Cosa xeła sta roba ke ła par na fenestra?

Re: Cosa xeła sta roba ke ła par na fenestra?

Messaggioda Berto » dom mag 03, 2015 3:20 pm

Anca mi a digo s-corlar ke no xe x-gorlar o "x-golà a forsa de sigar" on sono o na voxe e on xgràfo o gràfo. No se capise parké mai drento el moto se gapie da scrivar X come en caxa e fora se gapie da scrivar S come en sgorlar o sgolà anvençe de scrivar tuto conpagno: caxa, xe, xgolà, xgorlar, xgalmara, xente, xenaro, ...
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Cosa xeła sta roba ke ła par na fenestra?

Messaggioda Sixara » dom mag 03, 2015 6:18 pm

Berto ha scritto:Anca mi a digo s-corlar ke no xe x-gorlar o "x-golà a forsa de sigar" on sono o na voxe e on xgràfo o gràfo. No se capise parké mai drento el moto se gapie da scrivar X come en caxa e fora se gapie da scrivar S come en sgorlar o sgolà anvençe de scrivar tuto conpagno: caxa, xe, xgolà, xgorlar, xgalmara, xente, xenaro, ...

Ma lo dìto o nò? :?
El dipende da cueo ca vien dopo : x-golà, x-gorlare, x-gàlmara va bèn, a ghè na - G - ca lo ciàma; ma n s-corlar o s-càparo ca sàpia mi, dopo a ghè na - C - ke la ciama na /s/. Ghe semo-ja?
Sa vàe el to discorso ( e mi el me stà ben) de no forzhare i suoni o de metarghe tuti i costi la camixina de l italiàn , elora sta cuà la podarìa èsare na 'regola'. Dopo uno el fà cueo ke l vòe, ghe mancarìa altro.
Par ex. el scrive ( lè, ghè) al posto de ( l'è, el ghe xe); a (ghi nè) al posto de a (ghe ne xe) o anca ghe n'è ...
par exenpio : kela -ç- de anvençe comè ca te la dixi? come el me -ts - de inve-ts-e? ke se l è na -c- te dovarìsi metarghe cuea e bela ke finìa. :D
Par caxa e xe el suòno l è conpagno ( a cueo ca digo mi) ma par xente e xenaro nò : l è kel z-ènte e z-enàro ke nol xe el /z/ de caxa. No sò come farvelo capìre ma naltri cuà a ghemo anca cueo, da z-ontarghe al gròpo semantico : S-TS-X-Z.
Ve fago calke exenpieto :
S cofà S-canso
X cofà X-gaona
TS cofà TS-òco
Z cofà Z-emèlo
a scumizhio de parola lè cusì - n mèzo a ghe penso ke pa stasìra, anca màsa.

Cari tuti i nostri letori : no xe ke mi e Alberto a ne semo bòni da scrivare come ca pensè ; a semo drìo fare de le prove, ca se metemo lì, ogni un col so cuaderneto e provemo.
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Re: Cosa xeła sta roba ke ła par na fenestra?

Messaggioda Sixara » dom nov 06, 2016 1:24 pm

I podarìa sì èsare Strumenti musicali dell'Antichità, ma nò cuei 'raffigurati, dixen, so i diski, pròpio i diski stési, de bronzo, ke i li sonàva co intenti rituali cofà i Cymbala de p. 93 e seguenti:

Cymbala eius figurae erant, qua cotyledonis folia sunt, ut testantur Dioscorides et Scribonius Largus; Latini umbilicum Veneris vocant. Coxendicibus assimilat Plinius, acetabulis Isidorus. Ambabus enim manibus (erant enim manubriata vel ansata in extima convexitate) apprehendebantur, et complosa concussaque sonitum edebant tinniebantque.
Tinnitus enim cymbalorum proprius fuit. […]25 Porrò mulieres quae cymbala quaterent, pro analogia vocabimus cymbalistrias, vidimusque eas saepè ac saepius Romae in scalpturis bacchanalium sacrorum, è quibus haec damus.

Hinc autem apparet quomodo cymbala colliderentur. Quod intelligens Amalarius Fortunatus scriptum reliquit, cymbala invicem tanguntur ut sonent: ideo à quibusdam labijs
nostra comparata sunt. Materia cymbalorum fuit ex aere; quod licet satis pateat ex ijs, quae supra retulimus26

Dunque i cimbali sono costituiti da due calotte di bronzo munite di impugnatura che vengono percosse l’una contro l’altra. I bordi dei due elementi combaciano come le labbra umane, secondo un passo di Amalario Fortunato.

