Clima, politica energetica US e Greta con i suoi gretini

Re: Clima, politica energetica US e Greta con i suoi gretini

Messaggioda Berto » dom mar 14, 2021 9:47 am

Il caso emblematico del Texas dove vari texani sono morti di freddo.

Perché la grande catastrofe climatica del Texas ti riguarda personalmente
Le energie rinnovabili oggi significano una rete elettrica meno affidabile. Perché i nostri politici lo negano?
Questo articolo è adattato dal commento di apertura di Tucker Carlson dell’edizione del 15 febbraio 2021 di “Tucker Carlson Tonight”.
13 marzo 2021

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... onalmente/


Il Green New Deal è arrivato, che ci crediate o meno, nello stato del Texas. E come è andata finora?

Beh, la buona notizia è che tutte queste fonti di energia alternative sembrano aver avuto un effetto notevole sul clima. Alcune zone del Texas hanno registrato delle temperature che tipicamente si vedono in Alaska. In effetti, erano le stesse dell’Alaska. Quindi il riscaldamento globale non è più una preoccupazione così pressante a Houston.

La cattiva notizia è che non hanno più l’elettricità. Le pale eoliche si sono congelate e la rete elettrica è venuta meno. Milioni di texani si sono svegliati la mattina dovendo bollire la loro acqua perché senza elettricità non poteva essere filtrata.

L’Electric Reliability Council of Texas, dal nome ironico, che supervisiona la rete, non aveva alcuna soluzione a tutto questo. Hanno semplicemente detto alla gente di smetterla di usare così tanta energia per tenersi al caldo. Così a Houston, centinaia di texani tremanti dal freddo si sono diretti al centro congressi come rifugiati per evitare di morire congelati. Alcuni texani sono quasi certamente morti di freddo. Più tardi questa settimana, probabilmente sapremo quanti altri sono rimasti uccisi mentre cercavano di tenersi al caldo con riscaldatori improvvisati, barbecue e gas di scarico delle auto.

Succede ogni volta quando manca la corrente; anche le società avanzate diventano primitive e pericolose, e la gente muore. Lo abbiamo visto accadere ripetutamente in California per anni, blackout a ripetizione in uno Stato che si dice del Primo Mondo e che sta scivolando sempre di più nel caos.

Ma chi se lo aspettava in Texas? Se c’è una cosa che si potrebbe pensare che il Texas sia in grado di fare, è proprio tenere le luci accese. La maggior parte dell’elettricità viene dal gas naturale e il Texas ne produce più di qualsiasi altro nel continente. Ci sono enormi depositi di gas naturale in tutto lo Stato. Rimanere senza energia in Texas è come morire di fame al supermercato: puoi farlo solo di proposito, e il Texas l’ha fatto.

Invece di celebrare e beneficiare delle vaste risorse naturali del loro Stato, i politici hanno preso la strada della “moda” e sono diventati incautamente dipendenti dalle cosiddette “energie rinnovabili“, cioè dalle pale eoliche. Quindici anni fa, non c’erano praticamente parchi eolici in Texas. L’anno scorso, circa un quarto di tutta l’elettricità generata nello Stato proveniva dall’eolico. I politici locali erano contenti di tutto questo. Si sono vantati come se ci fosse qualcosa di virtuoso nel distruggere il paesaggio e degradare la rete elettrica. Proprio di recente, il governatore repubblicano Greg Abbott ha accettato con orgoglio una cosa chiamata “Wind Leadership Award”, dato con gratitudine dalla Tri Global Energy, una compagnia che si arricchisce con l’energia rinnovabile.

Quindi tutto funzionava alla grande, almeno fino al giorno in cui fuori ha cominciato a fare freddo. Le pale eoliche hanno fallito come gli stupidi accessori di moda che sono, e la gente in Texas è morta. Tutto questo non è per prendersela con lo Stato del Texas – è un grande Stato, in realtà – ma per darvi un senso di ciò che sta per accadere a voi.

Ecco cosa dice Joe Biden:

Joe Biden, il 27 Gennaio: “A mio parere, abbiamo già aspettato troppo a lungo per affrontare questa crisi climatica… Ecco perché sto firmando oggi un ordine esecutivo per potenziare l’ambizioso piano della nostra amministrazione per affrontare la minaccia esistenziale del cambiamento climatico. Ed è una minaccia esistenziale.”

“Crisi climatica”, “minaccia esistenziale”, “piano ambizioso”. Sentite spesso queste frasi e avrete notato che sono tutte sospettosamente non precise. Quindi cosa significano per voi? Significheranno un aumento dei prezzi dell’energia? Per cominciare, i prezzi del gas sono già aumentati, nel caso non l’abbiate notato. L’elettricità seguirà. I costi più alti danneggiano i più deboli, l’inflazione lo fa sempre, ma è peggio di così. Le energie rinnovabili significano inevitabilmente blackout. Un giorno tutto questo potrebbe cambiare con il progredire delle tecnologie, ma al momento e dato lo stato attuale della tecnologia, le energie rinnovabili significano una rete elettrica meno affidabile. Significa guasti come quelli che stiamo vedendo ora in Texas. Questo non è un argomento di conversazione, è vero. È scienza. Quindi, naturalmente, lo stanno negando.

Ecco il nostro nuovo Santone del clima che si prende una breve pausa dallo sputare CO2 dal suo jet privato per darci lezioni su un argomento di cui personalmente non sa nulla: Posti di lavoro nel settore privato e come più pale eoliche ne genereranno a tonnellate:

John Kerry, il 27 Gennaio: “Il presidente degli Stati Uniti ha espresso in ogni commento che ha fatto sul clima la necessità di far crescere i nuovi lavori che pagano meglio, che sono più puliti di… Voglio dire, sapete, guardate le conseguenze dei polmoni anneriti di un minatore, per esempio, e misurate questo rispetto al lavoro in più rapida crescita negli Stati Uniti prima del COVID [che] era il tecnico dell’energia solare… E allo stesso modo, il secondo lavoro in più rapida crescita prima del COVID era il tecnico delle turbine eoliche. Questo sta succedendo.”

Il vecchio modello, vi ricorderete, era la programmazione. Tutti i ragazzi nei furgoni stavano imparando a codificare e a gestire Internet prima che delocalizzassimo i loro lavori in Cina. Alla fine, naturalmente, abbiamo solo importato persone dalla Cina per programmare, quindi non è successo nulla. Ma John Kerry ha un’altra idea: gli abitanti delle zone rurali con un’istruzione superiore diventeranno tecnici delle turbine eoliche. Così quello che facevano con le trasmissioni, qualunque cosa fosse, lo faranno con le pale eoliche; metterci i cuscinetti a sfera o lubrificarli o qualcosa del genere.

Ora, è possibile che John Kerry ci creda davvero. Forse non è mai stato a meno di sei metri da una turbina eolica. Sicuramente non vive vicino a nemmeno una di queste. Non hanno parchi eolici ad Aspen o Martha’s Vineyard e non ne stanno costruendo. John Kerry stesso una volta ha lottato per tenere i parchi eolici fuori dalla vista della sua casa estiva a Nantucket. Questo è ipocrita, ma non è sorprendente.

La gente che sostiene i parchi eolici, di regola, vive molto lontana dai parchi eolici. Le persone che vivono vicino ai parchi eolici hanno una visione completamente diversa, e perché non dovrebbero? Che ne diresti di un’enorme centrale elettrica nel tuo cortile che ronza e ronza e fa a pezzi gli uccellini? Ecco cos’è un parco eolico. Se ti trovi nell’America rurale, vai a visitarne qualcuno. Rimarrai scioccato da quanto sia orribile una volta che ti ci avvicini. Il tuo primo pensiero potrebbe essere: “Questo dovrebbe essere un bene per l’ambiente“.

I parchi eolici sono una di quelle idee che puoi sostenere solo se non ne sai abbastanza, e forse è per questo che non c’è mai stato un grande sostegno popolare per loro. Nessuna grande comunità di cittadini ha mai chiesto che qualche azienda della Goldman Sachs distrugga l’ambiente naturale con le pale eoliche di fabbricazione cinese che non funzionano quando fuori fa freddo: “Aspetta, più costose e molto meno affidabili? Brutte, inefficienti e fatte da persone che ci odiano? E possiamo uccidere anche le specie in pericolo? Ne vorrei un po’. Anzi, datemene il doppio!”

Nessuno l’ha mai detto da nessuna parte, ma non importa, perché le energie rinnovabili sono il rompicapo per eccellenza. Un minuscolo numero di persone ne trae profitto grazie ai sussidi governativi e ai prezzi regolamentati. Tutti gli altri ricevono una lezione morale sul cambiamento climatico e chiunque si lamenti di tutto ciò viene chiamato “Nazista” da Cory Booker.

Il problema è che i demagoghi come Cory Booker non hanno la minima idea di cosa sia un parco eolico. Non sanno come gestire una rete elettrica, o qualsiasi altra cosa, se è per questo. Parlano, si pavoneggiano, ma non costruiscono nulla, tanto meno riparano o manutengono qualcosa. Non possono, non hanno competenze. Se non ci credete, date un’occhiata a quello che hanno fatto alle nostre città.

Non una sola grande città americana è più bella o più funzionale di quanto non lo fosse nel 1950. I parchi che le generazioni precedenti hanno costruito con tanto amore sono pieni di vagabondi e di drogati. I monumenti che hanno costruito sono coperti di vernice spray. Il trasporto pubblico è una vergogna. È sporco, le strade sono pericolose. Siete davvero sorpresi che Cory Booker sia stato una volta Sindaco di Newark, nel New Jersey? Non dovreste esserlo.

Cory Booker non potrebbe aggiustare la vostra macchina per il ghiaccio, tanto meno comprendere il parco eolico che avete dietro casa. Nessuna di queste persone può farlo. E’ già abbastanza brutto che controllino il Dipartimento di Sociologia della tua Università. Ma la rete elettrica? Assolutamente No. Non devono avvicinarsi a meno di cento metri da questa.


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Clima, politica energetica US e Greta con i suoi gretini

Messaggioda Berto » sab apr 10, 2021 8:01 am

Riciclare la plastica ha davvero senso?
Il Post
di Eugenio Cau
19 settembre 2020

https://www.ilpost.it/2020/09/19/plastica-riciclaggio/


La pandemia di COVID-19 ha generato una grande e imprevista quantità di rifiuti di plastica. Non ci sono ancora numeri certi a livello mondiale, ma più di un dato aneddotico o locale indica che l’utilizzo della plastica è aumentato dall’inizio dell’anno. Secondo il ministero dell’Ecologia e dell’Ambiente cinese, al picco dell’epidemia la città di Wuhan produceva 240 tonnellate di rifiuti sanitari al giorno, contro le 40 tonnellate prodotte in tempi normali.

