Coała xeła l'etega de l'endependenteixmo veneto?

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Messaggioda Berto » sab ott 03, 2015 1:46 pm

Coała xeła l'etega de l'endependenteixmo veneto?
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Qual è l’Etica dell’Indipendentismo Veneto
di Enzo Trentin
03/10/2015

http://vivereveneto.com/2015/10/03/qual ... smo-veneto
Un assetto di tipo federale – di cui tanto si sente parlare dagli indipendentisti veneti – presuppone anche una distribuzione delle competenze tra due livelli. L’osservazione del funzionamento dei governi federali evidenzia la tendenza ad attribuire alcune materie (esempio gli affari esteri, la difesa, la dogana, la moneta) al livello federale, altre (esempio l’istruzione e gli affari culturali, la polizia, la magistratura e il governo locale) alle unità federate. Solitamente, inoltre, le Costituzioni dei sistemi federali elencano le competenze attribuite al governo federale e lasciano agli Stati membri, quali “poteri residui”, le competenze non attribuite.

Pierre-Joseph Proudhon è considerato il padre del federalismo integrale. Verso la fine della sua vita modificò in parte le sue originarie convinzioni nel libro «Del principio federativo». In esso definisce il federalismo come teoria dello Stato basato sul contratto politico (o di federazione). Afferma che lo Stato, per essere coerente con il suo principio, deve equilibrare nella legge l’autorità con la libertà, e che questo si ottiene ponendo a perno del loro equilibrio il contratto politico o di federazione fra le persone responsabili. Potrebbe essere questa la “religione civile dell’umanità” per i prossimi secoli.

Un “contratto” dove i cittadini sono sovrani e stabiliscono loro la quantità e le funzioni delle istituzioni che decidono di darsi. La partitocrazia, al contrario, ha sempre cercato di far passare l’idea che il federalismo sia un “foedus” tra istituzioni. In più in Italia, poiché nessun partito è egemone nelle istituzioni, non si è mai arrivati ad un serio e coerente impianto federale, blaterando di federalismo solidale, demaniale etc.

Pierre-Joseph_ProudhonProudhon rimase sorpreso dalla Rivoluzione del 1848. Partecipò alla rivolta di febbraio e alla stesura di quello che definiva “la prima proclamazione repubblicana” della nuova repubblica. Tuttavia ebbe una cattiva impressione del nuovo governo provvisorio, capeggiato da Dupont de l’Eure, un politico di vecchio stampo, oltre che da liberali quali Lamartine, Ledru-Rollin, Crémieux, Burdeau e altri, che anteponevano la riforma politica a quella socio-economica che Proudhon considerava basilare.

Vale la pena, per chiarezza, ripetere la concezione della società formulata da Proudhon ad appena trenta anni d’età in «Célébration du Dinamiche»: “Trovare uno stato d’eguaglianza sociale che non sia né comunismo, né dispotismo, né frazionamento, né anarchia, ma libertà nell’ordine e indipendenza nell’unità“. Dice ancora molti anni più tardi in «Del principio federativo»: “Come variante del regime liberale, ho indicato l’anarchia o governo di ognuno da parte di se stesso, in inglese self-government. L’espressione di governo anarchico implica una sorta di contraddizione, la cosa sembra impossibile e l’idea assurda. Non c’è qui che da rivedere il termine; la nozione di anarchia, in politica è razionale e positiva come nessun’altra. Essa consiste nel fatto che, una volta ricondotte le funzioni politiche alle funzioni della produzione, l’ordine sociale risulterebbe solo dal fatto delle transazioni e degli scambi. Ognuno allora potrebbe dirsi autocrate di se stesso. Il che è l’estremo opposto dell’assolutismo monarchico. (…) Malgrado il richiamo potente della libertà, né la democrazia né l’anarchia nella pienezza e integrità della loro idea, si sono realizzate in nessun luogo“.

I sinceri indipendentisti, dunque, potrebbero partire da qui per elaborare una loro ipotesi atta alla fondazione di un nuovo Stato.
Senza un progetto istituzionale innovativo non si aumenta la libertà di un popolo. Diceva Hannah Arendt che il consenso a un potere permane, malgrado la sua eventuale ingiustizia, corruzione o ferocia, è dato fintanto che le sue funzioni e i suoi obiettivi sociali siano ancora visibili, poi decade, in forma lenta o catastrofica, preparando un ricambio.


CAMBIARE LE ISTITUZIONI DALL’INTERNO (?)

Che l’Italia sia uno Stato unitario e decadente è sotto gli occhi di tutti. Ce lo conferma un articolo (L’etica della politica e la responsabilità dell’esercizio del potere) di Stefano Levi Della Torre, esponente di quella sinistra oggi egemone nel governo, laddove in tra l’altro scrive:

Ogni parlamentare guadagna in Italia quanto o più di dieci lavoratori. Il fatto è grave non tanto per il dispendio sproporzionato di risorse pubbliche, quanto e soprattutto perché una tale condizione di privilegio finisce per ottundere negli eletti la capacità di comprendere le condizioni di vita della maggioranza degli elettori.
Il privilegio si riconosce molto più facilmente nel privilegio che non nella deprivazione, perciò il privilegio parlamentare inquina la funzione di rappresentanza dei rappresentanti.
Se l’alta retribuzione parlamentare risulta indipendente dalla qualità delle prestazioni, si attiverà una selezione al peggio del personale politico, in cui prevarrà chi aspira a un proprio vantaggio privato su chi ambisce a svolgere una funzione pubblica e ideale.
Che poi il potere legislativo possa deliberare circa i propri emolumenti ci dice che chi entra in Parlamento si trova automaticamente in “conflitto di interessi”.
Come combatterà il privilegio chi si trova in condizioni di privilegio?
Come combatterà il conflitto di interessi chi si trova istituzionalmente in conflitto di interessi?

Insomma le cose le conoscono, ma di vere riforme non se ne vedono.
Per questo, a nostro parere, non serve ed è anzi deleterio partecipare alle elezioni di questo Stato. Innumerevoli sono coloro che hanno percorso la strada “istituzionale” con il proposito di cambiare le istituzioni “dal di dentro”; tanto che è inutile, ovvio, scontato e superfluo citare qualche nome.

Jacopo Berti è consigliere alla Regione Veneto in quota al Movimento 5 Stelle. A suo tempo è stato eletto anche con l’appoggio elettorale pubblicamente dichiarato da Plebiscito.eu. Una bizzarria materializzata da pseudo-indipendentisti veneti.

Berti in merito ad un referendum ha recentemente dichiarato alla stampa: «Il referendum per l’autonomia differenziata è sempre stato uno dei punti cardine del nostro programma. L’autonomia come diritto imprescindibile per tutte le Regioni d’Italia è uno dei cardini della visione politica del M5s. Personalmente mi sto attivando per proporre una legge, sulla falsariga di quanto fatto dai miei colleghi in Lombardia, che indica un referendum in Veneto. Se Zaia intende temporeggiare io non so che farci, perché l’obiettivo ce l’ho chiaro in mente e vogliamo perseguirlo il prima possibile.»

A parte il fatto che parla di autonomia dopo aver accettato e contrattato i voti degli indipendentisti, se si va a guardare lo Statuto del Comune di Parma, redatto da una maggioranza politica con a capo un esponente del M5s si scopre che non c’è nulla di nuovo, bensì la semplice riconferma del sistema democratico rappresentativo.

Si è sapientemente teorizzato sull’autonomia del politico, ma se tale autonomia è autoreferenzialità, autonomia dagli interessi pubblici e collettivi, allora l’autonomia del politico non è altro che l’antipolitica, l’accaparramento privatistico della funzione pubblica. Nell’azione politica, l’etica è in primo luogo quella della responsabilità, in quanto riguarda la qualità dei fini che si perseguono, e in secondo luogo è quella dei principi, che tempera il cinismo dei mezzi necessari per realizzare i fini. Il metodo democratico implica l’attivazione dei cittadini, ma l’attivazione dei cittadini è il fine stesso della democrazia. La democrazia implica l’uguaglianza dei cittadini (nel voto, di fronte alla legge, e nei diritti), ma l’uguaglianza dei cittadini è il fine sociale della democrazia.

Ora, qual è il progetto istituzionale indipendentista Veneto che codifica espressamente gli strumenti attraverso i quali i cittadini sovrani possono intervenire legislativamente per approvare o disapprovare ciò che fanno i rappresentanti, o quando in mancanza dell’azione dei rappresentanti i cittadini possono, devono o vogliono sostituirli? Ad oggi, in proposito, non abbiamo visto nulla.


INDIPENDENTISTI VENETI – RESPONSABILITA’ E PRINCIPI

Scriveva Alexis de Tocqueville in «La democrazia in America»: “Penso che gli arrivisti delle democrazie siano quelli che si preoccupano meno di tutti gli altri del futuro: soltanto il momento attuale li preoccupa e li assorbe. Essi (…) amano il successo più che la gloria. Ciò che desiderano soprattutto è l’obbedienza. Ciò che vogliono soprattutto è dominare”. E continua: “Confesso che mi fa molto meno paura, per le società democratiche, l’audacia che non la meschinità dei desideri; ciò che mi sembra da paventare di più è che (…) l’ambizione possa perdere il suo slancio e la sua grandezza; che le passioni umane si plachino e insieme si abbassino, talché l’andamento di tutto il corpo sociale si faccia ogni giorno più tranquillo e meno alto.”

Così si giunge all’Etica che è responsabilità, vale a dire un rispondere, un render conto delle proprie azioni e comportamenti. Ma render conto a chi? A se stessi o al prossimo? Ai principi che si proclamano? Alla collettività, al mondo, al proprio Dio? Ciascuna delle risposte configura un’etica diversa. Ed in proposito non possiamo che riferirci alla famosa conferenza del 1919, in cui Max Weber distingueva due polarità dell’etica, quella dei principi e quella delle responsabilità. Da un lato la fedeltà inderogabile ai propri valori, indifferente alle conseguenze per sé e per gli altri; dall’altro l’accento sugli obiettivi che ci si propone, magari con una certa indifferenza per la qualità morale dei mezzi per conseguirli.

In un nuovo Stato indipendente ci deve essere anche l’impegno permanente a una competizione globale. Per sopravvivere in una tale concorrenza è necessario che tutti gli strumenti del potere nazionale siano costantemente accessibili all’esercizio della sovranità popolare per evitare gli eventuali avventurismi (vedi la “guerra” al libico Muʿammar Gheddafi) di una classe politica impresentabile come quella attuale. In una siffatta competizione si deve poter focalizzare l’ottica delle guerre che possiamo evitare di combattere (si vedano le missioni di peacekeeping); assicurando la stabilità, la prosperità e la libertà di una società aperta.

Ora, nel caso degli indipendentisti veneti – coloro che ci stanno più a cuore; coloro che sono considerati tra i più “evoluti” – che etica perseguono? Come sarà strutturato, se mai ci sarà, il loro federalismo? Non vorremmo, infatti, dar ragione a François de La Rochefoucauld che in uno dei suoi aforismi più folgoranti, definiva l’ipocrisia «l’omaggio che il vizio reca alla virtù»: l’ipocrita cioè si riconosce ufficialmente nello stesso sistema di valori dei virtuosi, anche se poi lo contraddice in pratica. Ed a conferma di ciò valga l’azione del Consigliere sedicente indipendentista Antonio Guadagnini e dei suoi sodali Consiglieri regionali veneti, che Benedetta Baiocchi senza nessun commento stigmatizza con il solo titolo d’un articolo: «Se il Veneto dice sì all’indipendenza catalana, cosa aspetta a indire il referendum?»

Ciò che i politicanti ignorano o non desiderano prendere in considerazione a proposito di federalismo e democrazia diretta, è che anche durante il Medioevo, troppo spesso denigrato e usato come sinonimo di arretratezza culturale e politica, esistevano forme di democrazia diretta che si concretizzavano all’interno del Comune medioevale. Nel periodo rinascimentale invece si realizza il passaggio alla forma di democrazia denominata “rappresentativa”, la quale troppo spesso nascondeva forme di governo autoritarie e repressive.

La democrazia diretta viene a questo punto dipinta dagli Stati moderni come utopistica, non efficiente, caotica etc.; ma basta percorrere qualche chilometro di strada per assistere in Svizzera alla democrazia sia in forma diretta che rappresentativa. La fusione delle due forme non è una caratteristica esclusiva della Svizzera ma rispetto agli altri paesi ciò è particolarmente accentuato. I cittadini, infatti, possono sia proporre leggi che respingere leggi già approvate dal parlamento. L’unico caso in cui il Parlamento può agire contro questo diritto è se la proposta legislativa è anticostituzionale o se viola il diritto internazionale.

