Le demenziali menzogne sull'Africa del vittimismo africano

Le demenziali menzogne sull'Africa del vittimismo africano

Messaggioda Berto » gio giu 17, 2021 7:00 pm

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L'attrice statunitense Tiffany Haddish condanna la politica estera razzista degli Stati Uniti in Etiopia, Eritrea
4 giugno 2021 0

Questa settimana l'attrice e comica afroamericana Tiffany Haddish è stata elogiata dagli attivisti della questione delle vite nere per aver criticato la politica estera "razzista" degli Stati Uniti contro l'Africa. L'amministrazione del presidente Joe Biden è stata presa di mira per aver imposto sanzioni economiche contro le già povere Etiopia ed Eritrea, fornendo miliardi di dollari per l'Egitto.
Al centro della polemica una grande diga idroelettrica sul fiume Nilo costruita dall'Etiopia per l'elettricità e per uscire dalla povertà. L'Egitto ha minacciato di usare la sua forza aerea finanziata dagli Stati Uniti per far saltare in aria i progetti di sviluppo etiopi e di usare il Sudan per invadere l'Etiopia.
Per decenni, i paesi arabi finanziati dall'Occidente come l'Egitto hanno monopolizzato il fiume Nilo, mentre i paesi dell'Africa nera come l'Etiopia, l'Eritrea, il Kenya, l'Uganda e altri sono stati banditi dall'uso del fiume.
Mentre oltre l'80% delle risorse del Nilo si trova in Etiopia, il paese ha utilizzato meno dell'1% perché solo l'Egitto è stato autorizzato a utilizzare il fiume da istituzioni occidentali come il FMI e la Banca Mondiale (WB). Di conseguenza, oltre il 99% dell'Egitto ha elettricità e sicurezza alimentare, rispetto a meno del 30% dell'Etiopia impoverita.
Per complicare la faccenda, il governo degli Stati Uniti ha iniziato a nascondere le atrocità commesse da un gruppo terroristico di supremazia etnica nel nord dell'Etiopia. Conosciuto come Fronte di liberazione del popolo del Tigray (TPLF), il gruppo terroristico ha condotto un'insurrezione mortale nella regione settentrionale del Tigray in Etiopia e ha fatto esplodere aeroporti in Eritrea. Tiffany, i cui genitori hanno radici eritree, ha espresso la sua opposizione online alle politiche occidentali che danneggiano i paesi dell'Africa nera. Altri attivisti neri hanno anche notato un'ipocrisia razzista secondo cui le nazioni occidentali si aspettano che la solidarietà globale condanni gli insurrezionisti armati e i terroristi che prendono di mira i paesi bianchi in Europa e America, ma legittimano ribelli e terroristi in paesi africani come l'Etiopia.
Oltre 1.200 civili sono stati uccisi dai terroristi del TPLF prima che le autorità etiopi (aiutate dall'Eritrea) reprimessero e arrestassero la maggior parte dei leader del gruppo. I combattenti del TPLF sono stati anche catturati mentre indossavano l'uniforme delle truppe etiopi ed eritree mentre commettevano atrocità e tendevano imboscate ai convogli di aiuti. In un caso, i terroristi del TPLF si sono vestiti con l'uniforme eritrea e hanno iniziato a videoregistrarsi mentre mutilano i corpi dei rifugiati; per il consumo dei media occidentali, per incastrare il governo eritreo per violazioni dei diritti umani.
Da quando il TPLF ha ricevuto 30 miliardi di dollari di aiuti americani negli ultimi anni (che secondo la rivista Forbes sono stati trasferiti su conti offshore), i membri della diaspora del TPLF sono riusciti ad assumere costosi lobbisti per dipingersi come vittime usando il mito del "TigrayGenocide". Da allora, i critici affermano che il TPLF ha fornito la copertura per le decisioni razziste di politica estera degli Stati Uniti, che utilizzano i diritti umani come pretesto per l'intervento.
Nuove indagini indipendenti finora hanno dimostrato che meno di 50 civili del Tigray sono morti dopo mesi di conflitto, il che contraddice le false narrazioni dei media sul genocidio in Tigray. Le indagini hanno rivelato che i lobbisti del TPLF hanno ritratto centinaia di combattenti del TPLF morti sul campo di battaglia come vittime civili innocenti; al fine di rappresentare un falso resoconto del genocidio. Anche un'altra falsa narrazione di una carestia diffusa è stata screditata questa settimana dopo che le autorità hanno rivelato che gli aiuti alimentari hanno già iniziato a raggiungere la provincia del Tigray nonostante gli ostacoli e gli agguati terroristici del TPLF. La FAO delle Nazioni Unite ha confermato che le sementi per l'agricoltura vengono distribuite e che le aree del Tigray occidentale (che sono originarie del popolo Welkait) hanno il minor rischio di siccità in confronto, a causa dei recenti progressi compiuti. Il governo etiope si autofinanzia quasi tutti gli aiuti alimentari nel Tigray, mentre le Ong occidentali sono accusate di sprecare dollari per gli aiuti. Funzionari statunitensi come Samantha Power sono stati anche criticati per aver presumibilmente promosso stereotipi razzisti e "disinformazione sul Tigray per aumentare la raccolta fondi", secondo il segretario stampa Billene Seyoum.
I critici della politica occidentale hanno affermato che le condizioni di carestia in Etiopia erano più diffuse nel 2016, quando il TPLF controllava la regione rispetto a oggi.
Tuttavia, il governo degli Stati Uniti del presidente Biden ha usato le false narrazioni di "genocidio" e "carestia" create dai lobbisti e dai sostenitori del TPLF come pretesto per sostenere le ambizioni dell'Egitto contro l'Etiopia e il Corno d'Africa.
La controversia si è intensificata questa settimana quando il rappresentante statunitense di Joe Biden, Jeffrey Feltman, ha iniziato a radunare più paesi arabi, tra cui Qatar e Arabia Saudita, per bloccare i progetti infrastrutturali dell'Etiopia e esercitare maggiore pressione sia contro l'Etiopia che contro l'Eritrea.
In risposta all'opposizione di Tiffany alle politiche estere razziste degli Stati Uniti; diversi sostenitori del gruppo etnico suprematista TPLF hanno diffamato e cyberbullizzato l'attrice online. Tiffany Haddish non è la prima
Afro-americano per criticare la politica estera degli Stati Uniti, poiché il reverendo Jesse Jackson aveva precedentemente condannato il blocco degli Stati Uniti ai progetti idroelettrici dell'Etiopia. Il leader afroamericano dei diritti civili ha lanciato l'allarme nel 2020 che la politica degli Stati Uniti nel Corno d'Africa sta danneggiando i neri e rischia di rendere l'Etiopia "la colonia dell'Egitto". La coalizione Rainbow/Push del reverendo Jackson ha anche chiesto al governo degli Stati Uniti di "ripristinare i finanziamenti per l'Etiopia". Pubblicato in Mondo


US actress Tiffany Haddish condemns racist US foreign policy on Ethiopia, Eritrea
4 giugno 2021

https://awasaguardian.com/index.php/202 ... a-eritrea/

African-American actress and comedian Tiffany Haddish got praised by black lives matter activists this week for criticizing “racist” US foreign policy against Africa. President Joe Biden’s administration has come under fire for imposing economic sanctions against already poor Ethiopia and Eritrea, while providing billions of dollars for Egypt.

At the center of the controversy is a major hydroelectric dam on the Nile river built by Ethiopia for electricity and to get out of poverty. Egypt has threatened to use its US-funded air-force to blow up Ethiopian development projects as well as use Sudan to invade Ethiopia.

For decades, Western-funded Arab countries like Egypt have monopolized the Nile river while Black African countries like Ethiopia, Eritrea, Kenya, Uganda and others have been banned from using the river.

While over 80% of the Nile resources are in Ethiopia, the country has used less than 1% because only Egypt was allowed to utilize the river by Western institutions like the IMF and World Bank (WB). As the result, over 99% of Egypt has electricity and food security, compared to less than 30% of impoverished Ethiopia.

To complicate the matter, the US government began hiding atrocities committed by an ethnic supremacist terrorist group in northern Ethiopia. Known as the Tigrayan Peoples Liberation Front (TPLF), the terror group waged a deadly insurrection in the northern Tigray region of Ethiopia and blew up airports in Eritrea. Tiffany, whose parent have Eritrean roots, expressed her opposition online to western policies that hurt black African countries. Other black activists also noted a racist hypocrisy that Western nations expect global solidarity to condemn armed insurrectionists & terrorists targeting White countries in Europe & America but they legitimize rebels and terrorists in African countries like Ethiopia.

Over 1,200 civilians have been killed by TPLF terrorists before Ethiopian authorities (helped by Eritrea) clampdown and arrested most of the group’s leaders. The TPLF fighters have also been caught wearing the uniform of Ethiopian and Eritrean troops while committing atrocities and ambushing aid convoys. In one case, the TPLF terrorists dressed up in Eritrean uniform and began video-tapping themselves mutilating bodies of refugees; for western media consumption, to frame the Eritrean government for human rights abuses.

Since the TPLF had received $30 billion dollars of American aid in the past years (which Forbes magazine said have been siphoned off to offshore accounts) TPLF diaspora members have managed to hire expensive lobbyists to portray themselves as victims using the “TigrayGenocide” myth. Since then, critics say the TPLF has provided the cover for racist US foreign policy decisions, which are using human rights as pretext for intervention.

New Independent investigations so far have shown that less than 50 Tigrayan civilians have died after months of conflict, which contradicted the false media narratives of genocide in Tigray. The investigations have revealed that TPLF lobbyists have portrayed hundreds of TPLF fighters who died in the battlefield as innocent civilian victims; in order to depict a false account of genocide. Another false narrative of widespread famine was also discredited this week after authorities revealed that food aid already began reaching the Tigray province despite obstacles and terrorist ambushes by the TPLF. The United Nation’s FAO confirmed that seeds for farming is being distributed and Western Tigray areas (that are native to the Welkait people) have the least drought risk comparably, due to recent progresses made. Ethiopian government is self-financing almost all the food aid in Tigray, while Western NGOs are accused of wasting aid dollars. US officials like Samantha Power have also been criticized for allegedly pushing racist stereotypes and “misinformation about Tigray to increase fundraising,” according to press secretary Billene Seyoum.

Critics of Western policy said famine conditions in Ethiopia were more widespread in 2016 when the TPLF controlled the region than it is today.

Nonetheless, President Biden’s US government has used the false narratives of “genocide” and “famine” created by TPLF lobbyists and supporters as a pretext to support Egypt’s ambitions against Ethiopia and the Horn of Africa.

The controversy escalated this week as Joe Biden’s US representative Jeffrey Feltman began assembling more Arab countries, including the Qatar & Saudis, to block Ethiopia’s infrastructure projects and put more pressure against both Ethiopia and Eritrea.

