Venetismo, referendo par l'endependensa e i fanfaroni

Re: Venetismo, referendo par l'endependensa e i fanfaroni

Messaggioda Berto » mar set 12, 2017 8:46 pm

???

Dal 1 ottobre, referendum on line per l’indipendenza del Veneto
1 settembre 2017
Da daniele

http://www.life.it/1/dal-1-ottobre-refe ... del-veneto

LIFE Treviso ha dato il suo patrocinio al referendum sull’indipendenza del Veneto organizzato dalla piattaforma http://www.serenissima.org . Il tutto nasce da un associato LIFE Treviso, Alvise Piccoli che ha messo a punto una piattaforma per il voto on line previsto dal I° al 10 ottobre sperando si possa procrastinare la scadenza al 22 ottobre, data doppiamente significativa per i Veneti.

Le sue considerazioni che hanno convinto alla unanimità il Direttivo provinciale di LIFE Treviso a patrocinare l’evento sono:

il referendum sull’autonomia, organizzato dalla Regione Veneto, non ha alcun effetto pratico perché meramente consultivo;
la valenza politica attribuita a questo è fuorviante perché il quesito verte su una richiesta di maggiore autonomia;
di certo, autonomia, non è l’indipendenza agognata da una gran parte di Veneti;
molti veneti si sono convinti a votare nell’illusione di mandare un forte segnale a Roma;
il segnale arriverà lì, come una vacua richiesta di maggiore autonomia;
Roma prenderà atto della conferma che i Veneti avranno finalmente abiurato l’indipendenza;

E’ evidente che per misurare la voglia di indipendenza dei Veneti non lo si può fare rispondendo ad un quesito sull’autonomia, allora ben venga un referendum ad hoc sull’indipendenza del Veneto che anche ZAIA avrebbe potuto organizzare, con limitate risorse e con valore in tutto e per tutto equivalente a quello milionario e fuorviante della Regione sull’autonomia, sfidando apertamente Roma. (!?)

Votare sarà semplice: sarà sufficiente collegarsi alla piattaforma http://www.serenissima.org , lo si può fare già da qualche giorno e attendere l’invio di un codice personale che permetterà di votare dal I° ottobre al 10, ma speriamo vivamente fino al 22, sempre tramite web.

W il Veneto Libero
W il Veneto indipendente
W il Veneto sovrano
WSM

Daniele Quaglia
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Venetismo, referendo par l'endependensa e i fanfaroni

Messaggioda Berto » mar set 19, 2017 8:14 am

Venexit, da Roma o dai politici che promettono la luna?
ENZO TRENTIN

http://www.lindipendenzanuova.com/venex ... no-la-luna

Questa volta speculeremo su un agile pamphlet recentemente messo in vendita, a prezzo di affezione, abbinato al quotidiano Libero del 5 luglio 2017, ma che comunque si può acquistare a 6 euro: VENEXIT, scritto dal veronese Giuliano Zulin e dal padovano Matteo Mion, con gli interventi di Vittorio Feltri e Luca Zaia, ed altri ancora. Al momento in cui scriviamo non abbiamo notizia se l’analogo pamphlet che tratta della Lombardia è già uscito. Altrimenti è questione di giorni.

Diciamo subito che appare come un’abile e ben orchestrata operazione di Dizinformacja tramutatasi in un endorsement che, se non è direttamente ispirata dal Governatore Zaia, certo ne prende tutte le sembianze considerato che si confessa sin dalla prima pagina che è edito da: Editori del Veneto, marchio gentilmente concesso da Valter Basso, di Martellago (VE). Il titolo VENEXIT che vorrebbe scimmiotare BREXIT, ossia la secessione della Gran Bretagna dalla Ue, è sostanzialmente disatteso, perché gli accenni all’indipendenza del Veneto sono pochi e sbiaditi, mentre con le argomentazioni valide per l’indipendenza è esaltato l’obbiettivo della autonomia che dovrebbe ottenersi a seguito del grande afflusso di votanti al referendum del 22 ottobre. Referendum sulla cui debole o nulla efficacia sono tutti d’accordo, e ciò nonostante si punta alla massima affluenza al voto di cui più avanti daremo una chiave di lettura.

Diamo atto ai due giornalisti di Libero che firmano l’opera di cavarsela egregiamente. In particolare Matteo Mion, [http://matteomion.com/il-libro/] che pur collaboratore del quotidiano, di professione fa l’avvocato. I suoi interventi, molto stringati su una o al massimo due pagine, arrivano subito al nocciolo e, a meno di essere prevenuti, sono condivisibili. Tutte le argomentazioni sviluppate sono a giustificazione dell’indipendenza del Veneto, ma sono strumentalmente utilizzate per promuovere l’autonomia.

Intervengono anche altri giornalisti, che con stili ed argomenti diversi, mantengono, ognuno in un paio di pagine, la liaison officer. Il tutto con uno stile agile e piacevole. Chi, invece, emette una nota “stridente” sono i tre personaggi politici che intervengono nell’opera.

Del primo nulla diremo essendo un personaggio che almeno dal 1987 vive come un tax consumers, che ovviamente è a carico dei taxpayers che abitano l’inferno fiscale italiano. È molto noto per aver iniziato come autonomista e federalista, per poi diventare indipendentista per ritornare ora a sostenere la causa autonomista.

L’altro personaggio politico è Roberto Ciambetti, con 13 pagine d’intervento. Il più ampio di tutti. Il contributo vorrebbe essere una specie di Lectio Magistralis dove citando brani di più libri ed altrettanti autori si profonda in innumerevoli citazioni, con esempi di vera democrazia. Dati i limiti di un articolo giornalistico, estrapoleremo e commenteremo solo questa parte: «Abbiamo vissuto, e stiamo vivendo, una rivoluzione senza pari, davanti alla quale il ruolo degli stati e delle Istituzioni democratiche sembrano via via appannarsi, diventare marginali rispetto ai presunti motori della società. In questo scenario va inserita la crisi degli istituti della rappresentanza, dai partiti alle organizzazioni sindacali, la delegittimazione dei decisori pubblici».

A seguito di tale presa di coscienza, il comune cittadino si aspetterebbe dall’attuale Presidente del consiglio della Regione Veneto che, per quanto in suo potere, qualcosa cercasse di fare. Ma non sembra sia così. Infatti il 20 novembre 2015 da parte di un nutrito gruppo di associazioni che persegue la democrazia diretta, sono state depositate in Regione Veneto due petizioni per richiedere al Consiglio Regionale Veneto più democrazia, ossia: eliminare il quorum dai referendum e di inserire nuovi strumenti di partecipazione popolare nello Statuto Regionale. Si veda qui:

https://piudemocraziavenezia.wordpress. ... bmit=Cerca . Lo stesso sito non dà alcuna indicazione sull’esito di tali petizioni, che spetta al predetto Presidente porre alla discussione del consiglio regionale.

Malgrado ciò, gli stessi soggetti promotori della democrazia diretta insistono con una Proposta di legge popolare sulla democrazia diretta in Regione Veneto. Si veda qui:

https://piudemocraziavenezia.wordpress.com/ . Senza lo strumento richiesto – sostengono – è impossibile esercitare il diritto alla partecipazione, perché è irragionevole pensare che qualunque cittadino possa andare ogni giorno a guardare il sito web della Regione o del Consiglio (entrambi ne hanno uno apposito), che oltretutto non sono aggiornati in tempo reale.

La risposta del Presidente Roberto Ciambetti è stata un “ni”:

Ipse dixit: «…In questo scenario va inserita la crisi degli istituti della rappresentanza, dai partiti alle organizzazioni sindacali, la delegittimazione dei decisori pubblici». Ovvero l’ha detto egli stesso: Roberto Ciambetti. È possibile che si stia posizionando per sostituire Luca Zaia alla Regione?venexit2

L’Idea del Governatore Luca Zaia è invece questa: «Il Veneto fa la storia e si prenderà lo spazio di autonomia che gli spetta. […] e lo diranno i veneti chiamati a pronunciarsi con un referendum consultivo per dar forza alla nostra trattativa col Governo e conquistare ulteriori spazi di autonomia, forti di quei 20 miliardi di residuo fiscale che ogni anno vengono sottratti al territorio dallo Stato per non essere più resi in servizi ai cittadini».

In realtà, secondo la CGIA di Venezia-Mestre [(http://www.cgiamestre.com/articoli/22230 ] il Veneto, invece, presenta da alcuni anni un saldo positivo di circa 18 miliardi di euro che si traduce in 3.733 euro conferiti da ciascun residente. Ma Zaia imperterrito prosegue: «Cosa faremmo con una maggiore autonomia, trattenendo cioè parte del residuo fiscale di 21 miliardi (Ndr: i miliardi da 20 sono diventati 21), è presto detto. Più servizi sanitari, più cure, più prestazioni e a costi inferiori per i nostri malati. Il trasferimento alla Regione della gestione del personale scolastico a tutela per gli studenti, cui vanno garantiti gli insegnanti fin dal primo giorno di lezione. Maggiori competenze alla Protezione civile e più fondi per il Piano di tutela del suolo che abbiamo intrapreso nel 2010 dopo la grande alluvione, La gestione diretta di tutte le risorse, le funzioni amministrative e i fondi statali che si ritiene possano essere amministrati a livello locale in modo migliore e più attento allo sviluppo del territorio; la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali; il coordinamento della finanza pubblica nel sostegno alle imprese; la previdenza complementare e le aziende di credito a carattere regionale; la produzione, il trasporto e la distribuzione dell’energia; le opere pubbliche; le scuole paritarie».

Questi intendimenti rimandano alla mente un aforisma del fu Giulio Andreotti: “le promesse politiche sono cambiali che non hanno scadenza”. Infatti il Governatore Zaia ha dato molte prove dei suoi ripensamenti. Per esempio, prima ha cercato d’imporre una tassa sulla pedemontana Veneta, poi l’ha ritirata. Ha recentemente vietato le vaccinazioni, per poi fare marcia indietro su imposizione del governo. E ci fermiamo qui perché in questa sede può bastare.

venexit3Insomma, i gravami per il cittadino veneto non cambieranno, perché si aspira a sostituire una classe politica romana, con l’omologa veneta. I veneti nella gestione delle loro risorse sottratte coercitivamente dal fisco non c’entreranno per nulla. Il démos, “popolo” e krátos, “potere” uguale democrazia, non sarà esercitata. Né sono ipotizzati gli istituti di democrazia diretta attraverso i quali si possa bilanciare il potere dei “delegati” con la volontà del “popolo sovrano”. Si veda sopra a proposito delle Petizioni depositate.

Ecco perché gli attuali rappresentanti in Regione assomigliano alla figura dello zio Tom. Sono lontani mille miglia dagli omologhi catalani. Gente disposta a rischiare la galera. Sono degli zio Tom che non fa il ribelle, e non capeggia rivolte. Egli è uno schiavo privilegiato, perché uomo di fiducia del suo padrone, sceglie di rimanere con il suo padrone e comprende che la decisione di venderlo era stata dettata dalla necessità. E quando zio Tom diverrà uno schiavo come gli altri, questo lo porterà alla morte.

Proviamo, allora, a guardare la questione con un’altra ottica: Luca Zaia è un candidato, con molte chance, alla carica di Presidente del Consiglio dei Ministri. Perché insiste tanto per avere un massiccio afflusso di votanti il referendum consultivo del 22 ottobre, se non per rafforzare le sue chance, grazie al suo charm, all’ambita carica di Premier? Il suo sguardo è più orientato alle terre che furono della Serenissima, o alle sponde del Tevere?

Sul bergamasco (già terra della Serenissima) Vittorio Feltri, non c’interessa valutare la sua fede autonomista o federalista. Di quel grande professionista che tutti riconoscono, osserviamo che nella “nicchia” di mercato indipendentista ha trovato una strada per incrementare le vendite del suo quotidiano. Altrimenti perché allegare il pamphlet? Rileviamo solo una sua dichiarazione contenente nel libretto: «Eviterò di usare la parola “federalismo”. È consumata. […] ha lo stesso fascino di una caramella succhiata da Bossi e poi passata a Prodi, com’è in effetti successo». E su questa affermazione i federalisti si sono scatenati in Facebook.

VENEXIT si conclude con un intervento del Vicedirettore di Libero Giuliano Zulin (già militante della LN), dove tra l’altro scrive: «In Veneto? Se rimanesse in Italia, sarebbe ora di studiare una strategia, come fece Margareth Thatcher negli anni ’80 nel Regno Unito. Investimenti infrastrutturali sulla banda larga (ci sono ancora parecchie zone della Regione che hanno una connessione da preistoria) e creazione di una zona franca attorno a Venezia. Via la vecchia Marghera: la capitale della Serenissima ha l’obbligo di tornare centro europeo degli affari. Una City mondiale, dove la finanza (arabi, russi, americani ed europei) possa incontrare le eccellenze del manifatturiero e aumentare la competitività veneta.

