Le demenziali menzogne sull'Africa del vittimismo africano

Le demenziali menzogne sull'Africa del vittimismo africano

Messaggioda Berto » sab set 17, 2022 8:37 pm

Regina Elisabetta, il caso della Stella d'Africa: il Sudafrica reclama il «suo» diamante da record
Sofia Raffa
16 settembre 2022

https://www.ilmessaggero.it/mondo/regin ... 32236.html

Il Sudafrica rivuole indietro il suo diamante (ad oggi il secondo più grande al mondo). La richiesta che va avanti da qualche tempo è diventata, da circa una settimana, precisamente subito dopo la morte della regina Elisabetta, più insistente. Il diamante, noto come Stella d’Africa o Cullinan I, pare appartenere al popolo sudafricano nonostante la monarchia britannica sostenga un’altra cosa. Pare infatti che fosse un regalo da parte del Sudafrica, per la famiglia reale, nel lontano 1905, quando il paese era colonizzato dalla Gran Bretagna. La storia racconta che il diamante fu trovato per caso da Frederick Wells, supervisore della miniera Premier Mine sita a Cullinan (in Sudafrica appunto) e di proprietà di Thomas Cullinan, durante uno dei suoi giri di controllo.

Stella d'Africa, la storia del secondo diamante più grande del mondo

Dopo due anni il governatore di Transvaal, la regione in cui si trovava la miniera (all’epoca sotto dominio dell’impero britannico) decise, dopo aver comprato la pietra preziosa per 150.000£ da Cullinan, di farne omaggio al re Edoardo VII per il suo 66esimo compleanno con lo scopo di rafforzare i rapporti con l’impero. Il re accettò il regalo e la pietra fu portata a Londra, dove venne tagliata in 4 diamanti più piccoli: Cullinan I di 530,20 carati, Cullinan II di 317,40 ct, Cullinan III di 94,40 ct, Cullinan IV di 63,60 ct. I due diamanti Cullinan I e II fanno parte del tesoro della corona e per questo conservati nella torre di Londra mentre invece Cullinan III e IV sono parte dei gioielli personali della regina Elisabetta II e quindi non sono esposti al pubblico.

Il Sudafrica reclama il diamante della Regina Elisabetta

Il dibattito riguardante chi è il legittimo proprietario della Stella d’Africa e di tutte le altre pietre preziose trovate negli anni dentro le miniere Africane è molto acceso. Il Movimento di trasformazione africano, fondato quattro anni fa e noto come ATM, è un partito politico sudafricano guidato da Vuyolwethu Zungula il quale ha delle idee molto precise riguardo la questione. «Il mio paese dovrebbe lasciare il Commonwealth, chiedere un risarcimento per tutti i danni subiti dai britannici e scrivere una nuova costituzione basata sul volere delle persone sudafricane e non dettata dalla Magna Carta britannica. Infine dovrebbe chiedere indietro tutto l’oro e i diamanti rubati dagli Inglesi».

Della stessa opinione è Thanduxolo Sabelo, ex segretario provinciale del ANC KwaZulu-Natal.
«I minerali del nostro paese continuano a dare beneficio all’Inghilterra a discapito della nostra gente. Se siamo in un profondo e vergognoso stato di povertà, con un altissimo tasso di disoccupazione e un livello crescente di criminalità è a causa dell’oppressione e devastazione causati da lei (regina Elisabetta II) e i suoi antenati» affermando che i diamanti Cullinan debbano essere rimandati immediatamente in Sudafrica.
Da questa polemica, che non riguarda chiaramente solo il diamante in sé ma una politica distruttiva perpetrata dagli Inglesi in Sudafrica, è nata un petizione. Oltre seimila persona l’hanno firmata, chiedendo che la Stella d’Africa venga riconsegnato ai veri proprietari.

Il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa però non si è espresso a riguardo, limitandosi a offrire pubblicamente le proprie condoglianze per la morte della regina Elisabetta II alla famiglia reale.



Il diamante, trovato in Sudafrica, fu donato al re Edoardo VII per il suo 66esimo compleanno
16 settembre 2022
https://www.facebook.com/Messaggero.it/ ... 9546318054


Alberto Pento
Il diamante appartiene all'Inghilterra e alla sua Casa reale, il Sudafrica non ha alcun diritto di proprietà da rivendicare.
Il diamante è un prodotto della terra e la sua estrazione è dovuta al lavoro e all'ingegno dell'impresa mineraria che ha scavato la terra e che lo ha trovato e quell'impresa era bianca e inglese.
Quando è stato trovato lo stato del Sudafrica nemmeno esisteva e quelle terre erano una colonia inglese.
Se si trattasse di un'opera dell'ingegno tecnologico o artistico degli abitanti neri dell'epoca coloniale o un loro oggetto sacro che gli inglesi avessero all'epoca sottratto con l'inganno o la violenza allora il Sudafrica avrebbe una qualche legittimità a rivendicarlo, ma questo non è proprio il caso.
Il legittimo proprietario della miniera era Sir Thomas Cullinan che ha scavato la terra e trovato il diamante, lui e nessun'altro aveva il diritto di proprietà che poi è stato ceduto ad altri sino ad arrivare alla Casa reale inglese che lo detiene ancora oggi.
Quasi tutti i paesi e le terre del pianete sono state una più volte colonie di qualcuno:
lo è stata l'Inghilterra, dei celti, dei romani, dei germani anglosassoni;
lo sono stati gli USA e il Canada, colonie francesi e inglesi fino alla loro indipendenza;
lo è stata anche l'Italia dei romani;
lo è stata anche la Germania e dei celti e dei romani;
non parliamo dell'Africa, le cui terre sono state colonie dei popoli africani, degli egiziani, dei fenici, dei greci, dei romani, degli arabi, degli europei;
così per le America, l'Asia e l'Australia.
Molte colonie poi si sono rese indipendenti conservando come preziosa l'eredità etnica, istituzionale, linguistica, religiosa, culturale, economica dei colonizzatori.
I paesi africani economicamente più sviluppati e benestanti sono quelli che sono stati colonizzati a lungo dagli europei e che poi si sono resi indipendenti.


Elena Morabito
L'Africa e il Sudafrica sono secoli che vengono depredati , senza lasciare niente al territorio che non sia disastri ambientali, buche orribilmente profonde, povertà ecc. Si, se chi ha depredato restituisse il valore di ciò che ha preso , anche solo in sacchi di grano, sarebbe un gesto gradito

Alberto Pento
Lei scrive demenzialità e falsità.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Messaggioda Berto » sab set 17, 2022 8:37 pm

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Le demenziali menzogne sull'Africa del vittimismo africano

Messaggioda Berto » dom set 18, 2022 9:31 pm

Le demenzialità di un sito sinistrato pro Africa, pro BLM, pro suprematismo nero

???

