La truffa venetista: "Il Plebiscito del 1866 fu una truffa"

La truffa venetista: "Il Plebiscito del 1866 fu una truffa"

Messaggioda Berto » dom mag 26, 2019 7:26 pm

Ecco una panoramica dei sostenitori della indimostrata e indimostrabile tesi di Ettore Beggiato che il Plebiscito del 1866 du una truffa:


Venezia tradita. All'origine della «questione veneta»

13 set 2016
di Lorenzo Del Boca

https://www.amazon.it/Venezia-tradita-A ... 885114138X

La "questione veneta" costituisce una delle controverse eredità del Risorgimento. Un lascito che ancora oggi è vivo e che si riflette nella battaglia sostenuta da un numero sempre crescente di veneti per ottenere, attraverso un referendum, l'indipendenza. Ma quali sono le ragioni che animano questi "italiani riluttanti"? Quali sono le cause del loro impulso secessionista? Lorenzo Del Boca, lo studioso che da anni va scrivendo la "controstoria" del nostro Paese, ripercorre le tappe del grande tradimento subito da Venezia a partire dall 'Ottocento, quando, nel giro di poco più di cinquant'anni, i liberi cittadini della ricca e fiorente Serenissima si ritrovarono sudditi, maltrattati e depredati, dapprima degli Austriaci e quindi dei Piemontesi. Se il primo tradimento fu compiuto nel 1797 da Napoleone con lo sciagurato trattato di Campoformio, l'apice fu raggiunto col plebiscito-truffa del 1866, in cui la percentuale di chi votò "pel sì" all'annessione fu del 99,99% una cifra inverosimile e senza eguali nella storia, mai raggiunta nemmeno nei kolchoz di Stalin. Tra questi avvenimenti si trovano l'insuccesso delle rivolte del 1848 di Daniele Manin e Nicolò Tommaseo, mosse, per la verità, più dal desiderio di affrancarsi dal dominio asburgico che dalla volontà di aderire alla causa nazionale, e le azioni, non prive di ombre, di Garibaldi, La Marmora, Cialdini e Vittorio Emanuele II durante la Terza guerra d'indipendenza.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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La truffa venetista: "Il Pebiscito del 1866 fu una truffa"

Messaggioda Berto » dom mag 26, 2019 7:29 pm

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La truffa venetista: "Il Pebiscito del 1866 fu una truffa"

Messaggioda Berto » dom mag 26, 2019 7:49 pm

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La truffa venetista: "Il Pebiscito del 1866 fu una truffa"

Messaggioda Berto » dom mag 26, 2019 7:50 pm

Anche Federico Moro sostiene come me che il Plebiscito non fu una truffa, ma lo sostiene in maniera molto diversa da me

[Non conosco le argomentazioni di Federico Moro (non so nemmeno chi sia e non ho mai letto nulla di suo finora) che da quanto leggo sotto sembra trattare la cosa più da un punto di vista tutto veneziano;
che i mariani veneziani, veneti, dalmati, istriani della flotta austriaca abbiano combattuto per l'Austria contro l'Italia nella battaglia di Lissa non vuol dire affatto che i veneti fossero contro l'Italia; certo i soldati e i marinai veneti come sudditi austriaci facevano il loro dovere per l'autorità statale che era l'Austria e ancora non vi era stata la sconfitta dell'Austria da parte della Prussia e il passaggio di proprietà dei territori veneti del Lombardo Veneto al Regno d'Italia. I veneti hanno sempre combattuto per l'autorità statale che deteneva il potere salvo nei periodi rivoluzionari come nel 1848, nel 1859. Se anche i marinai veneziani e degli ex domini veneziani, avessero avuto un debole per l'Austria di sicuri non ce l'avevano i veneti di terra che erano la maggioranza della popolazione veneta.]





CONTRO LE “INESATEZZE’’ DELLA STORIOGRAFIA ITALIANISTA SUL RISORGIMENTO VENETO: 1866 E DINTORNI
2016/11/10
MASSIMO TOMASUTTI

https://gruppowsm.com/2016/11/10/contro ... e-dintorni

Cari Amici,

Certamente molti di Voi avranno letto le tesi storiografiche dello storico Federico Moro apparse sulla Rivista ‘’on line’’ Luminosi Giorni (7 Novembre 1866: Venezia è in Italia. Una lettura centocinquant’anni dopo”) relative alle (suo dire) “fantasie e sciocchezze” che sarebbero state recentemente dette e scritte da una certa storiografia (ovviamente) “venetista” sul processo risorgimentale che portò nel 1866 all’annessione del Veneto al Regno d’Italia. Tesi, tra l’altro, alle quali ha già ottimamente risposto l’Avvocato Lorenzo Fogliata. Poiché – come ben sapete -, assai ‘sensibile’ alle questioni sollevate da Moro vorrei qui anch’io poter brevemente dire la mia in maniera “storicamente corretta”.
Primo Punto. Moro non contesta l’esito “truffaldino” del Plebiscito d’annessione che si celebrò il 21 e 22 Ottobre del 1866 poiché tutto ciò sarebbe stata una pura ‘finzione’ giustificativa per il ‘”trasferimento’’ di popolazioni e territori consequenziale ad “un pensiero liberale” che “esigeva questo tributo alla democrazia formale e al diritto dei popoli” e quindi riassumibile nel motto: “è la geopolitica bellezza!”. Tutto ciò, eccetto il riconoscimento che di una “truffa” si trattò è, tuttavia, storiograficamente errato. Il Plebiscito/i con le esigenze del ‘”pensiero liberale”, nel caso di specie, centra come i cavoli a merenda. Il Plebiscito, infatti, nasce e si afferma in epoca moderna sotto il forte segno dell’ideologia napoleonica (1802, Napoleone Bonaparte “console a vita”) e come strumento popolare-consensuale che pretende di espungere con il voto stesso (una volta per sempre) ogni possibile vizio o peccato di colui chiamato ad essere ‘investito’ del Potere stesso. Uno strumento, quindi, che dietro l’apparente ricorso al ‘popolo’ si fa, in realtà, definitivo programma ideologico e finanche morale. Quello poi per l’annessione delle Venezie, di una parvenza ‘’liberale’’ aveva, fin dall’attività preparatoria esercitata dai Commisari Regi calati da Firenze, davvero molto poco … basterebbe che il buon Moro leggesse l’ottimo saggio di Silvio Lanaro (Veneto. Una Regione in Patria, Einaudi) oppure gli stessi Ricordi di Thaon di Revel (La Cessione del Veneto) per apprendere quanto poco ‘liberali’ furono i maneggi, gli eccitamenti, gli ‘interventi preparatori’ sul territorio dei vari Pepoli, Zanardelli, Sella, Thaon di Revel per comprendere che non vi fu davvero nessun reale “tributo alla democrazia formale e al diritto (sic!)” del popolo veneto. Ma, bontà Sua, il Nostro storico vi riconosce, tuttavia, il carattere di ‘’broglio’’ storico e allora il mio scritto potrebbe anche finir qui concordando con l’eretico Montanelli che l’Italia mai è esistita in quanto fondata su Plebisciti burla che hanno dato l’illusione di una Patria Comune inesistente sennonché ….
Punto Secondo: Moro irride, si fa per dire, derubricandola a ‘”leggenda’’ la composizione etnica ‘’veneta’’ degli equipaggi austriaci nella battaglia navale di Lissa. Secondo Lui sarebbero mere fantasie o invenzioni le narrazioni storiche che, da allora ad oggi, parlano di un linguaggio di bordo veneto e, per l’appunto, di una composizione etnica di matrice “serenissima” degli equipaggi. Tralascio la questione del “Viva San Marco” gridato dai marinai austriaci una volta vinto la battaglia, poiché essa – come si vedrà – è secondaria rispetto ad alcuni aspetti storiografici che vorrei esemplificare. E’ noto che Tegetthoff studiò nel Collegio di Marina a Venezia. In italiano aveva seguito i corsi e il ‘’veneziano’’ parlava quando usciva per le calli ed i campielli della città. Fino a metà degli anni Trenta i quadri della Marina militare austriaca erano popolati quasi esclusivamente da personale proveniente dall’area già ‘’serenissima’’, dopo la Rivoluzione veneziana del 1848-49 gli ufficiali che avevano servito la Repubblica di Manin erano stati “dimissionati” ma …. come Tegetthoff quasi tutti gli ufficiali di marina austriaci, quale fosse la loro provenienza, avevano studiato a Venezia. L’immissione in ruolo di nuovi elementi, tra l’altro poteva essere avvertibile nella flotta ‘’solo’’ a partire dal 1852 in poi perché fu ‘’solo’’ a partire dal 1852 che il Comandante Superiore “Deutschosterreicher” accelerò la ‘austriacizzazione’ degli Ufficiali ma, tuttavia, il reclutamento stesso degli equipaggi doveva forzatamente, per evidenti ragioni geografiche, continuare a svolgersi nella fascia marittima dell’Impero, quasi coincidente – eccetto Trieste, Signa e Ragusa -, con l’antico territorio adriatico della Serenissima. Troppo pochi anni – ha sublime ragione l’Avvocato Fogliata -, erano passati dal 1852 (riforma quadri ufficiali) al 1866 affinché gli ordini superiori e l’iniezione di Ufficiali austriaci potessero debellare del tutto l’antica lingua veneta di bordo, nonostante “ufficialmente” essa doveva essere quella tedesca. Che dopo il 1848-49 il rapporto tra Venezia e l’I. R. Marina fosse consumato nessun dubbio ma da questo ad affermare che l’elemento “veneto” fosse sparito all’interno della flotta austriaca ce ne corre e molto … Quanto alla composizione “etnica” della stessa a Lissa è una diatriba ormai funzionale solo ed esclusivamente ad una certa storiografia ‘italianista’ tesa ad usare il bilancino per cercare di competere (insensatamente) sul piano storico-simbolico. Giacomo Scotti, non uno storico venetista e a mio avviso uno dei migliori ‘recuperanti’ sulla battaglia di Lissa, ne ha scritto approfonditamente riconoscendo la ‘’prevalenza’’ dell’elemento etnico ‘serenissimo’ negli equipaggi. Altri studi (meno favorevoli ai ‘’venetisti’’) attribuiscono alla componente ‘serenissima’, diciamo così, almeno il 50% della composizione totale degli equipaggi austriaci. E con ciò – senza comunque citare le ‘’buone’’ fonti di Ettore Beggiato, checché ne dica Moro -, per quanto fosse stato consumato il divorzio tra la Marina austriaca e il sentimento veneziano/veneto è indiscutibile che a Lissa – comunque la si pensi -, la “Serenissima” c’era comunque. Che non si fosse gridato Viva San Marco, può essere, ma ciò cambia poco l’elemento ‘spirituale’ lì presente ed operante.
Punto Terzo: rammentiamo a Moro che lo stesso Giuseppe Mazzini scrivendo all’amico Giuseppe Moriondo irrideva all’avanzata di Cialdini sulla ‘peste’ degli austriaci che si ritiravano spontaneamente. Scrisse l’Apostolo: “vergogna, dopo due rovesci e una ridicola marcia contro un nemico inesistente!”. Penso quindi possa bastare questa buona testimonianza di un protagonista – e che protagonista! -, di quelle vicende per smentire alla radice le asserzioni di Moro. Diciamo, quindi, con buona certezza che il pessimo andamento della campagna militare per gli italiani aveva reso del tutto impossibile quel ‘riscatto col ferro’ delle Venezie tanto bramato dal Governo di Firenze. Fu – e qui ci vuole davvero molta fantasia per articolare un improbabile controcanto -, solo la catastrofe militare austriaca in Boemia ad opera degli alleati prussiani che rese possibile una soluzione diplomatica della “questione veneta” attraverso le modalità che conosciamo. Storia ovviamente, non ideologia.
Punto Quarto: Moro sostiene che “l’avvio della politica anti italiana in Istria, a Fiume e Dalmazia che porterà alla tragedia dell’Esodo nel secondo dopoguerra, lo si deve al mite e gentile Francesco Giuseppe d’Asburgo” nella seconda metà dell’Ottocento.
Vero, ma tuttavia occorre puntualizzare ‘cose’ che Moro non dice: la ‘’rottura’’ effettiva dell’unità spirituale veneziana dell’Adriatico data, esattamente, “solo” dal 1866 in poi, quando l’Austria favorì l’elemento etnico slavo rispetto a quello italiano come deterrente degli impulsi irredentisti locali. “Prima”, anche dopo il 1848, il sentimento veneto interadriatico era ancora ben presente, se non come realtà politica come realtà dell’”anima” e nonostante tutto.(G. Praga, J. Pirjevic,).
Sul resto delle ‘puntualizzazioni’ ha risposto ottimamente a Moro l’Avv. Fogliata e non ho nulla da aggiungere se non … una piccola chiosa finale al Moro teorico della “Venezia in Italia”. Che ne dice l’autorevole storico del fatto – al di là della discutibile geopolitica – che il vero e proprio deus ex machina di quella transizione statuale, il Generale Genova Thaon di Revel, scrisse nei suoi ‘Ricordi’ (La Cessione del Veneto), che una volta che tutto terminò non seppe trattenere la sua ilarità al solo pensare come avrebbe fatto il Governo di Firenze a porre un rimedio alle tante “irregolarità” ed “arbitri” che commise affinché il Veneto diventasse ‘’italiano’’ … “irregolarità” e “arbitri”, in omaggio al “pensiero liberale” s’intende!