Un Veneto indipendente non può inoltre prescindere da una nuova giustizia. Pubblici ministeri eletti dal popolo, che si impegnino contro i reati più odiati dai cittadini. Più responsabilità e meno politica, per tornare a quel concetto di giustizia serenissima, che non risparmiava alcuno.

E poi, non abbiamo paura di dircelo: ridisegnamo anche gli strumenti democratici. Referendum sì, elezioni no. Giusto chiedere, previa raccolta firme di 300mila persone almeno, il parere dei cittadini su qualsiasi argomento, non come la nostra costituzione che vieta di sentire il parere popolare su trattati internazionali e materie fiscali. Dove sta scritto? Democrazia diretta, senza più partiti, ormai sorpassati. Per mille anni Venezia è stata guidata dal patriziato. Che non guadagnava soldi dalle cariche pubbliche e aveva come unico interesse il bene della serenissima. I patrizi di adesso sono gli imprenditori: gente che, chi più chi meno, non gode per le crisi e nemmeno se la gente si lamenta.

Che senso ha votare gente che poi, anche per colpa di altri, non può più fare gli interessi degli elettori?» […] «Forse molti veneti non hanno mai creduto nell’autonomia perché nessuno ha mai tracciato un quadro di cosa fare dopo l’indipendenza. Perché secedere? Nessuno può avere un’idea precisa di come sarebbe il Veneto indipendente, ma in questo libro abbiamo pensato di introdurre spunti e riflessioni».

Ecco… perché aspettare il “dopo” l’indipendenza? Gli elettori come possono dare la loro fiducia ad un progetto istituzionale che verrà? Perché non creare subito un think tank? Un gruppo di esperti impegnato nell’analisi e nella soluzione di problemi complessi, specie in campo economico, e politico. Le personalità non mancano. Il predominio nella vita pubblica di individui o gruppi finanziari che, grazie alla disponibilità di enormi capitali, sono in grado d’influenzare in maniera determinante gli indirizzi politici possono essere ridimensionati solo dall’esercizio della democrazia diretta. Dov’è questo progetto?
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Venetismo, referendo par l'endependensa e i fanfaroni

Messaggioda Berto » sab set 30, 2017 6:03 am

L'USUCAPIONE DELLA PARTITOCRAZIA SULLA SOVRANITÀ POPOLARE
ENZO TRENTIN
29 settembre 2017

http://www.lindipendenzanuova.com/lusuc ... a-popolare

Clint Eastwood, nelle vesti dell’Ispettore Callaghan, diceva: «le opinioni sono come i coglioni. Ognuno ha i suoi.» Ed è un’opinione quel “pensiero di parte” che malgrado i dati storici inoppugnabili argomenta: «La Costituzione italiana è votata perché è stata redatta da un’Assemblea Costituente, i cui membri sono stati eletti dal popolo il 2 giugno 1946; data in cui ci fu anche il referendum istituzionale relativo alla scelta tra monarchia e repubblica. In quest’ultimo, vinse la repubblica (il 2 giugno infatti viene celebrata la festa della Repubblica).»

In proposito, se in un primo tempo il d.lgs.lgt. n. 151/1944 aveva conferito all’Assemblea costituente il potere di decidere ogni aspetto della futura organizzazione costituzionale, il successivo d.lgs.lgt. n. 98/1946 ha rimesso la scelta della forma istituzionale (monarchia o repubblica) direttamente al corpo elettorale (come è accaduto nello stesso 1946), al cui responso sarebbe stata vincolata la futura Assemblea.
Oltre ad esercitare il potere di redigere e non deliberare la nuova carta costituzionale, l’Assemblea costituente del 1946-1947 aveva anche un limitato potere legislativo (per il resto provvisoriamente delegato al Governo) su alcune materie cruciali, quali la legge elettorale del Senato, gli Statuti speciali, la legge sulla stampa (art. XVII disp. trans. fin. Cost.), nonché l’approvazione del Trattato di pace (c.d. Trattato di Parigi) del 1947.

La Charta italiana non è quindi mai stata votata dal “popolo sovrano” – Comma 2, dell’Art. 1 – cosa che invece hanno fatto innumerevoli popoli, come dimostra qui una lista incompleta di Stati che in epoca recente hanno modificato la loro Costituzione e l’hanno introdotta solo dopo l’approvazione – per mezzo d’apposito referendum – del cosiddetto popolo sovrano, che a questo punto è lecito domandarsi se in Italia sia mai esistito http://www.lindipendenzanuova.com/i-sov ... ndentisti/

Una parte dell’indipendentismo, partendo da queste premesse, parla di usucapione dello Stato da parte della partitocrazia. L’usucapione è un modo per diventare proprietari di un bene senza bisogno di un contratto, di un testamento e, addirittura, senza bisogno di un accordo con il proprietario del bene.

Secondo questo parere legale (https://www.laleggepertutti.it/25338_lu ... e-funziona ) si diventa titolari di un bene altrui, anche se si è in mala fede (ossia si sappia che il bene è di proprietà di un altro soggetto) purché si sia posseduto il bene (cioè lo si abbia utilizzato o comunque se ne sia usufruito in qualche modo); per un periodo di tempo predeterminato; e ci si sia comportati, durante questo periodo, come se si fosse i veri proprietari, cioè alla luce del sole e davanti a tutta la collettività (pertanto non potrà usucapire un casolare il barbone che di notte vi acceda di nascosto, senza farsi vedere da nessuno).

L’acquisto del possesso non deve essere avvenuto in modo violento o clandestino (per esempio, con un’appropriazione indebita, con la creazione di recinti per evitare al proprietario di riprendersi la sua proprietà, ecc.), altrimenti l’usucapione non inizia a decorrere (o inizia a decorrere dal momento in cui è cessata la situazione di violenza o di clandestinità).

Dall’altro lato, il proprietario effettivo del bene (nel nostro caso il “popolo sovrano” che tramite le elezioni delega completamente gli affari pubblici alla partitocrazia) deve essersi disinteressato completamente di questa situazione, lasciando (in modo consapevole o inconsapevole) che il bene venisse utilizzato dall’altro soggetto. Anche se il predetto bene (la sovranità) si è “acquistato” in buona fede, e in base a un atto pubblico registrato, da un soggetto che, tuttavia, non era il vero proprietario del bene stesso.

Ciò nonostante, non tutti i beni possono essere usucapiti: non lo sono, per esempio, i beni demaniali e del patrimonio dello Stato o di altri Enti territoriali (v. il Comune). Per esempio, non si può usucapire lo spazio di un parcheggio pubblico solo perché lo si è recintato e si è sempre parcheggiato in quel posto, con divieto a qualsiasi altra persona di utilizzarlo. Così non dovrebbero essere posti in vendita i beni (esempio: le aziende) dello Stato.

Ci sono indipendentisti veneti che si sono entusiasmati alla notizia che il 16 dicembre 2010 con la firma del ministro per la Semplificazione normativa Roberto Calderoli, del ministro della Giustizia Angelino Alfano e perfino del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi veniva abrogata per errore dal governo l’annessione del Veneto all’Italia, ed è così finito anche il Regio Decreto 3300 del 4 novembre del 1866 con il quale «le provincie della Venezia e quelle di Mantova fanno parte integrante del Regno d’Italia.»

Ma pleonastico, sembrerebbe, il ricorrere al giudice italiano la cui azione appare incomprensibile all’uomo qualunque. Per esempio: «Ruba alle Poste: impiegato licenziato dopo la condanna, ma un giudice ordina reintegro e il pagamento degli arretrati.» Si veda qui: http://www.repubblica.it/cronaca/2017/0 ... -175991116

Tralasciamo, per brevità, anche le altre leggi italiane che hanno acquisito impegni e trattati internazionali in materia di autodeterminazione, e quant’altro affine. Concentriamoci su alcuni fatti incontestabili:

Le persone che governano gli Stati vivono prevalentemente di rendite politiche.
Gli Stati non hanno alcun interesse a perdere una parte dei loro territori, ivi comprese le eventuali risorse naturali, e la popolazione residente in veste di taxpayers (contribuenti). E lo si constata in questi giorni nelle vicende della Catalogna, la cui aspirazione all’indipendenza non ha avuto il sostegno dell’UE, né – tra gli altri – del Presidente degli USA Donal Trump.
Si consideri che col progressivo svanire del suo ideale, il popolo perde ciò che sta all’origine della sua coesione, unità e forza. L’individuo può ancora sviluppare la sua personalità e la sua intelligenza, ma all’egoismo collettivo subentra uno sviluppo eccessivo dell’egoismo individuale, accompagnato da un rammollimento del carattere e da un’attenuazione della volontà attiva. Il popolo, l’unità, il blocco, diventa allora un agglomerato di individui senza coesione, e per qualche tempo ancora mantiene artificialmente tradizioni e istituzioni. Divisi dagli interessi e dalle aspirazioni, incapaci di governarsi, gli uomini a quel punto domandano d’essere guidati fin nei più trascurabili gesti ed invocano uno Stato che eserciti un’influenza preponderante. Si veda Gustave Le Bon: «Psicologia delle folle».
Per ottenere l’autodeterminazione, il popolo deve avere istituzioni o altri mezzi per esprimere le proprie caratteristiche comuni e il suo desiderio di identità. Vedasi UNESCO [Doc. SHS-89/CONF. 602/7, Parigi, 22 febbraio 1990) § 22 Popolo:

http://unipd-centrodirittiumani.it/publ ... 01_083.pdf

Nel caso Veneto, come possono i “cittadini qualunque” dare la fiducia a uno schieramento indipendentista piuttosto che a un altro (qualcuno ha censito 22 gruppi, associazioni e/o partiti indipendentisti veneti, di cui 2 “multi-gruppi”, più 7 autogoverni veneti ed il 121esimo Doge della Repubblica Serenissima) quando non conoscono con chiarezza la sostanza dei contenuti della politica proposta? Senza la condivisone dei valori fondanti, e senza la conoscenza dei contenuti ci può essere fiducia?

Non esiste neppure un “giudice a Berlino“, che è un vecchio modo di dire nato dalla vicenda di un poveraccio, in Germania, rimasto senza mulino ma che alla fine ebbe giustizia. E questo perché le Corti internazionali sono state istituite dagli Stati per “difendere” gli Stati. Illusorio è credere che l’ONU – al quale alcuni pretendono d’aver ricorso e ricevuto sostegno o riconoscimento – possa essere risolutivo. Quante sono le risoluzioni ONU a favore di questo o quel popolo rimaste lettera morta? Innumerevoli!

Una possibilità è la secessione, previa una bozza di innovativo assetto istituzionale, condiviso da buona parte della popolazione cui si rivolge. Si veda in proposito i catalani. La contemporanea realizzare di un sistema di libero commercio, tramite accordi bilaterali, con l’eliminazione di dazi e restrizioni alla circolazione di beni, servizi e fattori di produzione; lasciando ad una successiva fase la fissazione di una tariffa esterna comune, nonché del coordinamento delle politiche macro-economiche e settoriali. Ovvero, dove passano le merci non passano i cannoni. Ma chi raccoglierà questa sfida?
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Venetismo, referendo par l'endependensa e i fanfaroni

Messaggioda Berto » gio feb 15, 2018 7:34 am

??? Comunità marciane, no grazie ???


ATTENZIONE VARIATA SEDE
NUOVA SEDE :
VILLA GAZZETTA SALA CONFERENZE PIANOTERRA
CON IL PATROCINIO DEL COMUNE DI SOSSANO
SOSSANO ( VI ) VIA ROMA, 94

Appello al mondo Indipendentista Veneto

AVVIO DEL PROGETTO DELLE COMUNITA' MARCIANE ( CM ), ORGANIZZAZIONE FACENTE PARTE LA CONFEDERAZIONE VENETA INTERGRUPPI ( CVI ).

