Coała xeła l'etega de l'endependenteixmo veneto?

Re: Coała xeła l'etega de l'endependenteixmo veneto?

Messaggioda Berto » mer apr 05, 2017 9:00 pm

L’IDEA INDIPENDENTISTA PER CRESCERE HA NECESSITÀ DI FORNIRE RISPOSTE CHIARE
5 Apr 2017
ENZO TRENTIN

http://www.lindipendenzanuova.com/lidea ... ste-chiare

C’è un mondo indipendentista che poggia le proprie rivendicazioni sui princìpi fondanti dell’ONU, ma ignora che alle belle parole non sempre seguono i fatti. Se ciò avvenisse non avremmo, per esempio, il popolo sahrawi che vive in esilio in campi profughi malgrado abbia tutte le risoluzioni ONU a favore della sua indipendenza. Ne ho scritto qui: http://www.lindipendenzanuova.com/lindi ... -miraggio/ ; né ci sarebbero i palestinesi che vivono in quella sorta di campo di concentramento che è Gaza, il cui territorio è impunemente e costantemente eroso dagli insediamenti di coloni israeliani.

Altri indipendentisti reclamano l’attuazione del dettato di vari Trattati internazionali fatti propri dalla legislazione italiana, per rivendicare la propria autodeterminazione, e nel far ciò fanno ricorso alla La Corte europea dei diritti dell’uomo ignorando il pensiero di Bartolo di Sassoferrato. Una celebrità solo per i cultori della storia del diritto beninteso, che ciò nonostante tutti dovrebbero conoscere almeno in questa sua coraggiosa confessione che cito a memoria: «Ogni volta che mi si propone un problema giuridico, prima sento quale deve essere la soluzione, poi cerco le ragioni tecniche per sostenerla». E se questo era vero per un simile luminare, figurarsi per il magistrato qualunque. Dunque aspettarsi dal giudice un giudizio asettico, pressoché meccanico, come una macchina in cui si infila il fatto e viene sputata fuori la sentenza, è del tutto fuori luogo. Il diritto cerca di mettere ordine e razionalità nelle vicende, tipizzandole in quadri astratti, ma poi in concreto quel diritto viene maneggiato da un essere umano, con la sua cultura (o incultura), la sua affettività, i suoi principi e, perché no? i suoi pregiudizi. Si spiega così che la parola “sentenza” si ricolleghi a “sentire”, cioè alla stessa radice di “sentimento”, non a “sapere”.

bartoloAltri indipendentisti, ancora, rivendicano il diritto a…, ignorando che un diritto che non è riconosciuto da nessuno non vale molto.

Riproposte ancora una volta queste premesse, debbo affermare che generalmente evito d’invischiarmi in polemiche di sorta, e specialmente nelle discussioni che si accendono in Facebook. Tuttavia, in deroga a questa mia regola, prendendo atto che c’è stato un approfondimento che ha ricevuto decine di condivisioni, centinaia di “mi piace”, e circa 150 interventi, ho apportato il contributo che qui sotto propongo alla riflessione della più vasta platea dei lettori di questo quotidiano per alimentare la discussione:

Barbara Benini: 2 aprile 2017 – ore 12,45 https://www.facebook.com/barbara.benini ... 2191160390

Da un sondaggio in VENETO risulta che l’11% vorrebbe l’INDIPENDENZA, oltre il 70% sceglierebbe AUTONOMIA… Dalla mia esperienza personale risulta che almeno 4 su 5 non conoscono la differenza tra i due termini… il che significa che se “si prepara” una CORRETTA INFORMAZIONE, con un progetto serio e fattibile, il dato potrebbe anche triplicare… Se riusciamo ad organizzarci come “si deve”, lavorando in tanti, costantemente costruttivamente, uomini e donne di qualsiasi estrazione sociale – o politica -, (che rappresentano diverse categorie di persone e tutte dovrebbero essere coinvolte)

Se vogliamo provare… considerando che l’invasione selvaggia e le rapine quotidiane da parte dello stato italiano attraverso tasse e accise e leggi assurde non si fermeranno… Auspico che si crei una squadra FORTE per le prossime regionali 2020. Così da poter fare il famoso referendum popolare su un AUTOGOVERNO.

Trentin: PREMESSO CHE SPERO DI NON DOVERMI PENTIRE D’ESSERE INTERVENUTO IN QUESTO POST CON INTENTO COSTRUTTIVO… Barbara Benini, ha aperto la discussione sollecitando la formazione di un organismo collaborativo che dia corpo ad un “progetto per l’indipendenza”.

Scorrendo i vari interventi ho tratto la sensazione che ci sia una ridondanza di significati e di visioni risolutive. Per esempio: Barbara Benini afferma che ci vuole una corretta informazione, e che non c’è molto tempo da qui al 2020 (anno di elezioni regionali in Veneto) per preparare un “progetto indipendentista”.

L’interpretazione che ho dato io è che si voglia un “progetto” per concorrere alle elezioni regionali (cosa più che lecita), che tuttavia è cosa diversa da un “progetto che indichi QUALE indipendenza”. Ovverosia: quali vantaggi avranno i veneti dall’autodeterminazione?

Uno Stato indipendente del Veneto dovrà assolvere a molti compiti. Come saranno svolti tali compiti per il cosiddetto “bene comune” che giustifichi un miglioramento della situazione attuale, e quindi il voto a favore di chi vorrà candidarsi alla guida dell’autodeterminazione?

Faccio un solo esempio, tra i tanti possibili:

1. Il Veneto ha 1.293.133 di pensionati, su una popolazione di 4.937.854 abitanti.
2. Le pensioni erogate sono 1.809.632.
3. I pensionati sono il 26,2% della popolazione della regione.

LE PENSIONI ITALIANE SONO TASSATE CENTO VOLTE QUELLE TEDESCHE (di Roberto Reale – testo in https://www.facebook.com/groups/1011216088931339/)

2.4.2017 – Secondo uno studio della Confesercenti, le tasse sulle pensioni in Italia sono follemente più alte che nel resto d’Europa: su una pensione di 1.500 euro lordi (tre volte il minimo, circa 20 mila euro all’anno) si pagano in Italia 4.000 euro di imposte contro 39 euro in Germania (cento volte di meno!!), 1.900 in Spagna, 1.400 in Gran Bretagna e 1.000 in Francia. E in quattro Paesi – Ungheria, Slovacchia, Bulgaria e Lituania – le pensioni sono addirittura esenti da tasse. Lo studio ha effettuato simulazioni su due tipologie di assegni (applicabili a 16,5 milioni di pensionati italiani): 1,5 volte il minimo (750 euro lordi al mese) e 3 volte il minimo (1.500 euro lordi al mese). Sono stati presi in considerazione pensionati fra 65 e 75 anni senza carichi di famiglia, residenti a Roma (con relative addizionali regionali e comunali). Un pensionato italiano che prende 750 euro al mese è l’unico a pagare le tasse (il 9,17%), mentre un “collega” francese, tedesco, spagnolo e inglese non paga nulla. Chi prende 1.500 euro al mese, in Italia paga comunque il doppio (20,73%) di imposte rispetto alla Spagna (9,5%), il triplo rispetto al Regno Unito (7,2%) e il quadruplo rispetto alla Francia (5,2%). In Germania la stessa fascia di reddito è praticamente esentasse (0,2%).

NATURALMENTE non saranno i Consiglieri regionali veneti (sedicenti indipendentisti) che potranno risolvere la questione delle pensioni. Ciò nonostante, convincere della bontà di un “progetto indipendentista” il 26,2% della popolazione veneta, non sarebbe cosa da perseguire sin d’ora? E trovata una soluzione a questo problema, come ad altri inerenti, non sarebbe cosa da perseguire sin d’ora per ottenere quella CORRETTA INFORMAZIONE che è oggetto degli auspici di Barbara Benini? S’intende che questa non vuole assolutamente essere una provocazione, bensì il suggerimento per una corretta impostazione del problema sollevato.

Benini: Certo, corretto l’esempio dell’INPS come ci sono altri temi importanti… io non sono economista e mi limito a “creare coscienza veneta”. Mi è stato riferito che l’INPS veneta è in utile per quanto si versa e si distribuisce attualmente. Di fatto si devono garantire almeno gli stessi servizi e trattamenti… il valore aggiunto lo troviamo subito dal disavanzo che il Veneto attualmente ha con Roma di circa 20 miliardi… pertanto si dovranno distribuire le risorse al sociale, potendo non tassare pensioni (già tassate all’epoca) e tutelare fasce più deboli… bisogna sicuramente sviluppare tutti i punti principali e adeguare a quanto giustamente debba essere… ovvio che vitalizi, doppie pensioni anche a due cifre non hanno senso, come le pensioni d’oro… riducendo solo le ultime voci si crea un disavanzo ulteriore… Urge un’assemblea costituente che valuti tutti i settori, impostando con onestà e logica tutto il sistema… è ovviamente un mio semplice pensiero dettato dalla logica dei fatti… grazie dei consigli, per me son sempre ben accetti se sono naturali giustificati e pertinenti

Trentin: I sondaggi che citi nella partenza di questa discussione sono da prendere con il beneficio d’inventario, perché tutti i sondaggi sono eterodiretti. Se, come dici, sono quelli forniti da Antonio Guadagnini & Co. NON possiamo ignorare il fatto che il predetto Consigliere regionale è sodale di Luca Zaia, il quale sproloquia di indipendenza del Veneto, ma opera per l’AUTONOMIA del Veneto.

Va bene laddove scrivi: «Urge un’assemblea costituente che valuti tutti i settori…»; ma chi la promuove? Chi sarà chiamato a farne parte? Quali titoli (non intendo solo i titoli accademici) dovrà avere per accedervi?

Un po’ carente mi sembra il discorso: «il Veneto attualmente ha con Roma di circa 20 miliardi…». Infatti per avere lo stesso residuo fiscale si dovrà mantenere la stessa persecutoria imposizione, e allora come avverrà il rilancio dell’economia?

Sul: «Mi è stato riferito che l’INPS veneta è in utile per quanto si versa e si distribuisce attualmente…», con l’indipendenza non credo potrà esistere un’INPS veneta. L’istituto rimarrà italiano, i soldi da esso incamerati, PURE. Secondo quali accordi pagherà le pensioni ai cittadini di un altro Stato? E l’equivalente veneto (indipendente) dell’INPS, opererà con le stesse norme di quello italiano? Oppure come sarà configurato? Quali garanzie offrirà? Che oneri richiederà? A carico di chi saranno tali oneri?

Ora una precisazione; e sia detta con tutto il rispetto: io non ho alcun interesse a dare “Consigli” a te o a chiunque altro. Il mio era il suggerimento che si dà a una discussione per risolvere i problemi connessi all’autodeterminazione. L’intento è di procurare un vantaggio competitivo alla causa indipendentista.

Coloro che hanno in animo di candidarsi a cariche pubbliche (e qui volutamente sorvolo sulla questione che sarebbe molto ampia), HANNO IL DOVERE di formulare proposte credibili a soluzione di OGNI ASPETTO riguardante l’indipendenza, perché è ora di smetterla di concedere la fiducia e il voto a seguito di promesse. TUTTI I POLITICI vanno giudicati per quello che fanno, non per quello che dicono.

Infine, laddove scrivi: «e mi limito a “creare coscienza veneta”…», per ottenere ciò è necessario usare un linguaggio che NON possa essere travisato o equivocato. Per creare tale coscienza è indispensabile fare INFORMAZIONE DOCUMENTABILE.

Benini: io faccio l’arredatrice e gestisco un’azienda, non ho mai fatto politica partitica e non so tutto (anzi ghe ne’ asse’ da saver, de tutto de più) e cerco di informarmi… quando posso, di fatto se l’INPS chiudesse domattina e saltasse tutto il sistema per intenderci, il Veneto dovrà arrangiarsi comunque, pertanto meglio studiare qualcosa già da ora. (che se è vero che c’è un disavanzo di 20 miliardi non vedo neanche grossi problemi, calcolando che ci sono “sprechi” anche in Veneto da tagliare). Per l’assemblea costituente si parte da delle bozze “sulla ragione della logica” per perfezionarla a quello che dovrà essere… si cerca di costruire, di seminare di porre… e comunque si cercherà di coinvolgere più gente competente possibile per la migliore riuscita… tra non molto verrà resa anche pubblica la presentazione di intergruppi, confederazione di sigle che sono in accordo sul preparare “il Veneto indipendente” del dopo, oltre che del come arrivare (tramite referendum autogestito)… buon proseguimento.

La discussione, dopo altri tre stringati post (che non sono entrati nel merito) si è esaurita a questo punto. Ora noi tutti dobbiamo prendere atto dell’onestà intellettuale di Barbara Benini. Ammette di non essere una tuttologa, di non avere le risposte per il caso sopra affrontato, né per tutti gli altri. Tuttavia insiste cocciutamente su un dato economico (il residuo fiscale) tutto da dimostrare, e rimanda ad un immediato futuro le soluzioni che potranno scaturire dall’ennesimo tentativo di coalizione di soggetti indipendentisti veneti. Staremo a vedere!

Per intanto notiamo incidentalmente che Barbara Benini è moglie di Lucio Chiavegato. Una personalità che a differenza degli yes-man che i partiti politici infilano nelle istituzioni a qualsiasi livello, assume le proprie responsabilità e partecipa in maniera compulsiva alla vita politica.
Infatti, nel tempo, è stato tra l’altro:

Componente del direttivo LIFE (Liberi Imprenditori federalisti Veneti).
Presidente dell’estinto partito indipendentista Veneto Stato.
Esponente e candidato di svariati movimenti e partiti indipendentisti.
Animatore di un presidio stradale del movimento “9 Dicembre Forconi”.
“Ospite” (Tsz!) delle galere dello Stato italiano per mezzo della magistratura bresciana che ha avviato il caso del cosiddetto TANKO II. Un processo che è ai suoi esordi, e che al momento appare come un processo alle idee, constatato che al momento non sono noti atti di violenza di nessun tipo.

Insomma, è più che lecito che qualcuno voglia candidarsi a qualcosa, ma gli elettori devono sapere esattamente, e con prove documentali, il motivo per cui votare. O no?
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Coała xeła l'etega de l'endependenteixmo veneto?

Messaggioda Berto » mar giu 27, 2017 9:08 pm

???

I VENETI DIVENTERANNO COME I CIMBRI
27 Giu 2017
di ENZO TRENTIN

http://www.lindipendenzanuova.com/i-ven ... e-i-cimbri

I Cimbri erano una tribù germanica o celtica che assieme ai Teutoni ed agli Ambroni invasero il territorio della repubblica romana alla fine del II secolo a.C. Anticamente, il popolo cimbro si estendeva su un’area assai estesa, dall’Altopiano d’Asiago a est fino alla Folgaria e a Terragnolo a ovest, occupando tutte le testate delle valli dei fiumi vicentini Astico, Leogra, Agno, Chiampo.

I Veneti, a volte indicati anche come Venetici, antichi Veneti o Paleoveneti da cui discendono gli odierni abitanti del Veneto e non solo, furono una popolazione indoeuropea che si stanziò nell’Italia nord-orientale dopo la metà del II millennio a.C. e sviluppò una propria originale civiltà nel corso del millennio successivo.luserna

Al giorno d’oggi, il cimbro è parlato a Luserna, in provincia di Trento, dalla maggioranza della popolazione e cioè da circa 220 persone su 276 abitanti; a Giazza, nell’alta Val d’Illasi in provincia di Verona, da alcune decine di abitanti; a Mezzaselva di Roana, sull’Altopiano d’Asiago, in provincia di Vicenza, da una manciata di persone. A costoro, però, bisogna aggiungere i molti emigrati, che usano ancora questa lingua nella propria famiglia: a Trento, per esempio, i Lusernati ivi residenti che parlano in cimbro sono più numerosi che non nel paese d’origine. Sono molti i Cimbri veronesi che risiedono oggi a Verona e in altri centri del Veronese, a Latina (dove emigrarono al tempo della bonifica delle Paludi Pontine, e cioè tra il 1930 e il 1932), a Varese.

Nella Regione Veneto, malgrado l’italianizzazione forzata, la lingua veneta è tuttora l’idioma famigliare più usato. Il talian (o veneto brasiliano) è una varietà della lingua veneta parlata da circa 500.000 persone come prima lingua e complessivamente da quattro milioni di persone negli Stati brasiliani di Rio Grande do Sul e Santa Catarina, oltre che nei comuni di Santa Teresa e Venda Nova do Imigrante nell’Espírito Santo.

Tralasciando le figure storiche del Veneto, poiché l’elenco sarebbe troppo lungo e si rischierebbe di scordarne alcune, rileviamo che i cimbri hanno avuto il loro personaggio d’eccellenza nella persona di Eduard Reut-Nicolussi. Cresciuto a Luserna, villaggio dell’altopiano dell’Alta Valsugana al tempo sotto dominio asburgico, studiò presso l’Imperial Regio Ginnasio di Trento e poi ad Innsbruck dove diventò giurista. Durante la Grande Guerra si arruolò nei Kaiserjäger (“Cacciatori imperiali trentini”), di cui divenne presto ufficiale, e durante un combattimento venne ferito. Ricevette una medaglia d’oro al Valore, distinguendosi per la sua assoluta dedizione alla causa militare e per la resistenza tenace opposta sul Col di Lana (BL). Dopo la fine della prima guerra mondiale (1918) il territorio del Tirolo Meridionale fu annesso al Regno d’Italia e la situazione divenne difficile per gli abitanti di madrelingua tedesca. Nicolussi divenne uno dei leader politici più popolari della provincia, portando avanti le istanze di unità delle popolazioni germanofone.

A Luserna, da tempo, hanno allestito il «Sentiero Cimbro dell’Immaginario». Tra pascoli e i boschi di abeti, si possono godere vedute panoramiche su Luserna, e i personaggi dell’immaginario cimbro. Il Bellissimo ed emozionante percorso tematico, tra i più belli del Trentino, è un piacevole viaggio alla scoperta dei racconti e delle leggende cimbre. Sculture nel legno e pannelli illustrativi dislocati lungo il percorso raccontano i personaggi che popolano la tradizione locale tra angoli di natura, boschi, pascoli e panorami sulla Val d’Astico. Ne proponiamo qui alcune immagini per documentare le analogie con il vissuto di molte genti venete.

Storie parallele quelle dei cimbri e dei veneti. Con l’unità d’Italia è arrivata solo la miseria, la guerra, la fame, la necessità di emigrare. E nell’odierno 2017 occorre andarsene anche per dare alloggio agli immigrati che lo lo Stato italiano va, per “solidarietà”, a raccattare sulle coste della Libia. Un esempio? Nel Comune di Veniano (Como) sfrattano una famiglia autoctona di poveri per dare la casa ai profughi. [http://www.lindipendenzanuova.com/veniano-como-sfrattano-famiglia-per-dare-la-casa-ai-profughi-il-sindaco-si-ribella-a-ordine-prefetto/] Il sindaco si ribella all’ordine del prefetto. Staremo a vedere come andrà a finire!

Ci sono, però, alcune sostanziali differenze: i cimbri sono sempre stati poche decine di migliaia, i veneti circa 5 milioni, e alcuni calcolano in 15 milioni quelli sparsi per il mondo. In democrazia i veneti dovrebbero accampare qualche sostanziale vantaggio, ma questo non è ottenibile a causa dello statalismo imperante e per la mancanza di personaggi politici di levatura.
I veneti che attualmente si occupano di politica assomigliano più a dei cacciatori di rendite politiche o consumatori di tasse che non ai “rappresentanti” degli interessi del loro popolo.

A conferma della loro leggera confusione mentale ce n’è uno che poco tempo fa ci ha ricordato un memorabile convegno intitolato “Veneto: un popolo sovrano verso l’Europa”, tenutosi a Padova il 5 febbraio 1999. L’organizzazione fu ad opera di un “partito falena” allora in Consiglio Regionale del Veneto; in realtà era formato da tutti fuoriusciti dalla Lega Nord. Lo definiamo “partito falena” per semplicità di linguaggio in quanto non ha un’organizzazione strutturata come i partiti politici tradizionali; non si conosce né il numero degli iscritti, né la sua precisa diffusione geografica, tanto meno l’effettiva influenza politica; non si conosce nemmeno la sua capacità di elaborazione di soluzioni istituzionali, o di filosofica-politica. Si conosce solo il nome del personaggio politico (che vive tuttora di rendite politiche) che è “proprietario” del brand («marchio»; nel linguaggio della pubblicità e del marketing aziendale) che gli consente in caso di elezioni di presentarsi con gli apparentamenti più convenienti, anche perché da solo, e in verità, ultimamente anche in compagnia, ha sempre raccolto percentuali di voto da prefisso telefonico.

Ebbene il sedicente autonomista, federalista ed oggi indipendentista, sopra accennato, con un esercizio prettamente narcisistico ci ha ricordato vanagloriosamente d’essere stato, come relatore, a fianco di Gianfranco Miglio che tra l’altro in occasione di quel convegno disse: «Ho visto che voi avete rievocato in un pamphlet, che mi è stato mandato, il referendum del 1866. I referendum che hanno confermato lo Stato italiano sono tutti referendum fasulli, referendum che non hanno sondato le opinioni vere del popolo italiano, e che quindi non valgono niente. Invocare il referendum del 1866 per dire: “I Veneti si sono vincolati allo Stato italiano”, è una balla; dobbiamo respingere questa idea. Quello che conta è puntare su quello che unisce, sulle poche cose da collocare in una Costituzione speciale per il Veneto.»

