Napoleon el naneto corso, on gran criminal - e i veneti
Inviato: mar dic 02, 2014 4:59 pm
Napoleon el naneto corso, on gran criminal - e i veneti
viewtopic.php?f=160&t=1245
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... Correr.jpg
http://correr.visitmuve.it/it/il-museo/ ... toria/sede
http://it.wikipedia.org/wiki/Museo_Correr
http://it.wikipedia.org/wiki/Procuratie ... apoleonica
http://archiviostorico.corriere.it/2002 ... 1221.shtml
POLEMICHE. Sparita quasi due secoli fa e riacquistata da Sotheby' s, l' opera d' arte rinfocola vecchi rancori a metà fra storia e politica
Napoleone? No grazie. Mezza Venezia si ribella
Il ritorno della statua fa indignare chi non perdona a Bonaparte di avere affondato la Serenissima
L' imperatore spogliò la città di inestimabili ricchezze: cominciando dalle «Nozze di Cana» del Veronese, che si trovano tuttora al Louvre
DAL NOSTRO INVIATO VENEZIA - Due secoli, quattro anni e nove mesi non son stati sufficienti a perdonare l' umiliazione del Leon. Uno sfregio insolente e gratuito. Non era bastato a Napoleone l' aver rubato a Venezia anche quella magnifica statua di bronzo greco-orientale che svettava da secoli su una delle colonne di San Marco. Non era bastato averla portata a Parigi per piazzarla agli Invalides da dove sarebbe tornata a casa 18 anni dopo (grazie agli austriaci) frantumata in 84 pezzi. No, aveva voluto che il superbo animale, simbolo della grandezza della Serenissima, fosse «ritoccato» con la coda piegata tra le gambe. Certo, dopo tutto questo tempo è facile leggere anche un risvolto politico nelle proteste dei leghisti contro l' acquisto a Sotheby' s per 353 mila euro di una statua del Bonaparte che per tre anni, dal 1811 al 1814, aveva troneggiato davanti al Palazzo Ducale da dove era stata rimossa durante una sommossa popolare per sparire nel nulla. Venezia, come ricorda con trinariciuto disappunto il forzista Giorgio Carollo, resta «l' unica isola bolscevica» (sic) del Veneto.
Una polemica in più, anche se nel centrodestra Vittorio Sgarbi e Renato Brunetta hanno benedetto l' operazione, è sempre benvenuta.
L' indignazione per il ritorno della statua, due metri e mezzo di marmo scolpito dal veronese Domenico Banti e riacquistato grazie alla Cassa di Risparmio di Venezia e al Comité Francais pour la sauvegarde de Venise, affonda però davvero le radici in un astio antico.
C' è chi come il presidente del consiglio regionale Enrico Cavaliere urla che «è come se gli indios facessero un monumento ai conquistadores».
Chi come Bartolomeo Boscolo scrive al Gazzettino per chiedere stizzito: «allora facciamo una statua anche a Francesco Giuseppe».
Chi come Gianpietro Zucchetta, autore di vari libri su Venezia, minaccia d' andare al «Correr», dove l' opera finirà, «solo per sputare addosso a chi uccise la Serenissima».
Chi come il venetista Alberto Gardin segnala la nascita di vari comitati «pronti a dare a Napoleone il "benvenuto" che merita».
Davanti a tanto rancore che aggalla nonostante l' ok di Giandomenico Romanelli, il direttore dei musei secondo il quale col rientro della statua un pezzo di storia veneziana, piaccia o no, torna al suo posto, lo scrittore Alvise Zorzi non è affatto stupito: «Il nome di Napoleone è legato alla rovina di Venezia.
Gli amici del Comité francese amano la nostra città e sono impegnati da anni in opere straordinarie, come il restauro della Salute. Ma credo anch' io che questo sia stato un errore».
Fu la fine di tutto, quel maggio 1797. Di una storia millenaria spazzata via dal voto d' autoscioglimento del Maggior Consiglio.
Della venezianità secolare delle terre dalmate dove il capo del villaggio di Perasto, bocche di Cattaro, salutò la morte della Serenissima con parole strazianti: «el nostro cuor sia l' onoratissima to tomba».
Dell' orgoglio d' una città che mai era stata invasa ed ora moriva disonorata da voltagabbana come Giacomo Foscarini, «lo zoppo», che si levò la toga patrizia e la calpestò per mettersi all' occhiello una coccarda francese.