Con il patrocinio della CVI e in piena attività autonoma, le Comunità Marciane, danno il via a un progetto esclusivo, innovativo e ampiamente condiviso, per l’attuazione e la ricerca dei RESPONSABILI TERRITORIALI DELLE COMUNITA’ MARCIANE, per la copertura territoriale di ogni comune attualmente facente parte la Regione Veneto. Scopo finale : Referenti in ogni comune Veneto ( singoli o gruppi autogestiti ) per la creazione della coscienza popolare Indipendentista e per l’attuazione di una futura CONSULTAZIONE POPOLARE REFERENDARIA DEL POPOLO VENETO, organizzata in modo pacifico, legale, civile e democratico, sulla base di una piattaforma condivisa ad appello universale ( elettorato Veneto ), che sarà realizzata dopo l’attuazione con radicamento territoriale delle comunità marciane.
Si ricercano pertanto i singoli nominativi, di persone di CHIARA FEDE IDEOLOGICA INDIPENDENTISTA, che si riconoscano nei principi pacifici, legali, civili e democratici, previsti nello Statuto della CVI e delle CM, quali delegati comune per comune, per costruire la coscienza identitaria marciana territoriale .
Un primo elenco di un centinaio circa di nominativi, li abbiamo già ottenuti tra i partecipanti della prima conferenza generale CVI, ma sono ancora centinaia i posti da ricoprire su base volontaria in molti comuni Veneti ( circa 580 ). All’iniziativa possono partecipare singoli, oppure gruppi spontanei e/o già costituiti, anche non iscritti alla CVI, purchè aderenti ai principi ideologici Indipendentisti, sulla base dei parametri statutari della CVI e delle CM. In particolare, si porrà in essere l’attuazione di un percorso pacifico, legale, civile e democratico verso l’Indipendenza del popolo Veneto.
Dedichiamo quindi un nuovo slogan coniato apposta per l’occasione :
DIVENTA ANCHE TU IL PROTAGONISTA DELLA NOSTRA INDIPENDENZA !
La prima, grande assemblea dei volontari per le comunità marciane si terrà il giorno :
SABATO 21 OTTOBRE 2017 , ORE 15.30
SOSSANO ( VI ) VIA ROMA, 94
VILLA GAZZETTA SALA CONFERENZE PIANOTERRA
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Venetismo, referendo par l'endependensa e i fanfaroni

Messaggioda Berto » gio feb 15, 2018 7:35 am

Darghe skei a Buxato e a łi so conpari, no gràsie!


INDIPENDENZA DEL VENETO: IL TRIBUNALE DECRETA LA LEGALITÀ DEI BOND VENETI

http://www.venetosi.org/indipendenza-de ... ond-veneti

Pubblicata copia del decreto del giudice Bruno Casciarri. Ora seguiranno denunce e azioni legali verso tutti coloro che continueranno a diffamare Plebiscito.eu e a gettare ombra sulla legalità dei Bond Veneti

Ieri Plebiscito.eu ha risposto all’attacco polemico della senatrice Laura Puppato, che nei giorni scorsi si era scagliata contro il movimento per l’indipendenza del Veneto e in particolare contro l’emissione di Bond Veneti.

Oggi pubblichiamo in anteprima assoluta copia dell’originale decreto di archiviazione disposto il 19 gennaio 2017 dal giudice Bruno Casciarri, che ha concluso un lunghissimo procedimento di indagine, originato da una denuncia presentata alla guardia di finanza italiana ancora il 6 novembre 2014 da tal Giovanni Dalla-Valle. Il Dalla-Valle probabilmente aveva agito per rivalsa verso Plebiscito.eu, che lo aveva allontanato pochi mesi prima per gravi comportamenti in contrasto con i principi del movimento.

Fatto sta che da tale ridicola denuncia ha preso origine una lunga e minuziosa indagine da parte della giustizia italiana, che alla fine ha sancito la piena legittimità dei Bond Veneti.

La guardia di finanza italiana e gli organi inquirenti hanno scandagliato nel dettaglio tutti le attività e i conti correnti del movimento e del suo presidente Gianluca Busato per circa 2-3 anni, senza trovare anche il minimo appiglio per una qualsiasi azione giudiziaria. Sono stati sentite moltissime persone che avevano acquistato Bond Veneti ed effettuato donazioni al movimento ed è stata condotta ogni tipo di indagine. Alla fine la guardia di finanza italiana non ha potuto constatare che l’emissione di Bond Veneti veniva (e viene) condotta senza alcuna promessa di rendimento, in quanto trattasi di donazioni a supporto del progetto di indipendenza del Veneto.

L’archiviazione è stata pertanto un’ovvia decisione conseguente da parte dei magistrati italiani, in quanto non sussisteva alcuna ipotesi di reato, poiché i Bond Veneti sono un’operazione perfettamente legale e compatibile con le norme sia bancarie sia fiscali persino dello stato oppressore italiano. Di tale decreto di archiviazione abbiamo ricevuto copia lo scorso 11 gennaio 2018.

Questa è un’ulteriore testimonianza di correttezza della condotta di Plebiscito.eu, l’unica entità che ha saputo dare voce ai veneti organizzando il referendum di indipendenza del Veneto del 16-21 marzo 2014, che vide oltre 2,3 milioni di veneti votare con la vittoria plebiscitaria dell’89,10% di Sì all’indipendenza della Repubblica Veneta.

Altrettanto evidente è che ora seguiranno denunce e azioni legali verso tutti coloro che continueranno a diffamare Plebiscito.eu e a gettare ombra sulla legalità dei Bond Veneti. Purtroppo per anni siamo stati diffamati dagli organi di stampa e dai partiti italiani, con il supporto più o meno consapevole anche di molti veneti invidiosi che mal hanno sopportato il successo dell’azione innovativa di Plebiscito.eu, che ha saputo guardare in avanti creando strumenti tecnologici per l’emancipazione veneta.

Come anche oggi avviene grazie alla creazione di eVenetia, il Cripto-Stato ipersicuro (a differenza delle piattaforme colabrodo dei partiti italiani, violate costantemente dagli hacker) che dallo scorso Natale ha aperto le iscrizioni gratuite e le domande di cittadinanza e residenza digitale veneta, aperta a tutti i cittadini del mondo, esattamente come fa l’Estonia, stato membro dell’Unione Europea all’avanguardia nella rivoluzione digitale.

Per supportare al meglio il processo di indipendenza del Veneto e per incoraggiare la lungimirante e coraggiosa azione civica di Plebiscito.eu, unica soluzione al disastro italico, prenotiamo fin d’ora tanti Bond Veneti, rinnovando la nostra fiducia nella Repubblica Veneta.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Venetismo, referendo par l'endependensa e i fanfaroni

Messaggioda Berto » gio feb 15, 2018 7:47 am

???


L'INDIPENDENTISMO VENETO MANCA DI UNA INTELLIGENCIJA
ENZO TRENTIN
14 Feb 2018

http://www.lindipendenzanuova.com/lindi ... lligencija

Proveremo a spiegarci meglio partendo da alcune constatazioni su cui gli storici sono concordi.

Gli idealisti italiani del 1830 e del 1848 perseguono la rivoluzione repubblicana e l’abbattimento delle monarchie europee. Nascono i primi sconfitti delle rivoluzioni nazionali. Osserviamo, per esempio, la spedizione di Sapri (nelle nostre riminiscenze scolastiche: «Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti...») tentata da Carlo Pisacane e da un gruppo ristretto di mazziniani. Pisacane non era solo un rivoluzionario, era anche un uomo d’armi, considerato che – sia pure per fuga d’amore – aveva indossato la divisa della legione straniera francese, un corpo militare che è sempre stato d’élite.

Il 25 giugno 1857, a Genova, Pisacane s’imbarcò con altri ventiquattro sovversivi sul piroscafo di linea «Cagliari», della Società Rubattino, diretto a Tunisi. La sera del 28 i congiurati sbarcarono a Sapri, ma non trovarono ad attenderli quelle masse rivoltose che si attendevano. Anzi furono affrontati dalle falci dei contadini ai quali le autorità borboniche avevano per tempo annunziato lo sbarco descritto come opera di una banda di ergastolani, e delinquenti comuni evasi dall’isola di Ponza. Successivamente, il 1º luglio, a Padula vennero circondati e 25 di loro furono massacrati dai contadini. Gli altri, per un totale di 150, vennero catturati e consegnati ai gendarmi.

Passano solo tre anni, e nel 1860 un migliaio di volontari, al comando di Giuseppe Garibaldi, sbarca a Marsala.

Lo scopo della spedizione è capovolgere il governo borbonico. Le camice rosse sbarcano l’11 maggio, e grazie al consenso di larga parte della popolazione locale, si rafforzarono e muovono verso nord.

Com’è possibile che in un lasso di tempo di soli tre anni (del 1800, non del XXI secolo) si sia completamente capovolta la situazione? Ebbene, come dicevamo più sopra, gli storici sono concordi: mentre Pisacane (uomo d’armi come Garibaldi) rappresenta in vecchio modo di fare la rivoluzione; il nizzardo è un rivoluzionario “innovatore”. Analizziamo sommariamente perché.

Garibaldi è repubblicano, ma opera a favore della monarchia sabauda, perché comunque il suo ideale è l’unità d’Italia. Appoggia una casa reale di serie B, per usare un linguaggio sportivo. Pur imparentati con altre monarchie europee i Savoia non godono di grandi simpatie; tuttavia nelle cancellerie europee si chiude un occhio. Col silenzio assenso lasciano fare. Gli inglesi danno un appoggio limitato, anche se determinante: due fregate “coprono” lo sbarco dei garibaldini, e agiscono da deterrente alla reazione navale borbonica.

Trascuriamo – per semplificare – il fatto che molti generali borbonici vengono corrotti con denaro dall’intelligence, e osserviamo solo di sfuggita che nell’operazione c’è anche un famoso “comunicatore”: il 30 maggio sbarca in Sicilia, dal suo panfilo personale, lo scrittore francese Alexandre Dumas con armi e champagne. Inizia così l’analisi, la produzione, e la divulgazione in forma professionale di notizie che raccolte vengono classificate, valutate e correlate fra di loro, per essere utili alla divulgazione dell’Informazione a tutti gli altri organi che possano servire alla campagna di conquista. Nello stesso periodo (1861-64) Garibaldi incarica Dumas di fondare e dirigere il giornale garibaldino «L’Indipendente».

Insomma la rivoluzione garibaldina ebbe successo perché organizzata in forma “inedita”. Tant’è che con l’unità d’Italia Garibaldi sarà “ostracizzato” a Caprera. En passant, c’è un’altra constatazione da fare: poco meno d’un secolo dopo, il 10 luglio 1943, gli Alleati sbarcano sulle coste siciliane non senza prima avere ottenuto la collaborazione dei capi e dei picciotti della mafia.

Torniamo adesso all’indipendentismo veneto, e a quello dall’Italia in generale. Esso giustamente esalta quello scozzese, e catalano in particolare; ma ignora il contesto mondiale. Tralasciamo il fatto che gli indipendentismi non sono tutti uguali, e ciò che va bene per l’uno probabilmente non è utile per l’altro. La lezione catalana non sembra aver sortito alcun insegnamento.

Gli indipendentisti autoctoni continuano a rivendicare l’esercizio di questo o quel trattato internazionale, questa o quella legge nazionale che è la conseguenza dei trattati predetti; essi ignorano che i diritti che rivendicano non valgono nulla se chi detiene il potere non è disposto a riconoscerli. Valga una citazione, forse un po’ difficile, di Marcel Gauchet. Storico e filosofo della storia, una delle poche grandi menti rimaste in un’Europa dove il pensiero non serve più. A 70 anni, Gauchet sembra cogliere bene il “capolinea” in cui si è ficcata la civiltà europea, che angoscia e paralizza nel profondo. Nel senso di aver perso la strada. «La dinamica dei diritti individuali – dice – diventa la macchina per dissolvere la capacità collettiva di governarsi, detto altrimenti, della democrazia».

Prova ne sia l’esperienza catalana. Il governo spagnolo non ne ha tenuto conto, ed anzi ha reagito con le manganellate della Guardia Civil, ed il carcere per i leader indipendentisti, perché non esiste la giustizia ideale; ogni potere eroga la sua giustizia. E ciò rimanda alla mente quel prete spezzino che diceva: «ho incontrato la giustizia, era stanca, malandata, vestita male.» Filippo VI di Spagna, prima ha fatto il pesce in barile, e quando s’è deciso a parlare non lo ha fatto da arbitro della situazione ma da sostenitore dello status quo. Scriveva Niccolò Machiavelli (“Il Principe” – 1513): «…e sono tanto semplici li uomini, e tanto obediscano alle necessità presenti, che colui che inganna troverà sempre chi si lascerà ingannare.» L’UE ha difeso gli Stati, e non i diritti dei popoli.

Ciò che si dice sottovoce è che la classe politica catalana è corrotta come quella spagnola: Jordi Pujol il “padre nobile” dell’indipendentismo catalano è sotto inchiesta, ed ha già confessato parte dei suoi illeciti. Artur Mas è stato condannato a causa dell’impiego illegittimo di fondi statali. Carles Puigdemont, oggi in esilio, nel 2004 ha fondato (con sovvenzioni pubbliche, ed è quindi un tax consumer) il mensile in inglese «Catalonia Today», del quale fu direttore generale fino al 2016, quando lasciò l’incarico alla moglie. I partiti politici cui fanno riferimento hanno cambiato tre o quattro volte il nome per far dimenticare all’elettorato le loro marachelle, giacché sono invischiati in una Tangentopoli che non ha nulla da invidiare a quella italiana. Culturalmente sono dei partitocrati: una volta preso il controllo della Generalitat de Catalunya hanno aperto “ambasciate” in numerose capitali europee, Roma compresa, ma la loro azione politico-diplomatica a favore dell’indipendentismo catalano non ha sortito alcun effetto a favore della dichiarazione d’indipendenza annunciata, e subito archiviata. Disponevano dei Mossos d’Esquadra o Policia de la Generalitat, ma non l’hanno utilizzata per “garantire” l’autodeterminazione. Segno evidente di un “male partitocratico” che dovrebbe essere la prima causa da rimuovere.

