodo di questo disastro, di aver sconvolto e destabilizzato il medio oriente ( mi riferisco a Obama, a Cameron, a Hollande, a Sarkozy, a Napolitano) sta nel saccheggiare le loro risorse di petrolio e gas! Detto questo, se vogliamo non essere invasi e avere una lunga guerra civile fra islamisti ed europei o meglio fra islamisti e occidentali dobbiamo bloccare le guerre e i bombardamenti e fermare l'invasione di immigrati. Non si può bruciare la Siria e la Libia e poi non attendersi la rivolta degli arabi tramite l'invasione ! Ognuno a casa sua...ognuno in casa propria....gli arabi in Africa e gli Europei in Europa.......

Alberto Pento
Non sono d'accordo nell'usare termini come "saccheggio" per quanto riguarda le attività di estrazione dei minerali e agricole. Molte di queste attività vengono svolte in regime di concessione e nelle società concessionarie sono presenti anche gli africani; poi gli stati ricevono le royalty e le imprese fanno lavorare la gente locale e l'indotto imprenditoriale. Non condivido minimamente l'antioccidentalismo, l'antiamericanismo, l'antieuropeismo, l'antibianchismo, l'anticapitalismo, l'antindustrialismo che trasudano da questo titolo demenziale. In Sud Africa stanno peggiorando l'economia perché discriminano ed escludono i bianchi che stanno anche sterminando e questo non va bene, non va assolutamente bene. Non hanno alcun diritto di sterminare i bianchi e l'economia buona di ogni paese è inserita nella rete economica mondiale. Sragionando come nel titolo allora noi dall'Europa dovremmo cacciare non solo i clandestini che arrivano dall'Africa ma tutti i neri che nei secoli si sono via via europeizzati. L'Africa è il continente più razzista che esista da sempre ed è del tutto responsabile delle sue condizioni.
Nemmeno in Medio Oriente gli occidentali hanno saccheggiato petrolio e gas, anzi grazie all'occidente industrializzato che ha valorizzato il petrolio e il gas, con le sue scoperte, invenzioni, scienza, tecnologie anche quell'area altrimenti "depressa e sottosviluppata" ha potuto migliorare.
Guarda Israele, dove la cultura e la tecnologia occidentali assieme all'intelligenzae alla volontà ebraiche hanno trasformato un semideserto in un giardino di delizie, in un'oasi paradisiaca (se non fosse per i nazisti maomettani).



Alberto Pento
Poi l'Africa non è araba, gli arabi sono stati degli invasori. L'Africa è africana non araba e dovrebbe essere aiutata a liberarsi del nazismo maomettano, questo sarebbe un gran regalo che potremmo fare agli africani.

Livio Braga
bah.....mi permetto di rispondere brevemente.. Ma il mio pensiero non va oltre i 10/15 anni al massimo. Non parto dall'ottocento, perchè in questo caso lei ha ragione. Io parto dagli anni 2000 in poi. Dalla guerra in Iraq. Appena posso elaboro il mio pensiero.

Alberto Pento
L'area mediorientale è sempre stata instabile: per i conflitti interni ai nazi maomettani, per lo sterminio dei cristiani e degli ebrei, per l'imperialismo islamico nazi maomettano, per il conflitto insanabile con Israele che io difendo sempre e comunque, sopra tutto e tutti perché rappresenta il meglio dell'umanità e della civiltà in quell'area. L'occidente euroamericano e l'oriente russo-cinese si sono trovati implicati in medioriente per questioni geopolitiche ed economiche, per alleanze per equilibri strategici, per legittimi interessi economici, per difendere Israele, ecc, e naturalmente come capita agli uomini, possono aver commesso qualche sbaglio e qualcuno anche qualche crimine che si è aggiunto al groviglio dei crimini dei regimi nazimaomettani di quest'area senza Dio, poiché Allah non è Dio ma un idolo di terrore, di orrore e di morte.
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Re: All'Africa e agli africani non dobbiamo nulla

Messaggioda Berto » mer lug 18, 2018 8:59 pm

Un bugiardo fanatico idolatra cristiano, abituato a demonizzare/colpevolizzare l'umanità per spaventarla, parilizzarla, zittirla, sottometterla, depredarla e schiavizzarla.
Le multinazionali hanno pagato fior di royalty per le concessioni e i permessi, fiumi di tasse agli stati africani, fior di tangenti alle classi dirigenti e corrotte africane e hanno fatto lavorare gli africani e le loro imprese.
E poi le multinazionali non siamo noi, non sono io che non ho niente o quasi, esse caso mai sono parte del mondo e chi le possiede sta in tutto il mondo, dal Giappone al Canada, dall'Arabia Saudita al Brasile, dal Vaticano all'Indonesia.



L’arcivescovo di Palermo: “Siamo noi i predoni dell’Africa che affamano milioni di poveri”
2018/07/17

http://www.lastampa.it/2018/07/17/vatic ... agina.html

Non ostenta mezze misure, monsignor Corrado Lorefice, nel descrivere quelli che Giovanni XXIII definiva «i segni dei tempi». Ed è per questo che, nel suo discorso alla città di Palermo, in occasione della processione della patrona Santa Rosalia,afferma che «non è tempo di dormire, ma di stare svegli!». Con l’immagine del vascello e della navigazione – desunti simbolicamente dai festeggiamenti in onore della “Santuzza” – il presule descrive la navigazione difficile di tre «velieri»: la città di Palermo, l’Italia e l’Europa.

Il primo vascello, quella della città di Palermo, naviga in un mare perennemente agitato, e prevale la paura, perché – afferma Lorefice – «il lavoro manca, drammaticamente e, a volte, tragicamente; perché i nostri giovani perdono la speranza e si sentono costretti a partire, privandoci della loro presenza, della loro giovinezza forte e creativa; perché nelle nostre periferie cresce il disagio, aumentano i poveri». Ma il vero pericolo non è la paura, sottolinea l’arcivescovo, bensì «la rabbia, la rassegnazione, l’evasione».

A venticinque anni dal suo martirio, il messaggio di don Pino Puglisi deve risuonare a Palermo, afferma Lorefice: «Don Pino diceva che “è tempo di rimboccarsi le maniche”, di passare “dalle parole ai fatti”, di fare una proposta diversa rispetto alla “cultura dell’illegalità” promossa dai mafiosi, di adottare un nuovo “stile di vita”». L’arcivescovo, poi, ricorda il sacrificio di Libero Grassi e di Piersanti Mattarella: «Ad aiutarvi nella verità – precisa – non è il politico che vi promette favori, il prete che vi raccomanda, il potente che vi chiede in contraccambio il sacrificio della vostra libertà, non è chi vi dice che risolverà in modo semplicistico e sommario i vostri problemi! Ad aiutarvi è chiunque vi ricordi la bellezza di essere giovani, chiunque abbia rispetto e fiducia in voi, chiunque sia disposto a fare un passo indietro per cedervi strada, chiunque rinnovi in voi la forza dello stare assieme».