Nella sua smemoratezza (o dissociazione?), questo politico continua a battere il contado per tenere conferenza sul referendum truffa del 1866. Ma dove maggiore è l’evidenza della sua (e dei suoi sodali) inadeguatezza a far propria la lezione di Gianfranco Miglio, è in questo ulteriore passaggio del professore comasco al convegno padovano del 5 febbraio 1999: «[…] Veneti, vi esorto a darvi una costituzione, a presentarla in Parlamento per l’applicazione della procedura dell’articolo 138, poi vedremo se avranno il coraggio di respingere la vostra proposta. In questo caso avremo il diritto a mezzi più persuasivi, cioè più coerenti con la sovranità “pre-costituzionale” dei veneti, che a questo punto sono anch’io pronto ad accogliere e difendere. […] Prima una costituzione da cui scavare l’avvenire di noi Veneti, scusate se io ragiono da lombardo-veneto […] lombardi e dei veneti, che sono buoni soltanto a fare soldi, ma a non creare le istituzioni giuridiche.» [http://www.lindipendenzanuova.com/la-preghiera-di-miglio-veneti-fate-in-fretta/#sthash.kfnkrwQ7.dpuf ].

Orbene, a distanza di decenni questo dichiarato autonomista, federalista ed indipendentista, unitamente ai suoi colleghi che ancor oggi siedono sparuti nel parlamentino regionale veneto, non hanno prodotto nulla di credibile, tantomeno hanno pensato di far propri i suggerimenti del professore comasco per l’elaborazione di una bozza costituzionale.

Gli pseudo indipendentisti veneti che siedono nell’istituzione regionale – il presidente Luca Zaia compreso – danno ad intendere che il referendum consultivo per l’autonomia, che è stato indetto per il 22 ottobre 2017, è un passo verso l’indipendenza. Ignorano volutamente (?) che 5 anni fa il lettore Luigi Cifra in calce ad un articolo [https://www.miglioverde.eu/esiste-giustizia-al-di-fuori-del-potere ] aveva proposto il seguente – e più efficace – quesito referendario:


«volete che la vostra regione chieda allo stato italiano
una modifica della costituzione per poter proporre
un referendum sull’indipendenza della regione
che voi attestate con il sì di volere»


In questo modo, formalmente, gli elettori indicherebbero alla Regione Veneto di chiedere allo Stato una modifica di legge. E la vittoria avrebbe comunque valore di “censire” quanti chiedono l’indipendenza avente valore anche per la comunità internazionale.

Ma i lombardo-veneti hanno sempre avuto una rappresentanza politica autonomista, federalista e indipendentista inadeguata, e se continueranno così sono destinati ad essere ridotti come i cimbri.



Alberto Pento
Nulla c'entrano con i Cimbri teutonici che invasero i domini dell'impero romano con i tzinbar dell'Altipiano dei 7 Comuni, della Lessinia, del Cansiglio e di Luserna.
viewforum.php?f=105

Enzo Trentin
Grazie per la precisazione. Tuttavia l'articolo verte sul genocidio culturale che è la distruzione deliberata dell'eredità culturale di una popolazione (i veneti in questo caso) o di una nazione (la millenaria repubblica di Venezia) per ragioni politiche, militari, religiose, ideologiche, etniche e razziali. E nel caso specifico ad opera di politicanti sedicenti autonomisti, federalisti, indipendentisti, che sono più attenti alle loro rendite politiche, piuttosto che eseguire il mandato elettivo di "rappresentanza".

Alberto Pento
A go on mucio de scorlade de cràpa! El jenoçido cultural nol ghe xe mai stà parké Venesia no la ga mai costruio na Nasion Veneta de tuti i veneti.

Coel parlamento veneto de tuti i veneti, mai nato e ke i venesiani ke łi gheva el poder no łi ga mai promòso
viewtopic.php?f=183&t=2597

Alberto Pento
Un altro grande errore è quello di considerare i veneti di oggi come i discendenti dei migranti che portarono in terra veneta l'etnico "veneti" (a torto definiti indoeuropei); errore, perché varie erano le genti che abitavano la terra veneta quando arrivarono questi migranti che portarono l'etnico "veneti" o "veneto" e varie furono anche le genti che poi giunsero successivamente in terra veneta e che nel corso di migliaia di anni si mescolarorno e diedero vita ai veneti odierni: euganei, reti, celti, germani, istro-illiro-slavi, italici, greco-armeni e altre minoranze. Veneti odierni che non sono tanto i veneziani (poche decine di migliaia di persone) ma i milioni di Padova, Verona, Vicenza, Treviso, Belluno e Rovigo.

Alberto Pento
Ricordo anche che i Cimbri dell'Altopiano parlano veneto più che cimbro e sono veneti a tutti gli effetti come lo sono i greco-armeni-bizzantini che si stabilirono nelle lagune quando Venezia si chiamava Rivoalto e tutta l'area era dominio bizzantino. Come sono veneti anche tutti i germani goti-longobardi-franchi e sassoni che a partire dal V° secolo d.C. migrarono in terra veneta.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Coała xeła l'etega de l'endependenteixmo veneto?

Messaggioda Berto » sab set 30, 2017 6:02 am

L'USUCAPIONE DELLA PARTITOCRAZIA SULLA SOVRANITÀ POPOLARE
ENZO TRENTIN
29 settembre 2017

http://www.lindipendenzanuova.com/lusuc ... a-popolare

Clint Eastwood, nelle vesti dell’Ispettore Callaghan, diceva: «le opinioni sono come i coglioni. Ognuno ha i suoi.» Ed è un’opinione quel “pensiero di parte” che malgrado i dati storici inoppugnabili argomenta: «La Costituzione italiana è votata perché è stata redatta da un’Assemblea Costituente, i cui membri sono stati eletti dal popolo il 2 giugno 1946; data in cui ci fu anche il referendum istituzionale relativo alla scelta tra monarchia e repubblica. In quest’ultimo, vinse la repubblica (il 2 giugno infatti viene celebrata la festa della Repubblica).»

In proposito, se in un primo tempo il d.lgs.lgt. n. 151/1944 aveva conferito all’Assemblea costituente il potere di decidere ogni aspetto della futura organizzazione costituzionale, il successivo d.lgs.lgt. n. 98/1946 ha rimesso la scelta della forma istituzionale (monarchia o repubblica) direttamente al corpo elettorale (come è accaduto nello stesso 1946), al cui responso sarebbe stata vincolata la futura Assemblea.
Oltre ad esercitare il potere di redigere e non deliberare la nuova carta costituzionale, l’Assemblea costituente del 1946-1947 aveva anche un limitato potere legislativo (per il resto provvisoriamente delegato al Governo) su alcune materie cruciali, quali la legge elettorale del Senato, gli Statuti speciali, la legge sulla stampa (art. XVII disp. trans. fin. Cost.), nonché l’approvazione del Trattato di pace (c.d. Trattato di Parigi) del 1947.

La Charta italiana non è quindi mai stata votata dal “popolo sovrano” – Comma 2, dell’Art. 1 – cosa che invece hanno fatto innumerevoli popoli, come dimostra qui una lista incompleta di Stati che in epoca recente hanno modificato la loro Costituzione e l’hanno introdotta solo dopo l’approvazione – per mezzo d’apposito referendum – del cosiddetto popolo sovrano, che a questo punto è lecito domandarsi se in Italia sia mai esistito http://www.lindipendenzanuova.com/i-sov ... ndentisti/

Una parte dell’indipendentismo, partendo da queste premesse, parla di usucapione dello Stato da parte della partitocrazia. L’usucapione è un modo per diventare proprietari di un bene senza bisogno di un contratto, di un testamento e, addirittura, senza bisogno di un accordo con il proprietario del bene.

Secondo questo parere legale (https://www.laleggepertutti.it/25338_lu ... e-funziona ) si diventa titolari di un bene altrui, anche se si è in mala fede (ossia si sappia che il bene è di proprietà di un altro soggetto) purché si sia posseduto il bene (cioè lo si abbia utilizzato o comunque se ne sia usufruito in qualche modo); per un periodo di tempo predeterminato; e ci si sia comportati, durante questo periodo, come se si fosse i veri proprietari, cioè alla luce del sole e davanti a tutta la collettività (pertanto non potrà usucapire un casolare il barbone che di notte vi acceda di nascosto, senza farsi vedere da nessuno).

L’acquisto del possesso non deve essere avvenuto in modo violento o clandestino (per esempio, con un’appropriazione indebita, con la creazione di recinti per evitare al proprietario di riprendersi la sua proprietà, ecc.), altrimenti l’usucapione non inizia a decorrere (o inizia a decorrere dal momento in cui è cessata la situazione di violenza o di clandestinità).

Dall’altro lato, il proprietario effettivo del bene (nel nostro caso il “popolo sovrano” che tramite le elezioni delega completamente gli affari pubblici alla partitocrazia) deve essersi disinteressato completamente di questa situazione, lasciando (in modo consapevole o inconsapevole) che il bene venisse utilizzato dall’altro soggetto. Anche se il predetto bene (la sovranità) si è “acquistato” in buona fede, e in base a un atto pubblico registrato, da un soggetto che, tuttavia, non era il vero proprietario del bene stesso.

Ciò nonostante, non tutti i beni possono essere usucapiti: non lo sono, per esempio, i beni demaniali e del patrimonio dello Stato o di altri Enti territoriali (v. il Comune). Per esempio, non si può usucapire lo spazio di un parcheggio pubblico solo perché lo si è recintato e si è sempre parcheggiato in quel posto, con divieto a qualsiasi altra persona di utilizzarlo. Così non dovrebbero essere posti in vendita i beni (esempio: le aziende) dello Stato.

Ci sono indipendentisti veneti che si sono entusiasmati alla notizia che il 16 dicembre 2010 con la firma del ministro per la Semplificazione normativa Roberto Calderoli, del ministro della Giustizia Angelino Alfano e perfino del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi veniva abrogata per errore dal governo l’annessione del Veneto all’Italia, ed è così finito anche il Regio Decreto 3300 del 4 novembre del 1866 con il quale «le provincie della Venezia e quelle di Mantova fanno parte integrante del Regno d’Italia.»

Ma pleonastico, sembrerebbe, il ricorrere al giudice italiano la cui azione appare incomprensibile all’uomo qualunque. Per esempio: «Ruba alle Poste: impiegato licenziato dopo la condanna, ma un giudice ordina reintegro e il pagamento degli arretrati.» Si veda qui: http://www.repubblica.it/cronaca/2017/0 ... -175991116

Tralasciamo, per brevità, anche le altre leggi italiane che hanno acquisito impegni e trattati internazionali in materia di autodeterminazione, e quant’altro affine. Concentriamoci su alcuni fatti incontestabili:

Le persone che governano gli Stati vivono prevalentemente di rendite politiche.
Gli Stati non hanno alcun interesse a perdere una parte dei loro territori, ivi comprese le eventuali risorse naturali, e la popolazione residente in veste di taxpayers (contribuenti). E lo si constata in questi giorni nelle vicende della Catalogna, la cui aspirazione all’indipendenza non ha avuto il sostegno dell’UE, né – tra gli altri – del Presidente degli USA Donal Trump.
Si consideri che col progressivo svanire del suo ideale, il popolo perde ciò che sta all’origine della sua coesione, unità e forza. L’individuo può ancora sviluppare la sua personalità e la sua intelligenza, ma all’egoismo collettivo subentra uno sviluppo eccessivo dell’egoismo individuale, accompagnato da un rammollimento del carattere e da un’attenuazione della volontà attiva. Il popolo, l’unità, il blocco, diventa allora un agglomerato di individui senza coesione, e per qualche tempo ancora mantiene artificialmente tradizioni e istituzioni. Divisi dagli interessi e dalle aspirazioni, incapaci di governarsi, gli uomini a quel punto domandano d’essere guidati fin nei più trascurabili gesti ed invocano uno Stato che eserciti un’influenza preponderante. Si veda Gustave Le Bon: «Psicologia delle folle».
Per ottenere l’autodeterminazione, il popolo deve avere istituzioni o altri mezzi per esprimere le proprie caratteristiche comuni e il suo desiderio di identità. Vedasi UNESCO [Doc. SHS-89/CONF. 602/7, Parigi, 22 febbraio 1990) § 22 Popolo:

http://unipd-centrodirittiumani.it/publ ... 01_083.pdf

Nel caso Veneto, come possono i “cittadini qualunque” dare la fiducia a uno schieramento indipendentista piuttosto che a un altro (qualcuno ha censito 22 gruppi, associazioni e/o partiti indipendentisti veneti, di cui 2 “multi-gruppi”, più 7 autogoverni veneti ed il 121esimo Doge della Repubblica Serenissima) quando non conoscono con chiarezza la sostanza dei contenuti della politica proposta? Senza la condivisone dei valori fondanti, e senza la conoscenza dei contenuti ci può essere fiducia?

Non esiste neppure un “giudice a Berlino“, che è un vecchio modo di dire nato dalla vicenda di un poveraccio, in Germania, rimasto senza mulino ma che alla fine ebbe giustizia. E questo perché le Corti internazionali sono state istituite dagli Stati per “difendere” gli Stati. Illusorio è credere che l’ONU – al quale alcuni pretendono d’aver ricorso e ricevuto sostegno o riconoscimento – possa essere risolutivo. Quante sono le risoluzioni ONU a favore di questo o quel popolo rimaste lettera morta? Innumerevoli!

Una possibilità è la secessione, previa una bozza di innovativo assetto istituzionale, condiviso da buona parte della popolazione cui si rivolge. Si veda in proposito i catalani. La contemporanea realizzare di un sistema di libero commercio, tramite accordi bilaterali, con l’eliminazione di dazi e restrizioni alla circolazione di beni, servizi e fattori di produzione; lasciando ad una successiva fase la fissazione di una tariffa esterna comune, nonché del coordinamento delle politiche macro-economiche e settoriali. Ovvero, dove passano le merci non passano i cannoni. Ma chi raccoglierà questa sfida?
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Re: Coała xeła l'etega de l'endependenteixmo veneto?

Messaggioda Berto » sab mag 05, 2018 7:15 am

Politica in Italia, i partiti e le loro liste civiche
2018/05
Enzo Trentin

https://www.vicenzareport.it/2018/05/po ... te-civiche

Vicenza – Il politologo Giorgio Galli sulla fine dei partiti scrive: oggi a causa della complessità della società, la democrazia rappresentativa – l’insieme di partiti, sistemi elettorali, consigli regionali, provinciali e comunali – è in crisi, e non solo in Italia. Esempi notevoli sono la Francia di Macron, gli Stati Uniti di Trump, o Beppe Grillo e il suo MoVimento 5 Stelle in Italia. La protesta antipartitica di M5S non è però nuova alla politica italiana. Il suo più famoso predecessore fu Guglielmo Giannini, fondatore e leader del Fronte dell’Uomo Qualunque, che alle elezioni del 1946, per la nascita dell’Assemblea costituente raccolse 1.211.956 voti, pari al 5,3% delle preferenze e 30 seggi, più 4 rappresentanti alla Camera e 3 al Senato.

In epoca di grandi spinte ideologiche, Giannini sosteneva che lo Stato non dovesse avere natura politica ma solo amministrativa: «Per governare basta un buon ragioniere che entri in carica il 1° gennaio e se ne vada il 31 dicembre, e non sia rieleggibile». Sulla “catastrofe” dei partiti politici altri autori si erano precedentemente espressi: «La funzione delle masse in democrazia non è quella di governare, ma di intimidire i governanti.» (Moisei Ostrogorski, “La democrazia ed i partiti politici” – Paris, 1912 -, Cap. XII par. V) «La dove i cittadini si manifestano in generale incapaci di affermare la loro personalità, i governanti li dirigono a modo loro come fossero marionette o li considerano come strumenti a loro disposizione.» (ibidem, Cap. XII, par. VIII).

Ancora, nel: «Manifesto per la soppressione dei partiti politici» Simone Weil; incaricata nel 1943 dal governo di Charles De Gaulle in esilio durante la guerra, di elaborare una forma di Costituzione per la Francia futura, pensò in modo radicalmente nuovo. Vi si legge: «Dovunque ci sono partiti politici, la democrazia è morta. Non resta altra soluzione pratica che la vita pubblica senza partiti». Bisogna creare un’atmosfera culturale tale, dice Simone Weil, che «un rappresentante del popolo non concepisca di abdicare alla propria dignità al punto da diventare membro disciplinato di un partito». Simone Weil respinge l’obiezione che l’abolizione dei partiti avrebbe colpito la libertà d’associazione e d’opinione. «La libertà d’associazione è, in genere, la libertà delle associazioni», contro quella degli esseri umani. Infatti, «la libertà d’espressione è un bisogno dell’intelligenza, e l’intelligenza risiede solo nell’essere umano individualmente considerato. L’intelligenza non può essere esercitata collettivamente, quindi nessun gruppo può legittimamente aspirare alla libertà d’espressione.»

Se una potenza straniera si impadronisse degli Stati Uniti e obbligasse i cittadini americani a rinunciare al 70% dei loro redditi, imponesse loro di conformarsi a decine di migliaia di differenti obblighi (il contenuto di molti dei quali è però tenuto a loro ignoto), proibisse a gran parte dei cittadini di usare le loro proprietà, e negasse a molti la possibilità di lavorare anche grazie ad una tassazione persecutoria, vi sarebbe unanime riconoscimento del fatto che la popolazione si troverebbe sotto una tirannia. Eppure la principale differenza tra la realtà corrente e lo scenario dell’invasione straniera sta nelle forme democratiche attraverso cui il potere dello Stato in Italia è oggi consacrato. Vi sono pochi errori così pericolosi nel pensiero politico come quello di ritenere che democrazia e libertà coincidano. Sfortunatamente, questo è uno degli sbagli più diffusi in Italia, e una delle principali ragioni per cui sono rimasti così pochi limiti al potere dei partiti e dello Stato.

È della massima importanza spazzar via la confusione intellettuale che vi sta al fondo. Ridimensionare o addirittura abolire il potere dei partiti politici ad alta vocazione parassitaria ha a che vedere con le più forti ragioni morali per difendere la libertà. La vera essenza dei partiti è la coercizione e la miseria, solo perché essi sono mossi dall’ambizione di mettere le mani su qualche leva di comando della colossale macchina economico-coercitiva e propagandistica che il sistema rende necessaria. Stando ai fatti, lo Stato occupato dai partiti e dai loro coadiuvanti, tiene in piedi con gli espedienti più diversi la spoliazione fiscale, agisce con immoralità molto maggiore che non l’individuo che viola tali regole vessatorie per preservare il frutto del suo lavoro. Non possiamo credere che ciò sia morale, e contribuisca a migliorare il mondo.

In sostituzione della forma-partito tradizionale, Moisei Ostrogorski già un secolo fa aveva auspicato la nascita di «organizzazioni single issue» [per singola questione], in grado di riunire i suoi aderenti su obiettivi specifici e destinate a sciogliersi una volta raggiunto lo scopo prefisso. Gli iscritti, secondo Ostrogorski, sarebbero così affrancati dall’esigenza di assicurare una fedeltà irrazionale ed illimitata; verrebbe meno l’oppressione di una struttura organizzativa votata alla conquista del potere, innanzitutto attraverso il ricorso alla corruzione, al clientelismo, e alla concertazione.

Il nostro vivere quotidiano c’insegna che nessuno scrittore ha mai pienamente successo. La disparità tra l’opera concepita e quella realizzata è sempre troppo grande, e il massimo cui si può aspirare è un livello accettabile di fallimento. Noi scriviamo da tempo della bancarotta dei partiti politici che è sotto gli occhi di tutti. I partiti per primi ne sono consci, e malgrado il nostro scrivere essi e quello di molti altri, ultimamente, hanno perfettamente compreso come non sia più premiante per loro presentarsi all’elettorato nelle proprie vesti originali. Ed eccoli allora (e ci riferiamo in particolare, e per una questione di attualità, alle elezioni al Comune di Vicenza) mimetizzarsi, camuffarsi e rimpannucciarsi da liste civiche.

Una miriade di liste civiche, il prossimo 10 giugno, appoggeranno sia il candidato di centrosinistra come quello di centrodestra, che peraltro hanno programmi quasi simili. Si approfitterà della buona fede, dell’inesperienza e del sottile spessore politico di molti comuni cittadini, che sono stati inseriti e frammischiati con qualche tax consumers di lungo corso. Lo si può constatare nelle foto di presentazione dei vari gruppi concorrenti che appaiono in questi giorni sulla stampa. A queste persone, espressione della cosiddetta società civile, se elette, verrà dato qualche incarico di poco o nessun conto qua e là, illudendole di poter essere incisive.

Con le predette liste civiche si otterranno così quei voti che altrimenti sarebbero loro preclusi. Infatti, il primo dato ufficiale che arriva dalle urne molisane, 22 aprile 2018, è la vittoria dell’astensione: un avente diritto su due ha deciso di rimanere a casa e non esprimere il proprio voto per le elezioni regionali. In Friuli-Venezia Giulia per l’elezione del nuovo presidente della Regione e il rinnovo del consiglio regionale, il 29 aprile 2018, l’affluenza è stata del 49,63%.

