Ma il Plebiscito del 1866 fu una truffa?

Re: Ma il Plebiscito del 1866 fu una truffa?

Messaggioda Berto » mar set 03, 2019 3:23 pm

Altra discussione

Maurizio Bedin
Alberto Pento troll bugiardo ..
Decreto n°3252 del 09 ottobre 1866 del principe Eugenio di Savoia.
Alberto Pento e moleghea de ripetete wueo ke uno te ga scritto... Lo sa cossa el te ga scritto. No le mia cofà ti...


Alberto Pento
Maurizio Bedin ha scritto
Alberto Pento troll bugiardo ..
Decreto n°3252 del 09 ottobre 1866 del principe Eugenio di Savoia.
Alberto Pento e moleghea de ripetete wueo ke uno te ga scritto... Lo sa cossa el te ga scritto. No le mia cofà ti...

Alberto Pento scrive:
per me è doveroso riportare il testo dei post ai quali si risponde o che si criticano, perché questi potrebbero essere successivamente sempre modificati o cancellati dal loro autore e quindi richiamarli integralmente serve a garantire la chiarezza della discussione.

Un interlocutore di storia serio e professionale, non fanfarone, non fa mai citazioni generiche ma sempre particolareggiate con i testi precisi o i link ai documenti e ai testi, dimodoché chiunque segue la discussione possa verificare.
Mi pare che invece tu faccia citazioni a vanvera, da fanfarone.

Alberto Pento
Ecco cosa ha scritto Eugenio di Savoia nel suo Decreto n°3252 del 09 ottobre 1866:

Maurizio Bedin
Alberto Pento???? Eugenio di Savoia?
È il decreto che riporta il nome del propositore e viene/veniva approvato dal parlamento.


Alberto Pento
Maurizio Bedin Il nome dell'autore dice poco se manca il testo del decreto che dice tutto.

Maurizio Bedin
Alberto Pento negazionista! Oppure analfabeta funzionale.


Alberto Pento

Maurizio Bedin ha scritto:
Alberto Pento negazionista! Oppure analfabeta funzionale.



Alberto Pento scrive:
Maurizo Bedin, non solo sei ignorante, ma anche bugiardo e ladro di verità e lo dico forte e chiaro davanti a tutti:


Maurizio Bedin
Alberto Pento intanto offendi i tuoi parenti e guardati allo specchio. È una vita che vuoi portarmi al tuo livello... Ma c'è posto solo per te. E non mi piace l'olezzo.
Poi, quello postato da te, non è fonte attendibile.
Io ti ho dato gli elementi per la fonte certa: quella del TUO Stato. Raccolta delle leggi celerifere... Le tue cagate e relativo olezzo... Tienle per te.
E tira l'acqua.



La truffa ideologica venetista della falsa tesi secondo cui il Pebiscito del 1866 fu una truffa
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 176&t=2859


Chi fu chiamato al voto del Plebiscito del 1866?

Tutte le fonti visionate (Ettore Beggiato nel suo testo sul Plebiscito, Wikipedia e la Treccani) ci dicono che fu un suffragio universale limitato ai soli sudditi/cittadini veneti maschi che non avevano precedenti penali per crimini vari, anche se non sapevano leggere e scrivere e che avevano minimo anni 21 e anche coloro che se pur non veneti erano residenti/domiciliati e iscritti da almeno 6 mesi all'anagrafe dei comuni veneti e anche i soldati che avevano partecipato alle guerra d'indipendenza con meno di 21 anni.
Poterono votare anche i veneti che si trovavano fuori dal Veneto e la minoranza slovena.
(Io nel passato per ignoranza, per non aver letto bene le fonti, avevo creduto che avessero votato solo quelli che sapevano leggere e scivere, che avevano un censo, dei beni e che esercitavono una professione o un mestiere autonomo in verità fu un suffragio universale per i soli maschi).
La votazione per il plebiscito ebbe luogo nei giorni 21 e 22 ottobre 1866; a Venezia gli uffici elettorali rimasero aperti dalle 10:00 alle 17:00 in entrambi i giorni.

https://it.wikipedia.org/wiki/Plebiscit ... o_del_1866

Il plebiscito fu a suffragio universale maschile. Le istruzioni di voto, stabilite dal decreto del 7 gennaio,vennero diffuse alla popolazione tramite manifesti, come nel caso della città di Mantova:

«La popolazione di questa Città come delle altre del Veneto, viene invitata ad esprimere la sua volontà di riunirsi al REGNO D'ITALIA mediante PLEBISCITO, e perché ciò possa compiersi senza indugi, è intenzione del Governo del RE che si ponga mano subito alle relative disposizioni.

La votazione seguirà nei giorni 21 e 22 corrente in ore da destinarsi. La Città di Mantova sarà divisa in sei Sezioni in ciascuna delle quali funzioneranno cinque Probi Viri per la legalità dell'atto.

Saranno ammessi a dare il loro voto tutti i Cittadini che hanno compiuti gli anni 21, che sono domiciliati da sei mesi nel Comune e, meno le donne, non è escluso che chi subì condanna per crimine, furto o truffa. I Cittadini che hanno fatto parte dell'Esercito Nazionale o dei Volontarii durante la campagna per l’indipendenza Nazionale saranno ammessi al voto anche se non abbiano compiuti gli anni 21.

La votazione seguirà secondo la formola qui sotto esposta. I bollettini stampati in questo senso si distribuiranno in località che saranno indicate con altro avviso. I Cittadini esprimeranno la loro volontà di aggregarsi al Regno d'Italia portando all'urna che si troverà nella località pure da destinarsi o il bollettino stampato od altro anche manoscritto che valga alla manifestazione della volontà.

CITTADINI

Accorrete festosi al compimento di un atto che nel mentre assicura un èra da tanto sospirata addimostrerà anche novellamente che fra noi non esiste che un unico voto una sola aspirazione, l'unione nostra alla grande famiglia Italiana sotto l'egida del Magnanimo Re VITTORIO EMANUELE.

FORMULA

«Dichiariamo la nostra unione al Regno d'Italia sotto il Governo Monarchico costituzionale del Re Vittorio Emanuele II e de' suoi successori»»
(Manifesto del Municipio di Mantova, 18 ottobre 1866)

Era pertanto possibile votare consegnando un qualsiasi foglio contenente il testo del quesito, aggiungendo Sì oppure No.

Coloro che avevano diritto al voto in quanto maschi di età maggiore di 21 anni costituivano circa il 28% della popolazione residente; tale dato approssimativo è ottenuto considerando i maggiori di 21 anni come pari al 55% degli abitanti ed escludendo la popolazione femminile (50%), secondo i dati rilevati dal censimento del 1871. Secondo il censimento austriaco del 1857, rispetto alla popolazione totale, gli uomini con età maggiore di 21 anni erano il 27% nelle province venete (624.728 su 2.306.875) e il 28% nei cinque distretti mantovani rimasti all'impero dopo il 1859 (40.461 su 146.867).