A Singapore, secondo un sondaggio citato dal Los Angeles Times, nelle otto settimane del primo lockdown, tra aprile e maggio, i cittadini hanno buttato nella spazzatura 1.470 tonnellate di rifiuti plastici più del solito, per l’aumento degli imballaggi e delle consegne a domicilio. Il Thailand Environment Institute ha stimato che a Bangkok ad aprile si sia consumato il 62 per cento di plastica in più che nello stesso mese dell’anno precedente. E negli Stati Uniti il governatore della California, Gavin Newsom, ha sospeso temporaneamente il divieto all’utilizzo di buste di plastica usa e getta.

La produzione di tutta questa plastica è un problema, perché nonostante il successo delle campagne per la raccolta differenziata in gran parte dei paesi più ricchi “il riciclo della plastica continua a essere un’attività economicamente marginale”, come ha scritto nel settembre del 2018 l’OCSE in un rapporto, in cui si legge che a livello globale la quantità di plastica riciclata corrisponde al 14-18 per cento del totale. Il resto della plastica finisce in inceneritori e termovalorizzatori (24 per cento) oppure è lasciato nelle discariche o disperso nell’ambiente (58-62 per cento).

Nell’Unione Europea le cose vanno un po’ meglio – è riciclato circa il 20 per cento della plastica – mentre negli Stati Uniti poco più del 10 per cento. I risultati del riciclo della plastica sono miseri soprattutto se messi a confronto con altri materiali: sia i principali metalli industriali (ferro, alluminio, rame) sia la carta hanno tassi di riciclo che superano il 50 per cento.

Con risultati così magri, e che sono migliorati poco nel tempo, in molti hanno cominciato a sostenere che il riciclo della plastica sia un’attività poco efficace, arrivando a definirla “autoassolutoria”. Questo mese il sito di NPR, rispettata emittente radiofonica statunitense, ha pubblicato un’inchiesta in cui, consultando documenti d’archivio e intervistando alcune persone coinvolte, sostiene che le grandi compagnie del petrolio abbiano finanziato negli ultimi decenni tutte le maggiori campagne per il riciclo della plastica perché, anche se riciclare è poco efficace, “se il pubblico pensa che il riciclo funziona allora non si preoccuperà per l’ambiente” e continuerà a usare la plastica, come ha detto alla giornalista Laura Sullivan l’ex presidente di un gruppo che rappresenta gli interessi dell’industria della plastica negli Stati Uniti.

Lo scetticismo nei confronti del riciclo della plastica è molto diffuso. “Il riciclo della plastica è un mito”, titolava il Guardian ad agosto del 2019; “il riciclo della plastica non funziona”, titolava Mother Jones nel maggio di quest’anno; “il riciclo della plastica sta fallendo”, scriveva Cnbc ad agosto. Pochi giorni fa, Politico Europe ha titolato che “Il riciclo sta uccidendo il pianeta”, riferendosi a tutto il riciclo, non soltanto quello della plastica.

Per capire se riciclare la plastica abbia senso, bisogna partire da come la si ricicla, e dalle ragioni per cui se ne ricicla così poca. «Il punto fondamentale è che c’è una differenza enorme tra recupero e raccolta da una parte e riutilizzo e riciclo dall’altra», spiega Alessandro Trentini, fondatore di Idea Plast, una società lombarda che fa progetti di arredo urbano e di ingegneria con la plastica riciclata. Gettare un rifiuto di plastica nel bidone della raccolta differenziata è soltanto l’inizio di un processo molto lungo che nella maggior parte dei casi non si conclude con il riciclo del rifiuto.

In Italia, per esempio, i livelli di raccolta e recupero dei rifiuti sono elevati. Nel 2018 si è raccolto in modo differenziato il 58,1 per cento dei rifiuti urbani a livello nazionale, e in alcune regioni come l’Emilia-Romagna e la Lombardia il dato supera il 70 per cento. Ma nonostante questi risultati ottimi, il tasso di riciclo e riutilizzo della plastica è molto basso.

Secondo uno studio dell’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, soltanto il 30 per cento della plastica raccolta in Italia è riciclata. Un altro 40 per cento viene bruciato in termovalorizzatori o inceneritori, e il resto finisce in discarica. Si ricicla così poca plastica principalmente perché il metodo di riciclo più diffuso, il riciclo meccanico, è complicato, oneroso e non funziona bene per tutti i tipi di materiale.

Questo non significa che sia il caso di gettare tutta la plastica nella raccolta indifferenziata o di smantellare le filiere del riciclo. Una parte della plastica è comunque riciclata, e gli effetti positivi per l’ambiente e per l’economia sono tangibili. Ma separare la plastica dagli altri rifiuti non dovrebbe illuderci di aver contribuito a salvare il pianeta.

La teoria del riciclo meccanico
La stragrande maggioranza della plastica riciclata nel mondo passa per un processo di recupero meccanico. Questo avviene in varie fasi, che sono spiegate molto bene in uno studio fatto nel 2017 da ricercatori del Belgio e titolato “Mechanical and chemical recycling of solid plastic waste”. Il riciclo meccanico prevede che la plastica sia selezionata, lavata e poi sminuzzata da una macchina in scagliette finissime chiamate flakes. Queste scagliette sono poi trasformate in granuli, che sono più comodi per essere riutilizzati e trasformati a loro volta in nuovi oggetti di plastica. Ciascuna di queste fasi, però, è complicata e presenta dei problemi.

La plastica va raccolta
A seconda di come si fa la raccolta differenziata – e a seconda di come le amministrazioni cittadine raccolgono i rifiuti – cambia il modo di riciclare. Nei paesi europei, per esempio, l’UE ha dato la priorità agli imballaggi di plastica. La Commissione europea ha approvato una direttiva aggiornata nel 2018 che fissa obiettivi ambiziosi per la raccolta e il riciclo degli imballaggi (entro il 2025 il 50 per cento di quelli di plastica dovrà essere riciclato) e stabilisce la creazione di incentivi economici.

Grazie alla direttiva, integrata dalla legislazione nazionale, in Italia la raccolta degli imballaggi ha un percorso di valorizzazione definito e genera un corrispettivo economico per le amministrazioni locali, che ricevono un contributo ambientale a seconda della purezza degli imballaggi di plastica che raccolgono. Questo significa che in Italia il riciclo degli imballaggi è efficiente: secondo dati del Conai, il Consorzio Nazionale Imballaggi, il 46 per cento di quelli di plastica è riciclato – manca poco agli obiettivi europei. Il problema è che per tutti gli altri rifiuti in plastica non è previsto il riciclaggio, spesso perchè non tecnologicamente realizzabile. I comuni spingono quindi per la raccolta differenziata dei soli imballaggi e moltissima plastica finisce nell’indifferenziato: circa il 15 per cento dei rifiuti urbani indifferenziati è costituito da plastica, che ha molta meno possibilità di essere riciclata mentre è il componente più energetico dei rifiuti se questi vengono bruciati.

La plastica va selezionata
Gli oggetti di plastica che buttiamo nella spazzatura non sono fatti tutti con lo stesso materiale e non si possono riciclare tutti allo stesso modo. Quando arrivano nell’impianto di riciclo, i rifiuti plastici devono anzitutto essere separati gli uni dagli altri. La plastica raccolta può essere selezionata sulla base di vari criteri, come la forma, la densità, la dimensione, il colore o la composizione chimica. Quest’ultima è la caratteristica più importante, perché ciascun oggetto di plastica è prodotto con un polimero diverso, cioè con una macromolecola sintetica, o con un mix di polimeri, e non tutti si possono riciclare assieme e con la stessa facilità.

Esistono molti metodi meccanici e automatici per selezionare e separare i vari rifiuti di plastica, alcuni dei quali si fanno all’inizio del processo e altri alla fine, dopo la macinatura. In alcuni casi è usato un getto d’aria per separare i materiali più leggeri da quelli più pesanti, in altri si usa un sistema di separazione per “flottazione” in acqua per distinguere i materiali più densi che vanno a fondo da quelli che galleggiano, in altri ancora si usano i raggi X, e così via.

Certi materiali sono più facili di altri da selezionare. Per esempio il polietilene tereftalato – cioè il PET, la plastica di cui sono fatte le bottiglie d’acqua minerale – è uno dei polimeri con tasso di riciclo maggiore perché è facile da separare e da processare. I processi di separazione più raffinati richiedono anche l’intervento manuale di persone che, dopo la prima scrematura fatta dai macchinari, dividono le bottiglie di latte dai vasetti dello yogurt e da altri rifiuti. Ma alla fine rimane quasi impossibile fare una separazione perfetta, e il recupero non è mai totale. Se i materiali non sono separati correttamente, o non sono divisibili tra loro, sono macinati assieme in quello che è chiamato in gergo tecnico “plasmix”, cioè vari polimeri mischiati che sono molto difficili da riutilizzare oppure sono scartati. Il risultato è che una parte non trascurabile della plastica raccolta per essere riciclata non è selezionata per il riciclo.

La plastica è spesso impura
I rifiuti di plastica che gettiamo nella spazzatura provengono in gran parte dagli imballaggi, e per questo sono quasi sempre contaminati da sostanze organiche (il cibo) e da sostanze inorganiche non polimeriche (tutto quello che non è plastica, come per esempio la carta o la colla dell’etichetta sulle bottigliette d’acqua). I rifiuti di plastica, prima o dopo il processo di selezione, sono lavati meccanicamente più di una volta, ma capita che siano sono troppo contaminati e che alla fine sia difficile o impossibile portare a termine il processo di riciclo.

La plastica riciclata non è quasi mai come quella vergine
La carta e il vetro riciclati, se sono riciclati per bene, sono quasi indistinguibili da quelli vergini: un quaderno può essere riciclato in un nuovo quaderno. Al contrario un fustino del detersivo non è praticamente mai riciclato in un altro fustino del detersivo. In inglese si dice che la plastica non è “recycled”, ma “downcycled”, perché il risultato del processo è quasi sempre qualcosa di meno pregiato e meno valido dal punto di vista commerciale.

