L’indipendenza è un diritto 1/ Ma senza accordi e unità resta un miraggio
ENZO TRENTIN
1 Jun 2016
http://www.lindipendenzanuova.com/lindi ... n-miraggio
Un lettore, in calce ad un nostro recente articolo criticando l’intenzione del Presidente della Regione Veneto: Luca Zaia, di voler presto indire un referendum consultivo sull’autonomia di tale Regione, ha scritto: «È già stato fatto un referendum sull’indipendenza di tipo privatistico, come non poteva essere altrimenti, e certificato ben due volte sia in campo nazionale che internazionale. È stato fatto un ricorso di 421 pagine contro l’Italia innanzi all’Alta Corte di Giustizia per i diritti umani [La Corte europea dei diritti dell’uomo (abbreviata in CEDU o Corte EDU). Ndr], ci si appresta anche a fare passi all’O.N.U. e se verrà deciso anche sugli U.S.A. che come ogni veneto dovrebbe sapere è stata riconosciuta la loro indipendenza, come primo Stato, dalla Serenissima di Venezia e chiedere una reciprocità mi sembra il minimo che si possa pretendere oggi.» [ http://www.lindipendenzanuova.com/un-po ... 2v2fr.dpuf ]
Premessa la “singolarità” del referendum di Zaia che non porterà a nulla, e al fine di favorire un utile approfondimento della questione, proponiamo alcune riflessioni e constatazioni:
I potenti, siano essi sacerdoti, capi militari, re, governatori, o in genere i “rappresentanti”, credono sempre di comandare in virtù di un diritto divino; e quelli che sono loro sottomessi si sentono schiacciati da una potenza che pare loro divina o diabolica, in ogni caso soprannaturale. Ogni società oppressiva è cementata da questa religione del potere, che falsifica tutti i rapporti sociali permettendo ai potenti di ordinare al di là di ciò che possono imporre; qualcosa di diverso accade solo nei momenti di effervescenza popolare, momenti in cui al contrario tutti, schiavi in rivolta e padroni minacciati, dimenticano quanto le catene dell’oppressione siano pesanti e solide.
Simone Weil è stata e sarà sempre non contemporanea al suo e al nostro tempo. In “La Prima Radice” ha scritto: «La nozione di obbligo predomina su quella di diritto, che le è relativa e subordinata. Un diritto non è efficace di per sé, ma solo attraverso l’obbligo corrispondente; l’adempimento effettivo di un diritto non viene da chi lo possiede, bensì dagli altri uomini che si riconoscono, nei suoi confronti, obbligati a qualcosa. L’obbligo è efficace allorché viene riconosciuto. L’obbligo, anche se non fosse riconosciuto da nessuno, non perderebbe nulla della pienezza del suo essere. Un diritto che non è riconosciuto da nessuno non vale molto. Non ha senso dire che gli uomini abbiano dei diritti e dei doveri a quelli corrispondenti. Queste parole esprimono solo differenti punti di vista. La loro relazione è quella da oggetto a soggetto».
Una conferma di ciò la troviamo nei cittadini sahrawi nati prima del 1975. Essi sono considerati cittadini spagnoli, ma se chiedono i documenti alla Spagna, questa li nega. Il popolo sahrawi, cioè “sahariano” è un esempio di diritto non riconosciuto, quindi dell’inutilità di perseguire solo i diritti. [ https://it.wikipedia.org/wiki/Sahrawi ] E per un approfondimento alleghiamo una nota dal titolo: “Il Sahara Occidentale: dall’oppressione coloniale alla lotta verso l’indipendenza”.
Il 14 dicembre 1960 l’ONU votò la risoluzione n. 1514 con la quale si riconosceva il diritto all’indipendenza per le popolazioni dei paesi colonizzati. Nel 1963 il Sahara Occidentale fu incluso dalle stesse Nazioni Unite nell’elenco dei paesi da decolonizzare e nel dicembre di due anni dopo l’Assemblea Generale riaffermò il diritto all’indipendenza del popolo sahrawi, invitando la Spagna a metter fine alla sua occupazione coloniale dell’area.