RUBINI RISPONDE E FEDERICO MORO, SU LISSA E I VENETI NEGATI
anno 2016

https://dalvenetoalmondoblog.blogspot.c ... ro-su.html

Caro Federico,
trovo utile che tu discerna le varie questioni: una per volta, ti dimostrerò come si possa usare la ragione nel trattare la storia. Mi pare tu faccia grande fatica a comprendere ciò che ti è stato ben spiegato, anche da Renzo Fogliata e da Massimo Tomasutti, quindi non ho la pretesa di aver più successo di loro.
Lascerò il tuo testo in forma normale, il mio lo metterò in maiuscoletto e blu per distinguerlo.
Caro Edo,
1- MORO - come ho già avuto modo di scrivere la storia si fa partendo dalla cronologia: se tu mescoli quanto successo "prima" del 1848, con quanto accade dopo, Lissa è del 1866 tra l'altro, evidentemente non ci capiamo più. Non mi sono dato nessuna zappa sui piedi, Claudia Reichl-Ham distingue giustamente tra prima e dopo, cosa che tu non fai. Anch'io distinguo tra prima e dopo, aggiungendo che la mancata adesione della flotta alla rivoluzione del 48 mi fa pensare a cambiamenti già intervenuti. Valutazione personale ma sostenuta da un fatto indiscutibile: la flotta ha sparato su Venezia, non contro gli austriaci. Anche qui in nome di San Marco e della Serenissima? Eppure Venezia rinasce repubblica e tornerà tale alla fine. Alla luce del semplice dato cronologico, comunque, il tuo intero discorso decade. Stiamo parlando del 1866, non del 1797 o del 1805 , neanche del 1820, neppure dello stesso 1848.

RUBINI: Se tu avessi letto con attenzione, non vedresti confusione nelle mie precise spiegazioni. Capiresti come è mutata nel tempo la flotta austro-veneta. Claudia Reichl-Ham è in linea con quanto sosteniamo noi (mi riferisco a Vedovato, Beggiato, Fogliata e Tommasutti, ognuno con il proprio contributo).
Questa è la sintesi di come sono mutati alcuni aspetti, come la lingua di bordo, il nome della flotta e la composizione dei comandi:

dal 1798 al 1848 circa - la flotta si chiama “Oesterreich-Venezianische Marine”. Sia Vedovato, sia la Reichl-Ham, ricordano che sia la lingua di bordo (servizio), sia la lingua di comando, erano “una sorta di dialetto veneto”, la Reichl-Ham dichiara che il corpo degli ufficiali era composto “dal 73% di Italiani, 18% di Slavi meridionali e solo per il 5% da Tedeschi”. Vedovato afferma che tutte le maggiori navi erano comandate da Veneti e Istro-dalmati, forse l’esigua componente tedescofona di allora conduceva naviglio minore.

dal 1848 al 1866 circa - secondo Giacomo Scotti (cfr. “Lissa, 1866. La grande battaglia per l'Adriatico”) “Ben 5.000 marinai e sottoufficiali erano triestini, istriani, veneti e dalmati su un totale di 7.871 uomini che presero parte alla battaglia di Lissa sotto la bandiera dell’aquila bicipite”. Se si va al sitohttp://www.kuk-kriegsmarine.it/la-s ... ml#ventuno si apprende che il 20 marzo 1849 il corpo ufficiali era rinnovato con elementi tedeschi per la defezione di numerosi ufficiali (in pratica, tutti Veneti e Istro-dalmati), così il tedesco diviene la lingua di comando (cioè degli ufficiali), ma non ancora la lingua di bordo (servizio).

Questo dato è confermato anche da una fonte che Moro sbandiera quasi fosse l'argomento decisivo a suo favore, cioè Lawrence Soundhaus (“The naval policy of Austria-Hungary 1861-1918”, Purdue Press, West Lafayette University, Indiana, 1994) che dice: “A Lissa, circa la metà delle otto migliaia di marinai di Tegetthoff erano italiani non veneziani da Trieste, Istria, Fiume e Dalmazia, un altro terzo erano croati, diverse centinaia (per lo più macchinisti e cannonieri) erano tedeschi-austriaci o cechi, e solo seicento erano veneziani".

Tuttavia, se si aggiungono ai 600 Veneziani gli altri “italiani non veneziani”, cioè Istriani e Dalmati (con esclusione per i puristi di Trieste e Fiume, che appartenevano all’Impero) discendenti dei popoli della Serenissima, si arriva proprio a quei 5.000 di cui parla Giacomo Scotti. I conti tornano e si dimostra ancora una volta che a Lissa la quantità degli ex sudditi di San Marco nella flotta austriaca era preponderante.

dopo il 1866 - Vedovato riporta un dato significativo sul dopo Lissa, cioè dopo il 1866: negli equipaggi mercantili il 65% continuava a parlare di norma il Veneto e Vedovato dichiara che la cosa proseguì fino alla Prima Guerra Mondiale, pur a livello informale, perché l’ambiente culturale che sapeva manovrare una nave era della costa adriatica, anche se di Trieste o di Fiume, cioè veneto-dalmata, perciò chi parlava Tedesco, Ungherese e Croato in linea di massima si adeguava.

Visto il dato precedente, potrebbe ammontare a 600-800 la quantità di personale marittimo che l'Austria perde dopo il 1866 per la perdita delle Venezie.

Conclusione: è gratuita, in quanto priva di qualsiasi base storica, l’affermazione di Moro che “la data di morte della veneticità della Marina asburgica risale agli inizi della rivoluzione del 1848, quando la flotta resta fedele agli Asburgo. Già allora la maggioranza degli equipaggi, in particolare gli artiglieri è composta da elementi slavi, croati in particolare”.

ANCORA RUBINI: questa sciocchezza della “mancata adesione della flotta alla rivoluzione del ‘48” è smentita da chiunque sappia qualcosa di quel periodo storico. In particolare, il sito http://www.kuk-kriegsmarine.it/la-storia.html#ventuno spiega che nel marzo 1848 il comando della nuova “K.K. Kriegsmarine” è portato a Trieste, perché 113 su 162 imbarcazioni si schierano con Venezia.

Si può controllare con un click: non è questione di internet o non internet, questa è storia ufficiale, l’ignorante che vuole insegnarla può ignorarla, ma i fatti restano.

Parlavo nel precedente messaggio di coloro che nutrivano un sentimento nazionale veneto e che seguirono la Repubblica di Manin, anche se di famiglia perastina, come Annibale Viscovich, capitano della Fido,: era ancora un bimbo quando il nonno Giuseppe, Capitano di Perasto, quel 23 agosto del 1797, finito l’impetuoso discorso di commiato dall’amato Veneto Governo, si rivolse al nipotino con una frase davanti all’altare, come dovesse giurare per sempre: « Inxenocite anca ti, Anibale, e tiente in la mente par tuta la vita! », anche se glielo disse in Slavo-Illirico. Annibale non dimenticò, come noi Veneti dobbiamo ricordare, se non vogliamo essere rinnegati indegni.

Ma le stucchevoli invenzioni che Federico propina, nel contempo rimproverando la “mancanza di note” a chi invece scrive con verità e precisione, non si fermano qui. Come può affermare che “la flotta ha sparato su Venezia, non contro gli austriaci”?

