Differenze tra un popolo vero e un popolo mancato

Re: Differenze tra un popolo vero e un popolo mancato

Messaggioda Berto » sab ott 26, 2019 8:33 am

Repubblica Veneta Serenissima, specificità e durata, realtà e mito; la mia Patria, no!
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Popolo veneto se ci sei fatti sentire e vedere!
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Differenze tra un popolo vero e un popolo mancato

Messaggioda Berto » mer mag 27, 2020 7:03 pm

Questo è un popolo che ha sempre lottato per la sua terra, per la sua libertà, per se stesso come popolo.



Care amiche e cari amici,
buon "Giorno di Gerusalemme", Yom Yerushalaim sameach!

Ambasciatore Dror Eydar


21 maggio 2020

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1. Dal profondo della distruzione, di fronte all’immane devastazione lasciata dall'Impero romano a Gerusalemme, il grande tannaita, il rabbino Akiva Ben-Yosef, ai suoi compagni piangenti, che osservavano dal Monte Scopus le rovine de Santuario sul Monte del Tempio, seppe citare la profezia della consolazione di Zaccaria:

“Si vedranno ancora vecchi e vecchie seduti lungo le vie di Gerusalemme, e persone appoggiate al bastone per l’età avanzata. E le strade della città si riempiranno ancora di fanciulli e fanciulle che giocheranno nelle sue vie” (Zac 8,4-5).

Lo disse con un grande sorriso in volto. In quei momenti, non vi fu più grande visionario di lui. Oggi sappiamo che quel visionario fu un profeta. Chiunque sia stato oggi a Gerusalemme, sa che la profezia di Zaccaria si è avverata. Rabbi Akiva credeva nella sua realizzazione, sebbene Gerusalemme fosse allora in rovina, e l’impero romano al suo culmine. Sapeva infatti che, finché il popolo di Israele è vivo, il suo cuore non può essere estirpato.

2. La frase “Gerusalemme è il cuore del popolo ebraico”, non è solo un bel modo di dire. Da quando siamo stati esiliati dalla nostra terra, e anche da prima, gli ebrei hanno rivolto i loro cuori in preghiera – ovunque si trovassero – verso Gerusalemme.

“Orientamento del cuore” o “Intenzione del cuore”, questo è il termine usato dai nostri Saggi. Ma qui non abbiamo solo l’indicazione di una direzione geografica, bensì principalmente la regolamentazione della relazione spirituale tra Il popolo di Israele e Gerusalemme: regolarizzazione: “Ebrei! Ovunque voi siate, ovunque andiate, sappiate che il vostro cuore si trova a Gerusalemme”.

E non solo nella preghiera. Pensate alla Benedizione per il cibo, la Birkat Hamazon. In ogni popolo e religione si benedice il cibo, e si ringrazia Dio per questo. Ma solo noi abbiamo registrato un “brevetto” speciale: “Grazie infinite Dio, per il cibo che ci hai dato, ma per favore, non dimenticare di ricostruire Gerusalemme”. Questo è sempre stato detto ogni volta che mangiavamo, ogni giorno, di ogni anno, per duemila anni.

L’abbiamo ricordata ogni giorno, abbiamo digiunato in sua memoria, e in ogni occasione abbiamo ripetuto il giuramento degli esuli babilonesi:
“Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra; si attacchi la mia lingua al mio palato se non ti ricorderò, se non porrò Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia” (Sal 137,5-6).

3. Gerusalemme ci ha preservati nella diaspora, senza farci sparire fra i tanti altri popoli. Quando ricordavamo Gerusalemme, ricordavamo la nostra speranza di tornare a casa un giorno, di risollevare il Paese dalle sue rovine, di far fiorire la sua desolazione, e di far rinascere il regno di Israele.

Infatti, se avessimo incontrato degli ebrei a Roma nel primo secolo, ad Alessandria nel secondo secolo, a Creta nel quarto secolo, a Babilonia nel sesto secolo, a Qayrawan nel Nord Africa nel decimo secolo, in Provenza nel dodicesimo secolo, in Spagna nel quattordicesimo secolo, in Persia nel sedicesimo secolo, nello Yemen nel diciottesimo secolo, in Polonia nel diciannovesimo secolo, e persino nei campi di sterminio di Auschwitz e Birkenau nel Ventesimo secolo - sempre e ovunque, se chiedessimo a questi ebrei, a chi appartiene Gerusalemme? La loro risposta sarebbe semplice, inequivocabile e naturale: al popolo di Israele.

4. Sono passati circa 1800 (Mille Ottocento) anni, da quando Rabbi Akiva consolava i suoi compagni, di fronte alle rovine di Gerusalemme e del Tempio, e il 7 giugno 1967 (Mille Novecento Sessanta Sette), – il 28 (Ventotto) di Iyar del 5727 (Cinquemila Settecento Venti Sette) secondo il Calendario ebraico, i soldati dell’Esercito di Israele, discendenti di quegli stessi Tannaiti, discendenti degli Esuli di Babilonia, di Roma e di Spagna, aprirono una breccia alle porte di Gerusalemme, ed entrarono nella città vecchia, restituendola ai legittimi proprietari.

