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GERMANIZZAZIONE FORZATA E PULIZIA ETNICA NEL TRENTINO (1866-1918)https://www.facebook.com/NuovoRisorgime ... 9167205111Gli abitanti del Trentino durante il Risorgimento furono per lo più favorevoli all’Italia e contrari all’Austria. Tale era l’opinione degli stessi militari e funzionari austriaci, a cominciare dal Radetzky. [Alan Sked, Radetkzy e le armate imperiali. L’impero d’Austria e l’esercito asburgico nella rivoluzione del 1848, Bologna 1983] In anni più tardi, Markus von Spiegelfeld, Luogotenente del Tirolo dal 1906 (quindi governatore anche del Trentino), aveva inviato nel 1912 un memorandum all’erede al trono Francesco Ferdinando d’Asburgo dichiarando che la popolazione del Trentino era interamente d’idee e sentimenti italiani: “Nazionale, anzi marcatamente nazionale, è tutta la popolazione laggiù”. [P. Pombeni, "Il primo De Gasperi. La formazione di un leader politico", il Mulino, Bologna 2007, pp. 183 sgg.]
Questa consapevolezza dell’ostilità delle popolazioni trentine nei confronti dell’occupazione austriaca fece sì che anche il Trentino-Alto Adige divenisse sin dal 1848 teatro di violenze ed eccidi da parte delle soldatesche asburgiche e dei nazionalisti italofobi ivi presenti.
Ad esempio in una casa isolata a pochi passi da Vilpian (paese vicino a Bolzano), viveva una famiglia di coloni italiani, che il proprietario del podere avea chiamati dal Trentino per introdurre in quella località la coltura del gelso. Il 17 giugno del 1848, mentre la famiglia composta da otto persone stava pacificamente cenando nella propria casa dopo aver lavorato durante la giornata. Essi furono all’improvviso assaliti da una folla d’esaltati, costituita da Schützen (milizie territoriali tirolesi) e da contadini germanici, armati di fucili, forconi e mannaie. Tranne uno, tutti i componenti della famiglia di Trentini, assaliti al grido di “Morte ai traditori italiani”, furono massacrati, alcuni a colpi di baionetta e mannaia. L’unico superstite fu arrestato per sospetto di tradimento e, dopo lunga detenzione, rilasciato perché riconosciuto completamente innocente. I colpevoli del massacro, compiuto unicamente per odio verso gli italiani, furono lasciati indisturbati ed impuniti dalla magistratura e dalla polizia imperiali.
In occasione della guerra del 1866 molte centinaia di Trentini furono incarcerati e deportati in fortezza sino a Comons, in Ungheria, soltanto perché sospettati d’idee irredentiste. La misura era un’anticipazione di ciò che poi avvenne durante la Grande Guerra, quando 100.000 Trentini o più furono spediti in campi di concentramento.
Quando non si sfogava in massacri ed assassini, l’operato delle autorità asburgiche era comunque vessatorio e provocatorio verso gli abitanti italiani. Ad esempio, a Levico un maggiore austriaco fece condannare ad un lungo periodo di carcere un giovane, colpevole di non essersi tolto il cappello quando aveva casualmente incrociato per strada l’ufficiale asburgico. In un’altra circostanza, un altro ufficiale dell’esercito imperiale ordinò di distruggere un mazzo di margherite, appena acquistato, unicamente perché il nome della regina d’Italia dell’epoca era appunto Margherita.
Gli abitanti di Trento videro la propria città fatta oggetto di scempio da un regime d’occupazione militare che durò in pratica dal 1860 al 1867: moltissime abitazioni private furono sequestrate ed assegnate a militari; altre ebbero murate porte e finestre, o vennero abbattute. Dulcis in fundo, le spese per l’occupazione furono addebitate alla cittadinanza, cosicché le spese di vitto, alloggio, della guarnigione ecc., oltre i danni enormi inferti all’edilizia, caddero interamente sulla città di Trento.
La situazione degli italiani del Trentino peggiorò ancora a partire dal 1866, ossia dalla famigerata decisione dell’imperatore Francesco Giuseppe, verbalizzata dal consiglio dei ministri imperiale del 12 novembre 1866, di “germanizzare e slavizzare” il Trentino, la Venezia Giulia e la Dalmazia. [«Sua Maestà ha espresso il preciso ordine che si agisca in modo deciso contro l’influenza degli elementi italiani ancora presenti in alcune regioni della Corona e, occupando opportunamente i posti degli impiegati pubblici, giudiziari, dei maestri come pure con l’influenza della stampa, si operi nel Tirolo del Sud, in Dalmazia e sul Litorale per la germanizzazione e la slavizzazione di detti territori a seconda delle circostanze, con energia e senza riguardo alcuno».