Spiegavo che l’Austria perdette la gran parte degli equipaggi, ufficiali compresi, ma riuscì a salvare il grosso delle navi, poiché purtroppo allora, nel marzo 1848, non erano ormeggiate a Venezia. Tuttavia, il grosso dei marinai con i loro ufficiali restarono fedeli alla vera Madre Patria, Venezia. Come spiega il sito http://www.kuk-kriegsmarine.it/la-storia.html#ventuno, sulle fregate e i brigantini che riuscì a salvare, Vienna dovette mettere la truppa di fanteria; iniziò il blocco navale sulla laguna, che strangolò Venezia essendo concentrato nell'Alto Adriatico, fino a raggiungere il numero di 30 unità nel corso del 1848. Ma oltre ad essere falso che tutti i capitani fossero rimasti fedeli all’Austria, non è neppur vero che quelli austriaci, di fresca nomina oppure no, abbiano sparato su Venezia. Avevo già spiegato invano nel mio messaggio precedente che il bombardamento iniziò la notte del 29 luglio 1849 con l’artiglieria posizionata in gronda lagunare, dopo che il 27 maggio 1849 si era dovuto abbandonare Forte Marghera.

Quelle furono le uniche bombe che colpirono la città (a parte i palloni…). Quindi, il bombardamento navale te lo sei sognato, ammetti che sono le tue solite trovate da romanziere... Non v’è nessuna traccia in nessuna pubblicazione (con o senza note) di una simile baggianata. Da Veneziano, prima che da cultore di storia, ti spiego perché questa sarebbe stata una cosa impossibile.

Premesso che per un azione simile bisogna avere navi e artiglierie adeguate e personale preparatissimo (mentre l’Austria in quel momento non disponeva né degli uni, né dell’altro), dovendo bombardare Venezia dal mare, restavano tre vie:

1. entrare in laguna con le navi, poi attaccare per esempio S. Andrea, o l’Arsenale, o il sestiere di Castello – ma i Veneziani ben più esperti li avrebbero subito fatti a pezzi, proprio come andò a finire con le navi del Bonaparte nel 1797, essendoci fondali bassi e da compiere manovre difficili per gli inesperti. Un suicidio che infatti gli Austriaci neppure si sognarono di affrontare.

2. cercare di colpire Venezia dal mare: anche questo è impossibile, essendoci il Lido davanti alla laguna, i cannoni navali di allora non avevano gittata sufficiente a scavalcare il Lido, inoltre la visibilità dal mare era pari a zero.

3. bombardare i forti di Lido, Malamocco e Pellestrina: ma oltre alla irrilevanza di questo obiettivo, quei forti avevano con ogni probabilità cannoni più grossi e le navi austriache avrebbero avuto la peggio.

Ti scrivo questo per farti capire che, al di là delle note e della bibliografia, la storia si fa – prima di tutto - usando il cervello.

2- MORO - il "saggio" di Vedovato non si può prendere in considerazione perché non ha i requisiti scientifici minimi: fa una serie di affermazioni, giuste-sbagliate non importa, senza mai citare la fonte relativa. Non basta una bibliografia alla fine, anche se buona e simile a quella da me citata. Servono le note, redatte in modo che chiunque possa andare a controllare. Non c'è una sola nota: chi dice cosa, quindi? Quali i documenti?

RUBINI: il "saggio" di Vedovato va apprezzato come uno strumento valido di ricerca storica. Uno storico degno di questo nome non si nasconde mai dietro ad un dito, ma entra nel merito. La bibliografia c’è: se sei capace, la devi contro dedurre (come sto facendo io con te, dimostrando che le tue citazioni sono a casaccio). Contro Vedovato ti mancano gli argomenti, perché i suoi dati collimano nella sostanza con tante altre fonti e con tutte quelle che abbiamo sin qui menzionato.

3- MORO - Infatti, tra le affermazioni che ripeti senza esibire nessuna prova ci sono: che a bordo si parlasse veneto, che la maggioranza degli equipaggi fosse veneta, che Tegetthof ordinasse a Vincenzo Vianello quanto sappiamo, che i marinai gridassero w san marco al momento dell'affondamento della Re d'Italia o dopo la battaglia, qua esistono diverse versioni. Lo dice Vedovato, che però non racconta dove ha trovato queste notizie, ignorate da qualunque documento e/o memoria dell'evento.

RUBINI: le diverse versioni attengono a questioni irrilevanti. Per quanto attiene alla lingua di bordo, è assodato che questa fosse il Veneto, di sicuro fino al 1866, ma anche dopo. Unica eccezione, il caso che, IN PRATICA, ciò fosse divenuto disagevole. Quando gli Austriaci, per esempio, imbarcarono truppe di terra nel 1848, è possibile che su certe navi la provenienza geografica di questi equipaggi li inducesse a parlare in Tedesco. Di regola, però, non c’è possibilità di far parlare una massa a bordo di una nave la lingua che solo pochi conoscono: si può farlo solo se a ignorarla è un’esigua minoranza.

Il Tedesco, dicono le fonti consultate (cfr. Claudia Reichl-Ham, Alberto Vedovato), era nel 1866 solo la lingua di comando, ma tu non hai ancora capito che questa è altra cosa dalla lingua di servizio (cioè di bordo), che difatti restava il Veneto.

Mio padre, che è Capitano di lungo corso e ha passato la vita in navigazioni trans-oceaniche, potrebbe spiegarti che se gli ufficiali sanno usare solo la lingua di comando, mentre l’equipaggio non la capisce, bisogna prendere un interprete a bordo, perché i marinai parlano la lingua di bordo e nulla può costringerli a parlare lingue sconosciute. È sempre stato così, né può essere altrimenti.

Sopra ho riportato ciò che dicono le fonti, di sicuro se ne possono allegare tante altre, ma che difficilmente smentiranno fatti pacifici e notori tra gli studiosi: solo tu sostieni - senza prove - che nella flotta austriaca nell’800 si parlasse solo Tedesco.

4- MORO - tra l'altro, nella valutazione degli equipaggi, a partire dagli ufficiali, insisti nell'adottare un criterio piuttosto estensivo per accrescere il numero dei veneti. Per te lo sono indiscutibilmente tutti i dalmati, tutti coloro il cui cognome viene scritto con la finale -ich, lo fanno anche i tedeschi ti faccio presente, trentini, triestini e chi più ne ha più ne metta. Perché anche trentini e triestini che in buona parte, ma non tutti, sono italiani ma non sono mai, dico mai stati veneti? Per quale ragione un triestino dovrebbe gridare W San Marco in ricordo della Serenissima? Trieste è stata veneziana per una frazione del XIV secolo e solo per occupazione militare. Infatti, si è "concessa" all'Austria pur di sfuggire al dominio della Serenissima. I fiumani? E quando mai sono stati veneti? I dalmati a sud di Spalato e fino a Cattaro dove, erano sotto governo veneto ma etnicamente non erano affatto veneti? Il conte Viscovich del celebre discorso di Perasto, non era veneto ma morlacco cioè slavo. E si scrive con -ich.

RUBINI: La cosa semplice che non vuoi capire, senza allambiccarsi il cervello in disquisizione linguistiche su cui nessuno qui ha grande competenza, è che l’Alto Adriatico è una specie di lago, dove i popoli che ci vivono hanno condiviso tutto nei secoli. Un Veneziano, un Chioggiotto, un Triestino, uno dalla laguna di Caorle o di Scardovari, un Polesano, un Rovignese, uno da Lussino o da Cherso, o anche un Zaratino o un Bocchese, potevano formare una comunità unita nei millenni, si sentivano una sola Nazione sotto San Marco anche se qualcuno parlava Veneto-Dalmata e un altro Slavo-Illirico. Di sicuro avrebbero guardato come uno straniero un Romano o uno da Belgrado. Anche a Spalato e a Cattaro si sentivano Veneti in un modo peculiare, nessuno però si sentiva italiano: già le città costiere dell’Adriatico vivevano proiettate sull’acqua e spesso per nulla su terra, poi la politica della Serenissima, anche la sua politica religiosa, fece il resto, cementando tutto.

Ciò fa sì che le più forti manifestazioni di patriottismo veneto nel 1797 le troviamo a Zara e a Perasto, ma anche a Cherso, di cui Luigi Tomaz ricorda 4 giornate di resistenza anti-austriaca (12-15 giugno 1797), durante le quali il popolo insorse contro i nobili che meditavano di consegnarsi all’Austria dopo un mese dall’abdicazione del Veneto Governo, perché volevano restare veneti. E che dire della Repubblica delle Sette Isole Unite? Come può essere che la Repubblica delle Isole Ionie, Repubblica Septinsulare, Eptaneso o Stato Ionio, formata dalle Isole Ionie abbia resuscitato la Repubblica di San Marco, sotto la protezione della Russia, tra il 1800 e il 1807?

Erano Corfù, Isola di Passo, Itaca, Cefalonia, Leuca, Zante e Cerigo: oggi diremo “sono Greci”, alla fine Greci e Slavi omaggiano e ricordano la Repubblica Veneta più di noi, rimbecilliti da un secolo e mezzo di regime corrotto.

Su Trieste, ricordiamo che la città lasciò la Repubblica durante le vicissitudini della guerra di Chioggia, Venezia avrebbe potuto riprendere la città con la forza, ma non lo fece: una lezione di civiltà che tanti dovrebbero apprendere e tanti ricordare con gratitudine, fino ad abbracciare il nome veneto. I Trentini, poi, sono Veneti anche linguisticamente, se la Repubblica non mirò mai ad acquisire Trento ciò fu per rispetto sia verso Roma (a Trento c’era un Vescovo-conte), sia per rispetto verso Vienna, ma i Trentini sono identici a noi.

5- MORO - Ciò detto, l'elenco completo degli ufficiali in comando a Lissa sulla flotta austriaca si trova in Die Operationen der Österreichischen Marine während des kriegs 1866, pubblicato a Wien nel 1866 facilmente reperibile anche in internet grazie alla Stanford University. Alle pagg. 13-14. Di italiani, ma non è detto siano veneti, abbiamo solo Florio, dal cognome addirittura siciliano se proprio vogliamo, Eberle, trentino dunque, Calafatti, Masotti, anche questo un cognome non proprio veneto, forse Adrario. Comandanti di unità che per la maggior parte non hanno partecipato allo scontro. Arruolare tra i veneti perché triestini altri mi sembra davvero improprio. Kern, per esempio. Perché no von Henriquez allora, da cui discende in linea diretta la celebre "aquila di Trieste" della Grande Guerra? Tutti gli altri sono senza se e senza ma tedeschi, con due probabili slavi, Millossich e Daufalik.