Ma detto ciò, ancora una volta c’è da registrare la latitanza di molti pseudo-indipendentisti veneti che pretendono d’essere eletti nelle istituzioni italiane, e soprattutto non ci dicono come sarà governato il paese indipendente nel quale pretendono di portarci. E questo è tutt’altro che etico.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Coała xeła l'etega de l'endependenteixmo veneto?

Messaggioda Berto » mar nov 10, 2015 9:37 pm

Se non sono Gattopardi, gli indipendentisti veneti dicano cosa vogliono
10 Nov 2015
ENZO TRENTIN

http://www.lindipendenzanuova.com/se-no ... a-vogliono

L’Asl 2 savonese nell’aprile 2013 ha cominciato a distribuire agli anziani della provincia, insieme coi pannoloni, dei moduli che ogni incontinente doveva compilare annotando, casella per casella, la data e l’ora “dell’indossaggio” del pannolone, la marca e descrizione del prodotto, la taglia del morbido manufatto, il “peso del prodotto asciutto” (cioè “prima”), il “peso del prodotto bagnato” (cioè “dopo”) e la situazione in cui l’utente aveva espletato quella che i burocrati chiamerebbero l’”emissione fisiologica urinaria ed escremenziale”: a) Era seduto? b) Era allettato? c) Camminava? Figuratevi le scene in famiglia: “Ma nonno, dove hai la testa? Hai fatto di nuovo la pipì senza compilare il modulo!”.
“Si tratta di un sistema ideato per tagliare gli sprechi ed evitare di consegnare a tutti, anche a chi non ne ha realmente bisogno, la tipologia di pannolone più performante,” ha scritto Tommaso Dotta sul “Secolo XIX” (l’episodio è riportato anche in «BOLLI, SEMPRE BOLLI, FORTISSIMAMENTE BOLLI LA GUERRA INFINITA ALLA BUROCRAZIA» di Gian Antonio Stella, edito nel 2014 da Giangiacomo Feltrinelli Editore – Milano). Solo che, oltre ai dettagli già ricordati, occorreva “segnalare la circonferenza dei fianchi dell’assistito” e “lo stato della sua cute sacrale”. Risultato: “Molti hanno preso sottogamba la griglia, hanno pensato si trattasse solo di una scocciatura burocratica e l’hanno compilata distrattamente. Come conseguenza si sono ritrovati con una fornitura di pannoloni inadeguati, con un livello insufficiente di capacità assorbente o di taglia diversa rispetto a quella necessaria. Di qui, le code all’Asl di persone spazientite, armate di borse piene di pannoloni, che chiedono di poterli cambiare…”. Finché tra gli imbrattacarte savonesi si è fatto strada il buonsenso: meglio lasciar perdere.
L’Europa è l’ultima a ricordarci che l’Italia è preda di una burocrazia sprecona e inefficiente, lo ha fatto alla fine di aprile del 2014. Con un dossier che ha spinto il “Corriere della Sera” a dedicare al tema il titolone di prima pagina: La burocrazia frena l’Italia. «Rimanevano o arrivavano solo pigri, incapaci o imbecilli. Così, lentamente si radicò la mediocrità nell’amministrazione […]. Interamente composta di spiriti meschini, la Burocrazia ostacolava la prosperità del Paese […]. Ormai padrona del campo, controllava tutti e teneva al guinzaglio gli stessi ministri. E soffocava quegli uomini di talento tanto arditi da voler camminare senza di lei…» Sembrano scritte per noi, queste parole di Honoré de Balzac prese da «Gli impiegati» del 1837 e riferite alla burocrazia francese. Potremmo continuare, ma chi desidera sbellicarsi dalle risa (per non piangere) può leggersi il libro su indicato.
Ora li spiriti semplici potrebbero dire: «Vedete? Una ragione in più per l’indipendenza del Veneto!» O della Lombardia o della Sardegna o di un’altra area soggiacente all’Italia. Ma dove sono le proposte dei sedicenti indipendentisti per superare questa ed altre situazioni Kafkiane? Non ce n’è! Non sono mai pervenute ad alcun mezzo d’informazione. Eppure, a suo tempo, questo giornale pubblicò qualche documento da cui partire. Su cui riflettere, implementare e innovare.
E invece abbiamo assistito al proliferare di buone intenzioni, di numeri fantasmagorici non supportati da studi almeno credibili se non proprio inconfutabili. Molti sono stati e sono tuttora gli pseudo leader (in particolare quelli veneti) alla ricerca di farsi eleggere nelle istituzioni italiane con la scusa di volerle cambiare “dal di dentro”, ben sapendo che le varie esperienze di: Lega Nord, Italia dei Valori e ora M5s – solo per citare gli ultimi – non ci sono riuscite, né ci riescono. E con ciò stesso lasciando sorgere il sospetto che più che alle riforme, questi pseudo leader mirino ai privilegi e alle prebende dello Stato italiano.
Secondo Moisei Ostrogorski in «La democrazia ed i partiti politici», 1902, Cap XII, par. VIII: «La’ dove i cittadini si manifestano in generale incapaci di affermare la loro personalità, i governanti li dirigono a modo loro come fossero marionette o li considerano come strumenti a loro disposizione.» E qui è forte l’eredità del fascismo: un capo solo al comando e «Lo Stato è tutto e l’individuo è nulla.» come teorizzava il filosofo Giovanni Gentile. E della chiesa cattolica che come ogni religione predica anzitutto l’obbedienza.
Ed ancora l’originale tesi ostrogorskiana sostiene che il moderno partito politico è una macchina centralizzata al servizio del leader, e della quale il leader non avrebbe potuto fare a meno per raggiungere i suoi scopi. Una tesi che vede in Umberto Bossi e la Lega Nord la suanon ultima conferma. Ma soprattutto in che cosa la Lega Nord ha mancato, o meglio è stata funzionale alla sopravvivenza dell’irriformabile Stato italiano retto dalla partitocrazia?
È necessario qui riandare con la memoria alla Liga Veneta, progenitrice riconosciuta della Lega Nord. E a prescindere dai litigi tra Franco Rocchetta con i co-fondatori della Liga Veneta, in quell’ambito si riscoprì la bontà del sistema federale. Ma qui per non generare equivoci è bene ribadire la locuzione latina repetita iuvant (“le cose ripetute aiutano”), ovvero che tutti i politicanti (Rocchetta & Co. compresi) non hanno mai spiegato che il federalismo di basa due principi fondamentali:
1 – la sovranità che tramite il voto i cittadini conferiscono ai rappresentanti, è inferiore alla sovranità che riservano per se stessi sui fatti.
2 – Gli oneri che il “foedus” implica devono essere inferiori (o quanto meno uguali) ai benefici che se ne ricavano.
Si legga Pierre-Joseph Proudhon (considerato il padre del federalismo moderno) nel “Del principio federativo” (vedi:http://it.wikipedia.org/wiki/Del_principio_federativo).
In realtà i politicanti rappresentano una storia vecchia come il mondo: un’accozzaglia di individui avidi di potere, convinti di sapere meglio degli elettori cosa va bene per loro. È bastato poco ai politicanti cominciare a parlare di federalismo fiscale, territoriale, solidale, demaniale etc. per svilirlo; tanto che oggi non ne parla quasi più nessuno.
In fondo è la stessa operazione fatta con la democrazia. È stato sufficiente definirla rappresentativa, partecipativa, diretta etc. affinché la gente ne abbia perso il significato originale. Democrazia: termine di derivazione greca (demos, “popolo”, e Kràtos, “potere” o krazia “regola”) che indica un sistema politico basato sulla sovranità dei cittadini, ai quali è riconosciuto il diritto di scegliere la forma di governo e di eleggere direttamente o indirettamente i membri del supremo corpo legislativo dello Stato, così come i funzionari addetti all’amministrazione locale, nonché, in alcuni casi, anche il capo dello Stato.
Democrazia, in cui la maggior parte delle attività dei poteri esecutivo e legislativo è decisa direttamente dai cittadini con voto a maggioranza, mentre i rappresentanti che si occupano degli enti su cui non è possibile esercitare un controllo diretto sono revocabili in qualsiasi momento. Oggi non c’è leader politico o dell’aristocrazia mondiale che non si definisca democratico. Anche i regimi comunisti si definivano democratici.
Invece lo Stato si proclama sovrano già nel 1648. e in Europa abbiamo un sistema internazionale di Stati: di entità politiche astratte ed impersonali, che ormai hanno spazzato via i rapporti personali, diretti, “di fedeltà” etc., propri dell’epoca precedente. Questo è lo Stato: che essendo sovrano fin dall’inizio non fu mai né mai potrà essere “minimo” (non fosse altro per il suo costante giocare con la forza legittimatrice della religione).
Questo Stato è certo cresciuto nel tempo e oggi si occupa di cose che in precedenza lasciava al libero gioco sociale (l’istruzione o la sanità, ad esempio), ma esso esiste perché e grazie a quel vero e proprio “salto” che ha avuto luogo con la crisi dell’ordine medievale.
Che fare di tutte quelle esperienze (anche moderne) che non sono in linea con il modello statuale, e che hanno avuto e in qualche caso continuano ad avere una loro presenza sulla scena dei rapporti giuridico-politici? Pensiamo ad esempio agli ordini federali, che come hanno insegnato i maggiori studiosi del federalismo contemporaneo (da Miglio a Elazar) non sono ordini sovrani-gerarchici ma pattizi-orizzontali?
Come, scriveva Simone Weil, la corsa al potere asservisce tutti, potenti e deboli.
“L’evoluzione delle idee ha le sue leggi specifiche e dipende in misura assai ampia da sviluppi che non siamo in grado di prevedere. Con questo intendiamo dire che noi stiamo cercando di dare un certo indirizzo all’opinione pubblica, senza però presumere di essere in grado di prevedere quale sarà davvero l’indirizzo che essa prenderà”. L’impredicibilità degli effetti inintenzionali delle azioni intenzionali è uno dei fondamenti dell’insegnamento di Friedrich von Hayek.
Ed ecco allora che i cittadini sono ormai convinti che i loro redditi siano una concessione del potere politico, al quale hanno accordato la licenza di manipolarli a piacere, favorendo seguaci e servitori, senza discutere né sul merito della destinazione delle risorse prelevate, né sulla loro quantità, che l’orgia del positivismo giuridico e dei diritti di guerra ha trasformato in virtualmente illimitata, e non soggetta ad alcun diritto di contestazione. Eppure fino al XVIII secolo la tassazione era sottoposta a consenso (e nella Confederazione Elvetica, non a caso una democrazia effettiva, questo diritto sopravvive fino a oggi), perfino per il maggiore teorico della sovranità, Jean Bodin, si trattava di cosa ovvia. E allora concludendo: sì all’indipendenza, ma quale?
Per dirla con Johann Gottfried Herder (che è stato un filosofo, teologo e letterato tedesco, e fu allievo di Immanuel Kant), una nuova nazione indipendente, poggia su tre pilastri: i suoi confini, la lingua materna, l’idea di comunità che esprime.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Coała xeła l'etega de l'endependenteixmo veneto?

Messaggioda Berto » lun nov 30, 2015 9:34 am

Il “libertinaggio” delle opinioni di certi indipendentisti. Il caso veneto
30 Nov 2015

http://www.lindipendenzanuova.com/il-li ... endentisti

di ENZO TRENTIN – Esiste una indipendenza spirituale in materia di religione o di morale; ma esistono anche (per dirla con le parole di Giovanni Malagodi, che fu segretario del PLI) “intelletti assuefatti al libertinaggio delle opinioni”. Dunque esiste una vita da politico libertino. Una libertà morale, ovvero una capacità di scegliere e operare, assumendosene in coscienza la responsabilità (morale), in accordo con principî ritenuti di valore universale o contro di essi.
Tra gli intelletti assuefatti al libertinaggio delle opinioni ci chiediamo se possa essere ricompreso Antonio Guadagnini. Un politico e separatista veneto oggi Consigliere regionale, dopo essere nato politicamente nella Democrazia Cristiana (DC) alla fine del 1980. Con la dissoluzione di quel partito, nel 1994, egli si unì ad altri partiti cristiano-democratici di centro-destra in Alleanza Nazionale (AN), infine, all’Unione dei democratici cristiani e di Centro (UDC). Come membro UDC è stato vice-sindaco di Crespano del Grappa. Viene alla ribalta regionale e nazionale per la sua richiesta che i Comuni trattengano per sé il 20% dell’imposta sul reddito delle persone fisiche. In questa veste fu portavoce di circa 400 Sindaci di tutto il Veneto e di tutte le provenienze politiche. La sua proposta fu comunque ignorata dal governo italiano.