Il quesito riguardava l'adesione delle province del Veneto (che all'epoca includeva anche le province dell'odierno Friuli centro-occidentale) e quella di Mantova al Regno d'Italia.
Testo del quesito
Dichiariamo la nostra unione al Regno d'Italia sotto il Governo monarchico-costituzionale del re Vittorio Emanuele II e de' suoi successori.
Affluenza alle urne
Raffaele Pontremoli, Gli abitanti del quartiere San Marco si recano all'Ateneo per votare il plebiscito

L'affluenza al voto fu molto alta, oltre l'85% degli aventi diritto al voto. Nel solo distretto di Padova votarono 29.894 elettori, pari a circa il 98% degli aventi diritto.

Nel comune di Venezia gli aventi diritto erano 30.601, ma votarono 4.000 persone in più (34.004 sì, 7 no e 115 nulli), poiché furono ammessi al voto anche i militari e gli esiliati che erano rientrati.

I plebisciti e le elezioni
di Gian Luca Fruci - L'Unificazione (2011)
http://www.treccani.it/enciclopedia/i-p ... cazione%29

Convegno su plebiscito 1866 'Il Veneto nell'Italia unita'
https://www.youtube.com/watch?v=my7gWCX_CYo


http://augusto.agid.gov.it


Ecco il testo integrale del Regio Decreto sul Plebiscito pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 14 ottobre 1866;
si può leggere direttamente o scaricarselo in pdf e studiarselo
(il testo corrisponde a quanto pubblicato da Ettore Beggiato a parte la dimenticanza di Beggiato nel riportare che nel Decreto Regio lo scrutinio era segreto e non palese come viene falsamente propagandato).
http://augusto.agid.gov.it/#giorno=14&mese=10&anno=1866

Alberto Pento
Secondo le disposizione del Re il Plebiscito del 1866 doveva svolgersi con scrutinio segreto e non palese come viene falsamente propagandato generalmente dal venetismo
Ecco il testo integrale del Regio Decreto sul Plebiscito pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 14 ottobre 1866;
si può leggere direttamente o scaricarselo in pdf e studiarselo
Prima pagina, parte non ufficiale - interno
http://augusto.agid.gov.it/#giorno=14&mese=10&anno=1866


Renato Moro
Ma allora non ze vero che il 19 ottobre 1866 i ga proclama do giorni prima l'unificazione del Veneto al Italia

Alberto Pento
Due eventi diversi; il plebiscito non era vincolante ma solo consultivo che dimostra come l'annessione di fatto non dipendesse per nulla dall'esito del plebiscito che comunque era dato per scontato in quanto già nel 1848 i veneti avevano manifestato la volontà di far parte dello Stato italiano e i ceti sociali economici e culturali dominanti erano comunemente favorevoli all'annessione.


Maurizio Bedin
Alberto Pento e allora perché difendi tale burletta?
Ed ancora, se non era vincolante è ancora peggio. Quindi, conferma che fu solo una parvenza di legalità. Come diciamo da anni.
Caro, per modo de dire, eh, Alberto Pento, Gino Quarelo e compagnia cantando, on fià de coerensa, no?


Renato Moro
Alberto Pento Pento ancora adesso QUANDO ande'a vota ghe ze i soldai


Alberto Pento
Quando c'era la Serenissima i veneti non votavano perché l'aristocrazia veneziana non ha mai voluto farli votare, con o senza soldati.

Renato Moro
Alberto Pento Venesia in 1100 anni a ga fatto un sbaglio solo MA GRANDO SE I PORTAVA EL STITICO DE BONAPARTE IN MAR E PRECISAMENTE A PERASTO NON E TORNAVA CASA VIVO


Renato Moro
Alberto Pento quando c'era la Serenissima El Doge mandava so in piazza do carabinieri a scigliere tre persone a caso par saver Cossa che i pensava de certe decision prese dal magg


Renato Moro
Maggior consiglio


Alberto Pento
Queste sono costumanze aristocratiche di un altro mondo, sorpassato che non ha saputo rinnovarsi in senso democratico e che ha perso il treno della storia ed è scomparso. Nesuna nostalgia, nessuna mitizzazione, nessuna idealizzazione, io preferisco mille volte la Svizzera.


Renato Moro
E siccome i stava per riconoscere i primi 13 stati Americani non i ga vosuo allearse con i inglesi


Renato Moro
E ancora noaltri Veneti quando demo a paroea a rispettemo El nauseabondo de Bonaparte ga attaca' uno Stato che da 100 anni iera NEUTRALE


Renato Moro
Alberto Pento informati bene chi sono i Svizzeri o meglio i cugini d'oltralpe

Alberto Pento
Uno stato imperiale come la Serenissima che lascia entrare nei suoi territori e domini degli eserciti stranieri perché si facciano la guerra e che possono danneggiare le popolazioni e i territori anche conquistandoli, non è neutrale ma demenziale, meschino e vile.
La Svizzera tra i paesi più felici del Mondo e ha dato lavoro e ospitalità a molti migranti veneti che poi si sono naturalizzati svizzeri. Ed è il paese più federale e democratico dell'Europa e del Mondo.
https://www.ticinonews.ch/svizzera/4804 ... e-al-mondo

La Svizzera ha dimostrato nei secoli di essere un vero popolo esemplare, diversificato, democratico e federale, una nazione e uno stato unitari a partire dal 1291 con il Patto Eterno confederale detto Patto del Grütli. https://it.wikipedia.org/wiki/Patto_eterno_confederale
Mai accaduto niente di simile nelle terre venete, Venezia e la sua Serenissima hanno voluto e mantenuto sempre i veneti solo come sudditi e non come fratelli e sovrani della repubblica.


Renato Moro
Alberto Pento vedo che non perdi occasione per disprezzare la Serenissima vorrei ricordarti alcuni detti veneti chi disprezza ama e per la strada che non si vuole andare si corre te saudo parchè devo andar a guadagnare El PAN


Alberto Pento
Nessun disprezzo pregiudiziale ma solo fatti.
L'esaltazione acritica della Serenissima non porta alcun bene ai veneti ma li inganna e illude ulteriormente.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ma il Plebiscito del 1866 fu una truffa?