Al timone del” secondo vascello” c’è l’Italia, che soffre anch’essa paure e povertà, e dove si sta diffondendo, evidenzia il presule, una pericolosa illusione: «Che la chiusura, lo stare serrati, la contrapposizione all’altro siano una soluzione. Ma una civiltà che si fondi sul “mors tua, vita mea”, una civiltà in cui sia normale che qualcuno viva perché un altro muore, è una civiltà che si avvia alla fine. È questo che vogliamo?». Più volte il pastore di Palermo viene interrotto da diversi applausi, persino quelli delle autorità civili e militari presenti; nelle sue parole c’è spazio per ricordare anche il patrono d’Italia, San Francesco d’Assisi, e il Papa che ne porta il nome, oltre che la sensibilità verso l’indigenza degli altri.

Il “terzo vascello”, chiarisce ancora Lorefice, è quello dell’Europa: «La nave che tutti ci comprende in virtù di una geniale intuizione dei nostri padri. La logica del “prima noi” mostra in questa Europa tutta la sua fallacia. Rischiamo fratture insanabili proprio perché ogni Paese europeo comincia a ritenere che il suo benessere venga prima, senza capire che se la casa comune si distrugge tutti resteremo all’addiaccio, privi di un tetto. È la miopia dell’egoismo politico, propugnato da governanti e da politici europei che spesso si vantano – soprattutto nell’Est – di costruire regimi privi delle garanzie e fuori dai confini minimi della democrazia. Di fronte a tutto questo, care sorelle e cari fratelli, la Chiesa non può restare in silenzio, io non posso restare in silenzio».

Monsignor Lorefice ricorda ancora la figura di Giorgio La Pira, siciliano d’origine, il quale «faceva delle “attese della povera gente” il suo faro e la sua guida, contro ogni esaltazione del mercato senza regole, dell’individualismo economico. E questa convinzione, animata in lui da una fede profonda nell’Evangelo, se la portò dietro a Firenze, dove fu il sindaco dei poveri, dei disoccupati, degli ultimi. Oggi La Pira ci inviterebbe a guardare alle tante navi che dirigono la loro prua verso l’Europa come alle navi della speranza».

Da qui l’affondo finale: «Tutti dobbiamo sapere che lungo i decenni e soprattutto in questi ultimi trent’anni l’Africa – che è il continente più ricco del mondo – è stata sfruttata dall’Occidente, depredata delle sue materie prime. Ce le siamo portate via, anzi le multinazionali l’hanno fatto per noi, senza pagare un soldo. E abbiamo tenuto in vita governi fantoccio, che non fossero in grado di difendere i diritti della gente. Le potenze occidentali mantengono inoltre in Africa una condizione di guerra perenne che rende più facile lo sfruttamento e consente un fiorente commercio di armi».

«Siamo noi i predoni dell’Africa!», tuona l’arcivescovo di Palermo, «siamo noi i ladri che, affamando e distruggendo la vita di milioni di poveri, li costringiamo a partire per non morire: bambini senza genitori, padri e madri senza figli. Un esodo epocale si abbatte sull’Europa, che ha deciso di non rilasciare più permessi per entrare regolarmente nel nostro continente. E allora questo esercito di poveri, che non può arrivare da noi in aereo, in nave, in treno, prova ad arrivarci sui barconi dei trafficanti di uomini…».

Quelli che vengono chiamati centri di smistamento, di detenzione – sottolinea Lorefice – «quei centri che i nostri governi sollecitano e finanziano per “bloccare” il flusso migratorio, spesso richiamano i campi di concentramento. E se settant’anni fa si poté invocare una mancanza di informazione, oggi no. Non lo possiamo fare, perché ci sono le prove, nella carne martoriata di questa gente, nei filmati, nei reportage di giornalisti coraggiosi (mentre giornali e telegiornali di altra fatta parlano dei migranti sulle navi come di un “carico” alla maniera delle merci e delle banane!). Noi sappiamo, e siamo responsabili. E dobbiamo levarci!»

«Il Vangelo non è un’utopia, ma una regola, una forma di vita, e l’Eucaristia – come ricordava Paolo VI contiene la forma vitae dei popoli», rimarca il prelato. «La stessa cosa di cui era convinto Benedetto da Norcia, patrono d’Europa. Pertanto – conclude – questo è il messaggio su cui ritornare a scommettere: «Non è questione di accoglienza, non si tratta di essere buoni, ma di essere giusti. Non di fare opere buone, ma di rispettare e, se necessario, ripensare il diritto dei popoli. È in nome del Vangelo che ogni uomo e ogni donna hanno diritto alla vita e alla felicità».


All'Africa e agli africani non dobbiamo nulla, ma proprio nulla, niente di niente, tanto meno agli asiatici e ai nazisti maomettani d'Asia e d'Africa
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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Berto
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Re: All'Africa e agli africani non dobbiamo nulla

Messaggioda Berto » dom lug 22, 2018 8:13 am

???
UNA DELLE COSE VOMITEVOLI DEL TANTO CIVILE OCCIDENTE

Il Burkina Faso è uno stato dell'Africa Occidentale sub sahariana, è una ex(?) colonia francese. I burkinabè vivono essenzialmente di agricoltura (83% del PIL) ed è una terra ricchissima di oro. I giacimenti di oro vengono minati da grandi multinazionali (perlopiù francesi) che drenano l'oro verso la Svizzera. Le multinazionali sfruttano il lavoro locale (a bassissimo costo) e la Francia guadagna in ogni esportazione grazie alla moneta coloniale Franco CFA, una moneta controllata direttamente dalla Banque de France e garantita dal Tesoro Francese che incassa circa il 70% dei depositi nelle esportazioni. Una forma di vero e proprio signoraggio usuraio nei confronti di un paese. Non solo: le miniere d'oro provocano la desertificazione dei terreni a discapito dell'agricoltura, unica fonte di sussistenza interna, a causa del massiccio utilizzo d'acqua. Per non parlare dei rifiuti tossici e dell'inquinamento ambientale che viene provocato dalla chimica delle tecniche estrattive. I minatori del Burkina Faso sono spesso bambini sotto i 10 anni, abbastanza piccoli da potersi infilare nei cunicoli minerari per 'grattare' il metallo prezioso. I bambini fanno uso di anfetamine per non sentire dolore e anestetizzare la fame. Questo è solo uno dei tantissimi esempi di sfruttamento neocoloniale francese di una terra africana, che avviene nell'anno domini 2018, con Macron che si permette di dare lezioni umanitarie sui migranti, ovvero su quei giovani che fuggono dai lager che i francesi hanno instaurato nei loro paesi d'origine, nella speranza di raggiungere la madrepatria che però li respinge a Ventimiglia. Il paradosso del colonialismo usuraio francese è che una terra ricca come il Burkina Faso venga impoverita a causa dei SUOI giacimenti auriferi.