Guadagnini ha conseguito due lauree, una in economia e una in filosofia, ed è un devoto cattolico. [https://en.wikipedia.org/wiki/Antonio_Guadagnini ] Nell’ottobre 2011, durante il congresso del partito a Vicenza, fu eletto segretario di Veneto Stato, riuscendo a scalzare Lodovico Pizzati (tra i fondatori di quel partito), e letteralmente frantumandolo. Il partito oggi è ridotto a qualche decina di Aficionados. Tant’è che con una galassia di altri mini partiti indipendentisti andò a realizzare la lista “Indipendenza Noi Veneto con Zaia“, a sostegno e d’ispirazione di Luca Zaia per la rielezione a presidente.
Nelle elezioni regionali 2015 è eletto in Consiglio Regionale del Veneto nel collegio elettorale provinciale di Vicenza. Subito dopo l’insediamento, Guadagnini, che è stato anche nominato Segretario del Consiglio, forma un “inter-gruppo” pro-indipendenza, ed è unito fin dall’inizio da Stefano Valdegamberi, un ex compagno e membro dell’Udc, rieletto anche quest’ultimo Consigliere nella lista personale di Zaia. I passaggi sono importanti per giudicare le alleanze che sono altra cosa dalla propaganda politica.

Recentemente Guadagnini, sul suo profilo di Facebook, esibisce un simbolo che riassume [https://www.facebook.com/antonio.guadagnini?fref=nf ] la sua ultima battaglia politica con una proposta di legge depositata alla Regione Veneto e condensabile nello slogan: «No Vojo Slot» (una campagna sociale contro il gioco d’azzardo e le slot machine in Veneto). Per carità! Tutto lecito; niente di male. Ma da uno che ha battuto il contado dell’ex “Serenissima” in lungo e in largo in occasione della campagna elettorale del 2015 al grido di «voglio l’indipendenza del Veneto», ci sembra un po’ poco. Sul piano della democrazia sostanziale, esprimiamo qualche perplessità.

Per spiegarci meglio faremo un esempio: «Initiative für mehr Demokratie – iniziative per più democrazia» un’associazione privata (non un partito politico) di cui in passato ci siamo già occupati, ha in questi giorni ottenuto che sia ripresentato in Consiglio provinciale di Bolzano il disegno di legge di iniziativa popolare da parte di cinque gruppi consiliari per rendere possibile il referendum su due differenti proposte di regolamentazione della democrazia diretta. Mentre a tutt’oggi non abbiamo notizie di iniziative di Antonio Guadagnini, del suo “inter-gruppo” o della sua coalizione partitica, volte a bilanciare il sistema democratico rappresentativo con strumenti di democrazia diretta.

In Regione Veneto permane il discutibile referendum consultivo che è difficile considerare un esercizio di sovranità popolare.

Il 19/11/2015 è stata, infatti, depositata in Consiglio provinciale di Bolzano dai gruppi consiliari della BürgerUnion, dei Die Freiheitlichen, del Movimento cinque stelle, dei verdi/Grünen/verc e di L’Alto Adige nel Cuore, la proposta di legge di iniziativa popolare sulla democrazia diretta. Con questa ripresentazione gli aventi diritto al voto, a livello provinciale, potranno avere l’opportunità di esprimersi in un referendum, in modo chiaro, se preferiscono la proposta di regolamentazione in fase di elaborazione del Consiglio provinciale, o quella già accettata nella votazione referendaria del 2009 da 114.884 votanti. E che mancando per circa 7.000 votanti il raggiungimento del quorum prefissato per legge al 40% non passò. La Regione Veneto mantiene il quorum del 50%+1. Nei paesi autenticamente democratici il quorum non esiste. Guadagnini & Co. in proposito hanno comunicato iniziative?

«Initiative für mehr Demokratie» sostiene che solo con l’espressione di una tale preferenza il Consiglio avrà modo di poter adeguare il più possibile la propria legge alle proposte e alle aspettative maggioritarie degli abitanti nella provincia alto atesina.
Il disegno di legge era già stato respinto nell’aprile 2015 dalla maggioranza con la motivazione che il Consiglio provinciale si appresta ad elaborare una normativa totalmente nuova sulla democrazia diretta, dopo aver raccolto le aspettative e le proposte dei cittadini con l’impegno a tenerle in considerazione. In questo contesto, si è parlato esplicitamente di una “bocciatura tecnica” e non sostanziale.

I promotori dell’iniziativa di legge popolare sono invece convinti che su leggi fondamentali come questa deve essere rispettata la volontà chiara dei cittadini della provincia. A ciò corrisponde la promessa della SVP (Südtiroler Volkspartei, partito egemone a quella latitudini) di voler sottoporre il disegno di legge del Consiglio prima della votazione finale al voto popolare consultivo. Ciò è possibile con lo strumento del referendum, nei modi consentiti per simili leggi. Se tale voto però si potrà esprimere solo sul disegno di legge del Consiglio, allora – promettendo una legge più qualificata dell’attuale – ci sembra scontata la preferenza a favore di questo. Ciò però non vuol dire che la nuova normativa rappresenti davvero l’autentica volontà dei cittadini.

In questo caso, infatti, con quattro iniziative di legge popolare e due referendum, che hanno avuto una larga approvazione, le volontà autentiche degli elettori sono formulate chiaramente e hanno avuto un largo consenso. È, dunque, in questo caso legittima la richiesta alla rappresentanza politica nel Consiglio provinciale di poter verificare se il risultato del lavoro del Consiglio provinciale per una nuova legge sulla democrazia diretta non sia solo migliore della normativa esistente, dichiarata unanimemente carente, ma anche se esso corrisponda davvero alle proposte dei cittadini confermate da due referendum.

Questa verifica può essere fatta solo attraverso un referendum consultivo in cui il disegno di legge elaborato dal Consiglio, come quello approvato dalla popolazione siano sottoposti al giudizio degli elettori che, in questo modo, ottengono una vera possibilità di scelta.
Tornando alle terre della “Serenissima”, nella campagna elettorale della scorsa primavera Antonio Guadagnini dichiarava d’essere per un Veneto indipendente, federale e democratico. Preso atto di ciò, siamo venuti a conoscenza che numerosi cittadini riuniti sotto la sigla comitato “Più Democrazia Veneto”, ha stilato due petizioni (ai sensi dell’art. 60 del Regolamento consiglio regionale 14 aprile 2015, n. 1 – BUR n. 38/2015) nelle quali si chiede alla Regione Veneto attualmente in fase di revisione dello Statuto per inserire la questione di fiducia, di far partire, contestualmente ai lavori in corso, l’eliminazione del quorum, e la revisione degli istituti di partecipazione popolare o comunque una discussione più ampia sul bilanciamento dei poteri nella Regione Veneto. Qui il testo presentato: [https://piudemocraziavenezia.wordpress.com/2015/11/20/consegnate-le-petizioni-alla-regione-veneto-per-la-democrazia-diretta/ ]

Com’è noto, inserire nello Statuto la “questione di fiducia” vuol dire modificare l’assetto istituzionale della Regione, e tutti sanno che la democrazia funziona quando tutti i poteri sono, appunto, ben bilanciati. A questo punto l’indipendentista Antonio Guadagnini ed il suo “inter-gruppo” pro-indipendenza (maggioritario di 26 consiglieri su 50) si batteranno [http://www.noivenetoindipendente.org/wordpress/2015/07/ ] a favore di quella “sovranità popolare” (non dei rappresentanti pro tempore) di cui al Comma 2, dell’articolo 1 della Costituzione? Oppure preferiranno occuparsi delle macchinette mangiasoldi? Ed ancora: se queste proposte di autentica democrazia non passeranno, che tipo di Veneto indipendente, democratico e federale (parole anche di Luca Zaia) costoro potranno mai materializzare?

(nota della direzione – Abbiamo contattato il consigliere regionale Antonio Guadagnini prima della pubblicazione, chiedendogli di replicare in tempo reale. Restiamo in attesa che colga questa opportunità per aprire un dibattito sul nostro giornale. ste.pi.)
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Re: Coała xeła l'etega de l'endependenteixmo veneto?

Messaggioda Berto » mer dic 09, 2015 7:28 pm

L’inutilità di certo pseudo indipendentismo veneto. Impariamo dalla lotta dei baschi
9 Dec 2015
di ENZO TRENTIN

http://www.lindipendenzanuova.com/linut ... dei-baschi

«La verità è uno specchio spezzato che nessuno possiede interamente. La mia verità? No. La tua verità? Neppure. Uniamole e avremo entrambi una porzione più completa di verità.» Lo scrisse Antonio Machado, un poeta e scrittore spagnolo, tra i maggiori di tutti i tempi. Aggiungiamo il pensiero di una persona molto influente nel mondo dei media spagnoli che ha sostenuto che «il Partito che in Spagna difende il Diritto all’Autodeterminazione commette un suicidio politico ed elettorale.»

Arnaldo Otegi (classe 1958) è un politico basco, attualmente in carcere, perché è il simbolo del separatismo non violento, che nel febbraio 2013 è stato eletto Segretario Generale della abertzale basca indipendentista partito Sortu. È stato membro del parlamento basco per entrambi Herri Batasuna e Euskal Herritarrok. Non si dimentichi che Otegi non è mai stato coinvolto in attentati gravi. In realtà, non ha mai commesso crimini di sangue. L’unico crimine che potrebbero imputargli fu il rapimento di un industriale. Otegi ha fatto un cambiamento ideologico ed etico riconsiderando la questione della violenza. Si è presto impegnato sulla necessità di far tacere le armi. In una recente intervista sostiene quanto noi, da anni, andiamo [ https://insubriaprolombardia.files.word ... -otegi.pdf ] scrivendo su questo ed altri giornali:

«Ora che in molti ci vengono a parlare di un nuovo processo costituente dello Stato, […] Sono giunto al convincimento che dobbiamo occuparci di mettere in moto una dinamica che ci conduca alla creazione del nostro Stato, che tenti di elaborare raffinate strategie per cercare di smuovere lo Stato dalle sue posizioni. Se le nostre strategie di liberazione passano necessariamente da accordi con lo Stato, non vi saranno accordi, né vi sarà liberazione, lo Stato non vuole questo. Questo significa che rifiutiamo qualsiasi tipo di accordo? Assolutamente no! Significa che tracciamo la nostra road map indipendentemente dal fatto che vi siano accordi o no. Quindi, consentitemi di fare un’interpretazione libera e, allo stesso tempo, adeguata alla nostra realtà con la frase: per ottenere la pace in Euskal Herria, dobbiamo ottenere che i nostri nemici diventino i nostri vicini, ciascuno nel proprio Stato. […] La nostra battaglia fondamentale deve essere combattuta sul piano delle idee; la risposta esige una nuova economia, una nuova etica, e una nuova politica.»

