“Quel plebiscito-truffa che c’ha resi italiani”. Parla Beggiatodi Veneto Intraprendente
http://www.lintraprendente.it/2016/10/q ... Q.facebookSono molti anni che Ettore Beggiato si occupa di storia veneta, con una passione ammirabile e con una serietà che nessuno gli contesta, e che cerca di alzare il velo su fatti che si vorrebbero negare o celare. La ripubblicazione del suo volume sul plebiscito-truffa del 1866 ha suscitato molte polemiche anche sui quotidiani nazionali, solitamente orientati a ignorare questi temi, e tutto questo sta contribuendo a fare luce sul modo in cui il Veneto fu “italianizzato” dopo la guerra austro-prussiana. L’abbiamo intervistato per saperne di più su come è arrivato a occuparsi del referendum del 1866 e sulle ragioni che lo portano a indagare il passato anche al fine di contribuire a costruire un futuro diverso per il Veneto: con più libertà e meno menzogne.
Beggiato, Quando, e perché, hai cominciato a interessarti del plebiscito del 1866?
«Ho incominciato ad interessarmi del plebiscito nei primi anni Ottanta, quando lavoravo nel settore informatico, partendo da una considerazione di carattere “statistico”: era impossibile che i dati riportati nelle lapidi di Palazzo Ducale a Venezia, di Bassano del Grappa, di Treviso o di Padova potessero essere “reali”. È matematicamente certo che in una massa di quasi 650.000 votanti ci potesse essere il 99,99 % di voti favorevoli: nessun regime era mai arrivato a tanto. E così ho incominciato ad approfondire la materia, pubblicando già nell’estate del 1983 il mio primo articolo, uscito nel prestigioso periodico Etnie (“Scienza, geopolitica e cultura dei popoli”, stava scritto nel sottotitolo) che si stampava a Milano. Da allora mi sono appassionato sempre di più. Continuando nelle ricerche, pubblicando articoli qua e là (ricordo con piacere la pubblicazione su Storia Illustrata e persino sul libro Dio Po del “mitico” Gian Antonio Stella), ricevendo segnalazioni da amici, setacciando i mercatini dell’antiquariato e internet e facendo relativi acquisti di materiale (manifesti, giornali, schede ecc.), nel lontano 1999 mi decisi di pubblicare la prima edizione, grazie all’amico Albert Gardin e alla sua “Editoria Universitaria”. Fu proprio Albert che mi mise in contatto con il professor Sabino Acquaviva, che fu ben felice di farmi la prefazione: una presentazione fin troppo lusinghiera del mio modesto lavoro che fu, e continua ad essere, la vera fortuna del libro. Non a caso, Il Gazzettino il 2 dicembre del 1999 pubblicò l’intera prefazione con notevole risalto: uno squarcio notevole nella cortina fumogena che aveva sempre caratterizzato le vicende del plebiscito-truffa».
Un’obiezione assai comune alle tue tesi sembra riecheggiare il duo Da Ponte – Mozart: Così fan tutte. Nessuno o quasi nega che il plebiscito sia stato una truffa, ma ci si limita a rilevare che in fondo ogni unità nazionale è stata frutto di violenze, imbrogli, prevaricazioni. Cosa rispondi a questi critici?
«Mi sembrano argomentazioni risibili, patetiche. C’è una chiara volontà di tenere il nostro popolo, e gli altri popoli che hanno subito un simile trattamento, all’oscuro di quella che è stata una pagina fondamentale, e tristissima, della nostra storia. Un disegno chiarissimo fin da subito: si dovevano far sparire tutte le prove della truffa, delle intimidazioni, dei brogli che hanno caratterizzato il plebiscito. E non lo dice Ettore Beggiato: lo testimonia e lo denuncia, ancora nel 1903, uno storico, Luigi Sutto di Rovigo, che era stato incaricato dal costituendo Museo del Risorgimento “Carlo Alberto” di ricostruire dati ed episodi del plebiscito. L’insuccesso del suo impegno durato qualche anno fu quasi totale: lui stesso denuncia come fosse difficilissimo trovare “qualcosa” sul plebiscito. Eravamo nel 1903: appena 37 anni dopo il voto. E va denunciata questa scandalosa “omertà” che continua a caratterizzare studi, ricerche, convegni sul plebiscito. “Vietato parlar male di Garibaldi” si diceva una volta. Nel Veneto del terzo millennio continua ad essere vietato, almeno in certi ambienti, farsi domande sul plebiscito del 1866…».
È noto come il mondo accademico e l’establishment culturale, per ragioni ideologiche evidenti, siano per lo più assai restii ad affrontare la questione del voto dell’ottobre del 1866. Quali sono, a tuo giudizio, le voci “fuori dal coro” più interessanti che hai incontrato leggendo – su questo specifico tema – gli storici del passato e del presente?
«Domanda scivolosa: spero di non fare mancanze clamorose. Parto da Federico Bozzini, autore de L’arciprete e il cavaliere (recentemente ristampato), e poi i 3 volumi di Mario Costa Cardol, il recentissimo volume di Lorenzo Del Boca Venezia tradita e gli altri dello stesso autore, i lavori di Gigi Del Fiore, Martucci e il suo L’invenzione dell’Italia unita, i volumi e gli articoli del caro Gilberto Oneto, L’altro risorgimento di Angela Pellicciari … per il resto, rimando alla mia bibliografia su 1866: la grande truffa».