In response to Tiffany’s opposition to racist US foreign policies; several supporters of the ethnic supremacist TPLF group have been defaming and cyber-bullying the actress online. Tiffany Haddish is not the first African-American to criticize US foreign policy, as Rev. Jesse Jackson previously condemned US blockade of Ethiopia’s hydroelectric projects. The African-American Civil Rights leader raised the alarm in 2020 that US policy in the horn of Africa is hurting black people and risks making Ethiopia “the colony of Egypt.”

Rev. Jackson’s Rainbow/Push coalition also demanded the US government to “restore funding for Ethiopia.”
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Le demenziali menzogne sull'Africa del vittimismo africano

Messaggioda Berto » gio giu 17, 2021 7:01 pm

“Ci rallegriamo del grande ritiro dell’Occidente, ma si preparano le decapitazioni di domani”
Giulio Meotti
12 giugno 2021

https://meotti.substack.com/p/ci-ralleg ... nde-ritiro

È Le Monde di ieri a raccontarci quello che sta accadendo in quei paesi. “In Burkina Faso un terzo del territorio è fuori controllo, rispetto a più di due terzi del Mali. Nel nord del Burkina Faso, molti abitanti di un villaggio scompaiono di notte, per essere ‘giudicati’. ‘Prendono coloro che non rispettano la sharia, li frustano e li rilasciano dopo pochi giorni’, testimonia un residente di Djibo. Ai sospetti ladri è amputata la mano destra. Nel vicino Mali settentrionale, il 2 maggio, l’Isis a tre persone ha tagliato la mano destra e il piede sinistro in pubblico al mercato. Un modo per mostrare ai civili chi comanda in queste terre abbandonate. Nel Sahel, più di 4.000 scuole sono state chiuse a causa delle minacce alla fine del 2020, privando dell'istruzione più di 700.000 studenti. Alcuni hanno visto l’insegnante, che si rifiutava di insegnare in arabo, ucciso davanti ai loro occhi”.

In Burkina Faso, giorni fa, c’è stato il più grande attentato terroristico della sua storia: 170 morti. E a Medici senza frontiere il racconto mette i brividi: “Molti hanno paura di dormire nei propri letti e vanno nei boschi”. Perché i terroristi a Solhan hanno fatto strage durante la notte, quando le persone dormivano.

Un mese dopo che l’America ha annunciato il suo ritiro dall’Afghanistan e sette anni dopo che Parigi ha lanciato l'“Operazione Barkhane” in Mali, anche la Francia si ritira. La minaccia jihadista non è stata debellata. Gli eserciti locali si sono dimostrati inefficaci. Si ha l'impressione di cedere ai terroristi. Perché se il costo dell'intervento militare è noto e sempre meno tollerato, quello del mancato intervento è raramente citato. La nascita in Africa occidentale di uno stato terrorista embrionale, come l’Isis in Siria e Iraq. “Se partiamo, le cose potrebbero degenerare rapidamente e altri Stati potrebbero cadere", ha avvertito il generale Olivier de Bavinchove, ex capo di stato maggiore della Nato in Afghanistan e comandante delle forze francesi.

Un migliaio di soldati francesi caddero in media al giorno durante la Prima guerra mondiale. In confronto, l'operazione francese nel Sahel calcola 57 morti in sette anni... “Oggi non saremmo in grado di stare in trincea”, ha commentato un ufficiale. Questo progresso è anche una debolezza. Perché, al contrario, i nemici dell'Occidente non temono la morte, che invece glorificano. “Noi facciamo la guerra senza odio. L'avversario fa la guerra odiando. Questo odio decuplica la loro violenza e le loro capacità. Siamo su due pianeti radicalmente diversi”, commenta il generale de Bavinchove.

E’ il più noto scrittore algerino, Kamel Daoud, a mettere in parole questo smarrimento. “Quando si vive in Francia, in Occidente in generale, questa è una questione ancillare, tra la riapertura dei bar o l'ecologia” scrive Daoud su Le Point. “Tuttavia, questo è il cuore della domanda per l'Occidente: dovresti andare a combattere il ‘Male’ alla fonte o rimanere a casa e gestire la tua vita quotidiana?”.

Cominciamo a dubitare dell'utilità di questo interventismo. “Ma anche sul ruolo dell'Occidente fuori dell'Occidente. Un tempo, la risposta era facile: si ‘andava là’ per ‘civilizzare’, convertire, costruire, appropriarsi. Oggi il terrorismo impone un'altra ragione: noi ‘andiamo lì’ per prevenire la nascita di califfati che alimenteranno il terrorismo che busserà alle porte del Nord, con più mezzi, organizzazione e zone di influenza e reclutamento”.

Ma la strategia non convince più. “È l'intera politica interventista a essere messa in discussione. Torniamo alla vecchia questione filosofica dell'Occidente che ha inventato l'universalismo e la fede nei doveri che lo accompagnano e che, oggi, non sa più che farsene. Acclamiamo una vittoria sulla ‘neocolonizzazione’ dimenticando le future decapitazioni, ci rallegriamo di una sconfitta dell'Occidente chiudendo gli occhi sui suoi stessi mezzi di stabilizzazione, ci rammarichiamo di questo ritiro perché apre le porte ai califfati. Come al nord, vediamo al sud, nella possibile partenza dei francesi dal Sahel, e dall'ovest in generale, territori e limes, una liberazione, un tradimento o una catastrofe”.

Secondo gli specialisti, nel Sahel (come in Afghanistan per gli Stati Uniti) si sta svolgendo qualcosa di fondamentale per il futuro. “Della Francia, dell'Occidente e dei paesi vicini. Non ci vuole un esperto per capire che la questione ‘Barkhane’ è una domanda che tutti dovremmo porci al Nord. In un palazzo o seduti su una terrazza. La verità è che una sentinella che osserva di notte la linea del deserto è sempre nella posizione migliore per porre le domande più grandi: la sentinella vede l'essenziale”.

A pagare le spese saranno soprattutto i cristiani di quei paesi. Laurent Dabiré, vescovo del Burkina Faso, ieri ad Aiuto alla Chiesa che Soffre ha detto: “La gente si chiede: 'Chi sarà il prossimo bersaglio?'. Proprio come tutti gli altri in Burkina che sono presi di mira dal terrorismo, i cristiani sono sopraffatti dalla paura. Tuttavia, come cristiani, hanno più motivi per temere un'imposizione forzata dell'Islam. Gli attacchi seguono la logica della conquista”.
Parole incomprensibili in un Occidente che da un anno e mezzo discute soltanto della chiusura dei bar.
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Le demenziali menzogne sull'Africa del vittimismo africano

Messaggioda Berto » gio giu 17, 2021 7:01 pm

Agra, il fallimento agricolo africano targato Bill e Melania Gates
Autore Andrea Massardo
11 giugno 2021

https://it.insideover.com/ambiente/agra ... gates.html

Doveva essere un progetto in grado di portare una vera e propria rivoluzione all’interno del panorama agricolo africano, ma nonostante la cifra astronomica raccolta tramite le donazioni, superiore al miliardo di dollari, il progetto Agra (Alleanza per la rivoluzione verde in Africa) è stato fino a questo momento un tragico fallimento. Nato dalla spinta propositiva della Gates Foundation e supportato dalla Rockefeller Foundation, Agra aveva l’obiettivo di ammodernare, secondo gli standard occidentali, la metodologia di semina e raccolta nel continente africano e di aumentare la ricchezza delle famiglie locali. In 15 anni, però, il reddito medio degli agricoltori ghanesi e burkinabé non è cresciuto di nemmeno 100 dollari annui pro capite, dissipando però al tempo stesso il patrimonio di oltre un miliardo di dollari.

Usato un metodo sbagliato

Le accuse principali rivolte ai fautori del progetto si focalizzano principalmente sulla presunzione di poter applicare un sistema di agricoltura rivelatosi funzionante nell’emisfero boreale a uno scenario agricolo completamente differente come quello del Sahel e della Tanzania. E in modo particolare, come messo in evidenza dalla fondazione Rosa Luxemburg (vicina al partito tedesco Die Linke), il progetto non avrebbe tenuto conto dei costi esorbitanti rispetto alle controparti locali delle sementi “sponsorizzate” da Agra.

Secondo quanto emerso anche dalle analisi della Ong “Bread for the world”, molti agricoltori africani continuano, nonostante le sovvenzioni del progetto, ad utilizzare i prodotti indigeni, poiché più redditizi e soprattutto meno costosi. Soprattutto poiché nei 15 anni di affiancamento i risultati promessi non sono mai stati nemmeno lontanamente ottenuti, accrescendo la sfiducia egli agricoltori africani nei confronti di un progetto diventato giorno dopo giorno una mera utopia.

Ma non solo. A differenza del mais, i sementi africani necessitano di dosi meno importanti di pesticidi e fertilizzanti per essere coltivati, abbattendo i costi di produzione e permettendo alle colture di non danneggiare in modo invasivo i pochi terreni coltivabili a disposizioni. In uno scenario che, in conclusione, evidenzia quanto la bontà del progetto sia andata incontro a difficoltà che si sarebbero dovute tenere in considerazione.

Progetti utopici ma pochi risultati: il paradosso dei Gates

A livello internazionale, la Gates Foundation si può considerare la più grande Ong personale in termini di investimento nei territori svantaggiati del pianeta. Tuttavia, nonostante le ingenti somme a disposizione, la capacità di attrarre donatori e il folto numero di progetti seguiti, nel corso degli anni i risultati ottenuti sono sempre stati scarsi o comunque inferiori alle attese. Impossibile, dunque, non notare come ciò sia stato nella quasi totalità dei casi dovuto al tentativo di applicare pedestremente le strategie occidentali al mondo africano, senza mai cercare invece di sviluppare metodologie alternative che fossero in simbiosi con le logiche e le possibilità locali.

Rimanendo sul tema dell’Agra, però, l’errore è appunto da ricercarsi nel tentativo di “riprodurre” un metodo che ha dato i suoi frutti nei Paesi industrializzati senza cercare, al contrario, di migliorare e ammodernare le tecniche agricole locali, risultate a loro modo vincenti in relazione alle poche disponibilità. Evidenziando ancora una volta come, per fare beneficienza, non sia sufficiente una capacità di fuoco in termini di disponibilità economiche quasi illimitata se, al tempo stesso, i progetti non vengono contestualizzati negli scenari locali.
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Le demenziali menzogne sull'Africa del vittimismo africano

Messaggioda Berto » gio giu 17, 2021 7:02 pm

Le cause del sottosviluppo dell'Africa: riporto Un'ottimo articolo sulla micidiale influenza negativa dell'indeologia comunista con il suo vittimismo, il suo anticapitalismo, anti euroamericanismo, il suo razzismo antibianchi a cui però aggiungere il tribalismo congenito con anche la mentalità predatoria e schiavista e certe tradizioni religiose e la nefasta influenza del nazismo maomettano in buona parte dell'Africa.