La versione originale in lingua tedesca è la seguente: «Se. Majestät sprach den bestimmten Befehl aus, dass auf die entschiedenste Art dem Einflüsse des in einigen Kronländern noch vorhandenen italienischen Elementen entgegentreten durch geeinignete Besetzung der Stellen von politischen, Gerichtsbeamten, Lehrern sowie durch den Einfluss der Presse in Südtirol, Dalmatien und dem Küstenlande auf die Germanisierung oder Slawisierung der betreffenden Landesteile je nach Umständen mit aller Energie und ohne alle Rücksicht hingearbeitet werde. Se. Majestät legt es allen Zentralstellen als strenge Plifcht auf, in diesem Sinne planmäßig vorzugehen.». Die Protokolle des Österreichischen Ministerrates 1848/1867. V Abteilung: Die Ministerien Rainer und Mensdorff. VI Abteilung: Das Ministerium Belcredi, a cura di STEFAN MALFÈR, Wien, Österreichischer Bundesverlag für Unterricht, Wissenschaft und Kunst 1971; la citazione compare alla Sezione VI, vol. 2, seduta del 12 novembre 1866, p. 297]
Già nel 1866 il luogotenente del Tirolo, il principe Lobkovitz, ed il consigliere aulico a Trento, il conte Hohenwart, avevano dato l’avvio ad un programma scolastico in lingua tedesca per la zona del Trentino ed al contempo alla germanizzazione della zona mistilingue posta a nord di Salorno. A dimostrazione della continuità di questa politica, nel gennaio del 1886 l’allora luogotenente del Tirolo, Widmann, scrivendo al primo ministro Taaffe sosteneva che la germanizzazione rientrava fra gli interessi generali dello stato imperiale e difendeva i tentativi di germanizzare le scuole nel Trentino.
In tutto il periodo 1866-1918 un’università in lingua italiana nell’impero austroungarico non esistette mai e neppure anche solo una facoltà. Vi furono, in tutto e per tutti, alcuni corsi, per alcuni anni, all’università di Innsbruck, che eccezionalmente e per speciale concessione erano in italiano. Si trattava d’alcuni corsi della facoltà di diritto, d’alcuni corsi della facoltà di medicina e d’un solo corso di lingua e letteratura italiana. Anche per diritto e medicina comunque questi corsi paralleli in lingua italiana non erano sufficienti ad assicurare un ciclo completo di studi. La concessione di questi corsi, paralleli e non sostitutivi a quelli in lingua tedesca (gli italiani potevano seguire alcuni corsi nella loro lingua, se lo volevano, ma gli studenti austriaci avevano comunque quelli in tedesco) era stata permessa per l’esigenza d’avere funzionari e medici che potessero interagire senza difficoltà con amministrati e pazienti di lingua italiana: si trattava quindi d’una speciale autorizzazione accordata fondamentalmente per ragioni di funzionalità. Tutti gli altri corsi, d’ogni facoltà, erano in tedesco, in una università tedesca e con facoltà tedesche.
La richiesta d’una università in lingua italiana od almeno d’una facoltà fu ripetutamente avanzata dal 1866 dagli italiani, ma sempre rifiutata. Agirono in senso contrario sia i nazionalisti austriaci e slavi, sia altissimi politici e militari, come il Luogotenente di Trieste Kellersperg, un altro Statthalter del Litorale come Goëss, il Luogotenente del Tirolo Schwarteznau, l’arciduca Eugenio, comandante del corpo d’armata tirolese … Costoro, tutti, temevano che una università o facoltà in lingua italiana rafforzasse l’identità etnica degli italiani, quindi l’irredentismo. Degne di menzione sono le argomentazioni del Goëss contro l’università italiana a Trieste: essa non andava concessa, perché avrebbe rafforzato l’irredentismo degli italiani a discapito dei gruppi etnici lealisti degli austriaci e degli slavi; avrebbe messo in crisi il sistema di scuole elementari e medie in lingua tedesca, che servivano anche da strumento di penetrazione della cultura germanica fra gli italiani; questo altissimo funzionario ricordava anche che Trieste andava considerata come la porta del germanesimo in direzione dell’Adriatico.