IL MOMENTO DELLA POESIA

MamAfrica
18 settembre 2022

https://www.facebook.com/mamafricaonlus ... 4227018583

Io non sono razzista, sono anche stato in vacanza in Africa!
Io non sono razzista, la badante di mia mamma è rumena ed è una persona splendida.
Io non sono razzista, la compagnetta di mia figlia è del Togo e le passo tutti i vestitini dismessi di mia figlia.
Io non sono razzista, una volta fuori dal supermercato ho anche regalato una mela a un ragazzo nero che chiedeva l’elemosina.
Io non razzista, ho adottato un bambino a distanza!
Io nono sono razzista, dai cinesi però non ci compro.
Io non sono razzista, se vedo che un negro deve attraversare sulle strisce lo lascio passare.
Io non sono razzista, però dei rom ho paura.
Io non sono razzista, però questi a volte hanno delle pretese… le case popolari le dessero prima agli italiani!
Io non sono razzista, le donne più belle del mondo le ho viste a Dakar.
Io non sono razzista, Balotelli mi sta simpatico.
Io non sono razzista, per i lavori di ristrutturazione mi sono affidato ad un ditta di albanesi… bravissimi ragazzi eh? Precisi, puntuali e davvero a buon prezzo, se vuoi ti do il numero.
Io non sono razzista, una coppia di miei amici ha adottato una bimba russa bellissima.
Io non sono razzista, però secondo me i rom rapiscono i bambini.
Io non sono razzista, allo zingaro che è fuori dal supermercato do sempre l’euro del carrello.
Io non sono razzista, però quando sono stato a Santo Domingo non ci sono uscito dal villaggio, avevo paura.
Io non sono razzista, al bar sotto casa mia lavora un ragazzo indiano e gli do sempre la mancia.
Io non sono razzista, le coppie miste son così belle da vedere… e i bambini? Che cioccolatini!!
Io non sono razzista, però preferirei se in classe di mio figlio non ci fossero extracomunitari…
Io non sono razzista, però questi sui treni carichi di borsoni… e poi puzzano, ma al loro paese il sapone non esiste?
Io non sono razzista, quando la mia collega senegalese va in Africa le do sempre penne e quaderni per i bambini del posto, e lei mi porta in cambio un vasetto di burro di karité.
Io non sono razzista, ma certe usanze proprio non le capisco, non potrei mai vivere senza il prosciutto!
Sicuri sicuri?
Dal web
Foto Turbanista
@Mamafrica Lia





Alberto pento


Cosa c'entra mai il razzismo?
Io che sono bianco e europeo, personalmente non ho mai pensato o detto niente di tutto ciò.
In questo testo non vi è alcuna poesia ma solo un sfliza di demenzialità, di assurdità, di forzature e manipolazioni concettuali che con il razzismo c'entrano poco, con il fine di demonizzare gli italiani, i bianchi e gli europei e in tanti, intellettualmenti limitati e ideologicamente condizionati, ci cascano e si fanno ingannare.

Io non sono mai stato in Africa e credo che morirò senza mai andarci e non sento alcun desiderio di visitarla.
Io all'Africa e agli africani non debbo niente assolutamente niente.

Io non do un centesimo alle associazioni per l'Africa e per i bambini africani;
non do un centesimo agli africani fuori dei supermercati, tanto meno ai nomadi che non ospiterei mai a casa mia perché li conosco bene e so di cosa sono capaci.
Io non adotterei mai un africano nero nemmeno a distanza, preferirei un europeo bianco; piuttosto adotterei un bambino africano bianco del Sudafrica rimasto orfano e perseguitato dai neri che gli hanno ucciso i genitori.
Preferirei adottare una bimba ucraina più che una russa.

Balotelli mi è antipatico e del calcio non m'importa nulla.

La bellezza femminile si trova in ogni continente presso ogni popolo e ogni razza.

Sicuramente non mi piace il razzismo africano e la demenzialità tutta africana di ammazzare i neri albini.

Non mi piacciono gli africani nazimaomettani che fanno strage in Africa dei cristiani e dei non maomettani.

Io non affiderei mai lavori edili a ditte albanesi o slave perché non sono affidabili, hanno poca competenza e hanno una scarsa qualità, preferisco de ditte venete, friulane o lombarde che lavorano incomparabilmente meglio.

Sono assolutamente contro i clandestini che per me sono criminali (invadere i paesi altrui è un crimine) e non compro nulla dai venditori ambulanti neri o mori che siano, specialmente se abusivi e senza partita iva.

Ma cosa mai ci fa quel pugno, simbolo del suprematismo razzista nero BLM, nel logo di MamAfrica?

Eppoi le vere donne africane non portano il velo, il velo lo portano solo quelle colonizzate e convertite a forza
al nazismo politico religioso arabo maomettano a partire dai secoli passati.

La carne di maiale poi la si mangia in tutto il mondo da sempre, a parte presso gli ebrei e i nazi maomettani; ed è una carne buonissima che io mangio volentieri ed è un mio diritto mangiarla e se a qualche razzista e idolatra nazi maomettano non piace sono affari suoi e che abbia rispetto per gli altri, specialmente a casa e nei paesi altrui.

Alla fine della fiera mi pare che il razzista sia chi ha scritto e che condivide questa sfilza di demenzialità che con la poesia non hanno nulla a che fare.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Le demenziali menzogne sull'Africa del vittimismo africano

Messaggioda Berto » mer nov 30, 2022 7:23 am

Calamità in Africa, disastri provocati dall'uomo
Anna Bono
17-10-2022

https://lanuovabq.it/it/calamita-in-afr ... i-dalluomo

Siccità nel Corno d'Africa, alluvioni in Sudan e nell'Africa occidentale. Sono molte e variegate le catastrofi naturali a cui stiamo assistendo in Africa e le conseguenze, umane e materiali, sono molto gravi. Ma è facile dare la colpa al cambiamento climatico. Se la natura fa così tanti morti, la causa è locale e molto umana.

Alluvione nel Sud Sudan

Continuano ad arrivare dall’Africa notizie di disastri naturali dalle conseguenze catastrofiche: milioni di sfollati, migliaia di vittime, incalcolabili danni materiali e la carestia che minaccia di abbattersi su un numero crescente di persone ormai stremate da malnutrizione, disagi e malattie.

Nel Corno d’Africa è la siccità a mettere in difficoltà 21 milioni di persone. La situazione è grave soprattutto in Somalia e in Etiopia. A causa di tre stagioni delle piogge con scarsissime precipitazioni, in Somalia 7,1 milioni di persone sono in stato di insicurezza alimentare acuta, 1,5 milioni di bambini sotto i cinque anni soffrono di malnutrizione acuta, un quarto dei quali in condizioni avanzate di debilitazione che fanno temere per la loro vita. Gli sfollati sono 750mila. In alcune regioni la carestia sta già decimando la popolazione. Non si prevedono miglioramenti almeno fino al marzo del 2023, sperando per allora in una stagione delle piogge finalmente regolare. In Etiopia, nel sud, quasi otto milioni di persone patiscono livelli critici di denutrizione in seguito a un lunghissimo periodo di siccità. Se anche quest’anno le piogge, per la quinta stagione, saranno scarse o assenti, il numero potrebbe più che raddoppiare. Come in Somalia, gran parte della popolazione rurale è dedita alla pastorizia. Si stima che finora siano morti 3,5 milioni di capi di bestiame e che altri 25 milioni siano a rischio. In una delle regioni più colpite, il Somali, quasi 300mila persone hanno lasciato le loro residenze abituali: in prevalenza donne e bambini che si sono diretti verso i centri urbani, in cerca di assistenza, mentre gli uomini sono rimasti ad accudire quel che resta del bestiame.

