I veneti del Veneto xełi on popoło e na megnoransa nasional?

Re: I veneti del Veneto xełi on popoło?

Messaggioda Berto » gio lug 02, 2015 7:48 pm

???

L’Autodeterminazione va esercitata

Pubblicato 29 giugno 2015 | Da daniele

http://www.life.it/1/lautodeterminazion ... #more-5853

Una volta possedevo un cagnolino bello, bravo, buono, intelligente ma troppo obbediente. Bastava legarlo con un filo di cotone da cucire, inadatto a trattenere un qualsiasi cane, ma tant’era che lui si sentiva legato come se avesse avuto una pesante catena al collo. Il Popolo Veneto assomiglia a questo mio cagnolino: è tenuto in schiavitù da un esile filo che si chiama LEGGE ITALIANA che non può reggere il peso dell’esercizio del DIRITTO DI AUTODETERMINAZIONE normato da Patti Internazionali ratificati dall’Italia che hanno prevalenza sul diritto interno italiano.

Spero , qui sotto di riuscire a spiegare questo concetto perché, capito questo, il Popolo Veneto sarà LIBERO!

L’Autodeterminazione di un popolo non è un concetto astratto, teorico, è un DIRITTO che la comunità internazionale degli Stati riconosce ad ogni singolo Popolo.

IL PATTO INTERNAZIONALE RELATIVO AI DIRITTI ECONOMICI, SOCIALI E CULTURALI, nonché Il PATTO INTERNAZIONALE RELATIVO AI DIRITTI CIVILI E POLITICI, riconoscono ai popoli il diritto di Autodeterminazione nonché di trattenere le risorse, per questo scopo, infatti:

PARTE PRIMA

Articolo 1

1. Tutti i Popoli hanno diritto di autodeterminazione. In virtù di questi diritto, essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale.

2. Per raggiungere i loro fini, tutti i popoli possono disporre liberamente delle proprie ricchezze e delle proprie risorse naturali, senza pregiudizio degli obblighi derivanti dalla cooperazione economica interazionale, fondata sul principio del mutuo interesse e dal diritto internazionale. In nessun caso un popolo può essere privato dei propri mezzi di sussistenza.

I Patti, impongono agli Stati aderenti, norme vincolanti di comportamento, infatti:

PARTE PRIMA

Articolo 1

3. Gli Stati parti del presente patto, ivi compresi quelli che sono responsabili dell’amministrazione di territori non autonomi e di territori in amministrazione fiduciaria, debbono promuovere l’attuazione del diritto di autodeterminazione dei popoli e rispettare tale diritto, in conformità alle disposizioni dello Statuto delle Nazioni Unite

PARTE SECONDA

Articolo 2

1. Ciascuno degli Stati parti del presente Patto si impegna ad operare, sia individualmente sia attraverso l’assistenza e la cooperazione internazionale, specialmente nel campo economico e tecnico, con il massimo delle risorse di cui dispone, al fine di assicurare progressivamente con tutti i mezzi appropriati, compresa in particolare l’adozione di misure legislative, la piena attuazione dei diritti riconosciuti nel presente Patto.

2. Gli Stati parti del presente Patto si impegnano a garantire che i diritti in esso enunciati verranno esercitati senza discriminazione alcuna, sia essa fondata sulla razza, il colore, il sesso, la lingua, la religione, l’opinione politica o qualsiasi altra opinione, l’origine nazionale o sociale, la condizione economica, la nascita o qualsiasi altra condizione.

Articolo 5

1. Nessuna disposizione del presente Patto può essere interpretata nel senso di implicare un diritto di qualsiasi Stato, gruppo o individuo di intraprendere attività o di compiere atti miranti a sopprimere uno dei diritti o delle libertà riconosciuti nel presente Patto ovvero a limitarlo in misura maggiore di quanto è previsto nel Patto stesso.

Ora è chiaro che l’Autodeterminazione dei Popoli è un Diritto inalienabile, tutelato anche da obblighi che gli Stati ratificanti si sono assunti.

L’Italia ha ratificato questi Patti e li ha resi propri con la legge 881/77 impegnandosi nel contempo a riconoscere il DIRITTO DI AUTODETERMINAZIONE DEI POPOLI e a tutelarlo.

Ancor più, esiste nell’ordinamento italiano, un principio per il quale:

L’ESERCIZIO DI UN DIRITTO PREVISTO DALLE NORME NON LEDE NESSUNO.

Nel diritto penale, l’esercizio di un diritto è una causa di giustificazione prevista nell’art. 51 del codice penale italiano: ” L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità“. Non può quindi essere punito chi nell’esercizio di un diritto, compia atti o fatti che integrino una fattispecie preveduta dalla legge come reato.

Un’applicazione che ha tratto ispirazione dalla massima facente parte del diritto romano, dal latino iure suo utitur, neminem laedit (lett. Colui che esercita un proprio diritto, non lede nessuno). Infatti la ratio della non punibilità va ricercata nel principio di non contraddizione dell’ordinamento giuridico che non può concedere la facoltà di agire e al tempo stesso vietare l’esercizio di quella stessa facoltà.

Ecco perché':

IL DIRITTO DI AUTODETERMINAZIONE DEL POPOLO VENETO VA ESERCITATO;

NON ABBISOGNA DI RICONOSCIMENTO ALCUNO;

NON VIOLA ALCUNA NORMA TANTOMENO PRINCIPII VARI DELLA COSTITUZIONE ITALIANA.

Il madornale errore che troppi Veneti continuano a fare è di ritenere che tale diritto debba essere riconosciuto (chissà da chi?) e si debbano seguire vie legali (quali vie non è chiaro!).

I due trattati citati possiedono una caratteristica ineguagliabile da qualsiasi norma di diritto italiano: la chiarezza. C’è una spiegazione logica di questa estrema semplicità nel linguaggio: i Trattati originari sono scritti in lingua inglese, lingua molto più sobria ed essenziale rispetto all’italiano che, eccessivamente articolato si presta, a interpretazioni cavillose che arrivano a trasformare una stessa norma da eccessivamente permissiva ad eccessivamente punitiva, a danno della certezza del diritto. I testi sono stati tradotti in italiano da traduttori e non da machiavellici estensori di norme mantenendo così l’essenzialità della forma inglese.

Divertiamoci a leggere queste norme, due, tre, quattro volte; leggiamole ai nostri bambini che le capiranno facilmente, impariamole a memoria, se necessario per capire che il Diritto di Autodeterminazione VA ESERCITATO.

Le elezioni del Popolo Veneto del 2009, organizzate da LIFE-Autogoverno del Popolo Veneto, il Plebiscito del 2014 organizzato da Plebiscito.eu, la costituzione di un Governo, di un Parlamento, di un Tribunale, di organi di Polizia ed anche di un Esercito non sono altro che l’ ESERCIZIO DEL DIRITTO DI AUTODETERMINAZIONE DEL POPOLO VENETO.

L’Italia non può ostacolarne l’ESERCIZIO deve prendere atto della volontà del Popolo Veneto, promuovere e rispettare il suo DIRITTO ALL’AUTODETERMINAZIONE perché i Patti sanciti lo impongono: PACTA SUNT SERVANDA e l’Italia non può sottrarsene senza violarli e diventare oggetto della condanna internazionale.

Daniele Quaglia



Vero, ma cogna k'a ghe sipia el popoło e no 4 gati ke se dixe popoło. Ghe vol miłioni de veneti ke łi se diga "popoło veneto" e dapò łi podarà exerçidar ła so aotodeterminansa ... ma fina kè a ghè lomè 4 gati e do pantegane no ghè gnaon popoło veneto. Ghe vol ła forsa de on popoło, de milioni de omani par determinarse e no łe ciacołe de coalke dexina, o sentenara o miłara de parsone ke łe se dixe venete.
Par el stado tałian l'ognoło popoło lè coeło tałian e gnanca łè megnoranse łengoesteghe łe xe popoło a sè. Parké i veneti łi sipia on popoło difarente da coeło tałian łi ga da farlo vedar al mondo mostrandose a miłioni come veneti pì ke tałiani come ke łi fa deso: a łe olteme ełesion 2 miłioni łi se ga manefestà come tałiani e lomè 100 miła come veneti; difiçiłe ke co sti nomari a posa esarghe on popoło veneto e on dirito de aodeterminarse.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: I veneti del Veneto xełi on popoło?

Messaggioda Berto » sab lug 04, 2015 8:32 pm

Veneto pexo de ła Libia: a ghè 4 Governi, 3 Parlamenti e 2 anagrafe ma manca ła roba pì enportante: manca el Popolo Veneto

viewtopic.php?f=126&t=1592
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Re: I veneti del Veneto xełi on popoło?

Messaggioda Berto » gio set 03, 2015 6:24 am

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Re: I veneti del Veneto xełi on popoło?

Messaggioda Berto » ven dic 11, 2015 10:27 am

Màsa eideołoja e màsa finsion ???


IDENTITA’ VENETA, COME E’ STATA COSTRUITA NEI MILLENNI.
14 novembre 2015 di Millo Bozzolan

http://venetostoria.com/2015/11/14/iden ... i-millenni

Di cosa è fatta l’identità di un popolo? di molte cose, che si riassumono in una visione comune del mondo, con questa visione si affrontano i problemi del vivere, e si progetta il futuro, guardando sempre di non tradire il passato. E noi Veneti, di passato ne abbiamo tanto, da far impallidire persino la lunga storia di Nazioni molto importanti e grandi, quali la Francia e l’Inghilterra, ad esempio. Non è una vanteria sciocca, la nostra. Di Veneti si parlava più di tremila anni orsono, dei Veneti del nord est dell’Italia, almeno, perché bisognerebbe considerare anche i Veneti di varie parti dell’Europa egli ‘Eneti’ del Medio Oriente che allevavano ‘bianche mule selvagge’, descritti da Omero come alleati valorosi dei troiani.
Ai Veneti antichi non piaceva la guerra: non guerreggiavano come i Celti, per vivere di saccheggio e di bottini. Ai Veneti piaceva la pace, ma si difendevano valorosamente se attaccati. ???

