Orexene del dalmetego:
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http://lablita.dit.unifi.it/app/extra/p ... enaNig.pdf« Albero» e «onda» o evoluzione genetica e diffusione geografica nel mutamento linguistico
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... Iwcjg/edit Da: Le origini delle lingue europee, del glottologo Mario Alinei Volume II 4.1. Dalmatico e Rumeno alla luce della TCLa Dalmazia, con le sue oltre ottocento isole e la sua costa, chiusa da una ininterrotta catena di alti rilievi montuosi - Alpi Bebie, Alpi Dinariche e rilievi del Montenegro -, costituisce una regione ecologica ben distinta dai Balcani.
Sta ki xe l’area jeografega, indoe, par el Mario Alinei, inte 14.000 ani (su par xo dal 24.000 al 10.000 vanti Cristo) se gavaria formà na onetà culturałe e on s-ciapo de łengoe tra de łore omojenee da cu vegnaria fora anca ła łengoa de Roma ciamasta “latin” e tute łe altre łengoe diverse da coeła de Roma e tute da ciamar coi so nomi etniçi, come coeła nostra ke se ciama “veneto”.
Non può stupire quindi che la sequenza culturale di questa regione sia profondamente diversa da quella dei Balcani interni.
Già nel Paleolitico e nel Mesolitico, infatti, la contrapposizione culturale fra costa dalmatica e area interna è manifesta: gli assemblaggi litici dei siti sulla costa adriatica sono «
rather different from those inland» e le stratigrafie che vanno dal Tardo Paleolitico alla Ceramica Impressa mostrano una industria lítica che «
shows very little change in form during the period of development from the Late Palaeolithic to the early pottery-producing layers» [Tringham 1971, 57, 102 ss.].
Anche dopo, nel Neolitico, la Dalmazia non partecipa al complesso della Ceramica Dipinta dei Balcani interni, bensì alla cultura mediterranea della CI/C (nelle sue tre fasi di
Crvena Stijens, di
Smilšič, e di
Gudnja [Bagolini 1980, 47-50].
Alla luce della TC, questa partecipazione si lascia leggere come prova dell'appartenenza di tutta la costa adriatica orientale, fino all’Albania esclusa, all’area "italide" (italide non significa italiana).
Non solo per coerenza con le altre aree della CI/C, ma anche perché «
Il est hors de doute que l’Italie néolitique est en rapport avec la Dalmatie» [
Lichardus e Lichardus 1985, 317, 340], e perché il confine che separa la CI/C dalmata dalle culture neolitiche interne (complesso del Neolitico Balcanico e a nord, più tardi, LBK), e che passa ad ovest della Bosnia centrale raggiungendo, lungo la costa adriatica, il golfo di Trieste [Bagolini 1980, 26; cfr. Tringham 1971, 102 ss.], continuerà ad esistere anche dopo.
Anche per quanto riguarda gli sviluppi successivi alla CI/C, infatti, la Dalmazia mostra per lungo tempo una personalità distinta, e quando viene attirata nella sfera delle varie culture dei Balcani interni, non cessa di avere forti legami con l’area italide.
Alla CI/C dalmata segue infatti una cultura anch’essa costiera, quella di
Danilo (V millennio), con evidenti affinità con l'area italica [Tringhaın 1971, 105; Bagolini 1980, 50].
Il tell di Danilo prova la stabilità e la millenaria durata di questa cultura. Dalla cultura di Danilo si sviluppa nel IV millennio quella detta di
Hvar (dal nome dell'isola dalmata), con estensione in
Istria e
Carso [Bagolini 1980, 51], che esercitò una forte influenza sull’Italia [ibidem].
Anche nel Calcolitico, fino a quando la cultura di
Vučedol non riunì l'intero territorio, l’ex Jugoslavia continuò ad essere divisa in tre regioni geografiche, una delle quali è quella adriatica [Tasić 1988, 51].
