L’esplosione demografica nel neolitico di Armando Bocconehttp://www.antrocom.it/index.php?name=M ... =3375#3375 Questo lavoro affronta il fenomeno dell’esplosione demografica che si ebbe a partire da 10.000 anni fa, facendo soprattutto delle ipotesi sulle cause che la determinarono e sull’obiettivo che si volle raggiungere.
Alcune informazioni preliminari (e approssimative)Il periodo in cui le popolazioni umane vivevano di caccia e raccolta di vegetali selvatici viene denominato Paleolitico, cioè l’età della pietra grezza, in riferimento al materiale (oltre che al suo stato di lavorazione) di cui erano fatti la maggior parte degli utensili creati e utilizzati dall’uomo.
Questo periodo termina circa 12-10.000 anni fa.
Il Paleolitico ricade nell’era geologica del Pleistocene (che termina pure essa circa 12-10.000 anni fa). Dopo il Paleolitico si ha il Neolitico, cioè l’età della pietra levigata, in riferimento alla levigatura a cui erano soggette le pietre che servivano a fare asce e lame per tagliare gli alberi e per fare altro.
Il Neolitico ricade nell’era geologica dell’Olocene (che è l’era, iniziata circa 12.000 anni fa, in cui viviamo) ed è il periodo in cui le popolazioni umane iniziano a domesticare le piante e gli animali e, quindi, a praticare l’agricoltura e l’allevamento. Alle volte viene utilizzato il Mesolitico come periodo di cesura (e della durata di alcuni millenni) fra il Paleolitico e il Neolitico.
La situazione alla fine del Pleistocene Alla fine del Pleistocene (era geologica terminata circa 15-10.000 anni fa) le popolazioni di Homo sapiens sapiens aveva ormai occupato tutta la terra, quindi anche le Americhe e l’Oceania, non raggiunti in precedenza dalle popolazioni di Homo erectus.
E’ bene esporre preliminarmente la situazione ambientale e climatica alla fine del pleistocene prima di affrontare il tema dell’esplosione demografica che si ebbe nel Neolitico, cioè nell’era geologica dell’Olocene (che è l’attuale periodo geologico iniziato circa 12 mila anni fa).
“Gran parte delle zone temperate d’Europa, Asia e America era soggetta a un clima molto aspro, caratterizzato dalla presenza di tundre e steppe, mentre le regioni più calde – subtropicali, tropicali ed equatoriali – avevano una temperatura da 5 a 8° C inferiore all’odierna, ma una minore piovosità, per cui presentavano, rispetto a oggi, meno foreste e più savane.
Nei limiti delle possibilità offertegli dall’ambiente, l’uomo viveva essenzialmente di caccia e di pesca, ma quasi certamente doveva integrare la sua alimentazione con i prodotti della raccolta, anche se i dati concreti di cui disponiamo al riguardo sono scarsi.
Così come la fauna e la flora, anche l’uomo era ovunque sottoposto alle leggi dell’equilibrio biologico: diventato un predatore già a partire dal paleolitico inferiore, esso non aveva nulla da temere da parte degli altri predatori, grazie alla padronanza del fuoco e all’invenzione delle armi da lancio, e non contava più, quindi, molti nemici naturali. I gruppi umani rimanevano comunque troppo poco numerosi per spezzare l’equilibrio biologico degli ambienti fisici in cui vivevano (biotopi).
Per quanto riguarda l’organizzazione sociale, poiché la caccia ai grandi animali, che l’uomo praticava di preferenza, richiede la collaborazione di un numero di cacciatori di gran lunga superiori al ristretto nucleo familiare, è probabile che l’unità sociale di base fosse composta da più famiglie, di cui non siamo in grado di stabilire il numero” (1)
“ I cambiamenti climatici, profondi e relativamente rapidi, della fine del Pleistocene e dell’inizio dell’Olocene, provocarono un po’ ovunque importanti modificazioni tanto nella geomorfologia quanto nella flora e nella fauna, ed ebbero enormi ripercussioni sul modo di vita degli umani. Lo scioglimento relativamente rapido della calotta glaciale boreale e degli enormi ghiacciai che ricoprivano l’alta montagna diede luogo a un notevole innalzamento del livello dei mari, ma non solo: vaste distese di terre basse furono sommerse e in alcune zone i movimenti di assestamento della crosta terrestre innalzarono notevolmente gli antichi litorali. L’intero volto del pianeta ne fu profondamente modificato.
In Eurasia e nel Nord America, le zone periglaciali dell’ultima glaciazione godevano di un clima temperato, mentre le steppe e le tundre che in queste regioni avevano lasciato il posto alle foreste, occupavano adesso le regioni più settentrionali, non più ricoperte dalla calotta artica. Nelle zone meridionali, la temperatura media si era innalzata da 5 a 8° C e la maggiore piovosità aveva favorito l’estendersi della foresta a scapito della savana. Anche la fauna aveva subito cambiamenti; alcune specie che nel corso delle epoche precedenti avevano avuto un ruolo preponderante nella sussistenza dell’uomo, come il mammut, il rinoceronte lanoso, l’orso delle caverne, in via di estinzione già verso la fine del pleistocene, scomparvero del tutto, mentre altre specie, adatte come le renne ad un ambiente periglaciale, migrarono più a nord, dove ritrovarono le tundre. L’estendersi delle foreste in vaste aree delle zone temperate, subtropicali, tropicali, ed equatoriali aveva provocato notevoli cambiamenti nella fauna di queste regioni. Soltanto nelle zone in cui diverse circostanzi naturali – natura del terreno, altezza, piogge meno abbondanti – avevano favorito la steppa, la prateria o la savana, la fauna non differiva affatto da quella del pleistocene finale. Si aggiunga che la desertificazione di immense regioni dell’Africa e dell’Asia sarebbe iniziata soltanto molti secoli più tardi.