Nel 1966 l’ONU ratificò l’atto di autodeterminazione del popolo sahrawi. Il 10 maggio 1973 il Polisario (Frente Popular de Liberación de Saguia el Hamra y Río de Oro) organizza il suo primo congresso di fondazione e la Spagna, l’anno seguente, compie un censimento della popolazione del Sahara Occidentale, atto necessario per organizzare il referendum richiesto dall’ONU fin dagli anni ’60. Il risultato indica la presenza nella regione di 74.902 persone e il 20 agosto 1974 la Spagna annunciò il suo parere favorevole per l’effettuazione del referendum di autodeterminazione del popolo sahrawi.
Pur tuttavia, ai primi del 1975, il re del Marocco Hassan II espresse la sua totale opposizione all’indipendenza del paese, malgrado il 12 maggio 1975 una missione dell’ONU recatasi in visita nei territori del Sahara Occidentale, riconfermasse il diritto all’autodeterminazione del popolo sahrawi, riconoscendo di fatto il Polisario che, già da qualche mese, aveva cominciato ad effettuare operazioni di guerriglia contro la Spagna.
Un’altra missione ONU incaricata di verificare la situazione del paese rileva quanto la popolazione osteggi l’annessione del Sahara Spagnolo ad uno dei paesi vicini e come sostenga il Fronte Polisario quale proprio legittimo rappresentante. Il 18 ottobre 1974 la Corte dell’Aja aveva decretato illegittima l’applicazione del principio di res nellius (terra di nessuno) al Sahara Spagnolo e dichiarava l’inesistenza di vincoli di sovranità territoriale di Marocco e Mauritania nei confronti del Sahara Spagnolo.
Il Marocco non accetta passivamente le risoluzioni dell’ONU e reagisce, dopo aver stipulato un accordo segreto con la Mauritania, inviando ben 350.000 contadini da Tarfaya al di la’ del confine con il Sahara durante la cosiddetta Marcia Verde, ufficialmente dichiarata una pacifica manifestazione secondo Re Hassan II ma prontamente condannata dall’ONU.
Il 14 novembre 1975 a Madrid, Re Juan Carlos di Borbone, Re Hassan II e Mokhtar Ould Daddah, presidente della Mauritania, siglano un trattato che prevede, alla partenza della Spagna, la spartizione del territorio tra Marocco e Mauritania.
Questa la dimostrazione che nessun patto ha mai garantito l’efficacia neppure agli sforzi più generosi. E sarebbe ridicolo desiderare che un’operazione magica permetta di conseguire grandi risultati con le forze infime di cui dispongono gli individui isolati.
Che ci si debba disfare di uno Stato ed un governo inadeguati (eufemismo) possiamo essere d’accordo, perché come scriveva George Orwell «Un popolo che elegge corrotti, impostori, ladri, traditori, non è vittima, è complice.» A questo punto, però, ci sembra che la cosa più sensata che gli autentici indipendentisti possono fare è confrontarsi su un progetto istituzionale che diventi condivisibile. Se le loro teorie e convincimenti non sono in grado di persuadere o non trovano un compromesso accettabile tra chi come loro si considera ed agisce da indipendentista, come potranno mai conquistare l’opinione pubblica?
Dopo essersi conciliati tra di loro, le loro tesi, ed aver concretizzato un’ipotesi di nuovo assetto istituzionale, potranno partire alla conquista delle menti, dei cuori e dell’anima dell’opinione pubblica, poiché una volta acquisita questa vittoria potranno dichiarare la secessione o l’autodeterminazione (che in questo caso divengono sinonimi), e non ci sarà partito o istituzione italiana che potranno contrapporsi. Ma contestualmente dovranno anche mettere in evidenza quali vantaggi avranno gli altri Stati a riconoscerla, ad intrattenere con essa rapporti commerciali e quant’altro, poiché la “reciprocità” richiamata dal nostro lettore non può basarsi che su questi ultimi.