Messaggioda Berto » mar set 03, 2019 3:23 pm

Altra discussione

Renato Moro
Alberto Pento e allora non ze vere che i gaveva già i decreti legge già pronti e scritti in giugno

Alberto Pento
Renato Moro ha scritto:
Alberto Pento e allora non ze vere che i gaveva già i decreti legge già pronti e scritti in giugno

Alberto Pento scrive:
scusa ma non si capisce cosa mai possano essere questi fantomatici decreti legge scritti nel giugno del 1866,
prima delle battaglie di Costozza e di Lissa (luglio 1866), prima dell'armistizio di Cormons (agosto 1866),
prima della sconfitta dell'Austria e del trattato di Praga (agosto 1866), prima del trattato di Vienna dell'ottobre del 1866.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ma il Plebiscito del 1866 fu una truffa?

Messaggioda Berto » mar set 03, 2019 3:24 pm

Beggiato nel passato si è lamentato perché le università venete di storia non hanno acquisito la sua opera sul Plebiscito del 1866 e no lo usano nei corsi di storia;
adesso mi rendo conto, hanno fatto più che bene perché l'opera di Beggiato non è un vero libro di storia, ben documentato e verificato puntualmente nelle fonti.
Bene hanno fatto le università venete a rifiutare sdegnosamente questo libro il cui revisionismo storico mal documentato è palesemente truffaldino, ingannevole.



Beggiato venetista e la “truffa”del 1866
06.06.2016

https://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q ... NCjjyj5RWq

Si potrebbe chiamarlo “l'altro 150°”. Cinque anni fa l'Italia ha festeggiato i 150 anni dalla proclamazione del regno unitario. Quest'anno i venetisti nostalgici dell'imperatore Cecco Beppe piangono gli effetti del plebiscito di annessione che nel 1866 estese sul Nordest l'autorità di Casa Savoia. Finì 641.758 a 69, quella votazione convocata nelle province da Mantova a Udine. Come in ogni plebiscito che si rispetti, la maggioranza vincente fu valanga. Prima del 1861 e del Regno d'Italia proclamato a Torino, era già successa la stessa cosa negli altri stati, staterelli e regioni della Penisola dai quali erano stati cacciati i sovrani di obbedienza filo-austriaca o il governo papalino. Diventati italiani dopo la poco esaltante Terza guerra d'indipendenza contro l'Austria, i veneti e i friulani scelsero com'era scontato, cioè ritirando e deponendo ben in vista la scheda del Sì.

Ma il plebiscito portò con sé forzature che - una trentina di anni fa, aprendosi la stagione del regionalismo politico spinto - erano destinate a rinfocolare gli astii: pesante fu l'azione pro-Sì dei commissari regi; tutt'altro che segreto il voto; solo una piccola parte di popolazione si mobilitò, in linea con il carattere elitario dell'intero Risorgimento. “1866: la grande truffa”: la chiama così, Ettore Beggiato, quella vicenda del passaggio del Veneto all'Italia. Lo fa da un quarto di secolo – da politico lighista a scavalco tra Prima e Seconda Repubblica, e da ricercatore e polemista oggi - e per la terza volta mette questa definizione come titolo di un suo libro. A stampargli l'opera, riveduta e corretta (150 pagine), è l'Editrice Veneta. Beggiato torna a percorrere le date e il clima dei plebisciti del 1859-1860 e le cronache di quello veneto del 1866. Si dedica ad annotare le cose del dopo-annessione, ritrovando i dati e gli umori di un Veneto rurale impoverito, costretto alle emigrazioni oppure rassegnato al non-cambiamento sociale nonostante la sostituzione delle bandiere.

Beggiato non si nasconde dietro pretese di obiettività storica. Ma chi non ne gradisse l'impostazione deve riconoscere un pregio al libro: per metà è fatto di documenti e testi che ben illustrano il loro tempo e i modi del voto che unificò Veneto e Regno



Il libro sul plebiscito-truffa fa insorgere gli storici
31.08.2016

https://www.larena.it/home/cultura/il-l ... -1.5099358

Un libro sulla «truffa» dell’annessione del Veneto all’Italia. Lo regala la Regione alle biblioteche nell’anno del 150esimo del Veneto italiano e gli storici a Verona insorgono. «È un atto grave per le modalità e la tempistica compiuto dalla massima istituzione regionale», attacca Carlo Saletti, esperto dell’Ottocento risorgimentale. «È un uso politico della storia che fa danno quando tange la traiettoria della didattica, visto che è diffuso nelle biblioteche. Questa è la maniera di ricordare un importante anniversario?».

Per Federico Melotto, direttore dell’istituto veronese per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, «si vuole dare un messaggio politico partendo dal plebiscito per lanciare una critica all’Italia di oggi. E la diffusione del testo in questo modo dà carattere ufficiale a una interpretazione dei fatti opinabile».

Il pomo della discordia è il libro “1866: la grande truffa. Il plebiscito di annessione del Veneto all’Italia“ (Editrice veneta, 2016) di Ettore Beggiato, già assessore regionale e attivo per la difesa dell’identità veneta. Il volume è dedicato al popolo che lotta per San Marco e ha la prefazione di Alberto Montagner di Veneto Nostro – Raixe venete.

Il volume descrive i passaggi che al termine della Terza guerra d’indipendenza del 1866, dopo le due sconfitte italiane di Custoza e Lissa, portarono all’annessione del Veneto all’Italia. Beggiato si sofferma sui plebisciti del 21 e 22 ottobre 1866 che definisce una «clamorosa truffa» («la prima di una serie perpetrata dall’Italia ai danni dei veneti», scrive nel suo blog). Perché furono fatti a decisione già presa e in un clima di intimidazione, mantenendo nell’ignoranza i votanti. Beggiato guarda i numeri: circa il 99,99 per cento di sì, «neanche nei peggiori regimi».

A Verona, per esempio, degli 85.589 voti, due soli furono i no e sei le schede nulle. Mentre per Beggiato «le potenze europee intendevano riconoscere, attraverso il plebiscito, al popolo veneto il diritto di scegliere il proprio futuro e l’autodeterminazione».

L’autore sostiene che i veneti sono oggi tenuti all’oscuro di questa storia e auspica che si tenti un recupero della memoria «prima che il regime nazional tricolore cancelli tutto e ci facciano diventare tutti italiani», ipotesi definita nell’introduzione al libro «un’aberrante soluzione finale».

Accompagna il volume una lettera del presidente del consiglio regionale Roberto Ciambetti. Quest’ultimo plaude all’opera di Beggiato che affronta vicende «descritte dagli storici prezzolati dai Savoia come un evento addirittura voluto dalla Provvidenza». Accusa anche la scuola pubblica del Regno d’Italia il cui «principale compito fu cancellare anche il ricordo degli antichi Stati italiani» attraverso l’insegnamento. «Il libro», conclude, «è un contributo per stimolare una ricerca storica seria e onesta, che vede nelle regioni di tutti i paesi d’Europa una ricchezza e non una minaccia a uno sterile centralismo».