Insomma come ci si può confrontare con uno Stato (a sentire Arnaldo Otegi vale per lo Stato spagnolo. Ma noi intendiamo, per similitudine, parlare di quello italiano) che ha stravolto ogni principio di buon governo, infatti:

La sovranità del popolo preesiste allo Stato: lo Stato italiano, in tutte le sue articolazioni appartiene ai cittadini italiani, e non viceversa.
Che a conferma di ciò l’art. 1, comma 2, della Costituzione sancisce: «La sovranità appartiene al popolo…»; non ai rappresentanti eletti pro tempore.
Che appartenendo la sovranità, a qualsiasi livello degli organi dello Stato, ai cittadini; gli eletti hanno sempre il dovere di uniformarvisi, qualunque essa sia, poiché essi sono delegati a rappresentare la volontà della maggioranza e non gli interessi dei partiti politici ai quali appartengono, e che ai cittadini, in democrazia, dev’essere sempre riconosciuto il potere di modificare le regole della delega, e di fare o di modificare direttamente le leggi nella libertà, e senza assurdi ed ingiustificati vincoli burocratici.
Che un Paese dove le leggi di iniziativa popolare non sono neppure prese in esame dal Parlamento, non è una democrazia. Oltre seicentotrenta sono le proposte di legge, corredate ognuna da 50.000 firme, tutte inutilizzate, che giacciono da tempo immemorabile nelle cassapanche del Parlamento.
Che un Paese dove i cittadini non possono controllare la spesa pubblica dopo essere stati tassati fino alla persecuzione, non è una democrazia.
Che tutti i partiti si dichiarano favorevoli all’introduzione di un’organizzazione federalista nello Stato italiano; ma trovano ogni artificio per sminuire o depotenziare l’idea federalista. Infatti Gianfranco Miglio sosteneva (vedi “Il Sole 24 ore”, n. 144, 27 maggio, 1987): «L’idea che le preferenze dei governati possano manifestarsi normalmente soltanto per il tramite di rappresentanti, e che la volontà dei primi debba prendere necessariamente la forma di un’adesione (consenso) alle “verità” proposte dai candidati al potere, questa idea sta per uscire dalla storia. Perché spezza il legame fra legittimazione del governante e ricognizione delle opinioni dei governati.
Fra poco tempo (nei paesi civilmente avanzati) i cittadini non solo potranno “votare”, o esprimere il loro parere su una quantità di argomenti standosene a casa loro, in tempo reale e senza farsi stordire da arcaici riti comiziali, ma saranno in grado di riconoscersi, di raggrupparsi e “corporarsi” autonomamente anche a grandi distanze, e soprattutto di contarsi, indipendentemente dalle iniziative dei pubblici poteri. Le “elezioni” le farà ogni cittadino, e le tecniche di potere politico dovranno cambiare radicalmente: un’età e un’arte di governo, cominciate con i missi carolingi, arriveranno alla loro fine. Altro che far la guerra ai referendum.»
Che uno dei principi federalisti indiscutibili è rappresentato dal fatto che la sovranità appartiene al popolo e che essa non può essere alienata, limitata, violata o disattesa, e che il popolo può delegare la sua volontà ma deve sempre restare libero di modificare le regole della delega.
Che ottenere servizi dalla giustizia italiana è sempre più arduo e dispendioso senza avere la certezza del diritto. Infatti, un’associazione a difesa dei consumatori denuncia [http://avvertenze.aduc.it/comunicato/giustizia+molti+giudici+pace+negano+ai+cittadini_23626.php ] che: «nell’ambito della tutela del consumatore accade spesso che si presentino controversie di modesto valore, nell’ordine di qualche centinaia di Euro. In molti casi, avvalersi di un legale è un controsenso, in quanto la parcella del professionista finisce per vanificare e talvolta addirittura superare il valore della causa stessa. Per questo, l’ordinamento italiano e europeo prevedono specifici procedimenti per cause di modesta entità in cui il cittadino può rappresentarsi in proprio, senza difesa tecnica. […] Ebbene, numerosi cittadini ci segnalano che moltissimi giudici di pace scoraggiano o apertamente negano l’utilizzo di strumenti di tutela.»

Or dunque, come possiamo aspettarci che lo Stato italiano rispetti i trattati internazionali liberamente sottoscritti. Infatti come tutto il diritto internazionale, il principio di autodeterminazione viene ratificato da leggi interne: in Italia, vi è la Legge n. 881/1977. Nell’ordinamento italiano il principio vale come legge dello Stato che prevale sul diritto interno (Cassazione penale 21-3-1975); se non è in grado di rispettare il suo stesso ordinamento interno.

Facciamo una considerazione preliminare: «oggi più che mai noi prigionieri indipendentisti (sostiene Arnaldo Otegi) siamo ostaggi di uno Stato che, mediante la nostra strumentalizzazione, cerca fondamentalmente tre obbiettivi: vuole perpetuare lo scenario precedente (ETA con i suoi prigionieri), vuole generare frustrazione e disillusione nel nostro popolo (con il nostro mantenimento in carcere senza modificare la politica penitenziaria) e infine, lo Stato ritiene che fino a quando non si risolverà questa questione e ci avrà nelle sue mani come ostaggi, Euskal Herria non inizierà un processo sovranista unilaterale. […] Mediante l’unilateralità, dobbiamo utilizzare la loro stessa legalità per indebolire la posizione dello Stato. Per uno Stato non c’è male maggiore della dimostrazione che non rispetta il suo stesso sistema legale.»

Gli indipendentisti veneti (ma non solo loro) che tipo di ordinamento propongono? Ad oggi nessuno! Eppure l’indipendenza del Veneto avrebbe molte ragioni. Tra quelle fondamentali c’è il recupero della sovranità politica ed economica che è fondamentale per intraprendere la trasformazione politica ed economica necessaria per garantire il benessere della maggioranza del popolo veneto.

Sono i contenuti che costruiscono la comunità. La cultura porta innovazione. L’educazione è una grande estensione di contenuto. I dati rappresentano preziosi assetti. Per giustificare la crescita futura e le spese in aumento, abbiamo bisogno continuamente di dati misurabili. Ipotizziamo un settore pubblico forte, trasparente e sotto controllo democratico, chiariamo che la proprietà privata va salvaguardata. Recuperiamo la politica con la P maiuscola affinché si sottometta a controlli di legittimità e, contemporaneamente, faccia evolvere la democrazia rappresentativa verso una bilanciata combinazione di democrazia rappresentativa e di democrazia diretta. Nell’Unione Europea attuale è semplicemente impossibile. E la domanda susseguente è: si può modificare o riformare questa struttura che è stata concepita come un autentico progetto di dominio delle élites oligarchiche? L’esperienza greca rende evidente la risposta.

Si domanda ancora Arnaldo Otegi: «A cosa serve proporre una nuova politica, una nuova economia o una nuova etica se continuiamo a costruire vecchie organizzazioni, e vecchie forme di funzionamento? A cosa serve proporre nuovi/vecchi principi e valori se nella nostra vita quotidiana non trovano il necessario e coerente riflesso? Le nostre organizzazioni e la nostra vita militante e personale devono essere un riflesso fedele dell’alternativa che rappresentiamo e sosteniamo. Perché non c’è cambiamento sociale che non inizi da noi stessi. […] In ogni caso, dico che una dinamica di “aggiornamento” del proprio programma politico in funzione dell’evoluzione sociologica elettorale può essere molto pericolosa; alla fine questo ti porta ad appiattirsi talmente sugli altri che se un giorno arrivi al Governo, lo fai con il “loro” programma. E questo a cosa serve?»

Importante anche l’evoluzione verso la pace. Arnaldo Otegi ha creduto nella pace su due assi. Da una parte, si riassume con la frase “più violenza, meno indipendenza”. La violenza in un contesto europeo, potrebbe portare all’indipendenza. Ma potrebbe portare anche ad una pena detentiva. La repressione è soprattutto fare del male a molte persone. La violenza poi rende impopolari. Fermare la violenza e spostarsi nella politica ha dato una vera opportunità all’indipendenza. Si tratta di un approccio politico che è lì, e i militanti lo possono capire. Ma ha anche fatto un approccio per la pace attraverso un’etica. La pace è non uccidere. La pace è un valore in sé. La pace per Otegi è una tattica che significa la pace con la sua gente, ma dalla sua personalità interiore, la pace è un approccio rivoluzionario all’etica. Chi ha bisogno della repressione per giustificare se stessa è invece la Spagna, perché ciò che non vince nelle urne lo prende in tribunale.

Ancora Arnaldo Otegi afferma che c’è un “dentro” senza un “fuori”. Se ciò che proponi è una dinamica di politica convenzionale, se decidi di installarti in un sistema confortevole. Le istituzioni, in una strategia di trasformazione sociale, non possono né debbono essere l’avanguardia dei cambiamenti ma, sempre, la loro retroguardia. Il vero motore del cambiamento deve svilupparsi nel tessuto sociale e popolare come conseguenza di una lotta ideologica forte, tenace e paziente, che cambi la scala di valori della gente. I cambiamenti che si producono come conseguenza di una maggioranza elettorale saranno sempre reversibili attraverso una maggioranza alternativa, di altro segno. I cambiamenti che si producono nella scala dei valori sociali potranno essere ritardati, repressi o contenuti, ma finiranno sempre per imporsi».

E con ciò abbiamo ancora una volta affermato l’inutilità di certo pseudo indipendentismo veneto che come unica strategia ha quella di farsi eleggere nelle istituzioni italiane per (dicono loro) modificarle dal di “dentro”. Poiché, come scriveva lo scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton: «Le fiabe non raccontano ai bambini che i draghi esistono. I bambini però sanno che i draghi esistono. Le fiabe raccontano ai bambini che i draghi vanno uccisi.»
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Re: Coała xeła l'etega de l'endependenteixmo veneto?