Sconfissero pure i temibili spartani, che risalitono la Brenta con delle navi i cui rostri ancora si vedevano esposti, ci racconta Tito Livio, nel tempio di Giunone (in epoca romana, probabilmente prima era dedicato allaDea Reitia) a Padpva, come prede di guerra. Gente pacifica, ma determinata a difendere la libertà. Salvarono addiritura la Roma dei re, quando Brenno, re dei Galli (Celti) la invase, invadendo a loro volta i teritori celti e costringendoli a una precipitosa retromarcia dal Lazio.
Di loro, e delle loro misteriose origini ne parlano gli storici romani e greci: e ne delineano delle caratteristiche che ancor oggi troviamo ben vive. Gente valorosa in guerra (pensimo ai nostri alpini nelle due grandi guerre) ???, con uno spiccato senso religioso, (non dimentichiamo che questa terra era definita, fino a pochi decenni or sono, laVandea italiana) ???, e infatti i culti degli dei del tempo erano molto praticati e sentiti come identitari: laboriosa, perché secondo Polibio, solo da Padova, specializzata nel tessile, partivano carovane enormi cariche di stoffe dirette al mercato di Roma lavorate dai nostri avi. Con una società priva di re, ma governata, probabilmente da assembee popolari (???), divise nelle classi sociali di allora. Insomma, tutta questa eredità non sparì con la romanizzazione, ma proprio grazie ad essa, poichè godevamo di ampia autonomia municipalein quanto antichi alleati, attraversò i secoli fino a essere raccolta dalla Repubblica di Venezia che riunificò quello che ancora era considerato un territorio con una identità comune e forte: la X Regio Venetia et Histria ???.

Venezia e il suo stato non nacquero dal nulla, riprendevano il cammino comune ai Veneti, ma nello stesso tempo, Venezia diventava un simbolo di valori universali, che potevano essere condivisi da altre Nazioni. In questa universalità condivisa, basata su principi cristiani (allora era così, piaccia o meno) ogni popolo, veneto vero e proprio o di altra etnia, era “veneto” nel senso più alto del termine. Dominuim Venetum conservat Republica, Religione, Lege, Iustitia, Subditos, Charitate, Amore, Pietate. Cosa significa, questo “latinorum” astruso? semplicemente che la Repubblica conserva il suo stato (Dominium) attraverso la Legge (non quindi l’arbitrio del Despota), la Religione che garantiva la giustezza delle leggi ispirate a principi naturali, e la Giustizia, che era tenuta ad applicare le leggi di derivazione cristiana, mentre i suoi cittadini erano ‘conservati’ dalla Carità, dall’Amore, dalla Pietà.Tutte virtù del Buon Governo come lo si intendeva allora, e come non lo si intende più oggi. Pare che l’amore, la pietà e la carità dello stato verso i cittadini, sia una anacronismo. Esistono solo ‘diritti’ e carte costituzionali, ma manca l’amore di fondo, in una civiltà basata sull’egoismo ???.

E’ a questa universalità di valori, a parer mio, a cui il movimento indipendentista dovrebbe far riferimento, non all’identità artificiosa su cui invece da Napoleone in poi, si sono fondati gli stati moderni. Non una Patria monoblocco, dunque, ma una rinata Patria Veneta che comprenda tante piccole Patrie, con tante storie diverse, unite dal passato percorso comune, sotto il segno universale del Leone marciano che difendeva le diversità, fino a rinunciare ad imporre una lingua unica. Così ogni città diventava una piccola Nazione a sè bastante, non omologata a forza, gelosa delle sue peculiarità e pronta a morire, come accadde in tanti secoli, fini a quel tragico 1797, per difendere “San Marco benedetto” che garantiva le libertà di tutti ???.


Me despiaxe ma Venesia no ła jera cusì; ła Repiovega Veneta no ła jera ła Repiovega de tuti veneti, ma la jera on domegno venesian e staltri veneti de tera łi jera lomè suditi e no sorani.
I veneti no łi jera fradełi!



Sti kì no łi ga mai raprexentà el Popoło Veneto - Sti kì łi raprexenta el Popoło Ixraełian

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... aelian.jpg



Le "Piccole Patrie" o łe "Pàree Cee" no łè on portà de Venesia ma de l'Ouropa xermana, de łe Çità Stado mexoevałi, dei Comouni co łe so istitusion repiovegane ke łe se ga enestà anca ente ła łagouna veneta e dapò a Venesia:


Comun, Arengo, Concio, Mexoevo, Istitusion
viewtopic.php?f=172&t=273


Arengo/rengo e arena, concio, conçilio, concilio, thing, ekklesia, appella, alia, pil-
viewtopic.php?f=44&t=74
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Re: I veneti del Veneto xełi on popoło?

Messaggioda Berto » sab mag 14, 2016 7:43 am

Comun, Arengo, Concio, Mexoevo, Istitusion
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Università di Francoforte - Gerhard Dilcher

FORMAZIONE DELLO STATO E COMUNE CITTADINO NEL SACRO ROMANO IMPERO

http://www.dirittoestoria.it/3/Memorie/ ... tadino.htm

SOMMARIO: – I. Il comune come forma costituzionale. – II. Leghe tra città e Impero. – III. Conclusioni – comune cittadino e stato.

Sebbene in maniera diversa, gli storici e gli storici dei diritto hanno spesso accennato al fatto che la formazione dei comuni cittadini alla fine dell'alto Medioevo e la formazione dello stato nel corso dei tardo Medioevo e nell'età moderna hanno una notevole somiglianza fra loro. I pareri si discostano alquanto sul grado di somiglianza e perciò se ne tratta più per immagini e metafore che non in analisi scientifiche.
Lo storico del diritto Wilhelm Ebel parla della città medievale come di una «serra della moderna realtà statuale (Staatlichkeit)»[1] (1966) o di una «serra dei moderno stato amministrativo» (1971)[2].
Lo storico francese Fernand Braudel cita la fiaba della gara tra la lepre e la tartaruga: come la lepre, la città all'inizio è in vantaggio, in quanto più veloce, ma intorno al Cinquecento è lo stato territoriale ad arrivare, come la tartaruga, per primo alla meta[3].
Otto Gierke, l'importante storico dei diritto di indirizzo germanistico dell'Ottocento, afferma che tutte le caratteristiche della moderna concezione dello stato sono presenti nella città in quanto corporazione cittadina[4] - presenti, sia ben chiaro, a livello di concetti giuridici e non nella reale forma di sovranità.
D'altro canto, nei due paesi uniti dall'impero medievale, e cioè l'Italia e la Germania, la costituzione comunale non ha indicato il cammino verso lo stato moderno in modo lineare - mentre in Italia nasce un sistema di stati cittadini a guida monarchica che rivaleggiano fra di loro e che alla lunga soccombono rispetto alle grandi monarchie europee - per ultima Venezia -, in Germania un piccolo numero di città di medie dimensioni e un più grande numero di città di piccole dimensioni in quanto città "imperiali" libere mantengono la forma di governo repubblicana, tipica del comune. All'inizio dell'età moderna però, queste città tedesche devono cedere la forza di guida politica e di modernizzazione al sistema territoriale di un principe.
Noi ci occuperemo qui di seguito del perché la forma costituzionale sviluppata dai cittadini medievali, il comune cittadino, non abbia potuto mantenere la guida alla formazione di uno stato moderno, anch'esso fondato su una borghesia.

I. – Il comune come forma costituzionale

Tra il 1100 e il 1200 i cittadini, diciamo meglio gli abitanti delle città dell'Europa occidentale, si uniscono in una nuova forma costituzionale, il comune giurato. Questo movimento compare quasi contemporaneamente in tutte quelle regioni che sono state definite "urban belt”[5], cintura urbana: dalle coste dei Mar del Nord tra Senna e Reno alle antiche regioni dell'alto Reno e della Rezia, fino alla Borgogna, al Piemonte, alla Lombardia e alla Toscana. Gli abitanti influenti delle città, i milites e i mercanti, ma anche gli artigiani, si uniscono con giuramento in un'associazione che essi dapprincipio chiamano coniuratio, poi communio iurata, comune, e più tardi, con espressione tratta dal diritto romano, universitas[6]
Questo fenomeno compare nelle Fiandre, nella Francia orientale, in Borgogna e nell'Italia centro-settentrionale quasi contemporaneamente intorno al 1100; nelle antiche città romane lungo il Reno viene un po' frenato dal potere dei vescovi tedeschi divenuti principi dell'Impero. Invece nell'Italia centro-settentrionale il movimento comunale è così forte che i vescovi cedono al comune dei cittadini e ai consoli la sovranità sulla città concessa loro dall’imperatore; essi, nella divisione di spiritualia e temporalia, si ritirano nella posizione di pastori spirituali e di personaggi tra i più influenti della città.

