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Caxe, corti, castełi, viłe, viłai e çità, cexe e muri veneti

MessaggioInviato: mer giu 25, 2014 8:34 am
da Berto

Re: Caxe, corti, castełi, viłe, viłaj e çità e muri veneti

MessaggioInviato: mer giu 25, 2014 8:35 am
da Berto
Tecnica costruttiva del casone veneto
di Paolo Monetti e Paolo Zatta*

http://www.gastrosofia.it/paolozatta/ar ... asone.html

Introduzione

E' stato ipotizzato che, in base alla disponibilità dei materiali naturali impiegati, la tipologia costruttiva del casone veneto possa risalire a quella delle abitazioni dei villaggi neolitici dei primi uomini che popolarono il Veneto.
Pur non conoscendo l'epoca in cui per la prima volta fu realizzata una costruzione assimilabile al casone nei territori perilagunari, tuttavia, si pensa di poter ipotizzare che essa fosse fondamentalmente costituita da un tetto a due falde appoggiato sul terreno. Una struttura primitiva quindi, improvvisata nella tecnica costruttiva, ma che utilizzava gli stessi materiali poveri presenti nelle nostre aree palustri. Capanni di questa forma, anche se integrati da materiali moderni quali fogli di nylon, lamiere ondulate, cemento-amianto e vetroresina e altro ancora, si possono vedere ancor'oggi in alcune isole della Laguna veneta. Costruzioni, nella loro essenzialità molto simili ai casoni, vennero realizzate prima del IV sec. d.C. con lo scopo di mettere al riparo attrezzi o come rifugi provvisori per cacciatori e pescatori che frequentavano l'ambiente lagunare.

La difficoltà nel proporre una datazione credibile dipende dalla scarsità dei reperti ritrovati per la deteriorabilità dei materiali da costruzione, per gli agenti bioclimatici, almeno fino a quando il tetto non fu sollevato da terra con un perimetro murario. Tuttavia la documentazione pittorica risalente all' epoca pre-rinascimentale, che comunque lascia la possibilità di intuire la natura dei muri perimetrali, ci conforta nell'ipotesi temporale, tuttavia non siamo a conoscenza di altre documentazioni che possano attestare ritrovamenti di resti di palizzate formate da rami confitti nel terreno e intrecciati con rametti di salice e rinforzate da "intonaci" di fango.


Il casone come tipologia edilizia

Il casone, quindi, nato come ricovero temporaneo, costruito con materiali "poveri", come cannuccia palustre (Phragmites australis (Cav.) Trin), paglia (intesa sia come steli di frumento o di altri cereali coltivati, sia come foglie e fusticini di erbe palustri) e fango, e caratteristici di zone paludose si evolse nei secoli, dal punto di vista della tecnologia dei materiali, con l'impiego di mattoni cotti al sole, ricoperti da intonaco di calce a sostituire ramaglie e tavolame con cui si realizzavano in precedenza sia le pareti che le chiusure verticali. L'edificio originariamente era privo di camino, e il fumo prodotto dal fuoco posto al centro stanza, sfuggiva attraverso il tetto depositando sulle superfici fredde delle cannucce, giorno dopo giorno, straterelli di catrame che miglioravano l'impermeabilità e aumentavano la durabilità dei vegetali resi così, meno aggredibili dagli insetti e meno permeabili alla condensa del vapore acqueo.
Tuttavia, anche quando il fuoco fu confinato in un camino, una parte del fumo circolava comunque per la casa sia all'inizio della combustione, a cappa fredda, sia quando il vento non soffiava dalla direzione favorevole.

