Libia e l'IS, il colonialismo, Gheddafi e i clandestini

Re: Libia e l'IS, il colonialismo, Gheddafi e i clandestini

Messaggioda Berto » mar ago 20, 2019 7:12 pm

???

«Io Hikma, torturata per 3 anni in Libia. La Open Arms mi ha salvata, voglio studiare a Roma»
LA TESTIMONIANZA
La testimonanza di Hikma, una giovane etiope salvata dalla Open Arms

https://www.ilsole24ore.com/art/io-hikm ... 1566202169

«Sono stata rinchiusa e torturata, come tutti quelli che sono in Libia, un posto pericoloso: per un anno e 4 mesi sono stata rinchiusa in una prigione, per un altro anno e mezzo in un magazzino: mi davano calci e pugni, è stato terribile». A raccontarlo è Hikma, 18 anni, etiope, una dei 13 naufraghi sbarcati dalla Open Arms cinque giorni fa per motivi di salute. Ai trafficanti ha pagato 6.000 dinari libici (oltre 3.500 euro, tutti i risparmi della sua famiglia) per potere lasciare la prigione e imbarcarsi.

«Sono salita su un gommone, eravamo in 55 - ricorda da Lampedusa, dove finalmente ha messo piede - Siamo rimasti in mare per due giorni,
poi siamo stati soccorsi dalla Open Arms». A bordo dell'imbarcazione spagnola non è stato facile. «Tutti ammassati uno accanto all'altro, ci coprivamo con delle tende dal sole e dal freddo della sera; da mangiare ci davano sempre maccheroni», aggiunge con una involontaria risposta al ministro dell’Interno Salvini che riferendosi ai salvataggi in mare delle navi Ong ha parlato di «crociere turistiche».

Hikma non ricorda se tutti i suoi compagni di viaggio si sono salvati. «Io sono qui con mia sorella, anche lei è nel centro di Lampedusa». In Etiopia ha concluso il quinto anno di studi prima di partire. Sogna di poter continuare a studiare. «L'incubo per fortuna è finito, ora sono libera», dice la giovane etiope.
«Ora sto bene, voglio andare a Roma per proseguire gli studi».
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Libia e l'IS, il colonialismo, Gheddafi e i clandestini

Messaggioda Berto » mer mag 06, 2020 10:48 am

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Re: Libia e l'IS, il colonialismo, Gheddafi e i clandestini

Messaggioda Berto » mer mag 06, 2020 10:48 am

In Libia l'affondo finale di Erdogan contro Haftar: bandiera turca su Tripoli
5 maggio 2020

https://www.globalist.it/world/2020/05/ ... 57585.html

Il Sultano va alla resa dei conti con il Generale. E prova a bissare l’operazione condotta in Siria. Erdoğan contro Haftar: lo scontro finale. Il Sultano di Ankara non fa passi indietro sulla Libia e annuncia possibili “nuovi passi” che la Turchia è pronta a compiere “con la forza” per sostenere il presidente Fayez al- Sarraj, sotto attacco da parte dell’uomo non più tanto forte della Cirenaica.

“Se I terroristi e il regime di Haftar non saranno messi sotto controllo allora sapremo come intervenire con la nostra forza. Siamo pronti a compiere nuovi passi in base agli sviluppi che avverranno in questa cornice. È giunto il momento per Haftar di iniziare a ritirarsi. Non sarà mantenuto in piedi dai Paesi che continuano a sostenerlo di continuo. Aspettiamo buone notizie per la Libia”, ha detto ieri sera il presidente turco.

Il Sultano all’incasso

"La recente operazione per sconfiggere Khalifa Haftar è stata effettuata grazie al sostegno fornito al Governo di accordo nazionale riconosciuto a livello internazionale", ha rimarcato Erdoğan riferendosi all'intervento militare turco a Tripoli. "La Turchia è determinata a trasformare la regione in un'oasi di pace continuando a sostenere il governo legittimo in Libia", ha sottolineato Erdogan in un discorso televisivo tenuto ieri sera dopo aver presieduto una riunione del governo. "Ad ogni passo compiuto Haftar affronta la resistenza della gente anche nelle aree che occupa, e quindi gli sforzi degli Stati che gli forniscono armi e un sostegno finanziario illimitato non saranno sufficienti per salvarlo...”.