Max Weber ha descritto questo fenomeno di formazione dei comune cittadino attribuendogli un significato storico universale[7]. Egli lo definisce come la nascita della città occidentale, che avviene secondo un costrutto idealtipico più nel comune medievale che non nella polis dell'antichità.
Weber considera decisiva la formazione dì un'associazione di tutti i cittadini in quanto individui, un'associazione che supera tutti i limiti imposti dal sangue, dalla parentela e dal rito. L'associazione dei cittadini, cioè il comune, possiede secondo Max Weber autocefalia e autonomia: quindi, autogoverno tramite i propri magistrati che non seguono le regole della signoria feudale, una propria giurisdizione e una propria legislazione statutaria per attuare le norme giuridiche per la vita della cittadinanza contro il mondo feudale. Unendosi in un'associazione i cittadini si appropriano della sovranità all'interno di questa associazione ed escludono in tal modo principalmente le forme di servitù feudale: il cittadino è libero, il diritto di cittadinanza non ammette nessuna sudditanza, nessuna limitazione alla libertà da parte di un signore feudale.
In Germania vale la frase: "l'aria della città rende liberi"[8]. I princìpi qui descritti hanno valore anche in Italia, soprattutto per le prime forme comunali. In Italia tuttavia vengono maggiormente coinvolti i nobili e di conseguenza i princìpi aristocratici, cosicché la costituzione comunale italiana nella sua struttura si avvicina maggiormente all'antica polis, diventa un'oligarchia, mentre a nord delle Alpi la città mantiene di più un carattere puramente borghese grazie alla separazione dalla sfera rurale (che ha carattere aristocratico- contadino).

Qui non sono importanti i particolari, bensì la tipologia: i comuni cittadini acquistano forti somiglianze strutturali con uno stato moderno grazie alla costituzione dei magistrati, cioè alle cariche non feudali per rappresentare la collettività, grazie allo sviluppo di una burocrazia, ivi compresa la giurisdizione, grazie alla legislazione e all'associazione dei cittadini quale elemento portante della collettività[9]. Per Max Weber era significativo soprattutto il fatto che, grazie alla burocrazia, alla legislazione statutaria e soprattutto al genere di economia legata al capitale e al mercato, venisse iniziato un processo di razionalizzazione che rinvia allo stato moderno e al capitalismo moderno[10]. La giurisprudenza – e qui va dato particolare rilievo a Bartolo[11] – collega il carattere dell'associazione ai concetti dei diritto romano e canonico, soprattutto all'universitas, e, con la dottrina della civitas sibi princeps, ad una concezione che si può appunto definire con le categorie weberiane di autocefalia e autonomia, o con Bodin di sovranità. Su questo punto la dottrina dei giuristi converge con la tradizione politica dell'aristotelismo. Il comune medievale viene così paragonato all'antica polis e misurato con essa, e viene classificato con le forme di governo dell'aristocrazia, della politeia o democrazia, mentre gli stati principeschi corrispondono alla monarchia. I comuni cittadini appaiono così nella terminologia latina come forme statali repubblicane, cioè non monarchiche. Poiché le repubbliche marinare italiane, soprattutto Venezia, sono indipendenti e poiché l'Impero praticamente non esercità più i propri diritti sulle città dell'italia centro-settentrionale, l'immagine della civitas sibi princeps è una realtà politica per le grandi città dell'italia centro-settentrionale. Questo vale quasi nella stessa misura per le città "imperiali" libere in Germania: a parte i diritti del re e dell'imperatore, pochi e limitati dai privilegi che diventano attuali solo nel caso di conflitti interni alla cittadinanza, le città libere si presentano come repubbliche che si autogovernano e formulano il loro diritto. In Germania la costituzione consiliare adottata intorno al 1200 sul modello italiano si conserva fino al secolo XIX, anche se l'elezione dei membri dei consiglio avviene sempre di più secondo princìpi oligarchici e non democratici, intendendo con il termine democratico un'elezione attraverso le corporazioni. Le città tedesche che hanno escluso l'aristocrazia feudale e conoscono solo un patriziato rispondono dunque in modo particolare all'immagine di una res publica che si autogoverna. Bisogna tuttavia ricordare che all'interno della città non sono validi né il principio dell'uguaglianza, né quello della totale partecipazione democratica: vi sono i gruppi politicamente privilegiati, vi sono i casati, e talvolta anche alcune corporazioni, considerati eleggibili nel consiglio, vi sono coloro che hanno i pieni diritti civici e vi sono i semplici abitanti della città. Anche questi ultimi, cioè gli abitanti senza il diritto di cittadinanza, godono però del diritto di protezione, di assistenza e di poter provvedere alla propria sussistenza, diritto concesso dalla città alla quale essi sono spesso legati tramite un giuramento che nei diritti e nei doveri è molto simile al giuramento dei cittadini[12].

II. – Leghe tra città e Impero

Come abbiamo già accennato, i comuni cittadini diffusi sia al Nord che al Sud non potevano allargare al paese nessun ordinamento politico secondo il principio repubblicano da essi sviluppato e diventare di conseguenza diretti precursori dello stato di diritto e costituzionale borghese del secolo XIX. Abbiamo già detto che in Italia avviene un capovolgimento in una forma di governo monarchica, un governo di cosiddetti tiranni, come venne accennato da Bartolo ed in seguito presentato da Machiavelli nel “Principe”. Attraverso la forma monarchica di stato, le città più forti dell'Italia centro-settentrionale acquisirono la forza per creare stati territoriali, che erano tuttavia in numero limitato e in forte concorrenza tra di loro. Mi sembra comunque molto utile osservare che all'interno degli stati cittadini italiani permangono forme originarie della costituzione sviluppata dal comune[13], come il concetto di cittadinanza, la legislazione statutaria, le cariche civiche, un consiglio comunale. In Germania invece le città mantengono invero una costituzione comunale, cioè repubblicana, ma non riescono a diventare un reale centro di potere politico; anche i territori civici in dotazione di alcune città come Berna, Ulma o Norimberga, hanno un'estensione relativamente limitata.

Non possiamo tuttavia accontentarci di questa osservazione. Dobbiamo invece prendere in considerazione un fenomeno che ha trasformato le città in un fattore politico ordinatore importante, le ha poste al livello di imperatore, re, principi e aristocrazia: le leghe tra città. Qui si associano spesso molteplici città, formulano le loro mete politiche e le raggiungono in parte in modo pacifico, in parte con la forza delle armi, diventando così importanti fattori della politica. L'apice di questo movimento si ha durante il periodo degli imperatori Svevi, con la prima e la seconda Lega lombarda nell'Italia centro-settentrionale[14] e con la Lega renana in Germania dopo la morte di Federico II. Per il nostro tema non possiamo dunque evitare di analizzare questo fenomeno e di domandarci come mai la potenza associata delle città non solo non si afferma, ma si esaurisce quasi da solo in Italia nel tardo Medioevo, in Germania al più tardi al principio dell'età moderna, dunque dopo il 1500.

Alla Lega lombarda è giustamente dedicata una relazione durante questo simposio. Ma io me ne devo occupare, anche se brevemente, perché essa rappresenta uno dei punti culminanti della mia tematica.

La prima Lega lombarda rappresenta l'origine e il modello di tutte le leghe fra città. Che cos’era successo? L'imperatore Federico Barbarossa, in quanto sovrano potente e carismatico, vuole riaffermare i diritti dell'Impero sull'Italia centro-settentrionale alla dieta di Roncaglia del 1158[15], Inoltre vuole ristabilire lo stato giuridico dei Salii del principio del secolo, cioè una sovranità sulla città concessa dall'impero, nella quale il comune dei cittadini e i magistrati eletti da loro non vengono presi in considerazione. Questa pretesa viene perfino convalidata dai giuristi, i quattuor doctores che provengono dalle città dell'Italia centro-settentrionale, in particolare da Bologna, essa viene raccolta in una legge sui diritti del re, le regalie, e congiunta alle prerogative dell'Impero romano- bizantino dell'epoca di Giustiniano, di stampo quasi assolutistico. I legati delle città danno la loro approvazione, perché non vogliono contestare l'appartenenza all'Impero e non vogliono porsi contro il diritto. Solo la realizzazione di questa pretesa giuridica apre loro gli occhi. Essi si richiamano successivamente alla consuetudine che nel frattempo è subentrata, la consuetudo che ha fondamento giuridico, alla prescrizione dei diritti imperiali in contrasto con questa e al loro diritto di resistenza alla repressione delle posizioni giuridiche conquistate dai comuni. Non ho bisogno di esporre qui le lotte esasperate, le faziosità anche tra le città lombarde, il crudele assedio e la distruzione di Milano, il capovolgimento della situazione con la battaglia di Legnano. Però devo accennare alla nuova situazione giuridica venutasi a creare con la pace di Costanza del 1183[16].

La pace di Costanza porta con sé ciò che si è già delineato nelle Fiandre e nella Francia orientale con il privilegio particolare dei conte di Fiandra e del re francese[17] e adesso viene consolidato tramite un contratto tra molteplici città e il più alto potere dell'Occidente, quello imperiale: il riconoscimento del comune come legittima associazione di cittadini, il loro autogoverno tramite magistrati eletti e l'ampia autonomia dei loro ordinamento giuridico. Tale riconoscimento viene inserito nella federazione dell'impero in un modo già precostituito con il sistema feudale: da un lato con l'affidamento ai magistrati, da parte dell'imperatore, dei diritto di banno; dall'altro con l'introduzione nel giuramento dei cittadini e degli abitanti di una dichiarazione di fedeltà all'imperatore e all'Impero. Ciò maschera solo faticosamente il carattere rivoluzionario di questo avvenimento fatto notare da Max Weber, e cioè che una grande associazione di uomini eserciti su se stessa la sovranità collettiva, uomini che, come registra scandalizzato lo zio di Federico Barbarossa, il vescovo Ottone di Frisinga, sono di condizione inferiore, inferioris conditionis, ed esercitano il disprezzato lavoro manuale, contemptibilium eciam mechanicarum artium opifices. Nel l'aristocraticissimo mondo del potere dell'alto Medioevo, per mezzo della formazione del comune e dell'unione di più comuni in una lega, il comune stesso era penetrato come un'associazione direttamente legata all'Impero e perciò in una posizione simile a quella dei principi[18]. Poiché la pace di Costanza non era solo un importante documento della costituzione del regno italico, ma era stata inserita dai giuristi nel testo dei libri feudorum e quindi dello ius commune, la si può definire come un documento costituzionale europeo, che conteneva il riconoscimento del comune cittadino come legittima forma costituzionale. Alla diffamazione da parte del clero della communio iurata quale coniuratio illegittima, veniva dunque tolto ogni fondamento. La Lega lombarda che aveva conseguito questo successo militare, politico e giuridico non era null'altro che il trasferimento del principio costituzionale del comune ad una associazione di più comuni: come il comune dei cittadini eleggeva i consoli, cosi i legati delle città eleggevano i rettori della Lega. Come il comune dei cittadini era unito attraverso il giuramento, così giuravano alleanza dapprima i consoli e poi le cittadinanze unite. Come la città aveva sviluppato una propria giurisdizione al posto dei missi vescovili e reali, così sorse una seppur blanda giurisdizione della Lega stessa. La Lega era dunque una forma giuridica come il comune, un'associazione fondata sul giuramento[19].