Malgrado le trasformazioni tecnologiche del casone, le falde del tetto, dal punto di vista tipologico, restano sostanzialmente immutate rispetto all'iconografia tramandata sia dai grandi pittori veneti del Cinquecento come Giovanni Bellini, Vittore Carpaccio, e numerosi minori, sia dalle mappe storiche e dai cartografi della Serenissima; infatti, la copertura rimane evidentemente immutata, anche se alcuni elementi del tetto, originariamente realizzati con legnami autoctoni furono, poi, sostituiti da materiali originari delle nostre Alpi e Prealpi per la loro maggiore durabilità e fibratura dritta quando disponibilità del legname sul mercato e il prezzo divennero accessibili anche alle famiglie meno abbienti.
Lo sviluppo e le conoscenze tecniche modificarono in parte l'aspetto di queste "primitive": tipiche abitazioni rurali dal nucleo originario in legno, prende forma una costruzione composita costituita da una struttura in muratura, destinata all'abitazione, e da una struttura in legno e canna palustre destinata a fienile, molto diversa dall'iconografia citata in precedenza.
Questa trasformazione non stravolge il sistema aggregativo dei vari ambienti, perché la tipologia del "casone" non era stata generata e condizionata dalla tecnica costruttiva, ma corrispondeva a esigenze abitative legate al territorio, alle tradizioni e ai rapporti consolidati di una società patriarcale.
Dal punto di vista tipologico, il casone padovano presenta una pianta quadrangolare: la cucina disposta sempre "sottovento" per favorire la fuoriuscita dei fumi in maggior sicurezza, è collegata all'ingresso disposto in posizione centrale e fulcro di tutta la distribuzione interna.
Tutti gli altri ambienti vengono disposti a spirale, dall'ingresso si accede alla cucina, alla stalla e alle camere: quest'ultime si adattavano alle esigenze del nucleo familiare e in genere andavano da un numero di una a un massimo di quattro.

A differenza dei casoni trevigiani, la cui pianta risulta sviluppata lungo una linea orizzontale che parte dalla cucina e termina nella stalla-cantina passando per le camere, la struttura a "spirale" dei casoni padovani complica la possibilità di ampliamento sia in termini distributivi, che costruttivi. Mentre, infatti, l'ampliamento del casone trevigiano avviene semplicemente aggiungendo una nuova stalla alla costruzione preesistente, trasformando la vecchia stalla-cantina in camera, nel casone padovano la pianta quadrangolare vincola la possibilità di espansione non solo della parte "abitativa", ma anche del tetto, che per funzionare, malgrado la relativa impermeabilità, deve poter avere delle falde molto inclinate. Infatti, le falde formate da mannelli di canna palustre accostati e legati all'orditura, essendo per loro natura facilmente permeabili, devono avere una pendenza accentuata per garantire lo sgrondo delle acque meteoriche senza infiltrazioni e per poter essere facilmente asciugate dall'aria, dal vento e dal sole.
Inoltre nel padovano come nel veneziano, i casoni non raggiungevano mai l'altezza di due piani (anche se il capiente sottotetto adibito a fienile in taluni casi poteva essere abitato più o meno stabilmente), perché dal punto di vista tecnico la costruzione sarebbe diventata più complessa e avrebbe dovuto avere un vano scala o una scala di facile accesso al piano superiore, oltre a pareti e solai opportunamente dimensionati per sopportare carichi concentrati e non, come il fieno, diffusi.

I casoni padovani trovano storicamente la loro ragion d'essere nella spinta di un nuovo modello di sfruttamento del territorio, conseguente alle opere di bonifica e quindi allo sviluppo dell'agricoltura, prima secondo modelli insediativi delle Congregazioni monastiche benedettine, e, poi, con l'espansione in "terraferma" della Serenissima Repubblica.