Gli interessi in gioco

Storia, geopolitica, petrolio, ricostruzione: è il mix di ragioni che spingono Erdoğan ha mettere le mani sulla Libia.

Durante il regno Ottomano, i turchi colonizzarono e dominarono la vita politica della regione, e la composizione etnica della Libia cambiò sostanzialmente con la migrazione dei turchi dall’Anatolia nel Maghreb, fino all’Algeria, con la determinazione di una nuova entità etnica locale, i “Kouloughlis”, una popolazione con sangue misto turco e maghrebino.

Nel 2011, anno della caduta di Gheddafi, i cittadini turchi residenti in Libia erano circa 25.000. Fredde in precedenza, le relazioni tra Ankara e Libia si rafforzarono quando, a seguito dell’embargo militare decretato dagli Usa alla Turchia per l’intervento a Cipro nel 1974, fu la Libia a garantire all’aviazione turca i pezzi di ricambio per i caccia di fabbricazione statunitense in dotazione. D’allora, l’incidenza turca in Libia è cresciuta esponenzialmente.

Quando l’allora primo ministro e attuale presidente della Turchia, Recep Tayyp Erdoğan, nel settembre 2011 fece visita a Tripoli, ricevette un’accoglienza da star da parte dei libici. Oggi, la Libia è il terzo partner commerciale della Turchia in Africa. Sono innumerevoli i trattati bilaterali tra i due paesi, tra i quali vanno ricordati l’Accordo per il rafforzamento della cooperazione economica e tecnica (1975) e l’Accordo bilaterale per gli investimenti e la protezione (2009). I due paesi hanno inoltre deciso di dar vita, l’anno prossimo, a un accordo di libero scambio.

Non basta. La Turchia è tra i maggiori investitori in Libia. Sono stati firmati accordi per realizzare progetti d’intervento in Libia, in particolare nel settore delle infrastrutture, che superano i venti miliardi di dollari. In termini di quantità di lavoratori impiegati nella realizzazione di opere all’estero da parte della Turchia, la Libia è il secondo mercato dopo la Russia.

La crisi siriana ha fortemente indebolito le rotte del petrolio da Arabia Saudita, Iran, Iraq e stati del Golfo. E questo ha portato Ankara a puntare decisamente, nella “battaglia del petrolio”, al sud del Mediterraneo e dunque alla Libia. Mentre altri patteggiavano sotto traccia con milizie o andavano alla ricerca, in terra libica, di improbabili uomini forti a cui affidare il ruolo di gendarme del Mediterraneo, la Turchia ha sviluppato una penetrazione a trecentosessanta gradi, dalla cultura all’alimentazione.

I turchi hanno aperto a pioggia ristoranti e negozi, mentre diciannove miliardi di dollari sono stati investiti nel campo delle costruzioni attraverso la Turkey Contractors’ Association..Quel che è certo è che ora Erdoğan giocherà qualche asso nella manica per ribadire la presenza necessaria di Ankara sul tavolo libico. E questa carta potrà essere, inevitabilmente, quella dei Fratelli musulmani. Una carta fondamentale, condivisa dalla Turchia e dal Qatar, alleati in Medio Oriente e anche nella partita libica.

E Roma perde altri punti

Mentre le azioni del Sultano crescono a dismisura presso Sarraj – “Erdogan sta al premier libico, come Putin sta ad Assad”, dice a Globalist una fonte diplomatica italiana che conosce molto da vicino il dossier libico – a Tripoli quelle italiane sono in caduta libera. Il vice premier libico, Ahmed Maiteeg, ha affermato che l'operazione Irini dell'Unione europea – vanto del titolare della Farnesina, Luigi Di Maio - per monitorare l'embargo delle armi delle Nazioni Unite sulla Libia "non è sufficiente e trascura il monitoraggio delle frontiere aeree, marittime e terrestri orientali della Libia". "L'Unione europea non ha consultato il nostro governo prima di prendere la decisione di avviare l'operazione che si affaccia sui confini orientali", ha aggiunto Maiteeg durante un incontro con l'ambasciatore d'Italia a Tripoli, Giuseppe Buccino secondo quanto scrive l'ufficio informazioni del Gna in una nota.