In Africa la povertà aumenta a causa della mentalità anti-capitalista
17 giugno 2021

https://www.francescosimoncelli.com/202 ... causa.html

Ripassiamo ancora una volta perché il capitalismo di libero mercato offre più benefici di qualsiasi altra organizzazione socio-economica. X non ha lavoro e non possiede mezzi di produzione. Per dar da mangiare alla sua famiglia ha solo le mani, da usare per produrre beni e sopravvivere. La produttività di X sarà vicina allo zero e la sussistenza è il massimo a cui può sperare. Per essere più produttivo ha bisogno di beni capitali e quindi aumentare la sua produttività. X si trova di fronte ad una scelta: acquisire beni capitali da utilizzare per produrre beni, o andare a lavorare per un capitalista che fornisce mezzi di produzione con cui X può combinare il suo lavoro in cambio di un salario. Ci sono tre vantaggi principali forniti dal capitalista che portano X, e la maggior parte delle persone, a trovare più vantaggioso lavorare per un capitalista. 1) I beni capitali forniti dal capitalista rendono l'operaio molto più produttivo di quanto sarebbe stato da solo. La maggior parte degli individui ha risorse limitate e sarebbe in grado di ottenere relativamente meno beni capitali, o comunque meno produttivi, di quelli che il capitalista può fornire. Una maggiore produttività si tradurrà in salari più alti per il lavoratore rispetto alle entrate che avrebbe potuto generare producendo e vendendo beni da solo. 2) Lavorare in un'azienda consente al lavoratore di guadagnarsi da vivere immediatamente. Invece di dover attendere il completamento del processo produttivo e la vendita del prodotto finito, andare a lavorare per un capitalista consente al lavoratore di incassare subito il reddito. I salari degli operai sono di fatto un anticipo sul reddito dei prodotti finiti; un anticipo non concesso all'individuo che produceva egli stesso beni capitali. 3) Il capitalista si assume il rischio di potenziali perdite. L'appetito per il rischio è limitato, infatti la maggior parte delle persone non è disposta a rischiare di perdere i propri fondi (o i fondi presi in prestito che dovranno rimborsare) nel caso in cui i beni prodotti non siano valutati dai consumatori ad un prezzo superiore ai costi di produzione.

____________________________________________________________________________________

di Ferghane Azihari

Il progetto di punta dell'Unione Africana (AU), l'Africa Continental Free Trade Area (ACFTA), è infine entrato in vigore.

L'espansione globale dell'economia di mercato ha generato una prosperità senza precedenti per tutta l'umanità e ora anche gli africani vogliono accedere a questi guadagni. I vantaggi sono chiari: quasi l'80% degli esseri umani viveva in condizioni di estrema povertà all'inizio del XX secolo, rispetto a poco più del 10% di oggi. Alla fine della seconda guerra mondiale, metà della popolazione mondiale soffriva ancora di denutrizione. Ma ora questo flagello colpisce "solo" il 10% degli individui in tutto il mondo.

In generale, gli indicatori umanitari in tutto il globo continuano a migliorare. L'aspettativa di vita sta progredendo, la mortalità infantile è in calo, sempre meno bambini devono lavorare per sopravvivere e l'analfabetismo sta diventando l'eccezione.

L'Asia è stata l'obiettivo principale di questo progresso negli ultimi anni. Ma mentre la globalizzazione capitalista rompe il monopolio occidentale dell'opulenza, ci sono regioni in cui la penetrazione della ricchezza è ancora troppo lenta.

È il caso dell'Africa subsahariana. La percentuale di persone in condizioni di estrema povertà nel mondo è diminuita dal 36% al 10% tra il 1990 e il 2015 in tutto il mondo. Questo felice sviluppo, tuttavia, è stato più modesto nel continente nero: la povertà estrema è passata solo dal 54,3% al 41,1% nello stesso periodo, secondo i dati della Banca Mondiale. Le dinamiche demografiche unite a questi scarsi risultati economici fanno dell'Africa subsahariana una delle poche regioni in cui la povertà è aumentata negli ultimi anni in termini assoluti.

Si è tentati di guardare ai fattori storici, incolpando le potenze imperiali di un tempo; è vero, non hanno avvantaggiato i Paesi dominati più di quanto non abbiano servito le metropoli coloniali. Tuttavia la tesi antimperialista non può spiegare come alcuni Paesi abbiano fatto così tanti progressi partendo da zero. Nel 1950 il PIL pro capite della Corea del Sud era equivalente a quello della maggior parte dei Paesi dell'Africa subsahariana. Oggi la Corea è una forza trainante nell'economia globale e la sede di molte aziende che competono senza sosta con le più grandi multinazionali statunitensi.

Al contrario, molti Paesi africani hanno visto la loro situazione deteriorarsi sin dall'indipendenza. I pochi successi africani, come Botswana e Mauritius, si contano purtroppo ancora sulle dita di una mano. Non c'è bisogno di rifugiarsi nella geografia, geologia o emigrazione delle forze produttive del continente nero per spiegare la sua stagnazione: gran parte delle battute d'arresto africane è causata dalla mentalità anti-capitalista e dall'ostilità verso l'Occidente, cose che hanno prevalso sin dalla fine della colonizzazione.

In altre parole, il problema dell'Africa è ideologico oltre che economico. La maggior parte degli intellettuali affiliati ai movimenti nazionalisti e antimperialisti africani sono stati influenzati dal catechismo marxista-leninista. I seguaci di Lenin finirono per convincere le élite africane che l'economia di mercato era un complotto occidentale per schiavizzare il Terzo Mondo.

Che importa, ci dicono, se il collettivismo, a differenza del capitalismo, ha fallito ovunque sia stato attuato? Per alcuni l'aggiunta della lotta razziale alla lotta di classe prevale sull'adozione di ideologie e politiche che assicurano la prosperità economica. Gli anti-capitalisti insistono sul fatto che il sano pensiero economico debba essere respinto se le idee vengono dalle ex-potenze coloniali.

Questo discorso razzista ha molta più risonanza ora visto che è incorporato nelle scuole di pensiero postcoloniali la cui autorità si sta diffondendo in tutta Europa e negli Stati Uniti. Queste scuole tentano di fondere gli ideali universalisti della cultura liberale occidentale con gli sforzi per indebolire l'indipendenza e l'identità africane. Tuttavia se gli africani lo volessero, non dovrebbero essere liberi di abbandonare tratti ideologici e culturali locali meno utili per un tenore di vita più elevato? Se la conservazione della cultura indigena ha la meglio su tutto il resto, allora gli europei dovrebbero rifiutare le cifre indo-arabe a favore dei numeri romani più "tradizionali".

L'anti-capitalismo, alimentato da sentimenti ostili nei confronti dell'Occidente, è molto più paradossale in quanto condanna il continente nero a vivere sotto l'assistenza finanziaria delle odiate potenze. Il "fardello dell'uomo bianco", per usare il titolo del libro di William Easterly, diventa l'orizzonte esclusivo della lotta alla povertà attraverso l'attuazione di un "aiuto" inefficiente attraverso programmi di sviluppo paternalistici.

Questo paternalismo è tanto più perverso in quanto le dipendenze che crea indeboliscono ogni dubbio sulle istituzioni che ostacolano lo sviluppo del continente. In un momento in cui i flussi migratori sono sempre meno tollerati dall'opinione pubblica occidentale, diventa urgente decostruire le ideologie che impediscono agli africani di prosperare nelle loro terre d'origine. Chi avrà il coraggio di affrontare questo grande progetto culturale?



È davvero colpa del COLONIALISMO se l'Africa è un FALLIMENTO?
https://www.youtube.com/watch?v=xAJEyMWVVnw

Colonizzazione e decolonizzazione dell'Africa
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 194&t=1822






Agra, il fallimento agricolo africano targato Bill e Melania Gates
Autore Andrea Massardo
11 giugno 2021

https://it.insideover.com/ambiente/agra ... gates.html

Doveva essere un progetto in grado di portare una vera e propria rivoluzione all’interno del panorama agricolo africano, ma nonostante la cifra astronomica raccolta tramite le donazioni, superiore al miliardo di dollari, il progetto Agra (Alleanza per la rivoluzione verde in Africa) è stato fino a questo momento un tragico fallimento. Nato dalla spinta propositiva della Gates Foundation e supportato dalla Rockefeller Foundation, Agra aveva l’obiettivo di ammodernare, secondo gli standard occidentali, la metodologia di semina e raccolta nel continente africano e di aumentare la ricchezza delle famiglie locali. In 15 anni, però, il reddito medio degli agricoltori ghanesi e burkinabé non è cresciuto di nemmeno 100 dollari annui pro capite, dissipando però al tempo stesso il patrimonio di oltre un miliardo di dollari.

Usato un metodo sbagliato

Le accuse principali rivolte ai fautori del progetto si focalizzano principalmente sulla presunzione di poter applicare un sistema di agricoltura rivelatosi funzionante nell’emisfero boreale a uno scenario agricolo completamente differente come quello del Sahel e della Tanzania. E in modo particolare, come messo in evidenza dalla fondazione Rosa Luxemburg (vicina al partito tedesco Die Linke), il progetto non avrebbe tenuto conto dei costi esorbitanti rispetto alle controparti locali delle sementi “sponsorizzate” da Agra.

Secondo quanto emerso anche dalle analisi della Ong “Bread for the world”, molti agricoltori africani continuano, nonostante le sovvenzioni del progetto, ad utilizzare i prodotti indigeni, poiché più redditizi e soprattutto meno costosi. Soprattutto poiché nei 15 anni di affiancamento i risultati promessi non sono mai stati nemmeno lontanamente ottenuti, accrescendo la sfiducia egli agricoltori africani nei confronti di un progetto diventato giorno dopo giorno una mera utopia.

Ma non solo. A differenza del mais, i sementi africani necessitano di dosi meno importanti di pesticidi e fertilizzanti per essere coltivati, abbattendo i costi di produzione e permettendo alle colture di non danneggiare in modo invasivo i pochi terreni coltivabili a disposizioni. In uno scenario che, in conclusione, evidenzia quanto la bontà del progetto sia andata incontro a difficoltà che si sarebbero dovute tenere in considerazione.

Progetti utopici ma pochi risultati: il paradosso dei Gates

A livello internazionale, la Gates Foundation si può considerare la più grande Ong personale in termini di investimento nei territori svantaggiati del pianeta. Tuttavia, nonostante le ingenti somme a disposizione, la capacità di attrarre donatori e il folto numero di progetti seguiti, nel corso degli anni i risultati ottenuti sono sempre stati scarsi o comunque inferiori alle attese. Impossibile, dunque, non notare come ciò sia stato nella quasi totalità dei casi dovuto al tentativo di applicare pedestremente le strategie occidentali al mondo africano, senza mai cercare invece di sviluppare metodologie alternative che fossero in simbiosi con le logiche e le possibilità locali.