La costruzione del casone costituiva sempre un'operazione molto onerosa per le possibilità economiche della famiglia del colono, anche se l'uso dei materiali trovati in loco, consentiva un risparmio e un sicuro approvvigionamento per l'opera di manutenzione a cui doveva essere continuamente sottoposto. All'economia di denaro corrispondeva un forte dispendio di tempo di lavoro.
Il casone è una struttura estremamente "fragile" e necessita di una continua manutenzione per sostituire o riparare anche interi elementi strutturali deteriorati dal tempo, dai parassiti del legno o dagli eventi meteorici violenti. Indubbiamente la parte che richiedeva più cure era proprio il tetto in canna palustre: esso doveva essere continuamente "pettinato" e pulito sia per evitare per ristagno di umidità, o il formarsi di muffe o, addirittura di muschi, sia per l'attacco di insetti in caso di eccessiva siccità, sia, infine, per il formarsi di buchi a causa del vento.
Pur nella sua semplicità costruttiva, il casone era soggetto a norme costruttive che si tramandavano di generazione in generazione: l' orientamento era fondamentale per proteggere le piccole aperture dai venti dominanti e per beneficiare dell'azione del sole.
Un ottimo orientamento era quello ottenuto con un asse nord-est sud-ovest ma non sempre era possibile in quanto il casone veniva costruito in aree di terreno incolto e scarsamente produttivo, o lungo canali e strade di distribuzione interna al latifondo di pertinenza.
La conoscenza dei venti dominanti era fondamentale per cercare di limitare il rischio d'incendio, un fenomeno a cui il casone era frequentemente sottoposto; infatti il vento era capace di aspirare una favilla ancora accesa dal camino, favorendo, poi, la combustione delle foglie di cannuccia, dei mannelli e dell'intero tetto ligneo. Singolare perciò, risulta lo sviluppo tecnologico del camino che, pur nella semplicità costruttiva, consentiva attraverso una forma consolidata e tramandata a tutt'oggi, di evacuare i fumi in qualsiasi condizione climatica e con lapilli praticamente spenti, proprio per evitare la possibilità di incendio.


Le fasi costruttive di un casone padovano

Per quanto detto, la parte più importante e caratteristica del casone, tramandata oggi dalla memoria storica, è, senz'altro, la copertura che rappresentava la parte più delicata e impegnativa.
Sul perimetro edilizio edificato, almeno in passato, con mattoni cotti al sole, completo delle aperture e dei rispettivi architravi, viene adagiato un rettangolo di travi, tra loro immaschiate, sulle quali vengono innalzate le prime due travi a cavalletto, anch'esse preparate per i reciproci appoggi a incastro; alla loro estremità viene collegata la grande trave di colmo e, una volta legate le prime tre giunzioni, vengono incastrate tra loro e con la trave di colmo le due travi del secondo cavalletto e, infine, sollevate e inserite ai vertici dell'altro lato.

Ottenuta questa specie di cavalletto costituito dai quattro travi obliqui e dalla trave di colmo, si procede con incavi e legature a disporre l'orditura principale, la trama e l'orditura secondaria (si veda la successione di immagini riportata nei trasparenti); orditi e trama costituiti da rami dritti di specie varia, ma locale (salice e pioppo), per formare il graticciato sul quale disporre i mannelli di cannuccia. È importante rilevare che non veniva fatto uso di chiodi, e che i pochi rinvenuti nelle intelaiature sono esclusivamente moderni, di quelli prodotti a macchina.

Come si è visto la costruzione del tetto prevede una tecnica preordinata e consolidata nel tempo: delle rudimentali e appena abbozzate scanalature consentono l'incastro di tutti gli elementi dell'orditura principale che viene poi fissata con cordame di produzione domestica. Successivamente sull'intelaiatura del coperto sono legati i mannelli di canna palustre con la base legata e incastrata tra sottostretturi e stretturi.