RUBINI: Ho visto la fonte che citi, conferma il dato riportato da Alberto Vedovato che indica capitani veneto-triestini in 5 di loro, cioè Barry, Kern, Calafatti, Masotti e Eberle. Ti sfuggiranno tutte le conoscenze in possesso di Vedovato, ma non hai neppure seri motivi per dubitare. Se vuoi dire che questi 5 non fossero né Veneziani, né Triestini, sta a te dimostrarlo. Il problema è che non sai quasi niente.

Per la cronaca, Florio non è solo un cognome siciliano, ma anche dalmata, dato che questo capitano Marco Florio era nato nel 1827 a Perzagno, nelle Bocche di Cattaro, discendente da un’antica famiglia di grande fede veneziana.

Un lavoro storico non cessa di esistere perché senza note, si vedono tanti testi di valore scientifico con poche o senza note e, per converso, tante schifezze munite di note. Io sono pignolo e nei miei lavori metto le note fatte meglio, cioè quelle a piè di pagina, per agevolare i lettori, anche quelli critici.

Può darsi che Barry, Kern, Calafatti, Masotti e Eberle vivessero o fossero anche nati a Venezia, d’altronde nessuna fonte parla di norme che impedissero ai Veneziani di comandare una nave. Tu ha solo il pregiudizio che “la data di morte della veneticità della Marina asburgica risale agli inizi della rivoluzione del 1848, quando la flotta resta fedele agli Asburgo. Già allora la maggioranza degli equipaggi, in particolare gli artiglieri è composta da elementi slavi, croati in particolare”. Ma sono fandonie di tua invenzione, che contrastano con qualsivoglia fonte storica: i 5/8 dei marinai austriaci del 1866 appartenevano agli ex Dominii della Repubblica (slavi e non slavi), prima ho presentato conteggi precisi con tutte le fonti del caso.

6- MORO - La stessa fonte, alle pagg. 27-8, parla di due timonieri, indicati con il termine Steuermann, della Ferdinand Max: Franz Seemann e Kerkovich. Non accenna minimamente a Vincenzo Vianello, il cui unico riferimento si trova in un elenco dei feriti della nave Kaiser. A quanto pare perché non si trova in queste pagine. Quindi non sulla Ferdinand Max. Lo stesso Vianello è indicato comunque come Vinzent in tedesco. Ovvio, visto che era questa la lingua di bordo, di certo la lingua del comandante della stessa Ferdinand Max, von Sterneck, al quale si deve per forza, in quanto capitano della nave, d'aver dato l'ordine di speronamento della Re d'Italia. Non l'ha fatto di certo Tegetthof, il quale non è il comandante della nave bensì della flotta. Perchè von Sterneck avrebbe dovuto usare il veneto per dare un ordine a Kerkovich o Seemann? Perché Vianello, se non è un caso di omonimia sempre possibile per carità, si trovava sulla Kaiser. Fino a prova contraria.

RUBINI: Mi commuovo quando vedo l’ingenuità di chi solleva questioni nominali prive di sostanze come avesse trovato la pietra filosofale. Secoli fa (persino fino al 1956), i nomi venivano tradotti nella lingua del posto. Per esempio, io nella mia biblioteca ne ho uno del 1956 intitolato “Il meglio di Federico Nitzsche”. Vuoi vedere che questo Federico era italiano? Ma chi sarebbe così ingenuo da pensarlo? Eppure, se Vincenzo Vianello si trova sotto forma di Vinzenz Vianello cominciano le elucubrazioni e gli scandali. Pensate allora quando Giovanni Caboto in Inghilterra diveniva John Cabot, o per converso Thomas More in Italia diveniva Tommaso Moro… oggi, che siamo nel mondialismo e nel trans-nazionale, mettiamo dappertutto etichette nazionaliste e facciamo questioni di discriminazione, quando un tempo nessuno faceva una piega. Mi viene il dubbio che forse nei secoli siamo andati indietro invece che avanti. In sintesi: serve la laurea o la nota per capire che Vincenzo Vianello e Vinzenz Vianello sono la stessa persona e che la differenza di scrittura si deve alla moda del periodo o agli usi burocratici, che nulla cambiano della persona? In pieno ‘800, Tegetthoff giovane cadetto negli Archivi del Collegio di Sant’Anna a Venezia, sestiere di Castello, è indicato con il nome proprio “Guglielmo”: vuoi vedere che la lingua di comando, a bordo della città di Venezia, era il Veneziano? O che Tegetthoff nel frattempo aveva cambiato nazionalità? Va un po’ a controllare negli archivi dell’attuale “Collegio navale Morosini”…

Di Vincenzo Vianello credo bene che hai trovato riscontro in un elenco dei feriti della nave Kaiser, dato che era imbarcato lì.

Mo ti spiego perché non trovi Vincenzo Vianello tra i timonieri della Ferdinand Max: infatti non era su quella nave. Hai appena detto che era sulla Kaiser: “ma ci sei, o ci fai?” - dicono a Roma. Quando la Kaiser sbattè sulla prua della Re di Portogallo, la fucileria italiana dalla fiancata bersagliò il ponte di comando dell’avversaria. Vincenzo Vianello era timoniere di seconda classe e che cosa accadde lo si scopre dal certificato di decorazione firmato a Pola il 28 settembre 1866 dal Contrammiraglio Von Petz, che gli conferì la medaglia d’oro: “il timoniere di 2° classe Vincenz Vianello, nonostante fosse ferito, subito dopo la morte del timoniere capo Lenaz, e al ferimento del timoniere di 1° classe Pinduli, prese il timone della nave e ha intrepidamente manovrato. Ha dimostrato audacia, sangue freddo e e coraggio rari”.

Ciò che accadde sulla Erzherzog Ferdinand Max è una storia simile. Poco prima dell'affondamento della corazzata italiana, si dice che il comandante di quella austriaca Maximilian Daublesky von Sterneck,, avesse urlato in veneto al suo timoniere, Tommaso Penzo: «Daghe dosso, Nino, che la ciàpemo!». C’è chi sostiene che l’abbia detto Tegetthoff, ma è un dettaglio irrilevante. È una tradizione ormai divenuta leggenda. Tuttavia, la cosa che mi pare sia sfuggita ai più (ancorché ovvia ed evidente) è che non si tratta di un ordine, perché nelle forze armate gli ordini si danno secondo schemi fissi. È invece un incitamento, che chiunque avrebbe potuto esclamare. Resta un fatto destinato a restare indimostrato, ma resta nel campo del possibile, perché Vienna aveva a modo suo incoraggiato il patriottismo dei Veneti (avendo in quel tempo tutti archiviato il 1848 nel cassetto dei brutti ricordi). L’Austria resta l’unico Stato che ha re-installato almeno una parte dei Leoni di San Marco su palazzo ducale, tra i tanti devastati durante l’occupazione franco-giacobina del 1797. La banana republic ha sempre impedito queste operazioni di recupero e ciò è sintomatico della maggiore distanza che Venezia ha da Roma rispetto a Vienna. Opinioni, per carità… ma anche cruda realtà.

7- MORO - Sempre la stessa fonte alla pag. 30 racconta in effetti dell'esultanza dei marinai della flotta austriaca: non al momento dell'affondamento della Re d'Italia, erano un po' indaffarati per la verità, bensì una volta arrivati in porto. E qualche giorno dopo. Esultano arrampicati sulle sartie, così racconta la fonte, perché da Vienna è appena giunta la notizia che il contrammiraglio von Tegetthof è stato promosso viceammiraglio. Non fa alcun cenno a cosa abbiano gridato i marinai. Difficile pensare però siano esplosi in un W San Marco! quanto mai inopportuno visto che nel giro di appena 18 anni l'Austria ha dovuto combattere ben tre guerre per cercare di tenersi stretto un pezzetto della Penisola. Venezia compresa. Sua storica arcinemica per secoli.

RUBINI: La tua opinione di “Austria storica arcinemica” è tipicamente italiana: l’Italia massona fu sempre contro l’Austria cattolica (e un certo livore sopravvive ancora, se gettiamo uno sguardo su che succede al confine del Brennero), ma questo non è certo il sentimento veneto. Per Venezia l’Austria restò una fondamentale alleata in quattro secoli di guerre quasi continue contro i Turchi, quest’alleanza ebbe un’unica vera grande eccezione della guerra contro la Lega di Cambrais (a parte le baruffe sul nostro confine orientale).

Nel 1866 il 1848 era ormai una parentesi chiusa; invece, sulle guerre di annessione dei Savoia le fasce popolari e i Veneti in particolare sono sempre stati freddi. Un po’ come oggi, i Veneti non si sentono italiani.

Sulle manifestazioni di giubilo va fatta chiarezza. È vero che Tegetthoff fu promosso immediatamente, via telegrafo, al grado di Vizeadmiral (vice-ammiraglio), ma la notizia pervenne comunque via piroscafo il giorno dopo, il 21 e allora si festeggiò, il 21 non aveva senso gridare “W San Marco”, dovevano festeggiare il loro condottiero. Su “Lissa, 1866. La grande battaglia per l'Adriatico” di Giacomo Scotti ogni cosa è descritta con esattezza. Questo fatto avvenne il 20 luglio, alla fine degli scontri. Solo verso il tramonto, alle h. 18,05, la Erzherzog Ferdinand Max entrò in porto S. Giorgio dove era radunata la flotta, essendo l’Ammiraglio rimasto a far la guardia là davanti, che qualche nave italiota non andasse ancora in cerca di guai.

Entrò in porto segnalando la vittoria e concludendo con il segnale “Viva l’Imperatore!”: fu allora che scattò il giubilo generale (Triestini compresi, suppongo, perché no?) tra i naviganti ancora sulle navi: i marinai lanciarono i cappelli in aria e gridarono “Viva San Marco!”.

Si deve escludere che ciò potesse succedere durante l’affondamento del re d’italia. Quando una corazzata si lancia a oltre 11 nodi contro un’altra, il frastuono e il caos sono indescrivibili: motori al massimo, spari di cannone, di fucile, lo schianto improvviso, si fermano i motori e bisogna farli ripartire, urla, fumo, incendi a bordo. Al momento dell’impatto nessuno riesce a stare in piedi, tutti sono scaraventati per terra. La nave colpita si rovescia prima su un lato poi, quando la Erzherzog Ferdinand Max fa macchine indietro per togliersi di mezzo, quella italiana è trascinata sul lato opposto. I marinai cadono in mare, tutti urlano, tutti implorano aiuto. Arrivò persino il piroscafo austriaco Kaiserin Elisabeth per salvare quei disgraziati, ma le navi italiane assaltarono subito i soccorritori, cagionando indirettamente la morte di tanti loro commilitoni, dato che l’unità austriaca dovette abbandonare l’operazione di salvataggio e gli italioti tardarono con i soccorsi.