I famosi “fatti di Innsbruck” divennero emblematici della pressione esercitata contro il gruppo etnico italiano dall’impero e dai nazionalisti germanici servendosi in questo anche del sistema scolastico ed universitario.
Come si è detto più approfonditamente sopra, sin dal 1848 gli Italiani di Trieste sollecitavano l’apertura di una università italiana nella grande città costiera, per dimensioni la terza dell’impero, dopo Vienna e Praga, ma tale richiesta fu sempre respinta. Dopo il 1866 gli Italiani, oltre alla pulizia etnica orchestrata da Francesco Giuseppe, dovettero anche affrontare l’impossibilità di recarsi a studiare presso le università italiane, in primis quella di Padova, che aveva rappresentato sin dal secolo XV il luogo di formazione di tutta la classe dirigente del Trentino, della Venezia Giulia e della Dalmazia. Pertanto la domanda al governo centrale di poter aprire un’università italiana a Trieste si fece pressante. Infine, nel 1904, dopo un’attesa di 56 anni, Vienna concesse la fondazione non di una università, ma soltanto di una facoltà di giurisprudenza in lingua italiana, e non a Trieste, bensì nella lontana e germanica Innsbruck. Già questa scelta palesava la volontà austriaca d’impedire il più possibile la formazione e conservazione della cultura italiana nei propri territori.
Comunque, il 3 novembre del 1904 diverse centinaia di studenti italiani, molti dei quali provenienti sin dalla Venezia Giulia e dalla Dalmazia, si trovavano ad Innsbruck per assistere all’apertura dell’anno universitario di tale facoltà di giurisprudenza. Tuttavia, al loro arrivo nella città austriaca, i nazionalisti e pangermanisti locali diedero aperta prova della loro ostilità verso la fondazione di tale facoltà. La polizia di Innsbruck, su pressioni delle autorità politiche locali, entrò nell’aula, in cui il professor Angelo de Gubernatis stava tenendo il discorso inaugurale, ordinando d’interrompere la cerimonia.
Gli studenti italiani si limitarono allora ad offrire un banchetto in onore del prof. de Gubernatis, per giunta con previo accordo delle autorità. Ciò bastò tuttavia a suscitare la reazione violentissima degli abitanti di Innsbruck, i quali compirono una specie di insurrezione. Gli Italiani presenti in città furono scacciati ed i loro beni saccheggiati, mentre gli studenti furono circondati all’interno della sede università e stretti d’assedio con armi da fuoco. Intervenne infine l’esercito, il quale però arrestò tutti gli studenti italiani (fra cui Cesare Battisti ed Alcide De Gasperi), malgrado questi non avessero compiuto alcun reato e si fosse limitati a difendersi dall'aggressione violentissima dei cittadini di Innsbruck, che non patirono invece arresti.
In seguito a tale pogrom anti-italiano fu poi ordinata la chiusura della facoltà di giurisprudenza.
[ANGELO ARA, La questione dell’Università italiana in Austria, in «Rassegna storica del Risorgimento» LX, 1973; G. DEUTHMANN, Per la storia di alcune scuole in Dalmazia, Zara 1920; VIRGINIO GAYDA, L'Italia d'oltre confine. Le provincie italiane d'Austria, Torino 1914; ATTILIO TAMARO, Le condizioni degli italiani soggetti all'Austria nella Venezia Giulia e nella Dalmazia, Roma 1915; ERNESTO SESTAN, Venezia Giulia. Lineamenti di una storia etnica e culturale, Udine 1997; A. M. VINCI, Storia dell’Università di Trieste. Mito, progetti, realtà, Trieste 1997; la stessa tesi di dottorato di Michael Völkl citata da felicitamodna82 dedica ampio spazio all’attività politica che De Gasperi svolse in opposizione e contrasto ai tentativi di germanizzare il Trentino, ripetutamente ed apertamente denunciati da questo politico. Un intero capitolo, il quarto, è dedicato al contrasto con il nazionalismo germanico:Die negative Erfahrungsebene: Der deutsche Nationalismus, in MICHAEL VÖLKL, Das Deutschenbild Alcide De Gasperis (1881-1954). Ein Beitrag zur Geschichte der italienischen Deutschenwahrnehmung, Monaco 2004, pp. 105 sgg.; DAVIDE ZAFFI, Associazionismo nazionale in Cisleithania. Il Deutscher Schulverein (1880), in Studi trentini di scienze storiche, 67, (1988), pp. 273-323.]