Questa degradazione è provocata da due fattori. Il primo è che il recupero meccanico della plastica non produce mai un polimero puro, ma un mix di polimeri che crea materiali meno pregiati, o per caratteristiche funzionali (è meno flessibile, meno resistente al calore) o per caratteristiche estetiche (è meno lucido, più difficile da levigare). Il secondo fattore che crea la degradazione riguarda il processo stesso di riciclo, che in alcuni casi sminuzza e in altri scalda i polimeri. In questo caso si parla di degradazione termomeccanica. Inoltre anche i polimeri più puri e meglio lavorabili non sono riciclabili quanto si vuole e alla meglio hanno pochi cicli di vita (spesso due soltanto) prima di dover essere buttati definitivamente. Un altro dei problemi della plastica, infatti, è che non si può riciclare all’infinito.

Manca l’incentivo economico
Abbiamo visto che il recupero meccanico della plastica è complesso, richiede manodopera umana e macchinari, e inoltre restituisce un prodotto quasi sempre inferiore a quello creato con plastica vergine. Per questo, il riciclo della plastica è un business poco sostenibile e potenzialmente in perdita, se si escludono incentivi e sgravi pubblici. Come ha scritto il Guardian, alla fine del 2019, con il prezzo del petrolio molto basso, per la prima volta nella storia il prezzo sul mercato delle scagliette (flakes) di plastica riciclata ha superato quello della plastica vergine.

E poi c’è il fatto che spediamo la plastica in giro per il mondo
La scarsa convenienza economica del riciclare plastica è diventata evidente a partire dal 2018. Prima di allora, il 70 per cento circa dei rifiuti plastici del mondo, in gran parte prodotto in Europa e Nordamerica, era raccolto, imbarcato su navi cargo e spedito in Cina: l’intero processo era più conveniente che riciclare la plastica sul posto. Il riciclo della maggior parte della plastica del mondo era dunque lasciato alla Cina, e spesso le cose non funzionavano: molti rifiuti erano abbandonati in discarica o dispersi nell’ambiente.

A partire dal gennaio 2018, però, il governo cinese ha approvato regole più severe, ha vietato l’importazione di 24 tipi di materiali e ha imposto che i rifiuti fossero contaminati al massimo per lo 0,5 per cento. In questo modo, l’invio in Cina di rifiuti di plastica si è praticamente interrotto e le filiere del riciclo in Europa e Stati Uniti sono andate in crisi. Successivamente la Thailandia, il Vietnam, l’India e la Malesia hanno cominciato ad accettare plastica, ma anche loro hanno messo regole più stringenti dopo aver avuto problemi ambientali. A marzo del 2019, poco dopo le nuove regole cinesi, il New York Times raccontava che alcune grandi città americane avevano già smesso del tutto di riciclare la plastica. A Memphis i rifiuti erano mandati in discarica, a Philadelphia bruciati nei termovalorizzatori perché, scriveva il giornale, “i costi” erano “saliti alle stelle”.

Il costo ambientale
L’argomento principale contro chi dice che riciclare la plastica costa troppo è che spesso chi fa i conti non riesce a guardare oltre il proprio bilancio. La plastica riciclata costa di più della plastica vergine se si tiene conto unicamente del processo di produzione, ma appena si alza un po’ lo sguardo le cose cambiano. «Il costo ambientale non è mai internalizzato», dice Valeria Frittelloni, responsabile del Centro Nazionale dei rifiuti e dell’economia circolare dell’Ispra. Secondo uno studio del 2019 uscito sul Marine Pollution Bulletin, inquinare gli oceani con la plastica ci è costato finora 2.500 miliardi di dollari in mancato sfruttamento delle risorse economiche date dal mare: pesca, turismo, acquacoltura – e questo senza contare gli eventuali costi di bonifica, che uno studio di Deloitte ha stimato in decine di miliardi di dollari all’anno.

C’è chi spera nel riciclo chimico
Molti analisti ed esperti sperano che i problemi e le inefficienze del riciclo meccanico della plastica potranno essere superati dal riciclo chimico o molecolare, una tecnica di cui si parla ormai da qualche anno ma che non è ancora stata applicata su larga scala. Il riciclo chimico è un processo di “depolimerizzazione”, che semplificando significa: i materiali sono scomposti chimicamente nei loro elementi più semplici e poi riutilizzati.

La tecnica più usata è la pirolisi, che usando il calore scinde i legami chimici della plastica per generare un materiale liquido che può essere usato per produrre nuovo materiale vergine. Questo significherebbe che gran parte della plastica potrebbe essere recuperata al 100 per cento. Per ora, tuttavia, il riciclo chimico è costoso e alcuni ricercatori sono scettici, perché i processi di pirolisi potrebbero rilasciare nell’ambiente tossine e sostanze tossiche. Secondo l’industria, invece, il recupero chimico porterà i tassi del riciclo della plastica ai livelli di altri materiali come la carta e i metalli.
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Clima, politica energetica US e Greta con i suoi gretini

Messaggioda Berto » sab apr 10, 2021 8:02 am

L'ondata Verde che dalla Germania rischia di travolgerci: gretinismo, più debito e tasse, meno Nato
Matteo Marchesi
10 aprile 2021

https://www.atlanticoquotidiano.it/quot ... meno-nato/


Bündnis 90/Die Grünen si traduce con “Alleanza 90/I verdi”. È il nome del partito politico che sta rompendo gli schemi elettorali tedeschi a pochi mesi dalle elezioni politiche. Il movimento è nato nel 1993, a seguito di una confluenza di due soggetti distinti: Alleanza 90, partito green della Germania dell’est, e “I Verdi” dell’ovest. È membro dei Verdi europei e costituisce la formazione ambientalista più forte d’Europa: oltre alla promozione di politiche ambientaliste persegue istanze pacifiste, progressiste e di difesa dei diritti sociali e civili.

I suoi leader (Annalena Baerbock, Robert Habeck e Katrin Göring-Heckardt) nell’autunno 2019 si sono presentati al congresso vestiti di giallo, rosso e nero, per simboleggiare l’escalation compiuta dal partito e ribadire il loro potere contrattuale. E così è: le elezioni nel Baden-Württemberg e in Renania hanno mostrato una marcata riduzione dei voti conservatori, sancendo l’apertura della crisi interna nella CDU-CSU, causata in parte dal tramonto della leadership di Angela Merkel, e in parte dagli innumerevoli scandali di corruzione che hanno portato alle dimissioni di tre parlamentari del gruppo. Al tempo stesso l’SPD e i liberali non decollano nell’elettorato popolare, garantendo una maggiore adesione nelle zone produttive e rurali proprio ai Grünen.

Un altro segnale forte è stato lanciato venerdì 19 marzo, quando Baerbock e Habeck, i due co-presidenti, hanno presentato in una conferenza stampa virtuale il programma elettorale vestiti rispettivamente di nero e rosso, raffigurando i due orizzonti politici imminenti per la formazione del prossimo esecutivo tedesco: un’alleanza con la CDU-CSU (il nero), ovvero un accordo strutturale di centrosinistra con l’SPD (il rosso). In entrambi i casi, i Verdi rimangono l’ago della bilancia nella strutturazione di qualsiasi maggioranza duratura, e potranno chiedere a gran voce, dato il loro peso, la nomina del prossimo cancelliere.

Il “programma delle vitamine” dei Grünen si basa su un cambio di passo nella politica economica. “Vogliamo offrire al Paese una cura di vitamine, nella forma di un’offensiva di investimenti”, ha detto Habeck. I Verdi, infatti, propongono di spendere oltre 50 miliardi di euro per colmare il ritardo della Germania sulla banda larga e dotarla di infrastrutture avanzate sul piano dell’impatto ambientale. Per poterlo fare, il programma ambientalista prevede di superare la cultura dell’austerità: il freno al debito, introdotto in Costituzione nel 2009, che proibisce allo governo federale di indebitarsi più dello 0,35 per cento del Pil ogni anno. Ancora più̀ radicale è la proposta di ridurre i gas serra del 70 per cento rispetto al 1990 entro il 2030, mentre il governo di Angela Merkel si era dato come obiettivo solo il 55 per cento. Ma l’impegno più ambizioso, contenuto nel programma, è di allineare tutte le future politiche tedesche al target fissato dagli Accordi di Parigi di limitare a 1,5 gradi centigradi il riscaldamento globale del pianeta da qui al 2100. Questo farebbe della Germania il battistrada del Green Deal europeo, già cavallo di battaglia di un’altra tedesca, Ursula von der Leyen, ma comporterebbe sicuramente una cura da cavallo, un salasso per l’economia. Fra questi, la messa al bando di tutte le auto a benzina e diesel dal 2030: “Un governo che non si pone questo obiettivo non avrebbe bisogno di noi”, ha detto Habeck.

In politica estera, i Verdi hanno abbandonato il pacifismo no-global già dalla loro prima partecipazione al governo rosso-verde di Gerhard Schröder. Ma definiscono “arbitrario” l’impegno fissato dalla Nato di una spesa per la difesa del 2 per cento del Pil. Una posizione che li metterebbe in rotta di collisione con parte della CDU-CSU.

Problematica sia nel caso di una coalizione con la CDU-CSU, sia di una con la SPD, è la posizione nei confronti della Russia: molto critici del regime di Putin, i Grünen sono contrari al gasdotto russo-tedesco Nord Stream 2, completato al 95 per cento e sostenuto sia dalla Merkel, che lo considera un progetto economico strategico, sia dai socialdemocratici in nome della Ostpolitik, la politica del dialogo con Mosca. I Grünen chiedono invece di abbandonarlo, come misura punitiva contro la Russia per il caso Navalny, anche se appare una evidente scusa circostanziale. L’avversione verso il regime di Putin è soprattutto ideologica.

L’ondata verde sta investendo diversi Paesi, non solo la Germania. Anche in Francia, dove i Verdi hanno raggiunto il terzo posto, e l’Austria, dove nel 2019 sono riusciti ad ottenere 10 punti in più rispetto al 2017. Parlando di numeri, nel Parlamento europeo siedono 69 parlamentari verdi. Al contrario, nel resto dell’Europa meridionale sono ancora minoritari: in Grecia lo 0,9 per cento, in Italia i sondaggi gli attribuiscono il 2,3 per cento.