Rimanendo sul tema dell’Agra, però, l’errore è appunto da ricercarsi nel tentativo di “riprodurre” un metodo che ha dato i suoi frutti nei Paesi industrializzati senza cercare, al contrario, di migliorare e ammodernare le tecniche agricole locali, risultate a loro modo vincenti in relazione alle poche disponibilità. Evidenziando ancora una volta come, per fare beneficienza, non sia sufficiente una capacità di fuoco in termini di disponibilità economiche quasi illimitata se, al tempo stesso, i progetti non vengono contestualizzati negli scenari locali.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Le demenziali menzogne sull'Africa del vittimismo africano

Messaggioda Berto » dom giu 20, 2021 9:05 am

Poveri africani sempre vittime dei predatori non africani vero, vecchi e nuovi colonizzatori?
Ma la realtà è un'altra e il vittimismo non paga e non aiuta a responsabilizzarsi.



Nell’Africa comprata dai nuovi padroni, dove i contadini perdono le loro terre

In 20 anni 35 milioni di ettari acquistati da cinesi, emiratini e americani. È il nuovo colonialismo globale
Nell’Africa comprata dai nuovi padroni, dove i contadini perdono le loro terre
Domenico Quirico
04 Aprile 2021


https://www.lastampa.it/topnews/primo-p ... 1.40109005

È strano. I viaggiatori e i fotografi colgono dell’Africa innumerevoli immagini: le riserve naturali, i masai e i tuareg con i loro «pittoreschi costumi», gli animali selvaggi, le spiagge, i più consapevoli anche le sterminate e disperate bidonville e le guerre feroci. Ma pochissimi si raccolgono a fissare i gesti, i volti, la fatica dei contadini. Eppure l’Africa è un continente di contadini: che vivono, anzi meglio sopravvivono, su meno di un ettaro (l’ottanta per cento), con poca acqua, senza fertilizzanti, senza trattori.



Leader corrotti e tribalismo, l’Africa dimenticata si getta tra le braccia della jihad
Domenico Quirico
17 agosto 2020

https://www.lastampa.it/topnews/primo-p ... 1.39200977

L’Africa? Sessant’anni dopo le sacrosante ma azzoppate indipendenze, la stiamo perdendo ogni giorno: la perdiamo in quello che davvero dovrebbe contare, la possibilità di una vera democrazia che non sia elezioni truffa, lo sviluppo per un proletariato immenso e non solo per complici rapaci di una mondializzazione ipocrita, la tolleranza, etnica religiosa politica umana. E coloro che fuggono, i senza nome, i reietti, l’estremo limite, il termine della notte? Non dovrebbe essere quella la nostra Africa?

Non dovremmo prendere partito per la gente senza scuole e senza scarpe? Baratro nero e spalancato, è il progetto islamista che avanza verso Sud, rode, arruola, infetta, convince.



È difficile aiutare l’Africa quando l’Africa non vuole aiutare se stessa
Franco Nofori
03/04/2021
Un’analisi oggettiva anche se dolorosa

https://www.italiettainfetta.it/e-diffi ... se-stessa/

Ricevo da un amico lettore lo sfogo di un imprenditore keniano che non potrebbe spiegare meglio perché l’Africa non decolla, ma sceglie di schiavizzare se stessa svendendo la propria credibilità al resto del mondo. Si tratta di un appello accorato e tristemente sincero che fa comprendere come un grande continente, dotato di enormi risorse naturali, si condanna alla perenne indigenza, all’illegalità e alla disparità sociale. Non ci sarà mai modo si aiutare efficacemente l’Africa, finché l’Africa non saprà offrirsi al resto del mondo come un partner onesto, capace e affidabile. Tutto il resto è melensa retorica.

Sono il titolare di un’azienda manifatturiera in Kenya che gestisce anche la commercializzazione dei propri prodotti. Le maggiori difficoltà che incontro nel condurre la mia attività, non sono rappresentate dalle frequenti interruzioni di corrente e neppure dall’assenza di adeguate infrastrutture, ma dalla difficoltà di trovare personale onesto e affidabile. Sembra che la missione di ogni persona che assumiamo sia quella di rubare quanto più possibile; falsificare fatture; registrare incassi inferiori all’importo reale e alterare anche la quantità di articoli prodotti. La parte peggiore di questa strategia truffaldina è che non è solo attuata dal singolo, ma si realizza attraverso la collusione di tutti i settori, da quello produttivo a quello commerciale, finanziario e logistico, fino a coinvolgere l’intero corpo dirigenziale.

In un solo anno sono stato costretto a sostituire per ben tre volte tutte le posizioni direttive della mia azienda, ma solo per ripiombare nella stessa situazione, finché ho trovato un rimedio: ho affidato le posizioni di maggiore responsabilità a dirigenti indiani espatriati che si sono rivelati molto più onesti, efficienti e responsabili dei loro equivalenti africani. Inizialmente ero piuttosto dubbioso su questa scelta. La difficoltà a ottenere i necessari permessi di lavoro, la sistemazione abitativa e il personale domestico, comportavano costi non indifferenti, ma la rapida riduzione dei furti e delle truffe ai danni della mia azienda compensarono presto e largamente le spese di questa decisione che produsse anche livelli di efficienza mai ottenuti prima.


Scelta umiliante ma necessaria
Furto delle ruote a un auto parcheggiata in Sudafrica

Oggi tutto il mio staff dirigenziale è composto di espatriati indiani, mentre al personale africano restano affidate le sole mansioni di scarsa influenza gestionale. Si è trattato di un provvedimento che non avrei mai immaginato di adottare, poiché io stesso ero sempre stato apertamente critico nei confronti delle grandi aziende nazionali che impiegavano un gran numero di personale straniero, quando molti cittadini africani erano disoccupati, ma adesso comprendo la necessità di queste scelte, per quanto esse restino umilianti e dolorose. Il punto dolente non è rappresentato dall’incompetenza, perché chiunque sia privo di esperienza, può essere opportunamente istruito, ma chi è disonesto resta disonesto, anche se titolare di una laurea ottenuta a pieni voti.

Noi africani siamo usi a lamentarci per la situazione economica e per la difficoltà a trovare uno stabile impiego, eppure conosco molte aziende straniere che sarebbero pronte a investire massicciamente in Africa creando grandi opportunità di lavoro, ma non lo fanno per le troppe esperienze negative di chi li ha preceduti e per l’impossibilità di trovare africani qualificati e onesti cui affidare la gestione dei propri investimenti. Anche molti africani dotati di sufficienti disponibilità economiche, sono restii a creare attività imprenditoriali, per le stesse ragioni e preferiscono far fruttare il proprio denaro investendolo in buoni del tesoro o altre speculazioni finanziarie che non li espongano ai rischi di furto da parte dei propri connazionali.

L’Africa potrebbe creare milioni di opportunità di lavoro, attraverso partnership internazionali, ma ne è impedita a causa della vasta corruzione dell’apparato governativo, cui si aggiunge il costante impulso di rubare tutto il possibile anche da parte di una grande fetta della sua popolazione. Quella stessa popolazione che si lamenta del proprio governo corrotto, ma che è subito pronta a comportarsi nello stesso modo, appena si trova nella possibilità di farlo. Che si tratti di una grande impresa, o di una piccola attività rurale, l’impulso ad appropriarsi dei beni altrui, resta comunque irresistibile. Provate a condurre un modesto allevamento di pollame e vi ruberanno le uova. Vi diranno di aver trovato dei polli morti durante la notte, così da poterseli portare a casa per cena.


Perché non seguire gli esempi virtuosi?
L’aeroporto internazionale di Kigali, capitale del Ruanda

Qualunque sia l’attività che avete intrapreso, scoprirete che quando voi siete presente, essa renderà dieci volte di più di quando non ci siete, perché in vostra assenza, gran parte del denaro incassato finirà nelle tasche del vostro staff. Affittate loro un’auto e guardate come la porteranno rapidamente allo sfascio. Aprite un ristorante e vedrete come metà delle provviste che acquistate passeranno rapidamente dalla vostra alle loro cucine domestiche. Non si renderanno mai conto di quanto il loro comportamento sia dissennato, poiché oltre a privarvi del vostro denaro, stanno distruggendo l’attività grazie cui sopravvivono loro e le loro famiglie, uccidendo la speranza del proprio paese e del proprio futuro.

Eppure li vedrete sempre puntare l’indice accusatore verso la classe politica al potere, mentre se loro non hanno potuto rubare le stesse quantità di pubblico denaro, è solo perché non ne hanno avuta l’opportunità. Voi, pochi africani onesti, siete un’esigua minoranza e tutti vi guarderanno come degli idioti, ma non siete idioti, siete quelle poche persone di cui l’Africa avrebbe disperato bisogno. Come possiamo sperare in uno sviluppo di negozi, supermercati, aziende, ospedali, scuole, imprese pubbliche, ecc. quando il personale dell’Azienda elettrica ruba i cavi di rame; i medici si appropriano di farmaci, coperte, cuscini, lenzuola, viveri per poi rivenderli sul mercato nero?

A tutti i livelli sono gli africani il vero e grande problema dell’Africa. Chi ci potrà mai salvare da noi stessi? Eppure basterebbe seguire i pochi ma illuminanti esempi virtuosi, come il Ruanda. Un Paese risorto da una terribile strage e ora ammirato dal mondo intero, dal quale raccoglie importanti investimenti internazionali, perché sanno che in Ruanda la corruzione è energicamente bandita sia nel settore pubblico e sia in quello privato. Ecco perché sotto la guida di Kagame, il Ruanda fiorisce ponendosi come esempio all’intero continente africano. Facciamone tesoro e ridiamo speranza alla nostra amata Africa.
K.W. Kariuki

Giornalista e scrittore, fin dall’epoca del liceo, quando si occupava di cronaca cittadina. Nel 1983 si è trasferito in Africa, facendo base in Kenya e inviando a testate nazionali e straniere, molti reportage sulle situazioni africane di cui è diventato un profondo conoscitore. Nell’anno 2000 ha fondato e diretto, per quattordici anni, il periodico d’opinione “Out of Italy” rivolto alle comunità italiane dell’est-Africa. Ha scritto oltre mille articoli e pubblicato tre libri. Fino al 2018 ha anche ricoperto l’incarico di consigliere dell’Ambasciata Italiana in Kenya.