Fuori dall’ufficialità, una fonte di Tripoli vicina ad al-Sarraj non nasconde a Globalist la delusione e l’irritazione del primo ministro verso quello che definisce “la diplomazia delle chiacchiere portata avanti dall’Italia nella fase decisiva del conflitto. Più volte il presidente Conte e il ministro degli Esteri Di Maio – spiega la fonte – ci hanno ribadito il loro sostegno, ma alle parole non sono seguiti i fatti. Non solo: sappiamo che Roma ha mantenuto aperti canali di comunicazione con il golpista Haftar. E questo non va affatto bene...”.

Il cerchiobottismo italiano porta al disastro ben fotografato dall’ex vice ministro degli Esteri, e profondo conoscitore della realtà libica e nordafricana, Mario Giro: L’abbiamo visto già in Siria e ora la storia si ripete: due potenze (una maxi e l’altra media) stanno prendendo progressivamente il controllo del Mediterraneo, mediante una sofisticata manovra competitiva e allo stesso tempo cooperativa tra i due. In Siria comandano Mosca e Ankara; dopo aver tentato un ruolo autonomo, l’Arabia Saudita si sta allineando; a Cipro (e ai suoi campi petroliferi offshore) non ci si può avvicinare senza il permesso turco; l’Egitto è preso in tenaglia e dovrà adeguarsi; Algeria e Tunisia hanno i loro problemi interni. La sponda nord (cioè l’Europa) lascia correre: non fa politica estera, non negozia, non riflette sul da farsi. Il problema è innanzi tutto italiano. Paradossale rammentare che eravamo il primo partner commerciale di Damasco e Tripoli: ora ci manderanno via, lentamente ma sicuramente. Presi dalla nostra ossessione migratoria non abbiamo visto ciò che accadeva: l’espansione strategica turca (che l’Italia stessa cacciò dalla Libia nel 1911) e il ritorno della Russia nel Mediterraneo”.

Mosca si allontana da Haftar

A mollare il Generale è l’alleato politicamente più importante: la Russia. Un apporto militare fatto trapelare da Mosca e definisce “ad un passo dal precipizio” la situazione delle forze del generale intorno a Tarho una la roccaforte a sud-est della capitale decisiva, assieme alla base aerea di Watiya più a sud, per mantenere la pressione militare su Tripoli. Secondo quel rapporto i rifornimenti dell’Lna (di Haftar sono ormai in balia dei droni forniti a Tripoli dalla Turchia. Ma il rapporto, oltre a descrivere le difficoltà logistiche Haftar, fa anche capire come l’alleato russo non abbia nessuna intenzione di porvi rimedio. ’insofferenza di Mosca era già emersa il 28 aprile quando Haftar aveva tentato di metter da parte Aguila Saleh, presidente del parlamento di Tobruk, colpevole di appoggiare un piano di pace Onu basato sulle conclusioni della Conferenza di Berlino. “Non approviamo – faceva sapere il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov - le dichiarazioni con cui il Maresciallo Haftar sembra voler decidere da solo la vita del popolo libico”. Se non è uno scaricamento definitivo, poco ci manca.

Guerra totale

Intanto, sono ripresi questa mattina gli scontri tra le forze del Governo di accordo nazionale libico (Gna) del premier Fayez al Sarraj e quelle dell'autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) di Khalifa Haftar, nei dintorni della base aerea di al Watiya, ultima roccaforte dell'Lna in Tripolitania insieme a Tarhuna, situata 70 chilometri a sud-ovest di Sebrata. Le forze fedeli a Sarraj si sono radunate ieri a sud di Tripoli per preparare l'attacco. Fonti militari della capitale libica riferiscono che è in previsione anche l'attacco alla cittadina di Asbi'ah, vicino a Ghariyan. Sono le forze delle tribù berbere e le forze appartenenti al generale Osama Al-Juweili che si stanno radunando vicino alla città di Asbi'ah. Gli uomini di al Juweili si sono mosse dall'interno della zona di Jabal Nefusa per partecipare all'attacco alla base di al Watiya.

E a sostenerli, sul campo, sono gli uomini del Sultano.
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Messaggioda Berto » ven lug 03, 2020 6:16 am

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Re: Libia e l'IS, il colonialismo, Gheddafi e i clandestini

Messaggioda Berto » ven lug 03, 2020 6:17 am

Ortodossi e Stati Uniti contro la conversione in moschea di Hagia Sophia
Autore Emanuel Pietrobon
1 luglio 2020

https://it.insideover.com/religioni/ort ... ophia.html

Lo Hürriyet Daily News il 5 giugno rivelava che, a fine maggio, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan aveva dato istruzioni al Consiglio Esecutivo Centrale del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) per elaborare un piano d’azione teso alla riconversione in moschea della fu cattedrale di Santa Sofia, museo dal 1935. Tre giorni dopo, lo stesso Erdogan confermava le indiscrezioni del quotidiano, invitando la comunità internazionale a non intromettersi alla luce della natura della questione, ritenuta esclusivamente interna alla Turchia.