Le domanda da porsi quindi è: le forze ambientaliste ed ecologiste sono destinate a diventare nei prossimi anni le principali forze di governo nell’Europa continentale? E, soprattutto, quale sarebbe l’impatto del loro radicale programma green?
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Re: Clima, politica energetica US e Greta con i suoi gretini

Messaggioda Berto » lun apr 26, 2021 3:08 pm

Da Dio al bio: l'ecologismo come religione del nuovo ordine mondiale.
Guido Vignelli, Matteo D'Amico
27 mar 2021
https://www.youtube.com/watch?v=Fk1mRKjDnKA
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Re: Clima, politica energetica US e Greta con i suoi gretini

Messaggioda Berto » mar apr 27, 2021 9:53 pm

Kamala Harris promette di combattere il cambiamento climatico in quanto 'causa principale' della crisi migratoria.
L'Osservatore Repubblicano
27 aprile 2021

https://www.facebook.com/ORepubblicano/ ... 4728047530

La Harris ha usato una riunione giovedì per sostenere che il cambiamento climatico sia una delle cause principali della migrazione dai paesi dell'America centrale.
"Stiamo vedendo i danni delle tempeste a causa del clima estremo, stiamo vedendo la siccità", ha detto la Harris.
La Harris ha incontrato i leader della fondazione sulla crisi dei migranti in corso, mentre le persone provenienti da Honduras, El Salvador e Guatemala inondano il confine meridionale attraverso il Messico.
A causa del cambiamento climatico, ha sostenuto la Harris, la gente della regione deve affrontare un settore agricolo in difficoltà, la scarsità di cibo, l'insicurezza alimentare e la povertà estrema.
"Ancora una volta, stiamo guardando la questione della resilienza del clima, e poi la preoccupazione per la mancanza di opportunità economiche", ha detto.
L'amministrazione Biden sostiene che i danni causati dagli uragani Eta e Iota nel 2020 abbiano devastato la regione, eventi climatici che continuano a spingere i "migranti climatici" negli Stati Uniti. A febbraio, Biden ha firmato un ordine esecutivo per redigere un rapporto sull'impatto del cambiamento climatico sulle migrazioni di massa.
La Harris ha ripetuto che le sfide nella regione sono scoraggianti, ma ha espresso l'intenzione di offrire alla gente una speranza.
"Dobbiamo dare alle persone un senso di speranza, un senso di speranza che l'aiuto sta arrivando, un senso di speranza che se rimangono, le cose miglioreranno", ha detto.
La Harris ha avvertito che il problema "non si risolverà da un giorno all'altro".
"Se fosse stato facile, sarebbe stato risolto molto tempo fa", ha detto.



Kamala Harris Vows to Fight Climate Change as 'Root Cause' of Migration Crisis
Charlie Spiering
23 aprile 2021

https://www.breitbart.com/politics/2021 ... n=20210423

Vice President Kamala Harris used a meeting Thursday to argue climate change is a root cause of migration from Central American countries.

“We are looking at extensive storm damage because of extreme climate, we’re looking at drought,” Harris said.

Harris met with foundation leaders on the ongoing migrant crisis as people from Honduras, El Salvador, and Guatemala flood the Southern border through Mexico.

Because of the changing climate, Harris argued, people in the region faced a struggling agriculture industry, food scarcity, food insecurity, and extreme poverty.

“Again, we’re looking at the issue of climate resiliency, and then the concern about the lack of economic opportunity,” she said.

The Biden administration posits damage from Hurricanes Eta and Iota in 2020 devastated the region, a climate event that continues pushing climate migrants to the United States. In February, Biden signed an executive order for the Assistant to the President for National Security Affairs to draft a report on the impact of climate change on mass migration.

Harris repeated the challenges in the region were daunting, but she expressed her intention of offering people hope.

“We have to give people a sense of hope, a sense of hope that help is on the way, a sense of hope that if they stay, things will get better,” she said.

Harris cautioned the problem was “not going to be accomplished overnight.”

“If it was easy, it would have been solved a long time ago,” she said.
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Re: Clima, politica energetica US e Greta con i suoi gretini

Messaggioda Berto » lun mag 03, 2021 3:30 am

Bosch - Denner: "L'Europa è fissata con le elettriche e trascura altre tecnologie"
29 aprile 2021

https://www.quattroruote.it/news/indust ... ogie_.html

I vertici della Bosch tornano a lanciare dure accuse all’Unione Europea in merito alle strategie sul contenimento delle emissioni nel campo dei trasporti. In particolare, l’amministratore delegato Volkmar Denner ha nuovamente stigmatizzato l'insistenza di Bruxelles nel voler puntare tutto sulle auto elettriche, accusandola di trascurare altre tecnologie - come l’idrogeno e i carburanti sintetici - in grado di contribuire al raggiungimento degli obiettivi sul clima.

Serve un approccio neutrale. In sostanza, Denner ha rimarcato la propria diffidenza nei confronti dell'Ue ribadendo, per esempio, come le proposte iniziali di Bruxelles per gli standard Euro 7 fossero irrealizzabili.
Ma l'ad tedesco ha anche espresso la propria soddisfazione per alcuni recenti sviluppi delle discussioni sul tema, orientate a un confronto più obiettivo con il settore automobilistico e a un approccio tecnologicamente neutrale: "Le iniziative per il clima non devono riguardare la fine del motore a combustione interna, ma la fine dei combustibili fossili", ha puntualizzato il top manager. "L'elettromobilità rende il trasporto su strada a emissioni zero, ma lo stesso vale per i combustibili rinnovabili". Del resto, per quanto abbia già stanziato 5 miliardi di euro sulle tecnologie per l'elettrico e un altro miliardo sull’idrogeno, la Bosch ritiene che gli odierni motori diesel e benzina abbiano raggiunto un livello tale "da non avere più un impatto rilevante sulla qualità dell’aria”. Anche per questo, la multinazionale tedesca intende continuare a investire sulle tecnologie per propulsori endotermici "per almeno altri 20 o 30 anni".

Le accuse alla Ue. Denner ha quindi accusato l'Europa di concentrarsi "sull'obiettivo a breve termine" di cancellare i motori a combustione e di evitare "di parlare delle conseguenze che si avranno sull'occupazione". Per dare forza alla propria tesi, secondo la quale Bruxelles sarebbe troppo concentrata sulle auto elettriche, il manager tedesco ha citato l’esempio della corsa allo spazio tra la Russia e gli Stati Uniti: "La mobilità a impatto zero è un obiettivo ambizioso, quasi quanto lo era volare sulla Luna negli anni 60. Ma invece di limitarsi a fissare il grande obiettivo del 'primo uomo sulla Luna' e lasciare che gli ingegneri decidano come raggiungerlo, come fece all'epoca il presidente degli Stati Uniti Kennedy, la Commissione europea sta facendo le cose al contrario. Con una simile politica, che equivale a un monopolio tecnologico, lo sbarco sulla Luna non avrebbe avuto successo". "Questo", ha aggiunto Denner "è un modo infallibile per cancellare percorsi alternativi alle iniziative per il clima. Se la società vuole veramente un'azione al riguardo", ha concluso l'ad della Bosch, "è essenziale non mettere uno contro l'altro gli approcci tecnologici. Dobbiamo, invece, combinarli".
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Re: Clima, politica energetica US e Greta con i suoi gretini

Messaggioda Berto » mer mag 05, 2021 7:15 am

Le auto elettriche sono un INCUBO

https://www.facebook.com/roberto.gresle ... 3861581776

“Le auto elettriche sono un INCUBO come auto private e rovinano la vita a chi vi si affida se pensa di usarle con la stessa libertà ed ESTEMPORANEITÀ delle meravigliose auto termiche. Malgrado lo squallore delle autoelettriche attuali i motori elettrici di per sé sono fantastici e non precludono di avere servo sterzi idraulici anziché elettrici e strumentazione a lancette anziché un display, tanto per dire che il problema non è tanto del feeling di guida o di una preclusione ideologica - certo i motori termodinamici hanno una curva di coppia più compatibili con la nostra natura -; il punto è tutta la disfunzionalità della ricarica con i suoi tempi irragionevoli e il peso delle batterie che fanno dell'auto una pericolosa incudine. Non si può essere costretti a dedicare un'ora al ritorno a casa o a fine di un viaggio per cercare una colonnina, fare la coda e ricaricare. è demenziale”
sulla rivista Nature Energy dai ricercatori dell’Università della California Davis Scott Hardman e Gil Tal. Hanno intervistato persone in California che hanno acquistato veicoli elettrici tra il 2012 e il 2018. Di questi uno su cinque è tornato indietro per evitare di affrontare il lungo tempo impiegato per ricaricare i propri veicoli, e senza neppure considerare il problema della provenienza dell’energia.
Il 70% di coloro che hanno effettuato il passaggio non ha avuto accesso alla ricarica di livello 2, speciale per le auto, a casa, che può caricare i veicoli in circa la metà del tempo rispetto a una normale presa di livello 1. La ricarica di livello 1 da una presa domestica standard fornisce circa 120 volt di potenza. Il livello 2 va a 240 volt, mentre i SuperCharger di Tesla possono offrire 480 volt.
Senza una presa di livello 2 le auto elettriche sono inutili, anche perchè, utilizzandole, una Chevy Volt impiega sei ore per ricaricare l’auto per 450 km di autonomia . con una presa di livello 1 ci vuole quindi mezza giornata.
Due terzi degli intervistati hanno anche affermato di non utilizzare stazioni di ricarica pubbliche, e questo rende inutili molti investimenti in questo settori.
Quindi non si dovrebbe presumere che una volta che un consumatore acquista un veicolo EV continuerà a possederne uno. Questi fattore verrebbe a rallentare la diffusione di questo genere di mobilità. Insomma non è detto che il passaggio alla mobilità “Verde” sia definitivo: le controindicazioni sono ancora troppe.
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Re: Clima, politica energetica US e Greta con i suoi gretini