Nella stampa del Kenya torna il tormentone della “mafia italiana di Malindi”
Franco Nofori
08/04/2021

https://www.italiettainfetta.it/nella-s ... i-malindi/

Puntuale, inesorabile e fastidiosa come un ciclo mestruale, ricompare ancora una volta l’acredine che la stampa del Kenya riversa sulla presunta “Mafia italiana di Malindi”. Questa volta, a cimentarsi nella bisogna, provvede un certo John Kamau, articolista del Nation, che per trovare lo spunto a esprimere il suo bilioso attacco, va addirittura a riesumare, il tragico evento della morte di Edoardo Agnelli avvenuta oltre vent’anni fa e – nel suo articolo di domenica scorsa – s’ingegna a guarnirla con una lunga e disgustosa serie d’illazioni che coinvolgono non solo, lo sventurato erede suicida, ma anche suo padre, dipinto come un Tycoon anaffettivo e sesso-dipendente.

Chi mi segue da tempo, sa che non sono mai stato tenero nei confronti di alcuni connazionali che, soprattutto sulla costa del Kenya, tenevano e tengono, comportamenti non proprio edificanti ai fini di salvaguardare l’immagine del proprio Paese. Queste prese di posizione, mi hanno spesso assoggettato a valanghe di piccate reazioni e d’insulti, dimostrando quanto, tra questi trasgressori, fossero diffuse le code di paglia, cui la verità provocava effimere indignazioni di “Lesa Maestà”. Tuttavia, com’è stato più volte detto, queste discusse figure, pur se in numero non trascurabile, non sono mai state tali da rappresentare l’intera comunità italiana che vive e lavora in Kenya e che, mantiene grandi meriti nello sviluppo del Paese che la ospita.


“No Italians, no Malindi”

Cos’erano Malindi e Watamu prima dell’avvento dell’imprenditoria italiana? La risposta la danno gli stessi abitanti di queste due cittadine: “No Italians, no Malindi”, recitano. E questa indiscussa verità trova conferma nella golden age degli anni ’90, quando gli afflussi turistici si costituirono come la prima voce nell’economia keniana. Le due località costiere, prima dell’avvento degli italiani, erano due sparuti e miseri villaggi di pescatori, afflitti da una costante indigenza e quasi totalmente abbandonati al proprio destino dalle autorità centrali. Oggi, grazie soprattutto agli italiani, questi villaggi si sono rapidamente trasformati in fiorenti centri commerciali dove tutti i funzionari pubblici sono disposti a pagare decine di migliaia di euro per esservi trasferiti. Perché il solerte John Kamau del Nation non si chiede la ragione di questo possente desiderio di approdare sulla costa keniana?

Se il nostro Kamau si ponesse questa domanda, forse potrebbe definire meglio il suo concetto di “Mafia Italiana”, scoprendo che più spesso, anziché di corruzione mafiosa, si tratta di vera e propria “estorsione” attuata proprio da quei pubblici funzionari che, approdati a Malindi, si sono subito dati alacremente da fare per recuperare l’esborso di cui si erano fatti carico per raggiungere l’ambito scopo. Allora, Kamau, di quale mafia stai parlando, quando la migliore espressione mafiosa è proprio quella offerta dai tuoi connazionali che rivestono cariche pubbliche? Il maggio scorso a un posto di blocco in Mtwapa, un poliziotto mi aveva dichiarato in arresto perché avevo una strisciata sul parafango sinistro e quindi “non provvedevo un’adeguata manutenzione alla mia auto”. Nella sua eccelsa magnanimità, l’agente in questione, era tuttavia disposto a concedermi il “perdono” contro un modesto obolo d 2.000 scellini (circa 15 euro).



Corruzione o estorsione?

Kenya: Un agente del traffico mentre sollecita la bustarella al conducente di un veicolo

Grazie alla mia pluridecennale esperienza di Kenya, lo mandavo a quel paese e ripartivo, infischiandomene della sua espressione tra l’attonito e il risentito, ma quanti altri stranieri, residenti o turisti, avrebbero subito messo mano al portafoglio per evitare di finire in carcere? Tu, caro Kamau, avresti forse il coraggio di definirli “corruttori”, oppure incolpevoli vittime del ricatto e della prevaricazione attuati da un tutore della legge? Tu, Kamau, sei un meschino imbrattacarte, fazioso e menzognero. Hai semplicemente fatto un copia e incolla di quanto scritto dai colleghi che ti hanno preceduto per gettare fango su un’intera comunità. Tu parli di “mafia” senza avere la più pallida idea di cosa la “mafia” realmente sia e quel “paradiso mafioso” che citi è proprio quello costituito dall’entourage dei tuoi connazionali che con il loro comportamento avvelenano il vivere del proprio Paese, ma tu, di loro, ti guardi bene dal parlare e quindi, definirti “giornalista” è un oltraggio all’intera categoria.


John Kamau, autore dell’articolo sulla “mafia italiana” in Kenya

Evidentemente la mia opinione su John Kamau non è condivisa dal “Media Council of Kenya” (MCK) che nel 2016 gli ha conferito nientemeno che l’awards come migliore giornalista dell’anno. Eppure, leggendo ciò che scrivi, è piuttosto ostico ritenerti tale, caro Kamau. Come puoi non renderti conto che il tuo Paese è un’inesauribile fonte di corruzione, soprusi, malversazioni e degradi di cui potresti più attivamente occuparti, anziché lordare una comunità che, pur nelle sue imperfezioni, ha portato e porta al Kenya occupazione, assistenza e benessere? Ma è ovvio che tu sei supinamente sodale con la linea tracciata dai tuoi padroni ai quali ti genufletti, facendo forfait della tua dignità professionale e umana. Poteva essere legittimo che tu stigmatizzassi qualche discutibile comportamento italiano, se avessi messo in altrettanta evidenza tale comportamento con il fertile humus locale che lo favoriva, ma evidentemente l’obiettività non è una tua caratteristica e con il tuo scritto, ciò che hai voluto offrire ai tuoi lettori e all’intero mondo editoriale, è uno spettacolo infimo e rivoltante.

Giornalista e scrittore, fin dall’epoca del liceo, quando si occupava di cronaca cittadina. Nel 1983 si è trasferito in Africa, facendo base in Kenya e inviando a testate nazionali e straniere, molti reportage sulle situazioni africane di cui è diventato un profondo conoscitore. Nell’anno 2000 ha fondato e diretto, per quattordici anni, il periodico d’opinione “Out of Italy” rivolto alle comunità italiane dell’est-Africa. Ha scritto oltre mille articoli e pubblicato tre libri. Fino al 2018 ha anche ricoperto l’incarico di consigliere dell’Ambasciata Italiana in Kenya.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Le demenziali menzogne sull'Africa del vittimismo africano

Messaggioda Berto » gio lug 01, 2021 4:55 am

???

Africa, chi crea la povertà: evasione fiscale, corruzione, regole del commercio e clima
di VITTORIO LONGHI
24 maggio 2017

https://www.repubblica.it/solidarieta/c ... 166295080/

ROMA - Smettiamo di dire che l'Africa è povera. Smettiamo di parlare di aiuti come si trattasse di beneficenza e della migrazione come la conseguenza di una miseria inevitabile. L'Africa è molto ricca e piena di possibilità: dalle risorse naturali a una consistente forza lavoro giovane, dall'ampia biodiversità al potenziale di un vasto mercato interno.

La sottrazione sistematica della ricchezza. L'economia del continente dovrebbe crescere con tassi annuali a due cifre, anziché con il 5 per cento attuale, eppure la maggior parte degli abitanti vive ancora in piena povertà. Questa contraddizione dice chiaramente che l'Africa è impoverita, che c'è stata una sottrazione sistematica di ricchezza da parte dei Paesi industrializzati, per lo più ex imperi coloniali, a cui si aggiungono un'evasione fiscale dilagante, politiche commerciali penalizzanti, corruzione e costi ambientali di un modello sviluppo a cui l'Africa non ha mai partecipato.

GUARDA IL RAPPORTO

Un credito verso il mondo di 41,3 miliardi di $. A denunciare questa situazione è il nuovo rapporto Honest Accounts, pubblicato oggi da Global Justice Now e da un gruppo di ONG europee e africane. Il rapporto analizza i flussi economici e finanziari di 47 Stati, per capirne i limiti e il potenziale di crescita. “Il punto – dicono gli autori del rapporto - è che i Paesi africani sono in una posizione di credito nei confronti del resto del mondo, con un saldo netto di circa 41,3 miliardi di dollari nel 2015”.

Il costo dell'evasione. Nel 2015, il continente ha ricevuto complessivamente 161,6 miliardi di dollari come prestiti, rimesse dei migranti e aiuti. Quello che l'Africa ha perso, però, ammonta a circa 203 miliardi, sia direttamente – nel caso delle multinazionali che ne sfruttano le risorse ma poi mandano i profitti verso i paradisi fiscali – sia indirettamente, in forma di costi imposti da altri, come per l'adattamento ai cambiamenti climatici. Se si guarda in dettaglio a queste cifre, si vede che ai Paesi africani sono arrivati circa 19 miliardi in aiuti e fondi vari, ma oltre tre volte tanto, 68 miliardi, sono usciti con le tasse evase dalle multinazionali, pari al 6 per cento del Prodotto interno lordo dell'intero continente.

Il ruolo della corruzione. Ovviamente la corruzione diffusa ha un ruolo determinante nel facilitare l'evasione, impedendo ai governi e alle autorità fiscali di intervenire in modo veramente efficace. La corruzione alimenta la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochissimi. C'è un gruppo di circa 165mila super ricchi con un patrimonio complessivo di 860 miliardi di dollari, ovviamente offshore o in grandi banche inglesi o svizzere. Le stime parlano di circa 500 miliardi nei paradisi fiscali, cioè il 30 per cento di tutta la ricchezza finanziaria africana, un patrimonio sottratto ai servizi pubblici più importanti per lo sviluppo, come scuola e sanità. Non meraviglia che i controlli e il rigore fiscale siano scoraggiati, in una politica che tende a offrire anche generosi incentivi alle imprese straniere per attrarre investimenti, specialmente nei settori minerario, del petrolio e del gas.

Penalizzati da commercio. Quanto alle rimesse dall'estero, nel 2015 ammontavano a 31 miliardi, non pochi ma compensati dai 32 miliardi di profitti esportati dalle grandi imprese straniere. I governi hanno ricevuto 32,8 miliardi di finanziamenti ma ne hanno pagati 18 tra gli interessi e un debito sempre più alto. Senza contare i 29 miliardi che ogni anno spariscono con il commercio illegale di beni naturali vari, come il pesce, gli animali e la vegetazione. Le politiche commerciali internazionali hanno creato un sistema che prende dall'Africa le materie prime per lavorarle altrove, facendo perdere il margine di guadagno maggiore, nel settore petrolifero come in quello agricolo.