La scelta e l'uso dei materiali

Attraverso il prelevamento di campioni dalla struttura lignea del casone si è provveduto a effettuare le sezioni canoniche indispensabili per la determinazione xilotassonomica; le osservazioni sulle caratteristiche anatomiche del legno evidenziate al microscopio, hanno consentito di riconoscere quasi sempre le specie vegetali di provenienza del campione. Solo nel caso di specie anatomicamente molto simili tra loro (es. i generi Salix L. e Populus L.) la determinazione si arresta al genere.
Nello specifico i prelievi hanno consentito di individuare le specie legnose di appartenenza dei vari campioni. Da essa si è potuto notare chiaramente la predominanza nell'uso di abete rosso (Picea abies Karst.) per la costruzione della struttura principale del tetto a contatto con la muratura, l'impiego di olmo campestre (Ulmus minor Mill.) per l'orditura del tetto, mentre per i divisori tra le varie stanze, sono utilizzate tavole accostate di pioppo (Populus cfr. nigra L. e P. alba L.). Solamente l'abete rosso non è autoctono in pianura, ma proviene dalle nostre Alpi dove occupa il piano altitudinale compreso tra i 900 e i 1800 metri s.l.m. mentre in pianura viene coltivato da circa un secolo nei giardini e per festeggiare il Natale. Pur nell'apparente semplicità costruttiva, il casone veniva realizzato con materiali che rispondevano a determinate caratteristiche meccaniche di robustezza o di flessibilità, di resistenza o di leggerezza.

L'impiego del legname nell'impalcato della copertura era in olmo, legno di forte fibratura lineare per gli elementi verticali, mentre l'abete rosso era destinato a quelli orizzontali; il pioppo, invece, era impiegato solo per le parti non strutturali di collegamento in punti riparati dagli agenti atmosferici.
L'olmo dunque era usato, grazie alle dimensioni disponibili, alla qualità del legno e alla relativa facilità di reperimento, per la struttura portante. Si tratta di un legno pesante e compatto che si adatta bene a incastri e intagli per sostenere i cavalletti principali.
La leggerezza e le buone qualità meccaniche dell'abete rosso ne consigliano l'uso per la controventatura nonché in giunzioni, intagli e chiavi: caratteristiche queste esaltate dalla discreta capacità di resistere agli attacchi di insetti xilofagi e di funghi per la presenza, anche se non eccessiva, di canali resiniferi.
Infine il pioppo, specie caratteristica della Pianura padana, era impiegato in opere di rifinitura interna, purché lontano e al riparo dall'umidità che lo avrebbe deformato e deteriorato rapidamente. La rapida crescita ne favoriva la leggerezza e l'elasticità, per cui questa pianta veniva impiegata per la produzione di tavolati e travi rompitratta.

In sintesi appare chiara l'esistenza di una conoscenza sperimentale tramandata nei secoli dai "casonieri", cioè da quei costruttori specializzati che provvedevano anche alla continua manutenzione dei casoni.

Malgrado le poche comodità offerte a chi abitava il casone, la vita insalubre che vi si conduceva, esposta a ogni tipo di rischio, incendio, crollo, perdita della copertura, precarietà dell'isolamento e tanta umidità, alla luce di queste osservazioni deve essere considerato come un elemento caratteristico di un territorio e di una civiltà rurale. I limiti culturali ed economici di queste popolazioni, tuttavia, non hanno impedito loro di realizzare per sé e la propria famiglia un tetto sulla testa semplice e povero, ma pensato sfruttando al meglio quei materiali facilmente disponibili, poi evoluto e "codificato" da norme consolidate dalla tradizione ma, ormai, a rischio di definitivo oblio.

Re: Caxe, corti, castełi, viłe, viłai e çità e muri veneti

MessaggioInviato: mer giu 25, 2014 8:36 am
da Berto
Maxo, Maxon, Maxio, Maxi, Maxer, Maxera, Maxerà, mansio, maison, demain/domain (demanio/dominio), maniero, Manero, Masaria, transumansa, transumare/transumanare

viewtopic.php?f=45&t=971

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Re: Caxe, corti, castełi, viłe, viłai e çità e muri veneti

MessaggioInviato: mer giu 25, 2014 8:36 am
da Berto

Re: Caxe, corti, castełi, viłe, viłai e çità, cexe e muri ve

MessaggioInviato: mer giu 25, 2014 8:38 am
da Berto
Viłaj

El vilàjo del Monte Corgnon a Louxiana
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... dzdW8/edit
Immagine