Messaggioda Berto » sab mag 15, 2021 8:08 am

SCIENZA, RISCALDAMENTO E VACCINI
Giovanni Bernardini
12 maggio 2021

https://www.facebook.com/giovanni.berna ... 7139855495

Non so da voi ma qui da me fa ancora un freddo cane.
Anche i media sembra si siano accorti del freddo anomalo di questo periodo e si affrettano a rassicurarci. Il freddo, dicono, è conseguenza del riscaldamento globale. Solo dei rozzi ignoranti possono non capirlo. Il gran caldo infatti che fa? Scioglie i ghiacci del polo, questo immette negli oceani enormi masse di acqua fredda che che deviano le correnti calde provocando un freddo anomalo in certe aree del pianeta.
La spiegazione non appare troppo convincente, se fosse così ogni estate dovrebbe forse essere accompagnata dalla deviazione di alcune correnti oceaniche, ma non è questo il punto. Si tratta di una teoria che potrebbe essere vera. Solo… i suoi sostenitori si degnano per favore di dirci come la si può controllare? Ci dicono quali correnti sono deviate dallo scioglimento dei ghiacci? Quale è il loro nuovo percorso? Quali parti del globo interesserà? Dove si verificheranno nel futuro prevedibile gli abbassamenti di temperatura causati dal “riscaldamento globale”?
La scienza vera espone le sue teorie alla prova dei fatti, fa previsioni che possono essere confermate o smentite dalle verifiche empiriche.
La scoperta, per fare solo un esempio, di un nuovo vaccino deve essere accompagnata da rigorosissime verifiche empiriche. Gli scopritori del vaccino fanno delle previsioni: la loro scoperta sarà in grado di debellare la tale epidemia, provocherà una riduzione del tot per cento della sua letalità. Saranno le verifiche di laboratorio prima e la applicazione di massa del vaccino dopo a a sottoporre a verifica le loro previsioni.
Qualcuno riesce ad immaginare cosa succederebbe se un vaccino presentato come capace di azzerare la mortalità di una epidemia si rivelasse all’atto pratico del tutto inefficace?
Per il riscaldamento globale tutto questo sembra non valere. Le teorie del riscaldamento globale sono affermate vere qualsiasi cosa accada. E ogni volta che i fatti, con la loro testa dura sembrano smentirle vengono frettolosamente elaborate altre teorie che mettono le cose a posto.
Il riscaldamento globale porta alla fine del mondo a meno che noi poveri scemi non seguiamo le profezie della piccola Greta e di Beppe grillo. Dobbiamo crederci, qualsiasi cosa accada. Punto.
Peccato che tutto questo con la scienza abbia poco o nulla a che vedere.



Dieci anni di bufale sul riscaldamento globale
di Franco Battaglia
19 novembre 2019

https://www.facebook.com/paolo.verni/po ... 6597003576

Oggi ricorre il decennale del Climategate (CG), lo scandalo che, grazie ad un anonimo hacker del web, rivelò lo scambio di e-mail, occorse nel periodo 1996–2009, tra una piccola squadra di “scienziati” del clima, imbroglioncelli assai, dalle quali si evinceva come costoro avessero completamente taroccato i dati per far apparire apposta che quello dell’ultima metà del secolo scorso fosse un riscaldamento senza precedenti. Non sono persone qualunque: sono proprio coloro che avevano la responsabilità di compilare quella parte del rapporto dell’Ipcc (il Comitato Onu propostosi di studiare il contributo antropico al clima del pianeta) che afferma che l’attuale riscaldamento globale (RG) è “senza precedenti” ed è “di origine antropica”.
I principali attori del CG sono due: Phil Jones (PJ), ingegnere idraulico e Direttore dell’Unità di Ricerca sul Clima della East Anglia University in Inghilterra e Mike Mann (MM) dell’università americana della Pennsylvania, un fisico fallito nel suo campo e che, dedicatosi al clima, divenne famoso per il grafico “a mazza da golf” che mostra come l’attuale RG sarebbe “senza precedenti”. Come vedremo, il grafico è risultato un falso scientifico costruito ad arte. Nell’elenco dei mittenti e/o destinatari delle e-mail fan parte altri elementi minori della banda e alcuni esterni. Che il RG attuale dovesse essere “senza precedenti” lo aveva già deciso l’Organizzazione meteorologica mondiale (Omm), che nel congresso del 1985 dichiarava: «crediamo che a causa delle emissioni antropiche potremmo assistere ad un aumento della temperatura media globale senza precedenti». PJ e MM si proposero di diventare famosi dando corpo alla previsione dell’Omm, e lo fecero cospirando il più grande scandalo scientifico del secolo, come emerge dallo scambio delle loro e-mail: basta leggerle. Sono essi stessi che nelle e-mail chiamano sé stessi “cospiratori”.
Ad esempio, per determinare le temperature del passato quando non esistevano dati termometrici, questi arraffoni avevano deciso che misurare lo spessore degli anelli degli alberi fosse un buon “indicatore” di termometro. Non lo è, e per questo erano necessari altri “indicatori” indipendenti. Chi studiava il problema era tale K. Briffa, collaboratore di PJ. A PJ, MM ed altri della squadra Briffa inviava la seguente e-mail: «So che ci fanno molta pressione per presentare una decente storia che giustifichi un “evidente riscaldamento senza precedenti negli ultimi 1000 anni o più”, ma la realtà è che la situazione non è così semplice. Non abbiamo molti dati da “indicatori” indipendenti, e quelli che abbiamo non collimano col recente riscaldamento».
Per chiarezza, gli “indicatori” non collimavano coi dati termometrici odierni (questi mostravano un aumento di temperatura e gli indicatori mostravano un declino di temperatura). Questo significa che gli indicatori, sbagliati sulle temperature attuali, non erano pertanto attendibili sulle temperature del passato, quando non c’erano dati termometrici e, di conseguenza, non era lecito sostenere che quelle odierne fossero temperature alte “senza precedenti”. Ma ecco come rispondevano i due principali cospiratori. MM: «Tutti qui all’Ipcc concordiamo che questo di Briffa è un problema e una potenziale circostanza distrattrice/detrattrice dal consenso che vorremmo veicolare. Sarebbe allora opportuno che ci inventassimo “qualcos’altro” quale responsabile della discrepanza. Forse Briffa ha qualche idea in proposito? Dobbiamo assolutamente scrivere qualche rigo altrimenti gli scettici ci diranno che non comprendiamo i nostri stessi risultati».
E infatti questi geni non comprendevano i loro stessi risultati, i quali mostravano che non v’era alcun consenso. Ma entra in soccorso il loro capo, PJ, che nella e–mail più famosa del CG scrive: «Ho appena applicato il trucchetto che MM aveva usato con l’articolo pubblicato su Nature: per nascondere il declino (sic!), ho inserito le temperature di Briffa per il periodo 1960-80 e quelle reali per il periodo 1980-99». Nascondere-il-declino in inglese fa hide-the-decline, e se cercate queste parole con Google, potrete ascoltare una divertente e irriverente canzonetta approntata da alcuni studenti di fisica per prendersi gioco di questa coppia di clown.
Un altro tema ricorrente che si evince dalle e–mail è la determinazione con cui la squadra influenzava quali articoli dovessero essere pubblicati e quali rigettati. Il settore in questione è molto ristretto e, quasi inevitabilmente, gli articoli del settore finivano sulla scrivania di almeno uno della squadra per la revisione critica: costoro rigettavano apposta tutti gli articoli che mettevano in dubbio il cosiddetto consenso e accettavano quelli che quel consenso sostenevano. Non riporto esempi per brevità, ma è divertente lo scambio di e–mail tra PJ e MM per comprendere come PJ, un ingegnere idraulico, fu premiato Fellow dell’American Geophysical Union (AGU). Fate attenzione alle date. Scriveva MM a PJ (dicembre 2007): «Sto cercando di farti avere un premio dalla AGU. M’hanno detto che la medaglia Ewing non sarebbe appropriata. Fammi sapere cosa preferisci e m’informo». PJ sceglie il proprio premio: «Diventare Fellow della AGU andrebbe bene». MM a PJ (Giugno 2008): «Sto mettendo insieme 5 lettere di raccomandazione per quel premio della AGU. Insieme alla mia quale proponente – anche se io non sono ancora Fellow – fanno 6 lettere».
A pensar male, sembrerebbe che MM suggerisca a PJ che questi, una volta diventato Fellow, si prodighi per restituirgli il favore. E infatti MM presenta il conto a PJ (Giugno 2009): «Ciao Phil. Mi chiedo se potresti forse essere interessato a restituirmi il favore e, in tandem con qualcuno dei nostri amici, potresti farmi diventare Fellow della AGU». Inutile dire che PJ onora il debito. Ci si chiede se per caso codesti premi dati ai climatologi abbiano un qualche significato. Le e-mail del CG riguardano non solo la sistematica alterazione dei dati, come visto, ma anche la determinata volontà di non renderli disponibili a nessuno. Un altro carattere, un eroe, entra nel CG: Steve McIntyre, statistico navigato, che s’era proposto di verificare la validità del trattamento statistico dei dati di climatologia. Parte essenziale del metodo scientifico è la replicabilità degli esperimenti, siano essi eseguiti in laboratorio o al computer. E gli scienziati hanno il dovere scientifico di rendere disponibili i loro dati e i metodi che li hanno generati o i programmi al computer che li hanno trattati. Ogni qual volta McIntyre chiedeva alla squadra del CG i dati e/o i programmi di calcolo usati, riceveva o risposta negativa o nessuna risposta. Fu costretto di appellarsi al Freedom of Information Act (FOIA) per ottenere quei dati con la forza della legge.
Ecco cosa scriveva agli altri della squadra PJ in una delle e–mail del CG: «Mi raccomando, non lasciate cose in giro su siti anonimi da dove possano scaricarsi dati. MacIntyre ci sta col fiato sul collo da anni. Se apprende che esiste un FOIA anche nel Regno Unito, cancellerò tutti i file coi dati». McIntyre aveva appreso. E, esercitando notevole pervicacia, ottenne i dati appellandosi al FOIA (non tutti, perché i cospiratori riuscirono a veramente cancellarne alcuni) e dimostrò che la curva a mazza-da-hockey di MM era un falso: ma fu proprio quella curva che diventò il logo dell’Ipcc e che fece conferire il premio Nobel per la pace allo stesso Ipcc!
In una delle e–mail conclusive di questa deplorevole saga, quando già lo scandalo veniva alla luce con le prime e–mail rivelate, Kevin Trenberth, uno della squadra dei cospiratori, scriveva sconsolato agli altri (siamo nell’ottobre 2009): «Il fatto è che non siamo in grado di giustificare la mancanza di riscaldamento degli ultimi 10 anni». Ma, in un ultimo tentativo disperato, si chiedeva: «Forse le misure sono sbagliate. Il nostro sistema d’osservazione è inadeguato». Evidentemente senza rendersi conto che, così fosse, l’intera climatologia, così come ci viene raccontata dal 97% dei sedicenti climatologi, è un bluff. Forse aveva ragione.
Non posso concludere senza riportare la e–mail con cui PJ commentò la morte, a 61 anni, di John Daly, eminente “negazionista”. Scrive PJ al resto della banda: «Questa è, in un certo senso, una buona notizia».
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Re: Clima, politica energetica US e Greta con i suoi gretini

Messaggioda Berto » sab mag 15, 2021 8:45 am

Le teorie sulla fine del mondo fanno parte del più ampio filone di cui sono parte anche le teorie catastrofiste e complottiste e sono tutte manipolazioni teologiche e ideologiche dogmatiche religiose, politiche e ambientali non scientifiche basate sulla paura innata dell'uomo e connaturata alla vita e all'esistere, alla precarietà relativa dell'essere e alla certezza assoluta di dover morire, all'esperienza del male e del dolore, all'incertezza insondabile sul futuro che dipende molto da fattori indipendenti dalla volontà umana propri di dio e/o della natura che sfuggono al controllo umano.