Tutte le navi che erano all' Arsenale furono affondate, tutte le artiglierie smontate e mandate in Francia, tutte le gomene e le vele portate via. Tutti i leoni della città scalpellati insieme con le statue dei dogi, tutti i preziosi scranni del Maggior Consiglio incendiati, tutti i meravigliosi intarsi e gli arredi del Bucintoro, compreso quel leone alato che «parea slanciarsi nelle acque marine», sfasciati e bruciati all' isola di San Giorgio dove «arsero per tre giorni e tre notti» finché, spente le fiamme di quella che era stata la più bella barca mai esistita, le ceneri furono raccolte e mandate a Napoleone: simbolo del totale annientamento della città.
Un saccheggio spaventoso. Che col successivo dominio francese dal 1806 al 1814 e il sequestro dei beni religiosi avrebbe lasciato Venezia spogliata di inestimabili ricchezze: settanta chiese e conventi demoliti, 20 mila opere d' arte disperse, sei milioni di lire torinesi (una somma enorme, metà in contanti e metà in attrezzature nautiche) taglieggiati devastando le pubbliche casse, i quattro cavalli di San Marco e il magnifico Leone portati a Parigi insieme con un patrimonio incredibile che solo in parte (le Nozze di Cana del Veronese, per dire, sono ancora al Louvre) sarebbe tornato indietro. Nell' elenco, riassunto da Zorzi in «Venezia scomparsa», c' erano opere del Tintoretto, del Tiziano, del Giambellino... Per non parlare dei 470 manoscritti antichi asportati dalla Biblioteca Marciana, delle centinaia di incunaboli, dei codici greci su pergamena. E più ancora del fantastico Tesoro di San Marco: corone e croci e gioielli straordinari accumulati per secoli, smontati pezzo per pezzo dalla cittadina Mascherini: di qua le pietre preziose, di là l' oro da fondere.
Un delitto mai perdonato. Trasmesso di padre in figlio, di nonno in nipote.
E ripreso in un adagio veneziano: «I francesi no xè tuti ladri, ma Bonaparte sì». Gian Antonio Stella
Stella Gian Antonio
viewtopic.php?f=160&t=1245
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... Correr.jpg
http://correr.visitmuve.it/it/il-museo/ ... toria/sede
http://it.wikipedia.org/wiki/Museo_Correr
http://it.wikipedia.org/wiki/Procuratie ... apoleonica
http://archiviostorico.corriere.it/2002 ... 1221.shtml
POLEMICHE. Sparita quasi due secoli fa e riacquistata da Sotheby' s, l' opera d' arte rinfocola vecchi rancori a metà fra storia e politica
Napoleone? No grazie. Mezza Venezia si ribella
Il ritorno della statua fa indignare chi non perdona a Bonaparte di avere affondato la Serenissima
L' imperatore spogliò la città di inestimabili ricchezze: cominciando dalle «Nozze di Cana» del Veronese, che si trovano tuttora al Louvre
DAL NOSTRO INVIATO VENEZIA - Due secoli, quattro anni e nove mesi non son stati sufficienti a perdonare l' umiliazione del Leon. Uno sfregio insolente e gratuito. Non era bastato a Napoleone l' aver rubato a Venezia anche quella magnifica statua di bronzo greco-orientale che svettava da secoli su una delle colonne di San Marco. Non era bastato averla portata a Parigi per piazzarla agli Invalides da dove sarebbe tornata a casa 18 anni dopo (grazie agli austriaci) frantumata in 84 pezzi. No, aveva voluto che il superbo animale, simbolo della grandezza della Serenissima, fosse «ritoccato» con la coda piegata tra le gambe. Certo, dopo tutto questo tempo è facile leggere anche un risvolto politico nelle proteste dei leghisti contro l' acquisto a Sotheby' s per 353 mila euro di una statua del Bonaparte che per tre anni, dal 1811 al 1814, aveva troneggiato davanti al Palazzo Ducale da dove era stata rimossa durante una sommossa popolare per sparire nel nulla. Venezia, come ricorda con trinariciuto disappunto il forzista Giorgio Carollo, resta «l' unica isola bolscevica» (sic) del Veneto.