Ma le liste civiche “fiancheggiatrici” servono anche in campagna elettorale per occupare in forma invasiva e preponderante tutti gli spazi pubblici atti alla propaganda politica. Cercano poi di dare l’impressione di “potenza”, di “preveggenza” e di “consenso”; ma i politici più navigati assieme alla burocrazia si guarderanno bene dal fare le riforme che sono necessarie (Achille Variati docet) ovverosia il bilanciamento della democrazia rappresentativa con il corretto, libero e tempestivo uso degli strumenti di partecipazione popolare: la democrazia diretta. Troppo grande è il loro interesse di continuare a vivere di prebende, privilegi, ed ossequio spesso immeritato a spese dei mansueti taxpayers. È necessario strappare l’etichetta falsa come le loro fake news, e riconoscere che il nemico della democrazia sono proprio partiti anche se è molto difficile vincerli. Non sono altro che un’oligarchia oppressiva e repressiva.

A chi ci chiede a che serve questo nostro civico impegno a denunciare il “malaffare politico” ricordiamo una bella storia ebraica: Un giusto si è fitto in capo di salvare gli abitanti di una città, in preda al peccato. E perciò ogni giorno gira per tutte le strade, con un cartello che esorta gli abitanti a non rubare, a non uccidere, a non commettere altri mali. All’inizio, tutti lo guardano perplessi; molti sorridono, o scuotono il capo. Tutti continuano a commettere peccati. Passano i giorni e gli anni e il giusto continua a girare con il suo cartello. Ormai è diventato vecchio, continua a girare e a gridare di non violare i comandamenti. Finché un giorno un bambino gli chiede: «Ma non ti sei accorto che gridi, gridi, e nessuno ti ascolta? Non ti accorgi che tutto quel che fai non serve a nulla?». «Certo», risponde il vecchio, «me ne sono accorto. All’inizio giravo, giravo e gridavo, perché speravo di cambiarli. Ora però mi rendo conto che non li cambierò mai. Ma non smetterò di gridare. E se ora continuo a gridare, è perché non voglio che loro cambino me».



Referendo par l'endependensa e i fanfaroni
viewtopic.php?f=126&t=420
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Re: Coała xeła l'etega de l'endependenteixmo veneto?

Messaggioda Berto » gio ago 30, 2018 7:06 am

Politica, ragioniamo sull’indipendentismo veneto
28 agosto 2018
Enzo Trentin

https://www.vicenzareport.it/2018/08/po ... mment-5468

Vicenza – Per le elezioni regionali nel Veneto, del 2015, la Corte d’Appello decise di fare un ulteriore approfondimento (ça va sans dire: il terzo) per l’assegnazione dei seggi in base ai resti. Il presidente Luca Zaia si era frattanto lamentato per questo iter, durato oltre un mese, senza rendersi conto che probabilmente le difficoltà sorgevano dall’interpretazione della legge elettorale emanata dalla precedente amministrazione, sempre a guida Zaia. La conclusione fu che ad “arrampicarsi” in Consiglio regionale fu una persona assai disinvolta, candidata nel collegio di Vicenza, portatrice di una genealogia politica inopportuna.

Poco tempo dopo la nomina, i suoi ex compagni di cordata gli si rivoltarono contro: «Ha firmato un patto, paghi 200 mila euro» […] Via l’indipendenza dal logo, faremo causa al consigliere Antonio Guadagnini.» E lui di rimando: «Volevano impormi cosa fare, quel testo non vale».

«Il problema sostanziale non è l’aspetto economico – precisava Roberto Agirmo, suo compagno di coalizione elettorale – ma il tradimento degli ideali indipendentisti, dei tanti militanti, della fiducia. Della causa». Il patto di cui parlano è consultabile qui. E invero è molto ampio e vincolante. A queste accuse il consigliere Guadagnini replicò: «Se mi fanno causa, mi difenderò. Sono tranquillo, perché per fortuna la Costituzione dice che si è eletti senza vincolo di mandato. Quell’accordo neanche l’ho letto, era nelle carte da firmare per la candidatura e sono tutte cose che non vincolano. Un patto leonino senza valore. Duecentomila euro sono una bella cifra: per fare le cose per bene bisognava andare davanti ad un notaio».

Un consistente numero di elettori – non necessariamente di fede indipendentista – ha riflettuto sulle dichiarazioni di questo “rappresentante” sotto il profilo etico-morale:

Egli si appella alla Costituzione la quale dice che si è eletti senza vincolo di mandato. Ne consegue che gli elettori non scelgono il loro “rappresentante” per portare in sede appropriata le loro istanze, ma più probabilmente votano il loro “padrone”.
In ogni caso, costui non accetta di cooperare con i suoi alleati malgrado gli impegni assunti anche verbalmente. Tanto meno, si suppone, accetterà le richieste dei suoi mandanti, ovvero chi l’ha votato.
Antonio Guadagnini sostiene d’aver firmato l’accordo elettorale senza averlo letto, e di non considerarlo vincolante. Ovvero i veneti hanno un “rappresentante” regionale irresponsabile. Firma alla cieca, benché “sul suo onore”. Non ritiene di dover rispettare i patti sottoscritti senza che gli sia stato per questo torto un braccio, e li considera leonini.
È palesemente così poco responsabile che pretende d’avere l’avvallo e la garanzia notarile per riconoscere un preciso impegno politico liberamente assunto.
Se la sua firma in calce ad un accordo spontaneamente sottoscritto non vale nulla, quanto varrà la sua parola?

Ora, a prescindere dalle beghe tra politicanti, le legittime domande di molti cittadini veneti che aspirano non tanto all’autodeterminazione quanto ad una vita pubblica costumata e ordinata, sono:

Questo spigliato rappresentante politico a che tipo di Stato Veneto indipendente può condurre?
I militanti di “Siamo Veneto” (il gruppo politico creato ad hoc dal Consigliere regionale Antonio Guadagnini) hanno coscienza di questi aspetti etico-morali?
I predetti attivisti hanno consapevolezza della singolarità e dell’irresponsabilità di tali dichiarazioni, e conseguenti comportamenti politici?
Giovedì 12 luglio 2018, i movimenti “Indipendenza Veneta” e “Siamo Veneto” hanno convocato una conferenza stampa, presso il consiglio regionale del Veneto, per comunicare l’intenzione di avviare un percorso comune che porti l’indipendentismo a centrare i prossimi obiettivi con coralità e collaborazione. Erano avversari alle elezioni regionali del 2015, adesso vogliono costruire una casa comune per tutti gli indipendentisti veneti, sapendo che la prossima tappa sarà quella delle urne del 2020 quando si tornerà a votare per Palazzo Balbi. Juri De Luca, portavoce di “Indipendenza Veneta” ha dichiarato: «Il nostro percorso fin qui è stato condito da coerenza, chiarezza e credibilità. Ora stiamo aggiungendo la concretezza, che serve per portare a casa i risultati di cui il Veneto necessita». Gli attivisti di queste due formazioni sedicenti indipendentiste hanno la percezione del fatto che avvallando questo modo di fare politica sono conniventi, complici, e favoreggiatori di una mala politica nella quale prevalgono episodi di dissolutezza?
Considerata la disaffezione ad esercitare il voto da parte di oltre il 50% degli aventi diritto, possono essere questi disinibiti comportamenti politici a risolvere le questioni che affliggono i veneti e gli italiani in generale?

Le persone sono diventate sempre meno capaci di analizzare razionalmente le idee e i comportamenti corretti, così ricorrono immediatamente all’uso della forza per mettere a tacere le voci che sfidano la loro visione del mondo. È un segno dell’ipersensibilità del mondo contemporaneo che le persone istintivamente mettano a tacere le opinioni contrarie piuttosto che conversare e dibattere con coloro con cui non sono d’accordo. Dibattere, poi, presuppone una certa capacità di discernimento, sagacia, buonsenso.

La ragione e il senso del dovere devono guidare il nostro cammino sul viale dell’etica. E seppure etica e morale vengono spesso confuse o scambiate come fossero esatti sinonimi nella pratica (tutti noi usiamo indistintamente espressioni come “non rubare è eticamente corretto”, oppure “non rubare è moralmente corretto”), se vogliamo essere pignoli e riferirci al significato effettivo dei due termini, dovremo più precisamente concludere che: l’etica cerca di studiare delle regole oggettive in base alle quali poter definire i comportamenti corretti e buoni; la morale è la percezione che gli individui hanno sul fatto che determinati comportamenti siano corretti e buoni.

La filosofia morale è una riflessione, quasi una sorta di indagine speculativa, sul corretto agire. La morale non cambia in relazione al soggetto, ma tiene conto solo dell’oggetto, della realtà a cui viene applicata. Accade in vero assai spesso, che si confonda l’agire moralmente con l’essere un moralista (in senso dispregiativo): è morale solo colui che si comporta in maniera morale di fronte ai casi della vita, non chi si limita a giudicare, con eccessiva intransigenza e ipocrisia, la moralità altrui. Salvo, poi, magari adottare comportamenti tutt’altro che morali.

C’è, inoltre, il concetto di dovere che si pone in questi termini: rispettare i bisogni e i desideri altrui, e non creare infelicità al nostro prossimo. La ragione ci consente di perseguire una morale oggettiva ma, nello stesso tempo, autonoma; la ragione ci indica come sia doveroso agire (addivenendo, così, a una morale razionale), fermo restando che occorrerà purificare la ragione da condizionamenti ancestrali presenti in ciascuno di noi, derivati dall’esperienza individuale. Dunque, troppo soggettiva e per ciò stesso nemica di ciò che aspiriamo a conseguire.

E la libertà? La libertà assoluta esiste solo se vi sono delle regole assolutamente morali. Queste regole ci permettono di rispettare il nostro prossimo e, conseguentemente, di poter essere applicate in maniera oggettiva. Immanuel Kant non ci dice quale sia la morale universale, ma ci aiuta nella nostra ricerca, fornendoci alcuni precetti basilari:

Agisci avendo cura di verificare se la tua azione può essere universalizzata: rubare, può essere categorico se muori di fame, ma non potremo certo definirlo universalizzabile; quindi, rubare non è senz’altro morale.
Agisci in maniera da trattare l’umanità come un fine, non come un mezzo: Machiavelli, nel dare consigli di vita al “suo principe”, ricorda che questi dovrebbe porre maggiore attenzione al fine e non al mezzo; l’uomo deve ricordarsi sempre che il suo fine ultimo è il benessere degli altri, e non usare gli altri come mezzo per ottenere il proprio fine.

Con queste sommarie considerazioni passiamo ad analizzare lo “stato dell’arte” dell’indipendentismo veneto, convenzionalmente considerato come il più effervescente in Italia. Ebbene non possiamo che constatare il suo assopimento, dovuto principalmente alla repressione dell’indipendentismo catalano, considerato che da circa dieci mesi sono in carcere alcuni esponenti indipendentisti il cui unico reato risiede nelle loro idee, non in attentati terroristici o fatti di sangue. La Guardia Civil della “democratica” Spagna ha profuso manganellate con dovizia, a una folla inerme e pacifica, che sono state riprese dalle televisioni di mezzo mondo. Insomma, pensare alla “conquista elettorale” della Regione Veneto come premessa all’indipendenza non sembra premiante, né agile e tantomeno celere.

C’è poi l’oggettiva “noncuranza” della questione da parte degli Stati nazionali, dell’Ue, e della politica internazionale. Gli Stati nazionali, ovviamente, non hanno interesse a vender ridotto il loro potere su territori e popolazioni residenti. I “consumer tax”, genericamente identificabili nella casta politico-burocratica potrebbero veder limitati i loro agi, privilegi, rendite politiche e quant’altro affine, che sono sempre rimborsati a piè di lista dai contribuenti. L’Ue, malgrado le sue enunciazioni di principio, rappresenta gli Stati e non i popoli che li compongono, lo abbiamo visto con la Spagna. Infine, l’indipendentismo veneto non ha mai coltivato sostegni internazionali di una qualche rilevanza che lo appoggi, e ne supporti le rivendicazioni.

Esiste una “domanda” di autodeterminazione da parte di una fetta consistente di popolazione veneta, ma all’attivismo indipendentista manca una Intelligencija generatrice di un progetto istituzionale innovativo. Non c’è qualcuno che sia veramente in grado di motivare, guidare e condurre alla vittoria. La militanza politica veneto-indipendentista è assorbita in revival folkloristici che si appagano di simboli: un’infinità di leoni marciani, bandiere, gadget, et similia. Si imbeve di reminiscenze storiche legittime, indispensabili e meritorie, ma che finiscono per idealizzare un passato non più replicabile. Ci sono poi coloro che in maniera molto naïf rivendicano leggi e diritti, dimenticando che la partitocrazia ha più volte eluso la sua stessa Costituzione.

A questo proposito un interessante punto di vista dello scrittore e giornalista Romani Bracalini lo si trova qui. Mentre un diritto che nessuno riconosce non vale molto. Tant’è che l’avvocato Alessio Morosin, fondatore e guida del movimento “Indipendenza Veneta”, s’è visto rigettare dalla Corte Costituzionale – nell’udienza del 28 Aprile 2015, con sentenza 118/2025 – il preteso diritto all’autodeterminazione.

I partiti politici tradizionali hanno poi artatamente sviato la questione dell’autodeterminazione proponendo un referendum (consultivo, quindi senza effetti deliberativi) sull’autonomia del Veneto, ben sapendo che autonomia e indipendenza non sono sinonimi, e quindi giocano sull’equivoco. La rappresentanza movimentista e partitocratica dell’indipendentismo veneto si è di converso distinta per animosità, malanimo e rancore, a cui vanno aggiunte la frammentazione, l’inutilità e l’insignificanza elettorali. Infine, come abbiamo visto più sopra, i politici veneti sedicenti indipendentisti, non brillano per indubbi comportamenti etico-morali. Tutti sembrano ignorare che la fama è fugace, mentre l’infamia dura molto più a lungo.

La ragione e il senso del dovere guidano il cammino sul viale dell’etica. Quando si è convinti di fare la cosa giusta, quando si avverte l’imperativo categorico di compiere ciò che è reputato doveroso anche contro il nostro stesso interesse personale, allora significa che la ragione ha vinto sulle passioni, e facendoci comprendere come l’imperativo morale sia da ritenersi universalmente incondizionato, ci conduce liberamente sulla strada di un agire eticamente e moralmente valido.
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Re: Coała xeła l'etega de l'endependenteixmo veneto?

Messaggioda Berto » mar ott 02, 2018 7:13 am

Intervista impossibile all’indipendentista veneto
Enzo Trentin
01/09/2018

https://www.vicenzareport.it/2018/09/in ... sta-veneto

Vicenza – È un’intervista impossibile, perché il personaggio dice parole che ha effettivamente detto oppure che avrebbe potuto o dovuto dire, e dicendole ci illumina su di sé, sulle proprie azioni e sulle sue motivazioni. La scelta del personaggio è libera, perché realmente esiste. È un gioco diverso, di fantacritica, di ipotesi, e naturalmente per le più varie valutazioni sul personaggio del “rappresentante” politico che persegue l’autodeterminazione.

Un certo numero di veneti si dichiarano indipendentisti, molti altri lo sono nell’intimo, e si distinguono dagli autonomisti perché non disdegnano l’idea di un’uscita del Veneto dall’Italia, dall’Ue, dall’euro, e dalla Nato. Sarebbe un evento finora mai verificatosi. Allo stato attuale si può dire che molti abbiano spiritualmente elaborato ipotesi e aspettative più che plausibili su un evento del genere. Certamente avrebbe un impatto enorme. Quanto alla sua spiegazione, è decisamente chiaro a priori quali potrebbero essere i motivi dell’uscita.

Il nostro personaggio lo chiameremo convenzionalmente Cigno Nero. Il termine “cigno nero” è tratto dalla frase del poeta latino Giovenale “rara avis in terris nigroque simillima cygno”. Questa espressione era utilizzata nelle discussioni filosofiche del sedicesimo secolo a indicare un fatto impossibile o perlomeno improbabile. Si basa sulla presunzione che “tutti i cigni sono bianchi”, asserzione che ha avuto un senso fino alla scoperta del cigno nero australiano Cygnus atratus da parte degli esploratori europei.

Questo esempio dimostra come né il ragionamento deduttivo né quello induttivo sono infallibili. Un argomento dipende dalla verità delle sue premesse: una falsa premessa può portare a un risultato sbagliato, e dei dati limitati producono una conclusione non corretta. Il limite del ragionamento secondo cui “tutti i cigni sono bianchi” è dato dai limiti dell’esperienza, la quale ci fa credere che non esistano cigni neri.

Domanda di un elettore veneto: Perché vuole l’indipendenza del Veneto?

Risposta di Cigno Nero: Non credo che il limitato spazio del suo articolo possa contenere tutte le motivazioni che potrei esporre. Mi lasci semplicisticamente dire che l’autodeterminazione politica è il diritto di un popolo. I Veneti possono definirsi un popolo (quello italiano non esiste. Nella penisola vivono vari popoli), perché in generale sono un complesso di individui di una stessa area, che ha origini, lingua, tradizioni religiose e culturali, istituti, leggi e ordinamenti comuni. Si sono costituiti in collettività etnica costituiti in collettività etnica all’incirca tre millenni or sono. Hanno formato una nazione avente una organizzazione repubblicana che è durata oltre 1.100 anni, e con la sua indipendenza politica sono state realizzate infinite ed eccellenti opere di governo, legislative, sociali, e per ognuna delle cosiddette sette muse. Per il popolo veneto l’indipendenza è il prerequisito per un duraturo dominio politico ed economico.

D. – Lei vuole resuscitare l’antica Repubblica di Venezia?

R. – Non necessariamente. Dico più semplicemente che se non sappiamo da dove proveniamo, difficilmente sapremo dove andare. In quella repubblica c’erano molte cose buone (che possono essere ripristinate o meno), soprattutto se contestualizzata al suo tempo dominato da despoti e tirannie d’ogni genere. Le nostre istanze, e bene sottolinearlo, sono di carattere identitario che non ha nulla a che fare con il nazionalismo che abbiamo conosciuto nel ventesimo secolo.

D. – Lei vuole essere eletto alla Regione Veneto per poter da lì legiferare ed ottenere l’indipendenza?

R. – Sì! Io e chi la pensa come me non siamo golpisti, siamo gente normale che chiede di poter votare per l’autodeterminazione del popolo veneto. Non abbiamo nulla contro l’Italia.

D. – Dunque lei aspira ad essere il, o un, legislatore?

R. – Sì! E non posso chiudere gli occhi sull’esperienza scozzese, e catalana. Anzi traggo consapevolezza da quegli esperimenti.

D. – Nel celebre libro del 2007 “Cigno nero” di Nassim Taleb c’è una definizione già nella prima pagina del prologo: “Ciò che qui chiameremo Cigno nero è un evento che possiede le tre caratteristiche seguenti. In primo luogo, è un evento isolato, che non rientra nel campo delle normali aspettative, perché niente nel passato può indicare in modo plausibile la sua possibilità. In secondo luogo, ha un impatto enorme. In terzo luogo, nonostante il suo carattere di evento isolato, la natura umana ci spinge a elaborare a posteriori giustificazioni della sua comparsa, per renderlo spiegabile e prevedibile”.

L’uscita del Veneto dall’Italia, dall’Ue, dalla Nato (altra cosa è lo smantellamento delle basi Usa in Veneto), dall’Euro sarebbe (ad oggi) senz’altro un evento isolato, che non rientra nel campo delle normali aspettative, soprattutto perché niente nel sistema partitocratico può indicare in modo plausibile la sua possibilità. Non ci sono poi dubbi sul fatto che avrebbe un impatto enorme. Equivarrebbe a cambiare il governo con il consenso del governo. Mentre non c’interessano affatto le elaborazioni a posteriori per giustificare l’autodeterminazione, per renderla spiegabile, prevedibile, auspicabile.

Gli indipendentisti scozzesi e catalani hanno chiesto il voto referendario degli elettori, ma questi ultimi sapevano perfettamente quale nuova organizzazione sociale gli scissionisti avrebbero realizzato una volta eletti. Nel suo caso (Cigno nero), invece, par di capire che non è stato capace o non ha voluto produrre a tutt’oggi nemmeno una bozza di nuovo assetto istituzionale, perché prima vuole essere eletto, e dopo agirà. Insomma lei non ci dice:

se e come verranno individuati i nuovi “rappresentanti”?
come funzionerà il nuovo governo?
la nuova giustizia?
Le questioni religiose come saranno ordinate?
a che cosa si ispireranno i nuovi rapporti internazionali sia diplomatici che economici?
quale moneta sarà utilizzata?
quale nuovo ordine di pubblica sicurezza?
la difesa dall’esterno come sarà organizzata?
ci sarà, o meno, e quale sarà l’istruzione pubblica?
ci sarà, e quale potrà essere l’organizzazione della sanità pubblica?
che tipo di welfare potrà materializzarsi; come sarà finanziato e attuato?
i veneti indipendenti vivranno in libera concorrenza economica o meno?
verrà rispettata, o meno, la proprietà privata?
Sorvoliamo, per semplicità, il fatto che non ci sono risposte o proposte alla soluzione dei problemi della burocrazia asfissiante e inefficiente, sul conflitto d’interessi, sul piano energetico, dell’ambiente e della salvaguardia del territorio, sulle infrastrutture, sulle problematiche del lavoro e sindacali, e di molte altre cose che renderebbero l’elenco assai lungo.
‘last but not least’: se tra l’altro l’indipendenza del Veneto la si persegue a causa dell’irriformabilità e della inefficienza dello Stato italiano, perché dal giorno dell’autodeterminazione si dovrebbe accettare un periodo imprecisato di transizione tra il vecchio ed il nuovo ordinamento?