Terrorismo psicologico, religioso, politico, ambientalista

Fine del mondo
https://it.wikipedia.org/wiki/Fine_del_mondo
L'espressione fine del mondo viene usata in senso generico per indicare un possibile evento (o una serie di eventi) con conseguenze catastrofiche a livello globale, tali da causare la distruzione della Terra, della biosfera o della specie umana. Il tema della fine del mondo è presente soprattutto a livello escatologico in molte mitologie e religioni ed è inoltre ricorrente nella narrativa fantastica e fantascientifica e in misura minore anche in campo scientifico.

Fine dell'umanità - Estinzione dell'umanità.

Da un punto di vista antropocentrico, l'estinzione dell'uomo o la fine della sua civiltà equivarrebbero alla fine del mondo. Queste eventualità dal punto di vista scientifico potrebbero verificarsi per varie cause naturali e artificiali, come una pandemia estremamente letale, oppure la compromissione della biosfera a causa dell'inquinamento e della sovrappopolazione, o ancora il verificarsi di una guerra nucleare (come una terza guerra mondiale atomica).

La regressione della civiltà con perdita di buona parte della odierna tecnologia potrebbe inoltre avvenire per varie cause. Ad esempio una massiccia espulsione di massa coronale solare, colpendo l'atmosfera con particelle cariche, potrebbe provocare un potentissimo impulso elettromagnetico - del tipo che si verificò sul cielo del Québec nel 2000 e nell'intero nordamerica nel 1859, ma su una scala molto più ampia - tale da distruggere tutte le infrastrutture elettriche. Un evento di grande portata potrebbe causare l'esplosione di trasformatori della rete elettrica, con conseguente collasso della rete elettrica, seguita da tutti i possibili danni connessi alla mancanza di elettricità: perdita di refrigerazione degli alimenti, collasso del sistema di regolazione del transito stradale, collasso della rete dei cellulari, di telefoni, di internet e di tutti i computer, compromissione delle trasmissioni radiotelevisive, panico, disordini, atti di violenza generalizzata.


Catastrofismo
https://it.wikipedia.org/wiki/Catastrofismo
Il catastrofismo o teoria delle catastrofi naturali è una teoria scientifica formulata dal naturalista francese Georges Cuvier agli inizi del XIX secolo e successivamente più volte rivisitata.
Secondo questa teoria la Terra sarebbe stata interessata nel corso della sua lunga storia da eventi catastrofici, di breve durata, di carattere violento ed eccezionale. Si opponeva quindi alla teoria dell'uniformitarismo, secondo la quale qualunque processo che si sia esercitato in un lontano passato continua ad agire anche nel presente. Georges Cuvier intendeva spiegare in questo modo l'esistenza dei fossili, che egli per primo riconobbe come appartenenti a specie estinte, cioè le specie scomparse nel corso degli eventi catastrofici. Cuvier basò la sua teoria principalmente su due osservazioni: l'evidenza di estinzioni di massa e l'assenza di forme graduali tra una specie e l'altra.


Teorie del complotto
https://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_del_complotto
Una teoria del complotto o della cospirazione (talvolta anche nella forma aggettivale: teoria complottista o cospirativa) è una teoria che attribuisce la causa di un evento, o di una catena di eventi (in genere politici, sociali o talvolta anche naturali), a un complotto.
Si tratta in genere di teorie alternative più complesse ed elaborate rispetto alle versioni fornite dalle fonti ufficiali e critiche nei confronti del senso comune o della verità circa gli avvenimenti comunemente accettata dall'opinione pubblica. Tali ipotesi non sono provate per definizione, dal momento che cesserebbero di essere "teorie", e vengono spesso elaborate in occasione di eventi che suscitano forte impressione nell'opinione pubblica, come ad esempio eventi tragici legati alla morte di personaggi più o meno famosi o grandi disastri civili e ambientali, o atti terroristici, a volte anche per effetto dell'ampia diffusione e trattazione da parte dei mass media.



Il “populismo ambientalista” tra catastrofismo, culto della personalità e propaganda
Alessandro Campi
25 Settembre 2019

https://www.istitutodipolitica.it/il-po ... ropaganda/


Le vie del populismo non sono infinite, ma certe molteplici e variegate, al punto che talvolta fatichiamo a riconoscerle. Prendiamo ad esempio il movimento politico e d’opinione che s’è creato su scala globale intorno alla giovane attività svedese Greta Thunberg.
La causa perorata da quest’ultima è certamente nobile e grandiosa: la salvaguardia del pianeta contro il rischio – dato come imminente – della sua distruzione causata dai cambiamenti climatici. Ma come definire, se non come tipicamente populiste, le modalità attraverso le quali Greta e i suoi seguaci stanno conducendo la loro battaglia? Basta una buona causa per giustificare un modo discutibile (se non in prospettiva pericoloso) di mobilitare le masse?
Se il populismo in sé – con la sua miscela di demagogia, culto del leader, manicheismo ideologico, settarismo, appello al popolo ed emotività di massa – rappresenta, come molti sostengono, un modello politico tendenzialmente ostile nei confronti della democrazia (delle sue procedure istituzionali e del suo costume) come è possibile non mostrarsi apertamente critici, o perlomeno criticamente scettici, nei confronti di questa sua variante che potremmo definire “populismo ambientalista”?
Gli stilemi tipici del populismo, se si guarda al modo con cui è cresciuto nel mondo il “fenomeno Greta” (sino a diventare qualcosa a metà tra una moda politico-mediatica che si fa forte della nostra cattiva coscienza e un movimento di massa che inclina verso il misticismo para-religioso), sono tutti facilmente riconoscibili. A partire dal più elementare e costitutivo d’ogni populismo: la divisione del mondo in buoni (i molti) e cattivi (i pochi). I primi sono gli abitanti del pianeta (il popolo inteso in questo caso come umanità), i secondo sono i capi di governo e gli esponenti dell’establishment finanziario e industriale mondiale.
I primi sono portatori di una visione politica che persegue la tolleranza, il benessere garantito a tutti, la pace e un sistema economico che non sia distruttivo della natura e dei suoi fragili equilibri. I secondi, insensibili ai destini del pianeta e privi di senso morale, rincorrono solo il profitto economico e lo sfruttamento delle risorse. A questi ultimi è concessa un’alternativa secca: pentirsi dinnanzi al mondo delle loro scelte sin qui scellerate (cambiando dunque radicalmente le loro decisioni) oppure sparire dalla scena lasciando il posto ad una nuova classe di politici-sapienti realmente in grado di porre fine al lento degrado dell’ambiente.
Si tratterebbe insomma di scegliere tra il bene assoluto (la salvezza dell’umanità) e il male assoluto (la distruzione del mondo): ma chi può ambire coscientemente a quest’ultimo obiettivo se non un nemico dell’umanità altrettanto assoluto per neutralizzare il quale ogni mezzo – dall’invettiva alla messa al bando legale – è dunque consentito? Peraltro a sollecitare la creazione di una nuova coscienza del mondo, in polemica generazionale contro i loro genitori sopraffatti dal mito della carriera e della ricchezza materiale, sono i giovani e giovanissimi: puri e giusti per definizione, non ancora corrotti dai falsi miti di un progresso che non vuole accettare limitazioni, avanguardia priva di colpe della futura umanità.
Ma ad accrescere l’impressione che ci troviamo in piena “estasi populista”, come l’ha definita qualche anno fa uno studioso, sono anche altri fattori. Ad esempio la natura stessa della leadership esercitata da Greta. Da lottatrice solitaria e anonima (le foto che la ritraggono seduta dinnanzi al Parlamento svedese mentre sciopera per il clima rinunciando ad andare a scuola) si è trasformata nell’interlocutore politico-morale dei potenti della Terra. Nei suoi confronti, i seguaci – sempre più numerosi – oscillano ormai tra un’incondizionata ammirazione, per la caparbietà con cui ha portato avanti la sua lotta, e una venerazione del tipo che di solito si riserva ai capi religiosi. Ogni sua parola è quasi un editto, che nessuno osa contestare. Tiene discorsi in tutti i consessi politici nazionali e mondiali, senza che nessuno osi pubblicamente replicarle nel timore di attirarsi contumelie o reprimende. In meno di un anno si è trasformata in un capo amato in modo quasi incondizionato, additato come esempio virtuoso e rivoluzionario alle nuove generazioni. Se non fosse per la causa che sostiene, una simile concentrazione di popolarità su scala mondiale dovrebbe persino fare un po’ paura, trattandosi del meccanismo fideistico e carismatico che di solito biasimiamo quando si parla del populismo e delle sue derive ultra-personalistiche.
Ma non bisogna trascurare anche altri elementi, che anch’essi ci portano dalle parti del populismo. Le posizioni che Greta sostiene in materia d’ambientalismo sono intrise, a dir poco, di un allarmismo che sconfina nel millenarismo di marca apocalittica. Se la terra brucia sino all’esito ultimo della sua devastazione, o peggio ancora se l’umanità rischia di estinguersi nel giro di un decennio, c’è davvero poco da stare a ragionare o a controbattere. Ogni discussione o confronto è inibito alla radice. Peraltro questa visione catastrofista e drammatizzante è stata ormai abbracciata in modo quasi acritico dalla gran parte del sistema mediatico mondiale, soprattutto quello che opera nella sfera occidentale, al punto tale da essersi convertito in un mantra propagandistico. Ma il martellamento di poche “verità” ripetute all’infinito, alle quali si può soltanto aderire in modo istintivo, non è esattamente tipico dello stile populista? Si tratta poi di un unanimismo che dovrebbe cominciare a destare qualche sospetto: se le grandi multinazionali giocano ormai a chi più rispetta l’ambiente è per salvarsi l’anima, è perché hanno compreso d’aver sbagliato o è perché in questo cambio del sentimento collettivo hanno già visto un’occasione per accrescere i loro profitti con in più il salvacondotto morale di ergersi a difensori del pianeta? È tipico della retorica populista inveire contro il Sistema, minacciare di sovvertirlo alla radice, per poi diventarne un puntello o una parte integrante.
Andiamo oltre. Continuiamo a dire, quando si tratta di criticare i populismi, che la paura alimentata in una chiave irrazionale può ingenerare forme d’azione individuale e collettiva che rischiano di diventare ingovernabili politicamente e socialmente distruttive. La paura non è mai una buona consigliera. Si possono realizzare politiche ambientali razionali ed efficaci, che per essere tali necessitano ovviamente di una accorta pianificazione (oltre a richiedere molto tempo per sortire i loro effetti), sotto l’incalzare della più grande e assoluta delle paure: la scomparsa dell’uomo dalla faccia della Terra?
Non parliamo poi della polarizzazione (largamente strumentale e anch’essa pericolosa) che il radicalismo cavalcato da Greta rischia di determinare: anche questo un aspetto che spesso viene rimproverato ai populismi. L’idea che chi non abbraccia la sua visione di un mondo sull’orlo dell’abisso sia ipso facto un nemico dell’umanità, che toglie ai giovani le loro speranze per il futuro, è davvero pericolosa per il fatto di mettere i governanti di tutto il mondo, in quanto tali, sul banco degli imputati (oltre a delegittimarli gli occhi delle rispettive opinioni pubbliche, come se non fossero dei leader democraticamente eletti capaci di perseguire il bene comune, ma degli usurpatori nemici del popolo-umanità). Ieri persino il presidente francese Macron, pure dichiaratamente in prima linea insieme alla Merkel nelle battaglie europee per l’ambiente, ha apertamente polemizzato contro Greta e il suo eccesso di manicheismo, che rischia di aumentare l’antagonismo sociale nel segno di un ambientalismo di stampo fondamentalista. Le invettive, magari con le lacrime agli occhi, possono servire per creare attenzione intorno ad un problema e per creare una mobilitazione collettiva sotto la spinta dell’emozione e della paura. Ma non sono una soluzione politica o una risposta razionale ai problemi che si vorrebbero risolvere.
Per chiudere, parafrasando l’indimenticabile Giorgio Gaber, non deve farci paura solo il populismo che è negli altri, ma il populismo che è in noi, spesso inconsapevolmente, anche quando ci si batte per una buona causa.




