La Rivolta degli Schiavi Zanj (869-883): Parte 1 - ZHISTORICAhttp://zweilawyer.com/2015/03/26/la-riv ... 83-parte-1 Questo articolo traduce, sintetizza ed integra un eccellente studio sulla Rivolta degli Schiavi Zanj pubblicato in tedesco dal Prof. Theodor Noldeke e tradotto in inglese da John Sutherland Black per il volume Sketches From Eastern History nel 1892.
Oltre a narrare le straordinarie (e sconosciute ai più) vicende della ribellione di schiavi neri (“Zanj” sta per “negro” in persiano. “Zanzibar” infatti si traduce come “Terra dei Negri”) più rilevante di sempre, il testo tocca, in via incidentale, degli argomenti che non mancheranno di suscitare la vostra curiosità: le correnti interne all’Islam, la presenza degli “Zutt”, ovvero degli zingari, nell’Iraq meridionale del IX secolo, l’intolleranza del Califfo Mutawakkil nei confronti degli altri culti, l’abbattimento dell’albero sacro degli Zoroastriani e molto altro.
Quando il Califfo Mutawakkil venne assassinato, per ordine di suo figlio, l’11 o il 12 Dicembre 861, la struttura dell’Impero Abbaside iniziò a collassare. Le truppe, sia quelle Turche che le altre, insorsero e deposero i Califfi; i generali, molti dei quali un tempo erano stati schiavi come quelli che ora comandavano, lottavano per un potere che spesso dipendeva dall’umore dell’esercito. Nelle province nacquero nuovi governatori che, nella maggior parte dei casi, pensavano non fosse necessario riconoscere il Califfo come loro signore, anche solo dal punto di vista formale. Nelle grandi città della regione del Tigri ci furono gravi tumulti popolari. La pace e la sicurezza erano garantite solo dove il governatore, in pratica indipendente, esercitava il potere in modo ferreo.
I DHIMMI SOTTO Al-MUTAWALKKIL
Al-Mutawakkil non ebbe mai grande apprezzamento per le altre fedi presenti nell’Impero. Nell’850 emanò un decreto che costringeva i Dhimmi (in maggioranza Ebrei e Cristiani) a vestire abiti che li distinguessero dai Musulmani. Inoltre i loro luoghi di culto furono distrutti e furono estromessi dalle cariche pubbliche.
Quelli cui andò peggio furono i Zoroastriani, poiché Mutawakkil ordinò di abbattere il loro albero sacro, il Cipresso di Kashmar, per utilizzarlo nella costruzione del suo nuovo palazzo. Per sua sfortuna, fu assassinato prima dell’arrivo dell’albero.
Questa situazione interna ci aiuta a comprendere come, un avventuriero intelligente e senza scrupoli possa essere stato in grado di creare, non lontano dal cuore dell’Impero, un dominio che per lungo tempo divenne il terrore delle regioni confinanti. Egli riuscì inoltre ad accaparrandosi il supporto delle classi più disprezzate della popolazione. Il suo regno si piegò solo dopo 14 anni di attacchi da parte del Califfato, che nel frattempo era riuscito a recuperare parte della sua antica forza.
Alì inb Muhammad, proveniente da un villaggio non lontano dall’odierna Teheran, si proclamò discendente di Alì ibn Abi Talib e di sua moglie Fatima, la figlia del Profeta. Visto che nel IX secolo i discendenti di Alì (non tutti persone di buona nomea) erano ormai migliaia, la sua affermazione poteva essere vera così come poteva essere una semplice invenzione.
A detta di alcune autorità la sua famiglia proveniva dal Bahrein, una regione dell’Arabia nord-orientale, ed apparteneva ad un ramo della tribù di Abdalkais, che risiedeva lì. Ad ogni modo, egli passò per essere un uomo di sangue Arabo.