Ogni popolo (scozzese, catalano e veneto compresi) è fondamentalmente un organismo che mantiene fortissimi legami con i suo creatore: il passato. Solamente lente cumulazioni ereditarie permettono la modificazione. Il popolo si nutre di tradizioni, perché sono esse stesse le sole che mantengono vive l’identità nazionale. Queste mutano facilmente ma solo nelle forme esteriori. Senza tradizioni, vale a dire senza l’anima nazionale, non vi è alcuna forma di civiltà.

Ovviamente una nazione che sta cambiando pelle deve avere regole fisse condivise da tutti, tese a portare disciplina, raziocinio finalizzato alla convivenza pacifica, preveggenza politica, e una adeguata cultura. Queste qualità al momento non sono presenti tutte assieme in Veneto (forse neanche altrove) e proprio per questo ci sono ancora problemi grossissimi. Ma in questo senso i veneti sono “attrezzati”, sono un popolo dalla storia ultra-millenaria, e hanno avuto una repubblica durata circa 1.100 anni. Bisogna sempre risalire al passato per determinare la genesi del cambiamento in questione. Creare la fede religiosa o fede politica o fede sociale è compito dei grandi capi che pensano e pianificano a lungo termine.

Constatato tutto ciò, dov’è il nuovo e rivoluzionario progetto istituzionale dell’Intelligencija veneta? Ci sono battaglie che non è disonorevole perdere; piuttosto è vergognoso rinunciare a combatterle.


Alberto Pento
Con i falsi miti e le false interpretazioni della storia non si va da nessuna parte, si raccolgono solo fondi e voti dai poveri credenti.
Non è vero che i veneti hanno avuto una repubblica durata 1100 anni, quella di Venezia non era la repubblica dei veneti ma dei veneziani, ed è stata una repubblica aristocratica che non è durata 1100 anni ma 500 anni circa, a partire dalla Serrata del Maggior Consiglio, prima di allora Venezia era una città comunale come tante altre del Veneto, della penisola italica e dell'Europa.
Venezia non ha mai creato e promosso un popolo veneto, una nazione veneta e uno stato veneto a sovranità di tutti i veneti.
La Svizzera e gli svizzeri hanno promosso un paese stato popolo unitario a sovranità federale nelle sue diversità etnico-linguistiche, attraverso un lento-lungo-combattuto processo secolare, mentre i veneti e Venezia non sono stati capaci di fare altrettanto pur avendo tempo e possibilità che però hanno sprecato.
Bisogna avere l'intelligenza e il coraggio di liberarsi dal mito di Venezia che sta facendo gli stessi danni del mito di Roma, con i loro idolatri integratori religiosi di San Pietro e di San Marco.
Venezia aveva il potere politico e l'ha usato male contro se stessa e i veneti tutti.





Come gli indipendentisti renderanno la vita più facile ai veneti?
di ENZO TRENTIN
19 Feb 2018

http://www.lindipendenzanuova.com/come- ... -ai-veneti


In un precedente articolo [ http://www.lindipendenzanuova.com/lindi ... lligencija ] abbiamo scritto: «…una nazione che sta cambiando pelle deve avere regole fisse condivise da tutti, tese a portare disciplina, raziocinio finalizzato alla convivenza pacifica, preveggenza politica, e una adeguata cultura.»

Subito una lettrice ha replicato: «…è illusorio che basti che le regole siano condivise “da tutti” perché non accadrà mai!» Un altro ancora ha precisato che la Repubblica di Venezia non è durata circa 1.100 anni: «Con i falsi miti e le false interpretazioni della storia non si va da nessuna parte […] Non è vero che i veneti hanno avuto una repubblica durata 1.100 anni, quella di Venezia non era la repubblica dei veneti ma dei veneziani, ed è stata una repubblica aristocratica che non è durata 1.100 anni ma 500 anni circa, a partire (1297 Ndr) dalla Serrata del Maggior Consiglio, […] Venezia non ha mai creato e promosso un popolo veneto, una nazione veneta e uno Stato veneto a sovranità di tutti i veneti. […] Venezia aveva il potere politico e l’ha usato male contro se stessa e i veneti tutti.»

Innanzitutto prendiamo atto, ed interiorizziamo, che le leggi esistono per proteggere le persone. Le persone non esistono per perpetuare le leggi. Quando peroriamo “regole fisse condivise da tutti”, intendiamo le “regole del gioco”. Per capirci: il calcio ha le sue regole, il tennis ne ha altre, altre ancora ci sono nel salto con la pertica delle isole Frisone. Chi si accinge a giocare conosce e accetta le regole valide per tutti, dopo di che forma la propria squadra, e fa il proprio gioco.

Nel caso dell’indipendentismo Veneto, ancora non si è messa in luce una Intelligencija che proponga innanzitutto un sistema di diritto consuetudinario o costituzionale (le “regole del gioco”) da sottoporre all’approvazione del cosiddetto popolo sovrano. Questo si può fare abbastanza facilmente ed economicamente imitando il referendum telematico autogestito del 2014 per l’indipendenza del Veneto. Ovviamente migliorandone alcuni aspetti tecnici ed esecutivi per superare le molte critiche che quell’avvenimento attirò su di sé.

Stabilite tali “regole”, uno o più soggetti (politici, think tank o altro) potrebbero diventare promotori di un progetto politico. Tra le varie proposte auspicabili ci può essere quella che prospetta una democrazia simile a quella svizzera. Molti indipendentisti veneti la auspicano. Quasi nessuno s’è messo ad abbozzare qualcosa. Molti, invece, hanno avanzato distinzioni, e i distinguo più diversi.

Luigi Einaudi, in “Il buongoverno, Via il prefetto” (Edizioni Laterza, Bari, 1955), sosteneva: «Gli svizzeri sanno che la democrazia comincia dal Comune, che è cosa dei cittadini, i quali non solo eleggono i loro Consiglieri o Sindaci o Presidenti o Borgomastri, ma da sé, senza intervento e tutela e comando di gente posta fuori dal Comune od a questo sovrapposta, se lo amministrano, se lo mandano in malora o lo fanno prosperare. L’autogoverno continua nel Cantone, il quale è un vero Stato, il quale da sé si fa le sue leggi, se le vota nel suo Parlamento e le applica per mezzo dei suoi Consiglieri di Stato, senza ottenere approvazione da Berna…»

Prima di Einaudi, in una pagina del “Sistema delle contraddizioni economiche” (1846) Pierre-Joseph Proudhon (il padre del moderno federalismo) scriveva: «…il Comune ha diritto di governarsi da sé, di amministrarsi, di imporsi tasse, di disporre delle sue proprietà, dei suoi proventi, di creare scuole per la sua gioventù, di nominarvi gli insegnanti, di istituire la sua polizia, di avere la sua gendarmeria e la sua guardia civica, di nominare i suoi giudici, di avere i suoi giornali, le sue riunioni, le sue particolari associazioni, i suoi magazzini, il suo mercuriale, e la sua banca ecc. Il Comune prende delibere, emana ordinanze, che cosa impedisce che esso arrivi a darsi leggi? Non c’è via di mezzo: il Comune sarà sovrano o sarà una succursale, o tutto o nulla».

Questo implica l’abbandono della maniacale ricerca di un leader, poiché un vero leader non cerca consensi, li plasma. Ed anche la democrazia rappresentativa pura non è auspicabile. Già Michail A. Bakunin, in “Stato e anarchia”, (composto nel 1873) scriveva: «È sulla finzione di questa pretesa rappresentanza del popolo e sul fatto concreto del governo delle masse popolari da parte di un pugno insignificante di privilegiati, eletti o no dalle moltitudini costrette alle elezioni e che non sanno neanche perché e per chi votano; è sopra questa concezione astratta e fittizia di ciò che s’immagina essere pensiero e volontà di tutto il popolo, e della quale il popolo reale e vivente non ha la più pallida idea, che sono basate in ugual misura e la teoria dello Stato e la teoria della cosiddetta dittatura rivoluzionaria».

È indispensabile prendere atto che il regime democratico attuale ha funzionato finché gli interessi delle élite e della base elettorale hanno collimato: anni di crisi, economica e non solo, hanno creato all’interno delle democrazie forze con interessi divergenti dall’oligarchia al potere. Per questo si sta cercando di fermare i “populismi”. Eppoi che cosa “cede” in realtà un individuo che vota il proprio “rappresentante” nelle istituzioni, se non la sua “volontà”, ovvero la “proprietà” del proprio corpo e della propria mente, assoggettandosi alle scelte del rappresentante, se eletto?

In un’intervista di Martin Untersinger a Lawrence Lessig, uno dei principali pensatori di Internet, pubblicata sul quotidiano le Monde, del 24/04/2017, constatava: «La mia opinione è che bisogna riflettere sul modo in cui si può coniugare il progetto democratico con delle fonti d’informazione deboli. Per esempio in Mongolia, una recente legge obbliga il governo a selezionare 500 persone che si sono riunite durante un week-end. A loro si presenta un problema costituzionale, gli si danno tutte le informazioni in merito, essi ne dibattono, deliberano e in seguito producono una risoluzione che è proposta al Parlamento. Dobbiamo utilizzare prima di tutto questo tipo di strumenti se vogliamo avere una democrazia che ci rappresenti realmente. Bisogna trovare una rappresentazione politica con cui il popolo abbia il tempo e l’opportunità di comprendere ciò di cui si parla. Le persone non sono degli idioti. Idiota significa che tu non puoi comprendere».

È da matti sognare una Società Comunale? Provate a consultare Hans-Hermann Hoppe, professore di Economia all’Università del Nevada, e scoprirete quanto sia avanzata tale Società. Vecchia, stantia e superata è la società feudale dei Mattarella & Co., oltretutto liberticida, ingiusta e sfruttatrice. Una Società Comunale è libera, e libertà vuol dire ricchezza, e ricchezza cultura, e cultura arte.

Ma sin qui abbiamo trattato di organizzazione della pubblica amministrazione. Quali progetti politici ci sono per una magistratura diversa da quella italica che conosciamo? E l’ordine pubblico a chi sarà affidato? Per la difesa sarà accettato il metodo svizzero della “militanza”? E quest’ultimo come sarà organizzato? L’asfissiante burocrazia come sarà riformata? E sulle pensioni quali proposte innovative sono state avanzate dagli indipendentisti?

Giuseppe Prezzolini, in “Codice della vita italiana” (1917-1921), scriveva: «L’Italia va avanti perché ci sono i fessi. I fessi lavorano, pagano, crepano. Chi fa la figura di mandare avanti l’Italia sono i furbi, che non fanno nulla, spendono e se la godono.» E per non essere “italiani”:

In quale modo gli indipendentisti renderanno la vita più facile ai veneti?
Chi si assumerà l’onere del come, quando e dove trovare i necessari appoggi internazionali?
Tali appoggi saranno possibili senza avere, a priori, un impianto istituzionale e un progetto politico adeguati?

Sinora gli indipendentisti veneti hanno fatto leva sui diritti all’autodeterminazione, e quant’altro inerente o affine.

All’inizio potevano contare su una manciata di intellettuali e cattedratici favorevoli all’indipendenza. Non ne hanno saputo approfittare. Non li hanno trattati come Umberto Bossi e la LN trattarono Gianfranco Miglio, ma nemmeno li hanno assecondati o appoggiati o favoriti.

Alcuni si sono dati alla costituzione di un partito politico; ma le rivalità personali e quelle insite nel sistema dei partiti non hanno fatto che accrescere l’individualismo, i distinguo e la germinazione di altri partitini con un inconsistente progetto politico, e un ridicolo consenso elettorale. Sembra che costoro continueranno a spendersi, per entrare nelle istituzioni italiane con il sogno di poterle modificare (in senso auto-deterministico) dall’intero, ignorando la lezione catalana che con la sua evoluzione ancora in itinere ha spento non pochi entusiasmi.

C’è chi ha avuto la genialità d’indire un referendum telematico per l’indipendenza, ed ha poi affermato d’avere le certificazioni internazionali del suo successo. In forza di ciò il 24 marzo 2014 è arrivato alla dichiarazione d’indipendenza del Veneto [ http://blog.plebiscito.eu/news/dichiara ... ica-veneta ]. La seconda in ordine di tempo, considerato che un’analoga dichiarazione era già stata fatta il 24 Agosto 1996 dai cosiddetti “Serenissimi”. Tuttavia questo non si è tradotto in riconoscimenti da parte di nessun altro Paese o istituzione internazionale. Prova concreta che un diritto non vale molto se non è riconosciuto.