Si tenga presente che nel Somaliland sono indipendenti da 25 anni, ma nessuno li riconosce. Nel Paese si tengono elezioni, il grado di sicurezza è elevato, ma nessun governo al mondo riconosce ufficialmente il governo del Somaliland. [ http://www.miglioverde.eu/somaliland-in ... -riconosce ] Ciò è estremamente frustrante per Saad Ali Shire, il Ministro degli Esteri: «Non è giusto. Se avessimo saputo ciò che ci meritiamo [il riconoscimento], potremmo accedere ai prestiti internazionali, potremmo beneficiare di un aiuto allo sviluppo, potremmo attrarre gli investitori stranieri per creare ricchezza e posti di lavoro, ma non possiamo far nulla di tutto ciò».
L’indipendenza è un diritto 2 / Il Sahara Occidentale: dall’oppressione coloniale all’autoderminazione
1 Jun 2016
ENZO TRENTIN
http://www.lindipendenzanuova.com/lindi ... rminazione
Il Saharawi prima della colonizzazione spagnola – La presenza umana nell’area dell’attuale Sahara Occidentale, o Sahara Spagnolo, risale al periodo mesolitico, ed è testimoniata da numerosi ritrovamenti archeologici. Nei millenni successivi, nonostante l’inaridimento progressivo dell’area gli insediamenti non cessarono mai di esistere. Le popolazioni che abitavano queste terre presentavano caratteri somatici misti negroidi e nordici.
A partire dal primo millennio a.C., gruppi nomadi berberi migrarono in queste terre sovrapponendosi e mischiandosi alle etnie che già presenti. L’arrivo dei berberi vide l’apertura delle vie carovaniere transahariane che collegavano le coste dell’Atlante con le terre che si affacciano sul Golfo di Guinea e ciò permise di migliorare le condizioni economiche delle popolazione. Successivamente, dal VII secolo l’espansione araba fece sentire la propria pressione anche su queste terre comportando l’islamizzazione dei popoli locali, avvenuta comunque lentamente e non senza difficoltà. Ed è proprio dalla fusione del gruppo berbero dei Sanhaya con la popolazione araba dei Beni, avvenuta tra il XIII ed il XIV secolo, che nacque il nucleo originario del popolo Saharawi. Infatti, essi presentano caratteri razziali misti arabo-africani e parlano un dialetto arabo denominato Hasanya.
L’insieme delle tribù saharawi, a differenza di quanto accadeva nei limitrofi regni di Marocco e Mauritania, non diedero vita ad una organizzazione statale ed unitaria ma si organizzarono secondo una scala gerarchica che vedeva in cima le tribù guerriere (Reguibat, Uld Delim, Tekna), le quali avevano il controllo delle vie carovaniere; sotto di esse vi erano le tribù “religiose”, che si dedicavano alla predicazione coranica ed trasmissione della cultura; infine vi erano le tribù stanziali della costa, che vivevano di pesca e della produzione delle saline, e quelle di pastori nomadi dell’entroterra. Tutti questi gruppi, comunque pagavano un tributo alle tribù guerriere che offrivano, in cambio, la loro protezione.
Ogni tribù si autoamministrava attraverso l’assemblea dei capi famiglia, la Giama’a, che eleggeva un capo, il giudice il quale operava nel rispetto della legge islamica. Nonostante la vastità del territorio e la conseguente bassa densità della popolazione non favorissero l’avvicinamento e la coesione tra le varie comunità in situazioni di pericolo e guerra venivano stretti patti tra i vari gruppi ed entrava in funzione una organizzazione sovratribale chiamata l’Ait’Arba’in.