Una risposta credibile e condivisibile, anche per un solo aspetto di quest’ultima domanda, ad oggi non è pubblica. Ovvero il Cigno nero ha qualcosa da dire, ma non sa dire cosa. È un soggetto politico senza un piano di convivenza civile, che è il solo ad avere titolo di credito. Ci troviamo di fronte a un profeta, con i suoi pochi sodali, acrobatici dell’indipendenza che pretendono di utilizzare la Regione (istituzione italiana) per fare carriera proprio in quel sistema che fingono di contestare.

Sostanzialmente gli elettori veneti dovrebbero fidarsi di questa “rappresentanza” anche se non progetta o abbozza o rassicura. Vorrebbero accomodarsi in consiglio regionale per avvantaggiarsi della consulenza, consiglio e saggezza della burocrazia allo scopo di riformare la burocrazia. Ritiene – e reputano – che la sua – o loro – carica istituzionale gli permetterà di avere accesso ai mass-media controllati dal potere politico-economico, che tramite essi manipola l’opinione pubblica, per poter fare la secessione. Pensano di avvantaggiarsi delle provvidenze – non solo economiche – che il potere mette a disposizione dei “rappresentanti” per sostituire il potere. Òstrega!


Alberto Pento
La risposta del Cigno Nero a questa domanda è piena di presunzioni, falsità storiche, elaborazioni/interpretazioni storiche sbagliate, pregiudizi, assurdità.

"Domanda di un elettore veneto: Perché vuole l’indipendenza del Veneto?

Risposta di Cigno Nero: Non credo che il limitato spazio del suo articolo possa contenere tutte le motivazioni che potrei esporre. Mi lasci semplicisticamente dire che l’autodeterminazione politica è il diritto di un popolo. I Veneti possono definirsi un popolo (quello italiano non esiste. Nella penisola vivono vari popoli), perché in generale sono un complesso di individui di una stessa area, che ha origini, lingua, tradizioni religiose e culturali, istituti, leggi e ordinamenti comuni. Si sono costituiti in collettività etnica costituiti in collettività etnica all’incirca tre millenni or sono. Hanno formato una nazione avente una organizzazione repubblicana che è durata oltre 1.100 anni, e con la sua indipendenza politica sono state realizzate infinite ed eccellenti opere di governo, legislative, sociali, e per ognuna delle cosiddette sette muse. Per il popolo veneto l’indipendenza è il prerequisito per un duraturo dominio politico ed economico."

Ecco l'elenco delle presunzioni, falsità, errori, ... :

1) l'autodeterminazione politica è il diritto di un popolo ...
(certo però non va dimenticato che il 95% dei Veneti si vuole autodeterminare come veneto-italiano nello stato italiano);
2) i Veneti possono definirsi un popolo mentre quello italiano no ...
(anche i Veneti come gli Italiani sono un insieme di popoli diversi che nel tempo, lungo i secoli si sono in parte amalgamati e omogeneizzati);
3) i Veneti si sono costituiti in collettività etnica all'incirca 3mila anni or sono, ...
(questo è tutto da dimostrare in quanto finora non sono ancora riusciti a realizzare una vera nazione/stato veneta a dominio di tutti veneti);
4) hanno formato una nazione con una organizzazione repubblicana durata oltre 1100 anni ...
(non è affatto vero che i Veneti tutti, abbiano formato una nazione e una repubblica unitaria; inoltre la Repubblica Veneta a dominio dell'aristocrazia veneziana non è durata 1100 anni ma caso mai meno della metà; quando Rivoalto era un ducato non era una repubblica; non è mai esistita una Repubblica Veneta a dominio di tutti i Veneti).
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Coała xeła l'etega de l'endependenteixmo veneto?

Messaggioda Berto » ven dic 07, 2018 8:35 am

La Sindrome della Regina Rossa di certi veneti
settembre 2018

https://www.vicenzareport.it/2018/09/si ... ssa-veneti

Vicenza – Nell’indipendentismo veneto la Sindrome della Regina Rossa – ovvero dover correre sempre più velocemente solo per rimanere sul posto – è presente da tempo. Un’analisi pubblicata recentemente ha suscitato molto interesse e consenso, oltre naturalmente a qualche critica sui social network dov’era stata rilanciata. Prenderemo quindi a pretesto una di queste osservazioni per approfondire ulteriormente l’argomento.

Un lettore (R. B.) ammette che le constatazioni fatte sullo stato dell’indipendentismo veneto sono corrette. Che c’è una brace che brucia sotto la cenere. Tuttavia sostiene che c’è chi vede il bicchiere mezzo pieno, e chi mezzo vuoto. Che l’analisi critica pubblicata, rischia di fare il gioco degli avversari naturali (lui li chiama: gli Unionisti). Poi passa a rammaricarsi del fatto che ad essere eletto in Regione Veneto, nel 2015, sia stato Antonio Guadagnini e non Alessio Morosin, fondatore e guida del movimento «Indipendenza Veneta» (IV).

Prosegue ammettendo che il tradimento del «Patto» (scritto e pubblicato) che ha portato alla creazione di «Stato Veneto» (SV), è moralmente ed eticamente disgustoso, ma asserisce che bisogna prendere atto che oggi solo quest’ultimo (=Guadagnini) può presentarsi alle elezioni regionali del 2020 senza l’impegnativo onere della raccolta firme. Pertanto l’intenzione di presentarsi uniti (SV + IV) resta per lui, e altri come lui, un’idea positiva in quanto si uniscono le forze per ottenere almeno i 200 mila voti del 2015. E conclude: saranno gli elettori indipendentisti a premiare o punire i singoli candidati della lista unita, favorendo quelli che si sono sempre dimostrati affidabili e coerenti.

Questo preteso indipendentista veneto (che per tifoseria valuta “buono” Morosin, e “cattivo” Guadagnini) non vuole prendere atto che le azioni impolitiche di molto secessionismo veneto le hanno create gli stessi supposti separatisti. Non c’è solo Guadagnini che è “cattivo”. A ben riflettere nemmeno l’avvocato Morosin è tanto “buono” se lo si osserva come demolitore e costruttore di partiti pseudo federalisti, autonomisti, indipendentisti è stato abbastanza attivo. Si veda qui.

Molti ritengono che se al posto di Antonio Guadagnini fosse stato lui a consigliere regionale, quasi sicuramente non sarebbe cambiato nulla. Come non è cambiato nulla quando era insediato (dal 1990 al 1995 in quota all’allora Liga Veneta – Lega Nord, a quel tempo autonomista, federalista, poi indipendentista, secessionista e quant’altro affine), e considerato che non sono note azioni o proposte legislative che abbiano sortito effetti in nessuna delle suddette materie.

Di più: come non considerare che allora quel gruppo contava sette consiglieri, più qualche altro “simpatizzante”? R. B. non sembra essere sfiorato dalla considerazione che “moralmente ed eticamente disgustoso” è non solo chi non rispetta i patti, ma anche coloro che turandosi il naso accettano di cooperare con il reo. E la questione dell’esenzione delle firme è appunto la questione assimilabile ai trenta denari di biblica memoria. Infatti, colpevole è chi commette una mancanza, come lo è chi ne è complice e sodale.

Questo preteso indipendentista, “in nome del realismo politico”, scrive: «Non so quale nuovo ‘assetto istituzionale’ auspicare», e ciò delude molti elettori, poiché i catalani come gli scozzesi prima di loro sapevano a priori quale assetto istituzionale gli indipendentisti (una volta eletti) avrebbero realizzato. Non è così per l’indipendentismo veneto. Finora si sono letti opuscoli sull’autodeterminazione (alcuni peraltro ben fatti) che magnificavano, tra l’altro, il fatto che i 20-21 miliardi di euro (in realtà circa 15/16) che il Veneto “perde” con lo Stato italiano, sarebbero meglio impiegati.

Ma la sostanza è che per avere l’avanzo di quei miliardi bisognerebbe mantenere la stessa tassazione. A Indipendenza Veneta trascurano che secondo l’osservatorio “Suicidi per motivazioni economiche” (qui), in Italia, dal 2012 al 2017 sono stati 878 i casi di suicidio legati a motivazioni economiche, mentre 608 sono stati i tentati suicidi. I dati aggiornati al 2° semestre del 2017, hanno visto 56 vittime contro le 47 dei primi 6 mesi dell’anno, per un totale di 103 casi. In sostanza, anziché avere i politici “romani” che sperperano, avremmo i loro omologhi veneti a farlo, sempre a danno dei contribuenti autoctoni? Visto che nessuna proposta di riforma, in questa sola materia, è nota.

Del resto nel suo sito istituzionale IV scrive testualmente: «[…] all’obiettivo dello Stato veneto indipendente possono infatti concorrere indistintamente soggetti idealmente schierati su posizioni differenti e spesso contrapposte. […] IV non tende a definire un modello sociale.», è dunque chiaro che questo movimento non non produrrà nessuna bozza di nuova organizzazione istituzionale. E prosegue: «il movimento dà la possibilità di operare con tutte le energie a disposizione, non per dividere, ma per unire tutte le componenti della società veneta verso il comune obiettivo dell’indipendenza del Veneto». Insomma, in SV + IV si punta tutto sull’elezione alla Regione Veneto, poi si vedrà.

Pensare d’ottenere l’indipendenza per avere un’Italia in miniatura non sembra ai più la soluzione. Dopo di che, proprio l’esperienza Guadagnini dovrebbe convincere che la prefigurazione della soluzione dei problemi dell’autodeterminazione va fatta a priori, perché dopo i politicanti, avendo il potere, troveranno sempre le scappatoie per non cederlo. I fautori della secessione esaltano il referendum per l’autonomia (vinto in Veneto con circa 2,3 milioni di voti); ma questo, appunto, è per l’autonomia. Se politicamente qualcuno lo legge in maniera diversa fa parte delle strumentalizzazioni della politica. Infatti, è da dimostrare che quei milioni di voti sarebbero tutti per la separazione. Proprio perché i veneti sono messi come la Catalogna, è ingenuo se non strumentale ai politicanti, voler far credere di poter cambiare il governo con il consenso del governo. È un ossimoro, appunto!

L’indipendentismo veneto, poi, infarcisce i propri discorsi con il desiderio d’avere una democrazia simile a quella svizzera. Però azioni concrete per ottenere il corretto uso di tali strumenti: referendum, proposte di legge e di delibera d’iniziativa popolare, recall o revoca dei “rappresentanti” prima della fine del loro mandato, ed altro ancora, che a livello locale ci sono (e, ovviamente, sono stati edulcorati dalla partitocrazia) non se ne sono ancora viste. Altri sono i soggetti impegnati a produrre petizioni in questa direzione. Già nel 2013, per esempio, ne hanno depositate alle Regione Veneto (qui) e altrove. Gli Statuti del Comune di Vignola (MO), [vedi Art. 9 – Gli Istituti di Democrazia Diretta, e successivi (qui) o quello della Provincia di Bolzano (qui), solo per non formulare un lungo elenco, ci dicono che è possibile.

Ci sono domande provocatorie – ma non tanto – alle quali SV + IV non sanno o non vogliono rispondere:

Come mai nessun pseudo leader indipendentista veneto si è mai speso per ottenere i corretti strumenti di democrazia diretta a livello di Enti Locali?
Che cos’è la democrazia diretta se non un deterrente per gli abusi del potere?
Perché invece di spendersi in elezioni infruttuose o scarsamente premianti, gli attivisti di queste formazioni non operano per “dare l’assalto” con petizioni ad hoc ai vari Statuti di Comuni, Province e Regione per l’introduzione di corretti istituti di democrazia diretta? Bolzano docet!
La partitocrazia, ovviamente, metterà i bastoni tra le ruote, ma queste azioni non potrebbero avvantaggiarsi della «affezione» dei cittadini-elettori-contribuenti veneti più di quanto non sia ora possibile?

Alcuni osservano semplicemente che non è saggio giocare con le carte truccate dell’avversario (elezioni). Le vicende dell’indipendentismo catalano sono lì a far riflettere. R.B., da “tifoso”, non prende nemmeno in esame che Alessio Morosin è comprensibilmente un ambizioso. E in questo non c’è nulla di male, s’intende. Egli conosce le leggi elettorali italiane, e sa perfettamente che non è facendo il gregario che potrà essere eletto.

Salvo un caso fortuito come quello materializzatosi con Antonio Guadagnini. Di qui il “girovagare” di entrambi dentro e fuori partitini di nessuna potenza elettorale, e scarsa o nulla progettualità istituzionale. Morosin (e i suoi sostenitori), quello di buono che può aver fatto, è da semplice cittadino (la promozione della risoluzione 44/2012 dal titolo: “Il diritto del popolo veneto alla compiuta attuazione della propria autodeterminazione”, presentata il 5 ottobre 2012 da 21 Consiglieri in carica, e approvata il 28 novembre 2012.

Ancora, il 28 aprile 2015 Morosin partecipa a Roma alla discussione della Corte costituzionale per sostenere la L.R. 16/2014 relativa al referendum consultivo sull’indipendenza. Una partecipazione in difesa della legge, ovviamente, che tuttavia sarà cassata dalla suprema corte che dichiara inammissibile l’intervento dell’associazione Indipendenza Veneta. L’unico vantaggio appare quello professionale, laddove un ambizioso avvocato ha avuto modo di esercitare in un così alto Foro.

In questo panorama c’è chi valuta più positive le iniziative politiche dei cittadini organizzati, ma non in forma di movimento politico o partito tradizionale. Viste proprio le esperienze citate di Bolzano, Vignola (Modena) e altrove, sembra che non sia indispensabile sedere nelle istituzioni. Non sono pochi coloro che sostengono che se Morosin (& Co.) ha voglia di fare, può continuare a farlo da “uomo qualunque”. E dunque, perché non si spende e incoraggia i suoi seguaci per ottenere strumenti di democrazia diretta reali ed efficaci? Chi non è d’accordo sul fatto che la democrazia diretta è un deterrente per gli abusi del potere?

Che l’avvocato Morosin possa avere ambizioni a diventare “rappresentante” in Regione o altrove lo si può comprendere. Non per questo in molti sono disposti a concederli la loro approvazione politica. E questo, ovviamente, vale anche per chiunque altro abbia le sue “strategiche” idee, e voglia percorrere la stessa strada politica. Del resto la stessa Catalogna sembra avviarsi ad una diversa autonomia, ed il loquace ed eclettico Luca Zaia su questo si sta impegnando.

Un gran numero di elettori sono convinti del fatto che se le liste degli indipendentisti prendono circa il 2%, è perché non è chiaro il loro progetto istituzionale. Non è poi con un partito che si rivoluziona il “sistema partitocratico”. L’esperienza della Lega Nord, dell’Italia dei Valori, del M5S e altri ancora, è lì a documentarlo. Erano dei “rivoluzionari”, degli antagonisti; sono diventati parte del problema partitocratico. Piuttosto alcuni auspicano altre possibili aggregazioni in sostituzione della forma partito tradizionale. Si prefigura la nascita di «organizzazioni single issue» (per singola questione), in grado di riunire i propri aderenti su obiettivi specifici e destinate a sciogliersi una volta raggiunto lo scopo prefissato.

Gli iscritti sarebbero così affrancati dall’esigenza di assicurare una fedeltà irrazionale ed eterna; e verrebbe meno l’oppressione di una struttura organizzativa votata alla conquista del potere, innanzitutto attraverso il ricorso alla corruzione ed al clientelismo, tipica della partitocrazia. L’esperienza di Bolzano è lì a confermare la praticabilità della proposta. Mentre per le candidature e le elezioni un metodo (del resto in essere anche nella Serenissima Repubblica di Venezia) potrebbe essere quello del ballottaggio. A questo punto c’è chi si chiede se SV + IV sarebbero più coerenti laddove anziché definirsi indipendentisti si qualificassero per quello che appaiono: autonomisti. Ovviamente chi non vuole impegnarsi nell’esercizio della riflessione speculativa è libero di farlo, ma non per questo otterrà l’indipendenza del Veneto.




Gli strateghi dell’indipendenza senza un indirizzo
Enzo Trentin
ottobre 2018

https://www.vicenzareport.it/2018/10/st ... -indirizzo

Vicenza – Mercoledì 10 ottobre, sui social network) si poteva leggere questo messaggio del professor Carlo Lottieri: «Gli ultimi sondaggi danno i nazionalisti italiani della Lega, in Veneto, intorno al 50%.
C’è da disperarsi? No. I miei amici indipendentisti devono sapere che la volatilità elettorale è altissima e sono tutti giganti di argilla. Non solo: la catastrofe è alle porte e alla fine la realtà detta le sue leggi. Se l’Italia è in bancarotta, i suoi ministri si troveranno presto “sotto processo”. Si tratta quindi, ora, di costruire una proposta realmente alternativa: un progetto fatto di persone, luoghi, media, associazioni e iniziative che possa essere pronto a cogliere la finestra di opportunità. Il gigante parafascista non durerà a lungo: non abbiamo, quindi, tempo da perdere.»

Nel leggerlo mi torna alla mente quanto il drammaturgo russo Ivan Tourgueniev scriveva: «Esiste una tristezza che non è possibile consolare né dissipare, la tristezza della vecchiaia che ha coscienza di se medesima.». Ecco, dal profondo della mia senescenza, ho la tristezza d’aver scritto per anni le stesse cose del mio buon amico Carlo Lottieri, d’essere andato in lungo e in largo a tenere conferenze, a parlare ad un pubblico che sembrava non capire, che cercava la soluzione prêt à porter, immediatamente risolutiva.

Giovanni Dalla Valle, uno psichiatra anglo-veneto che per anni si è speso per la causa della autodeterminazione, in collaborazione con numerosi altri volonterosi, anni or sono ha dato l’avvio a un “Libro bianco” per l’indipendenza del Veneto, che nelle intenzioni doveva essere propedeutico a un progetto istituzionale innovativo. La cosa è rimasta in itinere. Non ha ancora raggiunto il suo completamento. Tra i tanti comparti del predetto nuovo assetto rifondativo c’era quello della Difesa, che qui espongo in riassunto, partendo ovviamente da alcune premesse:

La Costituzione italiana è una dichiarazione di princìpi che non ha nessuna concretezza. Si veda il suo articolo 11, a proposito di Difesa.
Coprire le guerre barattandole come ‘operazioni di pace’ è un modo per aggirare la Costituzione e turlupinare i cittadini che ancora vi credono.
Tutti sappiamo che con la formula ipocrita ‘peacekeeping’ si mascherano operazioni militari di aggressione in altri Paesi. Noi abbiamo più di 30 operazioni militari all’estero che ci costano circa 1.500 milioni l’anno. Solo l’operazione Leonte in Libano può essere considerata una vera missione di pacificazione perché le forze militari italiane si interpongono fra due comunità, hezbollah libanesi e israeliani, che altrimenti si massacrerebbero senza pietà.

Ciò premesso c’è da prendere atto che l’Italia sin dalla sua unità nel 1861 (a seguito di plebisciti farlocchi del 1859-1860-1866) ha sempre condotto guerre d’aggressione, e la truppa delle forze armate è sempre stata composta da coscritti che non potevano dissentire.

Fiorenzo Peloso, un federalista e indipendentista inascoltato, mi ricorda che le forze armate composte da professionisti (carabinieri, bersaglieri, guardia civil, guardia svizzera, guardia di finanza, giannizzeri, lagunari, sommergibilisti, aviatori e militari d’ogni altro generale) sono tutti “soldati”, ossia come dice la parola stessa sono “al soldo”. Chiamarli mercenari può sembrare esagerato o offensivo a seconda dei punti di vista, ma la definizione sul dizionario coincide: “mercenario” è colui che presta la propria opera in cambio di un compenso. Anticamente si chiamava salario. I militari fanno anche un giuramento di obbedienza assoluta agli ordini di una gerarchia di comando, ed è storicamente dimostrato che assecondano esclusivamente i desiderata del potente, o prepotente, di turno. L’essenziale è che costui paghi il soldo ai soldati.