A ghè anca on cymbala fato a forma de 'setaccio' o tamìxo. :?
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Re: Cosa xeła sta roba ke ła par na fenestra?

Messaggioda Berto » mar mar 07, 2017 11:42 am

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... onso_2.jpg

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... o_2_21.jpg

El podaria esar on angagno par mixurar e par proxetar/traçar łe fondasion:

Alidada, diottro
Immagine
https://it.wikipedia.org/wiki/Alidada
https://it.wikipedia.org/wiki/Diottro



Cfr. co:

Il tempio etrusco, l'astronomia degli etruschi, lituus, templum
Vittorio Di Cesare

http://www.antiqui.it/archeoastronomia/ ... ruschi.htm

Attorno agli anni '50 la scoperta delle piste di Nazca in Perù, suscitò il primo reale interesse degli astronomi per alcuni monumenti archeologici che parevano legati a misteriose relazioni con gli astri. Da allora molti scienziati si sono cimentati nel tentativo di spiegare il significato riposto dagli uomini antichi negli allineamenti dei menhir bretoni, nelle geometrie dei megaliti inglesi o nella "sky story" legata alle proporzioni delle piramidi, introducendo l'astronomia nel mondo fino ad allora a sé stante dell'archeologia.

Sbarcata di recente anche in Italia, l'Archeoastronomia, come viene chiamata negli USA la ricerca interdisciplinare tra archeologia ed astronomia, non prende in considerazione però alcuni popoli che, pur conoscendo l'uso dell'alfabeto, hanno lasciato notevoli lacune circa le loro conoscenze astronomiche. Ancora non sappiamo, ad esempio, come gli Etruschi effettuassero di fatto le loro osservazioni del ciclo. La lettura di alcuni testi latini, perlopiù traduzioni di fonti etrusche fatte da studiosi romani, ci fa capire tra le righe che tutte le conoscenze astronomiche di questo misterioso popolo dipendevano dal tempio, solitamente costruito rispettando un allineamento rigoroso con i punti cardinali.

Così facendo si pensava di riprodurre sulla terra le coordinate dell'Universo nel tentativo di dominarlo e comprenderlo, anche se diversi elementi ci fanno credere che non era questa l'unica finalità cui tendeva l'orientazione del tempio.

La fondazione di un tempio comportava in effetti un certo numero di scelte, quasi tutte legate alla topografia dei luoghi nei quali doveva sorgere. Si cercava infatti un posto sopraelevato dal quale la vista potesse spaziare sui quattro punti cardinali, poi l'augure, com'era chiamato dagli Etruschi il sacerdote, tracciava una croce a terra mediante due assi orientati da est a ovest e da nord a sud. Questa croce rappresentava la più antica forma di suddivisione del Templum Celeste.

La pratica per fissare l'est-ovest era già conosciuta infatti dagli Egizi all'epoca dell'Antico Regno (2850-2052 a.C.), servendo loro per orientare le mastabah al nord, verso le circumpolari, come prescrivevano i riti funebri locali.

Per fare questo occorreva fissare sommariamente l'est-ovest con il Sole, poi si tracciava la perpendicolare a questo asse, ricavando gli altri due punti, secondo un metodo ancora usato dai boy-scouts di tutto il mondo. Ci sono delle incertezze a proposito della posizione in cui doveva trovarsi l'augure al momento di questa suddivisione spaziale.

Secondo Varrone e Livio questi stava con la fronte a sud. Per Frontino invece, un autore romano che trattò problemi di agrimensura, l'augure stava rivolto ad ovest.

Comunque sia, al gesto di suddivisione fu attribuito un potente valore rituale, tant'é vero che Servio, uno storico del IV-V secolo d.C., affermò che era proibito compierlo con la sola mano ma che era obbligatorio farlo con il Lituus, com'era chiamato il bastone dei sacerdoti.

Secondo l'archeologo Kurt Latte, l'abitudine romana di delimitare esattamente i confini, ricordata nei testi latini come Conrectio, era ereditata da questa antica pratica etrusca applicata all'agrimensura.