Messaggioda Berto » lun dic 14, 2015 10:06 am

FACCIAMO IL BILANCIO DI FINE ANNO DELL’INDIPENDENTISMO VENETO
di ENZO TRENTIN
14/12/2015

http://www.miglioverde.eu/facciamo-bila ... smo-veneto

Un rappresentante che mette in pratica quanto ha promesso in campagna elettorale non può essere elogiato. Fa semplicemente quello per cui ha chiesto il voto degli elettori. Questi ultimi, del resto, hanno tutto il diritto di criticare il rappresentante anche solo per un fiato diretto nella parte sbagliata. È un privilegio che i cittadini-elettori-contribuenti pagano profumatamente nell’inferno fiscale italiano. Eppoi, hanno eletto un delegato o il loro padrone?
Se alla nascita della Repubblica i cittadini avessero mostrato meno deferenza, riverenza e remissività ai rappresentanti, e più critiche appropriate, probabilmente non staremmo in quel Paese disastrato nel quale siamo costretti a vivere.
Quanto al nostro quotidiano ed ai suoi giornalisti, essi svolgono il ruolo di cane da guardia della democrazia. Questo è il ruolo che la stampa svolge in una società democratica, secondo una formula ripetutamente utilizzata, con lessico anglosassone, dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. L’immagine è ricca di indicazioni. Il buon cane da guardia gira libero attorno a casa, orecchie tese e naso al vento. E abbaia, anche più forte del necessario e qualche volta deve mordere. Questo ruolo del giornalismo può essere molto rilevante, e in questi casi il pericolo per i giornalisti è maggiore; un esempio a livello internazionale è rappresentato anche da WikiLeaks.
In Italia il giornalismo d’inchiesta e di denuncia (che non necessariamente corrisponde a WikiLeaks), o dedicato a un ruolo imparziale di difesa della legalità e della legittimità, è un genere che, al di là delle dichiarazioni sugli obblighi imposti dalla deontologia professionale giornalistica, non è sentito dalla maggioranza dell’opinione pubblica come particolarmente sviluppato.
I politici, poi, preferiscono il giornalista stuoino. D’altro canto non c’è da stupirsi. Le televisioni e i giornali appartengono ai partiti, sono “Cosa Loro”, e non trattano argomenti scomodi a quel potere parassitario che viene chiamato “partiti”. Per fortuna c’è Internet, [VEDI QUI] esiste il libero scambio di informazioni e il vero confronto, non come i confronti-pagliacciata che vediamo in TV tra due marionette, moderate da un giornalista stuoino che, fra l’altro, non fa domande scomode. Così almeno evita di far fare brutta figura ai suoi padroni.
Del resto la carta stampata è in crisi anche per questo; [VEDI QUI] i dati del Rapporto Censis. Mentre per la TV abbiamo visto come i partitocrati hanno deciso di farsela pagare: con la bolletta dell’elettricità. Tuttavia il dato interessa relativamente il Veneto, considerato che solo il 22% utilizza la TV come l’unico luogo attraverso cui si accede all’informazione. In Italia si tratta comunque di settori sociali definiti. Soprattutto donne, casalinghe, di età medio-alta e di istruzione medio-bassa, residenti per lo più nel Mezzogiorno e nelle Isole.
Ed ecco allora che non ci stupisce il comportamento del Consigliere regionale Antonio Guadagnini; il quale, benché esplicitamente invitato alla replica, ha riservato il silenzio alle precise domande che gli venivano poste – tempo fa – dove si chiedeva conto sugli strumenti di democrazia diretta [VEDI QUI]. Probabilmente sarà impegnato in superiori interessi di governo (regionale).
Non sappiamo, né c’interessa conoscere quanto guadagnava Antonio Guadagnini (sedicente indipendentista) prima d’essere eletto al Consiglio Regionale Veneto. Siamo tuttavia convinti che non percepisse l’equivalente dell’attuale rendita politica di circa 12.000 euro mensili, oltre a benefici vari che formano il suo attuale reddito, che – diciamocelo – non è un brutto prendere. Quindi ogni contribuente ha tutto il diritto di criticare; di chiedere conto. È torchiato dal fisco italiano anche per questo: paga i partiti, e paga i giornali di partito!
Ordunque, per verificare questi presunti “superiori interessi”, consultiamo il sito della colazione di partitini che lo ha eletto (con artifici elettorali), come il suo personale blog nel quale troviamo quanto segue:
23 luglio 2015
[…] E noi sappiamo bene che il presidente della Giunta appoggia la nostra finalità politica, ovvero il raggiungimento dell’autodeterminazione del Popolo Veneto. […] “a riprova che la tensione verso il sentimento di indipendenza è trasversale a tutte le compagini politiche che sostengono il governo della Regione del Veneto”. […] Non ci resta che parlare chiaro ai cittadini: il Veneto ritroverà dignità ed autonomia solo affermando il diritto di far sentire la propria voce”.
Ohibò! Parla di autodeterminazione, sinonimo di indipendenza, e conclude con l’autonomia?
24 lug2015
La novità politica di questa estate è la costituzione in Consiglio Regionale dell’intergruppo referendario “Parola ai Veneti“ che riunisce 26 Consiglieri (più il presidente Zaia ed un Assessore che per “opportunità” appoggiano dall’esterno. Quindi 28 soggetti su 50. Ndr) di diversi gruppi che hanno aderito alla nostra proposta di sostenere dall’interno dell’Istituzione Veneta il percorso verso il referendum per l’indipendenza. […] Questo intergruppo è la prima iniziativa con la quale il Gruppo consiliare “Indipendenza Noi Veneto con Zaia” ribadisce come il tema dell’indipendenza sia centrale nella propria azione politica e come sia necessario porlo al centro dell’azione dell’intera Assemblea veneta.
Va be’! Più sopra si saranno sbagliati. Tuttavia il referendum di cui alla legge 16/2014 non si farà. Sono mancati i soldi. Quei pochi arrivati li stanno restituendo. Sicuramente i “nostri” troveranno un’altra soluzione. Un altro referendum? Stavolta a spese di chi? E potrà essere per l’indipendenza del Veneto?
28 luglio 2015
In attesa di trovare la quadra al problema, depositano una Mozione per contrastare i
“GIOCHI OLIMPICI DEL 2024, NO ALLA CANDIDATURA DI ROMA”, presentata dai Consiglieri Guadagnini, Finco, Semenzato, Gidoni, Sandonà, Villanova, Boron, Montagnoli, Rizzotto, Gerolimetto, Michieletto, Marcato, Barbisan, De Berti, Forcolin, Calzavara, Possamai, Brescacin, Finozzi, Baldin, Scarabel, Bardelle e Brusco […] il Consiglio regionale impegna il Governo Veneto ad esprimere tutta la propria contrarietà a tale candidatura, per motivi etici, morali, economici, sociali, estetici.
E con l’indipendenza del Veneto cosa c’entra?
25 agosto 2015
No all’introduzione nelle scuole della “teoria del gender”: questo, in sintesi, l’impegno che il consigliere regionale di “Indipendenza Noi Veneto”, Antonio Guadagnini, chiede alla Giunta con
una mozione presentata in Consiglio Regionale.
Va bene, ma con l’indipendenza del Veneto cosa c’entra?
29 ottobre 2015
È la campagna sociale contro il gioco d’azzardo e le slot machine in Veneto. A supporto della proposta di legge “Norme per la prevenzione, il contrasto e la riduzione del rischio dalla dipendenza dal gioco d’azzardo” il consigliere regionale Antonio Guadagnini lancia una campagna sociale di mobilitazione contro il gioco d’azzardo all’insegna del logo “NO VOJO SLOT”.
OK, ma con l’indipendenza del Veneto c’entra qualcosa?
Su queste scarne informazioni proviamo a fare un bilancio consuntivo dell’attività politica di 28 Consiglieri (su 50) sedicenti indipendentisti e/o favorevoli ad un referendum per la secessione dall’Italia. In sei mesi dall’installarsi del Consiglio Regionale Veneto, insediatosi l’1 giugno 2015, non si rileva alcuna significativa deliberazione in senso indipendentista.
C’è un disegno di legge in discussione che in Veneto interessa circa 15.000 giocatori compulsivi; ma di converso, ad oggi, non c’è alcuna risposta, non un fiato, alla galassia di comitati e associazioni venete che hanno presentato due Petizioni [VEDI QUI] per introdurre nello Statuto regionale, in via di implementazione, gli strumenti di democrazia diretta per mezzo dei quali 4.919.155 veneti (al 31.07.2015) potrebbero democraticamente controllare l’operato dei propri rappresentanti regionali. Di contro, qualsiasi analfabeta di ritorno è in grado di fare il conto approssimativo dei costi/benefici: quanto sono costati ai contribuenti i predetti rappresentanti? Cosa hanno prodotto per l’indipendenza del Veneto?
A cercare sui siti di Indipendenza Noi Veneto con Zaia o quello personale di Antonio Guadagnini [VEDI QUI] non si trovano altre iniziative legislative per l’indipendenza del Veneto.
Quanto alla coalizione Indipendenza Noi Veneto con Zaia, si tratta di: Veneti Indipendenti (è l’ennesima scissione, questa volta ad opera di Luca Azzano Cantarutti. Il sito non è molto aggiornato), Liga Veneta Repubblica (anche qui un sito poco aggiornato, che appare come la creatura di Fabrizio Comencini, ex LN, e prima ex MSI), Veneto Stato (ha un sito vecchio che comprende tutti coloro che poi si sono “messi in proprio”. Il sito inneggia a Plebiscito2013.eu), Progetto Nord–Est (non ha sito ma una pagina su Facebook ferma al 2010 ed anche questo sembra essere il supporter di una sola persona. Il quotidiano “Il Gazzettino”, del 29 Ottobre 2014 scriveva: «Il 26 agosto le dimissioni, il 27 agosto la richiesta di ottenere l’assegno di fine mandato. Il Bur (Bollettino ufficiale della Regione Veneto) pubblicato ieri contiene anche la delibera approvata dall’Ufficio di presidenza del consiglio regionale nella seduta dello scorso 10 settembre con cui viene approvata la liquidazione all’ex consigliere regionale Mariangelo Foggiato. L’esponente dell’Unione Nordest si è improvvisamente dimesso la scorsa estate per motivi personali. E subito ha chiesto di poter disporre del Tfr. Ovvero una liquidazione da 90mila euro.»), Tea Party Veneto (ha solo una pagina su Facebook, peraltro poco aggiornata e/o frequentata) e Pro Veneto (anche qui ora campeggia il simbolo di “Noi veneto indipendente con Zaia”, per il resto appare più come la creatura in funzione di un singolo: Roberto Agirmo. Candidato alle elezioni regionali nel collegio di Venezia, dove è residente, ha ottenuto 47 voti. Il numero più esiguo di preferenze tra i capi partito). In ogni caso da nessuna parte abbiamo potuto leggere una bozza di progetto istituzionale per l’indipendenza del Veneto. Che ci sia sfuggito qualcosa?
Frattanto Antonio Guadagnini [VEDI QUI] ci propina la solita fanfaluca del «residuo di 20 miliardi di Euro che il Veneto versa improduttivamente a Roma, e che trattenendolo in loco contribuirebbe al rilancio del territorio.» Ma si guarda bene dal sottolineare che per avere quel residuo fiscale dovrebbe mantenere la stessa persecutoria pressione fiscale. Allora a che servirebbe l’indipendenza da Roma; per ottenere lo stesso inferno fiscale da Venezia?
Il “nostro” ce lo dice a chiare lettere: «Ad esempio, con le tasse che paga Arzignano si potrebbe costruire un gassificatore all’anno. Ad esempio, con i 20 miliardi, la Regione potrebbe dare incentivi ai Veneti per l’acquisto di auto elettriche, in modo da far sparire tutte quelle a gasolio, oppure potrebbero essere dati incentivi importanti per smaltire gli scarti delle industrie.»
Insomma, non propone una indispensabile riduzione delle tasse. Più semplicemente vuole che i politicanti veneti – e non italiani – redistribuiscano a loro giudizio. O forse a beneficio dei loro “clientes”?
Si limita a dire: «I 20 miliardi del nostro residuo fiscale corrispondono al 40% del totale delle tasse pagate ogni anno in Veneto. È chiaro che un territorio, qualsiasi esso sia, non può essere privato di un tale ammontare di risorse, pena la sua totale devastazione. Cosa che in Veneto sta puntualmente avvenendo, e le statistiche sull’inquinamento ne sono un segnale cristallino.
Questo è un problemino che la classe politica del Veneto dovrebbe porsi in modo serio e concreto, finalmente, in quanto fino a oggi i vari proclami non hanno sortito grassi effetti.» Ecco, appunto! Lui come rappresentante sedicente indipendentista, e gli altri Consiglieri regionali dell’intergruppo (26+2 su complessivi 50) che deliberazioni producono?
Eppoi, cosa non secondaria, attraverso quale nuovo progetto istituzionale compirebbero – lui ed i suoi sodali sedicenti indipendentisti – il nuovo boom economico? Ancora non ce l’hanno detto! Insomma, se oggi, molti veneti smoccolano e mandano a quel paese Matteo Renzi e i partiti politici; in un congetturato Veneto indipendente, ipoteticamente, avremo molti veneti che smoccoleranno e manderanno in mona Guadagnini & Co.?
Ci sono, in verità, nei siti suddetti molte affermazioni di vicinanza con le battaglie indipendentiste di Scozia e Catalogna. Molta solidarietà ed informazione su quelle battaglie. Tuttavia questo assomiglia alla tecnica comunicativa della “diluizione”: sminuire il particolare annegandolo nell’universale, distrarre dal «qui» per concentrarsi sull’«altrove». Un po’ come nell’estate del 1968 quando l’URSS invase Praga: in una assemblea all’università di Torino gli studenti ammisero all’ordine del giorno il dibattito sui fatti cecoslovacchi, ma solo a patto che si levasse forte e chiara la condanna contro l’imperialismo statunitense.
È proprio vero: abbiamo un bisogno assoluto di auguri! Auguri per le imminenti festività, ma anche auguri di diventare sempre più convinti della necessità che i valori fondanti della civiltà veneta vadano difesi da più credibili soggetti politici. Soggetti in grado di prendere coscienza del fatto che non è attraverso le istituzioni italiane, ed i loro riti, che i veneti diverranno liberi, sovrani e indipendenti.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Coała xeła l'etega de l'endependenteixmo veneto?

Messaggioda Berto » mar dic 22, 2015 9:59 am

SECEDERE SI PUÒ, MANCANO GLI INDIPENDENTISTI!
22 Dec 2015
Medioevo di ENZO TRENTIN

http://www.lindipendenzanuova.com/seced ... endentisti

Alessandro Vitale, antico allievo del professor Gianfranco Miglio, osserva «Quando una comunità storica ha il diritto di andarsene?» (Vedi Quaderni Padani n. 4 [marzo-aprile] 1996) «Il diritto di “andarsene” è una forma di resistenza che deve essere adottata da una singola parte del territorio di uno Stato, quando questa parte, accortasi della tirannide dei detentori del potere politico, non trova negli altri membri dello Stato la disponibilità a prendere misure comuni.»

Già da questo semplice passo è messa in luce la scarsa o nulla credibilità di una classe politica che pretende d’essere eletta (nel nostro caso alla Regione Veneto), per indire un referendum per l’indipendenza. Infatti, la Corte costituzionale di quello Stato di cui la Regione è emanazione, ha già sentenziato in merito. Non è quindi attraverso le istituzioni statali italiane che si otterrà il diritto di “andarsene”. Del resto la Lega Nord, con la sua storia, è la dimostrazione del fatto che “dal di dentro” dello Stato italiano non ha mai ottenuto nulla di quello che predicava. Oggi, poi, per sola brama di “careghe” la Lega Nord s’è trasformata addirittura in un partito nazionalista del “Belpaese”.