Prima di rivelarsi al mondo, si narra che Alì rimase per qualche tempo, assieme ad altri avventurieri , in Bahrein, cercando di farsi un seguito lì. Questa notizia sembra essere confermata dal fatto che diversi dei suoi seguaci più importanti provenivano da quella regione.
Fra questi c’era lo schiavo liberato nero noto con il nome di Sulaiman, figlio di Jami, uno dei suoi generali più capaci. L’ambizioso Alì, sfruttando una situazione di prevalente anarchia, cercò di assicurarsi una base a Basra. Questa grande città commerciale, dopo Bagdad il luogo più importante delle province centrali, era in grave sofferenza a causa del conflitto tra due fazioni, con ogni probabilità rappresentate dagli abitanti di due differenti quartieri della città. Qui Alì non ebbe grande fortuna; alcuni dei suoi seguaci, e anche i membri della sua famiglia, furono imprigionati, una sorte che evitò fuggendo a Bagdad. Poco dopo però, in seguito a un cambio di governatore, a Basra ci furono nuovi scontri, le prigioni furono aperte, e Alì si recò nuovamente in loco.
african slaves iraq
studio monografico sulla rivolta degli Zanj (per chi fosse interessato ad approfondire ulteriormente)
Egli aveva già esaminato in modo accurato il terreno adatto ai suoi piani.
Conosciamo solo marginalmente il luogo degli accadimenti relativi all’ascesa di Alì. Sappiamo che, in quel tempo, l’Eufrate, si immetteva in una regione di laghi e acquitrini, connessi al mare da canali di marea.
La più importante di queste acque era vicino a Basra, che si trovava più a ovest rispetto alla moderna, e molto più piccola, città con lo stesso nome (Bussorah). Questo luogo e le sue vicinanze erano attraversati da moltissimi canali (si dice più di 120.000). Sempre in quel periodo, il ramo principale del Tigri era quello a sud, ora chiamato Shatt al Hai, su cui sorgeva la città di Wàsit.
C’erano quindi alcune differenze geografiche rispetto a oggi, anche perché allagamenti e argini rotti avevano trasformato molte terre fertili in paludi; mentre, all’opposto, il prosciugamento e la costruzione di argini ne avevano bonificato molte altre.
In linea di massima, quella che era una terra ridente era divenuta selvaggia a causa dell’espansione degli acquitrini e dal riempimento di limo e ostruzione dei canali di drenaggio. Erano cambiati anche i letti dei fiumi. In considerazione di quanto detto, possiamo seguire solo in modo vago i riferimenti topografici molto precisi dettagliati dalle fonti nel descrivere le campagne contro Alì ed i suoi uomini.
A poca distanza a est di Basra c’erano ampi piani, attraversati da fossi, in cui un gran numero di schiavi neri, la maggior parte provenienti dalla costa orientale africana, la terra degli Zanj, erano impiegati per scavare via la superficie nitrosa del suolo e mettere a nudo il fertile terreno sottostante. Al tempo stesso, questi venivano utilizzati anche per raccogliere il salnitro presente nello strato superiore del terreno.
Il lavoro degli schiavi era massacrante e la supervisione molto stretta. Il sentimento di affetto che, in Oriente, legava lo schiavo alla famiglia in cui viveva ed era cresciuto, era qui del tutto assente.
D’altro canto però, in simili masse di schiavi che lavorano insieme nasce facilmente una comunione di sentimenti, un comune senso di rabbia verso i padroni, e, sotto determinate condizioni favorevoli, la presa di coscienza della propria forza; queste, opportunamente combinate, sono le condizioni di un’insurrezione su larga scala. Avvenne questo durante le guerre combattute contro gli schiavi nell’ultimo secolo della Repubblica Romana, e la stessa cosa accadde qui.
I procacciatori di schiavi catturavano gli schiavi direttamente (specie le tribù nomadi), o tramite compravendite con i regni locali, come ad esempio quello del Ghana, l’Impero Gao o, in seguito, l’Impero del Mali. In questo caso, tutto quello che i musulmani dovevano fare era recarsi presso i vari mercati regionali (Gao, Aghordat, o altri locali) ed acquistare i prigionieri catturati nelle guerre interne.