Castełàri del veneto e istro-furlani
viewtopic.php?f=43&t=827


Bostel-viłajo reto-veneto a Rotso
http://picasaweb.google.it/pilpotis/Bos ... tegoARotxo

Carte de li abità omani ente la Tera Veneta a partir da li Ani del Bronxo e dapò ente coeli del Fero
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... dTTE0/edit
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Łe raixe de łe çità venete
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... NBems/edit

Kaimas, dorf, village, vila, borgo, contrà, selo, sat, landsby, küla, vesnice, dedina, ...
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... VDZVU/edit
Immagine

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... -house.jpg

Vilaj e çità de ara veneta: palafite, teremare, vilaj arxenà, castelàri e altro
http://picasaweb.google.it/pilpotis/Vil ... lariEAltro

Viłajo palifato sol Lago de Costansa o Bodensee
http://picasaweb.google.it/pilpotis/Vil ... DiCostanza

Lagheto pristorego de Arquà Petrarca (Pd)
https://picasaweb.google.com/pilpotis/L ... PetrarcaPd

Siti pristorego-arkeolojeghi a Viçensa
https://picasaweb.google.com/pilpotis/S ... hiAVicensa

Siti età del bronxo e del fero
https://picasaweb.google.com/pilpotis/S ... xoEDelFero

Monte Tondo Vilaga-Barbaran -VI
https://picasaweb.google.com/pilpotis/M ... BarbaranVI

Ara veronexe, Età del Bronxo
https://picasaweb.google.com/pilpotis/A ... aDelBronxo

I casteƚàri de ƚa Lesinia
https://picasaweb.google.com/pilpotis/I ... eLaLesinia

Somexe Teremare:
https://picasaweb.google.com/pilpotis/SomexeTeramare

Yurta (ger en mongolo, yam en vecio turçego e yaranga en ciukci)
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... lfaU0/edit

Re: Caxe, corti, castełi, viłe, viłai e çità, cexe e muri ve

MessaggioInviato: mer giu 25, 2014 8:39 am
da Berto

Re: Caxe, corti, castełi, viłe, viłai e çità, cexe e muri ve

MessaggioInviato: mer giu 25, 2014 8:39 am
da Berto
Viła/villa


Viła/villa romana
http://it.wikipedia.org/wiki/Villa_romana

La villa in età romana era essenzialmente una casa di campagna. Sviluppatasi in Italia in particolare a partire dall'età tardo-repubblicana, sorgeva come residenza padronale al centro di un complesso di edifici e di terreni destinati alla produzione agricola oppure come luogo per il riposo (otium) dalle attività e dagli affari (negotium) praticati in città.

Secondo Plinio il Vecchio e Vitruvio vi erano due tipi di villa: la villa urbana, che era una residenza di campagna che poteva essere facilmente raggiunta da Roma (o da un'altra città) per una notte o due, e la villa rustica, la residenza con funzioni di fattoria occupata in modo permanente dai servi o da schiavi che ci lavoravano per i padroni.

La villa rustica in età romana

Schema di villa rustica
La villa rustica in origine era sostanzialmente il nucleo di un'azienda agraria a conduzione familiare, dove veniva prodotto ciò che era necessario al sostentamento. Col passare degli anni e l'accrescersi della potenza di Roma, che a ogni conquista trasferiva in Italia centinaia di migliaia di schiavi da sfruttare nei più svariati lavori, le ville rustiche si fecero sempre più grandi e sontuose (200-250 ettari sembra comunque la misura media) e la produzione agricola diventò un'attività il cui scopo non era più semplicemente quello di sfamare il padrone, ma anche e soprattutto di vendere i prodotti in eccesso anche su mercati lontani.