Per Saletti è inaccettabile: «La terza guerra d’indipendenza fu la prima grande azione del neonato Regno d’Italia e portò a un ingrandimento del Paese. E nel 150esimo anniversario del Veneto italiano si diffonde un libro, a spese pubbliche, che rivela un uso ideologico della storia. Il grave è che tocca la sfera delle biblioteche: fa un danno elevato al cubo perché c’è un’ampia diffusione. Non è un semplice intervento di una persona a una conferenza. Mi auguro che la politica reagisca».

Secondo Melotto, il volume fa un’analisi del plebiscito anacronistica trasferendolo sul piano di principi democratici e di autodeterminazione che nel 1866 non c’erano. «Si parte dal presupposto che valessero valori democratici che oggi sono imprescindibili ma che allora non lo erano: nessuno si sognava di far votare i contadini. Eppure per la prima volta nel 1866 tutti i cittadini dai 21 anni in su votarono. Non è poco».

Quanto al fatto che l’annessione al Veneto fosse già decisa prima dei plebisciti è cosa nota, anche ai libri scolastici. Ne scrisse anche L’Arena nel suo primo numero il 12 ottobre 1866 salutando «l’Italia redenta» e il Veneto «libero e unito». E ancora il 16 mentre i bersaglieri entravano a «Verona italiana».

Il passaggio del Veneto avvenne dall’Austria alla Francia come ricompensa per la mediazione diplomatica di Napoleone III durante la guerra austro-prussiana. Quest’ultimo lo consegnò all’Italia. Certo il modo in cui fu conseguito il traguardo lasciò profonda amarezza nel Paese.

«L’annessione», conclude Melotto, «fu già decisa dal punto di vista diplomatico, certo: il plebiscito serviva a sancire una situazione di fatto. Ma non può essere definito scandaloso questo modo di procedere perché nell’800 era la diplomazia a prendere le decisioni, non il popolo».



Libro sul Plebiscito nelle biblioteche,
Beggiato: «Non c’è nessuno scandalo»
Polemica sui soldi spesi dalla Regione. L’ex consigliere regionale di Lega e poi Liga: «Non sono nostalgico, cerco solo di capire la storia»
06 settembre 2016

https://corrieredelveneto.corriere.it/r ... 0553.shtml

Polemica sui soldi spesi dalla Regione. L’ex consigliere regionale di Lega e poi Liga: «Non sono nostalgico, cerco solo di capire la storia»

Fondi pubblici per la promozione del libro anti Italia? «Non è certo uno scandalo, quel plebiscito fu davvero un imbroglio»: parla Ettore Beggiato, ex consigliere regionale della Lega Nord e della Liga Fronte Veneto, ma soprattutto autore di 1866, La Grande Truffa, dedicato alla consultazione popolare che 150 anni fa sancì l’annessione del Veneto al Regno d’Italia e distribuito nelle biblioteche a spese della Regione guidata dal leghista Luca Zaia.

Perché ritiene giusto questo esborso? «In occasione dei 150 anni della cosiddetta Unità d’Italia, il consiglio regionale ha acquistato un sacco di opere di stampo nazional-tricolore. Non trovo assolutamente scandaloso che ci sia anche un piccolissimo investimento per il mio testo, perché parliamo dell’acquisto di 100 libri che costano 10 euro all’uno, quindi di mille euro in tutto, a fronte di milioni di euro che sono stati spesi per le “puttanate” dell’Unità d’Italia… Mi scusi il termine: per “iniziative discutibili”, ecco».

La sua tesi però è oggetto di discussione da parte degli storici. «Il mio libro porta un sacco di documenti che io ritengo inattaccabili. La terza guerra di indipendenza finisce con un trattato di pace del 3 ottobre 1866, il quale stabilisce che il Veneto sarebbe passato ai Savoia solo “sotto il consenso delle popolazioni debitamente consultate”. Il plebiscito viene fissato per il 21 e 22 ottobre. Ma due giorni prima, il 19 ottobre, sulla Gazzetta Ufficiale del Regno viene pubblicato l’annuncio che il Veneto è già passato ai Savoia. Quando i veneti vanno a votare tutto è già stato deciso. Ecco perché definisco questa una truffa».

Non è ora di guardare avanti? «Qui non si tratta di essere dei nostalgici, ma di capire la storia e di riallacciarsi alla storia. Qui c’è un trattato internazionale di pace che riconosce ai veneti il diritto di autodeterminazione: è quello che rivendichiamo».



Alberto Pento
Caro Beggiato
il fatto che l'annessione formale avvenisse due giorni prima del Plebiscito non significa affatto che il Plebiscito fu una truffa, primo perché l'annessione era voluta dalla maggior parte dei veneti (in linea con quanto già espresso nel 1848) e secondo perché l'esito del Plebiscito confermava alla grande la volontà dei veneti per l'annessione al Regno d'Italia.

Poi non è vero che le votazioni del Plebiscito furono condizionate dal fatto che lo scrutinio fosse palese, perché nel decreto regio si dà chiaramente disposizione per uno scrutinio segreto e non palese.
Decreto che hai riportato nel tuo libro ove sta scritto proprio che lo scrutinio doveva essere segreto.
Il tuo è stato un libro truffa e la Regione non doveva e non deve spendere risorse pubbliche per diffonderlo nelle biblioteche od ovunque, l'assessore regionale leghista dovrebbe scusarsi pubblicamente e dovrebbe dare disposizione al Comitato per il Plebiscito del 1866 di fare i dovuti accertamenti in merito, con le successive correzioni pubbliche a ripristino delle correttezza dell'informazione.


Ecco il testo integrale del Regio Decreto sul Plebiscito pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 14 ottobre 1866;
si può leggere direttamente o scaricarselo in pdf e studiarselo
Prima pagina, parte non ufficiale - interno
http://augusto.agid.gov.it/#giorno=14&mese=10&anno=1866


Alberto Pento

Il Comitato per il Plebiscito del 1866 dovrebbe fare ammenda pubblica per le informazioni false diffuse ingannando i veneti, facendo debitamente le opportune verifiche sulla veridicità di certe supposizioni mai indagate a fondo, scusandosi con i veneti tutti e in particolare con i veneti indipendentisti che in buona fede hanno creduto in queste falsità ideologiche.
http://cdn1.regione.veneto.it/alfstream ... azioni.pdf

Questo comitato poi dovrebbe farsi volontariamente carico a parziale compenso dei danni fatti sostenendo la falsa tesi del Plebiscito Truffa, di trovare delle sensate ragioni per cui i veneti del 1866 non avrebbero dovuto volere l'annessione al Regno d'Italia e non trovandole dovrebbero pubblicamente riscusarsi e ammettere che a quel tempo i Veneti non avevano motivo alcuno per non volere e per temere l'annessione allo Stato italiano.