Non a caso Terminus, dio tutelare delle pietre di confine, era venerato sul colle Capitolino sotto forma di una pietra che se ne stava in un tempio dal soffitto bucato acciocché il dio potesse estendere il suo potere all'Universo, o ponesse un limite all'ignoto. Nonostante la profondità di questi concetti, il culto, com'è noto, aveva nella realtà una sua precisa applicazione profana. È quindi poco credibile che gli Etruschi prima, ed i Romani dopo, ponessero una cura eccessiva nel tracciare quattro assi diretti come i punti cardinali solo per rispettare un rito.

Il Templum doveva avere altre funzioni oltre a quelle religiose, ed è proprio la suddivisione del cielo fatta dagli Etruschi a farcele scoprire. Fu uno scrittore vissuto al tempo di Cicerone, Nigidio Figulo a descriverci la complicata cosmogonia etrusca traducendo un loro testo rituale del V secolo a. C. Secondo questo antico libro oltre a Giove ed al senato degli dei, il cielo era retto da dodici divinità che regolavano i segni dello Zodiaco, e da sette divinità corrispondenti ai pianeti.

Per ultimi venivano gli dei assegnati alle sedici regioni del ciclo:
"Il primo quarto — scriveva Figulo — comprendeva settentrione ed il sorgere del Sole equinoziale;
il secondo quarto comprendeva mezzogiorno;
il terzo raggiungeva il tramonto equinoziale
ed il quarto prendeva posto nello spazio tra il tramonto e il settentrione".
Pedantemente ognuno di questi settori era a sua volta diviso in quattro: "sinistri", gli otto situati a levante; "destri", gli otto situati all'opposto.

Ebbene, nonostante in queste suddivisioni emergano a tratti i frammenti dell'antica suddivisione metonica del cielo, gli Etruschi non furono mai capaci di redigere un calendario scritto!

Almeno alle origini della loro storia la divisione del tempo fu basata sul sorgere ed il tramontare della Luna, poi su quello del Sole, utilizzando come unità di tempo il giorno ed il mese calcolati sull'osservazione giornaliera.

Anche Macrobio (IV-V secolo a. C.) ricordava che: "...in tempi antichi, prima che i calendari, contro il volere del Senato, fossero posti per iscritto, era il Pontifex Minor che aveva l'incarico di constatare la prima comparsa della Luna nuova per determinare quanti giorni mancavano alle Kalendae... alle Idi... alle Nonae..." (Saturnali I; 15,9 e segg.). Si usava insomma un sistema ideato dall'uomo di Cro-Magnon il quale, secondo una recente teoria di A. Marshak, incideva tacche sulle ossa di animali per le notazioni lunari. Gli Etruschi modificarono questo sistema alla Robinson Crusoe segnando il passare del tempo, anziché sulle ossa, infiggendo chiodi sulle pareti dei loro templi, un sistema come un altro per "fermare un lembo di qualcosa altrimenti fluido ed inafferrabile qual'era il tempo"!

Il tempio era dunque un punto di riferimento ben preciso, un caposaldo dal quale si effettuavano ogni tipo di osservazioni astronomiche.

Il fatto è che se la Luna ed il Sole non destano troppi problemi di osservazione, per seguire determinate costellazioni è utile avere un riferimento per ritrovare ogni notte nel cielo il punto osservato il giorno innanzi. Sappiamo, ad esempio, che ancora in epoca romana gli auguri all'apparire della costellazione del Cane Maggiore (la cui stella più luminosa è Sirio), davano avvio alla Robigalia, il periodo dell'anno in cui per scongiurare la "Ruggine”, un fungo parassita del frumento, si uccideva un cane qualsiasi al posto dell'irraggiungibile costellazione ritenuta causa del male. Da quale punto del tempio i sacerdoti osservavano queste ricorrenze? Di quali strumenti si servivano per fare le loro osservazioni?

Scriveva Ennio (239-169 a.C.) che il termine Templum, Tempio, era usato in tre modi: “con riferimento alla natura, alla divinazione e alla similitudine. Cioè con riferimento alla natura, nel ciclo; alla divinazione, sul suolo; alla similitudine, nel sottosuolo". Varrone attribuiva invece al termine un altro significato e cioè quello di Tueri, che significa guardare, osservare, contemplare. Alcuni etimologisti moderni affermano poi che Templum fosse una parola originata da Temenos, recinto sacro, o Temno, tagliare, ferire, fendere.

Tutti questi termini sembrano indicare in fondo l'attività poliedrica del sacerdote il quale, dal tempio, scrutava il cielo e cercava corrispondenze nelle budella degli animali sacrificati, secondo il principio "microcosmo e macrocosmo si equivalgono”, che diverrà famoso all'epoca degli alchimisti.