No, non c’era né tempo, né modo di fare acclamazioni nel momento dello speronamento, chi dice questo sta solo facendo una sorta di “semplificazione”, perché si è poco documentato.

8- MORO - Il resto, tipo Trento e la manovra a tenaglia oppure l'avanzata di Cialdini, lo lascio perdere perché i fatti sono fatti e non è che si possano discutere. Medici sarà anche stato un frammassone, il che evidentemente è colpa grave ma non significa nulla per tanti a cominciare da me, ma era a 8 km da Trento. Appunto. Cialdini si è fermato sull'Isonzo. Anche qui, bisogna altrimenti dimostrare il contrario. Fatti e documenti alla mano. Citandoli con precisione. Io ho ripreso il telegramma di Kuhn in cui dice di essere costretto a sgomberare la città, l'Arciduca Alberto era ben lontano: si potrebbe vedere l'ordine arrivato a Kuhn da Vienna di resistere a oltranza? Se c'è, benissimo, forse avrebbe resistito. Di fatto la guerra è terminata con Medici a 8 km da Trento e Garibaldi a Levico.

RUBINI: Fatti e documenti alla mano stai sbagliando tutto, come al solito e ti dimostro perché, con citazioni precise. Prima però, ti propongo quello che ti manca: il ragionamento, attività principe dello storico. La guerra è terminata con il gen. Medici davanti Civezzano, va bene, ma Garibaldi a Levico non c’è mai stato. Il fatto che tu lo sostenga significa che del 1866 non sai quasi nulla.

Devi leggere due testi: “Bezzecca 1866. La campagna garibaldina dall'Adda al Garda” di Ugo Zaniboni e, “Per Trento e Trieste. L'amara prova del 1866” di Riccardo Gasperi, così capiresti che Medici percorse la Val Sugana, quindi il 24 luglio lui sì che poteva trovarsi a Civezzano. Invece, quel giorno Garibaldi, ormai vecchio e con una brutta ferita sulla coscia, tanto che doveva muoversi in carrozza in montagna (un disastro), era vicino alle Prealpi Giudicarie, a Bezzecca, sul versante occidentale rispetto al lago di Garda, quindi ad un centinaio di km da Levico. Come fai a dire che era sopra la Val Sugana un vecchio ferito e stanco che in quel momento era al di là del Garda? Se tu scrivessi queste cose in un temino di storia alle medie, ti boccerebbero.

Vediamo al telegramma di Kuhn in cui tu dici che lui si dice costretto a sgomberare Trento. Non esiste un simile documento, tu leggiucchi frettolosamente cose qua e là, poi tiri conclusioni ridicole. Io però non rido e ti spiego che cos’è successo.

La tregua sottoscritta il 24 luglio prevedeva una sospensione per 8 giorni. Lo stesso 24 luglio era stata sottoscritta una tregua fra austriaci e prussiani, perciò anche l'Italia si trovò obbligata al medesimo passo. L'Arciduca Alberto ordinava a Kuhn: «Le estreme punte dell'armata rimangono nelle loro attuali posizioni. Poi, tenere Trento fino all'ultimo». Hai capito o te lo spiego in Tedesco?

Di conseguenza, Kuhn ordinava ai suoi comandanti: «Nel caso le truppe avanzate fossero costrette a ritirarsi, debbono farlo difendendo strenuamente ogni tratto di terreno metro per metro, ogni cascina, ogni casa. Dopo avere evacuato la prima linea, dove attualmente si trovano le truppe, si deve tenere ad ogni costo la seconda, naturalmente dopo aver difeso gli intervalli di terreno, la terza linea è per ultimo la città stessa; il direttore del genio tenente colonnello Wolter ha il compito di far eseguire immediatamente le necessarie fortificazioni. Ritengo personalmente responsabile ciascuno dei signori ufficiali che la difesa venga compiuta col massimo valore secondo gli ordini di sua altezza imperiale l'Arciduca Alberto”. Intanto, confluivano su Trento rinforzi di truppe austriache. Sarebbe così, secondo te, che “Kuhn dice di essere costretto a sgomberare la città”? È l’esatto opposto: o non sai leggere, o qua c’è un problema di comprendonio. L’università italiana ti deve aver scombinato.

Del resto, la tua difesa delle campagne del 1866 è così fuori dalla storia che va contro persino la reazione dei protagonisti italiani di allora. Furono infuriati i garibaldini, che all’ordine di ritirata (ben lungi dal rassegnato “obbedisco” del loro povero generale) spaccarono le baionette e imprecarono contro i Savoia, furono infuriati i mazziniani, che videro il disastro politico, si infuriò lo stato maggiore e lo stesso re, si infuriò il popolo prima e dopo Lissa manifestando sul porto di Ancona, si infuriarono i giornali e si infuriò il parlamento, che costituì il tribunale politico che condannò Persano e fece deporre Albini e Vacca… Niente paura, 150 anni dopo arrivano le menti eccelse a sostenere “non è vero niente, abbiamo vinto!”.

MORO - Ecco, credo di avere risposto puntualmente riportando fonte certa, scritta e disponibile, indicando i riferimenti per ogni affermazione. Cioè quanto mi aspetto per continuare la discussione. Non basta sostenere una tesi, qualunque essa sia, bisogna documentarla. Altrimenti non è storia, come appunto si diceva. Come la faccenda del veneto "lingua franca della marineria adriatica": chi lo dice? L'affermazione è documentata? Perché le "ragusee dalle vele maestose", Frederic Lane Storia di Venezia Torino Einaudi p. 434, avrebbero dovuto parlare veneto? Scusa, sei mai stato a sud del Po? Pensi davvero che da Comacchio a Otranto usassero il veneto? Non si può dire "parlavano veneto" e basta. Servono le prove e le deve fornire chi fa l'affermazione, l'onere non può essere invertito.

RUBINI: Ok, ti accontento. Ora che ho messo a nudo il tuo vaniloquio, ti spiego anche questo fatto storico. Coloro che hanno provato a spiegare che il Veneto era la "lingua franca della marineria adriatica" hanno detto una grande verità, ma sono cose che, andando oltre il provincialismo italico, non c’è modo di farlo comprendere agli italioti.

La lingua franca mediterranea (sabir) era parlata in tutti i porti del Mediterraneo tra il Medioevo e tutto l’800 e - pur avendo diverse varianti - la più diffusa e persistente era costituita in sostanza dal Veneziano e per una piccola parte dallo Spagnolo, con influenze di altre lingue mediterranee, come arabo, greco, catalano, turco, ecc. Lingua franca deriva dall'arabo e vuol dire 'lingua europea'. Questa lingua ausiliaria serviva a mettere in contatto i mercanti europei con gli arabi e i turchi. Pare che fosse una delle due lingue d corte presso la Sublime Porta, sicché per parlare con il sultano bisognava conoscere o il Turco, o questa specie di Veneziano. La morfologia era semplice e l'ordine delle parole molto libero, aveva pochi tempi verbali. Nel 1830 viene pubblicato a Marsiglia il “Dictionnaire de la langue franque ou Petit mauresque”, manuale scritto in lingua francese in occasione della spedizione francese in Algeria. Carlo Goldoni rappresentò, nell’ “Impresario delle Smirne”, un personaggio che si esprimeva in Lingua Franca. Insomma, a Lissa parlando Veneto si parlava la solita lingua usata da mille anni. Anche senza la nota a piè di pagina…

MORO - Continuerò, quindi, solo se mi verranno opposti argomenti sostenuti da fatti e documenti, intendendo per questi fonti primarie e secondarie, non opuscoletti che non riportano l'origine delle affermazioni. Non mi sembra di chiedere nulla di strano. Un discorso storico, appunto.

Buona giornata a tutti. federico

RUBINI: Buona giornata a te, non preoccuparti, so che non hai capito niente, ma io ho tanta pazienza.

Edoardo
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La truffa venetista: "Il Pebiscito del 1866 fu una truffa"

Messaggioda Berto » dom mag 26, 2019 8:30 pm

RENZO FOGLIATA VERSUS FEDERICO MORO, STORICO AFFABULATORE, ORGANICO AL PD

https://dalvenetoalmondoblog.blogspot.c ... -moro.html

Federico Moro in un suo intervento, stabilisce che.. il Veneto (riconoscente) fu ottenuto dall'Italia grazie al valore dimostrato a Custoza (la sconfitta fu irrilevante), e che la flotta austro-veneta di Lissa era in realtà composta da croati.. austriaci e ungheresi, pure questi noti marinai. Pochi pochi i veneti, che poi parlavano anche in tedesco)

Carissimi,
ho cercato di fornire sintetica risposta a Moro.
Ve la allego. se potete, diffondete anche presso i nostri detrattori.
WSM
Fogliata

Caro Moro,

Lei è uomo colto ed intelligente.

Pur reputando sovente singolari i Suoi punti di vista (uno tra tutti la solita carnascialesca ipotesi complottista sulla morte di Angelo Emo) l'ho sempre letta ed ascoltata con grande piacere.

Spiace tuttavia quel tono albagioso con il quale Lei liquida posizioni difformi dalla Sua.

Tutto per Lei è sciocco e ridicolo.

Non mi metterò qui a smentire punto per punto certe Sue singolari affermazioni, quali quella della "manovra a tenaglia" (bum!!!; addirittura!) di Garibaldi e Medici (quale la grande vittoria? La scaramuccia di Bezzecca?) o della vittoriosa avanzata di Cialdini!!!!!

Sul punto basti ricordare che la cosiddetta avanzata italiana si svolge tutta nella seconda metà di luglio. Gli austriaci sono stati disfatti a Sadowa il 3 luglio. L'Austria ritira il grosso dell'esercito dal fronte italiano a protezione di Vienna!!!! Tant'è che Cialdini (il massacratore di meridionali) avanza in Veneto senza incontrare resistenza e Garibaldi avanza con ben 35.000 uomini ed ha come avversari 10/15 mila volontari sudtirolesi!

Questo, tanto per relegare tra le sonore "sciocchezze" (per usare il Suo linguaggio) l'affermazione dell'ininfluenza della vittoria prussiana di Sadowa. Senza Sadowa l'Italia non si sarebbe mai seduta ad un tavolo da "vincitrice" e non avrebbe mai avuto il Veneto. Esattamente come nel 1859, la battagliola di San Martino senza il massacro di Solferino e dunque senza Napoleone III non avrebbe mai avuto la Lombardia.