C’è stato anche chi, per comprensibile ambizione personale e professionale, si è “arrampicato” sino alla Corte costituzionale italiana. Non ha avuto né riconoscimenti, né successo per gli accampati diritti. Qui non si è voluto riconoscere a priori che non esiste la giustizia. Ogni potere eroga la sua giustizia. Come sorprendersi? L’ingiustizia sociale è ovunque. La giustizia del resto non è cosa che ti può essere consegnata: va conquistata, e una persona sola non ce la farà mai, ci vuole una volontà collettiva. E questa si ottiene con progetti specifici, non con velleità.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Venetismo, referendo par l'endependensa e i fanfaroni

Messaggioda Berto » mar mar 06, 2018 10:15 am

Indipendentisti, meglio cento giorni da leone che uno da pecora
ENZO TRENTIN
06/03/2018

http://www.lindipendenzanuova.com/indip ... a-pecora-2

Ognuno dei governi successivi all’ultimo cinquantennio ha, più o meno, distrutto con ritmo sempre più rapido la vita locale e regionale; ed essa, alla fine, è scomparsa. L’Italia è come quei malati che hanno già fredde le membra e in cui ormai solo il cuore palpita ancora. Non c’è un fremito di vita in nessuna parte del corpo nazionale, tranne che a Roma; fin dai sobborghi che la circondano la città comincia a puzzare di morte morale. Se lo Stato ha ucciso moralmente tutto quel che, dal punto di vista territoriale, era più piccolo di lui, ha anche trasformato le frontiere territoriali nelle mura di un carcere, per imprigionarvi i pensieri.

Se guardiamo la storia un po’ più da vicino, al di fuori dei manuali, rimaniamo sbalorditi scoprendo di quanto altre epoche, quasi prive di mezzi materiali di comunicazione, fossero superiori alla nostra per ricchezza, varietà, fecondità e intensità di vita nella circolazione intellettuale, attraverso territori vastissimi. Per esempio nel Medioevo, nell’antichità preromana, nel periodo immediatamente anteriore ai tempi storici. Ai giorni nostri con la radio, la televisione, l’aviazione, astronautica, lo sviluppo di mezzi di trasporto d’ogni genere, la stampa, i giornali, internet, il fenomeno delle moderne nazionalità chiude in piccoli compartimenti stagni persino la scienza che è così naturalmente universale.

I ribelli che si agitano intorno a questo giornale quotidiano, siano essi collaboratori o lettori, sono forti sempre la metà di quanto lo siano i difensori del potere ufficiale. Anche quando si pensa di sostenere una buona causa. Come scrisse Ètienne De La Boètie, intorno al 1550: «Com’è possibile che tanti uomini sopportino un tiranno che non ha la forza se non quella che essi gli danno. Da dove prenderebbe i tanti occhi con cui vi spia se voi non glieli fornite? Siate risoluti a non servire più, ed eccovi liberi.»

Ma in Italia viviamo in una particolare atmosfera. Per questo ci piace ricordare le parole che una volta si scambiarono uno dei favoriti di Serse I (519 a.C. – 465 a.C.), il gran re persiano, e due Spartani. Quando Serse preparava il suo enorme esercito per conquistare la Grecia, mandò degli ambasciatori alle città greche per chiedere acqua e terra: era questo il modo con cui i Persiani intimavano la resa alle città nemiche. Si guardò bene dal mandarli ad Atene e a Sparta, dato che gli Ateniesi e gli Spartani avevano a suo tempo gettato rispettivamente nei fossati e nei pozzi gli ambasciatori inviati per lo stesso motivo da Dario, suo padre, dicendo loro di prendere laggiù l’acqua e la terra da portare al loro principe: infatti non potevano sopportare che si attentasse neanche solo a parole alla loro libertà. E tuttavia, per aver agito così, gli Spartani riconobbero di aver offeso gli dei, e soprattutto Taltibio, dio degli araldi. Decisero allora, per calmarli, d’inviare a Serse due cittadini, affinché, disponendone a suo piacimento, potesse vendicarsi sulle loro persone dell’assassinio degli ambasciatori di suo padre. Due Spartani, di nome Sperto e Buli, si offrirono come vittime volontarie. Partirono e cammin facendo arrivarono al palazzo d’un Persiano chiamato Idarno, luogotenente del re per tutte le città della costa asiatica. Costui li accolse con tutti gli onori, e dopo aver parlato d’altro chiese loro perché rifiutassero tanto orgogliosamente l’amicizia del gran re. E aggiunse: «O Spartani, prendete il mio caso ad esempio, e vedete come il re sa ricompensare coloro che lo meritano, e pensate che se voi foste dei suoi sareste trattati altrettanto bene. Se voi foste al suo servizio ed egli vi conoscesse, farebbe di ciascuno di voi il governatore di una città greca». «Quanto a questo, o Idarno – risposero gli Spartani – tu non sei in grado di darci un consiglio valido. Infatti tu hai provato il bene che ci prometti, ma quello che noi godiamo non sai cosa sia; tu hai fatto esperienza dei favori del re, ma della libertà non sai nulla, non ne conosci il gusto e la dolcezza. Orbene, se tu l’avessi assaporata, tu stesso ci consiglieresti di difenderla, non già con la lancia e lo scudo, ma con i denti e le unghie». Solo lo Spartano diceva il vero; ma senza dubbio ciascuno parlava secondo l’educazione ricevuta. Infatti sarebbe stato impossibile che il Persiano rimpiangesse la libertà che non aveva mai avuto e che gli Spartani sopportassero la servitù dopo aver assaporato le dolcezze della libertà.

Allo stesso modo chi oggi prospetta l’indipendenza dall’Italia, e non abbia un progetto chiaro, dettagliato e convincente, difficilmente potrà scalzare dalla mente e dal cuore degli italiani l’idea che la democrazia in Italia possa diventare reale, e che lo Stato possa riformarsi in senso favorevole al cittadino, anziché alla partitocrazia. Infatti, possiamo osservare che ogni volta la protesta (Forconi, Presidi 9/12 fermiamo l’Italia, solo per citare gli ultimi) ha assunto un più evidente carattere di sradicamento e un più basso livello di spiritualità e di pensiero. Si può anche osservare che questi spiriti liberi, da quando sono stati attivati, hanno dato un contributo piuttosto ridotto alla cultura e alla causa indipendentista.

Bene fanno i Veneti ad insistere sulla loro cultura, sulle loro tradizioni, sul loro particulare. Solo i collaborazionisti tipo Idarno sono soddisfatti dell’attuale stato di cose in Italia. Infatti se guardiamo altrove ed al passato, per esempio, la contea di Borgogna era sede di una cultura originale e splendida che non sopravvisse alla conquista. Alla fine del XIV secolo le città delle Fiandre avevano relazioni fraterne e clandestine con Parigi e con Rouen; ma c’erano dei fiamminghi feriti in battaglia che preferivano morire piuttosto che essere curati dai soldati di Carlo VI. Quei soldati compirono una scorreria nel territorio olandese, e ne tornarono portando prigionieri alcuni ricchi cittadini. Avevano deciso di ucciderli; ma un moto di pietà li spinse a offrir loro la vita a condizione che diventassero sudditi del re di Francia; quelli risposero che, una volta morti, persino le loro ossa si sarebbero rifiutate, se avessero potuto, di essere sottomesse all’autorità del re di Francia. Uno storico catalano della stessa epoca, raccontando la storia dei vespri siciliani, dice: «I francesi, che, ovunque dominano, sono crudeli quant’è possibile esserlo…». Meglio vivere cent’anni da leone che un giorno da pecora.

I bretoni si disperarono quando la loro sovrana Anna fu costretta a sposare il re di Francia. Se quegli uomini ritornassero oggi, o piuttosto qualche anno fa, avrebbero forse molte ragioni di credere d’essersi sbagliati? Per quanto sia screditato l’autonomismo bretone, per coloro che lo manovrano, e per i fini inconfessabili che essi perseguono, è certo che quella propaganda risponde a qualcosa di reale tanto nei fatti quanto nei sentimenti di quelle popolazioni. Ci sono, in quel popolo, tesori latenti che non hanno potuto manifestarsi. La cultura francese non conviene a quel popolo; la sua non può portar frutto; da allora esso è costretto ai bassifondi delle categorie sociali inferiori. I bretoni dei secoli passati fornirono gran parte dei soldati analfabeti; le bretoni, si dice, gran parte delle prostitute di Parigi. L’autonomia non sarebbe un rimedio, ma ciò non significa che la malattia non esista. Meglio vivere cent’anni da leone che un sol giorno da pecora.

Pasquale Paoli, l’ultimo eroe corso, spese la sua vita per impedire al suo paese di cadere nelle mani della Francia. C’è un monumento in suo onore in una chiesa di Firenze; in Francia nessuno lo ricorda. La Corsica è un esempio del pericolo di contagio implicito nello sradicamento. Dopo aver conquistato, colonizzato, corrotto e contagiato gli abitanti di quell’isola, i francesi li hanno subiti come questori, poliziotti, marescialli, sorveglianti e in altre funzioni del genere grazie alle quali essi trattavano a loro volta i francesi come una popolazione più o meno conquistata. Essi hanno anche contribuito a dare alla Francia, presso molti indigeni delle colonie, una reputazione di brutalità e crudeltà.

Guardando ai Corsi è difficile che il nostro pensiero non vada ad un parallelismo con la “lotta al brigantaggio” immediatamente successiva all’unità d’Italia, ed all’odierna «occupazione» di quasi tutti gli uffici pubblici del nord da parte di funzionari meridionali portatori di una cultura che con il settentrione ha poco a che spartire. Quando si elogiano l’unità d’Italia e l’italianità, bisogna dire soprattutto che esse hanno, e largamente, sradicato le culture autoctone. È un procedimento di facile assimilazione, alla portata di chiunque. Ai popoli cui si toglie la propria cultura, o rimangono senza cultura o ricevono qualche briciola della cultura che ci si degna di voler loro trasmettere, poco rimane. In ambedue i casi quei popoli sembrano essere del medesimo colore, e paiono assimilati. Meraviglioso è invece assimilare popoli che conservino viva, benché modificata, la loro cultura. È un miracolo che di rado si realizza. Solo il neofederalismo di G.F. Miglio lo può fare.

Come giustamente ed autorevolmente è stato scritto in questo quotidiano: «…ad ogni indipendenza debba precedere una fase “costituente”, o piuttosto “ricostituente”, che dia vita però a costituzioni molto mondane, flessibili, leggere…». Si è proseguito con: «Per il Veneto […] possibile, attendo se non 700 pagine, almeno 200 di programma buono e concreto.». Tutto ciò è stato compreso ed approvato da più lettori. Al Veneto manca appunto l’equivalente del «Libro Bianco» dello SNP di Alex Salmon per la sua “Scozia possibile”. A rafforzare quest’idea vorremmo ora aggiungere che voler condurre creature umane, si tratti di altri o di se stessi, verso il bene indicando soltanto la direzione, senza essersi assicurati della presenza dei moventi necessari, equivale a voler mettere in moto un’automobile senza benzina, premendo sull’acceleratore. O è come se si volesse accendere una lampada a olio senza aver messo l’olio. Quest’errore è stato denunciato in un testo abbastanza celebre e abbastanza letto e riletto e citato da venti secoli. Eppure si continua a commetterlo.

A questo punto le possibili soluzioni sarebbero che alcune forze politiche stendessero per loro conto il loro “progetto istituzionale”; ma questo ci sembra abbastanza improbabile. I partiti indipendentisti veneti sono ridotti al lumicino di poche manciate (ed esageriamo) di “aficionados”. Di conseguenza anche laddove essi riuscissero a produrre un tale documento, esso sarebbe più il parto del loro leader, piuttosto che un documento elaborato collegialmente, discusso e condiviso. Tìmeo Dànaos et dona ferentis. [Temo i Danai anche quando portano doni]. Come si ricorderà sono le parole pronunciate da Laocoonte ai Troiani per convincerli a non fare entrare il famoso cavallo di Troia nella città. Anche se apparissero più progetti, elaborati da più soggetti partitici, tutti demandati alla all’approvazione della cosiddetta sovranità popolare; probabilmente non faremmo un buon servizio alle nostre comunità. Tìmeo Dànaos et dona ferentis.

L’immediata soluzione pratica è l’abolizione dei partiti politici, ivi compresi quelli sedicenti indipendentisti. La lotta dei partiti e nei partiti, quale quella esistente in questo paese, è intollerabile; il partito unico, che d’altronde ne è l’inevitabile conclusione, è l’estremo grado del male già sperimentato col fascismo; non resta altra possibilità che quella di una vita pubblica senza partiti. Oggi una simile idea suona nuova e audace. Tanto meglio, visto che il nuovo è necessario. Come acutamente osservò Simone Weil, in verità, questa sarebbe semplicemente la tradizione del 1789. Agli occhi degli uomini del 1789, non ci sarebbero state neppure altre possibilità; una vita pubblica quale la nostra nel corso dell’ultimo mezzo secolo sarebbe parsa loro un orrido incubo; non avrebbero mai creduto possibile che un rappresentante del popolo potesse abdicare alla propria dignità al punto da diventare membro disciplinato di un partito.