Colpite da questi profondi cambiamenti verificatisi nel loro ambiente, la maggior parte delle comunità umane si trovarono a dover affrontare una situazione critica. Alcune di esse, restii nell’adattarsi alle nuove circostanze, avevano seguito la loro selvaggina abituale – i branchi di renne – nella migrazione verso nord, e si stabilirono nelle regioni dell’Europa del nord, dell’Asia e dell’America lasciate libere dalla calotta glaciale, dove proseguirono ancora per molto tempo nel loro tradizionale modo di vita di predatori, basato sulla pesca e sulla caccia di renne, agli alci e ad altre specie della fauna artica...............Gli Altri gruppi umani, in particolare quelle che abitavano le regioni ora ricoperte dalle foreste nelle zone temperate conobbero un periodo di crisi (che si riflette nelle culture del Paleolitico finale di cui abbiamo accennato) ma pervennero in seguito ad adattarsi piuttosto rapidamente al loro nuovo ambiente. Assistiamo innanzitutto ad un grande cambiamento nelle fonti di sussistenza di tali comunità: la caccia svolge ancora un ruolo importante nell’approvvigionamento, ma non ne costituisce più la parte essenziale. In seguito alla scomparsa o alla migrazione dei grandi branchi di selvaggina delle steppe e delle tundre, gli uomini avevano iniziato a cacciare nelle foreste dove le prede erano costituite da animali che vivevano in gruppi meno numerosi, o addirittura da esemplari isolati (cervi, caprioli, uri, cinghiali). Soltanto nelle regioni che abbiamo sopra ricordato, dove dominavano le savane e le praterie, essi potevano continuare la caccia alle specie che vivevano in grandi mandrie, come i bisonti e le gazzelle. Nelle foreste era anche più difficile bloccare le prede, fu quindi naturale che i cacciatori adottassero sempre più frequentemente, quando non esclusivamente, l’arco e la freccia, la cui invenzione risale al paleolitico superiore. Tale ipotesi è confermata dalla presenza, nelle industrie litiche di queste comunità, di una grande quantità di microliti usate come armature di frecce. Queste stesse condizioni di caccia spiegano perché, in diverse regioni, piuttosto distante le une dalle altre, l’uomo arrivò progressivamente ad addomesticare il lupo e l’antenato del cane divenne per il cacciatore un ausilio prezioso, in grado di stanare le prede nella foresta e nella boscaglia.........La caccia nelle foreste era senz’altro più difficile e meno fruttuosa rispetto alla caccia alle renne praticata durante l’epoca precedente e fu per questo motivo che divenne sempre più frequente la caccia alla piccola selvaggina, come gli uccelli acquatici. La minore resa della caccia ebbe conseguenze anche sul piano sociale; le comunità furono composte da un numero minore di famiglie rispetto al passato poiché la caccia nelle foreste richiedeva la partecipazione di un numero più limitato di cacciatori e le prede uccise non erano sufficienti ad assicurare la sussistenza di un gruppo numeroso. ............Alcune comunità giunsero persino a stabilirsi lungo le rive di fiumi e laghi, altre lungo le zone costiere dove vivevano essenzialmente di pesca, della raccolta di conchiglie e della caccia alle foche. I cambiamenti subiti dall’ambiente, infine, fornirono nuove fonti di sussistenza alle quali l’uomo non tardò a ricorrere, saccheggiando i nidi degli uccelli, raccogliendo lumache e altri molluschi e variando la sua dieta con l’apporto di frutta, di un gran numero di piante commestibili e di radici estratte dal terreno.” (2)
L’adozione della coltivazione delle piante e dell’allevamento del bestiameL’esplosione demografica che si è ebbe nel neolitico fu una conseguenza dall’adozione della coltivazione delle piante e dell’allevamento al posto della caccia e della raccolta di vegetali spontanei. A parità di territorio la coltivazione e l’allevamento furono in grado di sostenere una popolazione umana notevolmente superiore a quella che sarebbe stata possibile sostenere con la caccia e la raccolta. Ma per quale motivo vennero adottati l’agricoltura e l’allevamento? Quale obiettivo si volle raggiungere?
Saranno presentate adesso alcune ipotesi fatte al riguardo, per presentare alla fine una ipotesi alternativa.
Ipotesi sul passaggio dalla caccia e raccolta di vegetali selvatici alla coltivazione delle piante e all’allevamentoDopo avere esposto per sommi capi la situazione ambientale e umana alla fine del pleistocene, si cercherà di esporre le ipotesi finora fatte sul passaggio dal Paleolitico al Neolitico, quindi del passaggio dalla caccia e raccolta di vegetali spontanei alla coltivazione delle piante e all’allevamento.