Le motivazioni per volere e giustificare l'indipendenza da parte dei veneti, debbono essere vere e non false e sono tutte da ricercarsi nell'illusione e nelle falsità del Mito Risorgimentale e poi nella mala formazione e nella mala gestione dello Stato italiano, con responsabilità anche da parte dei veneti.
A cominciare da quelle dell'aristocrazia veneziana antidemocratica che non ha mai promosso un popolo, una nazione e uno stato unitario a sovranità di tutti i veneti e che vigliaccamente non ha difeso i suoi domini e i suoi sudditi veneti dall'invasione napoleonica.



Vanni Bonzi
Alberto Pento continui a fare il nome di Beggiato senza mai menzionarlo, sarebbe interessante una sua risposta.


Alberto Pento
Ettore Beggiato è uno dei maggiori responsabili di questo dogma venezianista, se non il maggiore.
Sicuramente gli sarà giunta almeno l'eco di questa discussione e nessuno gli impedisce di intervenire, ma credo che non lo farà, ha già un sacco di difensori e per il momento un solo accusatore che si limita a discutere sui social invitando i veneti venetisti a verificare per bene le cose prima di assumerle come dogma e fondare su di esso rivendicazioni politiche nazionali e internazionali con raccolta fondi per pagare avvocati o fantomatici progetti politici come il Ritorno della Serenissima.



https://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q ... mZGZdtkfO6
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Re: Ma il Plebiscito del 1866 fu una truffa?

Messaggioda Berto » mar set 03, 2019 3:25 pm

L'accusa di truffa dei venetisti venezianisti al Regno d'Italia perché avrebbe proceduto ad annettersi le terre venete, facendosele cedere formalmente dalla Francia il 19 ottobre del 1866 senza aspettare l'esito del del Plebiscito del 21-22 ottobre è semplicemente demenziale, un non senso visto l'esito del plebiscito al 99% favorevole all'annessione e considerato che i veneti da decenni erano favorevoli allo Stato Italiano che si andava formando per iniziativa del Piemonte savoiardo, del Regno di Sardegna e poi Regno d'Italia.
Ai veneti non veniva chiesto se volevano essere annessi o meno avendo come alternativa la loro indipendenza come nuovo Stato veneto e democratico o il ritorno della Serenissima; ai veneti si chiedeva solo se erano d'accordo con l'essere annessi al Regno d'Italia come da accordi internazionali e loro non hanno manifestato pubblicamente alcuna volontà contraria, non hanno fatto manifestazioni di piazza, non hanno fatto rivolte, non hanno boicottato il voto plebiscitario e non hanno votato in massa No.

Come insensata è l'accusa di scarsa democraticità rivolta a questo stato ottocentesco che si stava gradualmente inoltrando nella modernità democratica sia pure a fatica;
considerando che la Serenissima era antidemocratica per natura e che aveva represso le istanze democratiche dei veneti impedendo il formarsi di un solido e forte Stato veneto a sovranità di tutti i veneti e che principalmente per questo unitamente alla vuiltà dell'aristocrazia veneziana non ha potuto opporsi e resistere all'avanzata di Napoleone.
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Re: Ma il Plebiscito del 1866 fu una truffa?

Messaggioda Berto » mar set 03, 2019 3:25 pm

Ettore Beggiato ha edito il suo libro per la prima volta nel 1999 e l'idea dell'opera probabilmente gli è venuta di riflesso alla propaganda meridionalista contro l'Unità d'Italia che aveva fatto dei Plebisciti tenutisi in meridione un punto di forza per dimostrare l'imposizione violenta dell'annessione fatta contro la volontà popolare della maggioranza dei meridionali.
Beggiato ha fatto propri gli argomenti dei meridionalisti contro l'annessione e i plebisciti senza minimamente preoccuparsi di verificale le differenze tra le due situazioni.
Infatti la realtà però è ben diversa se il meridione in parte non voleva l'unità statuale con il Regno d'Italia, nel settentrione italiano le cose sono andate assai diversamente:
il mito risorgimentale è nato nel settentrione e vi hanno aderito tutti i ceti dirigenti e intellettuali delle sue varie realtà statuali preunitarie;
anche l'iniziativa dei mille è partita dal settentrione e i mille provenivano da tutte le regioni del nord.
La situazione del sud non era equiparabile a quella del nord, non lo era ieri e non lo è oggi.
Se il sud non gradiva l'unità statuale italiana il nord invece l'auspicava, come l'auspicavano i veneti che non potevano minimamente richiamarsi alla defunta Serenissima che si era chiamata fuori dalla storia rinunciando a se stessa, al suo rinnovamento nella modernità europea democratica promuovendo uno stato veneto a sovranità di tutti i veneti e poi combattendo contro l'invasione di Napoleone.
Gli unici al nord che non l'hanno gradita sono stati i genovesi che si sono rivoltati contro il Piemonte, i Savoia e il loro regno:
https://it.wikipedia.org/wiki/Moti_di_Genova





LA TRUFFA DEI PLEBISCITI D’ANNESSIONE
Giu 9, 2018

https://www.altaterradilavoro.com/la-tr ... 9570312500

Gridò: Viva Francesco! e fu ucciso all’istante

Cesare Cantù riferisce, da Napoli: “Qui il plebiscito giungea fino al ridicolo, poiché oltre a chiamare tutti a votare sopra un soggetto dove la più parte erano incompetenti, senza tampoco accertare l’identità delle persone e fin votando i soldati, si deponevano in urne distinte i “si” ed i “no”, lo che rendeva manifesto il voto; e fischi e colpi e coltellate a chi lo desse contrario. Un villano gridò: Viva Francesco II! e fu ucciso all’istante”.



Per il Plebiscito votò solo il 19 per cento

” … Moltissimi vogliono l’autonomia, ma sono sforzati a votare per l’annessione; e infatti la formula del voto ed il modo di raccoglierlo sono si disposti, che assicurano la più gran maggioranza possibile per l’annessione, ma non a constatare i desiderii del paese…

E dopo il voto: “I risultati delle votazioni in Napoli e in Sicilia rappresentano appena i diciannove tra i cento votanti designati; e ciò ad onta di tutti gli artifizi e violenze usate”.

(Dispacci del Ministro d’Inghilterra a Napoli, Eliot, in data 16 ottobre e 10 novembre 1860).