Gli effetti climatici. Infine, ci sono i danni del riscaldamento globale, provocato altrove, com'è noto. Il costo di adattamento, per prevenire l'impatto sull'economia e sulla vita quotidiana delle persone, è stimato in 10,6 miliardi all'anno. I costi della mitigazione, invece, ammontano a circa 26 miliardi e comprendono la conversione nelle fonti rinnovabili, trasformazione molto più onerosa dove mancano le infrastrutture e la tecnologia che abbiamo in Europa. La perdita di giovani che migrano a causa dei dissesti naturali e dei conflitti, portando via forza lavoro e competenze - il cosiddetto brain drain – è stimata in circa 6 miliardi di dollari.

Che cosa fare. I ricercatori di Honest accounts non fanno solo accuse, ma avanzano una serie di proposte per soluzioni concrete. In generale, ci vorrebbe un maggiore coinvolgimento della società civile africana affinché i tanti squilibri, la corruzione, e certi privilegi siano denunciati ed eliminati. Anche la società civile degli altri Paesi dovrebbe mobilitarsi però, soprattutto quelli che beneficiano della ricchezza dell'Africa. “Le élites globali non hanno alcun interesse a cambiare un sistema da cui traggono solo vantaggi, quindi sta alle organizzazioni e ai movimenti creare coalizioni transnazionali per fermare le varie forme di evasione fiscale e sottrazione di ulteriori risorse”, spiegano gli autori del rapporto, indicando con precisione alcune politiche da seguire.

Un'economia locale smantellata da ricostruire. Ad esempio, sostenere l'economia locale con maggiori investimenti pubblici. Per decenni le istituzioni internazionali hanno promosso privatizzazioni e aperture dei mercati alle imprese straniere e al commercio internazionale, smantellando i pochi servizi pubblici esistenti senza avviare un'economia di mercato forte. Come già accaduto nell'Asia orientale, dove i tassi di povertà si sono ridotti drasticamente negli ultimi decenni, un maggiore intervento dello Stato faciliterebbe la creazione e lo sviluppo di industrie locali, magari rafforzando il mercato interno con misure temporaneamente protezionistiche. Il rapporto suggerisce ai governi africani di differenziare gli investimenti per la crescita non basandola solo sulla ricchezza mineraria, sulle fonti fossili e le altre risorse non rinnovabili – tra l'altro, causa di conflitti e di corruzione. Dovrebbero incoraggiare invece quei settori che permettono una crescita sostenibile e inclusiva, che ha maggiori prospettive in rapporto all'evoluzione tecnologia e alla trasformazione delle competenze, come raccomandato anche dalla Banca Mondiale.

Ripensare aiuti, tasse e prestiti. Riguardo agli aiuti dai Paesi industrializzati, questi andrebbero ripensati come forma di risarcimento per i danni subiti, anziché come donazioni volontarie. Un simile processo comporta un'analisi approfondita dei rapporti con ogni altra economia, calcolando quante risorse escono dal continente ogni anno e stimando anche i danni che altri hanno causato, come nel caso del riscaldamento globale. Dal punto di vista finanziario, ci vorrebbe un impegno deciso per fermare l'evasione fiscale delle multinazionali che fanno profitti in Africa. Secondo i ricercatori anche le istituzioni finanziarie nazionali - come le borse valori - dovrebbero impedire a certe società di essere quotate se usano i paradisi fiscali e contribuiscono a impoverire Paesi in fanno profitti.

Un programma serio di controlli. Inoltre, lo studio suggerisce un programma serio di controllo dei prestiti concessi attraverso Fondo Monetario, Banca Mondiale e altre istituzioni internazionali o governi, affinché ci sia maggiore trasparenza nell'utilizzo e affinché gli interessi diventino sostenibili nel medio e lungo termine. Si tratta, in sostanza, delle misure necessarie a limitare i danni dei cosiddetti “fondi avvoltoio” che strangolano l'economia dei Paesi in via di sviluppo, impedendo ogni reale progresso. Su questa strada, nel 2015 le Nazioni unite avevano avviato un processo per la ristrutturazione del debito. La risoluzione fu votata da 136 nazioni, con l'opposizione di Stati uniti, Regno unito, Germania, Giappone, Canada e Israele.




Gli errori di wikipedia sulle cause della povertà africana

La povertà è una condizione diffusa in parte dell'Africa moderna: circa il 40% dei Paesi africani si colloca infatti negli ultimi posti di tutte le principali classifiche di ricchezza nazionale, come quelle basate sul reddito pro capite o sul PIL pro capite, pur disponendo spesso di ingenti risorse naturali, mentre nell'elenco delle 50 nazioni meno sviluppate del mondo stilata dall'ONU nel 2006, 23 opposizioni erano occupate da paesi africani.
Assieme ai cambiamenti climatici in atto, all'instabilità politica di molti suoi Stati, allo sfruttamento passato e presente di questi territori da parte degli Europei e a un tasso di natalità eccessivamente alto, la "questione africana" costituisce una delle principali cause delle migrazioni di massa o esodi di popolazione verso gli altri continenti. In molte nazioni africane, il PIL pro capite è sotto la soglia dei 10000 $ annui; nonostante tale valore sia andato crescendo negli ultimi decenni, il progresso è inferiore a quello rilevabile in altre aree del mondo in via di sviluppo, come il Sudamerica.
https://it.wikipedia.org/wiki/Povert%C3%A0_in_Africa


Gli errori e le manipolazioni dei cristiani missionari comunisti



Perché le risorse naturali dell’Africa portano solo povertà? La risposta in libro
p. marco

https://www.missioniafricane.it/perche- ... -in-libro/

L’Africa possiede il 30% delle risorse naturali mondiali, il 14% della popolazione globale, ma il 43% dei poveri del pianeta.

Ieri saccheggiata dalle potenze coloniali, oggi spogliata da grandi aziende occidentali con un fatturato superiore al Pil di una nazione europea, dai nuovi entrati cinesi e dai fondi sovrani arabi.

Una rapina quotidiana resa possibile dalla complicità in loco di magnati, trafficanti, signori della guerra, élite cleptocratiche e corrotte allevate nella convinzione che lo Stato sia proprietà privata da sfruttare per arricchire se stessi e il clan familiare.

Sembra inesorabile il destino dei Paesi africani che scoprono di avere nel sottosuolo le ricchezze minerarie più preziose, come le terre rare, il petrolio, l’oro, i diamanti, il rame e il ferro: vengono colpiti dalla “maledizione delle risorse” che anziché portare benessere e sviluppo comporta miseria, conflitti, instabilità politica e la perdita di sovranità su intere aree.

Per capire le cause, oltre ai mutamenti climatici, dei conflitti, della povertà e delle ingiustizie che generano emigrazione dal continente africano, arriva in Italia edito da Francesco Brioschi La macchina del saccheggio (Pag. 380, euro 20) di Tom Burgis, giornalista del “Financial Times”, che oggi vive a Londra dopo essere stato corrispondente del quotidiano economico dall’Africa occidentale e poi dal Sudafrica.

Burgis offre risposte alle domande chiave sulla povertà e il sottosviluppo con la tenacia e la curiosità del giornalista investigativo unite alla competenza del segugio che sa districarsi tra i meandri e i protagonisti oscuri dell’economia globale.

Frutto di anni di ricerche, di inchieste sul campo, di viaggi, il libro è un lungo reportage sui mali dell’Africa del ventunesimo secolo, pignolo e completo che fa a pezzi le tesi di chi, tra giornalisti e politici soprattutto nel cortile mediatico di casa nostra, liquida le questioni migratorie con semplificazioni buone al massimo per i social e slogan da talk show.

Altro che aiutiamoli a casa loro, altro che complotti migrazionisti. Burgis documenta la complessità del saccheggio compiuto dai supermanager delle compagnie occidentali e orientali che si sono affacciate negli ultimi 20 anni in Africa per accaparrarsi le ricchezze del suolo e del sottosuolo, dai signori della guerra, dai faccendieri al servizio della politica cinese per inserire Pechino nell’eterno “scramble” per le risorse africane, dal sottobosco esteso

Da una recensione di Paolo Lambruschi su Avvenire

Foto: Irin, Repubblica Democratica del Congo



Eni-Nigeria, crolla ancora il castello di accuse della Procura di Milano: assolti anche i presunti mediatori della maxi tangente
Cancellate le uniche due condanne e revocate le confische

24 Giugno 2021

https://www.ilriformista.it/eni-nigeria ... te-229537/

Eni-Nigeria, crolla ancora il castello di accuse della Procura di Milano: assolti anche i presunti mediatori della maxi tangente

Continua la lunga scia di assoluzioni sul presunto caso di corruzione internazionale di Eni-Nigeria, dopo le 15 avvenute nel processo principale che ha visto scagionati tra gli altri Paolo Scaroni e Claudio Descalzi, ex e attuale amministratore delegato del ‘Cane a sei zampe’. Il teorema della Procura milanese riguardava il presunto pagamento di una maxi tangente, la più grande mai pagata da una società italiana, per l’acquisto nel 2011 dei diritti di esplorazione del giacimento Opl245 in Nigeria.

Questa mattina la Corte d’Appello di Milano ha infatti assolto anche Obi Emeka e Gianluca Di Nardo, i due presunti mediatori accusati di corruzione internazionale, condannati in primo grado con rito abbreviato a quattro anni di reclusione.

Assoluzione che si intreccia al fascicolo sul ‘falso complotto’ e col caso dei verbali di Piero Amara: la Procura di Brescia, come è noto, sta indagando sul procuratore aggiunto di Milano Fabio De Pasquale e sul pm Sergio Spadaro, titolari dell’indagine Eni-Nigeria, per l’ipotesi di rifiuto d’atti d’ufficio in relazione alla gestione del materiale probatorio del processo, in particolare il video registrato di nascosto dall’ex manager Eni Vincenzo Armanna, imputato nel processo e testimone sulle cui dichiarazioni si era basata buona parte dell’accusa della Procura di Milano, mentre parla con l’avvocato Piero Amara rivelando l’intenzione di ricattare i vertici della società petrolifera.

Obi Emeka e Gianluca Di Nardo sono stati assolti con la formula “perché il fatto non sussiste” con la sentenza sa dalla seconda sezione d’Appello, presidente Rosa Luisa Polizzi coi giudici Scalise e Nunnari, accogliendo la richiesta dello stesso sostituto pg Celestina Gravina e dei difensori, gli avvocati Giuseppe Iannaccone (per Di Nardo) e Roberto Pisano (per Emeka).

La Corte d’Appello ha anche revocato le confische disposte in primo grado di 98 milioni e 400 mila dollari per Obi Emeka e 21 milioni e 185 mila franchi svizzeri per Gianluca Di Nardo per un totale di 112 milioni di euro.