La Lega lombarda però fu forte solo in due periodi o situazioni: contro Federico Barbarossa e poi, dopo essersi ricostituita, contro Federico II, fino a quando cioè gli imperatori svevi minacciarono la libertà e la posizione giuridica delle singole città. Nel momento in cui venne meno la minaccia, venne a cadere anche la solidarietà delle città dell'Italia centro-settentrionale. Il cittadino rimase soprattutto cittadino della propria città, non di una lega, di una regione o addirittura di una nazione. L'identificazione dei cittadini, i loro interessi, si limitavano all'appartenenza alla città. Chi come Dante sentiva l'esigenza di una unità più ampia, doveva collegarla, in mancanza d'altro, all'Impero - un Impero che aveva il suo centro politico al di fuori dell'Italia ed inoltre si indeboliva sempre di più politicamente. L'organizzazione politica del paese tramite comuni equiparati nei diritti, legati l'uno all'altro, era destinata a non avere un futuro in Italia.

In Germania sembrò per un momento che le cose andassero diversamente. Nello stesso periodo in cui si formava la seconda Lega lombarda che, alleandosi con il papato, resisteva efficacemente all'imperatore Federico II, si facevano in Germania i primi tentativi di realizzare una lega tra città. Tuttavia in Germania i vescovi esercitavano ancora la sovranità sulla cittadinanza e questi vescovi non accettavano consoli liberamente eletti. Pertanto essi riuscirono ad ottenere dall'imperatore, con il famoso decreto di Ravenna dei 1232, la proibizione di coniurationes e colligationes, cioè di tutte le associazioni di cittadini e dei magistrati civici.[20] Il movimento comunale era però troppo avanzato perché alla lunga potesse essere represso. Dopo la morte di Federico II e il periodo di vacanza dell'autorità monarchica tedesca, le città dei territori che rappresentavano il nucleo dell'Impero, quelle lungo il Reno, si unirono in una Lega che diventava sempre più grande. Il loro scopo era quello di conservare, vacante imperio, pace e giustizia[21]. Si trattava dunque, come è stato formulato durante un recente convegno, non di una alleanza per opporre resistenza come la Lega lombarda, bensì di una alleanza per la difesa della costituzione del regno. Alle città interessava particolarmente la difesa delle vie commerciali che erano di importanza vitale, in particolare quelle lungo il Reno; la protezione contro l'abuso nei dazi, ma anche contro il blocco delle strade da parte dei nobili e contro le faide che stavano prendendo il sopravvento e che venivano utilizzate per ricattare mercanti e città[22]. Il movimento delle città era così potente, che vescovi, principi e piccola nobiltà si unirono alla Lega, per fronteggiare l' incombente anarchia. Un effetto collaterale di questa Lega per la difesa della pace, al posto dei re, era che la forma costituzionale comunale e i diritti così conquistati dalle città, ivi compreso quello di un consiglio liberamente eletto, non poteva più essere legittimamente messo in discussione, poiché sia i più alti principi dell'Impero che la piccola nobiltà si erano alleati alle città e avevano prestato il giuramento, riconoscendo così come legittima questa forma costituzionale, esattamente come era accaduto in precedenza in Italia con la pace di Costanza. Una conseguenza della motivazione di difesa della pace vacante imperío fu tuttavia che la Lega si sciolse nella discordia non appena fallì il tentativo di ripristinare un regno unitario con una doppia elezione nel 1257. Rodolfo d'Asburgo ed i successivi re tedeschi tentano poi di assumere nuovamente la difesa della pace promuovendo la pace territoriale. Cosa che tuttavia riesce solo in maniera incompleta durante il lungo periodo di indebolimento dell'autorità monarchica alla fine dei Medioevo, cioè tra i secoli XIV e XV. Principi e nobili giurano la pace territoriale solo per un tempo determinato, mantenendo le eccezioni per la faida cavalleresca. Così continua la situazione insostenibile che le vie commerciali delle città vengono bloccate e interrotte, i mercanti vengono derubati oppure devono pagare forti tasse per la scorta, non esiste nell'Impero il monopolio per l'uso legittimo della forza[23]. Qui contava il fatto che non esistevano territori comunali abbastanza grandi che confinassero l'uno con l'altro e che i principi non avevano ancora domato la piccola nobiltà facile alla faida. Il buon governo della città, così come rappresentato per l'Italia dagli affreschi di Lorenzetti nel Municipio di Siena, in Germania non era affatto in grado di garantire la pace, tramite la severa giustizia armata di spada, anche sul terrritorio oltre che nella città stessa.

Questo stato di cose comportò che in Germania le leghe tra città perdurassero o si rinnovassero per tutti i secoli XIV e XV. Una funzione di guida la svolgevano in questo le città "imperiali". Ma la differenza tra una città "imperiale" e una città forte, privilegiata, ma non direttamente dipendente dall'Impero era ancora così poco accentuata che anche altre città potevano unirsi a queste leghe. In Svevia, dunque nella Germania sud-occidentale ricca di città "imperiali" fino alla fine dell'Impero, abbiamo una lega tra città nel 1331, rinnovata nel 1349 da 25 città "imperiali", e una lega di 14 città nel 1376[24]. Gli scopi di queste leghe non erano solo l'imposizione della pace territoriale e la lotta contro la nobiltà cavalleresca, ma anche la conservazione della loro libertà politica e della loro influenza politica. Esse si opponevano alla formazione aggressiva di un territorio politico, cioè alla creazione di uno stato da parte dei duca di Württemberg-Svevia, e si opponevano al pignoramento di città imperiali, della loro posizione giuridica e dei loro privilegi, da parte dei re in favore di principi e nobiltà. Nel 1381 la Lega sveva si associò alla rinnovata Lega renana così che qui si delineò la possibilità di un ordinamento politico sulla base di un'associazione tra città. Ma dopo aver ottenuto nel 1377 una vittoria sul duca di Württemberg, le città subirono una pesante sconfitta nella cosiddetta guerra delle città del 1388. Se in seguito il potere delle città sveve fu spezzato, la causa era data anche dal fatto che le loro mete politiche erano piuttosto passive ovvero difensive. In questo senso esse ebbero perfino successo alla fine. Pace e sicurezza sulle strade vennero propugnate come programma da re e principi, e quasi tutte le città sveve poterono mantenere per sé fino alla fine dei vecchio Impero la loro posizione giuridica, la diretta dipendenza dall'Impero.

Qualcosa di simile lo possiamo verificare nella Lega tra le dieci città imperiali dell'Alsazia, città fondate per lo più dagli imperatori svevi[25]. Anche qui si tratta di conservare la pace territoriale e di mantenere lo status di città imperiali. Anche qui abbiamo, come nella Lega lombarda, ma anche in quella renana e in quella sveva, diete formali, cioè un'organizzazione ed un ordinamento giuridico della Lega stessa. Nel 1354 lo stesso imperatore Carlo IV difende la lega, ma poi la scioglie. Però le città la rinnovano e nel secolo XV ottengono l'assicurazione da parte dell’imperatore Sigismondo che esse non verranno mai vendute o date in pegno. Questa Lega rappresenta una specie di struttura dell'Impero alla frontiera occidentale fino all'epoca moderna e solo con la pace di Westfalia del 1648 viene sciolta dietro pressione della Francia. L'Impero, che non diverrà mai un vero stato, può esistere benissimo con leghe tra città come sotto-struttura. Dobbiamo quindi chiederci come mai dopo il 1500 la formazione di leghe si verifichi solo in via eccezionale.