In particolare, la villa come azienda agricola fu una forma presente soprattutto in Italia centrale, dalla Campania all'Etruria (celebre la Villa Settefinestre ad Ansedonia) ed è stata considerata da alcuni studiosi come la forma produttiva più originale, efficiente e razionale che l'economia romana abbia prodotto, la più vicina a sfiorare un modo di produzione propriamente capitalistico. Le produzioni erano differenziate: piantagioni (soprattutto ulivi e vite), altre coltivazioni intensive, orti, pascoli, impianti di trasformazione, depositi, mezzi di trasporto. Si trattava, insomma, di una vera fabbrica rurale organizzata.

Il lavoro era affidato a una massa di schiavi organizzati con disciplina militare, inquadrati da sorveglianti, schiavi anch'essi, sotto la direzione di un vicario del padrone, il villicus.

Una organizzazione così complessa necessitava di solide competenze, che i romani non esitarono a tradurre in famosi testi di agronomia, come: il De agri cultura di Marco Porcio Catone, il De re rustica di Marco Terenzio Varrone e i libri di Columella.

La villa era divisa in diversi settori:

La Pars Dominica era la zona residenziale, destinata al dominus e alla sua famiglia;
La Pars Rustica era la zona destinata alla servitù, ai lavoratori dell'azienda;
La Pars Fructuaria era destinata alla lavorazione dei prodotti.
Le Pars Rustica e Fructuaria assieme formavano la Pars Massaricia.

La progressiva riduzione degli schiavi, dovuta al concludersi della fase espansionistica dell'Impero romano (II secolo d.C.), costrinse l'aristocrazia fondiaria a cedere una parte sempre più vasta della terra a coloni. Questi ultimi, a differenza degli schiavi, erano liberi, ma legati al latifondista secondo la forma della commendatio, ovvero in cambio della protezione garantita dal padrone avevano l'obbligo di prestare servizi (corvée) e pagare canoni. Nelle ville vigeva la responsabilità collettiva del pagamento delle tasse.

La villa urbana in età romana

Schema di villa urbana
La villa urbana può essere considerata come la sede del prestigio e del benessere dei romani più ricchi, il luogo delle relazioni sociali. Col tempo le ville urbane andarono ampliandosi, diventando pian piano simili alle residenze cittadine. Dotate di ogni comodità, spesso erano più grandi delle domus di città ed erano autosussistenti. Potevano avere biblioteche, sale di lettura, stanze per il bagno caldo, freddo e tiepido, una piscina scoperta ed una palestra. Ampi porticati permettevano passeggiate all'aperto. Erano circondate da parchi e giardini molto curati.
Una delle ville romane più maestose che si possono tuttora visitare è Villa Adriana, a Tivoli. Ma si possono ricordare anche le ville di Baia e Posillipo, la Villa dei Misteri a Pompei, la Domus Aurea di Nerone a Roma, la villa del Casale di Piazza Armerina.

La villa in epoca medioevale
Dopo le invasioni barbariche, i latifondisti usavano i barbari come milizia per tenere soggiogati i coloni affinché non si ribellassero.
Dopo l'invasione longobarda le ville rimasero in mano ai latifondisti latini, ma erano particolarmente spremute fiscalmente. Da questo periodo presero a chiamarsi curtes. Ogni villa o curtis poteva avere un'estensione tra i 100 ed i 10.000 ettari (in quest'ultimo caso se include area boschiva), anche suddivisi in più appezzamenti sparsi (anche fino a 40). Poteva essere laica oppure ecclesiastica.

La Pars rustica era divisa in appezzamenti chiamati manso affidati al singolo colono. I mansi potevano avere estensione tra 5 e 30 ettari. Esistevano anche mansi liberi da sudditanza, ed erano chiamati mansi allodiali, che potevano anche essere uniti in villaggi. A partire dall'anno mille la Pars Dominica cominciò ad essere venduta a borghesi imprenditori, con redditi ottenuti dai diritti bannali.