L’adozione dell’agricoltura e dell’allevamento come conseguenza degli sconvolgimenti climatico-ambientaliAlcune spiegazioni danno molta importanza ai cambiamenti climatici ed ecologici dovuti alla fine del Pleistocene, che corrisponde alla fine della glaciazione di Würm (che inizia circa 100 mila anni fa e termina circa 15-10 mila anni fa). Viene detto per es. che i grandi erbivori, in conseguenza dei cambiamenti climatici ed ecologici, si spostarono verso nord. Questo motivo viene visto come molto importante, se non fondamentale, per il passaggio dalla caccia e dalla raccolta di vegetali spontanei alla coltivazione delle piante e all’allevamento. Ma le popolazioni umane allora erano nomadi e/o seminomadi per cui avrebbero potuto seguire i grandi erbivori nel loro spostamento verso nord, senza cambiare stile di vita. Alcune popolazioni, del resto, fecero questa scelta, seguendo la loro abituale selvaggina nello spostamento verso il nord, nelle zone che vennero occupate dalle tundre dopo lo scioglimento dei ghiacci in buona parte dell’emisfero boreale. Inoltre le variazioni climatiche ed ecologiche avvennero in tempi abbastanza lunghi (almeno in riferimento alla vita umana).
Senza volere sminuire il contesto naturale in cui le popolazioni umane vivevano, si ritiene valida un’altra spiegazione, che sarà esposta alla fine della trattazione. Nella spiegazione che verrà data gli sconvolgimenti climatici-ambientali avvenuti alla fine del pleistocene sono da vedersi come concausa (ma con una motivazione ben particolare).
L’agricoltura e l’allevamento come risposta all’incremento demograficoUn’altra spiegazione “tradizionale” sul passaggio dalla caccia e raccolta di vegetali spontanei alla coltivazione delle piante e all’allevamento degli animali, che si aggiunge alla precedente che si basa, come abbiamo visto, sui cambiamenti climatici ed ecologici, è che l’agricoltura e l’allevamento furono adottati per problemi demografici.
“...conviene chiedersi perché si è sviluppata l’agricoltura e anche perché si è sviluppata proprio in certi luoghi e in un determinato momento della storia.
E’ ragionevole pensare che in alcune zone si sia venuta a determinare una densità più elevata di abitanti, che rese difficile sostenere la popolazione locale con la vecchia economia di caccia e raccolta. Si deve essere creato insomma un problema di sovrappopolazione. Probabilmente ciò è andato di pari passo con un cambiamento delle condizioni ambientali che ha interessato in quel periodo l’intero globo terrestre. Il clima è diventato decisamente più freddo, la flora e la fauna sono mutate. In America, per esempio, intorno a 11.000 anni fa si sono estinti i mammuth, per la scomparsa delle loro fonti di cibo vegetale oppure perché sterminati dai cacciatori. Nelle pianure dell’America settentrionali sono stati sostituiti dai bisonti, che è diventato il nuovo cibo, ma non dappertutto l’avvicendamento è stato rapido e indolore; in altri luoghi le popolazioni umane devono essersi trovate in grandi difficoltà.
Questi due fattori possono spiegare perché l’agricoltura ha avuto inizio più o meno in una stessa epoca in punti diversi del mondo, probabilmente nelle zone le cui condizioni favorirono una densità di popolazione più elevata, perché disponevano di un ambiente più ricco, e soprattutto di piante e animali facili da coltivare e allevare.” (3)
Le due forme di procacciamento di quanto necessario alla sopravvivenza, si dice, non bastavano più a sostenere le popolazioni umane, stante l’incremento demografico.
Ma intorno ai 15-10 mila anni fa è stato ipotizzato che la popolazione umana nel mondo ammontasse a circa 5 milioni di individui
per cui, considerando che allora le popolazioni umane insistevano su tutto il pianeta (anche quindi sul continente americano e sull’Oceania, territori non raggiunti dalle popolazioni di Homo erectus), è pur sempre molto rada. Per quantificare il problema si pensi che in Italia avrebbero insistito 10 mila individui su 300 mila Km2 (il valore viene fuori dalla seguente proporzione: 5 milioni [abitanti della terra circa 10-15.000 anni fa] : 150 milioni [km2 delle terre emerse] = X [abitanti in Italia]: 300 mila [km2 dell’Italia]. E’ anche vero che solamente parte delle terre emerse è abitabile. Anche considerando che solamente due terzi delle terre emerse siano abitabili ciò significa che è come se in Italia avessero insistito non 10 mila ma 15 mila persone. Questo calcolo però è solamente teorico ed è stato fatto senza tenere conto delle differenze fra le varie parti del mondo e non si basa su dati archeologici.
“Ma come si fa a valutare la densità della popolazione in base a dati archeologici? In linea di massima si conta il numero di insediamenti, di siti archeologici individuati, e si valuta il numero di individui che vi abitavano in base al numero di capanne e alle loro dimensioni. Aiuta molto l’esame delle situazioni etnografiche simili. Moltiplicando il numero dei siti per il numero delle persone per sito ci si può fare un’idea della densità. Naturalmente vi sono varie sorgenti di errore possibili, fra le quali il fatto che ovviamente non tutti i luoghi abitati che esistevano ci sono noti e che comunque dobbiamo limitarci a basare i nostri calcoli su esempi che sono stati ben studiati, su aree esaminate così minuziosamente da poter pensare che tutto quello che c’era sia stato trovato, mentre nella maggioranza delle aree una ricerca così completa non é possibile o non è mai stata compiuta.