Se nel Corno d’Africa la siccità uccide, in due paesi confinanti con l’Etiopia – il Sudan e il Sudan del Sud – la gente muore a causa delle piogge torrenziali. In Sudan da quattro anni la stagione delle piogge porta alluvioni e fame. Quest’anno la situazione è diventata critica a partire da maggio. A settembre il governo ha dichiarato lo stato di emergenza alluvioni in sei stati e ha rimandato l’inizio dell’anno scolastico perché centinaia di scuole sono state danneggiate dalle acque. L’emergenza è stata poi estesa a sei altri Stati (sul totale di 18). Sono già morte più di 100 persone, decine di migliaia di abitazioni sono state distrutte dalle inondazioni, interi villaggi sono stati sommersi e gli abitanti hanno perso tutto. Quasi 12 milioni di persone, oltre un terzo della popolazione, soffrono di insicurezza alimentare acuta. Nel Sudan del Sud le piogge e le alluvioni finora hanno colpito oltre un milione di persone, un decimo degli abitanti, in 29 distretti. I livelli crescenti delle acque fanno temere che alcune dighe non reggano alla pressione. Decine di migliaia di persone hanno trovato rifugio in chiese e scuole. A peggiorare la crisi contribuisce il fatto che le acque hanno spazzato via molte strade, fatto crollare dei ponti e interrotto le comunicazioni. L’emergenza maggiore per le forti piogge si registra in Nigeria dove finora più di 500 persone sono morte e oltre 1.500 sono state ferite a causa delle alluvioni che interessano 31 dei 36 Stati della federazione. 1,4 milioni di nigeriani sono sfollati, costretti a lasciare casa e beni. Le inondazioni sono causate dalle piogge intense cadute a partire da fine luglio e, di recente, dalla decisione di aprire alcune dighe in Nigeria e una diga di grosse dimensioni nel vicino Camerun. Le autorità hanno informato gli stati del centro e del sud del paese che si prevedono altre inondazioni nelle prossime settimane.

Ormai da anni il verificarsi di questi disastri naturali, soprattutto in Africa, viene spiegato con il global warming, il cambiamento climatico. Gli effetti della pandemia prima e adesso della guerra in Ucraina aggravano le crisi, si dice. Ma in Nigeria e in altri Stati africani tutti gli anni, da sempre, durante la stagione delle piogge si verificano alluvioni; e tutti gli anni in Somalia e altrove la stagione secca mette a dura prova l’esistenza di chi ancora pratica economie di sussistenza. Sempre si contano vittime e danni materiali che non fanno notizia – si sa, succede ogni anno – se non quando, di tanto in tanto, le piogge cadono più forti, il monsone risalendo le coste orientali del continente scatena uragani, la stagione secca si prolunga più del solito. Allora si contano quantità eccezionali di morti e danni e il mondo ne parla. L’alluvione di quest’anno, in Nigeria, è la peggiore degli ultimi dieci anni. Durante quella del 2012 erano morte quasi 500 persone, gli sfollati erano stati circa 600mila. In Somalia si teme che la siccità attuale abbia effetti disastrosi come quella del 2010 e 2012 che ha ucciso 260mila persone. Andando a ritroso nel tempo, nei secoli, si ha riscontro di periodiche crisi umanitarie altrettanto e molto più drammatiche.

Un rapporto Onu appena pubblicato spiega che l’assenza di sistemi di allarme rapido aumenta anche di otto volte il numero delle vittime di calamità naturali. L’Africa risulta essere il continente con meno sistemi di allarme rapido. Molti paesi africani inoltre non solo sono privi di tali sistemi, ma non dispongono di piani di evacuazione, di intervento tempestivo. Peggio ancora, non attuano opere di contenimento dei danni causati dagli eventi naturali avversi: barriere antiallagamento, argini, casse di espansione dei corsi d’acqua, progetti anti erosione per limitare le frane, sistemi di recupero e raccolta delle acque piovane, piani di riforestazione, progetti idrici, trivellazioni…

In assenza di prevenzione e azione da parte dei governi e delle amministrazioni, ha ragione chi definisce gran parte dei disastri che si abbattono sugli abitanti del continente africano “man-made disasters”, disastri provocati dall’uomo, non dalla natura.

Etiopia, Somalia, Sudan del Sud, Sudan, Nigeria, i paesi africani oggi più colpiti da calamità naturali: i primi tre sono teatro di guerre tra etnie e clan per il controllo dello Stato; conflittualità etnica e religiosa, violenza incontrollata, insicurezza diffusa devastano Sudan e Nigeria. Attribuire a global warming, Covid e guerra in Ucraina la causa delle crisi umanitarie in atto in quei paesi non fa che peggiorare le prospettive: quando non si individua la causa di un problema, risolverlo è impossibile.



Kenya, niente pioggia da 3 anni: strage di animali (solo nel 2022 morti oltre 2,5 milioni di esemplari)

Vittorio Sabadin
19 novembre 2022

https://www.ilmessaggero.it/animali/ken ... 61827.html

Il Kenya è un grande cimitero di animali morti di sete e di fame, a causa di una siccità senza precedenti che dura da tre anni. La savana dove pascolavano elefanti, gnu, zebre e giraffe è macchiata dai loro scheletri, ammucchiati intorno a quelle che erano state le ultime pozze d'acqua. Nessuno crederebbe che la situazione sia tanto grave se il fotografo Charlie Hamilton James non l'avesse documentata, con immagini terribili e crudeli, visitando i parchi nazionali di Amboseli e Tsvao. Una volta i turisti ci andavano per fotografare gli animali vivi nell'ambiente che per millenni era stato il loro confortevole habitat.
Ora la terra è riarsa e polverosa. Non c'è più acqua da bere, ma soprattutto non cresce più nessun vegetale e manca dunque anche il cibo. Gli animali erbivori muoiono per primi, seguiti da quelli che prima mangiavano la loro carne.


PROLIFERAZIONE SELVAGGIA
La colpa è dell'uomo, come sempre. I mutamenti climatici c'entrano solo in parte: la siccità negli ultimi mesi ha colpito duramente tutto il Corno d'Africa, ma in Kenya la situazione è stata resa ancora più grave dal proliferare degli animali da allevamento. Buoi e mucche hanno divorato tutta l'erba che ancora era riuscita a crescere nonostante le scarse precipitazioni e non hanno lasciato nulla ai bufali, alle gazzelle e agli altri ruminanti selvatici. Si stima che solo quest'anno siano morti 2,5 milioni di capi di bestiame e i loro scheletri sono abbandonati uno sull'altro nella savana riarsa.

Hamilton James, un fotografo naturalista che ha lavorato con il leggendario David Attenborough, ha documentato la strage per la National Geographic Society britannica e ha raccontato al Daily Mail quello che ha visto: «C'è una massiccia siccità, gli animali avevano appena abbastanza acqua da bere, ma ora non c'è niente da mangiare. Sono tre anni che va avanti così. Il terreno è disseminato di corpi, ogni 25 metri c'è un'altra carcassa».
I Masai che prima avevano mandrie di centinaia di bovini ora hanno poche decine di capi. I maschi adulti devono mantenere famiglie quasi sempre molto numerose e non sanno più come fare. Gli agricoltori vendono la loro ormai inutile terra, ma i soldi incassati finiranno presto. I Masai hanno raccontato che fino a poco tempo fa si occupavano anche della fauna selvatica, nutrendola con fieno, ma ora non riescono più a farlo. Dicono che la colpa è del clima che è cambiato, ma anche del sovrappopolamento di bestiame da allevamento. Negli ultimi 30 anni il numero di capi di Bos taurus introdotti nelle riserve è aumentato del 1.100 % e consistenti porzioni di foresta sono state disboscate per creare pascoli. La terra è desertificata ed esausta, e i periodi di siccità hanno conseguenze sempre più gravi, mentre un tempo venivano superate con danni sopportabili.