Ma, in definitiva, qual era la sua posizione quando, naso per aria, osservava il cielo? Per quanto ne sappiamo, strutturalmente il tempio etrusco era ben lontano dall'aver un qualsiasi elemento architettonico che lo facesse rassomigliare ad un osservatorio. Chi sperasse di scoprire affinità con i più famosi monumenti catalogati come orologi lunari o solari, rimarrebbe deluso.

Non troppo grande, costruito interamente in legno su di un basamento di pietra, il Templum aveva un tetto a due spioventi, abbellito da antefisse, che ricoprivano le tre celle che dividevano lo spazio interno. Ma proprio vicino al tempio più importante c'era di solito una piattaforma più piccola in pietra, un esempio della quale possiamo vedere nel tempio D della città etrusca di Marzabotto.

Il tempio D dell'acropoli di Marzabotto, VI-IV sec. a.C.

Era questi un podio privo di sovrastrutture sul quale poteva prendere posto un altare... od un sacerdote preposto all'osservazione del ciclo. Nei codici maya sono spesso raffigurati sacerdoti accovacciati su di un basamento intenti a scrutare il ciclo aiutandosi con una mira formata da due bastoncini incrociati. Il simbolo di un occhio e di due bastoncini incrociati inquadrati nel vano di una porta o di una finestra è infatti interpretato come posto di osservazione astronomica.

Anche questi podi, troppo grandi per essere are, troppo piccoli per essere templi, o la stessa area sacra di fronte al tempio possono aver adempito a questo compito svolto con una pazienza infinita ed utilizzando strumenti molto semplici, forse lo stesso Lituus. Il bastone del sacerdote etrusco è difatti raffigurato in molti vasi associato ad Ermete, il dio della scienza segreta dell'aruspicina, così come possiamo vedere in una bellissima anfora attica di stile severo conservata nel Museo Etrusco-Gregoriano in Vaticano. Anche sul celebre vaso François è raffigurato un personaggio barbuto che tiene in mano il bastone sacro.

Raffigurazioni vascolari del Lituus. Da sinistra: Ermete, da un'anfora attica del Museo Etrusco-Gregoriano in Vaticano; Ermete con caduceo che guida Apollo, da un vaso attico; personaggio barbuto con in mano il bastone sacro, dal vaso François

Il Lituus, più tardi trasformato nella forma idealizzata del Caduceo romano, era sormontato da un disco e da una mezzaluna, indiscutibili simboli lunare e solare.

Ritroveremo quest'oggetto persino sulla prua di una nave scolpita su di una stele punica posteriore al IV secolo a. C. o nella stele fenicia di Lilibeo conservata nel Museo Nazionale di Palermo.

Sebbene ci sia stato chi ravvide in questo strumento una bussola, è molto probabile che in realtà fosse uno strumento di mira unito ad una tavola pelasgica (Pinace), strumento a sua volta costituito da un disco orientabile a mano sul quale erano riportati la rosa dei venti, i punti cardinali e dati relativi al sorgere ed al tramontare del Sole, della Luna e di alcuni astri. In fondo Erone, un inventore vissuto si pensa nel III o nel I secolo a. C., per costruire i suoi strumenti topografici, s'era rifatto ad antichissimi modelli usati da alcune popolazioni mediterranee.

Non dovremmo quindi stupirci se un giorno scoprissimo che gli Etruschi conoscevano strumenti quali il "Pinace pelasgico" o l'alidada verticale, il progenitore del moderno teodolite.

L'etrusco era un popolo di navigatori, di commercianti. I suoi contatti con popoli mediterranei, possessori di nozioni scientifiche antiche, svilupparono una casta sacerdotale coltissima al punto d'esser utilizzata dai Romani fin quasi all'epoca della caduta dell'Impero. Forse, applicando alcuni principi dell'archeoastronomia alle silenziose testimonianze templari di quel mondo crepuscolare potremmo avere delle sorprese che illuminerebbero un po' di più quella civiltà affascinata dal mistero cosmico. Forse scopriremmo la chiave di lettura con la quale figure ieratiche di arruffati sacerdoti guardarono il cielo con strumenti semplici ma vitali quali il Lituus, tanto importante da essere l'unico oggetto col quale si poteva tracciare sulla terra i quattro cardini del cielo.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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