Il caso Shellenberger, l'ambientalista che dice: «Scusate per l'allarmismo»
9 luglio 2020

https://www.tempi.it/caso-michael-shell ... climatico/


Consulente dell’Ipcc e del Congresso Usa, l'”eroe” ecologista osa scrivere che i catastrofisti esagerano e il cambiamento climatico non è la fine del mondo. Ora «passerà anni a difendere il suo articolo»


Michael Shellenberger durante Cop 23, conferenza Onu sul cambiamento climatico

«Da parte degli ambientalisti di ogni dove, desidero chiedere formalmente perdono per il panico che abbiamo creato negli ultimi 30 anni sul clima. Il cambiamento climatico è reale. Solo che non è la fine del mondo. Non è nemmeno il più grave tra i problemi ambientali». Inizia così un interessante articolo di Michael Shellenberger che gira da poco più di una settimana su internet ed è diventato una specie di caso internazionale.

Che Shellenberger sia un ambientalista atipico è noto da tempo. Da prima che il Time nel 2008 lo inserisse nell’elenco degli “Eroi dell’ambiente”. Cofondatore del Breakthrough Institute e fondatore dell’Environmental Progress, due think tank di primo piano sui temi “green”, è considerato uno dei principali esponenti del cosiddetto ecopragmatismo: già nel 2004, anno di uscita del suo libro più discusso, The Death of Environmentalism (La morte dell’ambientalismo), accusava gli ambientalisti “mainstream” di non aver saputo produrre alcun risultato ecologico utile. Per intenderci: Shellenberger è un sostenitore dell’energia nucleare (si veda in proposito qui la sua intervista a Tempi su Fukushima).

Che cosa ha reso dunque un caso la sua recente uscita? Per leggere integralmente l’articolo, si può fare riferimento al sito dello Spectator, oppure a The Australian o ancora allo stesso Environmental Progress.

Tuttavia basta soffermarsi su alcuni passaggi del testo per capire che cosa ha fatto innervosire tanti lettori e avversari di Shelleberger. Per esempio:

«Sono un attivista del clima da 20 anni e un ambientalista da 30. Ma in qualità di esperto di energia chiamato a testimoniare davanti al Congresso americano, e invitato dall’Intergovernmental Panel on Climate Change [il famoso Ipcc dell’Onu premiato insieme ad Al Gore con il Nobel per la pace nel 2007, ndr] come revisore del suo prossimo rapporto di valutazione, sento il dovere di chiedere perdono per quanto gli ambientalisti hanno fuorviato l’opinione pubblica.

Ecco alcuni fatti che pochi conoscono:

– Gli uomini non stanno provocando una “sesta estinzione di massa”

– L’Amazzonia non è “il polmone del mondo”

– Il cambiamento climatico non aggrava i disastri naturali

– Dal 2003 gli incendi sono diminuiti in tutto il mondo del 25 per cento

– La quantità di terra che utilizziamo per la carne (l’utilizzo più esteso di terra fatto dall’umanità) è diminuita di una superficie quasi pari a quella dell’Alaska

– Sono l’accumulo di combustibili legnosi e la maggior presenza di case nei pressi delle foreste, non il cambiamento climatico, il motivo per cui in Australia e in California si verificano sempre più incendi, e sempre più pericolosi

– Le emissioni di anidride carbonica calano nella maggior parte delle nazioni ricche e in Gran Bretagna, Germania e Francia sono in diminuzione dalla metà degli anni Settanta

– L’Olanda si è arricchita, non impoverita, adattandosi a vivere al di sotto del livello del mare

– Produciamo il 25 per cento di cibo in più rispetto al nostro fabbisogno e i surplus di cibo continueranno ad aumentare con il riscaldamento del mondo

– La perdita di habitat e l’uccisione diretta di animali selvatici rappresentano per le specie minacce più gravi del cambiamento climatico

– Il combustibile legnoso è di gran lunga peggio dei combustibili fossili per le persone e la fauna selvatica

– La prevenzione nei confronti di future pandemie richiede più, non meno, agricoltura “industriale”.

Mi rendo conto che i fatti di cui sopra appariranno a molti come “negazionismo climatico”. Ma questo non fa che confermare il potere dell’allarmismo climatico. Per la verità, questi fatti sono tratti dai migliori studi scientifici a disposizione, tra i quali quelli condotti o accettati dall’Ipcc, dalla Fao, dalla International Union for the Conservation of Nature e da altri enti scientifici tra i più importanti».

Nella sua richiesta di scuse a nome degli ambientalisti, Shelleberger dedica ampio spazio a respingere il prevedibile sospetto di essere «una specie di anti-ambientalista di destra», e a raccontare tutte le missioni e collaborazioni portate avanti nel corso di una vita al fianco di personalità e ambienti insospettabilmente di sinistra e di sinistra progressista, compreso Obama.

Poi un altro affondo urticante:

«Ma fino all’anno scorso, ho per lo più evitato di esprimermi contro il panico climatico. In parte perché ero in imbarazzo. Dopo tutto, sono colpevole di allarmismo come qualunque altro ambientalista. Per anni, ho parlato del cambiamento climatico come di una minaccia “esistenziale” per la civiltà umana, chiamandolo “crisi”.

Soprattutto, però, avevo paura. Sono rimasto in silenzio davanti alla campagna di disinformazione sul clima perché temevo di perdere amici e finanziamenti. Le poche volte che sono riuscito a raccogliere il coraggio per difendere la scienza del clima da quanti ne abusavano, ho subìto dure ripercussioni. E così per lo più sono rimasto al mio posto e non ho fatto quasi nulla mentre i miei compagni ambientalisti terrorizzavano l’opinione pubblica».

A rendere la confessione di Shellenberger definitivamente un caso, comunque, è stata la decisione di Forbes (sul cui sito il pezzo è apparso per la prima volta) di rimuovere l’articolo. Così l’autore ha denunciato su Twitter la “censura” ed è partito il copia-incolla generale, per la gioia degli ambienti “ecoscettici” di tutto il mondo.

Il clamore della polemica ha attirato l’attenzione del Guardian, giornale indubbiamente capofila dell’ambientalismo allarmista denunciato da Shellenberger (ha perfino deciso di adottare ufficialmente un linguaggio catastrofista). E l’operazione del quotidiano britannico è una perfetta dimostrazione del pregiudizio ideologico che regna sull’ecologia.

Secondo il Guardian, infatti, Shellenberger non ha scritto niente di nuovo, le sue tesi sono note, e se Forbes ha deciso di cancellare il suo articolo è perché «violava le linee guida a riguardo dell’autopromozione».

Nell’articolo “censurato” in effetti Shellenberger parla del suo nuovo libro, Apocalypse Never. Ma lo stesso Guardian non dedica che poche righe a questa violazione delle linee guida di Forbes sull’autopromozione. Così come il punto non appare nemmeno contestare le tesi del libro presentato da Shellenberger (ovvero: «Ci sono prove schiaccianti che la nostra civiltà ad alta energia è meglio per le persone e per la natura rispetto alla civiltà a bassa energia a cui gli allarmisti vorrebbero farci tornare»).

Il vero peccato di Shellenberger è che il suo articolo «è stato apprezzato dai media conservatori». Il Guardian ha anche raccolto commenti degli autorevoli studiosi citati dallo stesso Shellenberger a supporto della qualità del suo libro. Uno è il climatologo Tom Wigley dell’Università di Adelaide:

«[Il professor Wigley] spiega al Guardian Australia di ritenere che il libro “può ben essere il libro più importante mai scritto sull’ambiente”. Ma dice che il modo in cui nel commento è esposta la questione del cambiamento climatico metterà Shellenberger in una posizione complicata. “Penso che Michael si sia spinto un po’ troppo in là e dovrà difendere questo articolo per molti anni. Nel frattempo, le sue parole potranno essere distorte da gente che non crede nel riscaldamento globale di origine antropica e questo potrà fare danni”, dice Wigley».