Qui non tratteremo più le leghe simili, esistenti anche nei territori orientali dell'Impero, dove non ci sono città "imperiali" - cito (a titolo di esempio) le leghe in Brandeburgo e in Lusazia [26]. Esse confermano tuttavia che con il fenomeno delle leghe tra città ci troviamo di fronte a una struttura di base dell'Impero tedesco dei Medioevo, dopo che era stata riconosciuta la costituzione comunale al più tardi con la Lega renana del 1254. Resta ancora da ricordare la Hansa delle città dei Mar dei Nord e dei Mar Baltico. La Hansa però non era originariamente una lega tra città, ma piuttosto, in maniera simile alla gilda, una associazione di mercanti che si univano per viaggi commerciali più lunghi, soprattutto per viaggi per mare[27]. Già nel secolo XII abbiamo una Hansa dei mercanti tedeschi che vanno soprattutto da Colonia in Inghilterra, e abbiamo un'associazione di quei mercanti che vanno da Lubecca e altri posti dei Baltico sull'isola di Gotland e in Russia. Inizialmente c'erano dunque più Hanse nei commerci via Mar del Nord e via Baltico che concorrevano fra di loro. Solo verso il 1280 i diversi gruppi di mercanti si unirono in una Hansa generale. Questa comprendeva i mercanti sulle grandi distanze delle maggiori città portuali delle coste del Mar dei Nord e dei Mar Baltico e le più importanti città commerciali dell' entroterra. Essi trattavano con i re d'Inghilterra e di Danimarca, i conti di Fiandra ed altri principi sulle questioni riguardanti il commercio e sui relativi privilegi. Misure che prendevano i mercanti della Hansa contro quelle città o quei principi che non aderivano ai loro desideri erano il divieto di commerciare e il boicottaggio. A partire dal secolo XIV le Hanse concorsero con i merchant adventurers inglesi. Nell'ambito di questi confronti sull'ordinamento dei commercio marittimo, la Hansa si trasformò lentamente da associazione di mercanti in lega tra città. Ciò fu relativamente facile perché in queste città sul mare il consiglio comunale non era composto da un patriziato di stampo aristocratico, bensi dal ceto mercantile elevato, che dominava in tal modo sulla città. Pertanto a partire dalla metà dei secolo XIV nacquero le diete anseatiche quali organi deliberanti. Le diete, alle quali partecipavano le città o meglio i grandi mercanti, emanavano delibere formali (i concordati anseatici)[28] e applicavano l'esclusione o il boicottaggio come sanzioni. A partire dall'inizio del secolo XV si costituì un sistema giuridico-politico composto da circa 70 città anseatiche e da circa 100 città che intrattenevano rapporti di cooperazione con la Hansa. L' associazione si definiva “Deutsche Hanse", comprendeva però anche città scandinave come Stoccolma e città polacche come Cracovia. Suddivisioni regionali completavano il sistema.

La Hansa, in bilico tra un'associazione mercantile e una lega tra città, regola e controlla quindi il secondo spazio commerciale marittimo dei Medioevo europeo dopo il Mediterraneo, cioè il Mar dei Nord e il Mar Baltico, tra l'Inghilterra meridionale e le Fiandre a ovest e la Scandinavia, la Russia e i paesi baltici a nord, ed un bel pezzo delle vie commerciali della terraferma. La sua potenza commerciale fece sì che la Hansa costituisse un interlocutore più potente per principi e sovrani. Ma è anche già chiara la perdita di potere che sopravvenne allorché questi principi cominciarono ad annettere i territori sotto la loro egemonia, gettando così le basi di una propria politica commerciale. Con questa nuova costellazione in Inghilterra, nei Paesi Bassi, nei territori tedeschi, in Polonia e in Scandinavia comincia il lento tramonto della Hansa nei secoli XVI e XVII.

La Hansa mostra chiaramente come l' interesse comune ai mercanti di molte città di organizzare, privilegiare e proteggere il commercio marittimo possa fondare una lega che per parecchio tempo unisce molte città e che è nel suo campo più potente di re e principi. Ma l'unione poggia soltanto sull'interesse economico di questo omogeneo ceto mercantile, e non su una volontà politica egemonica. Nel momento in cui la sovranità politica, rafforzandosi nelle mani di re e principi, regna sui territori e sviluppa altre regole economiche, cioè il mercantilismo, la Hansa perde la sua forza come per magia, senza subire una sconfitta vera e propria[29].


III. – Conclusioni – comune cittadino e stato

Come abbiamo visto, il comune medievale presenta una forte somiglianza strutturale con lo stato moderno. Entrambi hanno come elemento sociale portante la borghesia. Essa non è invero identica nei due casi, ma è collegata dalla continuità storico-sociale: la borghesia liberale, nazionale dei secolo XIX proviene inizialmente dalla borghesia urbana, quasi per nulla dalla campagna[30]; ciò vale sia per l'Italia che per la Germania.

La borghesia delle città medievali impose in maniera rivoluzionaria la propria forma costituzionale, il comune, contro re e nobiltà e conquistò un forte potere associandosi nelle leghe. Perché dunque non improntò lo sviluppo costituzionale dell'età moderna, perché lo stato moderno venne piuttosto creato da principi?

Uno dei motivi principali di uno sviluppo storico naturalmente complesso, forse il motivo più importante, è stato individuato da Max Weber. Egli osservò che il cittadino medievale corrisponde al tipo dell'homo oeconomicus, per contro il cittadino dell'antica polìs a quello dell'homo politicus. I cittadini delle città greche fondano città-stato, che si diffondono con la colonizzazione. Roma fonda, sulla concezione dei diritto romano di cittadinanza, un impero formato da città (civitates). Qui appare la volontà della sua classe dirigente di dominare politicamente. - I cittadini medievali creano il comune come forma di sovranità politica verso l'interno. Verso l'esterno diventano forti associandosi in leghe tra città o in Hanse per difendere la loro libertà ed il commercio e la pace sulle strade, cioè la fonte della loro ricchezza. Essi non fanno politica per se stessa, la politica la lasciano agli imperatori, ai re, ai principi e alla nobiltà. Un cittadino di questa epoca che vuole agire politicamente, va al servizio di un principe. In Italia la situazione è più complicata in quanto la nobiltà vive per lo più in città; dalle rivalità tra nobili nascono forme monarchiche di governo che hanno tuttavia un fondamento civico. Max Weber rileva giustamente che la città rinascimentale italiana è molto vicina all'antica polis.

Abbiamo potuto accennare al fatto che i cittadini e le città, cioè i comuni dei Medioevo, hanno contribuito a determinare una fase importante della formazione dell'Europa moderna. Ma ad un presupposto importante della formazione dello stato moderno, cioè la sovranità su un territorio esteso, la vecchia borghesia europea non aveva accesso. Sono però da menzionare la repubblica dei Paesi Bassi e la Confederazione elvetica, dove le città in unione con altre forze politiche, come nobiltà e comuni delle valli, potevano formare una struttura prestatale repubblicana[31]. Ma generalmente la borghesia era interessata a difendere il suo modo di vivere e la sua economia e si identificava con la propria città e con la propria cittadinanza: il suo interesse primario non risiedeva nell'espansione della sovranità e nel dominio politico. I suoi maggiori successi politici la borghesia li raggiunse tramite associazioni che andavano oltre la singola città solo quando erano minacciati il suo modo di vivere e la libertà, la pace e il commercio. In questa sua limitatezza, la vecchia borghesia europea non mi sembra antipatica. Ma essa poté mettere in pericolo le pretese egemoniche dell'Europa della nobiltà feudale solo quando cercò la sua identità nell'ambito della nazione, cioè nel Settecento e nell'Ottocento.
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Re: I veneti del Veneto xełi on popoło?

Messaggioda Berto » sab mag 14, 2016 7:46 am

BRAUDEL E VENEZIA, UN AUSPICIO PER L’INDIPENDENZA?
di PAOLO L. BERNARDINI
Di solito, si accusa la corporazione degli storici di non essere abbastanza impegnata, o di non esserlo affatto, nella lotta per l’indipendenza di Venezia. Ora, non è compito questo dello storico, ad onor del vero. Lo storico deve dare un’immagine obiettiva del passato, raccontare, direbbe Ranke “quel che davvero è accaduto”, e non necessariamente esporsi in prognosi per il futuro, o in battaglie politiche. Gli storici poi tendono ad essere conservatori, e soprattutto coloro che operano nelle università pubbliche, ovviamente, nel timore di mettersi in cattiva luce presso “il padrone”, il quale poi bellamente li ignora, almeno quando non può servirsene. Vi sono d’altra parte moltissimi storici non accademici che con sguardo più limpido affrontano il passato, anche se corrono il rischio di presentare le proprie ricerche in modo aggressivo, come se la loro fosse l’unica verità: spesso lo è, ma presentata con fare rancoroso, compiacendosi della marginalità, imposta ma talora anche auto-imposta, rischia di perdere il proprio impatto. Che altrimenti…

http://www.miglioverde.eu/braudel-venez ... dipendenza

Infatti il compito di un buon storico veneto sarebbe quello di raccontare la storia di tutti i veneti e non soltanto quella dei veneziani e dell'impero veneziano che fu. I veneziani non sono il popolo veneto, Venezia non è il Veneto e i domini veneziani non erano la Patria Veneta. Confondere tutto ciò non solo è falsificare la storia ma anche pregiudicare il futuro dei veneti e del Veneto alterandone le radici storiche ed etniche e gli orizzonti ideali e politici. La mitomania di Venezia per i venetisti venezianisti è come la mitomania di Roma per gli italianisti: con Roma e con Venezia i veneti erano e sono soltanto sudditi.

Ƚe colpe, ƚe responsabeƚetà e ‘l tradimento dei venesiani
viewtopic.php?f=167&t=1277
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Re: I veneti del Veneto xełi on popoło?

Messaggioda Berto » sab mag 14, 2016 7:52 am

Pajàsade dei mitomaniaghi venetisti venesianisti


https://www.facebook.com/albert.gardin?fref=nf

Ormai ci siamo! Grazie a un lavoro duro che ha richiesto molto impegno e ancora più convinzione, siamo praticamente arrivati al traguardo! Giovedì avremo 2 cose importanti da fare:
a) scrutinare i voti e redigere un verbale;
b) proclamare in Sala del Maggior Consiglio il 121° Doge.
Chi sarà il 121° Doge? Qualsiasi soluzione sarà sempre un grande passo in avanti, perché avremo riaperto la storia della Repubblica Veneta, con tutte le sorprese che seguiranno.
Il Doge sarà riconosciuto da tutti i Veneti, anche da chi tergiversa ancora. Non sarà il "nostro" Doge, ma il Doge della Nazione Veneta, il Doge di tutti.
Sicuramente ci ho messo anche molto del mio in questa operazione, ma viene portata a compimento perché ci sono stati dei patrioti che hanno creduto all'importanza dell'obiettivo e contribuito al suo successo! Ed è proprio questa partecipazione di patrioti, a due giorni dall'evento, a darmi serenità e tranquillità.
Complimenti dunque a tutti e che Dio continui ad aiutarci!
Venezia 10.5.2016
Albert Gardin – Presidente del Governo Veneto / Repubblica Veneta
governoveneto@gmail.com – info 3388167955

PS – Di una cosa si può stare certi, il 121° Doge non sarò io, perché anche se venissi eletto, mi dimetterei immediatamente. Il compito che mi assegno è quello di sostenere il 121° Doge, se vorrà!