Viła/villa mexoeval
http://it.wikipedia.org/wiki/Villa_(geografia)
Con villa in latino s'indicava originariamente una dimora di campagna o una fattoria con podere. Con il tempo in italiano antico il termine ha acquistato anche il nuovo significato di piccolo centro abitato divenendo, in pratica, un equivalente di vicus, quindi borgata o villaggio di campagna.
Villaggio ha una chiara derivazione da villa così come villano o villico, che identificano l'abitante delle ville, anche nella definizione più specifica di "agricoltore" o "campagnolo".

Storia
Villa di Verzegnis (UD)
Dal medioevo con il termine ville venivano soventemente identificati, in particolare nei documenti ecclesiastici, i villaggi soggetti ad una pieve.
Nelle lingue romanze occidentali (francese e spagnolo) il termine è rimasto per indicare un centro abitato di grandi dimensioni, una cittadina o una città.
Molte ville erano dotate di cappelle o chiese, in taluni casi con un proprio curato, che faceva comunque riferimento al pievano ed alla chiesa matrice della pieve, dove risiedeva la fonte battesimale e si svolgevano le funzioni religiose più solenni ed importanti. La gerarchia fra ville e pievi è spesso citata nei documenti ecclesiastici in cui i pievani fornivano ai curati delle ville le istruzioni per la partecipazione a tali funzioni religiose, mentre in alcune festività di particolare rilievo (Festa del patrono, Pentecoste, ecc) gli abitanti delle ville curate erano tenuti a recarsi presso la pieve per la comune funzione religiosa. Nel corso dei secoli tali ville sono cresciute di importanza sino ad assumere la titolarità di pieve o, più avanti, di parrocchia autonoma. Al contrario diverse pievi sono oggi frazioni di una loro villa divenuta comune. Si cita come esempio il comune di Camino al Tagliamento e la sua attuale frazione Pieve di Rosa.

Letteratura
Anche in letteratura il termine villa è sovente utilizzato come sinonimo di villaggio. Ad esempio nel Passero solitario di Leopardi si legge "odi spesso un tonar di ferree canne, che rimbomba di villa in villa".

Un numero civico nella villa di Cadè (RE)
Dalla toponomastica si hanno numerose derivazioni, come ad esempio Villa Santina, Villa di Verzegnis, Villafranca e le tantissime Villanova, Francavilla o Villafranca. Al giorno d'oggi il termine villa è utilizzato raramente con il significato qui esposto, venendo sostituito da frazione, borgo o villaggio.

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Caxałi, masarie e borghi xerman-veneti e veneti
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Re: Caxe, corti, castełi, viłe, viłai e çità, cexe e muri ve

MessaggioInviato: mer giu 25, 2014 8:40 am
da Berto
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Re: Caxe, corti, castełi, viłe, viłai e çità, cexe e muri ve

MessaggioInviato: mer giu 25, 2014 9:13 am
da Berto
Corti
viewtopic.php?f=44&t=85
Corti xerman-venete, venete e mantoane
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... 9JS28/edit
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Baxełeghe e pałaçi

Baxełega (basilica), Ziqqurat, Cexa, Tenpio, Palaso de la Raxon o de l’arengo e sala
viewtopic.php?f=44&t=76
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... xibkE/edit
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Re: Caxe, corti, castełi, viłe, viłai e çità, cexe e muri ve

MessaggioInviato: lun dic 01, 2014 8:41 pm
da Berto
Baxełega (basilica), pałàso de ła raxon o de l’arengo e sała
viewtopic.php?f=44&t=76
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... xibkE/edit
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Mexoevo - ani o secołi veneto-xermani (suxo 900 ani) e naseda o sorxensa dei comouni
viewforum.php?f=136

Comun, Arengo, Mexoevo, Istitusion
viewtopic.php?f=136&t=273

Istitusion Venete
http://www.filarveneto.eu/iv

Istitusion Venete - Storia
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... 1jV2s/edit
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