Custoza senza conseguenze? Dopo la batosta gli italiani ritornano da dove erano venuti, di là del Mincio, e corrono a proteggere Firenze (chi la minacciava?)! Si faranno coraggio guarda caso dopo il 3 luglio!!! E, pure essendo verissimo che l'Austria usava inviare le etnie combattenti lontane dalle loro terre, è un dato inconfutabile la presenza di alcuni reggimenti veneti a Custoza che si batterono con ardimento e conseguirono numerose decorazioni al valore.

Ma la più grossa è quella dell'elemento etnico degli equipaggi austriaci a Lissa.

Tutto vero sulla politica austriaca in Dalmazia e tutto vero sul mutamento di nome della marina austriaca dopo il 1848. Ma è sufficiente scorrere l'elenco dei caduti e dei feriti austriaci a Lissa (https://it.wikipedia.org/wiki/Vittime_a ... a_di_Lissa) per scoprire che Lei è in grave errore. Pur essendo in atto una profonda azione di alemanizzazione, i ruoli della marina sono in maggioranza costituiti da nomi veneti, istriani e dalmati (i nomi propri sono germanizzati; ma guardi i cognomi caspita!!! Come lei ben sa, tutti quelli "slavi" che finiscono in "ich" sono veneti o italiani; come Le piace di più, anche se veneto è veneto per i principi di identità, di non contraddizione e del terzo escluso).

Spiace, dunque, che, assieme a tante notizie interessanti e corrette, Lei ammannisca dati non corretti come fossero verità rivelata. Che la marina austriaca fosse composta in maggioranza di slavi, austriaci e ungheresi (tutti, peraltro, popoli non marinari) è una Sua invenzione. E siccome la Storia va guardata anche con il buon senso, è chiaro e limpido il significato dell'erezione di uno dei monumenti alla vittoria di Lissa proprio nella venetissima Pola!!!!

Che molti degli ordini fossero in veneto è un dato certo! Secondo Lei, erano sufficienti 18 anni (dal 1848) per mutare una tradizione marinara millenaria di lingua franca, ovvero il veneto-dalmata parlato anche dagli slavi?

Sì. Anche se non Le piace, il Veneto fu, se non regalato all'Italia, assegnato alla stessa, ad onta delle pesanti, indiscusse e decisive sconfitte militari, grazie alle intuizioni diplomatiche di Cavour.

Il Plebiscito. "È la geopolitica bellezza"? Bello come slogan da giornale scandalistico! Perché allora negarlo all'annessione hitleriana dell'Austria del 1938 ed al successivo plebiscito perfettamente sovrapponibile a quello italiano del 1866 persino nel quesito e nei risultati?

Tutto ciò non significa affatto che i Veneti amassero l'Austria. Del resto, Beggiato non dice affatto questo. Significa però che non ardevano nemmeno per l'Italia. I poveri Bandiera e Moro (non sarà mica per quel nome che Lei si spende tanto?) erano intellettuali isolati, estremisti politici, fanatici. Coloro che negli anni '50 e '60 dell '800 saranno chiamati gli "italianissimi" erano e resteranno sino alla fine i classici "quattro gatti". Nessuna sollevazione, nessuna esultanza, nessuna partecipazione di massa. Le manifestazioni all'ingresso di Vittorio Emanuele II (II di che?) non sono difformi da quelle che, purtroppo per noi veneziani, furono organizzate all'ingresso di ogni invasore: da Napoleone I a Francesco I, a Francesco Giuseppe!!!!

E dai Moro! La Sua non è la verità, ma nulla più di una tesi spudoratamente di parte e condita di cenni storici alcuni veri, altri no. Il libro finanziato dalla Regione non contiene alcuna invenzione. I dati storici sono tutti documentati. Ciò che non Le piace è la loro interpretazione. Tratti con onore e non con sprezzo chi non la pensa come Lei.

Con stima
Renzo Fogliata

Nota di Redazione:
Federico Moro non è ‘’affabulatore’’ in area Pd ma è ‘’proprio’’ del Pd, autore tra l’altro del ‘’programma strategico’’ metropolitano …
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La truffa venetista: "Il Pebiscito del 1866 fu una truffa"

Messaggioda Berto » mer ago 21, 2019 12:31 pm

Verifica storica comune e pubblica della tesi sostenuta da taluni venetisti che il Plebiscito del 1866 per l'annessione delle terre venete allo Stato italiano fu una truffa.
Si prega di portare documenti e testimonianze certificate.
https://www.facebook.com/groups/2376236 ... 9314425478

Si prega di portare documenti e testimonianze certificate, tralasciando libri e film di mera propaganda che in quanto tali non dimostrano nulla.
Mi pare ovvio che citare affermazioni/testimonianze verbali o scritte dogmatiche (ossia prive di prove documentali e come ipotesi anche di argomentazioni logiche e sensate, intrinsecamente congruenti e solidamente resistenti alla verifica argomentativa contraria) non costituisce alcuna prova.
Così possiamo verificare insieme, pubblicamente dove sta la verità storica.
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La truffa venetista: "Il Pebiscito del 1866 fu una truffa"

Messaggioda Berto » dom nov 17, 2019 10:39 am

Io sostengo il contrario, che non vi fu alcuna truffa e che la truffa è quella operata dai venetisti a cominciare da Ettore Beggiato che l'ha inventata.

La truffa ideologica venetista della falsa tesi secondo cui il Pebiscito del 1866 fu una truffa
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 176&t=2859
Si tratta di uno dei dogmi del venetismo indipendentista e venezianista.
Per quanto mi riguarda se i veneti lo volessero veramente potrebbero diventare indipendenti senza la necessità di sostenere le loro ragioni con dogmi siffatti.


Annessione del Veneto all'Italia - il plebiscito truffa o farsa o illusione?
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... =139&t=518

Io sarei strafelice se qualcuno riuscisse a dimostrare senza ombra di dubbio che il Plebiscito del 1866 per l'annessione allo Stato italiano delle terre venete della ex Serenissima fu veramente una truffa.

Sono anche del parere che la truffa, l'inganno, l'imbroglio caso mai furono nell'illusione del mito risorgimentale, costruito con l'apporto di molti intellettuali della penisola italica e sfruttato dai politici, dai ceti dominanti e da taluni stati preunitari ....?????



Ettore Beggiato ha edito il suo libro per la prima volta nel 1999 e l'idea dell'opera probabilmente gli è venuta di riflesso alla propaganda meridionalista contro l'Unità d'Italia che aveva fatto dei Plebisciti tenutisi in meridione un punto di forza per dimostrare l'imposizione violenta dell'annessione fatta contro la volontà popolare della maggioranza dei meridionali.
Beggiato ha fatto propri gli argomenti dei meridionalisti contro l'annessione e i plebisciti senza minimamente preoccuparsi di verificare le differenze tra le due situazioni.
Infatti la realtà però è ben diversa se il meridione in parte non voleva l'unità statuale con il Regno d'Italia, nel settentrione italiano le cose sono andate assai diversamente:
il mito risorgimentale è nato nel settentrione e vi hanno aderito tutti i ceti dirigenti e intellettuali delle sue varie realtà statuali preunitarie;
anche l'iniziativa dei mille è partita dal settentrione e i mille provenivano da tutte le regioni del nord.
La situazione del sud non era equiparabile a quella del nord, non lo era ieri e non lo è oggi.
Se il sud non gradiva l'unità statuale italiana il nord invece l'auspicava, come l'auspicavano i veneti che non potevano minimamente richiamarsi alla defunta Serenissima che si era chiamata fuori dalla storia rinunciando a se stessa, al suo rinnovamento nella modernità europea democratica promuovendo uno stato veneto a sovranità di tutti i veneti e poi combattendo contro l'invasione di Napoleone.
Gli unici al nord che non l'hanno gradita sono stati i genovesi che si sono rivoltati contro il Piemonte, i Savoia e il loro regno:
https://it.wikipedia.org/wiki/Moti_di_Genova



Tesi di Laurea anno 2011/2012
Università di Padova
Matteo Morandini

http://tesi.cab.unipd.it/42289/1/Tesi_M ... andini.pdf
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La truffa venetista: "Il Pebiscito del 1866 fu una truffa"

Messaggioda Berto » dom nov 17, 2019 10:40 am

Partiamo dalla definizione di truffa:

Nel diritto italiano, la truffa è l'ottenimento di un vantaggio a scapito di un altro soggetto indotto in errore attraverso artifici e raggiri.
Nel diritto anglosassone si parla di "false rappresentazioni", così come, diversamente dall'Italia, in altri diritti oggettivi (austriaco e tedesco, ad esempio) l'errore può essere già presente nella mente della vittima.
https://it.wikipedia.org/wiki/Truffa

Truffa
http://www.treccani.it/vocabolario/truffa
truffa s. f. [dal fr. ant. trufe, provenz. trufa, propr. «tartufo», e per traslato non bene spiegato «burla, inganno»]. – 1. In diritto penale, reato commesso da chi, inducendo taluno in errore con artifizî o raggiri, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno: fare, commettere una t.; scoprire gli autori di una t.; essere condannato (alla reclusione, a una multa) per truffa; restare vittima di una t.; t. all’americana, in cui il truffatore trae in errore colui che vuole truffare inducendolo a credere nella possibilità di derubarlo o di truffarlo a sua volta. Legge truffa fu definita, nella polemica politica e giornalistica, la legge elettorale che nel 1953 stabiliva il «sistema maggioritario» nelle elezioni alla Camera dei deputati. Nell’uso com. anche con sign. più generico, inganno, frode, imbroglio, richiesta di prezzo troppo alto, ecc.: so ch’egli è di sì nobil famiglia, Che mai non fece tradimento o truffa (Pulci); ma questa è una t., una vera truffa! 2. ant. Bagattella, chiacchiera.

Discussione

Mazarol Veneto
Se par ti al problema se riduse in pratica in tel'uso del termine,te lo digo in veneto,l'e stà na gran ciavada perpetrada contro un popoło e un stato! T'è poco da girarghe in torno!

Alberto Pento
Quale popolo e quale stato?


Mazarol Veneto
Alberto Pento te lo sà benissimo!


Alberto Pento
All'epoca del Plebiscito del 1866 non esisteva alcun stato veneto, esistevano solo i sudditi austriaci delle terre venete, lombarde, friulane e mantovane (ceduti allo stato italiano attraverso la mediazione francese) che dovevano confermare o meno l'annessione allo Stato italiano, come a gran maggioranza fecero, in linea con la volontà espressa 18 anni prima durante la ribellione contro l'Austria (1848).