IMPRESA DISPERATA
«I Masai capiscono perché questo sta accadendo ha detto ancora Hamilton James -. È la loro terra, sanno che è stremata. Sono un popolo legato al bestiame, ma sono consapevoli che ce n'è troppo».
Il governo ha invitato a fornire agli animali selvatici sale da leccare e acqua, ma è un'impresa disperata: un elefante ne beve più di 60 litri al giorno e non c'è modo di portarne così tanta alle mandrie superstiti. È l'intero Corno d'Africa, che oltre al Kenya comprende anche la Somalia e l'Etiopia, a soffrire per la mancanza di precipitazioni, la più grave registrata nell'area da 40 anni. Almeno 36 milioni di persone non hanno abbastanza cibo a causa dei raccolti perduti e le previsioni non tendono all'ottimismo: dal 2020 la stagione delle piogge che va da ottobre a dicembre ha costantemente registrato precipitazioni inferiori, e la durata e la gravità della siccità hanno superato quelle dei già terribili 2010-2011 e 2016-2017. Nel luglio scorso si stimava che 19,4 milioni di persone fossero colpite dalla mancanza d'acqua. In ottobre sono quasi raddoppiate: 24,1 milioni in Etiopia, 7,8 in Somalia e 4,2 in Kenya. La pioggia che doveva fermarsi sull'Africa se n'è andata quasi tutta nei posti sbagliati, come Sidney in Australia, dove ne sono caduti 2,2 metri da gennaio, un record. Il mondo non è più quello di prima, e dovremo abituarci.


Nel 2011 - La siccità nel Corno d’Africa vista dallo spazio
25/07/2011

https://www.esa.int/Space_in_Member_Sta ... llo_spazio

La siccità in Somalia, Kenya, Etiopia e Gibuti sta spingendo migliaia di persone ad abbandonare le proprie abitazioni, per sfuggire ad una generale situazione d’emergenza visibile anche dallo spazio. Il satellite SMOS, infatti, mostra che il suolo è talmente arido da non poter essere coltivato.

La popolazione somala, già duramente provata dalla guerra, si è riversata nei paesi confinanti in cerca di aiuto: il campo profughi di Dadaab, in Kenya, vede arrivare ogni giorno oltre 1000 sfollati, per la maggior parte bambini, gravemente disidratati e denutriti.

Analizzando i dati raccolti dal satellite SMOS dell’ESA, progettato per misurare l’umidità del suolo e la salinità marina, il suolo somalo appare molto arido durante la principale stagione delle piogge di quest’anno, specialmente nella regione meridionale.

Normalmente il clima della Somalia è arido nella regione centrale e nel nord-est, mentre il nord-ovest e il sud ricevono sufficienti quantità di pioggia. Sebbene il clima non sia soggetto a particolari variazioni stagionali, data la prossimità all’equatore, le piogge che normalmente si verificano fra aprile e giugno sono di vitale importanza per l’agricoltura.

Quest’anno, invece, le piogge non sono state sufficienti per le coltivazioni. Secondo SMOS, infatti, il grado di umidità del suolo fra aprile e luglio risulta molto basso o addirittura nullo in alcune aree chiave.

«Le misurazioni effettuate da SMOS in tali aree sono probabilmente da due a quattro volte più accurate, rispetto a quelle ottenute da altri sensori o modelli satellitari», ha commentato Yann Kerr, primo ricercatore della missione SMOS in materia di umidità del suolo, presso il CESBIO, centro per lo studio della biosfera terrestre dallo spazio, sito a Tolosa, in Francia.

Ulteriori informazioni raccolte con vari strumenti negli ultimi 20 anni rivelano la fase iniziale degli eventi che hanno portato all’emergenza di quest’anno nel Corno d’Africa: negli ultimi mesi del 2010 l’umidità del suolo era inferiore alla media in varie aree del Kenya, dell’Etiopia, del Gibuti e della Somalia.

I raccolti persi, la moria del bestiame e la carestia, che sta affliggendo milioni di persone, sono le devastanti conseguenze di quella che le organizzazioni umanitarie di tutto il mondo definiscono la peggiore siccità degli ultimi decenni.



Clima e inquinamento, l'Africa non è una vittima
Anna Bono
22 novembre 2022

https://lanuovabq.it/it/clima-e-inquina ... 8.facebook


Alla Conferenza Internazionale sul clima, chiusasi domenica in Egitto, ancora una volta al centro dei negoziati c'è stata l'entità del risarcimento che i paesi ricchi (considerati gli inquinatori) devono pagare ai paesi poveri, che ne sarebbero le vittime. Ma la realtà dell'Africa dimostra che i primi a danneggiare l'ambiente sono proprio i governi africani. Come dimostrano il Congo, l'Uganda, il Tanzania...
- VIDEO: IL SOTTOSVILUPPO, NON LO SVILUPPO, DANNEGGIA L'AMBIENTE, di Riccardo Cascioli
- COP27, L'EUROPA FIRMA LE CAMBIALI PER IL FUTURO, di Luca Volontè

L’origine antropica del riscaldamento globale è una congettura priva di riscontri scientifici, sostengono migliaia di scienziati in tutto il mondo. Ma l’IPCC, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico istituito dalle Nazioni Unite nel 1998, non li ascolta. Da 30 anni continua a diffondere la teoria di una catastrofe imminente, di un pianeta destinato a diventare arido e privo di vita se non saranno presi provvedimenti contro chi ne è responsabile e organizza conferenze mondiali intese a trovare il modo per impedire che accada.

In sintesi la teoria è che il pianeta si surriscalda a causa delle attività umane. Ma non di tutte. Sono solo il modo di produzione e lo stile di vita occidentali, a partire dall’industrializzazione e dall’affermazione del modo di produzione capitalistico, a produrre quantità insostenibili dei gas serra che, secondo l’IPCC, minacciano la vita sulla Terra e rendono più frequenti e intensi i fenomeni naturali estremi.

Quindi i popoli occidentali devono ridurre drasticamente le emissioni di CO2, costi quel che costi in termini economici e sociali. Tocca a loro inoltre intervenire in favore delle popolazioni più danneggiate dai fenomeni naturali estremi che sono anche le più povere, intervento tanto più doveroso in quanto sono incolpevoli essendo minima la percentuale di CO2 che producono.
I paesi poveri devono essere risarciti dei danni economici causati da fenomeni naturali quali inondazioni, siccità, uragani. Poi si deve finanziare la loro transizione energetica, per metterli in grado di disporre di energie rinnovabili e comunque meno inquinanti di quelle in uso attualmente. Infine bisogna sostenere i costi del loro adattamento ai cambiamenti climatici affinché possano anticipare gli effetti avversi dei cambiamenti climatici prevenendo o almeno riducendo con opportune opere infrastrutturali i danni che possono causare. Si tratta di impegni finanziari enormi. Nel 2009 si era calcolato che occorressero 100 miliardi di dollari all’anno, ma il più recente rapporto del Programma Onu per l’ambiente ha riveduto le stime portando a 340 miliardi l’anno i fondi necessari.