A quasi un mese di distanza dallo storico annuncio, mentre ad Ankara si attende una decisione da parte della Consiglio di Stato sulla liceità della riconversione della struttura, le chiese della cristianità orientale stanno esercitando pressione su diversi governi occidentali affinché fermino Erdogan.


Da Mosca a Washington: tutti contro Erdogan

La prima reazione alla notizia della riconversione, quando ancora era a livello ufficioso, è arrivata da Atene, dove si continua a ritenere il complesso di Santa Sofia come un elemento caratterizzante dell’identità nazionale greco-ortodossa. Era stata proprio questa intromissione a spingere il presidente turco ad apparire in televisione, sui canali Trt, per rompere il silenzio e confermare le indiscrezioni, condendo il tutto con delle minacce: “Stanno dicendo: Non trasformare Santa Sofia in una moschea. Comandate voi la Turchia, o noi comandiamo la Turchia? Non è la Grecia ad amministrare questa terra, perciò dovrebbe evitare di fare simili commenti. Se la Grecia non sa qual è il suo posto, la Turchia saprà come rispondere”.

Il piano di Erdogan, com’era prevedibile, ha ottenuto, da una parte, l’effetto di avvicinare l’intero mondo politico turco all’Akp e, dall’altra, di provocare la reazione della cristianità ortodossa, le cui chiese hanno iniziato ad esercitare pressioni sui rispettivi governi affinché, a loro volta, si rivolgessero ad Ankara. L’8 giugno, l’influente metropolita Hilarion, direttore del dipartimento per le relazioni esterne del patriarcato di Mosca, ha spiegato ai microfoni di Rossiya-24 che “ogni tentativo di cambiare lo status di museo della cattedrale di Santa Sofia condurrà a dei cambiamenti che romperanno il fragile equilibrio inter-confessionale, oggi esistente”. Hilarion ha auspicato, quindi, che la struttura continui a conservare la sua condizione museale e che non venga riconvertita in moschea.

Simili, ma più pesanti, dichiarazioni sono state rilasciate il 30 giugno dal patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, che ha avvisato Ankara delle possibili ripercussioni dell’evento dal punto di vista della convivenza fra cristiani e musulmani in tutto il pianeta: “La potenziale conversione di Santa Sofia in una moschea metterà milioni di cristiani in tutto il mondo contro l’islam”.

La Casa Bianca non è rimasta indifferente alle richieste di aiuto delle chiese orientali, anche perché Donald Trump ha cercato di presentarsi come un difensore della cristianità sin dalla campagna elettorale del 2016. Il 25 giugno, Sam Brownback, l’ambasciatore degli Stati Uniti per la libertà religiosa nel mondo, ha utilizzato Twitter per inviare un messaggio ad Ankara: “Santa Sofia è rivestita di un enorme significato spirituale e culturale per miliardi di credenti di diverse fedi in tutto il mondo. Ci appelliamo al governo della Turchia affinché ne preservi lo status di patrimonio dell’umanità Unesco e la mantenga accessibile a chiunque come museo”.

La risposta del governo turco è arrivata il giorno successivo per voce del viceministro degli esteri, Yavuz Selim Kıran, che ha replicato così al tweet di Brownback: “Hagia Sofia è un dono di Maometto II. Ogni decisione sul suo utilizzo è un nostro affare interno”.


La decisione è alle porte

A inizio giugno, l’Akp ha trasferito l’annoso fascicolo di Santa Sofia al Consiglio di Stato, il più alto tribunale amministrativo della repubblica turca. La decisione dell’ente circa la liceità della riconversione è prevista il 2 luglio. Erdogan e i promotori dell’iniziativa hanno chiesto alla corte di riesaminare la validità del decreto del 1934 che ha permesso la trasformazione del complesso da una moschea ad un museo e, possibilmente, di dichiararlo nullo.