Anarchia e reazione dopo il Plebiscito

Mentre si manipolava il Plebiscito in Napoli e in altri luoghi, parecchie province del Reame erano in completa anarchia e reazione. Il de Virgili governatore di Teramo schiccherava proclami alla turca contro i reazionarii: in uno di que’ proclami conchiudeva: “I villani presi con le armi alle mani saranno considerati reazionari e puniti con rito sommario (cioè fucilati)“. E finiva con questa bella frase liberalesca: Colpite i reazionari senza pietà. E poi si fanno scrupolo degli ordini di Peccheneda e di Maniscalco, ed osano ancora chiamarli tirannici, sol perchè què due funzionarii arrestavano i più sfacciati rivoluzionari. Nel Chietino fece rumore il fatto di Cammerino, paese di seimila anime. Facendosi il Plebiscito, un villano, perchè voleva l’urna anche per Francesco II, ebbe uno schiaffo da un de Dominicis gran liberale annessionista. L’insulto fatto al villano fu la scintilla che destò grande incendio: tutti si armarono di armi rusticane. I soldati piemontesi tiravano schioppettate, la popolazione colpi di scure e pietrate. I villici afforzati da quelli di S. Eufemio, paesello vicino, diedero addosso ai liberali, li disarmarono, uccisero il de Dominicis e cantarono il Tedeum per Francesco II. Però il di seguente accorsero piemontesi, garibaldini e nazionali in maggior numero, e non avendo trovato gli autori della reazione, inveirono contro chi supposero reo, e fucilarono senza giudizio. Saccheggiarono Cammerino, poi S. Eufemio, portando il bottino a Chieti, ove lo vendettero pubblicamente. Nell’Aquilano quasi non si fece il Plebiscito; i popolani davano addosso a chi si avvicinasse alle urne. Quando s’intese che la truppa piemontese era entrata nel Regno, invece di accomodarsi alla circostanza, gridarono, Viva Francesco II. I villani si posero la borbonica coccarda rossa al cappello, e si armarono di arnesi rurali per inveire contro i piemontesi. Il celebre generale Pinelli, piemontese, credé sprezzarli, ma esso non sapeva ancora come nel Napoletano si maneggiano le pietre. Uscì da Aquila con alquanti soldati e cavalieri, e volse a Pizzoli; attorniato da quei villici, e perduto qualche soldato, voltò faccia, ed egli stesso ebbe un colpo di pietra nelle spalle. A Marano, Casaprobe, Campotosto, ed altri paesi i cittadini si levarono contro gli annessionisti, li misero in fuga, e si posero il NO al cappello. Intanto Pinelli, questo redivivo Schedoni, usci’ un’altra volta da Aquila, e sapendo per prova quanto valessero i colpi di pietre, condusse seco un battaglione e due cannoni. Invase Pizzoli, fucilò a capriccio e mise taglie alla musulmana. Alloggiò in casa d’Alessandro Cicchielli; e dopo di aver mangiato alla tavola di costui, sul mattino lo fece fucilare nel giardino della casa, presente la moglie! Il 3 novembre molti garibaldini, che si titolavano cacciatori del Velino, mossero contro Avezzano, capo distretto, ed avvisarono il Sindaco a farsi loro incontro co’ principali del paese, in caso contrario, dicevano, che avrebbero fatto scempio di tutti. Il Sindaco tremante tentò ubbidire, ma la popolazione suonò le campane a stormo, e mosse contro i cosi detti cacciatori del Velino, dando loro addosso a colpi di zappe, e tra gli uccisi fuvvi un tale de Cesare. Il generale Pinelli lo stesso 3 novembre dichiarò lo stato di assedio, ed alzò Corte marziale con tre articoli di una sua Proclamazione da fare invidia ai più truci tiranni. Ecco quegli articoli: “Articolo 1. Chiunque sarà colto con arme di qualunque specie sarà fucilato immediatamente; Art. 2. Ugual pena a chiunque spingesse con parole i villani a sollevarsi; Art. 3. Ugual pena a chi insultasse il ritratto del Re, o lo stemma di Savoia, o la bandiera nazionale”. Napoli dopo il Plebiscito rimase nello stato di quasi anarchia. Questo stato di cose favoriva la politica di Cavour, potendo addurre un altro pretesto per legittimare la preparata invasione piemontese nel Regno amico. Dopo il Plebiscito, le violenze de’ camorristi e dei garibaldini non ebbero più limiti: la gente onesta e pacifica non era più sicura delle sue sostanze, né della vita, né dell’onore… I camorristi padroni d’ogni cosa, viaggiavano gratis sulle ferrovie, allora dello Stato, recando la corruzione e lo spavento ne’ paesi circonvicini: comandavano feste con bandiere e luminarie. Menavano in carcere la gente onesta, schiaffeggiavano a libito le persone più rispettabili, ferivano, uccidevano impunemente; e tutto questo accompagnandolo col solito canto: Si schiudono le tombe ecc. dell’inno di Garibaldi, che si cantava a squarcia gola con musica in cadenza piacevolissima, divenuta noiosa, perché ripetuta ne’ saloni per affettazione, e nelle vie il giorno e la notte dai monelli e manigoldi, spesso foriera di giunterie e di violenze. Ho ripetuto più volte che tra i garibaldini v’erano dei giovani distinti per nascita, per patrimonio e per educazione, e che agivano sempre da cavalieri, ma eran pochi, il resto di quella gente era un’accozzaglia di facinorosi, capaci di perpetrare qualunque nefandezza; quindi costoro si resero padroni dei conventi e di molte case private, pigliavano roba, mogli, figlie che menavano via con pochi scrupoli, e di ogni cosa sacra sparlando, dicevan effetto di libertà e rigenerazione dei popoli. (Giuseppe Buttà: Viaggio da Boccadifalco a Gaeta, Napoli, 1865)

Gli anni e le formule dei plebisciti

L’appello al popolo attraverso il plebiscito ebbe in Italia il suo banco di prova nei momenti più cruciali dell’unificazione nazionale. Dopo quello avvenuto nel 1848 a Milano durante la prima guerra d’indipendenza per l’annessione al Piemonte, il primo plebiscito si svolse l’11 e il 12 marzo 1860 in Toscana, negli ex ducati di Parma e Modena e nei territori pontifici di Bologna e di Romagna. La formula della domanda rivolta all’elettore era la seguente:

Annessione alla monarchia costituzionale del re Vittorio Emanuele II oppure regno separato?

Il secondo plebiscito avvenne il 21 ottobre 1860 nell’ex Regno delle Due Sicilie con il seguente quesito:

Il popolo vuole un’Itala una e indivisibile con Vittorio Emanuele II re costituzionale e i suoi legittimi discendenti?

Altri due plebisciti si tennero il 4 e il 5 novembre 1860 nelle Marche e nell’Umbria con la seguente domanda:

Volete far parte della monarchia costituzionale del re Vittorio Emanuele II?

Il 21 e il 22 ottobre 1866 si ebbe quindi il plebiscito nel Veneto e a Mantova. La formula era:

Dichiariamo la nostra unione col Regno d’Italia sotto il governo monarchico costituzionale del re Vittorio Emanuele II e dei suoi successori

Infine, il 2 ottobre 1970, dopo la presa di Roma, con la stessa formula usata per il Veneto, si celebrò nel Lazio il plebiscito per l’annessione alla monarchia italiana.