Venesia e i venesiani no li xe I Veneti e gnanca li ga mai raprexentà tuti I Veneti; la so Repiovega Serenisima no la jera la Repiovega de titi I Veneti ma lomè coela dei Venesiani. Ste maskerade no le ghe porta gnente a I Veneti: no le ghe porta cosiensa de popolo, no le ghe porta forsa, no le ghe porta speransa, no le ghe porta endependensa poledega e lebertà.


Sti kì no łi ga mai raprexentà el Popoło Veneto - Sti kì łi raprexenta el Popoło Ixraełian

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Veneto pexo de ła Libia: a ghè 4 Governi, 3 Parlamenti e 2 anagrafe ma manca ła roba pì enportante manca el Popolo Veneto
viewtopic.php?f=126&t=1592
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Re: I veneti del Veneto xełi on popoło?

Messaggioda Berto » sab mag 14, 2016 7:53 am

???

“Lascia ch’io pianga mia cruda sorte e che sospiri la libertà”
9 maggio 2016
AUTONOMIA , IL PD SI RASSEGNI …

https://gruppowsm.com/2016/05/09/lascia ... la-liberta

.Riportiamo la lettera che in data odierna l’AVV. Lorenzo Fogliata ha scritto al Gazzettino, per richiamare l’attenzione sulla gravissima involuzione istituzionale a cui darà luogo la nuova Costituzione italiana votata dal Parlamento, qualora sia approvata nel referendum costituzionale fissato per ottobre.
Ora non ci sono più scuse, fraintendimenti, miserabili giochini di parole. Il PD veneto, con Puppato, De Menech, Bressa, Moretti & C. non può più raccontare la fiaba dell’orso a sé stesso o a terzi. E’ ufficiale: lo Stato italiano non darà mai alcuna forma di autonomia al Veneto. Almeno bisogna riconoscere a Renzi una chiarezza leale, che non lascia margini a farisaiche interpretazioni; una chiarezza coerente con tutta la sua azione politica e con la sua riforma costituzionale: la più autoritaria e centralista dal dopoguerra. Basti pensare alla clausola di “supremazia”, termine fascistello che, concettualmente e culturalmente, fa strame dell’idea base del precedente Titolo Quinto, ovvero della pari dignità tra Stato ed Enti locali.
Il prof. Antonini getta acqua sul fuoco, facendo leva su un art. 116 che, tuttavia, lui per primo sa essere in rottamazione, posto che il nuovo testo renziano lascia alla contrattazione della Regione con lo Stato briciole insignificanti ed il nulla assoluto sul piano tributario.
Sono certo che Antonini spiegherà ai veneti che il niet di Renzi si sposa anche con la Corte Costituzionale che, anch’essa, ha chiuso le porte ad ogni quesito che importi la prospettiva di trattenere ciò che la Corte stessa, trattando dei nostri soldi, dei soldi dei veneti, ha definito “finanza pubblica generale”. La Corte ha aggiunto che è impensabile che “gli abitanti di una regione” – non il popolo veneto – abbiano la “pretesa” di “sottrarre” risorse alla “finanza pubblica generale”.
Il ladro dunque, secondo l’italico verbo della Corte, non è l’idrovora, il mostro, il leviatano italiano che ci ruba 21 miliardi all’anno degli oltre 70 che già ci sugge, ma sono i Veneti che hanno addirittura la pretesa di trattenere tutto o parte del proprio sudore. Se questa non è tirannia!
Eppure questa è la realtà. Pertanto, chi discetta di autonomia o promette autonomia mente sapendo di mentire. Del resto, “autonomia” è un concetto da schiavi, indegno del Leone Marciano.
5 milioni di abitanti, 500.000 mila imprese, un PIL da record in Europa, Venezia e le Dolomiti, 3 mila anni di Storia meritano ben altro. Da oggi sarà chiaro chi sta con i veneti, chi rema contro e chi gioca al camaleonte.
Ma se i veneti si desteranno dal torpore, il giogo può essere spezzato. E la via non è giuridica, ma solo politica. “Lascia ch’io pianga mia cruda sorte e che sospiri la libertà”.
Renzo Fogliata
professore a contratto di procedura penale
Università di Padova

Se a semo ente ste condizion kì a xe par colpa dei veci paroni venesiani.
A mi Fojata nol me comove par gnente, Venesia e i venesiani no łi ga mai fato su na Nasion Veneta e łi ga tradesto i veneti prefarendo darghe ła soranedà a Napoleon pitosto ke ai veneti de tera. Venesia e i venesiani no łi xe stà e no łi xe el Popoło Veneto e i Veneti. Venesia e i venesiani no łi raprexenta el Popoło Veneto. Li Xvisari łi xe on popoło, anca łi Ixraeliani, ma i Veneti no; jeri co Venesia i veneti no łi xe devegnesti popoło e gnanca nasion come ke ancó co i venesianisti e i leghisti so amighi (de ła casta al tricołor) no łi xe e no łi sarave mai on popoło.


Sti kì no łi ga mai raprexentà el Popoło Veneto - Sti kì łi raprexenta el Popoło Ixraełian

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Se łi ebrei de Ixrael łi ghe ła mołàse de defendar i so confini, ła so tera e ła so paronansa so Ixrael e łi làsase ke łi arabi xlameghi pałstinexi łi rivase a miłioni e łi se tołese a forsa el poder so Ixrael, sariseło on colpo de stado dei palestinexi o pìtosto na responsabełetà e na colpa de łi ebrei? Cusì xe capità ai tenpi de Napoleon i venesiani łi ga renounsià a defendar i so domegni, el so enpero (el domegno de tera ke par naltri veneti de tera lè ła nostra tera veneta), łi xe sta viłiaki, altro ke darghe ła colpa a Bonaparte. Li ebrei i defende ła so tera col so sangoe, i venesiani no łi lo ga fato e no łi ghe ło ga làsà far gnanca ai veneti de tera, fandose cusita conpleçi de Napoleon, na vargogna granda, altro ke 121 doxe!

Se i venesiani łi se ghese sentesto "veneti" e łi ghese sentesto ła tera veneta, dei veneti de tera come Veneto e Pàrea Veneta łi ła garia defendesta e łi garia łasà ke i veneti de tera łi defendese ła so tera ła Pàrea Veneta anvençe i venesiani no łi se ga mai sentesto veneti, popoło veneto anseme ai veneti de tera, no łi se ga mai sentesto nasion e fradełi de naltri veneti de tera, no łi ga mai considerà el Veneto Pàrea Veneta ma lomè domegno venesian.
No ga gnaon senso, par naltri veneti de tera, evocar, reclamar el domegno venesian col so Doxe ke łi xe stà traditori de la tera veneta e dei veneti.
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Re: I veneti del Veneto xełi on popoło?

Messaggioda Berto » sab mag 14, 2016 9:36 am

Sti kì xełi popoło veneto, se sentełi veneti, gałi ła cosiensa de esar popoło veneto?
Mi a credo purpio de no!



Sti venesiani ke no łi ga mai xlargà ła soransa a tuti i veneti ma ke łi ga prefaresto dargheła a Napołeon

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Sipion Mafei e ła fine de ła Repiovega Venesiana
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Sti veneti kì ke łi ne ga portà a ła prima goera mondial se sentivełi Popoło Veneto o Tałiani ?
...


E sti veneti exaltadori del tricołor xełi parte del Popoło Veneto?

El tricołor, ła canta mamełega el nasionałeixmo tałian
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Alpini e tricolor - n'oror
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Alpini no gràsie!
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25 marso e 25 apriłe feste venesiane
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https://www.facebook.com/ComunediVenezi ... 0781838565


Sti poledeganti xełi Popoło Veneto

25 ani de Lega e de Liga cosa ne gałi portà?
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Casta padana (de łi połedeganti tałego padani)
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Sti ladri xełi Popoło Veneto

Corousion tałiana entel Veneto - CVenesia Nova e Abano
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Sti ladri xełi Popoło Veneto

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Pino Dato e l'ex Banca Popolare di Vicenza: fallita moralmente la classe dirigente vicentina dell'ultimo ventennio
Di Pino Dato | Giovedi 21 Aprile alle 15:55
http://www.vicenzapiu.com/leggi/pino-da ... -ventennio

Banke robarie e depredasion taleghe
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Sti połedeganti, fanfaroni, caregari, parasidi, ladri e buxiari xełi Popolo Veneto?

Referendo par l'endependensa e i fanfaroni
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Sti kì ke łi ga enamente łomè Venesia e l so vecio domegno e ke łi sostien ła Lega xełi Popoło Veneto?

Çitadeła Festa dei Veneti e Festa de ła Lega
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E sti veneti ke łi falba ła storia dei veneti, spresando łe raixe xermane dei veneti de tera, xełi Popoło Veneto?

I veneti venesianisti ke łi nega e falba ła storia veneta
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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Berto
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Re: I veneti del Veneto xełi on popoło?

Messaggioda Berto » dom mag 15, 2016 3:00 pm

???

VENETO SERENISSIMO GOVERNO

Ufficio di presidenza

Contributo del Veneto Serenissimo Governo ai movimenti popolari, ai movimenti di liberazione e ai governi per la pace e l’autodeterminazione dei Popoli.