Ed anche a dar buona l’ipotesi di un referendum non è detto che vincerebbero gli indipendentisti, infatti che informazione presso l’opinione pubblica hanno fatto sinora? Attraverso quale innovativo progetto istituzionale porterebbero il popolo veneto in un nuovo “paradiso”? Eppoi quale sarebbe il programma di governo? Questi nuovi delegati che esperienza possono vantare? Qual è la loro formazione? Come possiamo valutare le loro migliori competenze? Come riusciranno a farsi riconoscere come buoni amministratori e non come “i soliti politicanti”?

Daniel J. Elazar (Idee e forme del federalismo – Milano – Mondadori, 1998) osserva che, nei sistemi politici federali, «La non centralizzazione assicura che, a prescindere dal modo in cui certi poteri possano essere condivisi dai governi generale e costitutivi, il diritto di “andarsene” nel momento in cui il consenso svanisce, emerge il diritto di secessione».

Anche qui, che consenso hanno avuto i tre ultimi governi italiani mai legittimati dal cosiddetto popolo ‘sovrano’? Di più: che legittimità hanno mai avuto tutti i governi repubblicani se la stessa Costituzione del 1948 non è mai stata votata dallo stesso popolo ‘sovrano’? [qui un nutrito elenco, non esaustivo, di Costituzioni volute e votate dal popolo http://www.miglioverde.eu/costituzioni- ... -il-mondo/ ] Che strumenti hanno i cittadini di questa penisola per influire su un esecutivo che non gode più del consenso generale? La centralizzazione dell’attuale Stato italiano non è forse il contrario di quelle presunte riforme federaliste che il Parlamento ha preteso e/o pretende di emanare? E quando gli indipendentisti veneti parlano di federalismo, di quale si tratta? Come valutarlo se non c’è nemmeno una bozza per un nuovo patto federale da consultare?

Con citazioni e considerazioni di questo genere potremmo continuare, e fatta salva la legittimità ad “andarsene”, perché il governo non risponde più alle esigenze dei cittadini, o di una parte si essi, che credibilità politica hanno quei sedicenti indipendentisti che hanno concorso alle elezioni del 2015 per andare a governare in un Ente subordinato a quello Stato che a parole vogliono abbandonare? Come concedere credibilità a quei politicanti che continuano a propagandare similitudini con la situazione di Scozia e Catalogna che secondo alcuni studiosi non esiste. Si veda qui [http://www.lalligatore.com/la-stagione-dellindipendenza-tra-scozia-e-catalogna/ ] la loro opinione.

Dopo un lungo excursus su i due esempi, per osservare i meccanismi giuridici e politici alla base delle esperienze indipendentiste, tale studio conclude che i due percorsi costituzionali sono antitetici, anche se da essi è possibile ricavare diversi insegnamenti. Volendo infatti spostare lo sguardo sull’ordinamento italiano, sarebbe ipocrita ritenere che questo sia immune da tali questioni. La secessione, poi, è giusta non in base a una rivendicazione priva di ragioni, ma in seguito alla decisione razionale – nel nostro caso dei veneti – di prendere su di sé il fardello di autogovernarsi.

Le considerazioni qui svolte hanno un grande peso nella determinazione dei rapporti che devono intercorrere tra il cittadino e le istituzioni politiche. Affermare che quello ha dei diritti, significa anche riconoscere che queste hanno dei limiti. D’altra parte, non ha alcun senso né pare ragionevole scagliarsi contro gli antichi sovrani “per diritto divino” e poi riconoscere ai moderni parlamenti poteri ancora superiori, solo perché legittimati dal voto.

Orbene cosa hanno fatto i sedicenti indipendentisti alla Regione Veneto? Ci hanno forse messo a disposizione degli istituti di partecipazione popolare degni di questo nome? No! Al contrario, non hanno ancora risposto a due Petizioni [https://piudemocraziavenezia.wordpress.com/2015/11/20/consegnate-le-petizioni-alla-regione-veneto-per-la-democrazia-diretta/ ] recentemente depositate da numerosi Comitati ed associazioni civili attivatesi a questo scopo. Eppure «I popoli liberi e meglio ordinati – scriveva Miglio concludendo il proprio saggio sulla Disobbedienza civile – sono quelli che si permettono ogni tanto di ribellarsi: che non temono di impugnare le decisioni del loro governo, ma che tornano poi ogni volta a rifondare, con più solida persuasione, l’ordinamento in cui vivono.»

Dobbiamo allora chiedere scusa per tutti quelli che da secoli han quozienti d’intelligenza inferiori alle loro intelligenze, e non riescono nemmeno a pentirsi delle loro ignoranze? Chiediamo scusa anche a coloro che non riescono a dimostrare che il processo di identificazione tra cittadino e l’attuale classe dirigente non esiste? Per esempio, come si conciliano i circa 104mila voti dati alle formazioni sedicenti indipendentiste venete alle regionali del 2015, che sono un’inezia, se raffrontato al 55% del corpo elettorale che secondo i sondaggi [vedi qui: http://www.demos.it/a00970.php ] si dichiara favorevole all’indipendenza del Veneto? Non è forse il giudizio elettorale a dimostrare la loro inadeguatezza?

Arriviamo così alla questione chiave: la “disobbedienza civile”, che indica un comportamento volto a disattendere un obbligo che invece si sarebbe tenuti a rispettare. «Questo comportamento – scriveva Gianfranco Miglio – non contesta la procedura con cui l’obbligo è stato stabilito, ma rifiuta il contenuto dell’obbligo stesso, e vuole mostrare a chi comanda la concreta possibilità di perdere il potere: vuole far capire che l’obbedienza passiva non è virtù di uomini liberi. Disobbedire a un ordine ingiusto, anzi, non è soltanto un atto legittimo, ma addirittura un dovere morale. D’altra parte, la disobbedienza implica una condotta pacifica e non violenta: rappresenta una sfida e una rivendicazione, dunque, piuttosto che una dichiarazione di guerra. Tale aspetto è ribadito e rafforzato dall’aggettivo “civile”: il quale “colloca il comportamento nella sfera delle prerogative del cittadino”. In altre parole, si vuole chiarire che qui la disobbedienza è soltanto espressione del diritto, posseduto da ogni individuo, di partecipare alla statuizione degli obblighi giuridici che lo riguardano».

Ora come possiamo affidarci a persone che hanno – al momento dell’insediamento in Regione Veneto – giurato fedeltà a quella Costituzione italiana mai votata dal popolo ‘sovrano’?
Intervistato su questo tema da Carlo Stagnaro (“Miglio: lo Stato moderno è superato”, 4 luglio 2000) Gianfranco Miglio affermò che lo Stato moderno non è solo inefficiente e immorale, ma anche superato: «Lo Stato moderno è in pieno declino. Il nostro compito è saper riprendere la tradizione autentica dell’Europa delle città, dell’Europa del periodo anseatico… si trattava di città indipendenti che facevano capo al Sacro Romano Impero soltanto per dirimere conflitti tra di loro. L’Europa dell’avvenire non è l’Europa dello Stato moderno, che ha prodotto le guerre spaventose del nostro secolo. Tutto questo è da dimenticare».

Secondo l’intera dottrina politica occidentale, il diritto di resistenza sorge quando un governo assume atteggiamenti tirannici verso i propri cittadini. Esso può addirittura divenire diritto alla resistenza armata – all’insurrezione – se non vi è altra via per eliminare l’oppressione cui il popolo è sottoposto. «In tutti gli ordinamenti “liberi” – scriveva Miglio – viene generalmente riconosciuto il diritto dei cittadini a “resistere” a una costrizione illegittima. Ma questo “diritto di resistenza” – che si trasforma presto in “diritto di insorgere” – è giustificato soltanto nei confronti di una autorità tirannica, verso detentori del potere che non riconoscano ai cittadini (trasformati in sudditi) le garanzie e le prerogative rispettate invece negli altri paesi civili: e che tale comportamento iniquo assumano originariamente oppure violando i patti conclusi e sospendendo l’ordinamento vigente.»

Il comportamento iniquo è dimostrato dall’inferno fiscale in cui siamo precipitati, dagli assurdi privilegi della “Casta” cui fa fronte un debito pubblico in costante ascesa, dall’inefficienza di quasi tutti i servizi per cui uno Stato pretende d’esistere. Piuttosto, le domande che bisogna porsi sono più stringenti e più profonde: «Quando i cittadini sono moralmente giustificati a violare o a resistere con tutti e ciascuno i mezzi necessari, alle leggi del proprio paese? Quando l’intero governo – e non semplicemente questa o quella legge in particolare – diviene tirannico e illegittimo?» Così formula il problema Jeff Snyder in “Nation of Cowards. Essays on the Ethics of Gun Control, Lonedell”, MO: Accurate Press, 2001 –,

Non sono dunque le argomentazioni, le giustificazioni, e la necessità che mancano a chi vuole l’indipendenza di un popolo e di un territorio. Piuttosto a mancare sono gli autentici indipendentisti; coloro che riusciranno a prefigurare un nuovo “patto sociale”, magari attingendo all’opera del professore lombardo raccolta nella collana di scienza della politica “Arcana imperii”.
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Re: Coała xeła l'etega de l'endependenteixmo veneto?

Messaggioda Berto » sab mar 26, 2016 10:06 am

Ke sipia vero?

IL MALE OSCURO DELL’INDIPENDENTISMO VENETO STA PER ESSERE SUPERATO

ENZO TRENTIN

«Se è vero che sarà sempre la politica a determinare l’atmosfera di un paese, non la scienza o l’arte. Perché la politica rappresenta un elemento costante, grava sulle nostre teste come l’orizzonte lungo nel quale corrono le nuvole, essa esiste, che vogliamo ammetterlo o no, come esiste il clima, anche se non moriamo di freddo o non sentiamo avvicinarsi un temporale». Lo ha scritto Arthur Schnitzler, ne “Il libro dei motti e delle riflessioni”, nel 1927. Ed ancora, quante volte ci è capitato di dire, in un momento non particolarmente felice della nostra vita, o di sentir dire a qualcuno: «è un male oscuro», perché non permette di vedere, e non permette di sentire.

Ciò premesso, sappiamo sin dagli anni 80 del secolo scorso come i veneti siano sempre stati singolarmente “barufanti”. L’idea di ritornare ai fasti ed all’equa giustizia sociale della Serenissima Repubblica non si è, in fondo, mai spenta. In quegli anni è per l’ennesima volta l’idea è riaffiorata, prima nelle vesti di un’autonomia imperniata sul sistema federale, oggi sfociata nell’indipendentismo, perché sempre lo Stato italiano ha fatto lo gnorri.

Tuttavia, le baruffe chioggiotte di autonomisti e federalisti di quegli anni della seconda metà del XX secolo hanno generato “il male oscuro” che ancor oggi opprime sia i protagonisti di allora ancora “in pista”, sia molti dei nuovi soggetti politici che si sono affacciati alla ribalta pubblica. La parola politico – si sa – viene dal greco polis (città) e indica coloro che si occupavano del governo della cosa pubblica. Politicante, invece, è un termine derivato per indicare chi, in politica, si occupa solo degli affari propri a danno di tutti gli altri, principalmente di ogni singolo cittadino. È significativo come in moltissime città sia stato eretto un monumento dedicato al politicante di turno, e non già al politico. Ed è singolare che tra i “barufanti” e politicanti veneti sopravviva ancora attivamente qualche soggetto delle origini.

Per questo motivo alcune persone di buona volontà sono giunte alla redazione di un documento dall’acronimo SCEGLI (standard di condotta etica generale e di lealtà tra indipendentisti). In buona sostanza si tratta dell’elencazione di criteri, di standard di condotta etica, e di lealtà tra gli indipendentisti veneti, atti a superare le conflittualità ed i personalismi che si sono dimostrati sinora assai nocivi alla causa veneta.

???
Per chi è curioso ne alleghiamo qui una copia
(vedi qui: SCEGLI – STANDARD-CONDOTTA-ETICA-GENERALE-LEALTA_-INDIPENDENTISTI).
http://www.miglioverde.eu/wp-content/up ... NTISTI.pdf

“SCEGLI” non è un manuale per l’autodeterminazione. Non è una guida passo-passo con istruzioni su come raggiungere l’indipendenza. In effetti la storia ci ha insegnato che, mentre le destinazioni sono simili, ogni percorso è diverso, ogni viaggio unico. Alla fine gli studiosi e i politici insisteranno all’infinito sul dibattito su come l’autodeterminazione è praticamente raggiunta. Ma per quelli di noi attivamente impegnati nella sua realizzazione, la questione non merita il dibattito. Perché mentre i veneti stanno discutendo, il potere continua a lavorare nella stessa maniera che decenni or sono Giusppe Prezzolini descriveva così: «In Italia non esiste giustizia distributiva. Ne tiene le veci l’ingiustizia distribuita. Per cinque anni il Sindaco (oppure il Deputato, il Prefetto, il Ministro) del partito rosso perseguita gli uomini del partito nero e distribuisce cariche o stipendi agli uomini del partito rosso, il Sindaco del partito nero fa tutto il rovescio dell altro; distribuisce cariche e stipendi agli uomini del partito nero e perseguita gli uomini del partito rosso. Così l’ingiustizia rotativa tiene luogo della giustizia permanente».