I mesoliti (abitanti del periodo mesolitico, che va da 10.000 a 6.000 anni fa, [mia nota]) in Inghilterra andavano a caccia di cervi; le ossa di cervi ritrovate vicino agli accampamenti dove venivano mangiati sono state contate e in base a questo è stato possibile stimare quella che doveva essere la popolazione mesolitica, cioè preagricola, dell’Inghilterra intera (Gran Bretagna [mia nota]). Era tra le 5.000 e le 10.000 persone, un numero ridottissimo se si pensa che oggi gli abitanti sono quasi 10.000 volte di più. Che si tratti di un numero ragionevole lo dimostra però un parallelo storico: è stato possibile contare , benché molto approssimativamente, una popolazione che viveva, ancora nel 1800, di caccia e raccolta.
In Tasmania, quando è stata occupata dai coloni bianchi, vivevano in tutto 2.000 o 3.000 indigeni, su un’area che era circa un terzo di quello dell’Inghilterra e presentava condizioni climatiche simili” (4)
Anche ricerche comparate fra le attuali popolazioni di scimmie (soprattutto babuini) e le popolazioni umane preagricole portano a risultati simili.
É stato ipotizzato che la consistenza dei gruppi umani nelle società preagricole fosse di 50-60 individui, che ogni individuo disponesse di 8-16 chilometri quadrati e che l’areale di pertinenza di tali gruppi fosse fra i 400 e i 960 chilometri quadrati per ogni gruppo.(16)
Con popolazioni in cui gli uomini erano specializzati nella caccia e le donne e i bambini nella raccolta, non tutto il territorio di una vasta area geografica è utilizzabile.
Bisogna escludere zone desertiche, zone montuose e, in ogni caso, altre zone che, in un modo o nell’altro, non sono utilizzabili. Applicando i dati suddetti all’Italia e ipotizzando che per l’Italia un terzo della superficie non sia utilizzabile verrebbe fuori, come popolazione insistente sulla penisola nell’epoca preagricola, il seguente valore: 200.000 (Km2 di superficie utilizzabile in Italia) : 680 (superficie media [in Km2 ] fra 400 e 960) x 55 (consistenza gruppo [media fra 50 e 60]) = circa 16.000 individui. Come si vede il valore che viene fuori da questo ulteriore calcolo è quasi uguale al risultato del calcolo fatto in precedenza in riferimento alla stessa Italia.
“Il problema delle “cause” del passaggio dalla caccia-raccolta alla produzione di cibo non è tale da potersi risolvere univocamente: cause ed effetti, fattori indipendenti e dipendenti si intrecciano e sono malamente misurabili data l’insufficienza “statistica” dei dati e data la loro griglia spazio-temporale ancora troppo larga.
In linea generale sembra errata la spiegazione per pressione demografica: sia nella fase di raccolta intensiva e caccia specializzata, sia nella fase di produzione incipiente, la popolazione è ancora talmente rada che le risorse disponibili sono comunque sufficienti.
Quanto ai mutamenti climatici (e conseguentemente ecologici) cui abbiamo già accennato, essi costituiscono verosimilmente lo scenario del mutamento tecnologico ed economico, ma non la sua causa”. (17)
Come si vede chiaramente non c’era nessun problema demografico e quindi l’adozione della coltivazione delle piante e dell’allevamento degli animali al posto della caccia e della raccolta di vegetali spontanei avvenne per altri motivi.
L’adozione dell’agricoltura e dell’allevamento per migliorare le condizioni di vita dell’uomoUn’altra ipotesi che è stata fatta, per spiegare il passaggio dalla caccia e raccolta di vegetali spontanei all’agricoltura e all’allevamento, è che gli uomini, in questo modo, poterono migliorare le loro condizioni di vita.
Ma come erano le condizioni di vita delle popolazioni che si procacciavano da vivere con la caccia, la pesca e con la raccolta di frutti, semi e radici di piante selvatiche?
“In genere si cita a questo proposito una frase di Hobbes, secondo cui l’esistenza di questi primitivi era `disgustosa, brutale e breve ´ . Dovevano lavorare davvero sodo, alla ricerca quotidiana di che sfamarsi, sempre sull’orlo della morte per inedia, privi di comodità così scontate come letti e divani, ed erano condannati a morire giovani.
In realtà l’equazione `agricoltura = meno fatica, più comodità, vita più lunga ´ vale solamente per noi ricchi cittadini del Primo Mondo, a cui i prodotti della terra (coltivati da altri al nostro posto) arrivano in tavola da chissà dove.
La grande maggioranza dei contadini e dei pastori di oggi, cioè la grande maggioranza della popolazione mondiale, non se la passa poi così bene. Secondo alcuni studi sull’occupazione del tempo, un contadino lavora in media più ore di un cacciatore, e non viceversa!