Il documento si articola in quattro parti:

Prima parte: Identità del Popolo Veneto e suoi diritti (giovedì 03/09/2015)
Seconda parte: Situazione economica (giovedi 10/09/2015)
Terza parte: Prospettive etico-sociali (giovedì 17/09/2015)
Quarta parte: Politica delle alleanze e costruzione di un vasto fronte di lotta (martedì 22/09/2015)

Identità del Popolo Veneto e suoi diritti

I Veneti sono un popolo indoeuropeo (???) antichissimo. Saranno i Veneti stabilitesi tra le Alpi e l’Adriatico nel corso dei millenni a mantenere la propria identità, con uno sviluppo culturale autonomo, generando Venezia, non soltanto come sintesi del proprio nome etnico, ma propulsore nei secoli di una invidiata civiltà-modello promotore nelle arti, nelle scienze, nei commerci, nella tolleranza, nella diplomazia, il benessere e le buoni leggi; combattendo e versando il sangue del nostro Popolo nella difesa della nostra Patria e dell’Europa (il più alto esempio è stato nella battaglia di Lepanto).

Il nostro Popolo non ha mai accettato (???) l’occupazione militare ed economica della nostra Patria da parte di Francia, Austria-Ungheria, Italia, Terzo Reich, e dell’Unione Europea. Abbiamo sempre lottato e pagato pesantemente, con alterna fortuna, ma il filo rosso che ci unisce alla Veneta Serenissima Repubblica non si è mai spezzato: il Veneto Serenissimo Governo omaggia e ringrazia tutti i Patrioti Veneti che hanno mantenuto e conservato questo filo; rende particolare omaggio ai Patrioti che hanno sconfitto la canaglia nazi-fascista nella guerra di liberazione, 1943-1945. Nel contempo eleva ad esempi da seguire i Patrioti, che nel 1997 hanno liberato, anche se per poche ore, Piazza San Marco a Venezia dagli occupanti italiani.

A fronte di tali premesse il Veneto Serenissimo Governo già dai lontani anni 80 ha percorso la strada del diritto internazionale sancito dalla pace di Vienna 1866, che prevedevano un referendum dove il Popolo Veneto liberamente e senza interferenza avrebbe deciso il proprio destino, e ha inviato un memorandum* che ne tracciasse la strada ai governi firmatari (al governo italiano e austriaco) e allo stato garante (Francia), senza ricevere risposte pertinenti ed adeguate (se escludiamo alcuni abboccamenti peraltro non significativi, da parte del governo francese di Sarkozy).

Abbiamo pazientato oltre il necessario (???), pertanto il Veneto Serenissimo Governo rigetta il memorandum e si ritiene libero di agire secondo gli interessi del nostro popolo ad avere una patria libera ed indipendente. Per raggiungere l’obbiettivo il Veneto Serenissimo Governo si appella e fa sue le indicazioni del Foreign Office gennaio 1943, conferenza di Teheran dicembre 1943, vertice di Mosca Stalin-Churchill ottobre 1944, seconda conferenza di Quebec Churchill Roosevelt settembre 1944, conferenza di Yalta febbraio 1945.

Queste indicazioni dovevano destrutturare dal punto di vista geografico, politico ed economico, e impedire al Terzo Reich e all’impero italiano, che una volta assorbite le conseguenze della disfatta della guerra 1939/1945, da loro stessi voluta e provocata non fossero in grado di ricommettere gli stessi crimini contro l’umanità. ???

E’ quanto sta attuando la coppia Merkel-Schaeuble non con la guerra, ma con lo strangolamento economico (???). La Germania sta tentando d’impossessarsi dell’Europa mediterranea, dopo aver ingannato l’Europa stessa e l’Unione Sovietica, (con la caduta del muro di Berlino negli anni 90) come già visto a Monaco nel 1936, in questo contesto la Germania non ha rispettato i patti da essa sottoscritti, avendo inoltre ricevuto ingenti aiuti economici dalla stessa Europa.

Adesso sta affamando la Grecia, tentando di metterla succube in ginocchio. Ciò che non è riuscito a Hitler potrebbe riuscire alla signora Merkel. Prima toccherà alla Grecia, poi saranno quei paesi dall’economia traballante.

Combattere i piani di Merkel e Schaeuble e dei loro lacchè, è il compito che si assumono il Veneto Serenissimo Governo, il Popolo Veneto e tutti i Popoli amanti della libertà. ???

*Memorandum per il Governo Italiano

Il Veneto Serenissimo Governo, erede e continuatore della storia e tradizioni Venete, preso atto del grande pericolo in cui si trova la Veneta patria e non solo, alla luce, sia dell'attentato del 11/09/2001, sia dei bombardamenti sull'Afghanistan, preso atto dell'incapacità del governo italiano di gestire l'attuale grave situazione politica militare.

Prima che questo stato ci porti all'interno di un conflitto dagli sbocchi imprevedibili, con lutti e immani sofferenze non solo per il Popolo Veneto ma per tutti i popoli coinvolti.
Il Veneto Serenissimo Governo ritiene inoltre, che chi è responsabile dell'attuale caos e decadimento morale e materiale, e chi ha abbassato il livello di guardia contro l'espansionismo islamico, siano governi che non hanno né la capacità né la forza morale per guidare la riscossa dei popoli.
In questo contesto il Veneto Serenissimo Governo, prima di un nuovo "8 settembre" e al sicuro caos e violenze incontrollabili che ne seguiranno , chiede che rapidamente sia posto all'ordine del giorno il rifacimento del referendum del 1866, che unì illegalmente il Veneto all'Italia, e pone come base per le trattative questi sotto elencati punti.

Il Veneto Serenissimo Governo chiede il ripristino delle autorità del Veneto Serenissimo Governo sulla Veneta Patria attraverso:

1- Costituzione di una commissione quadripartita presieduta dalla Francia e composta dall'Austria, Italia e Veneto Serenissimo Governo per il controllo della regolarità del rifacimento del referendum del 1866 che unì illegalmente il Veneto all'Italia;
2- Consegna di tutte le basi militari Italiane e il loro materiale alle autorità militari francesi;
3- Nomina di un generale francese plenipotenziario per la gestione provvisoria dell'amministrazione militare e civile, e per la gestione e la proclamazione dei risultati del referendum;
4- Non interferenza delle basi NATO e USA presenti sul Veneto territorio durante lo svolgimento e la preparazione del referendum;
5- Qualsiasi ingerenza da parte di chicchessia durante la preparazione e lo svolgimento del referendum sarà considerato atto ostile;
6- Libertà immediata e senza condizioni per tutti i Veneti Patrioti. Il rigetto di questo diritto legale del popolo Veneto, significa assumersene tutte le relative responsabilità sul piano storico, politico e giuridico.



Situazione economica in Veneto

La situazione economica attuale è a dir poco disastrosa e senza via d’uscita. Essa si protrae dal 2008. Il Veneto Serenissimo Governo ha da tempo inquadrato questo scenario: già nel 2005 esso ha prodotto un documento sulla situazione economica, tracciando alcune linee fondamentali per un’economia alternativa, nell’interesse del nostro Popolo.

Il colpo decisivo al tracollo dell’Italia e delle economie europee mediterranee è stata l’entrata nell’euro, non perché l’euro sia la causa determinante, ma è stata l’ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso, già ampiamente pieno. Il tentativo dell’Europa, attraverso l’euro, di contrastare il mondo unipolare statunitense è fallito per due ragioni sostanziali;

1° causa- la riorganizzazione della Federazione Russa, e la sua capacità militare di contrastare l’egemonismo statunitense,

2° causa- è intrinseca all’Europa: il suo sviluppo economico disuguale non può avere una moneta omogenea, nonostante il tentativo della troika di sopperire a ciò costruendo gabbie salariali. Ma la causa decisiva era ed è l’incapacità di avere strutture militari e deterrenti atomici per imporre la propria strategia economica.

E’ noto a qualsiasi economista che le monete nazionali servono a compensare le tensioni economiche e monetarie internazionali; servono a dare competitività al prodotto interno, con la svalutazione e aumentando la massa monetaria. Inoltre tutto questo serve a incentivare l’acquisto di prodotti nazionali. Vedi quanto è avvenuto all’inizio degli anni ’90 tra il marco e la lira. Ciò ha permesso lo straordinario boom economico del nord produttivo.

Quindi, secondo un’analisi superficiale, si potrebbe trarre la conclusione che un’uscita dall’euro sarebbe la soluzione più ovvia,come qualcuno sta prospettando; questa non è una soluzione praticabile, perché dopo oltre 15 anni di permanenza nella moneta unica, i danni prodotti in termini di indebitamento con la troika (F.M.I., B.C.E., U.E.) sono di proporzioni irreversibili; né questa generazione, né quelle future potranno fare fronte al debito procurato dalle classi dirigenti dal 1861 al 2001, e dal 2001 ad oggi dalla troika.

A fronte di codesto scenario ci sono due ,e non tre,alternative: o accettare quanto gli affamatori della troika hanno programmato per il nostro Popolo o ribellarsi, per difendere le nostre famiglie, la nostra società, la storia, la cultura, e dignità, con atti rivoluzionari appropriati, che il Veneto Serenissimo Governo riassume in alcune parole d’ordine ben definite, e non negoziabili :

1° uscita dalla Unione Europea,
2° uscita dalla NATO,
3° cancellazione unilaterale del debito contratto dall’Italia dal 1861 al 2001, e dal 2001 ai giorni nostri dalla troika, (i danni provocati dalle guerre e dall’occupazione militare politica economica della nostra Patria sono ben maggiori dei presunti debiti fatti a nome del nostro Popolo, i supposti debitori si rivolgano a Francia, Austria, Italia, Germania, USA, Gran Bretagna, i quali hanno usato il territorio Veneto per le loro guerre di aggressioni al nostro Popolo e ad altri Popoli, causando migliaia di morti, danni materiali non quantificabili e provocando la diaspora veneta);
4° proprietà sociale delle strutture di difesa e sviluppo legate al benessere e alla felicità del nostro Popolo,
5° difesa di tutte le forze economiche e sociali motrici dello sviluppo socioeconomico della nostra Patria Veneta.