La difesa della legalità e del civile convivere dei cittadini non è la loro priorità assoluta, è semplicemente una doverosa, ma secondaria, espressione statutaria, che essendo secondaria cambia appunto col cambiare del padrone: da repubblica a monarchia, dalla dittatura fascista a quella del proletariato pari sono. Drammaticamente molto spesso sono proprio i difensori dell’ordine i peggiori nemici dei cittadini che “ufficialmente” dovrebbero difendere:

Come fu a Torino nel 1864 in Piazza Castello e San Carlo.
Come fu 15 anni prima a Genova quando i bersaglieri di Lamarmora bombardarono l’ospedale, fucilarono centinaia di inermi cittadini, razziarono e stuprarono impuniti quella “vile e infetta razza di canaglie”, parole testuali usate dal re Savoia per definire i genovesi, mentre si felicitava col Gen. Lamarmora del riuscito massacro per difendere l’ordine pubblico.
Come fu a Bronte nel 1860
Come fu a Pontelandolfo e Casalduni Pontelandolfo_e_Casalduni nel 1861.
Come fu a Gaeta nello stesso anno: Gaeta massacrata da Cialdini, su ordine di Cavour. Nel crollo di una breccia nei bastioni di protezione larga circa 30-40 metri muoiono 316 artiglieri napoletani e 100 civili. Gli artiglieri piemontesi gioiscono per il grave danno arrecato alle difese borboniche e incominciano a gridare “Viva l’Italia” così forte che si sente fin dentro le mura di Gaeta.
Come fu nel 1898 in mezza Italia e soprattutto a Milano, quando il Gen. Bava Beccaris e i suoi soldati difensori dell’ordine pubblico spararono a bruciapelo ai milanesi che, affamati, chiedevano semplicemente del pane.

Fiorenzo Peloso non insiste oltre e conclude menzionando la recentissima dura violenza di Stato della Guardia Civil spagnola, nel 2017, contro la pacifica gente di Barcellona che voleva solo votare (Europa dove sei?) o l’icona del cinese davanti al carro armato in piazza Tienanmen a Pechino nel 1989: uno dei più eclatanti esempi di “difesa dell’ordine pubblico” da parte di soldati, che forti della consueta totale impunità di Stato, hanno compiuto l’ennesima strage di migliaia di cittadini indifesi. La piazza evidentemente è un luogo deputato per le stragi Stato.

Se ci fosse ancora qualcuno che volesse giustificare tali atti “di servizio” compiuti dai soldati per difendere la legalità (non la legittimità che è un’altra cosa) e giustizia, consiglio di trascurare per un po’ la tastiera e fare un viaggio “autentico” in un qualsiasi paese del Centro-Sudamerica, dell’Asia o peggio ancora dell’Africa dove corruzione e violenza sui cittadini da parte dei soldati sono all’ordine del giorno. Poi in tutta onestà intellettuale si potranno fare analisi e valutazioni sul significato di mercenario e di difesa dell’ordine pubblico nel corso dei secoli.

Dopo i processi di Norimberga (dal 20 novembre 1945 al 1º ottobre 1946) contro i protagonisti dello Stato nazionalsocialista che uccisero milioni di civili innocenti non dovrebbe più essere ammessa la giustificazione: «Non siamo colpevoli! Noi abbiamo solo eseguito gli ordini superiori.» Eppure… Insomma i soldati sono un deterrente necessario all’illegittimità, ma ancor più necessario dovrebbe essere che allo Stato sia impedito di usarli contro la propria gente, proprio perché i soldati per definizione non sono autorizzati a pensare autonomamente.

Come riflessione consiglio una lettera di Don Lorenzo Milani: «L’ubbidienza non è una virtù», dove tra l’altro è scritto: «Avremmo però voluto fare uno sforzo per capire, e soprattutto domandarvi, come avete affrontato alcuni problemi pratici della vita militare. Io l’avrei voluto privato, ma ora che avete rotto il silenzio voi, e su un giornale, non posso fare a meno di farvi quelle stesse domande pubblicamente.»

In Italia ci sono degli ex militari di leva che da anni promuovono una legge d’iniziativa popolare per ottenere riconoscimenti onorifici, anche se non onerosi da parte dello Stato. Sostengono d’aver servito con onore la patria. Ovviamente io non discuto. Forse non conoscono o ignorano Friedrich Dürrenmatt laddove scrisse: «Patria è lo Stato se sta per compiere assassini di massa.» Solo gli alpini, nel 1997, a Reggio Emilia, dove si radunarono in 400 mila, tra pochi applausi e tanti fischi, sfilando davanti al presidente Oscar Luigi Scalfaro, impassibile, ma visibilmente preoccupato, che assiste a una forma di protesta, più in là duramente repressa dalla dirigenza dell’Ana. Quegli alpini ripiegarono un enorme tricolore lungo cinquanta metri proprio davanti al palco sul quale il capo dello Stato seguiva la sfilata nel bicentenario del tricolore. Dopo quell’episodio, guai a riprovarci!

Ai giorni nostri assistiamo all’impennata delle spese militari che non sono da ritenersi del tutto razionali. Si veda qui e qui. Per questo quella parte del “Libro bianco” di cui sopra doveva sembrare promettente agli indipendentisti veneti. In esso sostanzialmente si indicava un servizio militare di militanza simile a quello svizzero.

Si è guardato alla Svizzera che ha il maggior numero di ricoveri antinucleari al mondo. La Svizzera poi ha sempre avuto un esercito di cittadini talmente civile che quando sono esonerati dal servizio militare possono acquistare le loro armi individuali: il fucile, la rivoltella e il relativo munizionamento per conservarlo in casa propria. Non per questo in quelle valli si vive come nel mitico Far West. Di contro va preso atto che è il tiranno colui che vuole l’esclusiva delle armi.

In Svizzera solo pochi sono i militari a tempo pieno. Non è poi insolito che una persona che è dirigente industriale, faccia parte della gerarchia militare. Questo sistema fa sì che siano rare le discordie politiche, essendo il settore pubblico e quello privato, sostanzialmente, nelle stesse mani. Fin dagli anni 1930 in Svizzera il potere è in mano al complesso industriale-militare. Si è dimostrata una forma di “governo” molto efficiente. La Svizzera è rimasta estranea alle grandi guerre poiché l’élite al potere non ne avrebbe tratto alcun vantaggio.

Al contrario, nel 1978 questo Paese era al secondo posto nella graduatoria della prosperità mondiale, e nel settembre 2017, per il nono anno consecutivo, la Svizzera è stato il Paese con l’economia più competitiva al mondo secondo il Forum economico mondiale (WEF). Invariato, rispetto al 2016, il quintetto in testa alla graduatoria, con la sola differenza che gli Stati Uniti guadagnano la seconda posizione a scapito di Singapore. Olanda e Germania restano quarta e quinta. L’Italia si classifica al 44esimo posto.

Se la furia delle guerre mondiali ha risparmiato la Svizzera non lo si deve affatto – come pure tanti credono – alla sua dichiarata neutralità. Quale Hitler se n’è mai preoccupato? No. Se nessuno ha invaso la Svizzera è perché questo Paese ha sempre potuto contare su un efficientissimo deterrente militare; abbinato alla sua propensione a “far affari” (=contrattualismo, sinonimo anche di federalismo) con entrambe le parti in conflitto. Per esempio, gli svizzeri tennero ai nazisti pressappoco questo discorso: «Invadeteci, e ogni svizzero fra i 18 e i 50 anni d’età si nasconderà sulle Alpi per portare un’interminabile guerra d’attrito. D’altro canto, se sarete tanto furbi da non invaderci, saremo lietissimi di fornirvi i migliori prodotti della nostra industria, fra le più avanzate del mondo. A pagamento, s’intende.»

E questo è esattamente ciò che avvenne. Ma non solo gli elvetici fornirono alla Germania hitleriana cannoni antiaerei, generatori di corrente, strumenti di precisione, macchine utensili; non solo permisero ai nazisti di servirsi delle loro ferrovie per far affluire rifornimenti al loro alleato Mussolini; essi chiesero e ottennero altro in cambio. Energia. Carbone dalla Ruhr. Elaborarono una formula pignola, precisa e dettagliata: per ogni tonnellata di materiale bellico in transito, tot quintali di carbone. Tale patto permise alla Svizzera di restare indenne e sopravvivere ai cinque lunghi anni di conflitto. Poiché la Svizzera non ha un grammo di carbone né una goccia di petrolio, e l’energia elettrica non sarebbe bastata. Funzionò. I tedeschi non toccarono la Svizzera. E le fornirono energia sufficiente, non solo a mandare avanti il Paese, ma a farlo prosperare mentre il resto d’Europa cadeva in rovina.

Per un gran numero di “strateghi dell’indipendenza del Veneto”, questo tipo di organizzazione è una garanzia contro i soprusi del potere, e dovrebbe tenere lontani gli autoctoni da un conflitto in Europa; soprattutto se si trattasse di un conflitto nucleare tattico come nei vaticini di qualche stratega d’oltre Atlantico si ipotizza. Una situazione così terribile, che Philippe Grasset situa al punto terminale dell’abolizione del sacro in Occidente, scrivendo: «hanno perduto la percezione del sacrilegio – e la perdita del sacro porta necessariamente la perdita del senso di possibilità della catastrofe, minaccia cosmica che implica il fatto nucleare…”.»



Politica, la lotta per l’autonomia è subdola
ottobre 2018

https://www.vicenzareport.it/2018/10/po ... ia-subdola

Vicenza – Iniziamo da un brano dell’intervento – pubblicato anche sulla rivista «Miglioverde», del professor Paolo Bernardini durante il convegno di “Liberamente”, “think tank sull’indipendentismo veneto”, tenutosi a Ospedaletto Euganeo (Padova), il 6 ottobre 2018, dove tra l’altro affermava: «Vorrei solo ribadire, per prima cosa, la mia assoluta fede nella bontà dell’indipendenza del Veneto. E vorrei mettere a punto solo alcuni concetti, chiarire alcune posizioni, che immagino saranno abbondantemente discussi oggi. l’indipendenza del Veneto deve essere vista come meta finale di un processo che potrebbe svolgersi in molti modi, anche attraverso la conquista di porzioni sempre più nette di autonomia. Ma occorre sempre distinguere, concettualmente, tra autonomia e indipendenza: non necessariamente la prima porta alla seconda, ma soprattutto, non necessariamente quelli che si battono per la prima, ovvero l’autonomia, credono veramente nell’indipendenza. Molto spesso, e non solo per quel che riguarda il Veneto, la lotta per l’autonomia è subdola, non è al servizio del Veneto ma dello Stato centrale.»

Partiamo dunque da qui per l’ennesima speculazione intellettuale, assumendo – ancora una volta – il ruolo degli agitatori di idee. Come premessa però, ecco i principali rivendicazionismi che rischiano di polverizzare gli Stati europei attraverso forti movimenti secessionisti o hanno partiti politici che spingono per una maggiore autonomia:

Italia – non ci sono solo gli indipendentisti veneti; ci sono anche i lombardi, i sardi, i siciliani, i toscani e gli alto atesini che sono stanchi di sopportare la convivenza con la pseudo democrazia italiana.

Belgio – la questione dei fiamminghi e dei valloni è troppo nota per doverla qui ricordare. In Belgio vivono due popoli, distinti e distanti, che parlano lingue diverse e sono di etnia diversa. Nei decenni scorsi si arrivò quasi alla guerra civile, ma oggi si è trovato un modo di vivere comune. La situazione, per intenderci, è come quella della Cecoslovacchia, e non è detto che si finisca nello stesso modo.

Francia – anche i nostri cugini d’Oltralpe hanno da anni i loro problemi con gli indipendentisti. Corsica, Bretagna, Occitania, tutti vorrebbero andarsene. Lo stesso capita nei Territori d’Oltremare.

In Corsica, alle elezioni regionali nel 2015 ha vinto il partito indipendentista nato dalla fusione di “Femu a Corsica” autonomista, e di “Corsica libera” indipendentista con il 35,5% dei voti contro la sinistra che ha ottenuto il 28,5%, la destra con il 27% e l’estrema destra di Marine Le Pen sotto il 10%. Ma difficilmente gli indipendentisti Corsi da soli vincerebbero se Parigi concedesse oggi un referendum. La maggior parte dei Corsi vuol restare francese per continuare a percepire le pensioni statali, e godere degli impieghi nell’amministrazione francese dove la loro massiccia presenza assomiglia a quella dei meridionali nell’amministrazione pubblica italiana. La Corsica conta circa 300.000 abitanti. Si calcola che almeno il 60% sia a favore della Francia. Tuttavia tra i giovani prevale il sentimento indipendentista.

Germania – C’è chi aspira all’indipendentismo, pur avendo tutti religione e lingua comune. Accade in Baviera, dove esistono alcuni gruppi favorevoli alla secessione da Berlino, come il Beyernpartei.

Paesi dell’Est – oltre ai Balcani, l’indipendenza è chiesta dai russofoni in Romania, dagli abitanti della Transnistria nei confronti della Moldavia, da minoranze ucraine e russe. La questione dei curdi, oggi di strettissima attualità, andrebbe trattata a parte.

Regno Unito – Scozia, Cornovaglia e Galles vorrebbero l’indipendenza, per non parlare dei possedimenti oltremare. Com’è noto la Scozia ha già avuto il suo referendum legale. Lo ha perso per poco. Ora si comincia a parlare di un nuovo referendum per l’autodeterminazione, anche se non si è arrivati a predirne la data.

Spagna – Come è noto, non c’è solo la Catalogna, ci sono anche i Baschi. Ci sono poi le enclaves di Ceuta e Melilla, che aspirano all’indipendenza o al ricongiungimento col Marocco, cosa che Rabat chiede da anni. Ci sono le Canarie, e movimenti autonomisti sono esistenti anche in Galizia, Aragona e Andalusia, malgrado le ampie autonomie che lo Stato spagnolo concede.

Svizzera – E’ forse la nazione che ha risolto meglio il problema: lingue diverse, ordinamenti diversi, leggi diverse per ogni Cantone, e tutti vivono in armonia e prosperità. Anche grazie ad un federalismo autentico e non di facciata. Nel 1979 il Giura diventò il ventiseiesimo Cantone della Confederazione Svizzera.

Fatta questa presentazione, è necessario prendere atto che l’indipendentismo veneto è considerato il più effervescente della penisola, e la galassia di movimenti e partiti di quest’area possono semplicisticamente essere così suddivisi:

Al primo gruppo appartengono coloro che si dicono a favore dell’autodeterminazione ma, al momento, operano per l’autonomia della Regione. Dicono di voler perseguire la via istituzionale, e di rifarsi in particolar modo all’esperienza catalana. Tuttavia una corretta lettura degli ultimi decenni (vale a dire dalle elezioni regionali del 1985 che videro i primi due autonomisti-federalisti eletti in Regione Veneto) suggerisce che non c’è stata alcuna chance.

Al contrario, sin dall’inizio la partitocrazia li ha “imbrigliati” e “blanditi”. Il primo eletto è poi partito dalla Regione Veneto per arrampicarsi sino a diventare Sottosegretario agli esteri di un governo italiano. Emblematico è il caso del secondo autonomista, federalista, indipendentista, che stravaccato per ben tre legislature in Regione Veneto (esibendosi nel frattempo nella specialità di metter su e buttar giù partitini, per poi ritornare alla “casa madre” Lv-Ln), di risultati determinanti per questi tre obbiettivi non ne ha conseguito alcuno. Eppure “duttile”, “agile” e “disinibito” ha fatto l’assessore per la Giunta di Giuseppe Pupillo (ex comunista) e quella di Aldo Bottin (ex democristiano), svolgendo, appunto, il ruolo di foglia di fico per la partitocrazia. In tal modo “addomesticando” il voto dei suoi elettori. Addirittura una terza persona appartenente a quest’area, è stata eletta al Parlamento Europeo; ma anche lì risultati non se ne sono visti.

Centrodestra e centrosinistra li hanno cooptati nelle loro politiche facendo promesse poi non mantenute, e fagocitandoli nelle loro strategie al fine di far credere all’elettorato che anche i partiti tradizionali erano favorevoli a riforme significative. Dell’attuale esponente di questo gruppo di “indipendentisti” abbiamo già trattato qui. Per tutti questi “rappresentanti” sembrerebbe valere l’aforisma di Goran Mrakic (uno scrittore serbo di Romania) «Ha tutte le caratteristiche di un politico moderno. È passato attraverso tutti i partiti.»

Insomma, ad oggi, la via istituzionale non ha prodotto nulla nemmeno in Catalogna; fatta eccezione per le manganellate della Guardia Civil. Di più, sottolinea l’esule Carles Puigdemont: «sul federalismo, un punto questo annunciato mille volte ma che non è mai stato realizzato. Se 40 anni fa il governo spagnolo ci avesse offerto una sorta di federalismo, come quello tedesco, ora non chiederemmo l’indipendenza» (qui). Men che meno (vedi sopra) in Corsica.

Lo abbiamo già scritto: non si tratta di persone particolarmente malvagie. La loro cultura politica è quella partitocratica, e la partitocrazia ha disilluso la stragrande maggioranza degli elettori che oramai disertano le urne. Le minuscole riforme che si affacciano ora all’orizzonte creano disagio, malumore, inappagamento, e arrivano dopo oltre 33 anni. Il sistema di voler cambiare il governo con il consenso del governo risulta abbastanza fantapolitico. Qualcuno – a proposito di costoro – benevolmente afferma che bisogna prendere atto del fatto che anche quelli che fanno la danza della pioggia credono nella propria magia.

Nel secondo gruppo vi sono (ci sia consentita una semplificazione) i veneti-venezianisti. La loro magia vuole la Serenissima com’era e dov’era, ma mancano i Patrizi-mercanti e i loro Schei. Il tessuto produttivo veneto è diminuito di oltre il 25%, e c’è una crescita economica piatta. I suicidi di imprenditori sono centinaia. Dal 2012, sono in totale 937 in Italia (con prevalenza in Veneto) i casi di suicidi per motivazioni economiche registrati dall’Osservatorio “suicidi per motivazioni economiche”, della Link Campus University; mentre sale a 661 il numero dei tentati suicidi. Nei primi sei mesi del 2018 l’Osservatorio ha proseguito il proprio monitoraggio semestrale, da cui emerge un numero di vittime pari a 59, in aumento rispetto alle 47 registrate nella prima metà dello scorso anno, mentre sono 53 i tentati suicidi. I posti di lavoro buoni della classe media sono andati persi, i redditi reali delle famiglie sono stagnanti, le pensioni sono a rischio, malgrado i bla-bla-bla del governo le tasse non calano, i giovani laureati o più preparati vanno all’estero per lavorare.

Nel terzo gruppo ci sono i memori delle ampie facoltà di autogoverno che vigevano nei liberi Comuni che nacquero proprio nel centro-nord di questa penisola intorno all’anno 1.000. Perorano una conduzione della cosa pubblica per mezzo del “controllo e bilanciamento reciproco”, con strumenti di reale democrazia diretta.

Non per nulla nella cosiddetta Civiltà Comunale s’era formata una forte “borghesia” che, anche sotto le successive Signorie, i banchieri, i mercanti e gli “investitori”, aveva edificato monumenti e grandi opere nelle città venete che risalgono quasi tutte ad epoca pre-veneziana.

Costoro non scordano poi, che malgrado l’oligarchia veneziana fosse ingessata, nei Domini di Terraferma (detti anche Stato da Tera) ci furono parecchie “autonomie” ed è anche per questo che vennero mantenuti i telai nelle case cittadine, i diritti sui boschi, il pascolo comunitario, i campi comuni, e molto altro ancora. Con il libro di Alan Sandonà: “Leges et statuta communis Cartrani – Gli Statuti di Caltrano del 1543” (qui), il Comune dell’alto-vicentino, con relativo patrimonio montano (che si era costituito già verso il 1.200, come si rileva da altre pubblicazioni) inquadra storicamente e giuridicamente quella realtà che quasi cinque secoli fa scaturiva da quelli Statuti approvati dall’apposita commissione operante a Vicenza per conto della “Dominante”, dove – tra l’altro – erano i circa 800 abitanti a fissare l’aggravio fiscale da riconoscere a Venezia, e non il contrario come oggi avviene con l’Italia.

I sedicenti autonomisti-indipendentisti che siedono attualmente in Regione Veneto o aspirano a candidarsi alle elezioni regionali per accomodarsi su quelle “careghe”, da molti elettori sono considerati degli Zio Tom che non fanno i ribelli e non capeggiano rivolte. Troppi sono i privilegi che concede loro lo Stato italiano. Analogamente sono considerati dei “Tartuffe” coloro che si assoceranno a loro per concorrere alle regionali del 2020. Come hanno scritto Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella: «La Casta politica, una volta che sei dentro, ti permette quasi sempre di campare tutta la vita. Un po’ in Parlamento, un po’ nei consigli di amministrazione, un po’ ai vertici delle municipalizzate, un po’ nelle segreterie. Basta un po’ di elasticità.» in fondo aveva ragione Henry Louis Mencken: «Ci sono degli uomini politici, che sarebbe bene chiamare politicanti, i quali, se avessero come elettori dei cannibali, prometterebbero loro missionari per cena.»

Insomma, gli Zio Tom e collaborazionisti vari sembrano aver fatto il loro tempo. Tra un preteso referendum digitale per l’indipendenza del Veneto (2014), avvallato da Osservatori Internazionali, e un referendum regionale per l’autonomia (2017), entrambi vinti con milioni di voti, ma entrambi con scarsa efficacia; rimangono milioni di veneti delusi e insoddisfatti dello satus quo. Parrebbe dunque giunto il momento per gli autentici indipendentisti di passare alla redazione di un coerente progetto politico-istituzionale innovativo, convincente, condiviso, al fine di avere istituzioni locali e scambi globali, per controllare meglio i passaggi di ricchezza.