Per far sottoscrivere “SCEGLI” alla galassia di partiti, movimenti, comitati ed associazioni che anelano all’indipendenza del Veneto sono già state espletate quattro riunioni in altrettanti luoghi. Numerosi soggetti tra quelli or ora indicati hanno già sottoscritto il documento. Di più: in una di tali assemblee tra gruppi (due persone per ogni soggetto convocato) è stato constatato che con l’autonomia impostata da Luca Zaia e colleghi, la Regione ci rimetterà circa 3 miliardi di euro, per i mancati trasferimenti dallo stato centrale. A questo punto, tenendo ben presente che fino a quando non si vincono i cuori e le menti poco importa chi noi eleggiamo, quale legge viene approvata, o il modo in cui organizziamo la nostra vita personale e professionale. Questo si potrebbe superare con “SCEGLI” quale fase di una embrionale federazione. E se federazione deriva dal latino foedus, ovvero: trattato, accordo, contratto, patto, se ne ricava che gli accordi potrebbero sfociare in un progetto di nuovo assetto istituzionale. Poiché siamo fortemente indebitati e con prospettive di lavoro incerte, diventa sempre più evidente a tutti che l’intero attuale modello è insostenibile.

Per questo concludiamo con le notizie dell’ultima ora: 15 gruppi indipendentisti su 25 hanno firmato “SCEGLI”, il resto approva il testo per bocca di delegati in attesa di firma finale dei segretari. È in pratica un 100% di consenso. Auspichiamo quindi che cominci l’era dell’indipendentismo serio, costruttivo e vincente.

È stato un lavoro di persuasione che andava avanti da 14 mesi ad opera di persone di cui non sapremo mai il nome. Infatti, Beniamino Dilan è solo il nom de plume dell’animatore e coordinatore dell’iniziativa.

Per il 22 Aprile, è prevista la quinta assemblea inter-gruppi (ospitante Censimento Veneto) per raccogliere tutte le firme restanti. Non solo di quelli che hanno già approvato il testo ma anche della quindicina di gruppi che ancora non hanno partecipato. Costoro possono contattare Beniamino Dilan in Facebook, e dare il loro nominativo.

Infine il 25 aprile, giorno di San Marco, alla Messa in suo onore gli organizzatori hanno in animo di presentare i numeri della ritrovata pace e della nuova alleanza e poi, fuori nella piazza grideranno in migliaia:
VIVA LA REPUBBLICA, VIVA SAN MARCO, VIVA IL POPOLO VENETO.
Insomma, l’indipendenza è una cosa seria. Per questo c’è da riporre fiducia in queste persone serie.
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Re: Coała xeła l'etega de l'endependenteixmo veneto?

Messaggioda Berto » sab mar 26, 2016 10:34 am

??? Kel sipia on bavaroło ???

STANDARD CONDOTTA ETICA GENERALE LEALTA INDIPENDENTISTI
http://www.miglioverde.eu/wp-content/up ... NTISTI.pdf


CRITERI DI CERTIFICAZIONE DEGLI STANDARD DI CONDOTTA ETICA E DI LEALTA’ TRA GLI INDIPENDENTISTI VENETI

Al fine di essere accreditato come partito o movimento o associazione o anche solo progetto volto al raggiungimento dell’Indipendenza Veneta con uno status di credibilita’, affidabilita’, serieta’, onesta intellettuale che chiameremo “standard di condotta etica generale e di lealta’ tra indipendentisti ” (S.C.E.G.L.I.), il soggetto indipendentista, qualora partito, movimento, associazione, progetto, comunita’ o qualsivoglia gruppo di natura indipendentista accetta e sottoscrive di rispettare le seguenti regole:

A] Regole disciplinari:

1.
Non attaccare o danneggiare l’attivita’ di altri soggetti indipendentisti certificati tramite mezzi illeciti o criminali come hackeraggio o violazioni informatiche, calunnia segreta (esempio mail o lettere o messaggi calunniosi di qualunque tipo), diffamazione pubblica con chiaro intento malevolo (cioe’ attacco personale in assenza di qualsiasi prova o documentazione), frodi, inganni, minacce a persone o beni di proprieta’, aggressioni fisiche o a sfondo sessuale, attivita’ di stalking (fisico cosi’ come informatico), sabotaggi, violazioni di patti concordati e firmati, vandalismo, assunzioni di falsi profili replicanti nei social networks, creazione di siti internet o di qualsiasi fonte informativa pubblica, a scopo diffamatorio o anche solo sarcastico, contro altri soggetti indipendentisti.

2.
Uso di linguaggio deliberatamente offensivo contro persone o simboli di altri soggetti indipendentisti certificati, e comunque non giustificato da contesto o situazione (esempio in politica un diverbio o una diatriba accesa su un tema particolarmente caldo puo’ anche portare a toni forti di linguaggio ma non deve significare l’uso di epiteti o insulti di carattere volgare o personale).

3.
L’uso di media (Tv, radio, giornali, blog, ecc.) corretto e appropriato al tema o al contesto della situazione e non come mezzo per denigrare o “affondare” altri soggetti indipendentisti certificati


B] Regole meritocratiche:

1.
Il riconoscimento della paternita’ di iniziative, di progetti, di ogni tipo di proposte, leggi o anche semplici fatti o azioni importanti per la Causa dell’Indipendenza, anche dove si tratti di altri soggetti indipendentisti e la rinuncia a ogni tentazione di “mettere il cappello” su cose ideate, proposte e/o organizzate da altri soggetti indipendentisti certificati, a meno che non vi sia stato esplicito consenso sui termini di
promozione, propaganda, sponsorizzazione o patrocinio.

2.
La buona disponibilita’ a ricordare, menzionare e persino elogiare, dove indicato e auspicabile, i meriti di altri soggetti indipendentisti (partitici e non, collettivi o singoli individui) certificati nell’attivita’ di perseguimento della Causa indipendentista.

3.
La buona disponibilita’ ad aiutare e se necessario premiare altri soggetti indipendentisti (partitici e non, collettivi o singoli individui) certificati SCEGLI la’ dove si mostrassero piu’ bravi o efficienti nell’attivita’ di perseguimento della Causa indipendentista.

4.
La buona disponibilita’, la’ dove ci fossero dubbi o perplessita’ sul merito di altri soggetti certificati, ad impegnarsi in attivita’ che dimostrino in tempi ragionevolmente brevi la capacita’ di fare meglio o altrimenti l’impegno di evitare critiche, minimizzazioni, banalizzazioni, denigrazioni (anche solo sarcastiche) del buon
lavoro fatto o in corso con merito da parte di altri soggetti indipendentisti certificati
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Re: Coała xeła l'etega de l'endependenteixmo veneto?

Messaggioda Berto » ven apr 08, 2016 9:38 am

Distinguere il politico dal politicante. Gli indipendentisti alla prova
ENZO TRENTIN
8 Apr 2016

http://www.lindipendenzanuova.com/disti ... oliticante

Vi è una schizofrenia del ruolo: quando parlano sono politici; quando operano sono politicanti, cioè mazzettanti o tangentanti o come afferma il disegnatore e scrittore Alfredo Chiappori: «l’uomo è per natura un animale politico… tanto è vero che spesso l’uomo politico è una bestia.» In recenti ricerche delle più stimate università americane hanno trovato la presenza di cellule cerebrali, rarissime in questi individui, in alcuni candidati delle passate elezioni. Ovviamente queste pecore nere sono state emarginate dal gruppo e non elette.

Va bene, abbiamo scherzato. Parliamo, allora, degli eletti a rappresentarci in questo scombinato Stato italiano. Recentemente abbiamo commentato la sceneggiata del Presidente della Regione Veneto Luca Zaia qui:

http://www.miglioverde.eu/indipendenza- ... allitalia/ e qui:

http://www.miglioverde.eu/perche-refere ... nvincente/

adesso è giunta l’ora di commentare le prime reazioni governative; ed una per tutte la ricaviamo dal “Corriere del Veneto” (edizione regionale del “Corriere della Sera”) del 19 marzo 2016 qui:

http://corrieredelveneto.corriere.it/ve ... 7941.shtml che titola:

“Autonomia, il governo apre al Veneto – «Stiamo già esaminando il dossier» – Bressa (Affari regionali): «Disponibili al confronto». E il governatore rilancia: appello a economia e società”.

La richiesta di avvio del negoziato sull’autonomia fra la Regione Veneto e lo Stato è approdata a Roma in tempo zero. Potenza della posta elettronica certificata che ha sostituito i bizantinismi delle raccomandate, certo, ma a quanto pare anche di un certo dinamismo politico, se è vero che la virtuale ricevuta di ritorno è già in viaggio verso Venezia. «Il governo è disponibile da subito ad affrontare la questione, tanto che abbiamo cominciato ad esaminare le carte non appena le abbiamo avute», rivela il bellunese Gianclaudio Bressa, sottosegretario (PD) agli Affari Regionali.

Intanto il ministro Enrico Costa, per bocca dello stesso Gianclaudio Bressa, ha fatto sapere: «Abbiamo deciso che ci incontreremo lunedì per definire il programma di lavoro, il che significa che già nel fine settimana guardiamo e approfondiamo la documentazione. Ovviamente non sto parlando del referendum sull’autonomia [quello non spaventa nessuno, tanto è consultivo. E Bressa è stato addirittura ironico in un’intervista dei giorni scorsi al TG3-Veneto. NdR], che continuo a ritenere un’invenzione politico-propagandista [ovvero ciò che noi abbiamo sempre sostenuto. NdR], ma del disegno di legge sulla trattativa, sul quale non abbiamo nessun problema a muoverci in tempi rapidi.» Lo schema è già abbozzato. «Inizieremo con una prima valutazione sulla congruenza delle richieste – specifica il sottosegretario – per verificare la loro compatibilità con l’ordinamento. Questa è un’istruttoria che, per quanto accurata, non dovrebbe richiedere più di qualche giorno. Poi inizierà il confronto vero e proprio».

Insomma, par di capire che si impiegheranno le cinque fasi della burocrazia descritte qui:

[http://www.miglioverde.eu/cari-indipendentisti-la-burocrazia-problema-soluzione/ ]. Intanto Luca Zaia ribadisce di essere intenzionato a fare sul serio, tanto da inviare una lettera ai parlamentari e alle forze politiche, sociali ed economiche del Veneto, col chiaro intento di costituire una lobby territoriale. Ma anche qui, sembra che Jean Baptiste Le Rond d’Alembert, in “Zibaldone di letteratura e di filosofia, 1753/67”, abbia già detto tutto: «L’arte della guerra è l’arte di distruggere gli uomini, come la politica e l’arte di ingannarli.»

Il cosiddetto popolo veneto non fa quasi mai uso delle libertà che ha, come per esempio della libertà di pensiero; pretende invece come compenso la libertà di parola. Sembra stiano tutti lì ad aspettare che qualcuno dall’esterno tolga loro le castagne dal fuoco: l’ONU, la Corte europea dei diritti dell’uomo, qualche giudice “di Berlino”, gli USA e chi più ne ha più ne metta. A chiacchiere sono tutti bravi, ma quando si tratta di ipotizzare una bozza di nuovo assetto istituzionale sul quale poggiare la richiesta d’indipendenza (cosa che rileviamo da anni) i leader dei principali movimenti politici veneti rimangono evasivi, inconsistenti nella loro progettualità. Sembrano costantemente attratti dall’idea di conquistare la Regione Veneto per far partire da lì (ben remunerati da Roma, ovviamente) ogni loro anelito di libertà.

La quantità di tempo, di energia, e di capitale umano, che sono stati investiti cercando di vincere questa battaglia politico-legislativa, è sconcertante. Deve ancora essere prefigurata una strategia dal basso verso l’alto che identifichi le élite naturali che non si trovano tra la classe politica partitocratica, tra gli intellettuali di regime, o tra gli alleati collegati allo Stato che si vuole abbandonare.