Insomma, Shellenberger la dirà anche giusta, avrà anche pubblicato il libro più importante mai scritto sull’ambiente, ma ha esagerato i toni, tanto è vero che il suo articolo piace ai conservatori “negazionisti” che mettono in dubbio la catastrofe in arrivo.

Il cortocircuito è servito. Perché gli ambientalisti in tutti questi anni non hanno forse esagerato con gli allarmi, come sostiene appunto Shallenberger? Ancora un passaggio dal suo articolo:

«Ha detto Alexandria Ocasio-Cortez: “Il mondo finirà entro 12 anni se non affrontiamo il cambiamento climatico”. E il gruppo ambientalista di maggior rilievo del Regno Unito ha dichiarato che “il cambiamento climatico uccide i bambini”».

E il Guardian si è preoccupato forse di indagare sui toni e sulle esagerazioni usati da Al Gore – solo per fare un esempio tra i tanti possibili – quando questi sostiene, rilanciato dal Guardian stesso, che «combattere il climate change è come combattere contro la schiavitù»? Fatto sta che adesso, a differenza di Al Gore, di Ocasio-Cortez, di Extinction Rebellion e dell’Ipcc, Shellenberger sarà costretto a «difendere questo articolo per molti anni» e a difendere se stesso dall’accusa di negazionismo. Chissà perché.





Ambientalismo catastrofista

https://www.corriere.it/solferino/sever ... -26/07.spm


Caro Beppe,
con riferimento alla lettera di Antonio Roccabianca (19 gennaio) sul rapporto "State of the World 2004" e alla tua risposta vorrei esprimere un parere controcorrente rispetto a questo (ahimè) diffuso sentire pregno di catastrofismo ambientale. I punti salienti sono: "si rischia il collasso ambientale del pianeta (Roccabianca/Wolrldwatch Institute), "l'industria produce in una settimana quello che nell'Ottocento produceva in quattro anni: non credo si possa andare di questo passo.
Mancano risporse e, soprattutto, spazio" (Severgnini). Innanzitutto lo sviluppo tecnologico-industriale dall'Ottocento ad oggi ha comportato lo sviluppo economico e dei consumi ma anche del benessere delle popolazioni di tutto il Pianeta. Oggi si vive più del doppio dell'Ottocento e il progresso (più richezza, più istruzione, meno ore i lavoro etc.) ha coinvolto tutti, anche i Paesi in via di sviluppo (e l'Occidente ha fatto da traino). Si pensi, tra l'altro, che la disponibilità di cibo è in continuo aumento e, conseguentemente, il costo delle derrate alimentari è in continuo calo, anche in stati come la Cina con un elevatissimo numero di bocche da sfamare.
Mancano risorse? Beppe, la disponibilità delle risorse continua ad aumentare perchè lo sviluppo tecnologico permette di sfruttare riserve sempre più povere (ricordi quando ci raccontavano che il petrolio sarebbe esaurito a momenti?): l'età della pietra non è finita per mancanza di pietre ma perchè lo sviluppo tecnologico ha permesso di disporre di alternative migliori. In conclusione, è evidentemente necessario mantenere un convinto atteggiamento ambientalista senza cadere però in inutili catastrofismi. Affermazioni del tipo "si rischia il collasso ambientale" o "non credo si possa andare avanti in questo modo" assomigliano alle previsioni astrologiche che si leggono in dicembre sui giornali -e mai confermate!- e non aiutano ad affrontare con consapevolezza e determinazione le sfide che la difesa dell'ambiente ci riserva.
Giovanni Straffelini




Catastrofismo ambientalista e fine del mondo
Vittorio Messori
21 gennaio 2011

https://www.lanuovabq.it/it/catastrofis ... -del-mondo

Sul Web impazzano siti e blog apocalittici che parlano della fine del mondo. L'ideologia verde dà loro man forte. Ma il cristiano sa che non deve chiedere né il giorno né l'ora, e deve invece preparsi alla sua fine del mondo...

Scorazzando nella grande rete Web rimango impressionato da quanta voglia ci sia in giro di Apocalisse: nei blog, nei siti, un po’ dappertutto. Non si capisce bene se sia il timore o un recondito desiderio che attira l’uomo post-moderno verso queste prospettive.

In realtà quel terrore post-moderno ha caratterizzato molte epoche della nostra storia. Tante, tantissime volte l’uomo ha presentito la fine ormai vicina del mondo, di fronte a pestilenze o disastri naturali. Da Hiroshima in poi la mentalità apocalittica è stata segnata dall’equilibrio del terrore. Oggi, la tentazione catastrofista è rappresentata da un certo ambientalismo e “verdismo”.

Con il supporto di dati pseudo-scientifici riaffiora l’antica ossessione dell’Apocalisse. Negli anni Settanta – e lo ricordo bene perché li seguovo da cronista – la bufala ambientalista era quella del raffreddamento globale: si pensava che i poli si sarebbero via via estesi, che il mar Mediterraneo si sarebbe ghiacciato, che saremmo morti di freddo Quarant’anni dopo la bufala catastrofista, nonostante siano già tre, quattro inverni che battiamo i denti, ci parla del riscaldamento globale e dello scioglimento dei ghiacciai. Ci dicono anche che moriremo tutti avvelenati o asfiassiati.

Poi c’è il catastrofismo demografico, dicono che siamo in troppi, che soffocheremo, che non ci saranno risorse… Insomma, l’ambientalismo e il “verdismo” sono il volto moderno di un’ossessione che attraversa la storia. Il Web lo dimostra e m’impressiona constatare quante siano le persone che si lasciano coinvolgere.

Come guarda il cristiano a questo fenomeno? Innanzitutto ricordando i capitoli 24 e 25 del Vangelo di Matteo, là dove Gesù parla dei segni della fine dei tempi. Il Vangelo ci avverte che prima o poi il mondo finirà, ma noi dobbiamo riflettere su questo prima o poi. Gesù, infatti, in quel discorso apocalittico, dice di non stare a speculare sul giorno e sull’ora, perché non lo conoscono gli angeli del cielo e neppure il Figlio, solo il Padre lo sa. Affermazione sulla quale hanno molto dibattuto i teologi.

Lasciamo agli esperti di teologia questo problema, e rimaniamo al testo evangelico: Gesù ci raccomanda di vigilare, ma ci dice esplicitamente di non dedicarci a speculazioni più o meno attendibili per cercare di sapere quando e come la fine del mondo avverrà. Se volessimo sapere la data, andremmo contro l’insegnamento evangelico.

Non posso qui non citare i Testimoni di Geova, che già più volte hanno fornito queste date – rivelatesi ovviamente fasulle – e continuano ad aggiornarle spostando sempre più in là la fine del mondo da loro già preannunciata da almeno un secolo. Di fronte al dilagare dell’ossessione apocalittica e catastrofista, il cristiano deve meditare sl fatto che per ciascuno di noi la fine del mondo verrà, ed è il momento della morte, quando chiuderemo gli occhi per sempre e ci inoltreremo nell’aldilà. Questa la fine del mondo, stabilita per ciascuno di noi.
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Re: Clima, politica energetica US e Greta con i suoi gretini

Messaggioda Berto » dom lug 04, 2021 8:41 am

Plastica, cambia tutto: cosa non si può più usare dal 3 luglio
Alessandro Imperiali
2 giugno 2021

https://www.ilgiornale.it/news/economia ... 1622653462


Entro il 3 luglio i Paesi dell'Unione Europea saranno obbligati ad attuare la direttiva antiplastica "Sup" che sta per Single use plastic.

Con questa misura si cerca di frenare l'inquinamento che in primis colpisce il mare. Stop quindi, come già annunciato qui su Il Giornale, a tutti i prodotti realizzati con essa che hanno funzione monouso e a tutti quelli fatti con plastica oxo-degradabile, vale a dire lo stesso materiale ma con l'aggiunta di additivi che ne accelerano la frammentazione e scomposizione.

Concretamente, spiega il Corriete.it, tutto ciò che è stato utilizzato fino ad oggi dalla stragrande maggioranza delle persone per le feste, a partire dal 3 luglio, sarà vietato: basta palloncini, bottiglie con capacità fino ai tre litri, tappi, coperchi, tazze in polistirolo espanso, posate, cannucce e piatti. Gli unici prodotti a sfuggire dalla stretta sono quelli riutilizzabili che, di conseguenza, andranno a perdere la loro funzione "usa e getta".

Costretto a reinventarsi anche il settore del packaging alimentare dal momento che i contenitori nel quale viene portato a casa delle persone il cibo non potrà più essere di plastica oxo-degradabile ma solo di carta o al massimo di plastica biodegradabile al 100%.

Vietati anche gli assorbenti igienici, i tamponi, gli applicatori di tamponi e le salviette umidificate. Cambieranno anche i filtri delle sigarette. Divieti anche nel mondo della pesca, al bando tutti gli attrezzi che contengono plastica. E menomale dal momento che ogni anno, secondo Greenpeace, sono più di 640mila le tonnellate di plastica, tra lenze e reti, che vengono abbandonate negli oceani. Queste in realtà, nonostante si continui a puntare il dito contro le cannucce o i piatti di plastica, sono i veri colpevoli dell'inquinamento dei mari.

Sono diverse però le voci critiche. La prima è quella di Giancarlo Giorgetti, ministro per lo Sviluppo economico, che ha ipotizzato una riserva sull'entrata in vigore della direttiva auspicando tempi diversi per la fine della produzione di prodotti come bicchieri e piatti di carta. Dubbioso anche Roberto Cingolani, ministro della Transizione ecologica, il quale fa notare il comportamento ambiguo dell'Unione Europea: "L'Europa ha dato una definizione di plastica stranissima, solo quella riciclabile, tutte le altre anche se sono biodegradabili o additive, non vanno bene" eppure "l'Ue sta finanziando grandi progetti europei per sviluppare plastiche biodegradabili".

Dello stesso avviso anche Fratelli d'Italia il quale, attraverso le figure di Nicola Procaccini, Carlo Fidanza e Pietro Fiocchi, ha spiegato: "La direttiva Ue sulle plastiche monouso è totalmente incoerente con gli investimenti pianificati dalla stessa Ue e dannosa per molte aziende italiane che hanno investito risorse e tecnologie sul biodegradabile".

Salini di Forza Italia la considera una decisione incomprensibile che "infliggerà un colpo durissimo ad un settore che garantisce 50mila posti di lavoro".
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