Le testimonianze archeologiche ci mostrano che i primi agricoltori erano spesso più gracili e malnutriti dei loro colleghi cacciatori - raccoglitori, erano soggetti a malattie più gravi e morivano in media prima.” (5)
Con le grandi civiltà dell’antico Medio Oriente ormai la base economica è costituita saldamente dall’agricoltura e dall’allevamento.
Di queste grandi civiltà si è avuto fino a non molti anni fa l’idea che esse fossero costituite da bellissimi palazzi con una lussuosa vita di corte, di splendidi templi, di gioielli d’oro e pietre preziose, di stupende opere d’arte, ecc.
Questa però è stata una idea molto parziale delle antiche civiltà del Medio Oriente, perché esse consistettero in “un mondo che fu nella stragrande maggioranza di villaggi e di economia agro-pastorale.....un mondo che fu analfabeta al 90% (se non al 99%).....un mondo che fu alle prese con un endemica penuria (di cibo, di risorse, di lavoro, di uomini)....” (6)
La situazione era invece completamente diversa quando l’uomo nel paleolitico superiore praticava la caccia, integrata dalla raccolta di frutti, semi e radici di piante selvatiche.
“Le testimonianze lasciate dai nostri antenati che abitavano l’Europa 15.000-20.000 anni fa suggeriscono una elevata qualità di vita. Attraverso la caccia e la pesca e la raccolta di piante, frutta, radici, gli uomini si procuravano il necessario per il sostentamento di comunità di piccole dimensioni e vivevano bene: lo testimoniano strumenti perfezionati, oggetti ornamentali e opere d'arte che ci lasciano ammirati ancora oggi." (7) ... e dipinsero, fra l’altro , la grotta di Lascaux in Dordogna, Francia, quella grotta che è stata definita la Cappella Sistina della preistoria.
Ugo Plez nel suo saggio “La preistoria che vive” dice che il 99% della vita umana si è svolta nella preistoria per cui i nostri comportamenti e le nostre idee sono stati elaborati in quel periodo. “La Preistoria è la vera storia dell’uomo. Essa abbraccia un arco di tempo che oltrepassa di gran lunga il milione di anni, di fronte a cui i 5.000 anni della storia ufficiale sono una ben misera cosa.
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Tutti i nostri istinti, i nostri atteggiamenti, i nostri problemi psicologici, sociali, culturali, le nostre razze, le nostre lingue, i nostri atteggiamenti sessuali, le nostre concezioni artistiche, estetiche, filosofiche e religiose si sono formate in questo periodo.”(8)
“Fin dalle elementari, quando noi siamo andati a scuola, ci hanno spiegato che la storia dell’umanità si suddivide in quattro età: età della pietra grezza (Paleolitico [ mia nota]), età della pietra levigata (Neolitico [mia nota]), età del bronzo, età del ferro. Una analoga suddivisione del tempo la si trova presso le leggende classiche e le leggende di tanti altri popoli; si inizia con l’età dell’oro, che è seguita da quella dell’argento, poi del bronzo, poi del ferro.
Oro, argento, bronzo, ferro: questa è la sequenza delle innovazioni tecniche e coincide perfettamente con il ricordo che gli uomini creatori delle leggende hanno conservato.
Non è certo un caso, questa coincidenza.
Perché l’età che noi chiamiamo della pietra nelle antiche leggende corrisponde all’età dell’oro e dell’argento?
Noi usiamo un termine tecnico, le leggende ne adoperano uno simbolico.
All’età dell’oro gli antichi attribuivano un periodo senza guerra e senza dolore, l’uomo viveva secondo ciò che la natura offriva, in armonia con essa e mai contro di essa, non esistevano ricchi e poveri e l’uomo era una creatura tra le altre, e con esse divideva i frutti e le prede nei boschi.
Questo periodo corrisponde a ciò che noi conosciamo del “Paleolitico”, ossia della prima età della pietra (la seconda è il Neolitico [mia nota]), di cui il nuovo Homo sapiens fu il protagonista. Per molto tempo i nostri antenati furono consumatori di cibo, ma non produttori di esso, conducevano una vita nomade in cui non esisteva nemmeno il concetto di proprietà del suolo, non avrebbero infatti potuti sopravvivere se non inseguendo di continuo le mandrie di animali di cui essi si nutrivano; per lo stesso motivo è assolutamente impossibile attribuire loro un’attività bellica al di là della rissa e forse del duello: infatti le prime armi di difesa appaiono più tardi.
L’uomo non ne aveva bisogno. Un’età senza dolore. Infatti è dimostrato dalle tribù che oggi vivono nello stesso modo che, a parte una potente selezione alla nascita, le malattie frequenti e fastidiose o quelle gravi erano quasi sconosciute. L’uomo cacciatore si mantiene sano e vigoroso, finché l’età e i pericoli lo schiantano definitivamente.” (9)
E’ la cultura che in Europa, ma non solo, sarà chiamata Magdaleniana (dal sito La Madeleine in Dordogna, Francia) e il periodo in cui si sviluppò (dal 18.000 all’11.000 a.C. circa) è l’età che in molte leggende sarà ricordata come l’età dell’oro.
“La civiltà magdaleniana fu tramandata come il periodo dell’età dell’oro.......................