Sale la tensione in Burkina Faso e i civili sono in balia di esercito e jihadisti: l'allarme di Hrw
“In una situazione di crescente instabilità, continuano a moltiplicarsi gli attacchi contro la popolazione da parte dei terroristi. Ad inasprire il clima anche le forze dell’ordine responsabili di saparizioni e giustizia sommaria
di CHIARA NARDINOCCHI
20 maggio 2018

http://www.repubblica.it/solidarieta/em ... -196933573

ROMA - Accusati di essere spie del governo, fatti sparire perché sospetti terroristi o vittime di attentati. Sono queste alcune delle opzioni che hanno portato alla morte di decine di civili in Burkina Faso. In un clima di crescente instabilità, è è proprio la popolazione a pagare il prezzo più alto.

La paura è h24. Nel rapporto pubblicato il 21 maggio dal titolo 'Di giorno temiamo l'esercito, di notte i jihadisti': abusi da parte di islamici armati e forze di sicurezza in Burkina Faso", l'ong Human Rights Watch documenta le uccisioni e le molestie inflitte agli abitanti dei villaggio nella regione del Sahel che sopportano da un lato le minacce degli islamisti e dall'altro gli abusi da parte delle forze di sicurezza a danno dei sospetti. "Come conseguenza della crescente insicurezza in Burkina Faso - spiega la direttrice per lo Sahel di Hrw Corinne Dufka - ha portato a crimini terribili sia da parte dei gruppi armati che da forze di sicurezza statali. Il governo dovrebbe rispettare l'impegnopreso e indagare sugli abusi".

Il terrorismo. A partire dal 2016 diversi gruppi islamici armati, tra cui Ansaroul Islam, Al-Qaeda nel Maghreb islamico (AQIM) e lo Stato islamico nel Grande Sahara (ISGS) hanno iniazato ad attaccare non solo basi militari e forze dell'ordine, ma anche obiettivi civili nel nord del Burkina Faso e nella capitale, Ouagadougou. Le azioni terroristiche hanno ucciso decine di persone e costretto 12.000 abitanti a lasciare le loro case. Hrw ha raccolto prove che confermano l'esecuzione di 19 persone da parte dei miliziani fondamentalisti con l'accusa di essere degli informatori della polizia. "Ho sentito il rumore delle motociclette di notte - ha racconatto un testimone - da noi è vietato usarle, quindi ho capito che erano loro. Poi ho sentito degli spari e ho visto le persone che avevano ucciso".

Scuole nel mirino. Alle intimidazioni non sfuggono insegnanti e dirigenti scolastici. "Il messaggio è chiaro", ha detto un maestro. "'Non insegnare francese e se insisti, ti uccideremo'". E proprio le continue vessazioni del corpo docente hanno portato alla chiusura di oltre 200 scuole e costretto 20.000 studenti a rimanere a casa.

Oppressi. Ma la popolazione è vittima anche di chi dovrebbe proteggerla. Proprio in seguito all'aumento delle tensioni e degli attacchi, indossando la maschera della 'lotta al terrorismo', alcuni tra agenti e militari sono diventati aguzzini. Sono almeno 14 le presunte esecuzioni sommarie , mentre diverse le morte avvenute durante lo stato di detenzione. Alcuni testimoni hanno detto di aver visto nel nord del paese dei cadaveri - spesso bendati e con le mani legate - abbandonati lungo strade e sentieri. E la maggior parte delle vittime era stata vista per l'ultima volta incustodia delle forze di sicurezza del governo.

Fermati e uccisi. Alcuni leader delle comunità a nord del Sahel hanno affermato di aver visto le forze di sicurezza arrestare persone che casualmente si trovavano nelle vicinanze degli attacchi terroristici. Nonostante la maggior parte sia stata rilasciata, numerosi hanno denunciato gravi maltrattamenti e quattro uomini sono morti in custodia. Altri hanno racconattao che due ragazzi, uno dei quali con una disabilità mentale sono morti all'inizio di febbraio dopo esser stati fermati e picchiati dalla polizia vicino a Baraboulé. "La logica di uccidere e maltrattare i sospetti in nome della sicurezza alimenterà e aggraverà l'insicurezza in Burkina Faso", ha detto Dufka. "I governi Burkinabe dovrebbero rimediare alla loro promessa di indagare sulle accuse di abuso e prendere misure concrete per prevenirne altri".



L’islamizzazione violenta in Burkina-Faso: anche gli ospedali chiudono per timore di attentati
2018/07/04

http://www.lastampa.it/2018/07/04/ester ... emium.html

Nel nord le scuole sono sigillate, come molti degli uffici statali: insegnanti e funzionari scappano da questa parte del Sahel fuori controllo

La giovane suora balla, muovendo con grazia i fianchi, mentre i tamburi suonano e il coro canta, in lingua Dioula: «Matigi n’na wa i fè,/ dunyen tigi ne ni sègèrè» («Signore, vengo verso di te per ricevere il cibo necessario»). Poi, il parroco inizia l’omelia: «La siccità, la carestia, le inondazioni, la violenza, il terrorismo, la corruzione. Tutti ci stiamo chiedendo: Dio, dove sei?». La chiesa cattolica di Gorom-Gorom, nord del Burkina-Faso, ai confini con Mali e Niger, è colma di fedeli p... continua




In Burkina Faso non operano solo aziende francesi, anzi!

???