Oltre a questo, i regni vassalli venivano spesso costretti a pagare un tributo in schiavi. Il primo fu istituito nel 652 a carico del regno di Nubia, e prevedeva l’invio di 360 schiavi l’anno (un numero che probabilmente fu aumentato nel tempo), oltre a elefanti e altri animali selvatici. Il regno di Nubia continuò a pagare ininterrottamente per circa cinquecento anni.
Musa bin Nusair, uno dei più grandi generali arabi di tutti i tempi, ridusse in schiavitù 300.000 Berberi infedeli, di cui 30.000 divennero schiavi-soldato. Successivamente, durante la campagna che lo portò a disintegrare il regno Visigoto (711–15), Musa riuscì a riportare in nord-Africa 30.000 vergini gote.
Alì comprese la forza latente di quegli schiavi neri. Il fatto che egli fu in grado di mettere in moto questa forza, e di svilupparla in una potenza che richiese molto tempo ed enormi sforzi per essere stroncata, dimostra che egli fu un uomo di grande acume. Il “capo degli Zenj”, “Alid” o il “falso Alid” gioca un ruolo molto importante negli annali dei suoi tempi, tanto che è facile comprendere perché la nostra fonte principale, Tabarì, preferisse chiamarlo “l’abominevole”, “il malvagio” o “il traditore”.
A Babilonia già una volta uno Arabo di talento e senza scrupoli aveva sfruttato un periodo di confusione istituzionale per far nascere un regno basato su pretesti religiosi con l’aiuto delle classi più disagiate. Lo scaltro Mokhtàr aveva fatto appello alla popolazione Persiana e ai mezzo-sangue Persiani delle grandi città, in particolare Cufa, cui i dominatori Arabi, in quei primi anni dell’Islam, guardavano con grande disprezzo (685-687). Ma Alì andò molto più a fondo, e rimase al potere molto di più di Mokhtàr.
Prima di rivelarsi apertamente, Alì aveva cercato fra gli strati più derelitti della popolazione (in particolare fra gli schiavi liberati) gli strumenti adeguati all’esecuzione dei suoi piani.
All’inizio del settembre 869 si recò presso il distretto del salnitro sotto le mentite spoglie dell’uomo d’affari di una ricca famiglia, e iniziò a provocare gli schiavi. Secondo le fonti, egli si rivelò definitivamente il 10 settembre 869.
Aizzò gli schiavi neri sottolineando quanto fossero infime le loro condizioni d vita e promise loro che, se lo avessero seguito, avrebbero ottenuto libertà, benessere e… schiavi. Avete capito bene, Alì non aveva alcun interesse a predicare la necessità l’uguaglianza universale o un generale benessere, ma cercava di convincere gli schiavi neri che dovevano essere loro a primeggiare.
Ovviamente, Alì non si fece problemi a mascherare il suo piano da questione religiosa. Davanti ai suoi seguaci, egli proclamava la restaurazione della vera giustizia e che nessuno, a parte loro, erano veri credenti o destinati a rivendicare i diritti terreni e divine del vero Musulmano.
In un tempo di superstizioni e feroce utilizzo delle posizioni religiose, Alì riuscì a fare presa sia sui sentimenti più nobili che su più bassi delle masse disagiate. Il suo fu un successo completo.
In pratica si fece passare per un messaggero divino, e ai neri sembrò effettivamente esserlo, ma che ne fosse davvero convinto è difficile a credersi. Da quello che sappiamo di lui, sembra che Alì fosse un freddo calcolatore, anche se in realtà conosciamo meglio le sue gesta militari che non la sua vera personalità.