Addirittura perniciosa può essere l’idea di conquistare la Regione Veneto, o altri Enti dello Stato italiano, perché la natura dello stesso è orientata al consociativismo. Mentre un’alleanza di governo unisce le forze politiche alla luce del sole, il consociativismo le unisce nell’ombra. Di solito, pertanto, si parla di consociativismo con tono spregiativo, come di un fenomeno coperto da ipocrisie e da menzogne.

È dunque entrando nelle istituzioni italiane che si rischia di compromettere le istanze dall’autodeterminazione, poiché come scrivono Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, in uno dei loro libri, si tratta di entrare nella: «Casta politica, una volta che sei dentro, ti permette quasi sempre di campare tutta la vita. Un po’ in Parlamento, un po’ nei consigli di amministrazione, un po’ ai vertici delle municipalizzate, un po’ nelle segreterie. Basta un po’ di elasticità.» E di questa elasticità alcuni pseudo indipendentisti assisi alla Regione Veneto ne hanno offerta a profusione.

In un suo intervento Gustavo Zagrebelsky (ex Presidente della Corte costituzionale), il 12.01.2016, scrive: «Che i partiti siano a loro volta ridotti come li vediamo, a sgabelli per l’ascesa alle cariche di governo e poi a intralci da tenere sotto la frusta del capo e di coloro che fanno cerchio attorno a lui, non è nemmeno da denunciare con più d’una parola. A questa desertificazione social-politica corrisponde perfettamente la legge elettorale. […] L’informazione si allinea; la vita pubblica è drogata dal conformismo; gli intellettuali tacciono; non c’è da attendersi alcuna vera alternativa dalle elezioni, pur se e quando esse si svolgano, e se alternative emergessero dalle urne, sarebbe la pressione proveniente da fuori (istituzioni europee, Fondo monetario internazionale, grandi fondi d’investimento) a richiamare all’ordine; […] La riforma costituzionale (per cui in autunno è previsto un referendum confermativo. NdR) è il coronamento, dotato di significato perfino simbolico, di un processo di snaturamento della democrazia che procede da anni. Coloro che l’hanno non solo tollerato ma anche promosso sono oggi gli autori della riforma. Sono gli stessi che ora ci chiedono un voto che vorrebbe essere di legittimazione popolare a un corso politico che di popolare non ha nulla».

E dunque, perché gli indipendentisti veneti non fanno proprie le teorie di Gianfranco Miglio?

Egli scrive in: “La prospettiva teorica del nuovo federalismo”, in Federalismo & Società, (1994), pag. 38: «Il neofederalismo è destinato a dare vita a un modello istituzionale creato per riconoscere, garantire e gestire le diversità. Il federalismo dei nostri giorni è tutto il rovescio di quello tradizionale. […] È corretto parlare di ‘nuovo federalismo’ proprio perché è rovesciato rispetto a quello che ha dominato fino ai giorni nostri. […] L’approccio è rovesciato: il federalismo finora sperimentato deriva da un foedus che produce e pluribus unum, l’unità nella pluralità.

Noi oggi cerchiamo invece il foedus che consenta il passaggio dall’unità alla pluralità, ex uno plures. […] Il vero ordinamento federale – per Miglio – è contrassegnato da una pluralità di fonti di potere, almeno da due: quella delle entità federate e quella della federazione. Pluralità di sovranità finisce per significare “nessuna sovranità”. Infatti: “La radice del neo federalismo è l’affermazione di una pluralità di sovranità contro l’idea della sovranità assoluta [ed è] fondata

sulla libera volontà di stare insieme. È un nuovo diritto pubblico, fondato sul contratto, sulla pluralità di tutti i rapporti, sull’eliminazione dell’eternità del patto [politico]”. […] Per essenza una struttura federale è una struttura “a pluralità di sovranità”, cioè non a piramide. Johannes Althusius aveva sviluppato l’idea contrattuale sostenendo un’immagine dell’aggregazione federale come formata “a scatole cinesi”, però tutte scomponibili in qualsiasi momento: […] erano tutti contratti di diritto privato e non patti politici».

Invece di spendere risorse ed energie per farsi eleggere nelle istituzioni italiane per cadere nel consociativismo, i sinceri indipendentisti, perché non s’impegnano a prefigurare il neo federalismo ai cui ambirebbero?
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Re: Coała xeła l'etega de l'endependenteixmo veneto?

Messaggioda Berto » mer mag 11, 2016 8:47 am

AGLI STATI INTERESSANO I VANTAGGI NON I DIRITTI
di ENZO TRENTIN

Il buonsenso viene dall’esperienza, anche se l’esperienza la fai quando non hai buon senso. È una riflessione che proponiamo ai nostri lettori che aspirano all’indipendenza dall’Italia, e per rafforzare la meditazione suggeriamo un pensiero tratto da “la rivoluzione” di H.H. Hoppe: «… ricordiamo che ogni società che valga la pena avere, ogni società liberale avanzata, è stata costruita da persone con lunghi orizzonti temporali. Orizzonti oltre la propria vita. E in generale queste società sono state costruite in circostanze e condizioni di disagio materiale molto difficili, ben oltre ciò che stiamo probabilmente affrontando. Quindi cerchiamo di appellarci alle nostre migliori nature e giriamo il ‘cosa deve essere fatto’ da domanda in una dichiarazione.»

Nel panorama delle formazioni o gruppi o movimenti o partiti indipendentisti, specialmente nell’animato panorama Veneto, si elaborano un’infinità di teorie, si generano svariati credi e certezze, ci si convince della bontà di questa o quella strategia, si pensa di ricorrere a questo o quell’Ente internazionale, si cerca o si è cercato un “giudice a Berlino” che decreti l’illegittimità dello Stato italiano, e come conseguenza la libertà di questo o quel territorio. Ma proviamo a vedere, succintamente, i risultati sin qui ottenuti da queste strategie:

C’è chi pensa di farsi eleggere nelle istituzioni italiane per modificarle “dal di dentro”; ma le innumerevoli fazioni politiche votate a ciò, sino ad oggi, non hanno ottenuto nulla. Non la Lega Nord, non l’Italia dei Valori, non il Movimento 5 Stelle. E citiamo solo i partiti politici più conosciuti, altrimenti la lista si farebbe assai lunga. La questione è che il ‘sistema Italia’ è imperniato sulla concertazione che tutto intreccia, aggroviglia, imbroglia. Grazie al cielo i partiti hanno abbandonato le ideologie, ma quelli post ideologici sembra non abbiano altra finalità che impoverire o saccheggiare o appropriarsi della cosiddetta res publica. In quest’ambito si citano a sproposito le esperienze di Scozia e Catalogna, e si sottace sulle loro peculiarità che rendono maldestro il raffronto con la situazione italiana.
Inutili, sino ad oggi, i vari ricorsi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Coloro che si sono appellati a questa Corte hanno scoperto che nel collegio giudicante è inserito un giudice italiano, e che dunque la terzietà del giudizio è quanto meno messa in dubbio.
A quale altro “giudice a Berlino”, e con quali garanzie di terzietà di giudizio potranno mai appellarsi gli indipendentisti? E nell’ipotesi di un giudizio positivo, l’imperante partitocrazia italica accoglierà il verdetto? C’è da dubitarne visti gli innumerevoli mancati adeguamenti alle direttive dell’UE, che hanno generato non un contenzioso, bensì salatissime multe. I politicanti continuano a svolgere la loro attività politica con scarsa competenza, per lo più con mire ambiziose e per trarne vantaggi personali.
Inutili, sino ad oggi, i vari ricorsi all’ONU. I Movimenti o i Comitati di liberazione nazionale che hanno scritto un numero incalcolabile di denunce. Non hanno mai ricevuto alcuna risposta o un cenno.
C’è chi uniforma il suo agire al diritto internazionale, ma quale sede internazionale è disposta a tutelare questo buon diritto? Quale “giudice a Berlino” è competente? Se questo “diritto” nessuno lo riconosce, che diritto è?
Sull’illegittimità dello Stato italiano molto è stato detto: non c’è solo l’illegittimità della Costituzione, perché mai votata dal popolo “sovrano”; c’è persino la Corte costituzionale italiana che dicembre 2013 sentenzia come di fatto sarebbero decaduti i parlamentari. Eppure, recentemente, questi hanno addirittura deliberato la modifica della Costituzione.

Scriveva Gesualdo Bufalino (Perché odio i politici a cura di Guido Almansi Mondadori, 1991): «Oggi dai politici mi sento rinchiuso fra le stesse quattro mura di un tempo. Mi ripeto la frase illustre: “Io sono solo, loro sono tutti.” E dire che fino a poco fa una parvenza di programmi e contegni contrapposti ancora li distingueva, fuori e dentro il Palazzo. Oggi nel Palazzo ci sono tutti, le divise si scambiano a piacere, quanto più le risse sono fragorose, tanto più sono finte. Un unico gigantesco partito li arruola tutti, dal Montecitorio più grande agli altri, innumerevoli, sparsi per la penisola. E quanto parlano, poi… Quale quotidiano inesauribile vilipendio della parola… È questa l’offesa che duole di più: ci taglieggiano, ci sgovernano, ci malversano… Ma almeno stessero zitti; smettessero questo balletto di maschere, questo carnevale del nulla, al riparo del quale mani avide intascano, leggi inique o vane si scrivono, ogni proposito onesto si sfarina in sillabe senza senso… Esagero? Esagero, ma ditemi: quanti sono oggi coloro che intendono veramente la politica come servizio? E non sono costretti a nascondersi come lebbrosi? E per uno che opera con coscienza e fatica, quanti altri sono solo vesciche pompose, busti di cartone, pastori di nuvole, puri e semplici ladri? Il risultato è sotto gli occhi di tutti: uno Stato tirchio e scialacquatore, frenetico e inerte, feroce e longanime, occhiuto e cieco…».

Ed allora eccoci ritornati ai quesiti di sempre:

Come sarà l’indipendenza di questo o quel territorio?
Chi e come sarà legittimato a governare?
Perché il sistema proposto dagli indipendentisti sarà migliore dell’attuale?

Facciamocene una ragione: non è necessario solo un progetto istituzionale innovativo per convincere il cosiddetto “Fronte Interno”; c’è anche da ottenere un’empatia esterna. Ai circa 200 Stati attualmente esistenti al mondo, interessa poco o niente il diritto all’indipendenza del Veneto o della Lombardia o della Sardegna o quant’altri. Agli Stati interessano i vantaggi, e bisognerà pur elaborare un progetto sui vantaggi che avranno “gli altri” a riconoscere il nostro buon diritto all’autodeterminazione.

Infine, sempre in tema di vantaggi: quale sarebbe quello per un indipendentista nel fare il Sindaco di un Comune qualsiasi sotto dell’attuale Stato italiano? Considerando le disastrate finanze statali e locali si tratterebbe di assumersi l’onere di una “Mission Impossible”; a meno che, anche in questo caso, il predetto indipendentista non avesse un progetto di praticabili riforme del predetto Comune, poiché sembra che le istituzioni pubbliche attuali non siano fatte per dare servizi al pubblico, ma sia il cittadino fatto per servire la burocrazia. Non bastasse: com’è possibile competere all’elezione di un Sindaco, senza una proposta organizzativo-istituzionale innovativa, e quando la partitocrazia mette in campo personaggi disinvolti, e pieni di risorse economiche? Ricordiamo en passant che, per esempio, l’ex Sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, è stato rinviato a giudizio per il finanziamento illecito dei partiti per l’inchiesta Mose. Si parla di 500.000 Euro. Erano solo quelli i soldi a disposizione per la sua campagna elettorale, o ce n’erano di più? E un candidato indipendentista quando mai potrà competere ad armi pari con tali disponibilità economiche?

Se l’esperienza deve essere fatta, gli indipendentisti la concretizzino confrontandosi su un progetto istituzionale che diventi condivisibile. Se le loro teorie e convincimenti non sono in grado di persuadere o non trovano un compromesso accettabile tra chi come loro si considera ed agisce da indipendentista, come potranno mai conquistare l’opinione pubblica?
Dopo essersi conciliati tra di loro, le loro tesi, ed aver concretizzato un’ipotesi di nuovo assetto istituzionale potranno partire alla conquista delle menti e dei cuori dell’opinione pubblica, poiché una volta acquisita questa vittoria non ci sarà partito o istituzione italiana che potranno contrapporsi.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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