Dopo la cultura calcolitica di
Nakovanj, scoperta recentemente e ancora poco conosciuta [DP s.v.], la Dalmazia, infatti, sembra «
more affected by c o a s t a l movements of ideas and peoples than by movements from the interior» [Alexander 1972, 91],
e infine la sua partecipazione ai Castellieri, alla cultura Atestina, a quella Picena e alle altre culture italiane del Bronzo finale e del Ferro conferma la sua collocazione etnolinguistica originaria. Non vi è quindi alcun dubbio che nel quadro della TC il Dalmatico, così come lo conosciamo sulla base della scarsa documentazione del Vegliotto, dei prestiti nelle lingue limitrofe, della toponomastica e di poche altre attestazioni scritte, appare come la continuazione di quello che doveva essere un gruppo di parlate italidi, affini al Latino e all’Italico, ma differenziate rispetto ad essi. Di questo gruppo il
Vegliotto, parlato nell'isola di Veglia fino al secolo scorso, e studiato (male) da
Matteo Bartoli [1906] quando era già in via d’estinzione, è purtroppo l'unico rappresentante noto.
Le sue affinità con gli elementi latini (dell'area latina) dell'Albanese e con il Rumeno, tuttavia, confermano la sua collocazione «balcanica», e la sua indipendenza- nel quadro della generale affinità del gruppo italide - dalle parlate latine ed affini della penisola italiana (per le sue affinità con il Ladino, dimostrate da Ascoli e Merlo, v. cap. XIX).
Per quanto riguarda il Rumeno, come ho accennato nel capitolo V, la comparsa sulla costa rumena dei mar Nero, nel Neolitico Medio, della
cultura di Hamangia, apre una prospettiva che la TC non può non prendere in considerazione.
Secondo il suo scopritore, l’archeologo rumeno
Dumitru Berciu, la cultura di Hamangia si suddivide in cinque fasi, di cui la più antica è caratterizzata dalla Ceramica Cardiale (Gli studi successivi [per es. Lichardus e Lichardus 1985; Whittle 1985], che pure sí appoggiano a
Berciu, non hanno sottolineato questa caratteristica), di un tipo affine a quella delle coste dell'Egeo e dell’Adriatico [Berciu 1966, 102; cfr.
Tringham 1971, 150 ss.].
Ora, poiché nella TC, come anche nella teoria di Renfrew,
la CI/C è il principale «biglietto da visita» delle lingue italidi, in sé non vi sarebbe nulla di straordinario se nel
Neolitico Medio gruppi di coltivatori di lingua dalmatica, provenienti dalle strette coste dell'Adriatico orientale - certamente insufficienti a garantire uno sviluppo continuo dell’agricoltura - si fossero mossi alla ricerca di nuove terre verso l’Egeo e il mar Nero.
Di conseguenza, il Rumeno potrebbe essere considerato come il risultato
di un innesto del Dalmatico su un fondo e t n o l i n g u i s t i c o p r e v a l e n t e m e n t e s l a v o. Quali sarebbero i vantaggi di questa tesi?
Molto concisamente, l’«intricatissimo problema delle origini del Rumeno» [Tagliavini 1964, 307], con i suoi «aspetti [...] perfino enigmatici» [Renzi 1985, 177], cesserebbe di essere tale, per le seguenti ragioni:
i) Non vi sarebbe più la duplice e gravissima contraddizione fra l’evidente continuità del Rumeno, la brevissima durata dell’occupazione romana della Dacia (106-271 d.C. - soltanto 165 anni) da un lato, e la testimonianza di tutte le fonti antiche, sia ufficiali che storiche, sui ritiro degli occupanti dall'altro.
La Dacia infatti, fra tutte le provincie romane, è quella in cui la dominazione dí Roma è stata più breve. Come si domanda
Elcock «
Se il Latino non è riuscito a insediarsi durevolmente a nord delle Alpi né in Britannia, dove la romanizzazione sí è prolungata per quattro secoli ed è riuscita a penetrare più profondamente nella vita e negli usi delle popolazioni indigene, come spiegare la sua apparente sopravvivenza in un avamposto tanto remoto e precario?» [Elcock 1975, 471].
ii) La misteriosa diaspora rumena, che avrebbe proiettato - non si sa bene perché -
Istrorumeni in Istria,
Arumeni in Albania, Grecia e Macedonia, e
Meglenorumeni nell’area dí confine fra Grecia e Bulgaria - cioè in aree per la maggior parte più vicine alla costa adriatica che non alla Dacia - riceverebbe una spiegazione adeguata.