Per l’avvocato Roberto Pisano, legale di Obi Emeka, “dopo 7 anni si respira aria di verità”. Una condanna di primo grado che per il legale era stata “ingiusta” e dovuta ad un “macroscopico travisamento della prova e a violazioni di legge”. La pensa allo stesso modo Giuseppe Iannaccone, difensore di Gianluca Di Nardo, secondo cui oggi è assolto giustamente “un innocente”. La Corte, ha chiarito, “lo ha acclarato, ho sempre avuto fiducia nella giustizia e oggi l’appello lo ha dimostrato”.
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Le demenziali menzogne sull'Africa del vittimismo africano

Messaggioda Berto » gio lug 01, 2021 4:56 am

Perché si inginocchiano per esempio con il Black Lives Matter?
Niccolò Brighella 2020
Domenico Sesta
30 giugno 2021

https://www.facebook.com/domenico.sesta ... 3395578056

Vi siete chiesti perché i manifestanti del Black Lives Matter protestano inginocchiandosi? Questo potente gesto è un ponte che attraversa la storia americana, dall’Alabama degli anni ’60, passando per una partita di football del 2016, fino a noi.
La preghiera di Selma
Il 1 febbraio del 1965 Martin Luther King Jr. radunò il movimento per i diritti civili a Selma, Alabama, dopo che la polizia aveva arrestato 250 attivisti che sostenevano il diritto di voto per gli afroamericani. King si avvicinò a Ralph Abernathy, leader del movimento a Selma, e insieme si inginocchiarono sul marciapiede, in preghiera.
Il 7 marzo seguente Martin Luther King e altri 600 attivisti marciarono da Selma fino a Montgomery, la capitale dello stato, per ottenere il diritto di voto. Ma la polizia, armata di manganelli e lacrimogeni, li bloccò sul ponte del fiume Alabama e caricò il corteo pacifico. Il mondo chiamò quel giorno il Bloody Sunday statunitense.
Da Colin Kapernick al Black Lives Matter
Nel 2016, 51 anni dopo Selma, il quarterback dei San Francisco 49ers Colin Kaepernick decise di restare seduto durante l’inno nazionale, in segno di protesta. Alla terza partita, si alzò e raggiunse i suoi compagni per poi inginocchiarsi come avevano fatto un tempo Martin Luther King e Ralph Abernathy.
Kaepernick dichiarò di aver compiuto questo gesto (take a knee) in onore delle vittime afroamericane della polizia. Il suo gesto fece scalpore, fu imitato da molti altri atleti ma anche attaccato da tantissimi americani, come il Presidente degli USA Donald Trump. A fine anno Kapernick rescisse il contratto coi San Francisco 49ers e, nonostante fosse un ottimo giocatore, non riuscì più a lavorare. Nel 2017 denunciò la NFL per mobbing e nel 2019 la lega si accordò col giocatore per un risarcimento.
Ma l’eredità di Kaepernick ha travalicato la sua carriera sportiva. La riscoperta, forse inconsapevole, di quel gesto semplice e potentissimo di Martin Luther King, cambiò il mondo. Oggi, mezzo secolo dopo Selma e quattro anni dopo Kaepernick, il take a knee è divenuto simbolo del Black Lives Matter, spesso accompagnato da un’altra memoria storica resa celebre da due sportivi: il pugno alzato delle Pantere Nere, alzato da Tommie Smith e John Carlos alle Olimpiadi di Messico 1968.
«Noi non ricorderemo le parole dei nostri nemici ma il silenzio dei nostri amici»
MARTIN LUTHER KING JR


Franco Gentili
Capisco i Black Lives Matter.....ma é chiaro che chi si devono inginocchiare sono coloro o i discendenti di coloro che hanno creato nazioni sullo schiavismo, le loro ricchezze sullo sfruttamento spietato delle colonie , specie africane. Lasciando un continente intero nella miseria e ignoranza quasi totale. Francamente non mi includo fra questi esseri e penso che anche l´Italia non debba inginocchiarsi difronte a nessuno.

Domenico Sesta
Franco Gentili in generale posso condividere il senso, ma guarda che il colonialismo italiano è stato, al pari di quello delle altre nazioni europee , atroce e distruttivo. Personalmente sono d'accordo con te, ma penso che non si inginocchiano i "colpevoli", ma coloro che vogliono dimostrare solidarietà alle vittime.

Franco Gentili
Domenico Sesta Colonialismo italiano ? Non penso che ci sia paragone, Belgio,Francia, Inghilterra, Olanda,Spagna, Portogallo e Germania si sono arricchiti sfruttando l ' Alfrica. L' Italia ha tentato di usare quelle terre per mandare emigranti italiani, ma è vero ci sono stati episodi di estrema violenza anche da parte degli italiani. Ma non sfruttamento. La solidarietà penso che si debba fare con il comportamento non con la genuflessione
Accogliere 600.000 africani mi sembra una ottima dimostrazione di un comportamento. Il discorso è troppo lungo e complesso per risolversi in poche righe. Comunque la mia coscienza è a posto.

Alberto Pento
Il colonialisno europeo in Africa non ha affatto lasciato miseria e ignoranza.
Poi il peggior colonialismo in Africa era ed è quello arabo e islamico, questo sì ha schiavizzato, depredato, immiserito e reso ignorante buona parte dell'Africa dove ancora domina.
Se l'Africa ha qualche speranza è solo grazie alla industriosità, alla tecnologia e alla scienza dell'occidente.
Si pensi solo al petrolio e al metano che danno a paesi come la Libia, l'Algeria e la Nigeria un sacco di ricchezze per il loro sviluppo, grazie al consumo dei paesi della fascia climatica temperata euroamericani che hanno sviluppato la tecnologia di estrazione e di lavorazione di queste materie del sottosuolo che gli africani non erano e non sarebbero in grado di utilizzare o sfruttare per loro conto.
Così per molti altri elementi minerali e nell'agricoltura.
La schiavitù in Africa era praticata innanzi tutto dagli africani e poi dagli islamici arabi e africani che razziavano gli africani all'interno dell'Africa e poi li portavano anche nei porti dell'Africa occidentale ai mercanti di schiavi che commerciavano con le Americhe.
Anche oggi la schiavitù in Africa è praticata dagli africani e dai nazi maomettani.

Alberto Pento
Io non mi inginocchio di fronte al male e alla manipolazione del bene
viewtopic.php?f=196&t=2918
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 2853240946
George Floyd era un delinquente abituale morto per sua colpa: per essersi strafatto di fentanyl (droga mortale) e per essersi opposto al giusto arresto da parte del poliziotto Derek Chauvin a cui va tutto il mio sostegno e la mia simpatia.

Il senso di colpa
viewtopic.php?f=196&t=2914

Il senso di colpa lo provo solo quando sento di aver fatto del male, quando sento di aver violato le buone leggi universali della vita causando del male che mi si ritorce contro o che potrebbe ritorcermisi contro.
Se non ho coscienza di aver fatto del male non provo alcun senso di colpa.
E non vi è alcuna colpa nell'essere bianchi, occidentali, cristiani, atei, aidoli, laici, sani, forti, belli e ricchi, non vi è alcun male nello stare bene e lo stare bene non si fonda sul male degli altri, come la ricchezza non si fonda sulla povertà altrui e la forza non si fonda sulla debolezza altrui.
Il proprio star bene, la propria forza e la propria ricchezza benefica anche gli altri d'intorno.

Menzogne e calunnie demenziali per demonizzare, criminalizzare e disumanizzare, per istigare alla paura, al disprezzo e all'odio etnico-ideologico-politico-religioso, al fine di depredare, schiavizzare e impedire il libero esercizio dei diritti umani, civili, economici e politici del prossimo.
viewtopic.php?f=196&t=2942
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 8357587395

Crimini contro l'umanità ossia violazioni gravi dei diritti umani, civili e politici degli esseri umani cittadini dei vari paesi del mondo
viewtopic.php?f=205&t=2957
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 5524575934

Le demenziali menzogne sull'Africa del vittimismo africano
viewtopic.php?f=175&t=2953
https://www.facebook.com/Pilpotis/posts/877868459456592

All'Africa e agli africani non dobbiamo nulla, ma proprio nulla, niente di niente, tanto meno agli asiatici e ai nazisti maomettani d'Asia e d'Africa. Ci dispiace per i cristiani ma non possiamo accogliere tutti perché non vi è spazio, non vi sono risorse e non c'è lavoro, in Italia vi sono già milioni di poveri, di disoccupati e di giovani costretti a migrare; e un debito pubblico tra i più alti del mondo occidentale che soffoca lo sviluppo e alimenta i parassiti e la corruzione. Gli africani si arrangino e restino in Africa a risolvere i loro problemi.
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 194&t=2494
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Re: Le demenziali menzogne sull'Africa del vittimismo africa

Messaggioda Berto » mer set 29, 2021 9:31 pm

All'Africa non dobbiamo nulla, né aiuti né risarcimenti, nulla di nulla!


Greta è stufa: basta chiacchiere. Ma è già pronta la nuova leader
Alberto Giannoni
29 settembre 2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1632906184

«Bla bla bla» verde. Greta si è stancata. L'attivista svedese ormai è un marchio globale, dialoga a tu per tu con capi di Stato e leader religiosi, buca ancora lo schermo e i social con trovate comunicative di prim'ordine, eppure a 18 anni compiuti (il 3 gennaio saranno 19) la sua stella sembra sul punto di offuscarsi, per essere magari soppiantata da una nuovo astro nascente, una 24enne di nome Vanessa e di colore, tributaria di un'autentica standing ovation nel primo giorno «Youth4Climate».

Le due giovani sono state le star indiscusse del prologo di questo grande evento milanese di tre giorni, in cui centinaia di giovani si sono dati appuntamento per discutere delle strategie per combattere il cosiddetto «riscaldamento globale». Il ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani, che ha aperto la kermesse, le ha definite «personaggi iconici» della lotta al cambiamento climatico. Ad ascoltarle in estasi, a meno di una settimana dal voto per le Comunali, il sindaco Giuseppe Sala, riscopertosi verde: «Si parte delle città» ha detto, facendosi forte delle misure adottate in un fazzoletto di Milano, cuore di una pianura padana che peraltro da oltre 20 anni vede migliorare la qualità dell'aria. «Basta con questo fashion green» lo ha liquidato il rivale, Luca Bernardo.

Magliettina azzurra a maniche corte, giacchetta legata alla vita e scarpe da ginnastica intonate, Greta ha esordito con un colpo a effetto. «Non si può più andare avanti con il bla bla bla». Greta è stufa dei bla bla bla, cioè dei discorsi. É stato, insomma, il suo, il giorno dell'impazienza. «Le nostre speranze e sogni - ha avvertito - annegano in tutte queste vuote parole e promesse» (dei leader)». «Sono 30 anni che sentiamo bla bla bla e dove siamo?». Quindi, ha concluso arringando la platea con una raffica di interrogativi retorici e risposte assertive. «Cosa vogliamo? Giustizia climatica. Quando la vogliamo? Ora. Noi vogliamo un futuro sicuro e una giustizia climatica» ha detto, evocando inconsapevole il «tutto e subito» di altre stagioni.