Alì affermò dunque di essere un discendente di Alì, il genero di Maometto, e quindi ci si poteva aspettare che, come avevano fatto altri, iniziasse a sbandierare la natura divina della sua famiglia e fondasse una setta Sciita. Al contrario, egli si dichiarò a favore della dottrina dei nemici più decisi della legittimità di quella Sciita. Questi erano i Khargiti, i quali sostenevano che solo i primi due Califfi erano stati legittimi, mentre ripudiavano Othmàn e Alī ibn Abī Ṭālib, perché avevano fatto proprie idee secolari. Sostenevano anche che avrebbe dovuto regnare solo “l’uomo migliore”, anche se fosse stato uno “Schiavo Abissino”. Visto che si consideravano gli unici veri musulmani, non si facevano problemi a uccidere e schiavizzare i loro nemici musulmani e le loro famiglie.
Alì portava la scritta “Alì, figlio di Maometto” sul suo stendardo, ma gli schiavi non lo avrebbero seguito basandosi solo sulla sua presunta discendenza. Il passo decisivo fu proprio far credere loro di essere gli unici veri Musulmani e legittimi massacratori o padroni di tutti gli altri.
Nello scegliere la dottrina adatta ad infiammare gli animi degli Zanj, Alì, quasi sicuramente, tenne anche in considerazione la scarsa popolarità della dottrina sciita a Basra. E questa sua scelta ebbe una ripercussione rilevante, visto che probabilmente spiega il motivo per cui Qarmat, fondatore dei Carmati (setta ismaelita, a sua volte corrente sciita), non abbia mai voluto supportarlo.
Tornando ad Alì, bisogna notare che la conformazione territoriale (cui abbiamo accennato) favoriva il buon esito di una rivolta. Una quarantina di anni prima, nelle paludi fra Wàsit e Basra, si erano stabiliti degli Zingari (in arabo “Zutt”) le cui file si erano ingrossate grazie all’arrivo di emarginati e ribelli. Nonostante il Califfato fosse allora in pieno vigore, era stato difficile farli capitolare, quindi gli schiavi neri, più forti fisicamente (nell’articolo originale si legge “più coraggiosi”) e più numerosi, avevano buone possibilità di avere successo.
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I luoghi della ribellione [immagine presa dalla pagina inglese di wikipedia]
Dell’inizio della rivolta degli Zanj abbiamo diverse testimonianze dirette. Un gruppo di schiavi dopo l’altro iniziò a seguire il nuovo messia, e il numero dei ribelli arrivò prima a cinquanta, poi a cinquecento e così via. La loro furia si abbatté sui loro guardiani, perlopiù essi stessi schiavi o schiavi liberati, ma Alì , dopo averli fatti pestare, scelse di risparmiare le loro vite.
I proprietari degli schiavi supplicarono Alì di riconsegnarglieli e gli offrirono cinque pezzi d’oro per ciascuno schiavo oltre all’amnistia per le sue azioni. Egli rifiutò sempre queste offerte e giurò ai suoi seguaci (infastiditi da questo tipo di negoziazioni) che non li avrebbe mai traditi.
L’etnia di africani più rappresentativa fra gli schiavi era quella degli Zanj, che in pratica non parlavano neanche arabo, tanto che Alì fu costretto ad usare un interprete per comunicare con loro. I Nubiani invece, e gli altri africani del nord, già parlavano arabo. Agli operai delle cave di salnitro si unirono anche schiavi fuggiti da città e villaggi e uomini bianchi, mentre invece ci fu poca adesione da parte del proletariato urbano. Di sicuro un buon incremento del potere dei rivoltosi fu dovuto all’ammutinamento di soldati neri del Califfato, specie dopo che le truppe di quest’ultimo venivano sconfitte da Alì. Ad esempio, proprio all’inizio della rivolta un contingente dell’esercito fu sconfitto dagli schiavi (quasi disarmati), e più di trecento soldati neri si unirono a loro.
Purtroppo non disponiamo di informazioni dettagliate sull’organizzazione interna dello stato di Alì, ma la storia delle sue battaglie e della sua resistenza al Califfato ci è nota, e l’affronteremo la settimana prossima, nella seconda parte dell’articolo.