Come hai ricordato, il tuo bel libro sul plebiscito (1866: la grande truffa. Il plebiscito di annessione del Veneto, già edito nel 1999 e ora ripubblicato da Editrice Veneta) è accompagnato da alcune pagine molto coraggiose di Acquaviva. Cosa puoi dire al riguardo?
«Ha detto bene “pagine molto coraggiose”: ancor più coraggiose se pensiamo che furono scritte nel 1999, diciassette anni fa. Pagine oraggiose, lucidissime, profetiche direi. Sabino Acquaviva aveva questa straordinaria capacità di rendere semplici concetti elevati: una capacità dei Grandi. Qualcuno mi aveva suggerito di pubblicare un nuovo libro, con un nuovo titolo, visto la quantità di nuovi documenti e testimonianze che caratterizzano questa terza edizione, ma ho preferito tenere l’impianto originale proprio per dare il giusto risalto alla grandissima prefazione di Sabino Acquaviva: una forma di sentito omaggio a una straordinaria figura della cultura veneta scomparsa il 30 dicembre dello scorso anno».
I va in AmericaIl voto del 21 e del 22 ottobre servì a legittimare lo stato di fatto: l’annessione del Veneto da parte della monarchia savoiarda. Quali furono, a tuo giudizio, le conseguenze sociali ed economiche di tutto questo nei decenni finali del diciannovesimo secolo?
«Nel mio libro cito l’autorevole Ruggiero Bonghi, già ministro del Regno, che ricorda come la nostra Terra, il Veneto, fosse l’unica con il bilancio in attivo, di ben 25 milioni, al momento dell’annessione. Con l’arrivo dei “liberatori” italiani il Veneto si trovò in poco tempo in una situazione di fame, miseria e disperazione come mai nella propria storia. Il Regno d’Italia, uscito battuto e bastonato dalla guerra, dovette iniziare un’opera di risanamento dei conti che sfociò in un impressionante aumento delle tasse, con l’istituzione di una vera e propria tassa sulla fame, la famigerata “tassa del macinato”. Oltre a questo, per ingraziarsi i massoni latifondisti, il governo italiano aboliì una serie di leggi e consuetudini che funzionavano come “ammortizzatore sociali”: come ad esempio il “vagantivo” (diritto di pesca e di raccolta di quanto si trovava nelle valli del Polesine). Alla nostra gente non restò che emigrare. La grande “emigrazione veneta” nasce subito dopo l’arrivo dei liberatori italiani. Proprio così, arrivano gli italiani e i veneti se ne vanno. E la poesia del grande Berto Barbarani descrive in maniera tragica e commovente la situazione delle nostre campagne e la disperazione di tanti veneti…».
Nelle scorse settimane il tuo libro è stato al centro di aspre polemiche e “Veneto Intraprendente”, in questa sua prima uscita, presenta proprio un dossier con i vari interventi. Perché c’è tanta acredine verso di te e verso il tuo libro? Come ti spieghi reazioni così scomposte da parte di studiosi che dovrebbero apprezzare il confronto intellettuale e da parte di giornalisti che tendono a rappresentarsi come open-minded e tolleranti?
«E questi sono i “santoni” della democrazia, del pluralismo, della tolleranza: democratici, pluralisti e tolleranti con chi la pensa come loro! Questi sono i risultati quando ci si guarda attorno, o meglio, si legge con i “filtri” dell’ideologia. Emblematico che, di fronte al plebiscito, non ci sia alcuna differenza fra uno storico “di sinistra” e una “di destra”. Il nazionalismo e la retorica nazional-tricolore sono impressionanti, anche se devo dire che sono soprattutto gli storici e gli ambienti di sinistra ad avere atteggiamenti da ultras. Naturalmente si guardano bene da contestare i mei dati, i manifesti che riproduco o le lapidi che fotografo. Li capisco: come potrebbero fare? E sotto sotto c’è anche un atteggiamento classista. Come si permette un “bocia de botega” come Ettore Beggiato a trattare un argomento, una questione che è sempre stata un’esclusiva di certi ambienti? Come si permette Ettore Beggiato di sollevare una questione che era sepolta da chili di polvere in qualche archivio o in qualche sede universitaria?».
Il volume che hai scritto tratta del passato per fare riflettere sul presente, e certamente vuole invitare i veneti ad alzare la testa e a decidere liberamente del loro futuro: quale che sia poi l’esito. Bisogna essere felici del fatto che gli scozzesi abbiano potuto votare e il risultato finale, per certi aspetti, è la cosa meno importante: se sono nel Regno Unito è perché hanno voluto così. Riuscirà il Veneto a fare lo stesso e a uscire da questa condizione di minorità?
«Dipenderà dei Veneti e nonostante tutto continuo ad essere fiducioso, ottimista. Il tutto deve partire, però, da un processo di riappropriazione della nostra identità, della nostra storia, della nostra cultura, queste sono le fondamenta del Veneto del futuro. Mi trovavo ad Edimburgo nei giorni del referendum per l‘indipendenza della Scozia: mi sono preso qualche giorno di ferie proprio per vivere quel momento storico e per cercare di capire da drento (come diciamo noi veneti) le dinamiche della nazione scozzese. E mi piace ricordare che il voto dei giovani è stato un voto a maggioranza indipendentista. In Scozia è solo questione di tempo: credo e spero che lo stesso sia anche in Veneto…».
Un’ultima domanda. Sappiamo che la tua passione di storico e innamorato del Veneto è più viva che mai. A cosa stai lavorando ora?
«Sto lavorando a diverse cosette… La più interessante è imperniata su un prete veneto finito in galera con l’arrivo dei liberatori italiani».