Alberto Pento

Trentin scrive: "Parrebbe dunque giunto il momento per gli autentici indipendentisti di passare alla redazione di un coerente progetto politico-istituzionale innovativo, convincente, condiviso, al fine di avere istituzioni locali e scambi globali, per controllare meglio i passaggi di ricchezza."

Sì, incominciando con il mettere a punto una storia credibile di tutti i veneti, non riducibile a quella della sola Venezia; una storia vera e credibile che ancora manca (che metta in luce ogni aspetto specialmente quelli che finora sono stati trascurati, omessi, nascosti e falsificati e che costituiscono i limiti, i difetti, le mancanze, le impossibilità, le contraddizioni), tralasciando ogni dogmatismo, mitismo e idolatrismo; un progetto all'insegna del massimo realismo dove si tenga ben presenti i vincoli italiani dovuti al fatto imprescindibile che la maggioranza dei veneti, oggi si sente e si vuole veneta e italiana, e poi non ultima e non meno importante dovrebbe essere la prospettiva europea che costituisce il nostro futuro.
Bisognerebbe partire dalla base più comune e universale che c'è al mondo ossia quella dei diritti (e doveri e valori) umani universali (anche se non condivisa dai nazi maomettani, e proprio per questo ancora più valida) e all'interno di questi valori trova sistemazione l'audeterminazione degli uomini e delle loro cumunità, con le loro culture e tradizioni tra cui anche la religione più diffusa.


E sopratutto nessun ritorno al passato che appunto è passato.

Basta fanfaroni politicanti e storicanti con le loro idolatrie politiche, religiose e storiche e i loro culti feticisti dei simboli.



Chiedere al potere di riformare il potere. Che ingenuità!
Enzo Trentin
14 novembre 2018

https://www.vicenzareport.it/2018/11/ch ... mment-5496

Vicenza – Mi sia consentito d’iniziare parafrasando Giovannino Guareschi al fine di speculare su espressioni, comportamenti e conseguenze civili e politiche sui nostri giorni. Chi sono? Sono un ex giornalista che adopera trecento o più parole. Federalista in una repubblica contraddistinta dall’accentramento dei poteri anche quando propone un regionalismo che spaccia per decentramento amministrativo. Ho in uggia i partiti politici in un Paese che continua a destreggiarsi tra pseudo sinistra-destra e sovranisti-populisti. Sostengo l’iniziativa privata in tempi di statalismo becero e inefficiente. Sono assertore di un nuovo progetto politico di autodeterminazione in tempi di antinazionalismo. Non sono un indipendente, bensì un anarchico, un uomo libero, ma sovversivo.

Il fatto è che un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. L’idea di una repubblica fondata sulla partitocrazia non era quella per la quale gli Alleati vincitori della seconda guerra mondiale stimolarono e affrettarono l’avvio dei lavori della Costituente le cui sedute si svolsero fra il 25 giugno 1946 e il 31 gennaio 1948, perché nella visione degli Alleati c’era la nascita di uno Stato federale, come avvenne per la Repubblica Federale Tedesca (Rft) o Germania Ovest.

Che la repubblica italiana abbia qualche “peccato originale” lo si rileva consultando la prima relazione antimafia, dalla quale emerge che nella Costituente c’erano numerosi mafiosi, più alcune decine di massoni dichiarati. In un rapporto segreto del 18 febbraio 1946, il generale dei carabinieri Amedeo Branca scrisse: «II movimento agrario separatista siciliano e la mafia da diverso tempo hanno fatto causa comune; anzi, i capi di tale movimento, tra i quali don Lucio Tasca, si debbono identificare per lo più con i capi della mafia nell’Isola.»

Tra i costituenti c’era anche Bernardo Mattarella, padre di Sergio, attuale presidente della Repubblica Italiana, che nella fase iniziale del secondo dopoguerra era stato sospettato da alcuni di essere «…tra i referenti nel rapporto tra la DC e la mafia». Di questo nel 1992 venne accusato anche dall’ex ministro Claudio Martelli: “Bernardo Mattarella secondo gli atti della Commissione antimafia e secondo Pio La Torre (1976), fu il leader politico che traghettò la mafia siciliana dal fascismo, dalla monarchia e dal separatismo, verso la DC“. Secondo lo storico Giuseppe Casarrubea, Mattarella era ritenuto vicino al boss di Alcamo Vincenzo Rimi, considerato in quegli anni al vertice di Cosa nostra.

Un altro “padre costituente in pectore” fu Frank B. Gigliotti, mafioso e massone 33esimo livello, componente Oss, ora Cia. Lucky Luciano fornì a Gigliotti i nomi da contattare in Sicilia per favorire lo sbarco degli Alleati del 10 luglio 1943 (vedi qui). Tornò in Italia nel 1947, per influenzarne la politica. Quanto è credibile una Costituzione che da pseudo democratica è diventata partitocratica? Nel suo ultimo saggio, Dimitri Orlov nota che: «se la cultura e la società restano intatte, il resto dell’umanità, una volta che si renda conto che il sistema è truccato a suo danno in favore dello 0,01%, può organizzare una rivoluzione. Ma se la società e la cultura sono minate e distrutte prima, non avranno la coesione sociale e lo spirito pubblico necessario a questa impresa».

Le lotte tra fazioni partitocratiche sono governate dal pensiero così ben formulato dal sindacalista e rivoluzionario russo Michail Pavlovič Tomskij: «Un partito al potere e tutti gli altri in prigione». È così che sul continente europeo, il totalitarismo è diventato il peccato originale dei partiti. Il fatto che esistano non è in alcun modo un motivo per conservarli. Soltanto il bene è un motivo legittimo di conservazione. Il male dei partiti politici salta agli occhi.

La questione da esaminare è se ci sia in essi un bene che abbia la meglio sul male e renda così la loro esistenza desiderabile. Ma se individui appassionati, inclini per via della passione al crimine e alla menzogna, si compongono allo stesso modo in un popolo vero e giusto, allora è bene che il popolo sia sovrano. Una costituzione democratica è buona se per prima cosa realizza nel popolo questo stato di equilibrio, e soltanto in seguito fa in modo che le volontà del popolo siano eseguite.

L’autorità del popolo, in democrazia, non dipende affatto da sue presunte qualità sovrumane come l’onnipotenza e l’infallibilità. Dipende invece dalla ragione esattamente contraria, dall’assunzione cioè di tutti gli uomini, e del popolo tutto intero, come necessariamente limitati e fallibili. Questo punto a prima vista sembra contenere una contraddizione che deve essere chiarita. Come ci si può affidare alla decisione di qualcuno, come gli si può attribuire autorità, quando gli si riconoscono non meriti e virtù, ma vizi e manchevolezze? La risposta sta nella generalità, per l’appunto, dei vizi e delle manchevolezze.

Del resto i partiti post-ideologici sono “illegittimi” nel modo più radicale. Sotto i loro artigli, lo Stato è diventato uno spazio vuoto, pieno solo del denaro dei contribuenti; una res nullius esposta al saccheggio. Per pensare a un rimedio, bisognerebbe essere capaci di ripensare radicalmente la democrazia contemporanea. E avere il coraggio di pensare a una democrazia senza partiti. Quanto alla favola del voto “democratico” consiglio la visione di questo breve filmato.
https://www.facebook.com/sebastiano.riv ... 2949187048

Stante questa situazione egemonica e insoddisfacente della partitocrazia, e constatato che lo Stato italiano sta letteralmente crollando sotto l’incapacità, l’incuria, la corruzione e le mafie, molti cittadini hanno rivolto la loro attenzione e le loro speranze all’autodeterminazione dei popoli per rifondare nuove strutture sociali. Ma costoro cosa fanno? Fondano nuovi partiti! E addirittura molti sedicenti “sovversivi” dall’indipendentismo sono ripiegati all’autonomia. Giusto quello che pare delinearsi in Catalogna. Ma l’autonomia promessa da Luca Zaia & Co. quale sarà? Le indiscrezioni sinora giunte non sono rassicuranti. Per i tempi poi… malgrado le promesse e i proclami stiamo ancora aspettando!

Alcuni di questi “sovversivi” si giustificano dicendo: «Se non passasse l’autonomia Veneta, non ci perderebbe solamente la faccia il ministro delle autonomie Erika Stefani, ma sarebbe una sconfitta cocente anche per Luca Zaia e Matteo Salvini. Un errore politico che pagherebbero carissimo. Attualmente un elettore su due in Veneto propende per votare Lega, ma se l’autonomia non arrivasse, sarebbe un errore politico che costerebbe molto al loro partito. […] La lega non potrebbe permettersi un errore del genere, l’effetto domino nefasto, sarebbe alimentato in tutto lo stivale e quello che Salvini ha costruito con fatica sarebbe irrimediabilmente perduto. Perché i Veneti hanno una caratteristica. Non scordano mai un torto subito!»

Sulla questione: “perdere la faccia”, Umberto Bossi ha sicuramente perso la sua, tuttavia siede ancora in Parlamento. E se mi dovessero chiedere un elenco di chi ha perso la faccia e siede ancora nelle istituzioni, mi rifiuterei di prestarmi all’opera. Troppo vasto il lavoro per un anziano pensionato come me. Eppoi non trascuriamo che molti politici sono persone “eccezionali”, hanno la faccia come il c…! Ma quello che sorprende di questi autonomisti pseudo indipendentisti – privi di un progetto istituzionale condiviso – che ad ogni piè sospinto citano l’esperienza catalana, è che sembrano scordare quanto è successo da quelle parti.

Come viene scritto qui:
https://francais.rt.com/opinions/54975- ... n-division
Gli indipendentisti sembrano anche aver trascurato numerosi aspetti strategici, giuridici e amministrativi. Intanto la questione essenziale della sicurezza delle frontiere terrestri, marittime e aeree di un futuro Stato, e quella di un programma fiscale degno di questo nome che permetta di finanziare l’insieme delle amministrazioni sono state accennate in un modo molto evanescente. […] Indubbiamente la Catalogna possiede una cultura ed una lingua ricche, è dotata di confini geografici ben identificati, d’altra parte la sua popolazione non condivide un progetto politico comune, poiché più della metà di essa si dice favorevole al fatto che la regione rimanga parte integrante del regno spagnolo. […] “Il problema è che c’è una carenza di maturità politica del campo indipendentista”, confida un vecchio compagno di strada di Carles Puigdemont, deluso, che chiede l’anonimato. “Non ci prende sul serio nessuno in Europa, perché non abbiamo saputo dimostrare di avere un programma, e neanche una visione politica o economica di ciò che intendiamo realizzare. Restiamo centrati sul fatto che vogliamo l’indipendenza, ma rifiutiamo di seguire le regole, anche quelle del diritto internazionale […] diciamo che vogliamo restare in Europa, ma non vogliamo accettare il fatto che se la Catalogna ottiene l’indipendenza, ne sarà esclusa d’ufficio. Questo modo di fare politica era destinato alla sconfitta” E conclude: “Se vogliamo veramente l’indipendenza, dobbiamo accettare che bisogna seguire un processo legale che richiederà degli anni”.

I fondatori di nuovi partiti o movimenti indipendentisti veneti trascurano il fatto che, non solo in Catalogna come in Spagna, in Italia e da qualche altra, parte uno dei problemi che più preoccupano i cittadini oggi, dopo la disoccupazione, la corruzione e la crisi economica, è quello della politica e dei politici. La cattiva reputazione dei politici, che deteriora le istituzioni, ha le sue radici nelle malformazioni tipiche delle avariate democrazie contemporanee: i poteri del Parlamento sono largamente esercitati dai partiti, ed essi non rispettano la democrazia sostanziale, ovvero eludono le regole e gli strumenti della democrazia diretta.

Sulla «inutilità» dei sedicenti indipendentisti l’ennesimo esempio ci viene fornito dal Consigliere Regionale Antonio Guadagnini. Egli si guarda bene dall’agire per eliminare il ridicolo referendum consultivo, o sostenere le proposte popolari di democrazia diretta che giacciono da anni in Regione Veneto.
https://piudemocraziavenezia.wordpress. ... ia-diretta
Pensa d’agire da indipendentista promuovendo la presentazione del libro del Prof. Andrea Favaro dal titolo “Io Sovrano, discussione sui fondamenti teorici dell’autodeterminazione” (Mercoledì 14 novembre alle ore 12, presso il Consiglio Regionale del Veneto a palazzo Ferro-Fini). Un’azione che indipendentemente dal valore dell’opera e del suo autore, corrisponde a pestare l’acqua nel mortaio; ossia fa una fatica inutile. Mentre si guarda bene dal progettare un nuovo assetto sociale per la organizzazione di quel “potere costituente” che propaganda di perseguire. Questa reticenza implica un tipo di corruzione che la legge penale non punisce, ma che incoraggia l’espansione di altre forme punibili. E quando hai rinunciato a supportare ciò che nell’interesse della collettività veneta, gettando via princìpi e convinzioni, l’unico compenso è assicurarsi un beneficio personale.

Insomma, la mancanza di un progetto politico-istituzionale che faccia da supporto all’autodeterminazione del Veneto, è la stessa mancanza che viene imputata agli indipendentisti catalani. Ma mentre i catalani portano in piazza milioni di persone, la manifestazione più numerosa degli indipendentisti veneti fu a Bassano del Grappa, (vedi qui) il primo dicembre 2013, con circa tremila persone
https://www.bassanonet.it/news/14913-in ... e_day.html .


Quello che gli autonomisti-indipendentisti non sembrano considerare è che Giordano Bruno già sapeva come funzionavano le cose, e infatti fu messo al rogo il 17 febbraio 1600 in Campo dé Fiori a Roma. Da allora ad oggi, a parte i roghi, non è cambiato nulla, e le sue parole certi autonomisti-indipendentisti dovrebbero scolpirsele nella mente e nel cuore: «Che mortificazione! Chiedere al potere di riformare il potere. Che ingenuità!»

A Bassano la grande mobilitazione dei sostenitori del referendum consultivo per l'indipendenza veneta, arrivati da 147 Comuni di tutta la regione. Col governatore Zaia in testa: “E' una rivoluzione moderna, come i catalani”
Independence Day
Il passaggio della manifestazione sul Ponte degli Alpini (foto Alessandro Tich)
2013-01-12

https://www.bassanonet.it/news/14913-in ... e_day.html

La fossa dei leoni - di San Marco, ovviamente - è concentrata in piazzale Cadorna, sede prescelta per i comizi finali della manifestazione a sostegno del referendum consultivo per l'indipendenza veneta.
E' quanto richiede la PDL (proposta di legge) regionale 342 sottoscritta una quindicina di consiglieri regionali del Veneto - tra cui il bassanese Nicola Finco - e finalizzata all'indizione del voto referendario, riservato ai residenti nella nostra regione, per “acclarare la volontà del Popolo Veneto in ordine alla propria autodeterminazione”.
Già presentata e discussa in consiglio regionale, la proposta indipendentista è stata rispedita al mittente. Ma ora i promotori e sostenitori del Veneto Nazione ritornano alla carica, scegliendo Bassano del Grappa quale città da cui rilanciare l'urlo separatista, per fare pressing al consiglio regionale affinché la proposta referendaria “per il Veneto Repubblica indipendente e sovrana” venga finalmente accolta.
Tutti in riva al Brenta, dunque, per rispondere al richiamo dello stato maggiore del Comitato “Il Veneto Decida - el dirito de decìdare” (soci fondatori: Luca Zaia, Alessio Morosin, Indipendenza Veneta, Liga Veneta Repubblica, Comitato celebrazioni storiche della Milizia Veneta, Raixe Venete, Futuro Popolare Veneto, Veneto Stato, Veneto Stato Europa, Europa Veneta), attuale struttura di coordinamento del movimento indipendentista nei confronti di Roma, definita “soggetto legittimato passivo nel procedimento di autodeterminazione del Popolo Veneto”.
Luca Zaia, presidente della Regione Veneto - che ricorda dal palco della manifestazione, applauditissimo, di essere stato “l'unico governatore a non aver festeggiato i 150 anni dell'Unità d'Italia” - è uno dei fondatori del Comitato e non manca all'appuntamento bassanese. Al suo fianco, nella prima fila del corteo, lo segue come un'ombra l'europarlamentare Mara Bizzotto.
Poco più indietro - e avendo sottoscritto la PDL 342, ne ha ben donde - notiamo puntualmente Nicola Finco. Marino Finozzi, altro leghista in giunta regionale, sfila nelle retrovie.
Ma chi pensasse che la matrice politica delle istanze separatiste sia appannaggio esclusivo del fronte Lega Nord, si sbaglia.
Tra i front-men della manifestazione c'è ad esempio il consigliere regionale Stefano Valdegamberi, anch'egli co-firmatario della proposta di legge, oggi rappresentante di Futuro Popolare ma fino a ieri esponente dell'Udc.
Ci sono soprattutto - con la fascia con i colori della bandiera del Veneto e col cartello del “Comune Veneto” che ciascuno di loro rappresenta - i sindaci e i delegati dei 147 Comuni della regione che hanno approvato all'ordine del giorno del consiglio comunale la proposta di legge referendaria.
Tra questi c'è anche il Comune di Bassano del Grappa: e benché la presidente leghista del consiglio comunale Tamara Bizzotto sia presente tra i manifestanti, a reggere il cartello “Comune Veneto Bassano del Grappa (VI)” è la consigliera di Bassano ConGiunta Ilaria Brunelli.
L'assembramento in piazzale Cadorna è solo l'epilogo dell'affollato pomeriggio dell'Independence Day: col corteo partito da viale delle Fosse, transitato per le piazze e confluito - con sventolio di bandiere di San Marco e slogan libertari ripetuti ai megafoni - sul Ponte degli Alpini, andata fino a Angarano e ritorno.
E per darvi l'idea del movimentato, ma al contempo ordinato svolgimento della manifestazione vi rimandiamo alla nostra photogallery correlata al presente articolo.
In piazzale Cadorna è il momento degli interventi al microfono, e ad Alessio Morosin - autentico leader e trascinatore del movimento indipendentista - viene riservato un tributo da rockstar. Morosin si rivolge al popolo del “prossimo Stato indipendente” ricordando il 4 luglio 1776, giorno della Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d'America: “La libertà si conquista con un atto unilaterale di indipendenza”.
“La storia italiana in Veneto è finita - prosegue il capopopolo, attizzando i presenti -. O morte italiana, o indipendenza veneta.” Morosin tocca anche l'intoccabile, e cioè “la Costituzione italiana, che noi rispettiamo come Costituzione di uno Stato straniero.” Da qui la strada obbligata dell'autodeterminazione “da conquistare in modo democratico, pacifico, con il consenso dei veneti”.
Luca Azzano Cantarutti, presidente di Indipendenza Veneta, spiega i motivi pratici della mobilitazione: “Il Comitato ha voluto questa manifestazione per chiedere a tutti i veneti di sensibilizzare il consiglio regionale affinché il Veneto decida. Chiediamo di accelerare immediatamente quel percorso politico pacifico e legale per esprimersi con il voto referendario e dire “Si” o “No” a questa domanda: vuoi che il Veneto diventi una Repubblica indipendente e sovrana?”.
Standing Ovasiòn da parte di tutti i presenti.
“Sbassè e bandiere e vardeme sue bae dei oci” esordisce il governatore Luca Zaia, che invita ad abbassare cartelli e vessilli per favorire la la visuale del palco anche alla “zente da drio”.
“Il progetto di indipendenza lo seguiamo da mesi - afferma Zaia - e assemblee come queste servono a chiarire le cose. Oggi nella nostra regione ci sono 170mila disoccupati, e il senso di essere qui oggi è quello di dare ascolto ai veneti che soffrono. L'indipendenza è una grande opportunità e siamo qua per ricordare a Roma che in Veneto 7 persone su 10 parlano in veneto.” “E i lavora in veneto!” - commenta un manifestante che ascolta l'intervento vicino a chi vi scrive. “Quello dell'indipendenza è un percorso serio, legale, compatibile con le norme internazionali - prosegue il governatore -. La serietà è anche il rispetto per chi oggi non è qui: i veneti sono galantuomini, noi non andiamo a devastare le città per le manifestazioni.”
Zaia parla di “rivoluzione moderna, come i catalani” e della ferma intenzione “di riportare il provvedimento in consiglio regionale, anche se non è facile”. E richiama di nuovo “al rispetto per chi non la pensa come noi” perché “l'indipendenza non è do una parte, è di tutti.”
Da qui la necessità di “evangelizzare” quella parte di popolo veneto (maggioritaria o minoritaria? NdR) che di distacco dalla sovranità dell'Italia non vuol sentir parlare. Zaia invita a “cercare di ampliare questo consenso”, sottolinea “il federalismo dei padri costituenti” e cita addirittura Einaudi, sostenitore, nel '48, della determinazione delle autonomie locali. “Siamo qua per legittima difesa” aggiunge il governatore. Per dire “basta” alle vessazioni di uno Stato italiano dove la gente “se impica in azienda” e “con oltre il 65% della pressione fiscale”.
Gli interventi sul palco proseguono finché l'oscurità del corto pomeriggio invernale non cala sulle numerose bandiere di San Marco convenute per l'occasione dai quattro angoli del Veneto. I partecipanti arrotolano i vessilli e coi fazzoletti col Leone ancora attorno al collo riprendono la strada di casa, per molti di loro molto lunga, soddisfatti per la buona riuscita della manifestazione.
Indipendentemente da tutto.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Coała xeła l'etega de l'endependenteixmo veneto?