L’abrogazione del decreto, del cui anacronismo si dibatte da tempo, sullo sfondo della diffusione di teorie del complotto che vorrebbero la firma di Mustafa Kemal Ataturk su di esso come non autentica, spianerebbe la strada al ritorno in moschea dell’antica struttura. Il presidente turco ha già annunciato che si adeguerà alla decisione che assumerà la corte, sulla quale gravano una responsabilità storica senza precedenti e le forti pressioni, in favore della conversione, provenienti sia dal mondo politico che dall’opinione pubblica .
Un piano di cui si discute da anni

L’ex cattedrale di Santa Sofia ha funto da sede e simbolo della cristianità ortodossa dal 537 al 1453, rappresentando la massima espressione dell’architettura bizantina ed il cuore dell’impero romano d’oriente. Dopo la presa di Costantinopoli, l’edificio fu trasformato in moschea e tale rimase fino alla fine dell’era ottomana e all’ascesa della repubblica. Kemal Ataturk, il padre della Turchia moderna, laica e con lo sguardo rivolto ad Occidente, decise di convertirla in un museo per mostrare agli alleati europei quanto fosse netta la rottura con il passato.

Lo status laico della struttura ha iniziato a diventare fonte di insofferenza per una parte dell’opinione pubblica e del mondo politico nell’ultimo decennio, in concomitanza con la progressiva re-islamizzazione della società portata avanti dall’Akp. Gli eventi ed i segnali che hanno preceduto la storica decisione di Erdogan sono stati molteplici: dal 2013 ai muezzin è consentito cantare internamente il richiamo alla preghiera (adhān) dai minareti dell’edificio per due volte al giorno, il 1 luglio 2016 è stato consentito l’utilizzo dei minareti per cantare il primo adhān rivolto all’intera città in occasione della notte del destino (Laylat al-Qadr), per la prima volta in 85 anni, mentre il 13 maggio ed il 21 giugno 2017 hanno avuto luogo, rispettivamente, una grande manifestazione dell’Anatolia Youth Association dinanzi l’edificio per chiederne il ritorno a moschea e la recita del Corano al suo interno in diretta televisiva, su Trt, sempre in occasione della notte del destino.

Erdogan ha saputo cavalcare l’onda del nazionalismo islamico che sta travolgendo la società turca, da lui stesso alimentata (ma non creata), e negli ultimi tre anni ha rotto diversi tabù, mostrandosi favorevole ad accogliere le richieste di popolo e politica. Il 31 marzo 2018, il presidente turco ha recitato dei versi del Corano all’interno dell’ex cattedrale, dedicando le sue preghiere “alle anime di tutti coloro che ci hanno lasciato questo lavoro come eredità, specialmente il conquistatore di Istanbul”.

Il 27 marzo dell’anno successivo viene dato l’annuncio storico da Erdogan in persona: Santa Sofia sarà riconvertita in moschea. La proposta del presidente turco, però, riceve un primo ed importante stop dall’Unesco: essendo la struttura in questione un patrimonio dell’umanità ed essendo la Turchia contraente della convenzione per la protezione del patrimonio mondiale, qualsiasi proposta di modifica dovrà prima essere sottoposta all’attenzione dell’ente e ricevere da questi l’approvazione.

Lo stop dell’Unesco sembrava aver fatto cadere il progetto nel dimenticatoio, ma il 2020 ha dimostrato che il sogno di ri-trasformare Santa Sofia nella moschea dell’impero è ancora in piedi. Prima che Erdogan ordinasse all’Akp di pensare ad un piano d’azione, il 29 maggio, durante le celebrazioni in grande stile per il 567esimo anniversario della cattura di Costantinopoli, l’ex cattedrale è stata scelta per una recita speciale del Corano, sullo sfondo di uno spettacolo pirotecnico che ha illuminato la notte di Istanbul ed anticipato la storica decisione.
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Re: Libia e l'IS, il colonialismo, Gheddafi e i clandestini

Messaggioda Berto » ven lug 03, 2020 6:17 am

Tensioni Francia Turchia e nel mare della Libia affonda la missione Nato

Antonio Napolitano
2 luglio 2020

https://www.remocontro.it/2020/07/02/te ... ione-nato/

Parigi ha annunciato il ritiro temporaneo dall’operazione di sicurezza marittima della Nato ‘Sea Guardian’ nel Mediterraneo. Motivo, la mancata risposta della Nato agli interrogativi sollevati da Parigi a proposito del ruolo di Ankara in Libia e più in generale nel Mediterraneo orientale. Un po’ più di un gesto simbolico, se la Nato a guida Usa, come probabile, sceglierà di non prendere posizione contro Ankara. Nella foto decollo dal ponte della portaerei Charles De Gaulle