Quello dei legittimisti

A’ 21 ottobre seguì il plebiscito, a mo’ di Franza, con suffragio universale, fuorché ne’ luoghi tenuti dal Re. Ciò dopo decretata l’annessione, con carceri piene de’ più considerati personaggi del Reame, con la potestà stretta nella setta, con dittatorio governo, con cinquantamila garibaldini, e migliaia di onnipotenti camorristi sparsi per ogni parte; ciò quando Vittorio, re da proclamarsi, stava con altri cinquantamila soldati sardi di guarnigione entro Napoli; con la guerra fervente, col terrore universale, tra il sangue e le persecuzioni. Cotante arme straniere a guarentigia delle fellonie, a sicurezza della conquista, assistevano al “libero” voto. Fu giorno di spavento. In ogni pur minimo paesello i faziosi, prese le sedi municipali ed i gradi Nazionali, sforzavano le volontà. Con essi erano contrabbandieri, speranti sempre durasse la cuccagna, proletari per mangiar senza fatica, ambiziosi per guadagnar soldi e croci, talun possidente illuso da promesse d’abolirsi le tasse fondiarie, galeotti fuor d’ergastolo, e facinorosi credendo più non fosser leggi: cotai genti, che n’ha ogni paese, davano vita al plebiscito. Dall’altra parte nessun uomo onesto metteva importanza legale a quell’abbozzo di comizii non più visti, opera di forza da durare quanto la forza; ciascun buono schifando quei brogli di piazza si serrava in casa. In tempi ch’a un girar di palpebra l’uomo era morto, e che, non che impunità, premio ne veniva all’assassino, salvar la persona era il pensiero generale. Talun minacciato andò per paura a dare la sua scheda; pensava: che guadagna Francesco col mio “No”? metto il “Si”, e sto quieto. In Napoli più giorni prima affissero cartelli, dichiaranti “nemico della patria” chi s’astenesse, o desse il voto contrario. Al mattino del 21 cominciarono i camorristi con suoni e bandiere a scorrere la città; poi primo il Dittatore pose il voto; poi il Prodittatore col municipio in forma pubblica; poi Garibaldini d’ogni nazione e lingua: Sirtori, Bixio, Turr, Eber, Eberardt, Rustow, Peard, Teleky, Megiorody, Dunn, Csudafy e quanti altri di tai barbari nomi eran li. Votarono stranieri quanti ne vollero venire, domiciliati o no; votarano giovincelli imberbi, e donne, e la “Sangiovannara”! In ogni luogo di comizio due urne palesi, acciò la paura vincesse la coscienza; e chi osava stender la mano a “NO”? ne tenevan coperta l’urna Nazionali e camorristi; questi porgevano le cartelle affermative, niuno le leggeva; dove qualche imprudente osò dimandare la cartella del “NO”, provò il bastone e il coltello. Con più ferite fu scacciato dal comizio di Montecalvario un vecchio, presenti gli eletti e i Nazionali. Nulla per far numero i dominatori dimenticarono; solo non piantarono l’urne nelle carceri piene di reazionarii, a sforzarli a’ “SI”. Eppure l’urne eran deserte: sul tardi i camorristi di quartiere in quartiere dettero il voto in tutti i dodici comizii. Non si confrontavano le tessere con le liste, né con le persone; né pure le tessere dimandavano; qualunque compariva era festeggiato. Da ultimo i sovrastanti, impazienti, riempivano l’urna a piene mani. Se ciò in Napoli, che nelle province? Il Rustow garibaldino (nel 2′ vol. pag. 114 delle sue Rimembranze) narra che a Caserta lo stato maggiore della sua divisione, ch’era di 51 uffiziali, né pur tutti presenti, si trovò d’aver dato 167 voti. Ne’ paeselli afferravano i passaggieri, e tiravanli a’ voti; e poi scorrazzando per le comuni vicine andavan per tutto empiendo l’urna. Ingannavano anche i contadini, dicendo i “Si” accennassero al ritorno di Re Francesco; e l’ignaro villico contento si pensava col suo voto richiamare il suo Re. Quei voti, moltiplicati con le mani, fu più lieve moltiplicare con la penna, per aggiustare una bella maggioranza.

“Calabresi vil razza dannata”
La Calabria di fine Ottocento in un pamphlet giornalistico

“Il romanzo di Misdea”, libro che vale la pena di leggere per il fatto che contiene valide fonti di conoscenza delle “diversità” affibbiateci, non per provocare rancori e risentimenti, né per alimentare tentazioni separatistiche, ma solo per cercare di capire quanto alcune teorie “scientifiche”, oggi ritenute semplicistiche, pur avendo lasciato grandi tracce nella complessa materia criminologa e nei metodi di trattamento per i vari “delinquenti”, associate agli scritti dei numerosi letterati e giornalisti, che di quelle teorie si nutrirono e si fecero portavoce, abbiano influito, dal 1860 in poi, a presentare un Sud, la Calabria in particolare, come terra solo di negatività, dove la gente porta già impressa persino nei suoi lineamenti somatici la sua “diversità”.

“Il romanzo di Misdea” di Edoardo Scarfoglio (1860-1917), a cura di Manola Fausti di Arezzo, docente di Lettere nella Scuola secondaria, critico letterario e studiosa di “Scarfoglio novelliere”, con copertina tratta dal volume di Cesare Lombroso “L’uomo delinquente in rapporto all’antropologia, alla giurisprudenza e alle discipline carcerarie” (Hoepli, Milano 1876, vol.I, p. 496), raffigurante “un condannato, G., epilettico, già grassatore, che incide in tal modo sopra un vaso il proposito di suicidarsi:” io sono/ un/ disgaziato/ il mio destino/ è di morir/ in prigione/ strangolato”, è stato pubblicato nella Collana “Biblioteca di Medicina e Storia” con il contributo della Regione Toscana e del Centro di Documentazione per la Storia della Medicina e della Sanità fiorentina. In quest’opera di Edoardo Scarfoglio, pubblicata in origine in 38 puntate e un epilogo, dall’11 luglio al 18 ottobre 1884, sul quotidiano “La Riforma” diretto da Primo Levi, giornale politico liberale, nato a Firenze nel 1867 “come manifesto della Sinistra parlamentare e trasferito a Roma nel 1871, sostenuto, anche finanziariamente, da Francesco Crispi” (p.7), protagonista è la Calabria della miseria, del vizio, dei diseredati senza speranza.