Messaggioda Berto » ven dic 07, 2018 8:35 am

La nuda verità sull’indipendentismo veneto
Enzo Trentin
29 novembre 2018

https://www.vicenzareport.it/2018/11/nu ... QKvfktiW9o

Vicenza – Partiamo da una leggenda del XIX secolo. La verità e la menzogna un giorno si incontrarono. La Menzogna dice alla Verità: «Oggi è una giornata meravigliosa!» La Verità guarda verso il cielo e sospira, perché la giornata è davvero bella. Trascorrono molto tempo insieme, arrivando infine accanto a un pozzo. La Menzogna dice alla Verità: «L’acqua è molto bella, facciamo un bagno insieme!» La Verità, ancora una volta sospettosa, mette alla prova l’acqua e scopre che è davvero molto bella. Si spogliano e iniziano a fare il bagno.

Improvvisamente, la Menzogna esce dall’acqua, indossa i vestiti della Verità e fugge via. La Verità furiosa, esce dal pozzo e rincorre la Menzogna per riprendersi i vestiti. Ma il Mondo, vedendo la verità nuda, distoglie lo sguardo, con rabbia e disprezzo. La povera Verità ritorna al pozzo e scompare per sempre, nascondendo la sua vergogna. Da allora, la Menzogna gira per il mondo, vestita come la Verità, soddisfacendo i bisogni della società, perché il Mondo, in ogni caso, non nutre alcun desiderio di incontrare la Verità nuda.

Dopo questo cappello, si può constatare che negli ultimi tempi sono usciti alcuni libri che trattano la legittimità della autodeterminazione di popoli e territori. Qualcuno è scritto a quattro mani (ed è una nuda verità), perché almeno due di questi arti, non essendo all’altezza del compito, volevano avvantaggiarsi dell’autorevolezza delle altre due mani. Le case editrici di questi libri sono diverse e limitate, tanto che molti sospettano che i soldi per stamparli sono di provenienza pubblica. È evidente che in qualche caso si tratta di politicanti il cui unico fine è accreditarsi in un certo modo al fine di appollaiarsi su una “carega” istituzionale.

Qualcuno che asserisce di avere per obbiettivo finale l’indipendenza del Veneto, ma opera per il raggiungimento dell’autonomia; che peraltro non arriva. Qualcheduno che spera nell’elezione di alcuni rappresentanti nel 2020, che in ogni caso non saranno numerosi e determinanti. Tant’è vero che negli ultimi 30 anni l’autonomismo e federalismo veneto, oggi trasformatosi in indipendentismo, ha eletto alcune decine di Consiglieri in Regione, senza nessun risultato apprezzabile.

Uno di questi rappresentanti partendo dalla Regione è diventato addirittura Sottosegretario agli esteri di un governo Berlusconi. Un’altra, sempre dallo stesso scranno, è salita all’Europarlamento. Un terzo – per quindici anni in Regione Veneto – è stato Assessore prima per una Giunta di centrodestra, poi per una di centrosinistra. Altri ancora (7 sicuramente, più alcuni altri in veste di “fiancheggiatori” o simpatizzanti) hanno formato gruppi autonomi fuoriuscendo dalla Lega Nord per fare gli autonomisti, federalisti, oggi indipendentisti. Risultati: solo privilegi per tutti questi rappresentanti (che – sarebbe bene ricordarlo – in quanto tali sono solo esecutori), ma nessuna autonomia, nessun federalismo degno di questa definizione, sull’indipendenza poi… oggi appare solo un argomento acchiappa voti per l’elettorato più credulone.

E questo è quello che materializza questo “mercato” (vedi qui https://www.vicenzareport.it/2018/08/po ... smo-veneto ).
L’autonomia promessa da Luca Zaia è di là da venire. In campagna elettorale era un “attraente” indipendentista. Giusto in questi giorni, poi, è stata spedita una lettera di sollecito dei presidenti di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna al presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Quest’ultimo ha già risposto (Fonte: Ansa) in politichese: «stiamo, con i vari ministri, nell’ambito delle rispettive competenze, valutando quelle che sono le varie materie perché occorre definire un perimetro tra competenze statali o regionali, che ci consenta poi, a tutto il sistema Italia, di poter far funzionare, di poter perseguire gli interventi che occorrono». E quando l’autonomia verrà – stando alle indiscrezioni – non sarà quella promessa; ovvero simile a quella del Trentino Alto Adige, e questo già si sapeva!

La Catalogna (onnipresente nei discorsi di questi sedicenti indipendentisti), è immaginabile che non avrà l’indipendenza dalla Spagna, mentre l’appoggio dell’UE è già stato rifiutato, malgrado i milioni di cittadini che porta in piazza. Mentre qualcuno sostiene che la manifestazione più numerosa degli indipendentisti veneti fu a Treviso, il 14 marzo 2014, con circa 6.000 partecipanti, in occasione della dichiarazione d’indipendenza a seguito del referendum informatico prodotto da Plebiscito.eu, ed alla presunta certificazione internazionale sulla regolarità del voto e dei risultati che allo stato attuale non ha sortito effetti. Insomma le “masse” venete non somigliano affatto a quelle catalane.

Molti sono convinti che la democrazia di questa penisola deve resistere alle sirene della rappresentatività come soluzione ai suoi problemi. Non dobbiamo mai dimenticare che la funzione essenziale della democrazia rappresentativa è: dispensare i cittadini dal governo di se stessi. E se l’esperienza ci insegna qualcosa è questo: che un buon politico, in democrazia, è altrettanto impensabile di un ladro onesto. L’idea, invece, è che mentre la democrazia deve continuamente adattarsi ai cambiamenti della società e assumere nuove forme, deve anche mantenere determinati principi fondanti come il corretto e tempestivo esercizio della democrazia diretta, in funzione di deterrente e per l’iniziativa di delibere e leggi.

C’è anche da tener presente che Charles De Gaulle, nel 1952, diceva: «Le regime ne se transformera pas de lui-même, Cela n’est jamais arrivé dans notre histoire. Il faut un pression de l’éxtérieur.» (Il regime non cambierà da solo, questo non è mai accaduto nella nostra storia. Quando cambiò fu per pressioni dall’esterno.) È da tempo che lo Stato italiano scricchiola paurosamente. I ponti che sempre più numerosi crollano ne sono un sintomo. Quando il “ponte Morandi” dello Stato italiano crollerà, sarebbe cosa saggia per gli indipendentisti avere qualcosa di prêt-à-porter (pronto all’uso). Un progetto politico-istituzionale con il quale subentrare. Ma tutto ciò è, allo stato attuale, ancora lettera morta o in ogni caso quel poco che dovesse reperirsi non è condiviso, tanto meno conosciuto dall’opinione pubblica.

Poche settimane fa, alcuni pubblici amministratori tuttora in carica, e nei fatti autonomisti-indipendentisti, sono stati avvicinati con discrezione per sondare la loro disponibilità ad assumere la veste di portabandiera dell’autodeterminazione veneta. È stato ventilato loro come sarebbe stata gradita alla platea degli indipendentisti la loro funzione di “alfieri”, e la possibilità di dare una grossa mano per formare un movimento importante per puntare alla Regione, cosa che agli interpellati non sarebbe dispiaciuta. Tuttavia la loro analisi è stata che gli attuali personaggi che calcano la scena dell’autonomismo-indipendentismo veneto non sanno fare politica, non capiscono cosa importa alla gente, non riescono a fare proselitismo, e non riescono a raccogliere voti alle elezioni.

Anche un “nobil homo” fondatore di organizzazioni per l’autonomia, il federalismo e l’autodeterminazione veneti non ha più intenzione di “sacrificarsi” per certi personaggi. Insomma manca la Rappresentatività. Cioè il grado di somiglianza tra i rappresentanti e quelli che vorrebbero rappresentare. È assente la somiglianza sociale, economica, fisica (di un comune sentire). Un fenomeno che può essere chiamato “rappresentazione statistica” per differenziarlo dalla rappresentazione politica.

In conclusione chiunque si prenda la briga di ergersi a giudice nel campo della verità e della conoscenza, viene mandato in rovina dalle risa. E la stupidità consiste nel fare e rifare la stessa cosa aspettandosi risultati diversi. Purtroppo, come diceva Henry Louis Mencken: «Gli uomini che il popolo ammira più esageratamente sono i bugiardi più spericolati, gli uomini che detestano più violentemente sono quelli che cercano di dire la verità». E ancora: «Il governo viene inteso, non come un comitato di cittadini scelti per portare avanti gli affari comuni dell’intera popolazione, ma come una corporazione separata ed autonoma, dedicata principalmente allo sfruttamento della popolazione a beneficio dei suoi stessi membri».


Gino Quarelo
Come non essere d'accordo.
Personalmente in modo graduale, critico e naturale ho tagliato i ponti, i legami e le frequentazioni con tutto il mondo venetista; non vado più a nessuna manifestazione, incontro, convegno, non do più alcuna briciola del mio tempo, alcun sostegno economico, tantomeno il mio voto a chichessia di questo mondo venetista-venezianista.
Non mi faccio più manipolare, sfruttare e calpestare da nessuno, specialmente dai fanfaroni, dai furbi, dai fanatici, dagli esaltati, dagli ignoranti, dai presuntuosi, dagli arroganti e dagli idolatri che sono la maggioranza di questo mondo che ama firmarsi con lo slogan WSM.
Accetto solo chi si mette alla pari, chi dialoga e si mette in discussione confrontandosi, chi non chiede soldi e voti e chi non si propone come salvatore, messia, capo carismatico, guida storica, spirituale e politica (doge e governo o parlamento veneto).
Di buone, valide e durature amicizie all'interno di questo mondo nemmeno una, tutte pseudo amicizie interessate e una fraternità fideistica e idolatra senza una vera consistenza umana.




INDIPENDENZA VENETA, LE RESPONSABILITÀ DI POLITICI E INTELLETTUALI
di ALESSANDRO MORANDINI
https://www.facebook.com/groups/2376236 ... 8349458243

Non la scarsa diffusione del desiderio di indipendenza tra i Veneti, ma la sua debole intensità (debole anche tra gli indipendentisti) è considerata uno degli ostacoli più rilevanti alla realizzazione di questo importante progetto politico; progetto di cui, forse, perfino gli addetti ai lavori non riescono pienamente cogliere l’importanza: i politici che danno voce a questo desiderio, organizzano la sua manifestazione collettiva, entrano in relazione con il nemico (per negoziare le modalità attraverso le quali verrà concesso agli indipendentisti di esprimere il loro desiderio). Invece l’importanza dell’indipendenza del Veneto si estende in modo fin troppo evidente su scala europea se non, oggi, mondiale. Bene, se si è consapevoli dell’importanza mondiale dell’indipendenza del Veneto, si può riflettere intorno ad un concetto temuto, deprecato, scandaloso ma irrevocabilmente legato alla pratica della politica: il concetto di violenza. Un concetto che ripropongo non già spinto dalla volontà di contribuire allo sviluppo della riflessione quanto, piuttosto, dalla contingenza dell’esperienza, dalla necessità. Si deve e si può parlare…
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Gino Quarelo

ALESSANDRO MORANDINI ha scritto:
... Non la scarsa diffusione del desiderio di indipendenza tra i Veneti, ma la sua debole intensità (debole anche tra gli indipendentisti) è considerata uno degli ostacoli più rilevanti alla realizzazione di questo importante progetto politico; ...

Gino Quarelo scrive:
A ben guardare vi è sia una scarsa diffusione del desiderio di indipendenza, sia una debole intensità di volontà anche tra gli indipendentisti;
in più vi è una assoluta mancanza di coscienza comune della storia e della realtà, sia di un progetto sensato e articolato del Veneto che si desidera, a partire dai suoi confini etno geografici che demenzialmente, i più, fanno coincidere con i territori e i domini della Serenissima, Veneto = Venezia Serenissima.

Con queste premesse nessun indipenenza sarà mai possibile mentre invece sarà ancora possibile ai politicanti fanfaroni nostrani, come ben scrive Enzo Trentin, di vendere illusioni per procacciarsi qualche voto e procurarsi qualche carega ben remunerata.
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Re: Coała xeła l'etega de l'endependenteixmo veneto?

Messaggioda Berto » ven dic 07, 2018 8:35 am

A BOLZANO C’È LA DEMOCRAZIA DIRETTA. A VICENZA NO
3 dicembre 2018
ENZO TRENTIN

http://www.lindipendenzanuova.com/a-bol ... HOC8H3QiiU

In Alto Adige (o Trentino SudTirol nella dizione non fascista, ndr) inizia una nuova era politica, perché da quelle parti non vogliono accettare che la funzione essenziale della democrazia rappresentativa sia: dispensare i cittadini dal governo di se stessi. E ricordano che: «La funzione delle masse in democrazia non è quella di governare, ma di intimidire i governanti.» Si legga Moisei Ostrogorski, “La democrazia ed i partiti politici”, Cap. XII par. V. [https://www.maremagnum.com/libri-antichi/la-democratie-et-l-organisation-des-partis-politiques/156119725 ]

Quello di Ostrogorski (scritto nel 1903) non è l’unico libro che argomenta il male dei partiti politici. Solo per citarne altri due, indichiamo Simone Weil “Manifesto per la soppressione dei partiti politici” [https://www.ibs.it/manifesto-per-soppressione-dei-partiti-libro-simone-weil/e/9788876152344?gclid=EAIaIQobChMI7ofxzo_53gIVGud3Ch2RNwqEEAAYASAAEgJT1PD_BwE ] e Adriano Olivetti “Democrazia Senza Partiti” [https://www.amazon.it/Democrazia-senza-partiti-Adriano-Olivetti/dp/8898220014 ]

Ma la possibile soluzione che ci piace qui segnalare è quella di Ostrogorski che indicava come in sostituzione della forma-partito tradizionale, avrebbe auspicato la nascita di «organizzazioni single issue» (per singola questione), in grado di riunire i suoi aderenti su obiettivi specifici e destinate a sciogliersi una volta raggiunto lo scopo prefisso. Gli iscritti, secondo Ostrogorski, sarebbero così stati affrancati dall’esigenza di assicurare una fedeltà irrazionale ed eterna; sarebbe venuta meno l’oppressione di una struttura organizzativa votata alla conquista del potere, innanzitutto attraverso il ricorso alla corruzione ed al clientelismo.

Quella della «organizzazione single issue» è una lezione concretizzata da circa vent’anni da Initiative für mehr Demokratie ( iniziativa per più democrazia – https://www.dirdemdi.org/index.php/it ) che comincia a dare i suoi frutti. Infatti fino ad ora in Provincia di Bolzano, in barba all’autonomia speciale e alla democrazia ma non diversamente da moltissimi Paesi che si definiscono democrazie, si è governato sul popolo. D’ora in poi invece – sostengono a iniziativa per più democrazia – si dovrà governare con il popolo, come è giusto che sia in una vera democrazia. Da questa settimana infatti è in vigore la nuova legge sulla democrazia diretta!

Con il referendum (confermativo) per la prima volta previsto, gli aventi diritto al voto possono controllare in modo diretto l’attività legislativa del Consiglio provinciale. Ciò significa soprattutto che la rappresentanza politica fin d’ora dovrà essere consapevole del fatto che una legge da essa varata potrà essere sottoposta al referendum prima che questa entri in vigore. E con il voto referendario i cittadini potranno introdurre su loro iniziativa una nuova legge, come potranno modificare o abrogare una legge esistente.

Determinanti a tal fine sono le nuove regole che ora si presentano praticabili. Ciò prima non valeva con il quorum del 40%. Questo è ora abbassato al 25%. Il numero delle firme richieste per attivare un referendum invece è rimasto invariato, secondo la versione originale del disegno di legge però avrebbe dovuto essere abbassato sensibilmente da 13.000 a 8.000. Questa soglia anche se non è insormontabile, sicuramente è troppo alta soprattutto per tematiche nuove. Almeno si è provveduto a estendere il periodo di raccolta firme a sei mesi.

A Initiative für mehr Demokratie si punta ora alle 8.000 firme, perché tale soglia corrisponde più o meno al 2% degli aventi diritto al voto. La popolazione della Provincia autonoma di Bolzano, infatti, ammonta (2016) a: 520.891. Essendo questo il numero di firme di riferimento chiave quello relativo alla soglia di 1/50 (2%) degli elettori, come indicato dalla Commissione Europea per la Democrazia Attraverso il Diritto (meglio conosciuta come la Commissione di Venezia, perché s’incontra a Venezia – http://www.coe.int/venice – Tel. +39 041 319 08 60) che è l’organo consultivo del Consiglio d’Europa sulle questioni costituzionali.
Alla Commissione, infatti, si argomenta che un elevato numero di firme può indicare un ampio sostegno popolare. Tuttavia, esso non garantisce il supporto, perché le persone possono firmare perché sono convinte che la questione sia controversa, e che dovrebbe essere decisa dal popolo (in qualsiasi senso). Parole chiare da parte di un autorevole organismo internazionale di alta competenza.
Manca ancora molto alla legge alto-atesina: in primo luogo la possibilità di poter sottoporre al voto referendario anche le delibere della Giunta provinciale, come originariamente previsto nella proposta popolare di legge, e la possibilità per il Consiglio di contrapporre nel voto una propria proposta a quella dei cittadini. Cosa che avviene in Svizzera, per esempio. E molto altro rimane da correggere. Occorre soprattutto (come detto) abbassare la soglia delle firme e facilitare il procedimento stesso della loro raccolta. La cosa determinante però è che questa legge sia praticabile, non da ultimo per le correzioni di cui ha bisogno per diventare una buona legge.
Tuttavia in quello che gli autoctoni continuano a definire legittimamente Sud Tirolo, non è riscontrabile, per esempio a Vicenza, dove un Sindaco e la sua Giunta (Che sono stati votati da un cittadino su quattro. Le elezioni democratiche sono solo una struttura abbastanza recente, e anche una delle meno affidabili.) insiste a “vendere” le proprietà dei suoi cittadini. E anche se si ammanta di possibilismo [https://www.vicenzareport.it/2018/11/incontro-a-vicenza-per-laggregazione-tra-aim-e-agsm/ ] le cose secondo il suo omologo di Verona sembrano già avviate alla loro conclusione.

Nel libro su indicato, Moisei Ostrogorski ha osservato e descritto un determinismo comportamentale nella struttura organizzativa dei partiti che è riscontrabile ancor oggi, per esempio con il M5S e la Lega Nord (che tale non è più) scrivendo tra l’altro: «Non appena un partito, anche se creato per il più nobile oggetto, si sforza di perpetuare se stesso, tende alla degenerazione oligarchica».

Questa sembra la metamorfosi che ha trasformato alcuni Consiglieri vicentini di opposizione eletti con sedicenti liste civiche, perché i partiti erano impresentabili. Costoro sono stati informati delle perplessità di numerosi cittadini. Ma la cosa più riprovevole è che detti “rappresentanti” dell’opposizione, nemmeno si sono preoccupati di rispondere ai solleciti rivolti loro per mezzo della posta elettronica certificata. A questo punto anche se non è il nostro autore preferito, ci sia permesso di parafrasare Karl Marx : “La maggior parte degli schiavi crede di essere tale perché il potere è il Potere, non si rende conto che in realtà è il potere che è Potere perché essi sono schiavi“. Insomma, “Noi siamo sovrani… ma crediamo di essere schiavi”.

Di seguito una breve descrizione degli strumenti di democrazia diretta ora a disposizione e delle regole di procedimento.

COSA ORA È POSSIBILE CON LA NUOVA LEGGE SULLA DEMOCRAZIA DIRETTA

Iniziativa popolare a voto popolare e referendum

A – Possono essere presentate proposte di legge di cittadini (promotori) e sottoposte sia al voto referendario vincolante sia a quello consultivo.

B – Tutte le leggi votate dal Consiglio provinciale senza la maggioranza dei due terzi possono essere sottoposte al voto referendario prima che entrino in vigore qualora questo venga richiesto entro 20 giorni dopo l’approvazione da almeno 300 promotori.

In entrambi i casi vanno presentate entro sei mesi 13.000 firme di aventi diritto al voto autenticate a sostegno della richiesta. Come copertura di spese i promotori percepiranno 1€ per ogni firma da raccogliere, ovvero 13.000. Non sono ammissibili votazioni referendarie su leggi tributarie e di bilancio, sulla disciplina degli emolumenti spettanti al personale e agli organi della Provincia nonché su quelle che riguardano norme e materia di tutela dei diritti dei gruppi linguistici e di minoranze etniche e sociali.

Una commissione valuta se le proposte rientrano nelle competenze della Provincia e ne valuta la conformità alle disposizioni della Costituzione, dello Statuto speciale e alle limitazioni risultanti dall’ordinamento giuridico comunitario, agli obblighi internazionali nonché ai requisiti e limiti previsti dalla legge.