I magdaleniani potevano sopravvivere con pochissime ore di caccia. Le caverne di questo periodo sono ricchissime di disegni e lasciano intuire che doveva esistere una grande quantità di tempo libero. Inoltre alcuni disegni ritornano con la stessa forma e le stesse dimensioni in tante grotte diverse. Questo presuppone l’esistenza di “modelli” fissi che, probabilmente, alcuni artisti già specializzatisi portavano con se facendo il giro delle regioni. Con questi modelli decoravano le caverne di chi lo richiedeva, in cambio di qualche cosa. L’arte dei Magdaleniani raggiunse alti vertici, erano ormai state scoperte le regole della simmetria, della rappresentazione del movimento mediante il tratteggio, ecc. ecc. Si sono superate in audacia le immaginazioni dei più moderni pittori, come l’uso di sfruttare protuberanze naturali per disegnare in “rilievo”, a “tre dimensioni”, delle cose, degli animali e delle persone.
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I Magdaleniani avevano vestiti assai simili ai nostri......Inoltre questi vestiti non erano affatto sbrindellati, ma cuciti benissimo con aghi di osso. “ (10)
Forse anche nella Bibbia è possibile intravedere il passaggio fra una età dell’oro e dell’argento, che corrisponde al paleolitico, cioè al periodo in cui l’uomo viveva di caccia, pesca e raccolta di frutti, semi e radici, ad una età del bronzo e del ferro, cioè al neolitico, che corrisponde al periodo in cui l’uomo domestica le piante e gli animali e pratica l’agricoltura e l’allevamento.
Dio dopo avere creato il cielo e la terra, la luce, il firmamento, le acque, le piante, i pesci e gli animali, ecc. alla fine del sesto giorno disse : “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra” (Genesi capitolo 1-26). Poi Dio disse: ” Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo.” (Genesi 1-29)
Ma l’uomo trasgredì l’ordine divino di non mangiare i frutti dell’albero della conoscenza del bene e del male. Dio allora lo cacciò dal giardino dell’Eden e disse: ” Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dall’albero, di cui ti avevo comandato: Non ne devi mangiare, maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. (Genesi 3-17) Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba campestre (Genesi 3-18) Con il sudore del tuo volto mangerai il pane;...(Genesi 3-19) Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da dove era stato tratto (Genesi 3-23).
Riguardo all’ultima ipotesi sull’adozione dell’agricoltura fatta per migliorare le condizioni di vita dell’uomo bisogna dire che, se fosse valida l’interpretazione fatta di questi passi della Bibbia, l’agricoltura fu la condanna che Dio dette all'uomo per aver trasgredito al suo ordine di non mangiare il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male.
La coltivazione delle piante e l’allevamento del bestiame come strumento per ottenere incremento demografico Stante così le cose bisogna farsi con più vigore la domanda: cosa spinse le popolazioni di Homo sapiens ad abbandonare quella che le leggende classiche e di tante popolazioni primitive ricordano come età dell’oro? quell’età in cui gli uomini praticavano la caccia e la raccolta di piante selvatiche?
Per poter dare una risposta è necessario definire preliminarmente l’uomo. Esso viene visto come l’esperimento, il tentativo, all’interno del mondo biologico e in un determinata situazione ambientale, del raggiungimento della vita eterna, cioè del soddisfacimento pieno e per un tempo infinito dei suoi bisogni. La caratteristica delle diverse specie biologiche precedenti e contemporanee alla comparsa dell’uomo è quella di non essere padroni del proprio destino, di essere sempre a rischio di estinzione, di non essere coscienti della vita eterna, cioè dell’obiettivo del soddisfacimento pieno e per un tempo infinito dei propri bisogni, e quindi non essere in grado di mettere in atto delle azioni per raggiungere questo obiettivo.
La dialettica nella naturaPerché l’esistenza dell’esperimento umano?In una visione dialettica della realtà biologica l’esperimento umano è appunto la risposta dialettica alla mancanza di vita eterna: l’assenza di vita eterna nel mondo biologico e l’esperimento del suo raggiungimento col genere umano (quindi all’interno dello stesso mondo biologico) sono i due aspetti della realtà che si giustificano a vicenda.
All’assenza di vita eterna nel mondo vivente si contrappone dialetticamente la comparsa della coscienza del desiderio della vita eterna; l’esperimento umano è la coscienza del desiderio della vita eterna che si cala nella natura o che si evolve dalla natura, è il tentativo del raggiungimento, nel tempo e nello spazio, dell’obiettivo del soddisfacimento pieno e per un tempo infinito dei bisogni umani.
Nel concreto avviene che, come sintesi dei caratteri della natura e della coscienza del desiderio di vita eterna, l’uomo cerca di raggiungere le migliori condizioni di vita e per tempi più lunghi possibili.
Ricordo che quando ero all’università trovavo difficoltà a comprendere, così come dicevano i testi che studiavo, la stretta correlazione fra metodo e contenuto. Adesso, invece, con difficoltà riesco a capire come si possa trattare separatamente di metodo e contenuto.
L’esperimento umano, la storia umana, è il frutto di un rapporto inscindibile, nel tempo e nello spazio, di natura e coscienza del desiderio della vita eterna. Solo con un artificio e per motivi di analisi è possibile scindere i due aspetti della storia umana.