“Perciò rise il padre”, dice Alterman nella sua poesia “Ayelet”; perciò rise Rabbi Akiva, perché nella storia dei popoli del mondo non c'è una storia simile a questa, e ogni tentativo di spiegarla con gli strumenti della logica, volta dopo volta, finisce per infrangersi. “Quel sorriso rimase un enigma”.

Quel sorriso è stato il segreto della nostra forza nelle varie diaspore. Anche nelle situazioni più difficili. Solo in virtù di Gerusalemme, il Sionismo nelle ultime generazioni è potuto riuscire a motivare l’enorme rivoluzione che abbiamo vissuto.
Sion ha sempre chiesto la pace dei suoi prigionieri, che le hanno serbato fedeltà. Non esiste Sionismo senza Sion. Le difficoltà storiche e politiche, non sono motivo di disperazione, mai sia! Richiedono invece pazienza e fede.

5. Non per niente i nostri saggi hanno determinato nel Talmud “E l’eternità è Gerusalemme”. Noi abbiamo fatto di Gerusalemme ciò che è oggi, l’abbiamo santificata e ne abbiamo fatto la capitale del regno d’Israele: “Città in cui Davide si stabilì”, circa tremila anni fa: la Città di Davide, il centro religioso, culturale, politico e spirituale del Regno di Israele.

Qui, i profeti di Israele hanno annunciato giustizia e redenzione al mondo intero. Soltanto sulla base di quanto creato da noi, sono poi venute altre nazioni e religioni a reclamarne una parte.

È vero, Gerusalemme ha luoghi sacri per le tre religioni, ma soltanto sotto la sovranità israeliana della città, vi è stata preservata la libertà di culto per tutti. Ma come città madre, essa è consacrata al popolo ebraico.

Per questo, ogni discorso su una sua ri-divisione o internazionalizzazione, è “Come pulviscolo che si muove nell’aria, e come un sogno che svanisce”. Non è possibile estirpare a un popolo antico e vivo il suo cuore storico, culturale, politico e spirituale.

6. Due anni fa siamo riusciti a ottenere il riconoscimento di Gerusalemme da parte degli Stati Uniti, che hanno anche compiuto un atto concreto, spostando la loro ambasciata nella nostra capitale.

Il mio sogno, per cui prego, è che, nell’arco del mio mandato di ambasciatore in Italia, possiamo riuscire a vedere il trasferimento anche dell’ambasciata italiana da Tel Aviv a Gerusalemme. Sarebbe una commovente e storica chiusura di un cerchio rimasto aperto per duemila anni.

Il profeta Isaia, un uomo di Gerusalemme nell’ottavo secolo a.C. (prima dell’Era Volgare, ci indica che cosa dobbiamo fare: “Per amore di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme non resterò inerte, finché non sorga come astro la sua giustizia, e la sua salvezza non risplenda come lampada” (Is 62,1).

Buon “Giorno di Gerusalemme”!
Dror Eydar
Ambasciatore d'Israele in Italia
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Re: Differenze tra un popolo vero e un popolo mancato

Messaggioda Berto » mer mag 27, 2020 7:07 pm

Repubblica Veneta Serenissima, specificità e durata, realtà e mito; la mia Patria, no!
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La mia Patria è il Veneto e non la Serenissima.


La mia Patria etnica è il Veneto vivo e non la morta Serenissima

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Venezia e la sua Serenissima non sono mia madre, Venezia mi è stata solo matrigna per 4 secoli, dal suo ventre non è mai nato un Popolo Veneto, una Nazione veneta fraterna, uno stato veneto a sovranità di tutti i veneti.
Venezia era arrogante, aristocratica, antidemocratica e illiberale.
Il suo paternalismo/maternalista si è dimostrato del tutto privo di vero affetto fraterno, indegno e del tutto insufficente, nel momento del bisogno Venezia e la sua Serenissima hanno abbandonato vilmente tutti i suoi sudditi tra cui i veneti al loro destino.
Venezia non ha versato una goccia di sangue per i Veneti che non ha mai considerato con amore fraterno.

La Serenissima non esiste più da 223 anni e non era lo stato nazionale dei veneti ma lo stato aristocratico dei veneziani con i suoi domini e i suoi sudditi veneti e non veneti.
Mettiti d'accordo con te stesso: Veneto o Serenissima?
Il Veneto è vivo e la Serenissima è morta.
La Serenissima non era lo stato nazionale dei veneti ma lo stato imperiale o signorile dei veneziani, della loro aristocrazia che comprendeva vari territori veneti e non veneti con le loro popolazioni venete e non venete in qualità di sudditi.
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