"Il Burkina Faso è vittima della maledizione dell'oro"
Samuel Jaberg, Berna, swissinfo.ch
Questo contenuto è stato pubblicato il 17 febbraio 2016

https://www.tvsvizzera.it/tvs/un-metall ... o/41964222

Una miniera abbandonata, come molte altre, in Burkina Faso. I piccoli minatori artigianali stanno mettendo a repentaglio la loro vita per trovare l'oro.
(Meinrad Schade / Fastenopfer)

In Burkina Faso, interi villaggi vengono dislocati per lasciare il posto all’estrazione di oro. Buona parte del metallo giallo viene poi raffinata in Svizzera, come risulta da un’inchiesta di due organizzazioni umanitarie elvetiche. L'economista del Burkina Barthélémy Sam invita la Confederazione ad assumersi le sue responsabilità per porre fine a queste pratiche abusive.

Economista e coordinatore dei programmi dell’organizzazione non governativa Sacrificio QuaresimaleLink esterno in Burkina Faso, Barthélémy Sam ha visitato dei villaggi attorno a tre miniere d’oro. Il metallo viene raffinato dalla società Metalor, con sede nel canton Neuchâtel. Dinnanzi ai media riuniti a Berna, Barthélémy ha presentato un bilancioLink esterno amaro delle attività di estrazione: la popolazione locale è la grande perdente di questa corsa all'oro che ha conseguenze economiche e ambientali spesso disastrose.

Metalor nega le accuse

Metalor contesta i risultati dell’inchiesta condotta dalle organizzazioni non governative Pane per tutti e Sacrificio Quaresimale. In un comunicato pubblicato sul suo sito webLink esterno, la società garantisce di "agire in conformità con le leggi del Burkina Faso, con le norme delle organizzazioni internazionali riconosciute e con le sue direttive interne, che includono (...) il pieno rispetto dei diritti umani".

Il rapporto fornisce "un quadro completamente falso della situazione", soprattutto per quanto riguarda la miniera di Essakane, gestita dalla società canadese Iamgold e “costantemente riconosciuta per il suo straordinario impegno in favore della comunità", indica Metalor.
Quali sono i problemi causati dalle miniere d'oro in Burkina Faso?

Barthélémy Sam: La principale conseguenza è la perdita di terreni agricoli. L'accesso alla terra è essenziale in Burkina Faso, dove l’83% della popolazione vive di agricoltura. Negli ultimi anni, circa 14’000 persone sono state dislocate per far posto a tre miniere che estraggono oro raffinato in Svizzera. Certo, le negoziazioni tra Stato, imprese e abitanti dei villaggi portano sempre ad un risarcimento. Ma questo non serve a molto: è infatti difficile acquistare terreni agricoli, in quanto questi sono trasmessi di generazione in generazione o vengono solo prestati. Migliaia di persone hanno quindi perso i loro mezzi di sussistenza.

swissinfo.ch: Le multinazionali attive in Burkina Faso affermano di fare di tutto per ridurre l’impatto sociale e ambientale delle loro attività. Il quadro della situazione da lei tracciato non è troppo negativo?

B.S.: No, ho incontrato molte persone disperate a causa di questa situazione ed è mio dovere trasmettere queste grida del cuore. Lo sfruttamento industriale di oro non fa che degradare la vita dei piccoli contadini. Si tratta di una maledizione per le comunità locali, che non ne approfittano, contrariamente a quanto dicono gli operatori delle miniere.

«Lo sfruttamento industriale di oro non fa che degradare la vita dei piccoli contadini. Si tratta di una maledizione per le comunità locali».

Fine della citazione

Ecco un esempio: per sfruttare la miniera di Bissa, che si trova 85 chilometri a nord della capitale Ouagadougou, un intero villaggio è stato spostato. Gli abitanti si vedono ora costretti a coltivare superfici aride. Inoltre, le case erette nel nuovo villaggio di Bissa sono piccole, mal costruite e non corrispondono alle abitudini di vita comunitaria.

E non è tutto: le miniere sono diventate ormai inaccessibili per gli abitanti dei villaggi. Non possono più praticare l’estrazione artigianale di oro e hanno quindi perso una fonte vitale di reddito.

L’estrazione artigianale dell’oro rappresenta però un lavoro molto rischioso per loro.

B.S.: In questo caso, l'oro era relativamente di facile accesso e lo sfruttamento non richiedeva forze eccessive. Ma è vero che molte delle 600'000 persone attive nell’estrazione di oro in Burkina Faso lavorano in condizioni molto difficili. I bambini rischiano la vita ogni giorno per scendere in condotti profondi, poco sicuri e mal ventilati. La Dichiarazione di Berna ha recentemente messo in evidenza questo fenomeno, dimostrando anche che l'oro illegale, proveniente dall’estrazione tradizionale, veniva raffinato in Svizzera.

Commercio internazionale È l'oro il vero emblema della Svizzera

Quando si parla della Svizzera, si pensa subito a prodotti come orologi, cioccolata, oppure alle banche. Raramente però la Confederazione è ...

Rimane però il fatto che la corsa all'oro delle multinazionali straniere e lo sfruttamento industriale ha creato in questi ultimi anni numerosi problemi socio-economici, culturali, ambientali, medico-sanitari e persino politici. E tutto fa pensare che questa corsa non sia finita. Dal 2001, il Burkina Faso esporta ogni anno circa 40 tonnellate di oro e altre 260 tonnellate possono ancora essere estratte dalle miniere esistenti.

swissinfo.ch: Lei ha parlato di problemi ambientali e di salute. Ci può fare un esempio concreto?

B.S.: La gente del nuovo villaggio di Bissa, soprattutto le donne, soffre molto per la mancanza di acqua. La società mineraria ha riconosciuto di aver inquinato dei pozzi e ha portato delle cisterne d'acqua. Ma sono insufficienti, ciò che crea conflitti tra le donne. In mancanza di alternative, molte persone bevono ancora acqua contaminata con rifiuti tossici provenienti dalla miniera. Mi hanno mostrato delle macchie nere sulle loro mani e sui loro piedi, affermando che erano dovute all’acqua dell’oro.

Di chi è la colpa?

B.S.: Le multinazionali attive sul posto hanno chiaramente grandi responsabilità. Ma anche le società che raffinano in Svizzera l'oro proveniente dal Burkina Faso. Dovrebbero garantire che le attività di estrazione vengano svolte nel rispetto delle norme ambientali e senza violare la dignità delle popolazioni locali.

«Quasi il 70% dell'oro mondiale e il 90% di quello proveniente dal Burkina Faso viene raffinato in Svizzera. La Confederazione non può negare le sue responsabilità».
Fine della citazione

Con ciò non si vuole minimizzare la responsabilità del governo del Burkina Faso. I permessi di estrazione sono stati emessi dal regime di Blaise Compaore [costretto a dimettersi a seguito di una rivolta popolare nel 2014]. Una minoranza delle persone al potere ne trae enormi profitti.