Francia Turchia scontro sulla Libia

La guerra in Libia sono uno dei motivi di questa tensione. Conflitto per ora politico diplomatico scatenato dai successi militari ottenuti da Tripoli contro le truppe del maresciallo Khalifa Haftar grazie all’aiuto determinante della Turchia. «Da tempo invece la Francia incoraggia Haftar ed è vicina ai paesi che lo sostengono, a cominciare dall’Egitto e dagli Emirati Arabi Uniti», sintetizza Pierre Haski su France Inter. Conflitto di interessi non sempre limpidi, a partire dalla Francia che sulla Libia ha tanto da farsi perdonare dall’intero mondo. Regione indiscutibile questa volta, con la denuncia di Parigi dell’incapacità Nato di controllare i carichi che trasportano armi dirette a Tripoli, in violazione dell’embargo dell’Onu.

‘Incapacità’ e forse peggio, guardando con legittimo sospetto oltre Atlantico.

Libia dettaglio del controllo mediterraneo

Scusa scatenante la Libia, ma in ballo c’è soprattutto l’influenza turca nel Mediterraneo, la spartizione delle zone economiche marittime e delle possibili risorse di gas a spese di alcuni paesi dell’Ue come la Grecia o Cipro (ricordate la nave trivellazione Snam costretta dalla marina turca alla ritirata?). «La Francia portavoce degli interessi europei davanti a un malcelato espansionismo turco», per Haski. Con la Nato americana sempre peggio grazie alle incoerenze dell’amministrazione Trump. Diagnosi francese della malattia Nato da parte di Macron: «stato di morte cerebrale dell’alleanza».

La Francia alza i toni altri tacciono

Gli altri europei sulla questione sono divisi e quindi prudenti. La settimana scorsa Germania e l’Italia con la la Francia in un comunicato contro le ingerenze straniere in Libia. Ma senza fare nomi. Turchia innominata vicina ad Al Sarraj come l’Italia. La Francia con Haftar ed Egitto, ma l’Italia ha nove miliardi di armi in ballo con Al Sisi. Gran pasticcio e battuta scontata sul più sano difficile da trovare in questa partita, a partire da Ergogan per finire a Washington.

Mediterraneo mare di tensione

Non solo immigrazione a incubo gonfiato italiano. La presenza sempre più forte della Turchia, con le navi pronte a schierarsi su aree marine differenti. La Francia, attualmente in rotta di collisione con Ankara che a Tolone sta recuperando l’operatività della sua portaerei Charles De Gaulle, costretta in porto dal Covid ma pronta a partire e non in missione Nato. Cos’è accaduto nelle scorse settimane di così grave? Nave militare francesi che provava a fermare un cargo turco sospettato di violare l’embargo sulle armi alla Libia, ‘illuminazione radar’ da militari turche, avvertimento di armi in puntamento. Sgarbo grave. E Parigi presenta il conto alla Nato che con la Turchia sembra usare pesi e misure diverse, a convenienza.

La partita libica della Turchia

Contro le manovre navali della Turchia si stanno opponendo da tempo non solo la Francia, ma anche Israele, Egitto, Grecia, Cipro ed Emirati Arabi Uniti. Ora la tv di Stato turca sostiene di avere documenti riservati che rivelano le pressioni esercitate dagli Emirati Arabi per richiedere l’intervento degli Stati Uniti nel conflitto in Libia, e contenere i progressi ottenuti dal governo di Tripoli, il solo riconosciuto dalle Nazioni Unite. Ma la Turchia continua a spingere a Sirte con la sua marina al largo della costa. E il numero uno della Marina turca, l’ammiraglio Adnan Ozbal, nella capitale libica dettegli sul Memorandum d’intesa fra Libia e Turchia per spartirsi gas e petrolio nella parte di Mediterraneo chi dicono loro.

La tensione fra Parigi e Ankara si allarga anche a un caso di spionaggio che coinvolge i servizi segreti della Dgse e quelli turchi del Mit per un affaire da chiarire nel consolato francese di Istanbul.
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