Mazarol Veneto
Alberto Pento ma và in mona,400 ani de storia prima par ti no i conta gnent 50 invese i e determinanti par far un popolo e na nasion?! Strorego de le me scasee!!


Gino Quarelo
Nessuno a quel tempo si auspicava il ritorno della Serenissima e del dominio veneziano che non esistevano più da 69 anni. I vari trattatti e accordi tra l'Austria, la Francia e il Piemonte sul plebiscito non fanno alcun riferimento al morto Stato Veneziano, e nei territori soggetti alla cessione allo Stato italiano non vi è stata alcuna manifestazione pubblica popolare per il ritorno/ripristono della Serenissima come non vi è mai stato successivamente all'annessione.



Giancarlo Franco Lora
Giancarlo Franco Lora Alberto Pento, scuza, però el referendum nó se gà svolto regołarmente, ai Segi nó ghe gera łe Guardie super partes, ghe gera i carabinieri che i gera na forsa in cauza, o sbałio? Łe Tere Venete łe gera za ocupà, come i posti de comando. Ok, contestuałizando el tuto ghe stà, parché al'epoca i gera pì itałiani che Austriaghi, però par Mi el referendum nó łè stà regołare.


Alberto Pento

Giancarlo Franco Lora ha scritto:
Giancarlo Franco Lora Alberto Pento, scuza, però el referendum nó se gà svolto regołarmente, ai Segi nó ghe gera łe Guardie super partes, ghe gera i carabinieri che i gera na forsa in cauza, o sbałio? Łe Tere Venete łe gera za ocupà, come i posti de comando. Ok, contestuałizando el tuto ghe stà, parché al'epoca i gera pì itałiani che Austriaghi, però par Mi el referendum nó łè stà regołare.

???
Il referendum non si è svolto regolarmente:
1) ai seggi non vi erano guardie super partes, c'erano i carabinieri che erano una forza in causa o sbaglio?
2) Le terre venete erano già occupate, come i posti di comando?
3) Contestualizzando il tutto ci stà, perché all'epoca c'erano più italiani che austriaci, per me il refrendum non è stato regolare?

Alberto Pento osserva:
Giancarlo Franco Lora Alberto Pento, scuza, però el referendum nó se gà svolto regołarmente, ai Segi nó ghe gera łe Guardie super partes, ghe gera i carabinieri che i gera na forsa in cauza, o sbałio? Łe Tere Venete łe gera za ocupà, come i posti de comando. Ok, contestuałizando el tuto ghe stà, parché al'epoca i gera pì itałiani che Austriaghi, però par Mi el referendum nó łè stà regołare.

???
Il referendum non si è svolto regolarmente:
1) ai seggi non vi erano guardie super partes, c'erano i carabinieri che erano una forza in causa o sbaglio?
2) Le terre venete erano già occupate, come i posti di comando?
3) Contestualizzando il tutto ci stà, perché all'epoca c'erano più italiani che austriaci, per me il refrendum non è stato regolare?

Alberto Pento osserva:

Il quesito era Sì o No all'annessione allo stato italiano e non la scelta tra l'annessione allo stato italiano e il ritorno della Serenissima (morta da 69 anni) o di un'altro e nuovo possibile stato ma mai però ipotizzato da nessuno.
Anche oggi come ieri i seggi sono presidiati da carabinieri o da altri militari a garanzia dell'ordine pubblico e della regolarità del voto, non vedo dove sia il problema.

Le terre venete erano dominio austriaco e stavano passando al dominio dello Stato italiano quindi è ovvio che fossero occupate dalle autorità e dalle forze dell'ordine e militari del nuovo stato e che queste fossero in numero maggiore degli austriaci che se ne stavano andando.

I veneti sono andati a votare in massa e hanno votato Sì al 99%, erano liberi di votare No oppure di starsene a casa e di non andare a votare, nessuno li ha costretti ad andare a votare e a votare Sì.
Il voto era segreto e solo per coloro che non erano capaci di leggere e di scrivere vi erano le schede di diverso colore.

Il Sì era coerente con la volontà dei veneti già manifestatasi nel 1848, a favore dell'annessione al Regno dei Savoia dopo la rivolta contro l'Austria, nessuno né prima, né durante, né dopo ha mai manifestato per il ritorno della Serenissima.

I veneti presi dal mito/illusione risorgimentale speravano di stare meglio con lo stato italiano e coerentemente hanno votato Sì per l'annessione; se poi sono stati male o peggio questo è un'altra questione che non inficia la validità del Plebiscito ma che dimostra soltanto come il mito risorgimentale fu un'illusione e un inganno, unitamente al fatto che la Serenissima non promosse un popolo veneto unito, una nazione unitaria dei veneti e uno stato a sovranità di tutti i veneti e che per viltà non difese i suoi domini e i suoi sudditi abbandonandoli al loro destino e alla conquista di Napoleone.

Giancarlo Franco Lora
Non sono d'accordo : in un referendum dove si deve decidere se stare da una parte o dall'altra, nei seggi devono esserci i rappresentanti delle due parti ; il voto non fu segreto ma palesemente pubblico, la presenza delle due urne è emblematica ; per il resto posso anche essere d'accordo, a Me basterebbe invalidare quello scempio e rifarne uno adesso, visto quello sull'autonomia

Alberto Pento
Non esistevano parti contrapposte (quali sarebbero state mai le parti contrapposte e in conflitto, l'Austria e l'Italia? I veneti erano già da decenni palesemente e manifestamente per l'ialia e contro l'Austria), poi non esistevano due urne ma un'urna sola (quella delle due urne è una menzogna inventata dai venetisti ignoranti e bugiardi, sono esistite caso mai due schede con due diversi colori una per il Sì e una per il No usate solo per chi non sapeva leggere e scrivere poiché il voto era a suffragio universale escluse le donne).

Giancarlo Franco
Lora Ah, non c'era conflitto? Cioè i Piemontesi si sparavano addosso da soli? Se poi le due urne sono una menzogna allora ho capito da che parte sta ; grazie comunque delle risposte.

Alberto Pento
Il conflitto c'era stato con gli austriaci e non con i veneti, e a votare al plebiscito andavano i veneti e non gli austriaci.
Non esiste nessun documento o testimonianza che sostenga l'assurdità delle due urne, nemmeno Beggiato arriva a sostenere questa demenzialità nel suo Libro (a pagina 63 del suo libro parla di una sola urna e non di due urne una per i Sì e una per i No).
Io sto dalla parte della verità e dei veneti tutti e non dalla parte dei veneti bugiardi siano essi italianisti o venezianisti.

Aggiunta del 20 agosto 2019
A dire il vero Beggiato cita due autori contemporanei di cui riporto i testi dal libro di Beggiato (ma mancano le fonti dei due autori):

"Malo 1866" di Silvio Eupani
Silvio Eupani

Sulla libertà del voto e sulla segretezza dello stesso ci illumina la lettura di "Malo 1866" di Silvio Eupani:
"Le autorità comunali avevano preparato e distribuito dei viglietti col SI e col NO di colore diverso; inoltre, ogni elettore, presentandosi ai componenti del seggio, pronunciava il proprio nome e consegnava il viglietto al presidente che lo depositava nell'urna".

"il viglietto del SI"

L'urna del SI era a destra, quella del NO a sinistra.

L'arciprete e il cavaliere
di Federico Bozzini

L'urna del SI era a destra, quella del NO a sinistra.

Federico Bozzini così descrive in L'arciprete e il cavaliere quanto avvenne a Cerea:
"Come già si disse, vi dovevano essere due urne separate, una sopra un tavolo, l'altra sopra l'altro. Se per caso non avesse urne apposite, potrà adoperare un quartarolo del grano (una specie di secchio per la misura del grano. Ndr.) Sopra una sarà scritto ben chiaro il SI e sopra l'altra il NO".

E PER LO SPOGLIO?
"I protocolli (registri dove si scrivono i nomi dei votanti) sono due, uno per i votanti che presentano il viglietto del SI , l'altro per il viglietto del NO, in modo che il numero complessivo dei viglietti, finita l'operazione del voto, rende inutile lo spoglio di ciascheduna urna. Nel protocollo dei viglietti del NO si dirà: votarono negativamente i seguenti cittadini. Alla fine la Commissione concluderà gridando "Viva l'Italia unita sotto lo scettro della Casa di Savoia".

Alberto Pento
Verificherò le fonti dei due autori, non dovrebbe essere difficile, se non si tratta di invenzioni.
Avrebbe dovuto farlo anche Beggiato citando tutte le fonti, che nel suo libro "1866: la grande truffa" a pagina 19 laddove tratta del libro di Federico Bozzini di Cerea cita soltanto una fonte primaria usata da Bozzini ossia la Gazzetta di Verona del 17 ottobre del 1866 limitatamente però a queste frasi: "Sì vuol dire essere italiano ed adempiere al voto dell'Italia. No vuol dire restare veneto e contraddire al voto dell'Italia".
Perché non ha citato anche le altre fonti sulle due urne, forse perché non ci sono?






Alberto Pento
Raixe Venete vergognosamente e stupidamente ha contribuito a diffondere la falsità delle due urne:

Alberto Pento
Quelli che hanno inventato e diffuso informazioni false (qualcuno forse in buona fede) devono solo scusarsi con i veneti e fare ammenda a favore della verità.

Mazarol Veneto
Gino Quarelo che caso ditu! Mi lo sò ben,ghe gero! Te seti a dir monae,se nisun gà scrito no vol dir che no sia stà! Ma ti te lesi solche paperino e topoino!


Alberto Pento
Mazarol Veneto Ti a te si lomè ke on buxiero.

Mazarol Veneto
Gino Quarelo secondo tì parchè i gà desfà i confini i gà anca demoio e estinto un popolo? Prava andar in tei Stati Uniti a veder se dopo quasi treswnto ani i gà distruto completamente i Siux o altri,magari i li gà confinà a fenomeni da baracon ma no i li gà ancora estinto comletamente,ti invese te disi che in 60 in europa i gà scanceà i Veneti! L'unico posto dove i lo gà scanceà xe dentro ala to testa!WSM!!!


Giancarlo Franco
Lora Alberto Pento, łu połéo documentarme łe "só" verità?

Alberto Pento
Mazarol, i veri masariol i fa skersi ma i porta el vero, ti a te si on falbo masariol.