Nato a Paganica (L’Aquila) nel 1860 da padre calabrese, Edoardo Scarfoglio frequenta, nel 1878, il Regio Liceo-Ginnasio Torquato Tasso di Salerno, dove il padre, Michele, è giudice presso quel Tribunale e dove inizia la sua attività di giornalista e brillante critico letterario prende di mira i vertici della politica del tempo (Crispi, Giolitti, Di Rudinì). Per poter esprimere sul contenuto del libro un giudizio oggettivo, si rende necessario aprire una parentesi chiarificatrice delle reali cause che sono alla radice di quella teoria definita da alcuni storici, sia laici che cattolici, come la teoria della “razza maledetta”, e che Antonio Gramsci nei “Quaderni del carcere” ha messo nel dovuto risalto tutta la pericolosità di una ideologia. Padre di detta teoria è Cesare Lombroso, psichiatra e antropologo, che nel libro di Edoardo Scarfoglio avrà un ruolo di primo piano, in quanto “perito di parte al processo contro Misdea”. Nato a Verona nel 1835, Cesare Lombroso, conseguita la laurea in medicina nel 1858, presso l’Università di Pavia, prende parte alla seconda guerra d’indipendenza contro l’Austria (1859), come ufficiale medico, e poi, nel 1866, anche alla seconda guerra d’indipendenza. Sceso nel Meridione e in Calabria negli anni immediatamente successivi alla spedizione dei Mille di Giuseppe Garibaldi e all’annessione del Sud alla Casa Savoia, pubblica il libro “In Calabria ( 1862-1897)”.

Le idee del Lombroso godettero di un periodo quasi egemonico nel campo degli studi italiani di antropologia criminale, se ancora nel 1901 vede la luce un libro marcatamente razzista: “Italiani del Nord e Italiani del Sud”. In esso l’autore, Alfredo Niceforo (Castiglione di Sicilia 1876- Roma 1960), statista, sociologo e antropologo di tendenze positivistiche, richiamandosi all’antropologia criminale di Lombroso, non solo tentò di dimostrare in una famosa polemica sulla questione meridionale l’inferiorità della razza meridionale, ma si rese uno dei principali divulgatori di detta teoria razziale della inferiorità del Mezzogiorno che si affermò in Italia tra la fine dell’ Ottocento e gli inizi del Novecento. La teoria della “razza maledetta” fu denunciata da numerosi meridionalisti. Nicola Colajanni (Enna 1847 – 1921), uomo politico (dopo aver partecipato con Garibaldi alla spedizione d’Aspromonte(1862) e alla Campagna del Trentino(1866), divenuto deputato repubblicano dal 1871, dopo il ritorno dall’America Meridionale dove era emigrato, denunciò lo scandalo della Banca Romana), nel saggio “La sociologia criminale” (1889) si schierò contro la teoria della “razza maledetta” vista come un “romanzo antropologico” che nasceva come comoda scorciatoia per spiegare differenze e separazioni tra Nord e Sud. “ Ma nonostante l’opposizione di numerosi studiosi, questa teoria razziale si affermò come linguaggio funzionale all’ideologia dei ceti dominanti e finì col generare un sentire comune e diffuso, all’origine di stereotipi ancor oggi operanti, sostenute peraltro da alcune forze politiche (vedi Lega Nord & Soci), come ci mostra la cronaca quotidiana” (“La linea d’ombra” di A. Franceschi, Roma 2005).

Le differenze antropologiche tra nord e sud cominciano a essere studiate da fior di scienziati del nord, soprattutto massoni dissenzienti, i quali arrivavano a conclusioni sconfortanti circa l’inferiorità congenita della razza meridionale, visibilmente incapace di aggregarsi in modo moderno attorno all’idea di Stato.
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Re: Ma il Plebiscito del 1866 fu una truffa?

Messaggioda Berto » mar set 03, 2019 3:26 pm

Come promesso sono stato alla biblioteca di Malo a visionare l'opera di Silvio Eupani dal titolo "Malo 1866" edita nel 1966 in occasione del centenario del plebiscito
le pagine che trattano del plebiscito sono le 49,50,51 e riportano lo stesso testo che si ritrova poi nell'antologia "Epopea di Malo" dell'anno 2000.

Eupani riferisce di una sola urna e non di due e per quanto riguarda le schede di diverso colore per il Sì e per il No esse erano state fatte esclusivamente per gli analfabeti (in merito a ciò Eupani osserva che questo sistema però non asssicurava la segretezza del voto limitatamente agli analfabeti).
Per il resto il plebiscito si è svolto regolarmente senza minacce, senza intimidazioni, senza ricatti, senza alcuna violenza.

Maurizio Bedin
Ah ah ah, la fonte attendibile dell'ameba senza volto e nome, è di un autore pagato per celebrare il 100° anniversario della liberazione (?) del Veneto???
Ma non sei solo un ameba. Sei un pagliaccio!

Alessandro Benxinaro
Zerbetto In un ipotetico film de Fantozzi Alberto Peto sicuramente faria ła parte de ła merdaccia.

Alberto Pento
Maurizio Bedin ha scritto:
Ah ah ah, la fonte attendibile dell'ameba senza volto e nome, è di un autore pagato per celebrare il 100° anniversario della liberazione (?) del Veneto???
Ma non sei solo un ameba. Sei un pagliaccio!

Alberto Pento scrive:
È Ettore Beggiato che cita Eupani come prova a sostegno che il Plebiscito fu una truffa e che si svolse in un clima di violenza, intimidazioni, ricatti, rappresaglie, terrorismo psicologico, senza nessuna segretezza, con due urne una per il Sì e una per il No e due biglietti prestampati di diverso colore uno con il Sì e uno con il No ;
io mi limito solo a verificare.
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Re: Ma il Plebiscito del 1866 fu una truffa?

Messaggioda Berto » mar set 03, 2019 3:27 pm

Nei prossimi giorni andrò anche a Cerea a verificare quanto avvenne durante il Plebiscito, negli scritti di E Federico Bozzini in particolare nella sua opera "L'arciprete e il cavaliere".
Autore citato da Ettore Beggiato a sostegno della sua tesi.


Ecco le pagine dell'opera di Federico Bozzini L'arciprete e il cavaliere
https://photos.google.com/album/AF1QipM ... GvNV6QW9x4
Il paragrafo a pag 120 che tratta delle due urne e dei viglietti con il Sì e con il No di diverso colore per la votazione dei contadini illetterati, è accompagnato dalla nota n 11 che rimanda non a fonti d'archivio ma ad un altro autore di Isola della Scala di nome Bruno Chiappa.

https://verona.com/it/verona/isola-della-scala-il-museo

Bruno Chiappa
https://www.paginebianche.it/isola-dell ... aefhdaadhe
Via Sottoriva 6 - 37063 Isola Della Scala (VR)
tel: 045 7300374

https://books.google.it/books?id=JOY772 ... to&f=false
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