La coscienza, in questa visione della natura, viene vista come lo strumento dell’uomo che serve all’uomo stesso per rapportarsi in modo progressivo all’interno della dialettica nella natura.
E’ bene chiarire che i concetti sopra esposti saranno da considerare validi solamente se renderanno conto di ciò che è successo e aiuteranno a creare delle prospettive future valide per l’umanità!!
Vediamo di saggiare la validità di questi concetti applicandoli ai fenomeni del passaggio dalla caccia e raccolta di vegetali spontanei all’agricoltura e allevamento e dell’esplosione demografica nel neolitico.
Se ciò che guida le scelte dell’uomo è il desiderio della vita eterna o, per essere più concreti, l’idea, il desiderio del soddisfacimento pieno e per un tempo infinito dei suoi bisogni, allora il passaggio dalla caccia e raccolta di vegetali spontanei alla coltivazione delle piante e all’allevamento degli animali e l’esplosione demografica nel neolitico potrebbero inquadrarsi in quell’obiettivo.
Con l’agricoltura e l’allevamento si ha un notevole incremento demografico. I gruppi umani non vivono più nelle caverne e, soprattutto, non sono più composti da un massimo di 40-50 individui. Per gruppi sparuti della consistenza massima di 40-50 individui il rischio di estinzione era all’ordine del giorno e ciò, con l’idea, con il desiderio della vita eterna, è in ovvia e aperta contraddizione.
“Una comunità di ridotte dimensioni ha minori probabilità di sopravvivere nel tempo: è più esposta a soccombere a crisi violente, ed è anche meno atta a perpetuarsi in un gioco combinatorio alterato da vincoli fisici e culturali (incompatibilità matrimoniali, endogamia, età matrimoniale, ecc.). Certamente una comunità più vasta è più in grado di riassorbire crisi minori (di esserne cioè decurtata ma non estinta) conservando una adeguata base di ripresa, ed offrendo ai suoi membri una più larga scelta e più frequenti compensazioni.“ (11)
“Il primo effetto dell’agricoltura è stato quindi la possibilità di nutrire molte più persone nella stessa regione e di consentire un aumento della densità della popolazione. Le abitudini, i costumi, che determinano la natalità, sono sempre molto radicati. Prima dell’agricoltura questi costumi permettevano una crescita lentissima della popolazione. L’agricoltura ha reso possibile, e utile, un aumento della natalità. Una volta che essa è salita diventa difficile arrestarla.
I cacciatori-raccoglitori di allora presumibilmente si comportavano come quelli di oggi, che hanno in media cinque figli, uno ogni quattro anni circa. Con un intervallo di quattro anni fra le nascite possono sempre viaggiare portando con sé, in braccio o sulle spalle, l’ultimo nato, mentre i precedenti sono già in grado di camminare, se non a un passo veloce, almeno a un’andatura ragionevole. Distanziando le gravidanze è possibile proseguire l’allattamento finché il bambino ha tre anni di età, e questo a sua volta diminuisce la possibilità di una nuova gravidanza. Con una media di cinque figli per donna, in pratica la popolazione si mantiene all’incirca costante, perché di questi cinque figli più della metà muore prima di arrivare all’età adulta, in genere nei primi anni di vita. Ogni coppia di marito e moglie tende così ad avere solo due figli che raggiungono l’età adulta e si riproducono a loro volta; la popolazione rimane stazionaria, cioè non aumenta, o tutt’al più aumenta molto lentamente.
Il contadino non ha più motivo di limitare il numero dei figli come il cacciatore-raccoglitore. E’ diventato sedentario, non ha il problema di spostarsi con figli troppo piccoli né quello di averne troppi e di non riuscire a nutrirli tutti, anzi ha bisogno di averne molti per potere coltivare la terra.” (12)
L’uomo “A parità di condizioni, cerca di massimizzare la quantità di calorie o di sostanze nutritive rivolgendosi ad alimenti che danno il massimo risultato con la massima certezza, nel minimo tempo e con il minimo sforzo. Cerca anche di assicurarsi contro i rischi della morte per fame: una quantità modesta ma sicura e costante di cibo è preferibile a quantità in media maggiori ma assai fluttuanti. L’orticello del nostro proto-contadino di 11.000 ani fa poteva servire proprio a questo: era una assicurazione contro i tempi di magra, una dispensa utile nel caso la caccia fosse stata scarsa.” (13)
Col neolitico e con la coltivazione delle piante e dell’allevamento degli animali, i gruppi umani abitano in capanne circolari seminterrate e raggiungono la consistenza di 250-500 individui per villaggio. Con la dilatazione spaziale del gruppo umano si ha anche la sua dilatazione temporale, nel senso che sono superati i rischi di estinzione del gruppo umano stesso.
La scelta dell’agricoltura e dell’allevamento avvenne quindi non per rispondere ad un preesistente incremento demografico ma per creare un incremento demografico, condizione essenziale per evitare il rischio di estinzione di piccoli comunità umane.