Rousseau d’altronde aveva chiaramente dimostrato che la lotta dei partiti uccide automaticamente la repubblica. Ne aveva predetto gli effetti. Sarebbe opportuno, di questi tempi, incoraggiare la lettura del «Contratto sociale». Infatti oggi, dovunque ci sono partiti politici, la democrazia è morta. Tutti sanno che i partiti inglesi hanno tradizioni, mentalità e funzioni inconfrontabili con quelle di altri paesi. Tutti sanno altresì che i raggruppamenti in lizza negli Stati Uniti non sono partiti politici. una democrazia dove la vita pubblica si riduca alla lotta fra i partiti politici non è in grado di impedire l’avvento di un partito capace di distruggerla. Se emana leggi eccezionali, si suicida. Se non lo fa, la sua sicurezza vale quella di un uccellino di fronte a un serpente.

Proviamo, invece, a lavorare per la creazione di una “Tavola Rotonda” con assisi tutti i rappresentanti dei soggetti politici indipendentisti. Cominciamo dal Veneto. Si provi ad immaginare che costoro, spinti da autentico spirito civico, lascino le loro beghe, i loro contrasti, i loro meschini litigi per futili motivi, i loro impicci, fuori della porta, e attraverso una discussione pacata ed approfondita licenzino un progetto della sostanza di quanto viene diffuso in Scozia a responsabilità dello SNP.Bisogna farlo subito. Dopo l’auspicata indipendenza, nello scatenamento irresistibile degli appetiti individuali per la conquista del benessere o del potere, sarà assolutamente impossibile cominciare qualcosa. Bisogna farlo immediatamente. E incredibilmente urgente. Mancare questo momento vorrebbe dire incorrere in una responsabilità che è quasi un delitto.

A questo punto si faccia anche un sforzo d’immaginazione: si prefiguri pure un referendum elettronico autogestito ed informale; ma solo dopo una massiccia, e lunga – quanto basta – campagna informativa presso la popolazione avente diritto. Si aggiunga infine (tanto nel campo delle ipotesi si può fare anche questo) che tale referendum venga vinto. Il giorno dopo non si potrebbe legittimamente dichiarare la secessione? Quali Stati o organismi internazionali “democratici” potrebbero opporsi? Dunque, meglio vivere cent’anni da leone che un sol giorno da pecora.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Venetismo, referendo par l'endependensa e i fanfaroni

Messaggioda Berto » gio giu 28, 2018 1:43 pm

Il fiume carsico dell'indipendentismo deve affidarsi all'istinto (articolo del 2013)
ENZO TRENTIN
17 aprile 2018

http://www.lindipendenzanuova.com/il-fi ... 2/#respond

Dal secondo dopo guerra c’è, nelle cosiddette Venezie, una sorta di fiume carsico che scorrendo ininterrottamente a volte si inabissa per riemergere più in la’ nel tempo. Negli anni ’80 del secolo scorso la Liga Veneta puntò sul federalismo come ricerca di autonomia dallo Stato italiano. Più recentemente, vuoi per i mancati risultati vuoi per l’irriformabilità dello Stato italiota, si è passati all’indipendentismo sempre con un illimitato frazionismo politico. La millenaria e saggia amministrazione della Repubblica di Venezia non è mai stata del tutto dimenticata. Nascosta, semmai, dagli interessi del potere che via via si è alternato su quello che era il suo territorio.

Attualmente ci sono varie correnti indipendentiste. C’è chi si organizza in partiti, ed accettando il metodo “democratico” italiota (Tsz!) rivendica un nuovo Stato indipendente tutto da definire, e solo vagheggiato in articoli di giornale. Null’altro che semplici sogni, per quanto legittimi. Gli scozzesi cui gli autoctoni della penisola affermano di ispirarsi andranno al referendum del settembre 2014 esibendo una chiara proposta di nuova Costituzione. In altri termini: gli scozzesi sapranno per cosa votare, ed eserciteranno la loro sovranità deliberativa.

C’è chi, invece, vagheggia di popolo veneto, che dovrebbe registrarsi presso un’anagrafe da essi tenuta che certifichi tale appartenenza etnica. E qui è sorprendente (o ridicolo?) notare come ci siano più anagrafi. Il loro modello sembra essere quello dei pellerossa dell’America del Nord. Questi rivendicano la proprietà originaria di quelle terre e cercano di strappare – spesso riuscendoci – concessioni agli Stati che le inglobano. Secondo questo punto di vista solo i veneti “a denominazione di origine controllata” dovrebbero essere ammessi al referendum autodeterminativo. Una visione che lascia perplessi.

La razza e lingua non fanno, una nazione. La razza meno che mai: se si getta uno sguardo sull’Europa e si accorgerà che i popoli non si sono quasi mai costituiti sulla base delle loro origini primitive. Sono stati le convenienze geografiche e gli interessi politici a raggrupparli e a fondare gli Stati. Ogni nazione si è così formata a poco a poco, ogni patria si è disegnata senza che ci si preoccupasse delle ragioni etnografiche. Se le nazioni corrispondessero alle razze il Portogallo sarebbe spagnolo, il Belgio francese e l’Olanda prussiana. Gli uomini sentono dentro se stessi che fanno parte di un unico popolo quando possiedono una comunanza di idee, di interessi, di affetti, di ricordi e di speranze. Ecco che cosa «fa» una patria. Ecco perché gli uomini vogliono camminare insieme, lavorare insieme, combattere insieme e morire gli uni per gli altri. La patria è ciò che si ama. (1)

Ci sono persone residenti in questo territorio che non sono originarie di esso, né rientrano nel concetto di “popolo veneto”, tuttavia sono sorte in esse delle aspettative ragionevoli. Molte persone che non presero parte all’ingiustizia originaria (l’eliminazione illegittima della Repubblica di Venezia), hanno edificato le proprie vite secondo queste aspettative. È necessario che l’edificazione di un nuovo Stato non distrugga le aspettative, e quindi i piani di vita di tante persone innocenti. Di qui la necessità di Foedus, un contratto sociale. Una nuova architettura istituzionale.

Come l’istinto è una conseguenza della selezione naturale nelle specie animali, così anche il “comportamento territoriale” è stato geneticamente acquisito come reazione istintiva di comportamento necessaria alla sopravvivenza e alla sicurezza della famiglia e della società in condizioni di pericolo. Per questo forse il comportamento territoriale istintivo degli animali ha attratto la curiosità di centinaia di specialisti, i quali sono convinti che l’uomo sia una specie legata al territorio, proprio come lo sono moltissime specie.
La più importante fatica scientifica di un grande etologo e zoologo americano del passato, Robert Ardrey, s’intitola infatti: “L’imperativo territoriale” (2). La capacità di un popolo, di formare tradizioni culturali che diventano una rilevante forza selettiva in un particolare ambiente, ha probabilmente contribuito al rapido sviluppo dell’evoluzione umana. Sottovalutare le conseguenze a lungo termine di una tradizione culturale è altrettanto pericoloso che sopravvalutare le conclusioni a breve termine del determinismo culturale. (Ibidem). Nel libro Robert Ardrey considera il comportamento territoriale come “un istinto aperto in cui il comportamento finale è regolato da un modello geneticamente determinato, completato da tradizioni sociali e esperienze individuali”, e prosegue affermando che gli animali, esattamente come l’uomo, costruiscono “nazioni biologiche” i cui componenti “obbediscono all’imperativo territoriale”, fino a sostenere che “Una effettiva organizzazione sociale […] sarà raggiunta o attraverso il territorio o attraverso la tirannia”. Se l’istinto è un comportamento biologico di difesa geneticamente prestabilito, la paura è la causa prima di una intensa emozione derivata dalla percezione di un pericolo, reale o supposto, per la propria vita. Per questo nel corso della sua evoluzione sociale anche l’uomo, grazie all’istinto di sopravvivenza, ha adottato tutte le strategie di comportamento per cercare di eliminare i pericoli legati all’ambiente familiare, sociale e territoriale, in quanto dall’ambiente in cui vive dipende il suo benessere e la sua sopravvivenza. Un’ampia varietà di osservazioni interdisciplinari sul comportamento territoriale degli animali, fa pensare che la lotta per il territorio abbia caratteristiche innate e che sia fortemente dipendente dalla genetica.

L’imperativo territoriale deve perciò essere legato all’istinto; almeno nel senso che davanti a pericoli o situazioni in cui è in gioco la sicurezza, la sopravvivenza, la stabilità e il benessere di una comunità insediata su un determinato territorio, gli esseri umani tendono a unirsi e a cooperare volontariamente creando amicizia interna e tradizioni condivise. La difesa del territorio di ogni comunità o società sarebbe dunque un istinto sociale ancestrale, innato, legato sia all’identità e alla sopravvivenza dell’individuo, sia della comunità in cui vive. Questo vale per la casa della famiglia, per l’officina dell’artigiano, per il campo del contadino, come per il territorio della comunità in cui si nasce e si vive. La sempre più frequente richiesta di indipendenza dei popoli insediati su territori di dimensioni più limitate è dovuta all’imperativo genetico territoriale di difesa del territorio. Il mostruoso ideale dei pianificatori che sognano lo stato mondiale e l’impero della politica, della religione e della grande finanza, si infrangerà sulle scogliere delle “piccole patrie” dove l’autogoverno e la federazione fra individui e fra popoli sono possibili e si dimostreranno vitali per costituire nuove forme di civiltà. (3)

* * *

NOTE:

(1) N.D. Fustel De Coulanges, L’Alsace est-elle allemande ou frangaise? Réponse a M. Mommsen, Paris 1870, PP. 8-9.

(2) “L’imperativo territoriale” – Giuffrè Editore, Milano, Collana di scienza della politica diretta da Gianfranco Miglio, 1984.

(3) Paolo Bonacchi: Le radici naturali dell’ordine sociale e l’elica immortale.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Venetismo, referendo par l'endependensa e i fanfaroni

Messaggioda Berto » gio giu 28, 2018 1:44 pm

Corte dei Conti approva che tasse restino in Regione, Zaia: "Epocale"
Redazione 27 giugno 2018

http://www.vicenzatoday.it/politica/aut ... eneto.html

“Epocale, esemplare, caratterizzato da una visione prospettica di alto livello”.

Con queste parole, il Presidente della Regione del Veneto Luca Zaia commenta un passaggio riferito all’autonomia, contenuto nella requisitoria orale, tenuta ieri a Roma dal Procuratore Generale della Corte dei Conti Alberto Avoli, nel giudizio sul rendiconto generale dello Stato per l’esercizio 2017.

Il PG Avoli ha detto tra l’altro: “…In questo quadro si sono inseriti i due recenti referendum che hanno coinvolto i cittadini della Lombardia e del Veneto. A seguito del loro esito, sono intervenute le intese preliminari fra le Regioni e il Governo nazionale.

Uno dei temi centrali degli accordi ha riguardato propriamente la ripartizione delle risorse, attraverso la valorizzazione di alcune specifiche filosofie di gestione.

Così al conferimento di nuove competenze deve connettersi una adeguata provvista finanziaria, unita alla disponibilità delle necessarie risorse umane e strumentali.

Così la ripartizione dei flussi finanziari dallo Stato alle Regioni deve tenere conto del principio per cui le entrate tributarie maturate in un territorio debbono in una parte sostanziale essere destinate ai bisogni di quel territorio.

Il collegamento fra prelievo fiscale e territorio può ritenersi utile a recuperare il rapporto fra cittadini ed istituzioni. La restante quota si definisce di coesione, in quanto volta a consentire la copertura dei servizi generali e degli oneri di solidarietà nazionali”.

“Siamo di fronte – dice Zaia – a una presa di posizione rispettosa della Costituzione e in linea con l’evoluzione che sta avendo questo Paese, con la quale la Corte dei Conti coglie fino in fondo il vento di cambiamento, nell’alveo della legalità, che può portare benefici proprio a quello Stato i cui interessi la Corte dei Conti è istituzionalmente chiamata a difendere”.

“Nel riferimento del Procuratore Avoli – conclude il Governatore del Veneto – c’è un significato importantissimo: quando si parla di federalismo e autonomia, si parla di responsabilità. Dare autonomia a un territorio equivale a dare responsabilità; dare responsabilità a un territorio significa costruire un Paese più virtuoso”.