Su chi deve fornire tutti quei miliardi si è discusso, fino a rischiare una rottura, alla Cop27, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici svoltasi a Sharm-el-Sheikh dal 6 al 19 novembre, protratta di un giorno proprio per tentare di trovare un accordo. La crisi si è aperta quando l’Unione Europea una volta tanto si è impuntata, rifiutando il programma proposto dal G77, l’organizzazione intergovernativa dell’Onu formata da 134 paesi in gran parte in via di sviluppo, che accollava gli oneri ai paesi “colpevoli”, quelli occidentali, e includeva tra i beneficiari tutti i paesi in via di sviluppo.

Minacciando di abbandonare la Conferenza, l’UE ha ottenuto che i fondi siano destinati solo ai paesi più vulnerabili e che venga ampliata la base dei donatori. Adesso una commissione di esperti elaborerà un progetto che andrà discusso il prossimo anno alla Cop28 che si terrà a Dubai. Tra i donatori dovrebbe figurare anche la Cina che finora non ha contribuito pur sostenendo le richieste del G77 e nonostante sia il paese che produce più gas serra: in fin dei conti è sempre colpa dell’Occidente e del suo modello di sviluppo imposto al resto del mondo.

Durante la discussione si sono distinti per recriminazioni e rivendicazioni i paesi africani. Già avevano trattato il tema del cambiamento climatico in un vertice di tre giorni svoltosi in preparazione alla Cop27 a ottobre, a Kinshasa, la capitale della Repubblica democratica del Congo, e conclusosi con un documento votato all’unanimità in cui si chiedeva ai paesi ricchi di fare di più per aiutare i paesi in via di sviluppo a combattere il global warming.
A Sharm el-Sheikh i paesi africani hanno rivendicato il loro diritto in quanto poveri e tutti particolarmente vulnerabili a godere dei finanziamenti, ma anche quello di continuare a usare le riserve di gas naturale e petrolio a discrezione, esentandoli dai tagli previsti dagli accordi per la riduzione delle emissioni di CO2.

L’Africa è un caso speciale, afferma a sostegno della posizione dei rappresentanti africani il presidente della Banca africana di sviluppo Akinwumi Adeasina. È speciale davvero, replica Keamou Marcel Soropogui, studioso guineano di ambiente e sviluppo sostenibile che attualmente lavora presso l’Istituto Universitario Europeo di Firenze, ma lo è per livelli di corruzione e disonestà politica. L’Africa dovrebbe spendere bene per il clima quel che riceve prima di chiedere di più, spiega: “I paesi africani hanno già ricevuto circa 103 miliardi di dollari tra il 2016 e il 2020. Non sono sufficienti, tuttavia si potevano ottenere dei risultati se fossero stati spesi oculatamente”.

Ma il problema non sono solo le emissioni di CO2. Un progetto di sfruttamento delle riserve di petrolio e gas naturale che interessa Botswana e Namibia minaccia il Delta dell’Okawango, una riserva naturale unica al mondo per biodiversità, tanto da essere stata dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità. L’Uganda e il Tanzania intendono costruire un oleodotto, il più lungo del mondo, per portare all’oceano Indiano il petrolio che sarà estratto nel lago Alberto (vedi cartina). L’impatto sull’ambiente e sulla biodiversità sarà minimo, promettono i governi, ma l’oleodotto attraverserà aree protette ed ecosistemi fragili che ne saranno sconvolti. La Repubblica democratica del Congo ha da poco autorizzato lo sfruttamento di 30 giacimenti di petrolio e gas naturale nella seconda più grande foresta pluviale del mondo. Sempre in Congo, un progetto per l’estrazione del petrolio minaccia un altro patrimonio dell’umanità: il parco nazionale dei Virunga che ospita gli ultimi gorilla di montagna.


Alberto Pento

Non va poi dimenticato che una parte rilevante del petrolio e del gas consumato al mondo si estrae nei paesi del cosidetto terzo mondo e in via di sviluppo dei continenti asiatico, africano e americano (del sud) e che buona parte i proventi/profitti ricavati dall'estrazione e dell'uso da parte dei cosidetti paesi ricchi e sviluppati va già a beneficio di questi paesi produttori di combustibili fossili.



Anche l'Africa rovina l'ambiente, distruggendo le foreste
Anna Bono
30-11-2022

https://lanuovabq.it/it/anche-lafrica-r ... w.facebook

Il dibattito internazionale sul clima e l'ambiente si svolge soprattutto nei termini della "giustizia climatica". Quindi si chiede ai Paesi ricchi di risarcire quelli poveri. Ma se il principio dovesse essere applicato equamente a tutti, anche l'Africa sarebbe sul banco degli imputati. Dopo la fine del colonialismo ha distrutto le sue foreste.

Antony Blinken in visita in Kenya

“Loss and damage”, perdite e danni. Giustizia climatica vuole che i paesi responsabili del riscaldamento globale, perché da decenni le loro economie avanzate producono la maggior parte dei gas serra, risarciscano il resto del mondo, in particolare i paesi che subiscono i danni maggiori anche se producono quantità minime di CO2. La priorità va al continente africano, il più “innocente”, con solo il 3% delle emissioni, eppure il più danneggiato, con perdite annuali pari al 15% del Pil. Lo ha riaffermato la Cop27, la conferenza sul clima conclusasi il 19 novembre scorso a Sharm el Sheikh, portando da 100 a 340 miliardi il fondo annuale necessario.

Ma se si accetta l’argomento della “giustizia climatica” in base al principio “chi rompe paga”, allora però si deve applicare a tutto e a tutti. Deve valere anche ad esempio per l’Africa stessa che, se è innocente e va risarcita per gli effetti umani negativi sul clima dal momento che produce molto meno CO2 di altri continenti, posto che abbia ragione chi sostiene la causa antropica del riscaldamento globale, invece non lo è affatto quando si considera l’impatto umano devastante sull’ambiente naturale: impatto che, a differenza del global warming antropico, non è una congettura, ma un insieme di fatti tangibili, documentati e misurabili. Da decenni gli africani fanno scempio di fauna e flora selvatiche, patrimonio dell’umanità, incuranti di portare a rischio di estinzione un numero crescente di specie, e inquinano e devastano gli habitat naturali producendo danni sempre più spesso irreparabili alla biodiversità. Nei primi 30 anni successivi alla fine della colonizzazione europea l’Africa ha abbattuto il 55% delle sue foreste e ancora la distruzione continua, in alcuni paesi a ritmo accelerato. La Costa d’Avorio negli ultimi 50 anni ha perso quasi tutte le sue foreste. In Etiopia 60 anni fa il 30% del territorio nazionale era costituito da foreste e adesso la superficie boschiva è ridotta all’1%. La Repubblica democratica del Congo negli ultimi cinque anni ha eliminato in media un milione di ettari di foresta all’anno. Il Rwanda solo dal 2001 a oggi ha distrutto l’8,2% della sua superficie arborea. La Nigeria ha già più che dimezzato le sue aree boschive. L’elenco potrebbe continuare.