Esistono degli studi relativi all’impatto, ma spesso rimangono nei cassetti. Lo Stato non è abbastanza forte per affrontare questi problemi. Un altro problema: la miniera di Kalsaka, nel nord del paese, è in procinto di chiudere dopo un anno e mezzo di attività e nessuno sa chi è responsabile del suo risanamento.

Che cosa si aspetta dalla Svizzera e dal suo governo?

B.S.: Quasi il 70% dell'oro mondiale e il 90% di quello proveniente dal Burkina Faso viene raffinato in Svizzera. La Confederazione non può negare le sue responsabilità. Deve essere coinvolta. Esercitando una maggiore pressione sulle aziende specializzate nella raffinazione dell'oro, queste ultime sarebbero a loro volta costrette a chiedere maggiore diligenza da parte dei loro partner che estraggono il metallo giallo in loco.

Per multinazionali responsabili

Agli occhi delle organizzazioni non governative Sacrificio quaresimale e Pane per tutti, il rapporto sull'impatto delle miniere d'oro in Burkina Faso dimostra ancora una volta che la Svizzera non può più fare affidamento su misure volontarie per garantire un maggiore rispetto dei diritti umani e dell'ambiente da parte delle multinazionali attive all'estero.

Per questo motivo oltre 70 organizzazioni della società civile hanno deciso di lanciare nel 2015 l’iniziativa popolare "Per multinazionali responsabiliLink esterno". La raccolta delle firme è in corso. Il testo chiede di iscrivere nella legge regole vincolanti, affinché le imprese rispettino i diritti umani e l’ambiente, anche nelle loro attività all’estero.

Le organizzazioni temono, tra l’altro, che le violazioni dei diritti umani commesse da aziende elvetiche all'estero possano avere conseguenze negative per la reputazione della Svizzera.




Bukina Faso, opportunità d'oro
Olivier Peguy
2016/12/05

http://it.euronews.com/2016/12/05/bukin ... nita-d-oro

L’oro, il manganese, i fosfati. Il Burkina Faso possiede molti tesori. L’industria mineraria sta diventando un pilastro dell’economia di questo paese dell’Africa occidentale. Tuttavia è necessario che la ricchezza diventi un vantaggio per tutti. Le autorità assicurano e garantiscono un vasto piano per la crescita del settore.

Polvere d’oro nell’Africa nera

Ci troviamo a un centinaio di metri sottoterra nelle gallerie della miniera a Bagassi, nella parte occidentale del Burkina Faso. Una delle 8 miniere d’oro del paese. Nel 2010 la canadese Roxgold ha ottenuto una licenza di scavo. Dal 2001, il Paese esporta ogni anno circa 40 tonnellate di oro, con un giro d’affari miliardario, e altre 260 tonnellate possono ancora essere estratte dalle miniere esistenti. Un settore dunque di importanza strategica per le autorità. “Questo settore è fondamentale per essere competitivi, è necessario che il codice minerario sia attraente. Lo stesso deve essere in termini di infrastrutture di supporto, come elettricità, acqua, strade, le imprese devono essere competitive. Questo è quello su cui sta lavorando il mio governo”, ci fa notare Paul Kaba, Primo Ministro del Burkina Faso.

Miniere in Burkina Faso, opportunità di crescita economica

Oltre all’oro, nel sottosuolo del Burkina Faso ci sono altre risorse importanti come il manganese, lo zinco o i fosfati, opportunità di grande investimento e anche di lavoro. Nel Paese la gran parte della popolazione ha un lavoro precario. Ora l’industria mineraria è in grado di fornire prospettive di occupazione più stabili. Si parla di 17.000 nuovi posti di impiego nei prossimi anni. Grazie anche a corsi di formazione. Come quello gestito da Moumouni Séré. Dopo gli studi negli Stati Uniti, è tornato in Burkina Faso, aprendo nella capitale una scuola per operai, tecnici e ingegneri. “Finora, per posizioni qualificate occorre prendere degli stranieri perché qui non c‘è manodopera locale specializzata. Dobbiamo formare noi le persone. Se però hanno una qualifica dovrebbero avere accesso a posti di lavoro nel settore minerario”, ci racconta il Direttore Séré.

Il piano di sviluppo del governo

Obiettivo del governo: far sì che la ricchezza generata dal settore minerario vada a beneficio di tutti. “La filosofia è quella di far capire che, dato che le miniere sono un settore promettente per l’economia del Burkina Faso, il settore minerario può essere un valore aggiunto per tutte le persone. Ecco perché vogliamo lavorare nell’interesse di coloro che operano nel settore minerario e nell’interesse delle popolazioni locali.“Rosine Sori-Coulibaly, ministro delle Finanze e dell’Economia del Burkina Faso.

Nei villaggi intorno alla miniera, l’economia locale è in forte espansione grazie anche all’arrivo di imprese internazionali. I giovani lavorano come guardie o autisti. Gli agricoltori vendono più frutta e verdura. Per la signora Makoura il suo libro di cucina è diventato un must. Prima non vendeva molto. Ora invece è un successo. È diventata famosa e un po’ più benestante.




Grandi guadagni, grandissimi rischi
Marcello Maranzana

https://it.businessinsider.com/il-mirag ... imi-rischi

Mentre il cosiddetto oro sucio (oro sporco) sudamericano ha coinvolto acquirenti negli Stati Uniti e in Europa, come la NTR Metals, la Republic Metals Corp. e Italpreziosi, gli affari dall’Africa interesserebbero soprattutto le piazze di Dubai (la cui importazione complessiva di oro registrata nel 2010 è stata pari al 12,7% delle importazioni complessive, per un valore di 16,8 miliardi di dollari) Shanghai e Hong Kong.

I maggiori esportatori tra i Paesi africani sono il Ghana (decimo nella classifica mondiale con una produzione 2016 pari a 95 tonnellate), Guinea (20t), Uganda, Sierra Leone, Kenya e Camerun.

Ma attenzione, in Africa i grossi guadagni sono possibili perché ci sono rischi altrettanto grandi, e sistemi di operare non sempre legali.

Il che implica che vada tenuta in considerazione anche la voce “perdite”, causate dai crolli delle quotazioni ma non solo.

Non è tutto oro quello che luccica

Le transazioni con i venditori locali possono essere legali, illegali (frutto degli scavi di migliaia minatori ‘di frodo’ conosciuti localmente come zama zama, agli ordini dei trafficanti locali) o semplicemente… false.