Con l’agricoltura e l’allevamento le popolazioni umane si sono messi alle spalle il rischio di estinzione. Il rischio di estinzione per piccole comunità di cacciatori-raccoglitori era all’ordine del giorno. Intorno a 15.000-10.000 anni fa “L’insediamento è ancora in caverne, per piccole comunità di 40-50 individui al massimo, caratterizzati da mobilità al seguito degli animali che forniscono il principale contributo alla dieta. La sopravvivenza è ancora un problema di portata quotidiana: non si hanno tecniche né per la produzione di cibo né per la sua conservazione” (14)
Nei millenni successivi le cose cambiano notevolmente. Nel Medio Oriente antico, in quella zona che successivamente sarà chiamata Mezzaluna fertile. “...il periodo 7500-6000 può ormai dirsi pienamente neolitico: comunità di villaggio (di 250-500 persone) sedentarie, con abitati in case di fango o mattoni crudi, di pianta quadrangolare, e con un’economia basata sulla coltivazione di graminacee e leguminose e sull’allevamento di caprovini e suini (alla fine del periodo anche bovini).” (15)
Ulteriori considerazioniSi aggiungono altre quattro considerazioni (da considerarsi concause) per definire con più compiutezza il contesto che portò prima poche comunità umane e poi molte altre, ad abbandonare la caccia e la raccolta di frutti, semi e radici di piante selvatiche, e a “scegliere”, seppure in modo graduale e in modo non esclusivo, l’agricoltura e l’allevamento.
1a considerazione
Con le variazioni climatico - ambientali avvenute alla fine del pleistocene i grandi erbivori si spostarono verso nord. La caccia sarebbe dovuta avvenire nelle foreste e avrebbe riguardato animali isolati. Questo tipo di caccia richiedeva pochissimi individui e quindi non sarebbe stato più necessario che l’uomo vivesse in gruppi familiari di 40-50 individui ma in gruppi più ristretti, per cui il rischio che i gruppi umani potessero andare incontro all’estinzione sarebbero aumentati se non si fosse scelto l’agricoltura e l’allevamento.
2a considerazione
Il tipo di caccia che si svolgeva nelle foreste (che aveva preso il posto delle precedenti tundre e steppe) riguardava animali di stazza inferiore a quelli cacciati in precedenza nelle tundre e nelle steppe e quindi aveva una resa capace solamente di sostenere gruppi umani ancora più piccoli.
3a considerazione
Con le variazioni climatico – ambientali avvenute alla fine del Pleistocene aumentò notevolmente l’areale di diffusione di quei cereali selvatici, come il grano e l’orzo, che costituiranno, una volta domesticate, insieme alle leguminose e ad altre poche piante, la base dell’alimentazione delle popolazioni neolitiche.
4a considerazione
Questa concausa è molto generica ed è rappresentata dalla considerazione che gli sconvolgimenti climatico-ambientali avvenuti alla fine del pleistocene, avevano dimostrato che la vita basata sulla caccia e sulla raccolta significava per l’uomo che la propria esistenza, come specie, fosse appesa ad un filo sottilissimo. Era urgente quindi dare più stabilità alla specie con la creazione di un rapporto più stabile con la natura e questo obiettivo si raggiunse con la domesticazione di piante ed animali e quindi con l’´invenzione´ dell’agricoltura e dall’allevamento.
(1)AA.VV. La Storia, 1 Dalla preistoria all’antico Egitto, Mondatori 2006, pagg. 99-100;
(2)idem pagg. 101-104;
(3)Luca e Francesco Cavalli Sforza, Chi siamo – La storia della diversità umana, Oscar Saggi Mondatori, 1995, pagg. 207 e 209;
(4)idem pagg. 206 e 207;
(5)Jared Diamond, Armi, acciaio e malattie – Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni, 1998 e 2000 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino, pag. 77;
(6)Mario Liverani Antico oriente – Storia società economia, 1988-2006, Editori Laterza, pag. 16;
(7)Luca e Francesco Cavalli Sforza, Chi siamo – La storia della diversità umana, Oscar Saggi Mondatori, 1995, pag. 189;
(8)Ugo Plez, La preistoria che vive, 1992 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano, pag. 5;
(9)idem pagg. 270 e 271;
(10)idem pagg. 274 e 275;
(11)Mario Liverani Antico oriente – Storia società economia, 1988-2006, Editori Laterza, pag. 40;
(12)Luca e Francesco Cavalli Sforza, Chi siamo – La storia della diversità umana, Oscar Saggi Mondatori, 1995, pagg. 199 e 200;
(13)Jared Diamond, Armi, acciaio e malattie – Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni, 1998 e 2000 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino, pag. 80;
(14)Mario Liverani Antico oriente – Storia società economia, 1988-2006, Editori Laterza, pag. 64;
(15)Idem pag. 66 e 69;
(16)S.L. Washburn e Irven DeVore, Il comportamento sociale dei babuini e dell’uomo preistorico, in Sherwood L. Washburn, Vita sociale dell’uomo preistorico, 1971, Rizzoli Editore, Milano; i dati sono presi dalla tabella di pag. 169;
(17)Mario Liverani Antico oriente – Storia società economia, 1988-2006, Editori Laterza, pagg. 69-70;
NOTE mie:L'età dell'oro paleolitica e la condanna biblica dell'agricoltura neolitica ... bello, ... resta il mistero della mela, dell'albero della conoscenza che forse è individuabile nella scoperta che anche il maschio umano contribuisce alla generazione dei figli ... mentre prima c'era solo la donna ... la Grande Madre Paleolitica.