Mancanza di controlli e corruzione sono i principali motivi per cui il patrimonio forestale di cui i popoli africani dovrebbero prendersi cura viene irresponsabilmente sprecato: per far posto all’agricoltura, anche se i terreni deforestati sono inadatti alla coltivazione, in pochi anni molti inaridiscono e non si rigenerano, per ricavare legna da ardere, perché decine di milioni di famiglie persino nei paesi produttori di petrolio come la Nigeria non si possono permettere altre fonti energetiche e non hanno alternativa se voglio nutrirsi e scaldarsi, e per profitto, per ricavare legname da vendere, soprattutto sul mercato internazionale. Le leggi che limitano l'abbattimento, quando esistono, sono ignorate dai cittadini e dai funzionari stessi che do­vrebbero farle rispettare. È fiorente ovunque un lucroso mercato nero di legname da costruzione e pregiato. È notizia recente che negli ultimi mesi in Kenya, prima che il governo intervenisse a fermare il traffico, sono stati addirittura venduti, ciascuno per poche centinaia di dollari e su licenza governativa, centinaia di baobab anche millenari, acquistati da un miliardario dell’est europeo che li ha sradicati e portati in Georgia. Ha suscitato scalpore, sempre in Kenya nei giorni scorsi, la notizia che il governatore della capitale Nairobi, per farla diventare di nuovo una “città verde” dopo decenni di sconsiderato abbattimento di alberi, ha deciso di importare delle palme dalla Malesia. Lo scandalo è che in Kenya crescono diverse varietà di palme.

Gli alberi si tagliano in tutto il mondo, ma si possono ripiantare. Tardivamente si è deciso di farlo anche in Africa. L’Etiopia, ad esempio, nel 2019 ha lanciato una campagna per piantare 20 miliardi di alberi entro la fine del 2022 e il 19 novembre scorso ha annunciato di aver raggiunto e superato l’obiettivo. Il progetto era iniziato nel 2019 con la messa a dimora di oltre 350 milioni di alberi in un sol giorno, a detta del governo. Ma un conto è piantare, un conto è far crescere. Dopo un anno già oltre il 20% degli alberi erano morti, principalmente per incuria e per essere stati piantati in terreni inadatti. Più realisticamente, il vicino Kenya vanta di averne piantati 51 milioni, su iniziativa del premio Nobel per la pace 2004 Wangari Maathai.

Il progetto più ambizioso è la Grande muraglia verde, lanciato dall’Unione Africana nel 2007 per creare una fascia verde lunga 7.800 chilometri e larga 15 per un totale di 100 milioni di ettari che dovrebbe attraversare tutto il continente dal Senegal a Gibuti. Ma, mentre per i cambiamenti climatici si chiede di rimediare ai paesi ritenuti responsabili, nel caso dei danni ambientali di portata planetaria provocati dalla deforestazione di cui sono responsabili i paesi africani l’onere ricade quasi del tutto su stati e popolazioni che non ne hanno colpa. A finanziare la Grande muraglia verde, così come altre iniziative “green” in Africa, sono infatti in gran parte dei donatori internazionali tra cui figurano la Banca Mondiale, la Banca europea di investimenti, la Commissione Europea.

Finora è stato realizzato solo il 4% della Grande muraglia verde, al costo di decine di miliardi di dollari. Per accelerare i tempi, vista la lentezza con cui procede la sua realizzazione, il quarto One Planet Summit, un vertice internazionale per fare il punto sullo stato dei lavori, svoltosi a Parigi nel 2021, ha deciso un nuovo finanziamento: il Great Green Wall Accelerator, dell’importo iniziale di 14 miliardi di dollari, portati poi a 19. Ma per terminare il progetto, entro la data fissata del 2030, serviranno ancora almeno 33 miliardi.
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Le demenziali menzogne sull'Africa del vittimismo africano

Messaggioda Berto » dom feb 12, 2023 10:42 pm

Ambiente - L’Africa invasa dalla plastica
Sharon Lerner, The Intercept, Stati Uniti
2 dicembre 2022

https://www.internazionale.it/notizie/s ... a-plastica

Rosemary Nyambura trascorre i suoi fine settimana con la zia Miriam a raccogliere plastica nella discarica di Dandora a Nairobi, la capitale del Kenya. Il lavoro è lungo, e anche rischioso, perché in mezzo alle bottiglie che poi rivenderanno ad altri commercianti ci sono siringhe usate, vetri rotti, escrementi, pezzi di custodie per cellulari, telecomandi, suole di scarpe, giocattoli, sacchetti, conchiglie e innumerevoli frammenti di involucri, indistinguibili tra loro. Rosemary, 11 anni, spera che i suoi sforzi un giorno saranno ripagati. Quasi tutti i suoi sei cugini, con cui vive da quando la madre è morta, hanno dovuto lasciare la scuola superiore perché la zia non poteva permettersi di pagare la retta. Rosemary giura che, se riuscirà a frequentare le elementari, le medie, le superiori e infine la facoltà di medicina, tornerà a Dandora. “Qui le persone si ammalano spesso”, mi ha detto dalla cima di un mucchio di spazzatura maleodorante. “Se diventerò medica, li aiuterò gratis”. Rosemary dovrà lavorare a lungo per guadagnare la somma necessaria a pagare le rette scolastiche. Nella discarica di Dandora, che occupa più di dodici ettari nella parte est di Nairobi, tutto quello che vale qualcosa diventa oggetto di contesa. Gruppi di imprenditori locali controllano chi raccoglie e rivende i rifiuti, e a volte fanno perfino pagare una tassa per accedere ad alcune aree. Uccelli, mucche e capre si sono ricavate i loro spazi per razzolare e pascolare in cima alle collinette di spazzatura. I raccoglitori di rifiuti litigano tra loro per i pezzi migliori. Al centro degli scontri più feroci ci sono i pasti scartati dei voli di linea: chi la spunta divora fino all’ultima briciola di vecchi panini rinsecchiti, carne congelata e pasta molliccia, perfino il contenuto della minuscola vaschetta di burro. Poi getta il contenitore di plastica in un mucchio.

Lungo il perimetro della discarica siedono i rivenditori di plastica usata, che acquistano bottiglie in polietilene tereftalato (pet) come quelle che Miriam raccoglie sette giorni su sette, per meno di cinque centesimi di dollaro al chilo (un po’ di più delle scatole di cartone, ma molto meno delle lattine di metallo). Possono volerci ore, se non giorni, per raccogliere un chilo di bottiglie di plastica. Le buste dove vengono messe, chiamate diblas, sono così grandi che i bambini non riescono a trasportarle.

L’organizzazione Dandora HipHop City ha trovato un modo per permettere ai bambini che vivono vicino alla discarica – e non hanno la forza o il tempo di raccogliere un intero chilo di plastica – di ricevere un aiuto in cambio dei rifiuti. Alla “banca” dell’organizzazione, un negozietto a un isolato dalla discarica, i bambini guadagnano dei “punti” portando anche solo una bottiglia, punti che poi possono scambiare con olio da cucina, farina, verdura e altre cose da mangiare. L’organizzazione, fondata da un cantante hip-hop cresciuto nella zona, offre anche dei corsi. In un edificio ai margini della discarica, con le pareti decorate a mano e ammobiliato con pezzi recuperati dalla spazzatura, i bambini imparano a comporre musica su vecchi computer o a scrivere, giocano tra loro o semplicemente passano del tempo insieme.