Ma poco prima di lei, aveva appena finito di parlare la nuova «amica», Vanessa, attivista ugandese. Un intervento - il suo - che ha insistito molto sulle disuguaglianza sociali, sugli effetti del «cambiamento climatico» e sui costi diversi, da Paese a Paese. «Vivo in Uganda - ha detto - un Paese che ho visto soffrire molto per l'impatto dei cambiamenti climatici. Per tradizione storica l'Africa è responsabile solo 3% emissioni Co2, ma gli africani subiscono impatti più negativi: uragani, inondazioni, siccità».

E alla fine del suo discorso, tornando al suo posto, si è commossa per gli applausi ricevuti. Vanessa ha fatto capire qual è l'antifona in tema di «aiuti». Non saranno più tali, ma risarcimenti. «Servono finanziamenti - ha avvertito - ma non prestiti, ma sussidi a fondo perduto». «Non vogliamo conferenze vuote, dovete mostrarci il denaro».

Il suo slogan è «we cannot eat coal, we cannot drink oil»: non possiamo mangiare carbone e bere petrolio. Vanessa non vuole solo meno emissioni, Vanessa batte cassa a nome dell'Africa, e ha appoggiato ovviamente i movimenti «antirazzisti», compresi quelli ambigui come il «Blm». «Sono un attivista per il clima - ha scritto lo scorso anno - Ma ho assaggiato il razzismo a modo mio. Sto ancora combattendo per l'azione per il clima. Ma non posso tacere in un momento in cui le vite dei neri sono in pericolo. Sono sempre stati in pericolo. Mi unisco a tutti gli altri per dirvi che BlackLivesMatter»

Una Greta non europea, ugandese, e più «sociale», non può che avere un'autostrada mediatica davanti a sé. E ora i volti planetari della giustizia climatica (e sociale!) sono due. «Al di là dei modi di esprimersi diversi, legati anche a fattori generazionali, sono state dette le stesse cose» ha assicurato il ministro. «Vanessa Nakate e Greta Thunberg hanno detto due cose importanti».
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Le demenziali menzogne sull'Africa del vittimismo africano

Messaggioda Berto » sab ott 09, 2021 8:50 am

Nobel a Gurnah contro il colonialismo. Quello europeo, non quello arabo
Anna Bono
9 ottobre 2021

https://lanuovabq.it/it/nobel-a-gurnah- ... k.facebook

Il premio Nobel per la letteratura è stato conferito allo scrittore tanzaniano Abdulrazak Gurnah. Nelle motivazioni c'è la sua "intransigente e compassionevole analisi" degli effetti del colonialismo. Di quale colonialismo si parla? Di quello europeo. Eppure il colonialismo arabo a Zanzibar, in 13 secoli, deportò 12 milioni di schiavi.

Mercato degli schiavi a Zanzibar

Il premio Nobel 2021 per la letteratura è stato conferito allo scrittore tanzaniano Abdulrazak Gurnah, residente dal 1967 in Gran Bretagna dove ha insegnato inglese e letterature post coloniali presso l’università del Kent fino alla pensione. Gurnah è autore di dieci romanzi e di diversi racconti e saggi. I suoi personaggi, spiega la fondazione Nobel “si trovano in uno iato tra culture e continenti, tra una vita che era e una vita emergente” con il merito di “rifuggire dalle descrizioni stereotipate” e di “aprire il nostro sguardo su un’Africa orientale culturalmente diversificata, sconosciuta a molti in altre parti del mondo”.

La fondazione Nobel ha ragione. Le coste e le isole dell’Africa orientale sono state nei secoli uno straordinario luogo di incontro di etnie, culture e religioni. In quelle del Kenya e del Tanzania è nata e si è sviluppata la società swahili, urbana, una delle poche realtà africane proiettate verso l’esterno, con regolari rapporti commerciali lungo l’Oceano Indiano, fino in Cina, già a partire dall’VIII Secolo, con una lingua antica come quella italiana. Che sia un “melting pot”, un crogiuolo di culture ed etnie, come sostengono alcuni antropologi è opinabile. L’evidenza, lì come in altri contesti, è piuttosto di una supremazia della componente più forte: in questo caso, imposta dalla popolazione arabo-islamica – i Waswahili – e subita dalle tribù bantu originarie e da ogni altra componente via via aggiuntasi, almeno finché la regione non è stata colonizzata da Gran Bretagna e Germania alla fine del XIX Secolo.

Abdulrazak Gurnah è nato nel 1948 a Zanzibar, l’isola da cui per secoli gli arabi, la cui colonizzazione del continente africano è iniziata subito dopo la morte di Maometto nel 632, hanno controllato le coste africane e gestito il commercio sia con l’interno del continente sia con i Paesi asiatici. Gli schiavi erano una delle merci: uomini, donne e bambini comprati o catturati, più di dodici milioni di persone nell’arco di 13 secoli. La tratta degli schiavi è stata proibita sulla costa swahili dalla Gran Bretagna all’inizio del XX Secolo, ma il risentimento, il desiderio di rivalsa delle popolazioni bantù è rimasto vivo. Non si spiega diversamente la feroce rivolta delle popolazioni bantu di Zanzibar che nel 1964, istigate da due partiti di ispirazione comunista (Che Guevara all’epoca si stava illudendo di fare dell’Africa il centro da cui iniziare la rivoluzione comunista mondiale), hanno ucciso da 5mila a 12mila Waswahili su un totale di 22mila. Abdulrazak Gurnah e i suoi famigliari sono tra i sopravvissuti che hanno lasciato l’isola non appena hanno potuto, finendo per ottenere asilo in Gran Bretagna.

Il protagonista di Paradise, il romanzo che lo ha fatto conoscere al grande pubblico anglofono nel 1994, è un ragazzino venduto dal padre per pagare un debito. Descrive una situazione comune un tempo. Di solito erano le famiglie bantu dell’entroterra swahili a vendere i figli, preferibilmente le femmine, in caso di necessità. Oppure, durante una carestia, scambiavano un figlio con del mais che ai Waswahili della costa non mancava mai. Forse è questo mondo che Gurnah racconta nei suoi libri, insieme alla sua personale esperienza di profugo. La fondazione del Nobel ha deciso di conferirgli il premio “per la sua intransigente e compassionevole analisi degli effetti del colonialismo e del destino del rifugiato nel divario tra culture e continenti”.

Ma quando, riferendosi all’Africa, si dice “colonialismo”, senza specificare, si intende sempre unicamente il colonialismo europeo, non altri, di cui si dimentica o si rifiuta di ammettere l’esistenza. Forse quindi alla fondazione Nobel, di Gurnah, è piaciuto che nei suoi libri descriva i traumi culturali e sociali prodotti dall’impatto con la società occidentale, non quelli patiti a causa della colonizzazione arabo-islamica che pure tante sofferenze ha inflitto e continua a infliggere in Africa, dove l’intolleranza islamica, combinata con il tribalismo, fa vittime e danni anche quando non assume i caratteri estremi del jihad.

Quanto ai rifugiati e al loro destino, l’ammirazione per l’analisi “intransigente e compassionevole” contenuta nei libri di Gurnah sarebbe condivisibile se non fosse che, come ormai fanno in tanti, lui confonde rifugiati ed emigranti illegali. “L’Europa dovrebbe accogliere gli emigranti con compassione invece che fermarli con il filo spinato – ha detto all’agenzia di stampa Reuters che lo ha intervistato il giorno in cui ha vinto il Nobel – e attualmente il governo britannico si comporta in modo davvero molto brutto con i richiedenti asilo e con chi chiede di entrare nel paese”. Non è che Gurnah non capisca la differenza. Come tutti i sostenitori dei “porti aperti”, delle frontiere aperte la conosce e semplicemente non la accetta. “Sembra così sorprendente al governo britannico – dice – che della gente che arriva da luoghi difficili voglia venire in un paese ricco? Perché si meraviglia tanto? Chi non vorrebbe venire in un paese più prospero? C’è della cattiveria nella sua risposta”.

E, seduto nel suo giardino di Canterbury, all’ombra di un acero – così lo descrive Reuters – parla in toni lirici dell’esperienza di emigrare, di lasciarsi alle spalle la famiglia e una parte della propria vita per vivere in una nuova società in cui si sentirà sempre in parte un estraneo.



Gli schiavi dei mussulmani, degli arabi, dei turchi, dei nazi maomettani
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 149&t=1336


Africa e Europa, schiavitù, colonizzazione e migrazione
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 175&t=1204
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Re: Le demenziali menzogne sull'Africa del vittimismo africa

Messaggioda Berto » ven dic 03, 2021 10:28 pm

L'Etiopia ai cittadini: «Difendete Addis Abeba»
5 Novembre 2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1636099793

Il governo etiope ha chiesto agli abitanti della capitale Addis Abeba di prepararsi a difendere la città contro i ribelli del Tigrè (Tplf). «Tutti gli abitanti devono organizzarsi quartiere per quartiere, isolato per isolato, per proteggere la pace e la sicurezza. Devono farlo coordinandosi con le forze di sicurezza», ha detto Kenea Yadeta, responsabile dell'ufficio per la pace e la sicurezza della capitale, citato da Al Jazeera. Secondo la Cnn i ribelli sarebbero già alle porte della città, mentre France24 riferisce che sarebbero a 400 chilometri. Il governo etiope ha dichiarato lo stato d'emergenza su tutto il territorio nazionale dopo che i ribelli del Tplf hanno preso il controllo di due città cruciali. Da parte loro, gli Usa hanno messo in guardia i ribelli dall'avanzare verso Addis Abeba esortandoli a sedersi a parlare con le autorità federali per raggiungere un cessate il fuoco.

Il governo etiope ha assicurato che continuerà a lottare la «guerra esistenziale» contro i ribelli del Tigrè, nonostante le pressioni internazionali per un cessate il fuoco nel primo anniversario del conflitto con lo Stato settentrionale. «Questo non è un Paese che crolla davanti alla propaganda straniera! Stiamo combattendo una guerra esistenziale!», ha scritto l'esecutivo su Facebook. Insieme ai ribelli del Tigrè ci sono quelli dell'esercito di liberazione Oromo, che hanno predetto la possibile caduta di Addis Abeba nel giro di settimane. Intanto nel Paese è arrivato l'inviato Usa per il Corno d'Africa, Jeffrey Feltman, impegnato a cercare di facilitare il dialogo tra le parti. La portavoce del premier Abiy Ahmed, Billene Seyoum, non ha risposto quando le è stato domandato se il premio Nobel incontrerà Feltman.
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