Alberto Pento
La Corte dei Conti non è la Corte Costituzionale
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Venetismo, referendo par l'endependensa e i fanfaroni

Messaggioda Berto » gio ott 25, 2018 7:18 am

La Sindrome della Regina Rossa di certi veneti
settembre 2018


https://www.vicenzareport.it/2018/09/si ... ssa-veneti

Vicenza – Nell’indipendentismo veneto la Sindrome della Regina Rossa – ovvero dover correre sempre più velocemente solo per rimanere sul posto – è presente da tempo. Un’analisi pubblicata recentemente ha suscitato molto interesse e consenso, oltre naturalmente a qualche critica sui social network dov’era stata rilanciata. Prenderemo quindi a pretesto una di queste osservazioni per approfondire ulteriormente l’argomento.

Un lettore (R. B.) ammette che le constatazioni fatte sullo stato dell’indipendentismo veneto sono corrette. Che c’è una brace che brucia sotto la cenere. Tuttavia sostiene che c’è chi vede il bicchiere mezzo pieno, e chi mezzo vuoto. Che l’analisi critica pubblicata, rischia di fare il gioco degli avversari naturali (lui li chiama: gli Unionisti). Poi passa a rammaricarsi del fatto che ad essere eletto in Regione Veneto, nel 2015, sia stato Antonio Guadagnini e non Alessio Morosin, fondatore e guida del movimento «Indipendenza Veneta» (IV).

Prosegue ammettendo che il tradimento del «Patto» (scritto e pubblicato) che ha portato alla creazione di «Stato Veneto» (SV), è moralmente ed eticamente disgustoso, ma asserisce che bisogna prendere atto che oggi solo quest’ultimo (=Guadagnini) può presentarsi alle elezioni regionali del 2020 senza l’impegnativo onere della raccolta firme. Pertanto l’intenzione di presentarsi uniti (SV + IV) resta per lui, e altri come lui, un’idea positiva in quanto si uniscono le forze per ottenere almeno i 200 mila voti del 2015. E conclude: saranno gli elettori indipendentisti a premiare o punire i singoli candidati della lista unita, favorendo quelli che si sono sempre dimostrati affidabili e coerenti.

Questo preteso indipendentista veneto (che per tifoseria valuta “buono” Morosin, e “cattivo” Guadagnini) non vuole prendere atto che le azioni impolitiche di molto secessionismo veneto le hanno create gli stessi supposti separatisti. Non c’è solo Guadagnini che è “cattivo”. A ben riflettere nemmeno l’avvocato Morosin è tanto “buono” se lo si osserva come demolitore e costruttore di partiti pseudo federalisti, autonomisti, indipendentisti è stato abbastanza attivo. Si veda qui.

Molti ritengono che se al posto di Antonio Guadagnini fosse stato lui a consigliere regionale, quasi sicuramente non sarebbe cambiato nulla. Come non è cambiato nulla quando era insediato (dal 1990 al 1995 in quota all’allora Liga Veneta – Lega Nord, a quel tempo autonomista, federalista, poi indipendentista, secessionista e quant’altro affine), e considerato che non sono note azioni o proposte legislative che abbiano sortito effetti in nessuna delle suddette materie.

Di più: come non considerare che allora quel gruppo contava sette consiglieri, più qualche altro “simpatizzante”? R. B. non sembra essere sfiorato dalla considerazione che “moralmente ed eticamente disgustoso” è non solo chi non rispetta i patti, ma anche coloro che turandosi il naso accettano di cooperare con il reo. E la questione dell’esenzione delle firme è appunto la questione assimilabile ai trenta denari di biblica memoria. Infatti, colpevole è chi commette una mancanza, come lo è chi ne è complice e sodale.

Questo preteso indipendentista, “in nome del realismo politico”, scrive: «Non so quale nuovo ‘assetto istituzionale’ auspicare», e ciò delude molti elettori, poiché i catalani come gli scozzesi prima di loro sapevano a priori quale assetto istituzionale gli indipendentisti (una volta eletti) avrebbero realizzato. Non è così per l’indipendentismo veneto. Finora si sono letti opuscoli sull’autodeterminazione (alcuni peraltro ben fatti) che magnificavano, tra l’altro, il fatto che i 20-21 miliardi di euro (in realtà circa 15/16) che il Veneto “perde” con lo Stato italiano, sarebbero meglio impiegati.

Ma la sostanza è che per avere l’avanzo di quei miliardi bisognerebbe mantenere la stessa tassazione. A Indipendenza Veneta trascurano che secondo l’osservatorio “Suicidi per motivazioni economiche” (qui), in Italia, dal 2012 al 2017 sono stati 878 i casi di suicidio legati a motivazioni economiche, mentre 608 sono stati i tentati suicidi. I dati aggiornati al 2° semestre del 2017, hanno visto 56 vittime contro le 47 dei primi 6 mesi dell’anno, per un totale di 103 casi. In sostanza, anziché avere i politici “romani” che sperperano, avremmo i loro omologhi veneti a farlo, sempre a danno dei contribuenti autoctoni? Visto che nessuna proposta di riforma, in questa sola materia, è nota.

Del resto nel suo sito istituzionale IV scrive testualmente: «[…] all’obiettivo dello Stato veneto indipendente possono infatti concorrere indistintamente soggetti idealmente schierati su posizioni differenti e spesso contrapposte. […] IV non tende a definire un modello sociale.», è dunque chiaro che questo movimento non non produrrà nessuna bozza di nuova organizzazione istituzionale. E prosegue: «il movimento dà la possibilità di operare con tutte le energie a disposizione, non per dividere, ma per unire tutte le componenti della società veneta verso il comune obiettivo dell’indipendenza del Veneto». Insomma, in SV + IV si punta tutto sull’elezione alla Regione Veneto, poi si vedrà.

Pensare d’ottenere l’indipendenza per avere un’Italia in miniatura non sembra ai più la soluzione. Dopo di che, proprio l’esperienza Guadagnini dovrebbe convincere che la prefigurazione della soluzione dei problemi dell’autodeterminazione va fatta a priori, perché dopo i politicanti, avendo il potere, troveranno sempre le scappatoie per non cederlo. I fautori della secessione esaltano il referendum per l’autonomia (vinto in Veneto con circa 2,3 milioni di voti); ma questo, appunto, è per l’autonomia. Se politicamente qualcuno lo legge in maniera diversa fa parte delle strumentalizzazioni della politica. Infatti, è da dimostrare che quei milioni di voti sarebbero tutti per la separazione. Proprio perché i veneti sono messi come la Catalogna, è ingenuo se non strumentale ai politicanti, voler far credere di poter cambiare il governo con il consenso del governo. È un ossimoro, appunto!

L’indipendentismo veneto, poi, infarcisce i propri discorsi con il desiderio d’avere una democrazia simile a quella svizzera. Però azioni concrete per ottenere il corretto uso di tali strumenti: referendum, proposte di legge e di delibera d’iniziativa popolare, recall o revoca dei “rappresentanti” prima della fine del loro mandato, ed altro ancora, che a livello locale ci sono (e, ovviamente, sono stati edulcorati dalla partitocrazia) non se ne sono ancora viste. Altri sono i soggetti impegnati a produrre petizioni in questa direzione. Già nel 2013, per esempio, ne hanno depositate alle Regione Veneto (qui) e altrove. Gli Statuti del Comune di Vignola (MO), [vedi Art. 9 – Gli Istituti di Democrazia Diretta, e successivi (qui) o quello della Provincia di Bolzano (qui), solo per non formulare un lungo elenco, ci dicono che è possibile.

Ci sono domande provocatorie – ma non tanto – alle quali SV + IV non sanno o non vogliono rispondere:

Come mai nessun pseudo leader indipendentista veneto si è mai speso per ottenere i corretti strumenti di democrazia diretta a livello di Enti Locali?
Che cos’è la democrazia diretta se non un deterrente per gli abusi del potere?
Perché invece di spendersi in elezioni infruttuose o scarsamente premianti, gli attivisti di queste formazioni non operano per “dare l’assalto” con petizioni ad hoc ai vari Statuti di Comuni, Province e Regione per l’introduzione di corretti istituti di democrazia diretta? Bolzano docet!
La partitocrazia, ovviamente, metterà i bastoni tra le ruote, ma queste azioni non potrebbero avvantaggiarsi della «affezione» dei cittadini-elettori-contribuenti veneti più di quanto non sia ora possibile?

Alcuni osservano semplicemente che non è saggio giocare con le carte truccate dell’avversario (elezioni). Le vicende dell’indipendentismo catalano sono lì a far riflettere. R.B., da “tifoso”, non prende nemmeno in esame che Alessio Morosin è comprensibilmente un ambizioso. E in questo non c’è nulla di male, s’intende. Egli conosce le leggi elettorali italiane, e sa perfettamente che non è facendo il gregario che potrà essere eletto.

Salvo un caso fortuito come quello materializzatosi con Antonio Guadagnini. Di qui il “girovagare” di entrambi dentro e fuori partitini di nessuna potenza elettorale, e scarsa o nulla progettualità istituzionale. Morosin (e i suoi sostenitori), quello di buono che può aver fatto, è da semplice cittadino (la promozione della risoluzione 44/2012 dal titolo: “Il diritto del popolo veneto alla compiuta attuazione della propria autodeterminazione”, presentata il 5 ottobre 2012 da 21 Consiglieri in carica, e approvata il 28 novembre 2012.

Ancora, il 28 aprile 2015 Morosin partecipa a Roma alla discussione della Corte costituzionale per sostenere la L.R. 16/2014 relativa al referendum consultivo sull’indipendenza. Una partecipazione in difesa della legge, ovviamente, che tuttavia sarà cassata dalla suprema corte che dichiara inammissibile l’intervento dell’associazione Indipendenza Veneta. L’unico vantaggio appare quello professionale, laddove un ambizioso avvocato ha avuto modo di esercitare in un così alto Foro.

In questo panorama c’è chi valuta più positive le iniziative politiche dei cittadini organizzati, ma non in forma di movimento politico o partito tradizionale. Viste proprio le esperienze citate di Bolzano, Vignola (Modena) e altrove, sembra che non sia indispensabile sedere nelle istituzioni. Non sono pochi coloro che sostengono che se Morosin (& Co.) ha voglia di fare, può continuare a farlo da “uomo qualunque”. E dunque, perché non si spende e incoraggia i suoi seguaci per ottenere strumenti di democrazia diretta reali ed efficaci? Chi non è d’accordo sul fatto che la democrazia diretta è un deterrente per gli abusi del potere?

Che l’avvocato Morosin possa avere ambizioni a diventare “rappresentante” in Regione o altrove lo si può comprendere. Non per questo in molti sono disposti a concederli la loro approvazione politica. E questo, ovviamente, vale anche per chiunque altro abbia le sue “strategiche” idee, e voglia percorrere la stessa strada politica. Del resto la stessa Catalogna sembra avviarsi ad una diversa autonomia, ed il loquace ed eclettico Luca Zaia su questo si sta impegnando.

Un gran numero di elettori sono convinti del fatto che se le liste degli indipendentisti prendono circa il 2%, è perché non è chiaro il loro progetto istituzionale. Non è poi con un partito che si rivoluziona il “sistema partitocratico”. L’esperienza della Lega Nord, dell’Italia dei Valori, del M5S e altri ancora, è lì a documentarlo. Erano dei “rivoluzionari”, degli antagonisti; sono diventati parte del problema partitocratico. Piuttosto alcuni auspicano altre possibili aggregazioni in sostituzione della forma partito tradizionale. Si prefigura la nascita di «organizzazioni single issue» (per singola questione), in grado di riunire i propri aderenti su obiettivi specifici e destinate a sciogliersi una volta raggiunto lo scopo prefissato.

Gli iscritti sarebbero così affrancati dall’esigenza di assicurare una fedeltà irrazionale ed eterna; e verrebbe meno l’oppressione di una struttura organizzativa votata alla conquista del potere, innanzitutto attraverso il ricorso alla corruzione ed al clientelismo, tipica della partitocrazia. L’esperienza di Bolzano è lì a confermare la praticabilità della proposta. Mentre per le candidature e le elezioni un metodo (del resto in essere anche nella Serenissima Repubblica di Venezia) potrebbe essere quello del ballottaggio. A questo punto c’è chi si chiede se SV + IV sarebbero più coerenti laddove anziché definirsi indipendentisti si qualificassero per quello che appaiono: autonomisti. Ovviamente chi non vuole impegnarsi nell’esercizio della riflessione speculativa è libero di farlo, ma non per questo otterrà l’indipendenza del Veneto.

Enzo Trentin


Gli strateghi dell’indipendenza senza un indirizzo
Enzo Trentin
ottobre 2018

https://www.vicenzareport.it/2018/10/st ... -indirizzo


Vicenza – Mercoledì 10 ottobre, sui social network) si poteva leggere questo messaggio del professor Carlo Lottieri: «Gli ultimi sondaggi danno i nazionalisti italiani della Lega, in Veneto, intorno al 50%.
C’è da disperarsi? No. I miei amici indipendentisti devono sapere che la volatilità elettorale è altissima e sono tutti giganti di argilla. Non solo: la catastrofe è alle porte e alla fine la realtà detta le sue leggi. Se l’Italia è in bancarotta, i suoi ministri si troveranno presto “sotto processo”. Si tratta quindi, ora, di costruire una proposta realmente alternativa: un progetto fatto di persone, luoghi, media, associazioni e iniziative che possa essere pronto a cogliere la finestra di opportunità. Il gigante parafascista non durerà a lungo: non abbiamo, quindi, tempo da perdere.»