La piccola somma che l’organizzazione ottiene in cambio della plastica raccolta non basta a coprire i costi dei generi alimentari distribuiti, quindi Dandora HipHop City ha bisogno delle donazioni di dipendenti e amici. Il gruppo ha cercato di ottenere una sovvenzione dalla Coca-Cola, che sulla carta è lo sponsor perfetto. L’Africa è “uno dei principali motori di crescita per il futuro dell’azienda”, ha affermato recentemente James Quincey, l’amministratore delegato della multinazionale da 200 miliardi di dollari. Inoltre i bambini di Dandora, che soffrono la fame, l’abbandono e una serie di problemi di salute legati alla discarica, passano il tempo a raccogliere molte delle sue bottiglie, invece di andare a scuola.

Un frigorifero pieno di bottiglie

Nel settembre del 2018 la Coca-Cola ha mandato una delegazione a Dandora per incontrare i ragazzi. Dopo l’incontro Charles Lukania, che organizza i corsi a Dandora HipHop City, ha inviato una proposta e un preventivo di spesa ad alcuni responsabili del marketing che aveva conosciuto in quell’occasione, mettendo bene in evidenza che la multinazionale avrebbe potuto sostenere il progetto della banca della plastica. Ma la visita e la proposta non hanno dato i frutti sperati. Invece, dice Lukania, “si sono offerti di mandarci un frigorifero pieno di bottigliette di Coca-Cola da vendere ai bambini”. La maggior parte di loro, però, non può permettersele. “I pochi soldi che hanno gli servono per mangiare”, spiega Lukania. Poche settimane dopo la multinazionale ha collaborato con Dandora HipHop City ad alcune giornate di raccolta dei rifiuti, ma senza dare un sostegno finanziario diretto. Ha contributo con i suoi prodotti: i volontari hanno ricevuto delle bibite per dissetarsi dopo le ore passate a raccogliere rifiuti sotto il sole cocente. “Ed erano in bottiglie di plastica”, fa notare Lukania.

Camilla Osborne, responsabile della comunicazione della Coca-Cola per l’Africa meridionale e orientale, precisa in un’email che “il nostro partner per l’imbottigliamento, Coca-Cola Beverages Africa in Kenya, ha fornito bevande per rinfrescarsi e bidoni per il riciclo” a Dandora HipHop City. Secondo Osborne, “l’azienda e i suoi partner in Kenya non sono a conoscenza di richieste di donazioni”. E aggiunge: “Nessuna organizzazione da sola può risolvere il problema della plastica nel mondo”.
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Le demenziali menzogne sull'Africa del vittimismo africano

Messaggioda Berto » dom feb 12, 2023 10:42 pm

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Le demenziali menzogne sull'Africa del vittimismo africano

Messaggioda Berto » dom feb 12, 2023 10:43 pm

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Le demenziali menzogne sull'Africa del vittimismo africano

Messaggioda Berto » dom feb 12, 2023 10:43 pm

13)
Corruzione in Africa




Sofà-gate, quanto a scandali il Sud Africa batte l'Ue

Anna Bono
17 dicembre 2022

https://lanuovabq.it/it/sofa-gate-quant ... 4.facebook

In Europa siamo nel pieno dello scandalo Qatar-gate. Mentre il Sudafrica ha appena passato quello detto "sofà-gate": il ritrovamento, l'estate scorsa, di 5 milioni di dollari, in contanti, nascosti nel divano di una fattoria di proprietà del presidente Cyril Ramaphosa. Il presidente se l'è cavata. Negli altri Paesi africani va molto peggio, quanto a corruzione.

Cyril Ramaphosa

In Europa lo scandalo del momento è il Qatar-gate. A casa di Eva Kaili, ormai ex vicepresidente del Parlamento Europeo (il 13 dicembre il Parlamento Europeo ne ha approvato la destituzione), sono stati trovati 750mila euro, 600mila dei quali in una valigia. Altre perquisizioni sembra abbiano portato al ritrovamento di 500mila euro a casa dell’ex parlamentare europeo Antonio Panzieri, di 20mila euro nell’appartamento in Italia di Francesco Giorgi, compagno di Eva Kali. In tutto si parla di circa 1,5 milioni di euro. Eva Kaili si difende sostenendo di non sapere che ci fosse tutto quel denaro in casa sua e tramite il suo avvocato si dichiara innocente.

Invece lo scandalo di cui tutti parlano in Africa riguarda il presidente del Sudafrica, Cyril Ramaphosa, che ha nascosto più di cinque milioni di dollari in contanti in un divano e in altri mobili in una fattoria di sua proprietà. Lo scandalo – che in Sudafrica chiamano sofà-gate o farm (fattoria)-gate – è scoppiato questa estate quando l’ex agente dello spionaggio Arthur Fraser si è rivolto alla polizia accusando con prove e documenti il presidente non solo di aver nascosto quella somma di denaro, ma di non averne quindi denunciato il furto avvenuto nel 2020. Ramaphosa avrebbe anzi individuato i ladri, li avrebbe fatti rapire e li avrebbe indotti con minacce o offerte di denaro a non rivelare il furto. Strano che non li abbia fatti uccidere, verrebbe da obiettare, conoscendo il potere di cui dispongono i capi di stato africani.

Il presidente si è difeso dicendo che i dollari nascosti nel divano e trafugati erano “solo” 580mila, frutto legittimo della vendita di diversi capi di bestiame a un allevatore sudanese, Mustafa Hazim. Dapprima introvabile, Hazim si è infine fatto vivo il 6 dicembre per confermare di aver acquistato 20 bufali nel 2019 in Sudafrica, tramite un intermediario, senza peraltro sapere che appartenevano al presidente sudafricano. Tuttavia il Sudafrica ha regole molto severe in merito alla detenzione di valuta straniera. La legge prevede che ogni importo venga denunciato e depositato entro 30 giorni presso un ente autorizzato, ad esempio una banca. Se anche fosse vero che si tratta del pagamento per del bestiame venduto all’estero, Ramaphosa comunque non poteva tenersi in casa il contante. Perciò ha fatto di tutto per evitare che si sapesse del furto. Ma anche lui si dichiara innocente.

Si vedrà come andrà a finire il Qatar-gate, come si giustificheranno e difenderanno le persone indagate e con quale esito. Qualcuno ricorderà che lo scorso anno sono stati trovati 24mila euro nella cuccia del cane di Monica Cirinnà, all’epoca senatore del PD, e del marito Esterino Montino. Entrambi si sono difesi dicendo che la cuccia era inutilizzata da anni, che di quel denaro non sapevano niente, che era stato messo lì da chissà chi entrato nella loro proprietà, forse degli spacciatori: “la cuccia è vicino alla strada, basta entrare, fare 200 metri e poi lì dentro si poteva ficcare qualsiasi cosa” ha dichiarato il senatore Cirinnà. Sappiamo che alla Cirinnà gli inquirenti hanno creduto. Lo scorso maggio il pm ha chiesto l’archiviazione del fascicolo, nessun reato è stato contestato.

Anche il presidente sudafricano l’ha spuntata. L’unico rischio in realtà, nel suo caso, era che contro di lui si coalizzassero i suoi avversari all’interno dell’onnipotente Anc, il partito di cui è presidente e che detiene la maggioranza in parlamento dalla fine dell’apartheid. È così che nel 2018 il suo predecessore, Jacob Zuma, ha perso la leadership, accusato come lui di corruzione. Nei giorni scorsi i partiti all’opposizione hanno chiesto l’impeachment di Ramaphosa e il suo arresto. Il 13 dicembre però, nonostante la defezione di alcuni parlamentari di Anc, la richiesta di impeachment è stata respinta. Quindi non solo Ramaphosa non sarà destituito e perseguito, ma sarà rieletto presidente dell’Anc dall’assemblea del partito che sta per iniziare i lavori e, automaticamente salvo sorprese, sarà lui il candidato dell’Anc alle prossime elezioni presidenziali che si svolgeranno tra due anni. “Il partito di Nelson Mandela è diventato un pozzo nero di corruzione, avidità e disonestà, da cima a fondo” ha commentato il leader del partito Democratic Alliance, John Steenhuisen.