Tutti gli aventi diritto al voto in vista della votazione referendaria ricevono per posta un opuscolo referendario nel quale trovano descritto in modo oggettivo e imparziale il quesito della votazione e in ugual misura gli argomenti dei sostenitori e degli avversari.

La votazione è valida se avrà partecipato al voto almeno il 25% degli aventi diritto al voto.

Iniziativa popolare a voto consigliare

C – Possono essere sottoposte alla trattazione obbligatoria da parte del Consiglio provinciale disegni di legge raccogliendo le firme di 13.000 aventi diritto al voto del Consiglio provinciale. Su di esse il Consiglio delibera entro un anno.

Il Consiglio delle cittadine e dei cittadini

D – Il Consiglio si compone di 12 persone scelte mediante estrazione a sorte con campionamento stratificato secondo gruppo linguistico, genere ed età. Esso tratta entro un giorno e mezzo la questione che gli viene sottoposta e rientrante nella competenza del Consiglio o della Giunta provinciale. Alla fine redige una dichiarazione congiunta e unanime in merito con idee, proposte e suggerimenti. L’istituzione di un Consiglio delle cittadine e dei cittadini può essere richiesto da parte di 300 cittadini.


A Bolzano c’è la democrazia diretta. A Vicenza no
Enzo Trentin

https://www.vicenzareport.it/2018/12/bo ... Z1yUPUGr8U

Vicenza – In Alto Adige inizia una nuova era politica, perché da quelle parti non vogliono accettare che la funzione essenziale della democrazia rappresentativa sia: dispensare i cittadini dal governo di se stessi. E ricordano che: «La funzione delle masse in democrazia non è quella di governare, ma di intimidire i governanti.» Si legga Moisei Ostrogorski, “La democrazia ed i partiti politici”, (Cap. XII par. V).

Quello di Ostrogorski (scritto nel 1903) non è l’unico libro che argomenta il male dei partiti politici. Solo per citarne altri due, indichiamo Simone Weil “Manifesto per la soppressione dei partiti politici” e Adriano Olivetti “Democrazia senza partiti”.

Ma la possibile soluzione che ci piace qui segnalare è quella di Ostrogorski che indicava come in sostituzione della forma-partito tradizionale, avrebbe auspicato la nascita di «organizzazioni single issue» (per singola questione), in grado di riunire i suoi aderenti su obiettivi specifici e destinate a sciogliersi una volta raggiunto lo scopo prefisso. Gli iscritti, secondo Ostrogorski, sarebbero così stati affrancati dall’esigenza di assicurare una fedeltà irrazionale ed eterna; sarebbe venuta meno l’oppressione di una struttura organizzativa votata alla conquista del potere, innanzitutto attraverso il ricorso alla corruzione ed al clientelismo.

Quella della «organizzazione single issue» è una lezione concretizzata da circa vent’anni da Initiative für mehr Demokratie (iniziativa per più democrazia) che comincia a dare i suoi frutti. Infatti fino ad ora in Provincia di Bolzano, in barba all’autonoma speciale e alla democrazia ma non diversamente da moltissimi Paesi che si definiscono democrazie, si è governato sul popolo. D’ora in poi invece – sostengono a iniziativa per più democrazia – si dovrà governare con il popolo, come è giusto che sia in una vera democrazia. Da questa settimana infatti è in vigore la nuova legge sulla democrazia diretta!

Con il referendum (confermativo) per la prima volta previsto, gli aventi diritto al voto possono controllare in modo diretto l’attività legislativa del Consiglio provinciale. Ciò significa soprattutto che la rappresentanza politica fin d’ora dovrà essere consapevole del fatto che una legge da essa varata potrà essere sottoposta al referendum prima che questa entri in vigore. E con il voto referendario i cittadini potranno introdurre su loro iniziativa una nuova legge, come potranno modificare o abrogare una legge esistente.

Determinanti a tal fine sono le nuove regole che ora si presentano praticabili. Ciò prima non valeva con il quorum del 40%. Questo è ora abbassato al 25%. Il numero delle firme richieste per attivare un referendum invece è rimasto invariato, secondo la versione originale del disegno di legge però avrebbe dovuto essere abbassato sensibilmente da 13.000 a 8.000. Questa soglia anche se non è insormontabile, sicuramente è troppo alta soprattutto per tematiche nuove. Almeno si è provveduto a estendere il periodo di raccolta firme a sei mesi.

A Initiative für mehr Demokratie si punta ora alle 8.000 firme, perché tale soglia corrisponde più o meno al 2% degli aventi diritto al voto. La popolazione della Provincia autonoma di Bolzano, infatti, ammonta (2016) a: 520.891. Essendo questo il numero di firme di riferimento chiave quello relativo alla soglia di 1/50 (2%) degli elettori, come indicato dalla Commissione Europea per la Democrazia Attraverso il Diritto (meglio conosciuta come la Commissione di Venezia, perché s’incontra a Venezia – Tel. +39 041 319 08 60) che è l’organo consultivo del Consiglio d’Europa sulle questioni costituzionali.

Alla Commissione, infatti, si argomenta che un elevato numero di firme può indicare un ampio sostegno popolare. Tuttavia, esso non garantisce il supporto, perché le persone possono firmare perché sono convinte che la questione sia controversa, e che dovrebbe essere decisa dal popolo (in qualsiasi senso). Parole chiare da parte di un autorevole organismo internazionale di alta competenza.

Manca ancora molto alla legge alto-atesina: in primo luogo la possibilità di poter sottoporre al voto referendario anche le delibere della Giunta provinciale, come originariamente previsto nella proposta popolare di legge, e la possibilità per il Consiglio di contrapporre nel voto una propria proposta a quella dei cittadini. Cosa che avviene in Svizzera, per esempio. E molto altro rimane da correggere. Occorre soprattutto (come detto) abbassare la soglia delle firme e facilitare il procedimento stesso della loro raccolta. La cosa determinante però è che questa legge sia praticabile, non da ultimo per le correzioni di cui ha bisogno per diventare una buona legge.

Tuttavia in quello che gli autoctoni continuano a definire legittimamente Sud Tirolo, non è riscontrabile, per esempio a Vicenza, dove un Sindaco e la sua Giunta (Che sono stati votati da un cittadino su quattro. Le elezioni democratiche sono solo una struttura abbastanza recente, e anche una delle meno affidabili.) insiste a “vendere” le proprietà dei suoi cittadini. E anche se si ammanta di possibilismo le cose, secondo il suo omologo di Verona, sembrano già avviate alla loro conclusione.

Nel libro su indicato, Moisei Ostrogorski ha osservato e descritto un determinismo comportamentale nella struttura organizzativa dei partiti che è riscontrabile ancor oggi, per esempio con il M5S e la Lega Nord (che tale non è più) scrivendo tra l’altro: «Non appena un partito, anche se creato per il più nobile oggetto, si sforza di perpetuare se stesso, tende alla degenerazione oligarchica.»

Questa sembra la metamorfosi che ha trasformato alcuni Consiglieri vicentini di opposizione eletti con sedicenti liste civiche, perché i partiti erano impresentabili. Costoro sono stati informati delle perplessità di numerosi cittadini. Ma la cosa più riprovevole è che detti “rappresentanti” dell’opposizione, nemmeno si sono preoccupati di rispondere ai solleciti rivolti loro per mezzo della posta elettronica certificata. A questo punto anche se non è il nostro autore preferito, ci sia permesso di parafrasare Karl Marx: “La maggior parte degli schiavi crede di essere tale perché il potere è il Potere, non si rende conto che in realtà è il potere che è Potere perché essi sono schiavi”. Insomma, “Noi siamo sovrani… ma crediamo di essere schiavi”.

Di seguito una breve descrizione degli strumenti di democrazia diretta ora a disposizione e delle regole di procedimento.

COSA ORA È POSSIBILE CON LA NUOVA LEGGE SULLA DEMOCRAZIA DIRETTA

Iniziativa popolare a voto popolare e referendum

A – Possono essere presentate proposte di legge di cittadini (promotori) e sottoposte sia al voto referendario vincolante sia a quello consultivo.

B – Tutte le leggi votate dal Consiglio provinciale senza la maggioranza dei due terzi possono essere sottoposte al voto referendario prima che entrino in vigore qualora questo venga richiesto entro 20 giorni dopo l’approvazione da almeno 300 promotori.

In entrambi i casi vanno presentate entro sei mesi 13.000 firme di aventi diritto al voto autenticate a sostegno della richiesta. Come copertura di spese i promotori percepiranno 1€ per ogni firma da raccogliere, ovvero 13.000. Non sono ammissibili votazioni referendarie su leggi tributarie e di bilancio, sulla disciplina degli emolumenti spettanti al personale e agli organi della Provincia nonché su quelle che riguardano norme e materia di tutela dei diritti dei gruppi linguistici e di minoranze etniche e sociali.

Una commissione valuta se le proposte rientrano nelle competenze della Provincia e ne valuta la conformità alle disposizioni della Costituzione, dello Statuto speciale e alle limitazioni risultanti dall’ordinamento giuridico comunitario, agli obblighi internazionali nonché ai requisiti e limiti previsti dalla legge.

Tutti gli aventi diritto al voto in vista della votazione referendaria ricevono per posta un opuscolo referendario nel quale trovano descritto in modo oggettivo e imparziale il quesito della votazione e in ugual misura gli argomenti dei sostenitori e degli avversari.

La votazione è valida se avrà partecipato al voto almeno il 25% degli aventi diritto al voto.

Iniziativa popolare a voto consigliare

C – Possono essere sottoposte alla trattazione obbligatoria da parte del Consiglio provinciale disegni di legge raccogliendo le firme di 13.000 aventi diritto al voto del Consiglio provinciale. Su di esse il Consiglio delibera entro un anno.

Il Consiglio delle cittadine e dei cittadini

D – Il Consiglio si compone di 12 persone scelte mediante estrazione a sorte con campionamento stratificato secondo gruppo linguistico, genere ed età. Esso tratta entro un giorno e mezzo la questione che gli viene sottoposta e rientrante nella competenza del Consiglio o della Giunta provinciale. Alla fine redige una dichiarazione congiunta e unanime in merito con idee, proposte e suggerimenti. L’istituzione di un Consiglio delle cittadine e dei cittadini può essere richiesto da parte di 300 cittadini.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Coała xeła l'etega de l'endependenteixmo veneto?

Messaggioda Berto » ven dic 07, 2018 8:37 am

Indipendentismo, nasce l’Asenblèa Veneta
Enzo Trentin
5 dicembre 2018

https://www.vicenzareport.it/2018/12/in ... mment-5510

Vicenza – Sabato primo dicembre, ha preso il via a Limena, vicino a Padova, quella che potremmo definire la prima «organizzazione single issue» (per singola questione) veneta, in grado di riunire i suoi aderenti su obiettivi specifici e destinata a sciogliersi una volta raggiunto lo scopo prefisso. Gli iscritti, che saranno unicamente persone singole e non potranno aderire se hanno cariche istituzionali o di partito, saranno così affrancati dall’esigenza di assicurare una fedeltà irrazionale ed eterna al leader di partito o movimento; la cui struttura è notoriamente ordinata per la conquista del potere, innanzitutto attraverso il ricorso alla corruzione ed al clientelismo.

La conferenza, è stata promossa da alcuni intellettuali notoriamente super partes. L’«Asenblèa Veneta» (AV), sarà legalmente formalizzata in questi giorni, si doterà di un portale Internet che conterrà tutto l’ampio panorama dell’indipendentismo, non solo veneto ma anche internazionale. Vorrà anche essere il luogo deputato per la formazione e il lavoro di quella Intelligencija che sul territorio esiste, ma che sinora – anche per l’esistenza di conflittualità e rivalità partitiche – non ha trovato il terreno ideale per esprimersi.

Nel corso del dibattito che si è sviluppato è stata fatta un’analisi delle ragioni economiche, scientifiche e storiche che militano a favore di un distacco dall’unità italiana al fine di permettere a ogni comunità di crescere e governarsi al meglio. La libertà del Veneto non danneggerebbe le altre realtà italiane, ma al contrario il superamento dell’unità può aiutare tutti e favorire l’uscita dall’attuale crisi. Non possiamo trascurare che pur nell’esistenza degli imperi del passato, la penisola italica ebbe il suo massimo sviluppo economico, culturale e artistico proprio nella peculiarità della civiltà comunale.

E siccome la crisi non è solo italiana, ma europea e mondiale, l’attività di Av assumerà anche un carattere internazionale. In questo senso la presenza (a Limena) e il saluto dalla Catalogna ad opera di Marc Gafarot per conto dell’Assemblea Nazionale Catalana (Anc), organizzazione che, nata nel 2011, ha promosso le mobilitazioni che in Catalunya hanno portato milioni di persone a manifestare per le strade e le piazze e che insieme ad Omnium Cultural ha realizzato la campagna «Ara és l’hora» (È giunto il momento). Tra i prossimi appuntamenti pubblici è stata annunciata un’iniziativa di internazionalizzazione della crisi catalana, in difesa dei prigionieri politici catalani (da più di un anno incarcerati in attesa di giudizio) e a sostegno della battaglia per la libertà della Catalogna. Proprio in questa ottica alla riunione di Limena s’è riscontrata anche la presenza di osservatori di Assemblea Nazionale Catalana e dell’università di Madrid.

L’Asenblèa Veneta sarà una realtà politica, ma non partitica, e non concorrerà ad alcuna elezione. Produrrà solo ideali, battaglie, idee, progetti, il tutto al fine di lasciare prospettive migliori alle generazioni future. Essa si ispira proprio ad Anc, mutuandone lo Statuto con gli ovvi adattamenti. Av si propone di agire sulla società civile (favorendo una crescente consapevolezza della necessità di abbracciare le tesi secessioniste) e sul mondo politico, affinché si metta al servizio di quanti intendano decidere del proprio futuro attraverso il diritto all’auto-determinazione dei popoli. E sempre nell’ottica dell’internazionalizzazione delle rispettive autodeterminazioni si sta lavorando per favorire un viaggio in Veneto di Carles Puigdemont, ex presidente della Generalitat de Catalunya, oggi in esilio per sfuggire alla sorte dei 21 suoi colleghi attualmente ospiti delle prigioni spagnole. Il proposito non è quello d’informare le istituzioni. Esse conoscono perfettamente il problema e i protagonisti. L’obiettivo è, invece, quello d’informare l’opinione pubblica troppo spesso fuorviata dai mass-media di regime.

Le rivendicazioni auto-deterministiche prendono consapevolezza e forza dalla constatazione che sarebbe realmente necessaria una maggior sovranità cultural-politico-economica dei popoli che attualmente sono inglobati negli Stati dell’Ue. La leadership europea, infatti, sembra essersi rivolta in direzione opposta. In un mondo che sta diventando sempre più multipolare, non si può abdicare da ogni genere di sovranità, politica, economica e difensiva; questa è la ricetta per un disastro. E infatti i “virili” Stati ottocenteschi, come pure l’Ue, stanno traballando sempre più vistosamente.

Le constatazioni che si sono fatte a livello veneto riguardano la consapevolezza d’essere un antico popolo. D’avere una propria specifica lingua e cultura. Di avere valorizzato e preservato un patrimonio architettonico, paesaggistico, ambientale, escursionistico e folcloristico che pone la regione al top delle presenze turistiche della penisola. E questo malgrado le devastazioni delle due guerre mondiali; la prima delle quali fu combattuta esclusivamente in queste terre. Del resto si vede solo nella autodeterminazione la garanzia per il Veneto nell’adottare misure per salvaguardare la sua sicurezza e integrità territoriale, considerata la violazione della garanzia statale italiana riscontrata più recentemente anche con l’inadeguatezza o la scarsità di supporti per le recenti e catastrofiche devastazioni ambientali provocate in particolare nella provincia di Belluno.

Perseguire un’autodeterminazione pacifica, per il Veneto è qualcosa che riguarda la sopravvivenza. Nessuno vuole un colpo di Stato che rovesci la falsa e corrottissima democrazia italica. Ma, come giustamente hanno osservato alcuni autorevoli imprenditori presenti alla riunione dell’Asenblèa Veneta, il debito con il quale l’attuale governo intende avviare le sue riforme, è una nuova forma di colonialismo. I vecchi colonizzatori si sono trasformati in tecnici dell’aiuto umanitario. Sono stati loro a proporre i canali di finanziamento, dicendo che erano le cose giuste da fare per far decollare lo sviluppo dell’Italia, la crescita del suo popolo e il suo benessere. Hanno operato affinché il Veneto, il suo sviluppo e la sua crescita obbediscano a delle norme, a degli interessi che le sono totalmente estranei. Hanno fatto in modo che ciascun cittadino sia, oggi e domani, uno schiavo finanziario. L’attuale tassazione è compulsiva, persecutoria e anti-concorrenziale. Se il Veneto – che dalla crisi del 2007/8 ha perso circa il 25% della sua imprenditorialità – continuerà la sua “discesa agli inferi” non potrà più risollevarsi. E non sarà chi è costretto ad andare per stracci che potrà essere elemento di progresso e prosperità.

Nel capitolo II, del libro: «Secessione – Quando e perché un paese ha il diritto di dividersi», Allen Buchanan dimostra che un gruppo può lecitamente opporsi allo Stato con la forza qualora si trovi a essere vittima di una ridistribuzione discriminatoria – ossia, qualora le politiche economiche o fiscali dello Stato operino sistematicamente a detrimento di quel gruppo e a beneficio di altri, in assenza di una valida giustificazione morale per questa difformità di trattamento. In terzo luogo, ritiene che, a certe condizioni, un gruppo sia legittimato a secedere quando ciò risulti necessario alla tutela della sua particolare cultura o forma di vita comunitaria. Ciascuna di queste conclusioni rappresenta una brusca dipartita rispetto a quella che spesso viene ritenuta una fondamentale caratteristica dell’individualismo liberale: l’esclusiva preoccupazione per i diritti individuali, e il conseguente insuccesso nel valutare l’importanza della comunità o della appartenenza al gruppo per il benessere, e per la stessa identità dell’individuo.

Si è constatato come le voci dell’autonomismo non siano altro che Sirene. Luca Zaia, oggi, è percepito dall’opinione pubblica come un indipendentista che vuole raggiungere l’obiettivo attraverso l’autonomia. Ma nessuno può servire due padroni (vedi qui). Per giunta quella di cui si discute è un’autonomia che non modifica in alcun modo la situazione di sfruttamento che il Veneto subisce dato che si parla di «un’autonomia “a costi storici”: b) le compartecipazioni al gettito dei tributi erariali prescelti […] andranno determinate facendo anche riferimento, […] al volume della spesa storica sostenuta dallo Stato nella Regione e riferita alle funzioni trasferite o assegnate».

Ovvero, lo Stato lascerà le competenze alla Regione, ma non i soldi per provvedervi. Sicuramente non per il primo anno, come appare dal documento sopra indicato. Ed è scendendo sul “terreno” che scopriamo allora la più totale confusione, col fenomeno che ci preme denunciare ed esaminare in questa breve cronaca. Succede in continuazione che la confusione tra i due “territori”: politico e democratico, sia quotidianamente esercitata dai rappresentanti in forma del tutto arbitraria. In realtà l’attuale Presidente della Regione Veneto, e i suoi sodali, altro non sono che agenti dell’inefficiente Stato italiano, il quale neppure un’autonomia degna di questo nome concederà a lui ed ai veneti.

È stata evocata un’immagine efficace: superare l’effervescente galassia indipendentista, perché rappresenta elementi che percorrono una propria orbita, per introdurre il concetto di mosaico, dove ogni tessera con i suoi colori e le sue sfumature contribuisce alla rappresentazione di un disegno complessivo. Asenblèa Veneta si proporrà come facilitatore di un progetto politico-istituzionale proprio in funzione dell’instabilità del quadro politico internazionale. Si punta ad un’Europa dei popoli e non degli Stati.

La riunione padovana summenzionata è stata beneficiata da un pubblico numeroso che non solo ha riempito la sala della conferenza, ma anche le sale adiacenti con persone in piedi. Intenzionalmente non abbiamo fatto alcun nome sia per evitare dimenticanze, sia perché troppo lungo sarebbe stato l’elenco. Si sono visti i volti noti dell’autonomismo-federalismo della prima ora, approdati all’indipendentismo a causa della sordità delle istituzioni italiane. E fendendo la folla dei presenti si potevano raccogliere gli echi, i sussurri, le speranze per una filosofia politica autoctona, che si opponga rigorosamente ad ogni attacco alle persone e alle proprietà degli individui.

Un ordinamento che deve ruotare attorno alla «sovranità dell’individuo», e alla democrazia diretta. Che superi la compulsiva «aggressione» fiscale. L’idea è che ogni individuo pacifico deve avere la libertà di disporre della propria persona, del proprio tempo, e delle proprie risorse nel modo che più gli aggrada. La forza è ammissibile solo come autodifesa, e solo se è rivolta contro l’aggressore, non contro il rappresentante di una classe. Un individualismo che respinge lo Stato italiano proprio perché rappresenta l’istituzionalizzazione della forza contro i pacifici individui.




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Gino Quarelo
Bene. Speriamo che i veneti riescano a dimostrare prima a se stessi e poi al mondo che sono veramente un popolo. Ma la vedo assai dura!
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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