Nel leggerlo mi torna alla mente quanto il drammaturgo russo Ivan Tourgueniev scriveva: «Esiste una tristezza che non è possibile consolare né dissipare, la tristezza della vecchiaia che ha coscienza di se medesima.». Ecco, dal profondo della mia senescenza, ho la tristezza d’aver scritto per anni le stesse cose del mio buon amico Carlo Lottieri, d’essere andato in lungo e in largo a tenere conferenze, a parlare ad un pubblico che sembrava non capire, che cercava la soluzione prêt à porter, immediatamente risolutiva.

Giovanni Dalla Valle, uno psichiatra anglo-veneto che per anni si è speso per la causa della autodeterminazione, in collaborazione con numerosi altri volonterosi, anni or sono ha dato l’avvio a un “Libro bianco” per l’indipendenza del Veneto, che nelle intenzioni doveva essere propedeutico a un progetto istituzionale innovativo. La cosa è rimasta in itinere. Non ha ancora raggiunto il suo completamento. Tra i tanti comparti del predetto nuovo assetto rifondativo c’era quello della Difesa, che qui espongo in riassunto, partendo ovviamente da alcune premesse:

La Costituzione italiana è una dichiarazione di princìpi che non ha nessuna concretezza. Si veda il suo articolo 11, a proposito di Difesa.
Coprire le guerre barattandole come ‘operazioni di pace’ è un modo per aggirare la Costituzione e turlupinare i cittadini che ancora vi credono.
Tutti sappiamo che con la formula ipocrita ‘peacekeeping’ si mascherano operazioni militari di aggressione in altri Paesi. Noi abbiamo più di 30 operazioni militari all’estero che ci costano circa 1.500 milioni l’anno. Solo l’operazione Leonte in Libano può essere considerata una vera missione di pacificazione perché le forze militari italiane si interpongono fra due comunità, hezbollah libanesi e israeliani, che altrimenti si massacrerebbero senza pietà.

Ciò premesso c’è da prendere atto che l’Italia sin dalla sua unità nel 1861 (a seguito di plebisciti farlocchi del 1859-1860-1866) ha sempre condotto guerre d’aggressione, e la truppa delle forze armate è sempre stata composta da coscritti che non potevano dissentire.

Fiorenzo Peloso, un federalista e indipendentista inascoltato, mi ricorda che le forze armate composte da professionisti (carabinieri, bersaglieri, guardia civil, guardia svizzera, guardia di finanza, giannizzeri, lagunari, sommergibilisti, aviatori e militari d’ogni altro generale) sono tutti “soldati”, ossia come dice la parola stessa sono “al soldo”. Chiamarli mercenari può sembrare esagerato o offensivo a seconda dei punti di vista, ma la definizione sul dizionario coincide: “mercenario” è colui che presta la propria opera in cambio di un compenso. Anticamente si chiamava salario. I militari fanno anche un giuramento di obbedienza assoluta agli ordini di una gerarchia di comando, ed è storicamente dimostrato che assecondano esclusivamente i desiderata del potente, o prepotente, di turno. L’essenziale è che costui paghi il soldo ai soldati.

La difesa della legalità e del civile convivere dei cittadini non è la loro priorità assoluta, è semplicemente una doverosa, ma secondaria, espressione statutaria, che essendo secondaria cambia appunto col cambiare del padrone: da repubblica a monarchia, dalla dittatura fascista a quella del proletariato pari sono. Drammaticamente molto spesso sono proprio i difensori dell’ordine i peggiori nemici dei cittadini che “ufficialmente” dovrebbero difendere:

Come fu a Torino nel 1864 in Piazza Castello e San Carlo.
Come fu 15 anni prima a Genova quando i bersaglieri di Lamarmora bombardarono l’ospedale, fucilarono centinaia di inermi cittadini, razziarono e stuprarono impuniti quella “vile e infetta razza di canaglie”, parole testuali usate dal re Savoia per definire i genovesi, mentre si felicitava col Gen. Lamarmora del riuscito massacro per difendere l’ordine pubblico.
Come fu a Bronte nel 1860
Come fu a Pontelandolfo e Casalduni Pontelandolfo_e_Casalduni nel 1861.
Come fu a Gaeta nello stesso anno: Gaeta massacrata da Cialdini, su ordine di Cavour. Nel crollo di una breccia nei bastioni di protezione larga circa 30-40 metri muoiono 316 artiglieri napoletani e 100 civili. Gli artiglieri piemontesi gioiscono per il grave danno arrecato alle difese borboniche e incominciano a gridare “Viva l’Italia” così forte che si sente fin dentro le mura di Gaeta.
Come fu nel 1898 in mezza Italia e soprattutto a Milano, quando il Gen. Bava Beccaris e i suoi soldati difensori dell’ordine pubblico spararono a bruciapelo ai milanesi che, affamati, chiedevano semplicemente del pane.

Fiorenzo Peloso non insiste oltre e conclude menzionando la recentissima dura violenza di Stato della Guardia Civil spagnola, nel 2017, contro la pacifica gente di Barcellona che voleva solo votare (Europa dove sei?) o l’icona del cinese davanti al carro armato in piazza Tienanmen a Pechino nel 1989: uno dei più eclatanti esempi di “difesa dell’ordine pubblico” da parte di soldati, che forti della consueta totale impunità di Stato, hanno compiuto l’ennesima strage di migliaia di cittadini indifesi. La piazza evidentemente è un luogo deputato per le stragi Stato.

Se ci fosse ancora qualcuno che volesse giustificare tali atti “di servizio” compiuti dai soldati per difendere la legalità (non la legittimità che è un’altra cosa) e giustizia, consiglio di trascurare per un po’ la tastiera e fare un viaggio “autentico” in un qualsiasi paese del Centro-Sudamerica, dell’Asia o peggio ancora dell’Africa dove corruzione e violenza sui cittadini da parte dei soldati sono all’ordine del giorno. Poi in tutta onestà intellettuale si potranno fare analisi e valutazioni sul significato di mercenario e di difesa dell’ordine pubblico nel corso dei secoli.

Dopo i processi di Norimberga (dal 20 novembre 1945 al 1º ottobre 1946) contro i protagonisti dello Stato nazionalsocialista che uccisero milioni di civili innocenti non dovrebbe più essere ammessa la giustificazione: «Non siamo colpevoli! Noi abbiamo solo eseguito gli ordini superiori.» Eppure… Insomma i soldati sono un deterrente necessario all’illegittimità, ma ancor più necessario dovrebbe essere che allo Stato sia impedito di usarli contro la propria gente, proprio perché i soldati per definizione non sono autorizzati a pensare autonomamente.

Come riflessione consiglio una lettera di Don Lorenzo Milani: «L’ubbidienza non è una virtù», dove tra l’altro è scritto: «Avremmo però voluto fare uno sforzo per capire, e soprattutto domandarvi, come avete affrontato alcuni problemi pratici della vita militare. Io l’avrei voluto privato, ma ora che avete rotto il silenzio voi, e su un giornale, non posso fare a meno di farvi quelle stesse domande pubblicamente.»

In Italia ci sono degli ex militari di leva che da anni promuovono una legge d’iniziativa popolare per ottenere riconoscimenti onorifici, anche se non onerosi da parte dello Stato. Sostengono d’aver servito con onore la patria. Ovviamente io non discuto. Forse non conoscono o ignorano Friedrich Dürrenmatt laddove scrisse: «Patria è lo Stato se sta per compiere assassini di massa.» Solo gli alpini, nel 1997, a Reggio Emilia, dove si radunarono in 400 mila, tra pochi applausi e tanti fischi, sfilando davanti al presidente Oscar Luigi Scalfaro, impassibile, ma visibilmente preoccupato, che assiste a una forma di protesta, più in là duramente repressa dalla dirigenza dell’Ana. Quegli alpini ripiegarono un enorme tricolore lungo cinquanta metri proprio davanti al palco sul quale il capo dello Stato seguiva la sfilata nel bicentenario del tricolore. Dopo quell’episodio, guai a riprovarci!

Ai giorni nostri assistiamo all’impennata delle spese militari che non sono da ritenersi del tutto razionali. Si veda qui e qui. Per questo quella parte del “Libro bianco” di cui sopra doveva sembrare promettente agli indipendentisti veneti. In esso sostanzialmente si indicava un servizio militare di militanza simile a quello svizzero.

Si è guardato alla Svizzera che ha il maggior numero di ricoveri antinucleari al mondo. La Svizzera poi ha sempre avuto un esercito di cittadini talmente civile che quando sono esonerati dal servizio militare possono acquistare le loro armi individuali: il fucile, la rivoltella e il relativo munizionamento per conservarlo in casa propria. Non per questo in quelle valli si vive come nel mitico Far West. Di contro va preso atto che è il tiranno colui che vuole l’esclusiva delle armi.

In Svizzera solo pochi sono i militari a tempo pieno. Non è poi insolito che una persona che è dirigente industriale, faccia parte della gerarchia militare. Questo sistema fa sì che siano rare le discordie politiche, essendo il settore pubblico e quello privato, sostanzialmente, nelle stesse mani. Fin dagli anni 1930 in Svizzera il potere è in mano al complesso industriale-militare. Si è dimostrata una forma di “governo” molto efficiente. La Svizzera è rimasta estranea alle grandi guerre poiché l’élite al potere non ne avrebbe tratto alcun vantaggio.

Al contrario, nel 1978 questo Paese era al secondo posto nella graduatoria della prosperità mondiale, e nel settembre 2017, per il nono anno consecutivo, la Svizzera è stato il Paese con l’economia più competitiva al mondo secondo il Forum economico mondiale (WEF). Invariato, rispetto al 2016, il quintetto in testa alla graduatoria, con la sola differenza che gli Stati Uniti guadagnano la seconda posizione a scapito di Singapore. Olanda e Germania restano quarta e quinta. L’Italia si classifica al 44esimo posto.

Se la furia delle guerre mondiali ha risparmiato la Svizzera non lo si deve affatto – come pure tanti credono – alla sua dichiarata neutralità. Quale Hitler se n’è mai preoccupato? No. Se nessuno ha invaso la Svizzera è perché questo Paese ha sempre potuto contare su un efficientissimo deterrente militare; abbinato alla sua propensione a “far affari” (=contrattualismo, sinonimo anche di federalismo) con entrambe le parti in conflitto. Per esempio, gli svizzeri tennero ai nazisti pressappoco questo discorso: «Invadeteci, e ogni svizzero fra i 18 e i 50 anni d’età si nasconderà sulle Alpi per portare un’interminabile guerra d’attrito. D’altro canto, se sarete tanto furbi da non invaderci, saremo lietissimi di fornirvi i migliori prodotti della nostra industria, fra le più avanzate del mondo. A pagamento, s’intende.»

E questo è esattamente ciò che avvenne. Ma non solo gli elvetici fornirono alla Germania hitleriana cannoni antiaerei, generatori di corrente, strumenti di precisione, macchine utensili; non solo permisero ai nazisti di servirsi delle loro ferrovie per far affluire rifornimenti al loro alleato Mussolini; essi chiesero e ottennero altro in cambio. Energia. Carbone dalla Ruhr. Elaborarono una formula pignola, precisa e dettagliata: per ogni tonnellata di materiale bellico in transito, tot quintali di carbone. Tale patto permise alla Svizzera di restare indenne e sopravvivere ai cinque lunghi anni di conflitto. Poiché la Svizzera non ha un grammo di carbone né una goccia di petrolio, e l’energia elettrica non sarebbe bastata. Funzionò. I tedeschi non toccarono la Svizzera. E le fornirono energia sufficiente, non solo a mandare avanti il Paese, ma a farlo prosperare mentre il resto d’Europa cadeva in rovina.

Per un gran numero di “strateghi dell’indipendenza del Veneto”, questo tipo di organizzazione è una garanzia contro i soprusi del potere, e dovrebbe tenere lontani gli autoctoni da un conflitto in Europa; soprattutto se si trattasse di un conflitto nucleare tattico come nei vaticini di qualche stratega d’oltre Atlantico si ipotizza. Una situazione così terribile, che Philippe Grasset situa al punto terminale dell’abolizione del sacro in Occidente, scrivendo: «hanno perduto la percezione del sacrilegio – e la perdita del sacro porta necessariamente la perdita del senso di possibilità della catastrofe, minaccia cosmica che implica il fatto nucleare…”.»
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

PrecedenteProssimo

Torna a Venetismi e venezianismo

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 5 ospiti

cron