In quest’ultimo caso i venditori chiedono grossi anticipi per poi sparire dalla circolazione.

E i compratori, attratti dal miraggio di soldi facili, non sono abbastanza attenti a queste dinamiche: è così che si perdono milioni di dollari.

È stimato infatti che il valore delle transazioni illegali vari dai 500 milioni ai 2 miliardi annualmente.

Da cosa deriva questa forbice? Per esempio dai furti e dalla chiusura delle miniere (un anno puoi trovare 6.000 miniere in Sudafrica, l’anno dopo 5.000) e dall’utilizzo o meno delle miniere abbandonate.

I dati ufficiali dall’Africa mostrano che una buona parte del volume d’affari che riguarda il commercio di oro è operato, oltre che dalle multinazionali, dai venditori locali.

Il loro è un business da centinaia di milioni di dollari al quale va però aggiunta una quantità almeno pari di affari, che coinvolge un altro tipo di venditori locali: quelli illegali.

Da notare, infatti, è che, a livello mondiale, le compagnie minerarie impiegano 3,7 milioni di lavoratori ma se consideriamo anche l’attività artigianale, compresa quella illegale dei zama zama, il numero dei lavoratori sale alla cifra impressionante di 25 milioni.

Nelle miniere illegali il modus operandi prevede un lavoro che sfiora la schiavitù: durissimo, quasi sempre di notte, senza sosta e alla massima velocità. Questo perché le miniere devo essere sfruttate il più possibile per l’alto rischio che possano venire chiuse dalle autorità o, peggio, di veri e propri attacchi da parte di altri gruppi criminali per recuperare oro in più.

“In poche parole, possedere oro in Africa costituisce un rischio non indifferente e la fretta che i venditori hanno di concludere l’affare per non detenere la merce nelle proprie mani è il motivo principale per cui i prezzi diventano competitivi” afferma Carlo Alberto De Casa, Chief Analyst presso ActivTrades.

Abbassare i prezzi, dunque, costituisce per i venditori locali un triplo vantaggio: da una parte, concludono l’affare velocemente; dall’altra, si disfano di merce che scotta, sia perché soggetta al rischio di furto sia perché a sua volta potrebbe essere di provenienza criminale.

Ed è in queste occasioni che le perdite per i compratori possono diventare ingenti, tipicamente per la sparizione del venditore dopo il pagamento anticipato della merce.

Il maggior elemento di attrattività di questo tipo di transazioni ovviamente, sta nella competitività rispetto ai prezzi delle aziende che agli occhi del mercato internazionale godono di una posizione di fiducia e trasparenza, i cui prezzi sul mercato raggiungono i 40mila dollari al kg. Tra queste, la principali sono la sudafricana Gold Fields con un fatturato di 31,56 miliardi di dollari nel 2016, AngloGold Ashanti (5,334 miliardi), Kinross (3,5 miliardi), Acacia Mining (1,05 miliardi).

Come fiutare la fregatura

In generale, un primo modo per capire che l’affare in atto si fonda su basi corrette, è la flessibilità del venditore rispetto ai termini del buyer: Stankevicius Managment Consulting, che opera in consulenza proprio nel settore di oro, diamanti e petrolio, riporta che i cosiddetti “fake deals” sono smascherabili in modo relativamente facile attraverso l’osservazione dei contratti proposti dai fake sellers, spesso caratterizzati da condizioni speciali che richiedono, per esempio, il pagamento anticipato di 500.000 dollari o più.

Altri accordi illegali pongono invece condizioni ingannevoli come false ispezioni da parte di raffinerie private che collaborano con i fake sellers. Queste raffinerie forniscono test fasulli sulla merce, indicando che si tratta di oro quando invece non lo è) oppure effettuare i pagamenti in posti non formali come villaggi turistici e hotel. Questi sono, oltretutto, i classici casi in cui i rischi per la sicurezza e l’incolumità personale, a partire da furti e minacce, diventano concreti.

“Riceviamo dai nostri clienti moltissime richieste di verificare la legittimità dei contratti” dice Paulius Stankevicius, Fondatore e CEO di Stakevicius Management Consulting. “Ogni accordo che dobbiamo controllare vale milioni, se non centinaia di milioni, di dollari e la protezione e la garanzia di legalità è una questione che merita sempre più attenzione.”

Al danno nei confronti dei compratori in termini di business, si aggiunge un danno che coinvolge i lavoratori in termini di salute e sicurezza, per non parlare del problema relativo alla criminalità, con tassi di omicidi preoccupanti.

Il rapporto SAPS del 2016 ha categorizzato i crimini in Sudafrica. Quelli correlati al commercio illegale di oro rientrano in due categorie; quella dei crimini legali alla proprietà che riguardano, nel contesto di permessi residenziali e commerciali, furti o attività non autorizzate e quella degli altri gravi crimini, che comprendono i crimini connessi alle attività commerciali, legali e non. Se da una parte è stato registrato un decremento del 3% dei crimini legati alla proprietà nel 2016 rispetto al 2013, i “crimini commerciali” sono aumentati rispetto al 2012 del 3,1%.

E non basta. Il danno che questo tipo di business produce riguarda infatti l’intera economia africana. Un’economia che secondo la Global Financial Integrity è stata caratterizzata, dal 2002 al 2011, da una fuoriuscita illegale dal continente di 101 miliardi di dollari tra evasione, corruzione e attività criminali. Ad esempio, il French Geological Survey ha riportato quest’anno che in Burkina Faso il 90% della produzione di oro artigianale non è dichiarata ufficialmente. È infatti stata registrata una produzione pari ad appena 208 kg nel 2016 contro le reali 10 tonnellate.

“Se da una parte ammettiamo che lo stato attuale degli affari che coinvolgono l’oro non sia l’unica minaccia alla sicurezza delle regioni africane, sosteniamo che senza una sostenuta volontà politica di affrontare questa specifica vulnerabilità, la stabilità economica e sociale sarà sempre un miraggio in Africa” scrive la ONG PAC (Partnership Africa Canada).