Il Rumeno vero e proprio (
Dacorumeno) avrebbe avuto un’origine marittima, mentre gli altri gruppi proverrebbero direttamente dall’area dalmata, e si sarebbero spinti, lungo la costa, sia a nord che a sud.
iii) Le isoglosse che collegano il Rumeno al Dalmatico e agli elementi latini dell’Albanese, ben note agli studiosi; la ricostruzione del Proto-Rumeno; la postulazione di un «Latino balcanico» unitario, nonché molti altri aspetti che non riassumo, non sarebbero più ín contraddizione con la collocazione geografica del Rumeno a nord del Danubio [e.g. Tagliavini 1964, § 64], né con il fatto che l'occupazione della Dalmazia (prima guerra dalmatica 156-155 a.C.) e quella della Dacia (106 d.C.) da parte di Roma non hanno nulla in comune fra di loro.
Non servirebbero quindi più teorie come quella di
Roesler sul «ritorno» dei Rumeni in Dacia, dopo una lunghissima permanenza fra Albania e Grecia.
Inutile dire che questa tesi richiede ricerche approfondite non solo sui terreno archeologico, ma anche e soprattutto su quello linguistico, dato che un attento confronto dell’elemento lessicale latino rumeno con quello comune al resto dell'area neolatina potrebbe contribuire al rafforzamento o all'indebolimento della tesi.
Sta ki xe l’area jeografega, indoe, par el Mario Alinei, inte 14.000 ani (su par xo dal 24.000 al 10.000 vanti Cristo)se gavaria formà na onetà culturałe e on -s-ciapo de łengoe tra de łore omojenee da cu vegnaria xo :e ła łengoa de Roma ciamasta “latin” e tute łe altre łengoe da ciamar coi so nomi etniçi, come coeła nostra ke se ciama “veneto”.
Ve ricordo ke ła łengoa omana, par i siensiadi de ancò (uno se ciama “Tobias”), xe partia su par xo, 2,5/2 miłioni de ani indrio, inte ła boca de l’ “Homo habilis”, sol cu cragno (cranio) i pałeontołoghi gàvaria descoverto el spasio par łe are de “Broca e de “Wernicke”, indoe ke ghe sta el toco de sarveło deputà a ‘l łengoajo.
Ve mensiono anca ke a kei ani ła tera rivaa a medho Adreatego:
Prasiò łe somejanse ca ghe xe tra el łatin (ła łengoa de Roma) e tute staltre łengoe, tra cu ła nostra veneta, xe dovesta inanso a sta vecia comunansa (inanso 14.000 ani) e no ała romanixasion (de 4/5 secołi).
Dapò xe rivà on fià de jente (poketa) “dita” “ endoropea”: veneteghi, greghi, etruski, latini, reti, mesapi, auxoni, oski, unbri, volsci, iłirighi, çelteghi, ... e pì tardi jermaneghi e xlavi ke se gà xmisià e gà adotà ła łengoa de łe jenti de sta ara, metendoghe on fià de ła sua e xe vegneste fora łe łengoe de ancò.
Cusì se capise e se spiega łe difarense ca ghe xe tra sta ara mediteranea e el resto d’Oropa (ara iberega e françoxa, ara jermanega e angrexe, ara balcanega...ke no fea parte de sta ara omojeneea de “ła Cultura de ła Çeramega Inpresa/Cardiałe”; inpresa = tajan impressa).
Ła łengoa rumena ke ghe someja a łe nostre, a coełe de sta vecia cultura, no riva dal latin de Roma, parké ła colonixasion romana gà durà solkè 165 ani (dal 106 al 271 dapò Cristo e i romani xe ndati via tuti), ma da n' inesto “dalmatego” so on fondo mediterano comun a coeło nostro e a coeło ejeo (in Romania “Cultura de Hamangia”).