No alla terza via: uscire dall’euro e adottare una moneta nazionale, all’interno del percorso indicato dalla troika (come stanno tentando di imporre alla Grecia), mantenendo inalterati i rapporti di produzione, in quanto è una via antipopolare, tendente a scaricare sulle masse popolari il peso della ristrutturazione, portando alla miseria e alla distruzione i rapporti sociali all’interno del nostro Popolo. Questo piano è sostenuto da importanti settori della classe dirigente economica e politica della Germania, sulla base del “piano Schaeuble “.

Il Veneto Serenissimo Governo non invita alla resistenza, ma indica nel processo rivoluzionario, senza compromessi, l’unica possibilità di non essere schiavizzati dagli affamatori e l’unica strada per raggiungere l’indipendenza totale della Veneta Patria.

Trasformeremo la partita di calcio con le regole impostateci dalla troika in una partita di rugby con le regole che decideranno il Popolo Veneto e il Veneto Serenissimo Governo.

Prospettiva etico sociale del Veneto

Per parlare di ciò che vogliamo come nostro futuro dobbiamo prima di tutto fare un lavoro introspettivo, riconoscere le nostre motivazioni, i nostri sogni, i nostri desideri, le nostre aspirazioni, i nostri bisogni e non da ultimo come vogliamo lasciare il mondo che abbiamo ricevuto in custodia alle generazioni future.


Non dobbiamo farci guidare dall'istinto ma guidarlo noi stessi, essendo consci che ciò che ci distingue dagli altri esseri viventi è il nostro libero arbitrio, è la possibilità/obbligo costante di scegliere come noi vogliamo trasformare la nostra vita, come il nostro incidere cambia il nostro futuro, e con esso trasforma il presente ed il futuro di chi ci sta attorno.

Quanto ci accade ogni giorno è frutto anche di ciò che abbiamo o non abbiamo fatto, dire che ciò che avviene nella nostra vita è colpa degli altri serve solo a deresponsabilizzarci così da legittimare l'assenza di proattività delle nostre azioni quotidiane, perdendo quindi la capacità di produrre un cambiamento, quando è necessario.

Noi, come Veneto Serenissimo Governo, abbiamo sempre affermato di riferirci per la nostra azione al decalogo che Moshé ricevette sul Monte Sinai, ciò significa assumersi immense responsabilità, prima di tutto verso noi stessi, perché senza un profondo cambiamento personale nulla avviene. La tradizione che prima di noi ha accettato le Parole sul Sinai da Dio ha costantemente studiato, discusso e scritto su ciò che questi insegnamenti, queste Parole significano per l'intero mondo e per i popoli che le accettano. Accettare le parole ricevute da Moshé non significa solo accettare la natura divina di questo ordinamento ma comprenderne la valenza metastorica, in cui spazio e tempo si annullano, in cui l'essere umano diviene compartecipe della creazione attraverso la scelta delle sue azioni, quotidianamente.

Quindi ogni nostra scelta va a modificare la creazione, ed il creato, e ciò può avere un influsso positivo o negativo sulla vita, nella sua accezione più ampia. Il libero arbitrio con la conseguente responsabilità individuale prima e collettiva poi ha una valenza assoluta, il disimpegno significa cadere nell'idolatria, o più semplicemente in una logica complottistica, in cui i cambiamenti sono predeterminati ed immutabili, che annichilisce la persona e la rende simile ad un essere inanimato.

Può essere necessario capire ed indicare come si modificano sia gli scenari geopolitici mondiali sia quelli locali, ma questo rischia di trasformarsi in un inutile esercizio dialettico di puro carattere speculativo se non si traduce in azione atta a modificare il nostro futuro, e per fare ciò è sufficiente usare il buon senso. Se si ragiona sugli oleodotti, sulle guerre a bassa intensità, sulla pressione migratoria, sul terrorismo internazionale, sulla crisi alimentare, sull'inquinamento globale, sul problema degli alloggi, sulla sicurezza, sul mondo del lavoro, sulla sanità, sulla parità dei diritti e dei doveri per tutti gli esseri umani, sull'accesso allo studio dando soluzioni populistiche e demagogiche si ripropongono soltanto schemi egemonici e di potere volti a cambiare i fattori ma non il risultato. Dobbiamo fin da ora cambiare il modo di ragionare basato sul contingente e senza prospettive a medio e a lungo termine, altrimenti continueremo a vendere il futuro dei nostri figli per il nostro benessere immediato. Dobbiamo ragionare su cosa portiamo sulle nostre tavole e come esso è stato prodotto, riscoprendo la varietà e la peculiarità dei prodotti locali, dobbiamo pensare alle fonti energetiche con cui facciamo andare i nostri elettrodomestici, dobbiamo prestare attenzione a quanti rifiuti produciamo, allo spreco di acqua, a non barattare i diritti dei giovani lavoratori per una pensione. Pretendere che chi studia con merito venga valorizzato dalla società. Lottare contro le lobby che mascherano il neoschiavismo con la solidarietà incoraggiando l'immigrazione deregolata. Dare uno stop all'edificazione senza progetti a solo scapito del territorio, incentivare le ristrutturazioni che non deturpino il territorio ma che in maniera armonica lo difendano e lo valorizzino. Pretendere una sanità che abbia una visione olistica dell'essere umano e che lo tratti come singolo irripetibile e non lo associ alla patologia che ha.

Quindi per noi, che ci attuiamo per la libertà e la riscoperta del nostro Popolo Veneto, è necessario partire da questo lavoro di consapevolezza: capire che cosa vogliamo, da dove veniamo, gli errori commessi, fare autocritica, così da proporre un modello realmente nuovo capace di sostenere le persone individualmente e collettivamente, in grado di sviluppare la vita. Non tutto ciò che è passato e bello ed auspicabile. Dobbiamo lottare perché al nostro Popolo sia restituito il libero arbitrio, la possibilità di decidere se vuole ridiventare nazione indipendente, ma, nel frattempo, questo non deve significare che, quotidianamente, non abbiamo la possibilità di scegliere su altre questioni. Veneto è chi ama il Veneto a prescindere da logiche di nascita o sangue, amare il Veneto significa amare con esso l'intero creato, perché il Veneto esiste in quanto parte integrante della creazione. Un felice isolamento non porta a nulla anzi porta alla distruzione, è necessario relazionarsi con gli altri in un'ottica di reciprocità e di rispetto.

Negli ultimi anni il movimento indipendentista Veneto si è concentrato sul Referendum per l'indipendenza facendo sua la rivendicazione costitutiva del Veneto Serenissimo Governo del 1987, ora il principio che i Veneti possano rivendicare la propria indipendenza è una cosa diffusa tra tutto il nostro Popolo, e aldilà di tutte le capziosità dell'Italia e dei vari approfittatori e collaborazionisti locali prima o poi si arriverà alla possibilità di scegliere tra Veneto ed Italia. Ora è giunto il tempo di ragionare sul futuro Veneto indipendente per non trovarci impreparati a questo storico evento, per questo propiniamo un modello in cui il principio di delega venga superato o quanto meno venga ribaltato, in cui ognuno sia responsabile in prima persona della propria azione od inazione. Le considerazioni su fatte sono viste in un ottica di continuità e di specificazione con il modello dell'autogestione dei Liberi Territori Veneti secondo i millenari valori della Veneta Serenissima Repubblica, da noi proposto nel 2008, in cui ognuno è chiamato costantemente ad agire in un clima di fraternità ed amicizia per ricercare la felicità di tutti per lasciare un mondo migliore di come lo abbiamo trovato.

Politica delle alleanze e costruzione di un vasto fronte di lotta

E’ evidente che le analisi fin qui elaborate necessitano di ulteriori approfondimenti, e devono possedere la forza di coinvolgere movimenti popolari, movimenti indipendentisti, movimenti di liberazione e governi che abbiano al primo punto del loro essere gli interessi dei rispettivi popoli.

Il Veneto Serenissimo Governo si fa promotore per la costruzione di un ampio fronte di lotta per la salvaguardia della pace, della storia, della cultura e delle tradizioni dei nostri popoli, indicando alcuni punti che possono essere integrati e organizzati, ma devono costituire la base di discussione.

1) lotta per la pace
2) diritto dei popoli all’autodeterminazione
3) contrasto al terrorismo islamico, e a qualsiasi altra forma di terrorismo
4) guerra senza quartiere al neonazismo
5) dura opposizione all’antisemitismo
6) uscita dall’euro
7) lotta all’egemonismo economico
8) uscita dalla NATO
9) lotta al neoimperialismo
10) costruzione,in Europa, di una confederazione di stati indipendenti

Questo è il contributo e l’appello che il Veneto Serenissimo Governo rivolge ai Popoli Europei, ai movimenti popolari, movimenti indipendentisti, movimenti di liberazione e ai governi che, in buona fede, intendono difendere le loro genti.


Longarone, 22 settembre 2015


Veneto Serenissimo Governo
casella postale 24 - 36022 Cassola VI
VENETO
pepiva@libero.it - kancelliere@katamail.com
tel. +39 328 7051773 . +39 349 1847544 - +39 340 6613027
http://www.serenissimogoverno.eu
http://www.radionazionaleveneta.org
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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