Infine, last but not least, va tenuta in conto la questione ambientale: estrazione e commercio sono ufficialmente gestiti dalle multinazionali che pagano piccole quote agli stati (Ghana, primo tra tutti) ottenendo in concessione decine di migliaia di chilometri quadrati di territorio che porta ad uno sfruttamento intensivo di risorse che non solo toglie spazio all’agricoltura, ma provoca deforestazione e inquinamento delle falde acquifere.
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Re: All'Africa e agli africani non dobbiamo nulla

Messaggioda Berto » dom lug 22, 2018 10:03 am

«Italia addio, sei una delusione: torno in Ghana e allevo mucche»
Gabriele Pipia
Sabato 21 Luglio 2018

https://www.ilmessaggero.it/primopiano/ ... 69371.html

Il viaggio d'andata è durato 24 mesi, ed è stato tutto tranne che un semplice viaggio. Prima l'attraversata del deserto, poi la drammatica esperienza del carcere libico, alla fine lo sbarco a Lampedusa e l'arrivo in una città - Padova - di cui lui nemmeno conosceva l'esistenza. Il viaggio di ritorno, invece, è durato il tempo del tragitto in treno e poi di un volo aereo: da Padova a Roma e dalla capitale ad Accra, per mettere nuovamente piede in Ghana e dire addio al sogno italiano.
Amoako Kwadwo, 19 anni, dopo due anni ha deciso di tornare a casa. «Qui non era come mi aspettavo, e allora tanto vale tornare dalla mia famiglia e provare a costruirmi un futuro in Africa»: ai volontari che lo assistevano si è rivolto così, mescolando delusione e nostalgia. «Noi lo abbiamo accompagnato in questa sua scelta, come abbiamo fatto con altri ragazzi racconta don Luca Favarin, presidente della onlus padovana Percorso Vita -. Per lui questa deve essere una nuova nascita. Non certo una sconfitta».


ANDATA E RITORNO.

La storia di Amoako è quella di moltissimi ragazzi minorenni che arrivano in Veneto con il cuore pieno di speranza ma poi si rendono conto che la realtà è ben diversa rispetto alle aspettative. C'è chi decide di restare comunque in Italia per provare a costruirsi un futuro, ma c'è anche chi trova il coraggio di abbandonare ogni sogno e fare il percorso inverso. È appunto il caso di questo diciannovenne, con gli occhi da bambino ma con la saggezza di un adulto. Gli avevano raccontato che qui avrebbe trovato facilmente un lavoro e che avrebbe potuto mettere da parte un bel gruzzolo per mantenere la famiglia, ma è andata in modo completamente diverso. «Voglio tornare nel mio paese - ha raccontato agli amici padovani poco prima di salire sull'aereo -. Io qui sono stanco e non ho trovato quello che cercavo, mentre i miei genitori in Africa hanno bisogno di me. Lo ripetono ogni volta che mi sentono».

IL BONUS. Da poche settimane Amoako ha riabbracciato la sua famiglia in Ghana, ma non dimenticherà mai la delusione italiana. Ospite al campo d'accoglienza di Bagnoli, uno degli hub negli ultimi anni al centro di mille polemiche per il suo sovraffollamento, ha lavorato raccogliendo patate per due aziende agricole della zona. «Era un lavoro duro, per otto ore al giorno ha spiegato prima di salutare tutti -. I soldi che ho visto sono stati ben pochi: nel primo caso non sono stato pagato, nel secondo ho ricevuto 240 euro per un mese». Il guadagno immediato, quindi, era solo una dolce illusione. Supportato dalla onlus padovana, ha aderito al Programma di rientro volontario assistito del ministero dell'Interno, finanziato con fondi europei. «Il ragazzo ha ricevuto un contributo per il viaggio, ma anche 1.400 euro per acquistare cinque mucche e avviare un allevamento nel suo villaggio in Ghana spiega don Favarin -. Questo significa davvero aiutarli a casa loro. È la dimostrazione che c'è un percorso da fare a monte, nei Paesi d'origine di questi giovani, per evitare che vogliano emigrare. Arrivano qui in Italia sentendosi un numero, ma loro vogliono solamente esistere. Quello dell'immigrazione è un tema complesso: l'integrazione è fondamentale, ma per chi fatica ad integrarsi il rimpatrio assistito è certamente uno degli approcci da tenere in considerazione. Negli ultimi due anni - aggiunge - abbiamo supportato almeno cinque ragazzi che hanno fatto scelte di questo genere. Avevano tra i 20 e i 24 anni».

Tutti hanno scelto di tornare a casa. Chissà che consiglio daranno ai loro coetanei dei villaggi africani.



Alberto Pento
Ogni clandestino che arriva, che si soccorre, "salva", accoglie, ospita e mantiene, comporta che un italiano sia deprivato dell'essenziale e finanche della vita, infatti i giovani non hanno lavoro o guadagnano poco, non possono farsi una famiglia e mettere al mondo dei figli. Se tutte le risorse destinate ai clandestini fossero destinate al lavoro, alle famiglie e ai giovani vi potrebbero essere nuovi nati, invece vi sono solo nuovi morti: di vecchiaia, di stenti, per mancata assistenza e giovani che si suicidano dalla disperazione per disoccupazione, fallimento e tassazione.
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Re: All'Africa e agli africani non dobbiamo nulla

Messaggioda Berto » gio nov 29, 2018 7:45 am

Minacciata per la pelle bianca. L'assurda storia di Portland
Stefano Varanelli, 25 novembre 2018

https://www.nicolaporro.it/minacciata-p ... vYJZVTG5Ro

Nella fortezza del politicamente corretto, contestare un’auto parcheggiata male può farvi finire licenziati e odiati da mezza America. Questo naturalmente se avete la pelle del colore sbagliato, cioé bianco. Siamo a Portland, una delle città più progressiste d’America. Forse la più progressista d’America. Portland, per intenderci, è la città dove poche settimane fa i militanti di Antifa (gruppo antifascista e/o fanatici dell’ultra sinistra? Fate voi) hanno bloccato per ore alcune vie delle città senza che le autorità battessero ciglio. In questo video si vedono i malcapitati automobilisti insultati in quanto bianchi (“You’re a fucking whity, aren’t you?”) dai militanti di antifa (bianchi anche loro…).

Questa progressivissima città ci regala ora un’altra perla. Una donna nota un’auto che, malamente parcheggiata, blocca le strisce pedonali. Decide quindi di chiamare gli ausiliari del traffico (Parking authority). È il comportamento di una cittadina conscenzionsa oppure eccesso di zelo? Fate voi. Non è questo il punto.

Il punto è che, da un vicino negozio, spuntano fuori i proprietari dell’auto. E loro sono due POC (Persons of color) mentre la donna invece è una bianca. I due sono una coppia: si chiamano Rashaan Muhammad e Mattie Khan. Miss Khan caccia subito fuori un cellulare e riprende lo scambio di battute. Il video comincia con la donna che indica la macchina e dice: “Non potete bloccare il passaggio”. La risposta di miss Khan è pronta e fulminea: “Ecco un’altra persona bianca chiamare la polizia contro una persona nera”.