Una polemica in più, anche se nel centrodestra Vittorio Sgarbi e Renato Brunetta hanno benedetto l' operazione, è sempre benvenuta.
L' indignazione per il ritorno della statua, due metri e mezzo di marmo scolpito dal veronese Domenico Banti e riacquistato grazie alla Cassa di Risparmio di Venezia e al Comité Francais pour la sauvegarde de Venise, affonda però davvero le radici in un astio antico.
C' è chi come il presidente del consiglio regionale Enrico Cavaliere urla che «è come se gli indios facessero un monumento ai conquistadores».
Chi come Bartolomeo Boscolo scrive al Gazzettino per chiedere stizzito: «allora facciamo una statua anche a Francesco Giuseppe».
Chi come Gianpietro Zucchetta, autore di vari libri su Venezia, minaccia d' andare al «Correr», dove l' opera finirà, «solo per sputare addosso a chi uccise la Serenissima».
Chi come il venetista Alberto Gardin segnala la nascita di vari comitati «pronti a dare a Napoleone il "benvenuto" che merita».
Davanti a tanto rancore che aggalla nonostante l' ok di Giandomenico Romanelli, il direttore dei musei secondo il quale col rientro della statua un pezzo di storia veneziana, piaccia o no, torna al suo posto, lo scrittore Alvise Zorzi non è affatto stupito: «Il nome di Napoleone è legato alla rovina di Venezia.
Gli amici del Comité francese amano la nostra città e sono impegnati da anni in opere straordinarie, come il restauro della Salute. Ma credo anch' io che questo sia stato un errore».
Fu la fine di tutto, quel maggio 1797. Di una storia millenaria spazzata via dal voto d' autoscioglimento del Maggior Consiglio.
Della venezianità secolare delle terre dalmate dove il capo del villaggio di Perasto, bocche di Cattaro, salutò la morte della Serenissima con parole strazianti: «el nostro cuor sia l' onoratissima to tomba».
Dell' orgoglio d' una città che mai era stata invasa ed ora moriva disonorata da voltagabbana come Giacomo Foscarini, «lo zoppo», che si levò la toga patrizia e la calpestò per mettersi all' occhiello una coccarda francese.
Tutte le navi che erano all' Arsenale furono affondate, tutte le artiglierie smontate e mandate in Francia, tutte le gomene e le vele portate via. Tutti i leoni della città scalpellati insieme con le statue dei dogi, tutti i preziosi scranni del Maggior Consiglio incendiati, tutti i meravigliosi intarsi e gli arredi del Bucintoro, compreso quel leone alato che «parea slanciarsi nelle acque marine», sfasciati e bruciati all' isola di San Giorgio dove «arsero per tre giorni e tre notti» finché, spente le fiamme di quella che era stata la più bella barca mai esistita, le ceneri furono raccolte e mandate a Napoleone: simbolo del totale annientamento della città.
Un saccheggio spaventoso. Che col successivo dominio francese dal 1806 al 1814 e il sequestro dei beni religiosi avrebbe lasciato Venezia spogliata di inestimabili ricchezze: settanta chiese e conventi demoliti, 20 mila opere d' arte disperse, sei milioni di lire torinesi (una somma enorme, metà in contanti e metà in attrezzature nautiche) taglieggiati devastando le pubbliche casse, i quattro cavalli di San Marco e il magnifico Leone portati a Parigi insieme con un patrimonio incredibile che solo in parte (le Nozze di Cana del Veronese, per dire, sono ancora al Louvre) sarebbe tornato indietro. Nell' elenco, riassunto da Zorzi in «Venezia scomparsa», c' erano opere del Tintoretto, del Tiziano, del Giambellino... Per non parlare dei 470 manoscritti antichi asportati dalla Biblioteca Marciana, delle centinaia di incunaboli, dei codici greci su pergamena. E più ancora del fantastico Tesoro di San Marco: corone e croci e gioielli straordinari accumulati per secoli, smontati pezzo per pezzo dalla cittadina Mascherini: di qua le pietre preziose, di là l' oro da fondere.
Un delitto mai perdonato. Trasmesso di padre in figlio, di nonno in nipote.
E ripreso in un adagio veneziano: «I francesi no xè tuti ladri, ma Bonaparte sì». Gian Antonio Stella
Stella Gian Antonio