1,5 milioni di euro, cinque milioni di dollari. Sembrano grosse somme di denaro, ma sono spiccioli al confronto, ad esempio, degli oltre 43 milioni di dollari in contanti scoperti tempo fa in Nigeria in un appartamento di lusso di Lagos, l’ex capitale del paese. Erano in bella vista, ammucchiati per terra in una stanza priva di mobili. Inoltre 23,2 milioni di naira (la valuta locale) pari a 75mila dollari e 27.800 sterline sono stati rinvenuti in alcuni contenitori nascosti nell’armadio di una camera da letto. La commissione d’inchiesta che si è occupata del caso ha dichiarato di “sospettare che tutti quei contanti fossero proventi di qualche attività illegale”. All’appartamento la polizia è arrivata grazie a una denuncia anonima nell’ambito di una operazione anticorruzione che in un solo mese ha sequestrato 180 milioni di dollari in contanti.
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Messaggioda Berto » dom feb 12, 2023 10:43 pm

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Le demenziali menzogne sull'Africa del vittimismo africano

Messaggioda Berto » dom feb 12, 2023 10:44 pm

14)
I nazi moamettani in Mozambico e Nigeria



Mozambico e Nigeria in balìa del jihad. Vescovi angosciati
In Mozambico diverse province sono infestate da al-Shabaab e il capo della polizia chiede ai civili di difendersi con ogni mezzo. In Nigeria, alle violenze dei jihadisti, si aggiungono quelle dei banditi comuni. Esempi di “Stati falliti”. E i vescovi dei due Paesi si dicono preoccupati.
Anna Bono
19-12-2022

https://lanuovabq.it/it/mozambico-e-nig ... M.facebook

Dal 2017 in Mozambico il nord è sotto la minaccia di un gruppo armato jihadista affiliato all’Isis, Ansar Al-Sunna Wa Jamma, più noto localmente come al-Shabaab. La più colpita è la provincia di Cabo Delgado, che confina con la Tanzania. A causa dell’inerzia, della corruzione e persino della complicità di autorità e forze dell’ordine, al-Shabaab, in origine composto da poche centinaia di uomini, è cresciuto al punto che ormai neanche con l’aiuto dei militari inviati da diversi Stati africani è possibile impedire che compia attentati e attacchi. Durante uno dei più recenti, quello alla missione comboniana di Chipele, è stata uccisa la suora italiana Maria De Coppi. Tutte le strutture della missione, inclusi la chiesa, l’ospedale e due scuole, sono state distrutte.

Dopo un periodo iniziale in cui limitavano le loro azioni a villaggi e aree rurali remote, i jihadisti hanno esteso il loro campo d’azione fino a minacciare i grandi centri urbani della regione. Solo nei giorni scorsi è stato riaperto il porto di Mocimboa da Praia, inutilizzato da tre anni perché la città di 70.000 abitanti è stata attaccata ripetutamente a partire dal 2020 e persino occupata dai terroristi per mesi. Il jihad in cinque anni ha già provocato la morte di 4.000 persone. Gli sfollati nella sola provincia di Cabo Delgado sono almeno 800.000, circa metà della popolazione. Il fallimento di esercito e forze di polizia nel proteggere i civili è totale. Le autorità mozambicane stesse lo ammettono con la decisione di reclutare le milizie di difesa spontanee costituitesi nel corso degli anni: in particolare i giovani dell’etnia Makonde, prevalentemente cristiana.

L’atto di resa più clamoroso è arrivato dal capo della polizia che alla fine di settembre ha chiesto agli abitanti delle province del Mozambico infestate dai jihadisti di difendersi con ogni mezzo a disposizione. “Adesso non è tempo di scappare. È tempo di resistere - ha detto Bernardino Rafael incontrando a più riprese la popolazione locale -. Quando arrivano i jihadisti dovete resistere e cacciarli usando coltelli, machete e lance. Poi uno di voi corra a chiedere alle forze di sicurezza di intervenire per aiutare a disperdere i jihadisti”. In risposta la popolazione, i giovani soprattutto, chiedono armi per difendersi perché gli avversari dispongono di equipaggiamenti moderni: esplosivi, armi da fuoco automatiche, mezzi blindati. Affrontarli con coltelli, machete e lance è andare al massacro.

I vescovi cattolici del Mozambico si dicono preoccupati che in questo modo - armando i civili, inducendoli a difendersi da soli e accrescendo di fatto la sfiducia nei confronti delle autorità - si corra piuttosto il rischio di un inasprimento del conflitto. Da tempo inoltre protestano che la risposta militare non sia sufficiente, se al tempo stesso non si attuano strategie di lotta alla povertà che favorisce il reclutamento dei giovani di religione islamica da parte dei jihadisti.

È la stessa preoccupazione espressa con sempre maggiore urgenza in Nigeria dai vescovi cattolici di fronte al dilagare della violenza - comune, interetnica e interreligiosa - nel Paese e al moltiplicarsi di gruppi di vigilantes, formati da giovani che cercano di proteggere le vite e i beni delle rispettive comunità e che i governatori di alcuni Stati della federazione incoraggiano e sostengono, rassegnati all’inerzia, e peggio, delle forze di sicurezza federali. “Non sappiamo dove siano le forze di sicurezza - ha affermato di recente l’arcivescovo metropolita emerito di Abuja, il cardinale John Onaiyekan -. La situazione della sicurezza in Nigeria sta sfuggendo di mano. Nessuno è al sicuro, non solo i cristiani. È come se il governo avesse perso il controllo”. “Sappiamo tutti che il dovere primario del governo è proteggere le persone che lo hanno eletto - sostiene monsignor Luka Sylvester Gopep in un’intervista rilasciata all’agenzia Fides lo scorso agosto - e invece, in alcuni casi, sospettiamo che ci siano membri dell’esercito e della polizia collusi con i banditi. Ora assistiamo al fenomeno della cosiddetta «giustizia della giungla» che avviene quando i gruppi di vigilanti locali arrestano i banditi, non li consegnano alle autorità locali, ma compiono esecuzioni extragiudiziali”. In realtà gli interventi delle milizie popolari spesso vanno oltre la difesa e, invece di sedarla, intensificano la conflittualità etnica e religiosa.

Mozambico e Nigeria sono casi estremi di quello che per prima Madeleine Albright, segretario di Stato degli Usa dal 1997 al 2001, ha definito “Stato fallito”, caratterizzato dalla mancanza di controllo fisico del territorio e dalla perdita del monopolio dell’uso legittimo della forza fisica a causa delle quali l’esistenza stessa dello Stato viene messa in discussione. Altri indicatori sono la perdita di legittimazione da parte delle autorità e delle istituzioni, l’incapacità di fornire servizi pubblici adeguati, il fallimento sociale, politico ed economico: tutti elementi ricorrenti in entrambi i Paesi e in altri Stati africani, tra i quali, per citare altri casi estremi, la Repubblica Centrafricana, la Somalia, il Sudan del Sud.
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