Un esempio sublime di quello che si chiama play the race card: una questione di parcheggio e senso civico, trasformata in un altro “allarmante” caso di razzismo. Una chiamata alle armi a cui i media non riescono a resistere.

Il primo ad andarci a nozze è il Portland Mercury con un titolo che già implica colpevole e vittima: “Donna chiama polizia per un parcheggio. Lei è bianca, lui e nero”

“Signora bianca chiama la polizia perché non gradisce come ha parcheggiato un nero” scrive un’altra testata. Newsweek almeno è dubitativo: “Donna bianca accusata di aver chiamato la polizia contro coppia di colore”.

In tutti questi casi, ad essere intervistati sono sempre e solo Khan e Muhammad che si atteggiano, naturalmente, a vittime del pregiudizio. Anzi, fanno la figura degli eroi perché hanno reagito e sono passati al contrattacco. “Non possiamo permettere che casi come questo si ripetano nella nostra comunità”, proclama Muhammad.

Notare come i media parlano di chiamata “alla polizia” per aizzare ancora di più gli animi, mentre poi si accerterà che la telefonata era indirizzata alla locale parking authority, l’equivalente dei nostri ausiliari del traffico.

In tutto ciò, la “signora bianca” (soprannominata Crosswalk Cathy) si ritrova con la sua faccia esposta in tutta la nazione, senza il minimo rispetto per la sua privacy e con l’accusa infamante di razzismo, il tutto per aver segnalato un’auto parcheggiata sulle strisce.

Ma la gogna mediatica e sociale è solo agli inizi. Uno dei tanti attivisti del politically correct condivide il video su Twitter ed incita i propri follower: “Fate il vostro dovere e scovate questa donna”.

Interviene un’altra attivista dei diritti delle minoranze, Sha Ongelungel, che mette online i dati del luogo di lavoro della donna e si attiva per chiederne il licenziamento. Il caso della Ongelungel è particolarmente imbarazzante considerando questa intervista apparsa, poche settimane prima, sul Guardian. Nell’articolo la Ongelungel viene glorificata come un’eroina che si batte contro l’odio online. Proprio così… l’odio online. Poi però è la prima ad aizzare la folla di internet contro una sconosciuta, senza neanche curarsi di verificare i fatti (l’imbarazzo ovviamente è solo nostro. Non ci risulta che il Guardian abbia sconfessato l’articolo).

Poi voci più ragionevoli riflettono sul fatto che la “signora bianca” non poteva conoscere la provenienza etnica dei proprietari dell’auto quando ha fatto la telefonata. E quindi l’accusa di razzismo proprio non regge. Chi poi si prendesse la briga di vedere il video senza paraocchi etno-ideologici, si renderebbe conto del tono aggressivo della coppia. Lui le grida contro: “Buffona, vattene a casa tua. Tornatene al tuo quartiere” (immaginate la reazione se la stessa, identica frase fosse stata pronunciata da un sostenitore di Trump a una persona di colore).

Lei risponde: “Io sono di qui”. E lui. “Non sei di qui. Basta cazzate. Sei un’idiota”. Ma è troppo tardi. La donna ha dovuto cancellare ogni sua presenza online, non ha perso il lavoro ma il suo nome è stato cancellato dal sito del datore di lavoro. Alcuni familiari, con lo stesso cognome, sono stati costretti a fare la stesso. È diventata, almeno temporaneamente, un paria sociale, marchiata dall’infamante (quanto ingiustificata) accusa di razzismo. Una moderna lettera scarlatta. Perché nella nuova militanza dell’antirazzismo, una cosa conta più di tutto: il colore delle pelle. È il compasso ultimo del bene e del male che definisce chi siete e perché lo fate.

Morale della storia: la prossima volta fatevi i fatti vostri o, almeno, accertatevi dell’etnicità dei proprietari dell’auto prima di sporgere denuncia.
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Re: All'Africa e agli africani non dobbiamo nulla

Messaggioda Berto » dom gen 13, 2019 9:17 pm

L'immigrata a Salvini: "La Nigeria è povera colpa di politici corrotti dall'Italia"
Francesco Curridori - Gio, 10/01/2019

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 26987.html

Il sito del settimanale Famiglia Cristiana ha dato ampio spazio a una migrante proveniente dalla Nigeria per attaccare il ministro dell'Interno e la sua visione dell'immigrazione

Nuovo affondo dei cattolici contro Matteo Salvini. Il sito del settimanale Famiglia Cristiana ha dato ampio spazio a una migrante proveniente dalla Nigeria per attaccare il ministro dell'Interno e la sua visione dell'immigrazione.

"Chi sono? Non le dirò il mio nome. I nomi, per lei, contano poco. Niente. Sono una di quelli che lei chiama con disprezzo “clandestini”, scrive la straniera nigeriana che precisa subito di non essere "una vittima del terrorismo di Boko Haram". "Nella mia regione, il Delta del Niger non sono arrivati. Sono una profuga economica, come dite voi, una di quelle persone che non hanno alcun diritto di venire in Italia e in Europa". La donna racconta di essere originaria Port Harkourt, la capitale dello Stato del Delta del Niger e aggiunge "una delle capitali petrolifere del mondo".

E, quasi a mò di sfida, chiede a Salvini: "Lo conosce il Delta del Niger? Non credo. Eppure - aggiunge - ogni volta che lei sale in macchina può farlo grazie a noi. Una parte della benzina che usa viene da lì". Insomma, una zona della Nigeria che " dovrebbe essere ricchissima" e invece "quel petrolio arricchisce poche famiglie di politici corrotti, riempie le vostre banche del frutto delle loro ruberie, mantiene in vita le vostre economie e le vostre aziende". Le accuse della migrante terzamondista si fanno, poi, man mano sempre più dure:"Al potere sono sempre andati, caso strano, personaggi obbedienti ai voleri delle grandi compagnie petrolifere del suo mondo, anche del suo paese. Avete potuto, così, pagare un prezzo bassissimo per il tanto che portavate via. E quello che portavate via era la nostra vita", scrive. E infine attacca l'Eni e l'Agip di aver depredato il suo Paese (è in corso un processo dagli esiti tutt'altro che scontati ndr) versando "cifre da paura in questo sporco gioco". Insomma, se i nigeriani votano dei politici corrotti è colpa di Matteo Salvini...


Alberto Pento
Quante balle che raccontano per giustificarsi, incolparci, demonizzarci e scaricarci le loro problematiche e i loro crimini.
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