Mazarol Veneto
Alberto Pento frà mi e tì no sò chi xe pì busiero! Mì cuando conto bale lo sò che le conto e xe evidente che le xe bae,tì invese te le disi come se fuse oro cołà,no sò se sia par ignoransa congenita o par incasinar le robe,de fato no te iuti al popoło che gà bisogno de spiegasion semplici e veoci no de lucubrasion tolte sù de quà e de là sensa na logica!


Alberto Pento
Giancarlo Franco Lora, se io l'accuso di essere un assassino lei è in grado di dimostrarmi di non esserlo ? Non credo. Vede generalmente è chi accusa che deve dimostrare la sua tesi.

Mazarol Veneto Alberto Pento infati mi son al Mazarol no al masariol!

Giancarlo Franco
Lora Alberto Pento nò và beh ałora stémo stémo zugando a chi fa manco

Alberto Pento
Giancarlo Franco Lora le accuse indimostrabili si chiamano calunnie ovunque nel mondo e sono perseguibili penalmente.

Alberto Pento
Mazarol Veneto il popolo sei anche tu e lo sono anch'io; tu non sei altro dal popolo e superiore al popolo. Il popolo va rispettato con la verità e non racontandogli menzogne. Chi racconta balle al prossimo, al popolo è solo un bugiardo e un criminale quando ne consegue un grande male.

Mazarol Veneto
Alberto Pento e nò caro al Mazarol,se ancora no te lo g'avevi capio,xe la coscensa dei Veneti,cuindi ne sora ne dentro,ma de fianco!
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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La truffa venetista: "Il Pebiscito del 1866 fu una truffa"

Messaggioda Berto » dom nov 17, 2019 10:41 am

??? Altra discussione

Nicola Severini
Alberto pento ma che male c e se un popolo lotta per la propria indipendenza?


Nicola Severini
Gino Quarelo menzogne , quante ce né sono. Da tutte le parti e mi sembra in tutte le religioni. E dal passato non si impara nulla.


Alberto Pento
Nicola Severini, nessun male, il male c'è quando si ricorre alla menzogna e si inganna la propria gente.
La forza della verità è infinita, quella della menzogna invece è nulla.
Il vero diritto si fonda sulla verità e non sulla menzogna. Ed è per questo che il venetismo non fa strada, non convince e non conquista la volontà della maggioranza dei veneti, proprio perché è intrinsecamente debole e incoerente sia con la storia passata sia con la realtà presente, e solo la verità lo può rendere forte e coerente.
È la verità che da forza e sempre comporta inevitabilmente l'assunzione delle proprie responsabilità storiche ed esclude ogni possibile scappatoia vittimistica.
Menzogna, deresponsabilità e vittimismo sempre si accompagnano e sempre sono fallimentari.

Nicola Severini
Mah il discorso e vago. Io da Veneto aspetto il momento in cui l Italia implodera su se stessa. Ed avendo , questo lo concederai, una comunque storia millenaria di origine con la serenissima, né auspico il ritorno. E questo dovrebbe valere per tutti i popoli.

Alberto Pento
Mi dispiace ma non c'è alcuna storia millenaria di origine con la Serenissima. La Serenissima non era lo Stato dei Veneti ma lo Stato di Venezia della quale la maggior parte dei veneti non veneziani sono stati sudditi per 400 anni e che Venezia non ha mai considerato fraternamente e degnamente da farli diventare tutti sovrani della sua Repubblica.
Io non auspico alcun ritorno della Serenissima come non lo auspica la maggioranza dei veneti, anche perché non era per niente un paradiso e non era lo stato del Popolo Veneto.

Repubblica Veneta Serenissima, specificità e durata, realtà e mito; la mia Patria, no!
viewtopic.php?f=183&t=2879
https://www.facebook.com/groups/2376236 ... 8312942245
La mia Patria è il Veneto e non la Serenissima.


Mari Busetti
Ti posso dire che le schede erano di due colori, chi non votava per l'annessione veniva ucciso. A Verona molti morti perché non volevano votare per l'Italia, questi sono racconti ma sono anche scritti sui libri di storia, quindi una bugia non è.


Alberto Pento
Posta i documenti non le chiacchere che il più delle volte veicolano menzogne. I due colori erano solo per agevolare gli analfabeti e non i letterati che avevano la scheda anonima. Nessuno è mai stato ucciso come racconti tu.


Mazarol Veneto
Nicola,dalla storia si impara tantissimo invece,solo che lo si fà leggendo la storia,non i libri di testo,quelli li scrivono i vincitori non è mai la realtà,ma solo un sacco di menzogne e ben veicolate,come quelle che ci propina Alberto Pento,anche se ho l'impressione che lo faccia per far discutere la questione!



Potrei fare a meno di intervenire ma lo faccio per indurre a ulteriore riflessione sulla necessità di soppesare per bene quanto si scrive.

Paolo Marcon ha scritto:
L'indipendentista lotta contro le forme artificiali della statualità moderna, l'autonomista mira ad efficientarle.
L'indipendentista è portavoce di un'etica della libertà universale, l'autonomista intende tenere sul proprio territorio la maggior parte dei soldi di quel territorio come principale se non unica istanza.
A me che i soldi dei veneti siano espropriati dalla classe politica locale, anziché da quella romana, per fare "3 pedemontane", interessa ben poco anzi preoccupa pure, dato che la classe dirigente italianista del Veneto ha dato ampia prova nel tempo del proprio cinismo politico.
Aggiungiamoci pure che l'autonomia è pura utopia in un sistema chiuso, fallito e schiacciato dai debiti come quello italiano.
In Veneto al momento non c'è alcun strutturato partito indipendentista.


Alberto Pento
Paolo Marcon ha scritto:

L'indipendentista lotta contro le forme artificiali della statualità moderna, l'autonomista mira ad efficientarle.
L'indipendentista è portavoce di un'etica della libertà universale, l'autonomista intende tenere sul proprio territorio la maggior parte dei soldi di quel territorio come principale se non unica istanza.
...

Alberto Pento scrive:
Difficile capire il senso di queste affermazioni.


Paolo Marcon risponde:
Non mi sembra tanto difficile: l'indipendentista lotta contro le logiche coercitive dello Stato moderno (es. le logiche giacobine della Costituzione italiana che proclama l'indivisibilità della repubblica italiana), l'autonomista accetta queste logiche ed anzi le rende in qualche modo più efficienti/penetranti mirando ad "organizzare meglio" il carcere politico dello Stato
Quanto alla seconda parte, l'autonomista è spesso concentrato su aspetti materialistici (tenere i soldi del territorio sul territorio) tralasciando quelli spirituali e connessi alla storia l'identità di un popolo e senza mettere in discussione il dis-funzionamento del sistema politico/partitico. L'indipendentista non rinuncerebbe alla lotta neanche se 2/3 delle tasse rimanessero sul territorio, cosa tra l'altro che pur essendo impossibile ci è stata promessa per cinismo dai politici "Veneti"


Alberto Pento scrive:

Espressioni generiche come "forme artificiali della statualità moderna" non dicono proprio nulla (cosa vuol dire forme artificiali?) e non vi è alcuna relazione con:
"l'indipendentista lotta contro le logiche coercitive dello Stato moderno (es. le logiche giacobine della Costituzione italiana che proclama l'indivisibilità della repubblica italiana), l'autonomista accetta queste logiche ed anzi le rende in qualche modo più efficienti/penetranti mirando ad "organizzare meglio" il carcere politico dello Stato".
La Svizzera è un paese con una "statualità moderna" ed è al contempo indipendente e federale.
Poi le logiche coercitive esistevano anche nel passato e non solo nei totalitarismi della modernità, le troviamo anche negli stati premoderni, anche presso la Serenissima aristocratica e antidemocratica quando prima di essere cancellata dalla storia ha represso le istanze democratiche dei sudditi veneti.

Poi non si capisce cosa sia mai la spiritualità che probabilmente viene confusa con la religiosità e nemmeno cosa sia e chi sia questo fantomatico popolo veneto con un'identità che mi pare di capire sia quella della Serenissima che la storia ha provveduto a cancellare proprio perché identità debole e non aggregante.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: La truffa venetista: "Il Pebiscito del 1866 fu una truff

Messaggioda Berto » dom nov 17, 2019 10:43 am

??? Altra discussione

Vanni Bonzi
Alberto Pento non possono esistere documenti che dimostrano che il plebiscito fu' una truffa,
Come si fa' ad organizzare qualcosa di truffaldino e preparare documenti che lo dimostrano?, ci sono tanti casi di forte dubbio al mondo, ( 11 settembre, Kennedy, Moro, lo sbarco sulla luna) ma non esistono documenti che lo dimostrano, per i motivi che ho scritto prima.
Nessuno ti può smentire, ma neanche tu puoi smentire gli altri.
Mi penso che ghe xe tanto lavoro da fare par sveiare le menti Venete, cagnarse drio non serve a gnente.

Alberto Pento
Non credo che lo sbarco sulla luna e l'attentato terroristico dell'11 settembre (nemmeno i casi Kennedy e Moro) siano avvenimenti rientrabili nell'ambito delle truffe storiche, certo per i complottisti tutto è possibile, ma io appartengo al mondo del buon senso, dell'ordine logico e delle certezze comuni a cui appartiene anche questa brava insegnante:
https://www.youtube.com/watch?v=5_-XgoJcK9E

Per quanto riguarda i documenti sul Plebiscito del 1866 essi esistono e testimoniano chiaramente che il Plebiscito non fu una truffa, poi se uno ci ragiona un po' capisce che non vi era alcun sensato motivo per imbastire una truffa, i veneti volevano far parte dello Stato italiano come nel 1848 perché speravano di stare meglio che sotto l'Austria, tutto qua, non ci vuole molto per inquadrare la realtà storica.
Per quanto riguarda l'azione di risvegliare credo che questa debba rivolgersi più ai venetisti-venezianisti che agli altri veneti.

Vanni Bonzi
Sei proprio un estremista, te ne sei accorto?

Alberto Pento
Beh,
se ritenere che il Plebiscito del 1866 non fu una truffa

e che 2+2 sia = a 4 e non a 22

e che gli avvenimenti dello sbarco sulla luna e dell'11 settembre sono realmente avvenuti così come sono raccontati e non sono una falsificazione degli americani

allora hai ragione sono un estremista (del buon senso, della logica e dell'ordine).


Vanni Bonzi
e del prossimo governo che sistemera' tutto.


Alberto Pento
Le vostre rievocazioni storiche invece cosa risolvono?
Sono solo idolatria venezianista che non possono certo appagare gli uomini di buona volontà veneti liberi da tali infantili invasamenti della mente e dell'anima.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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