La colonizzazione spagnola
I primi tentativi di penetrazione coloniale di Spagna e Portogallo ai danni delle popolazioni autoctone iniziarono già nel XV secolo ma, a seguito della bellicosità delle tribù del Sahara e della loro reazione, non riuscirono per molto tempo a realizzare i propri progetti. Gli europei erano però molto interessati alle ricchezze del paese, soprattutto allo sfruttamento delle risorse ittiche ed al controllo delle vie carovaniere ed ai traffici che vi si svolgevano; tornarono perciò in seguito a perseguire i propri scopi espansionistici. Dopo che anche Francia ed Inghilterra si dimostrano interessate al nord-Africa la Spagna, nel 1884 invia l’italiano Emilio Bonelli ad esplorare i territori del Rio de Oro: egli riuscirà ad ottenere un trattato con le popolazioni locali tramite il quale le stesse riconoscevano il controllo dell’autorità spagnola fino a Capo Bianco e, già l’anno seguente durante il Congresso di Berlino, la Spagna proclamerà la sua sovranità su tutto il Rio de Oro oltre che su Tunisia, Mauritania e su alcuni territori del Golfo di Guinea.
Da quel momento in poi inizia a consolidarsi la presenza dei colonizzatori spagnoli con la costruzione delle città di Villa Cisneras, oggi Dakhla, e La Guera; la presenza spagnola si limiterò però per molto tempo alla sola costa in quanto la penetrazione nell’entroterra fu resa ardua dall’ostilità delle popolazioni locali. La reazione delle popolazioni locali non si fece però attendere ed, attorno al predicatore Ma’ el-Aynin, si coagulò il primo gruppo di resistenza sahrawi. Le file della resistenza, originariamente formata dai 68 figli e dalle 26 mogli del capo, si ingrossarono con l’apporto di elementi tra cui molti nomadi del deserto minacciati dalla pressione coloniale; nel 1885 viene perciò proclamata la guerra santa contro gli invasori e, nello stesso anno, fondò la città di Smara unica città sahrawi di fondazione indigena. Per condurre la sua lotta cercò anche di tessere una rete di alleanze ma il suo tentativo di unire alla causa il Marocco fallì quando questo, nel 1912, diventa protettorato francese. Ma’ el-Aynin morì in battaglia e questa circostanza favorì la spartizione dell’area tra Francia e Spagna che si accordarono per sfruttare la regione ed annientare definitivamente la resistenza sahrawi. Nonostante le truppe francesi premessero da nord, est e sud e la presenza spagnola penetrasse sempre più in profondità nell’entroterra, la resistenza locale non demorse e Smara cadde solo nel 1934 quando ormai tutto il paese era ormai assoggettato al potere coloniale. Come successo in molte altre simili circostanze, la repressione che seguì alla sconfitta militare fu immediata e violenta. I reduci della resistenza vennero perseguitati ed espulsi dal paese ed anche la popolazione civile che aveva appoggiato la ribellione venne punita con la distruzione dei propri mezzi di sussistenza, bestiame ed agricoltura. La guerra civile spagnola e l’apparente scarsezza di ricchezze della colonia fecero si che per oltre un quindicennio, fino alla fine degli anni ’40, la presenza coloniale non sia troppo oppressiva. Quando però venne scoperta la presenza di giacimenti di fosfati ed iniziarono le ricerche di depositi di idrocarburi l’interesse della Spagna tornò a ridestarsi.
Il processo di decolonizzazione e le ingerenze del Marocco.
In quegli anni, inoltre, l’effervescenza di molte zone del Magreb che avviavano la lotta per l’indipendenza, faceva sentire i suoi effetti anche nel Sahara spagnolo. Il Marocco aveva ottenuto l’indipendenza nel 1956 ma non considerava la lotta per l’indipendenza conclusa in quanto mirava all’annessione dei territori sahariani (Mauritania, Sahara dell’ovest, parte dell’Algeria e del Mali) ancora sotto dominio francese e spagnolo; la Mauritania, sottomessa ai colonizzatori, vedeva invece il sahara spagnolo come il naturale fratello per una futura unificazione.
Già all’indomani della cacciata dei colonizzatori, quindi, l’Armata di Liberazione del Marocco, affiancata da forze sahrawi compie una serie di attacchi contro Ifni, dov’era allora posta la residenza del governatore spagnolo. La reazione spagnola è decisa e vengono immediatamente trasferiti 14.000 soldati e 130 aereoplani: la resistenza sahrawi è immediatamente sconfitta e l’armata marocchina ricacciata oltreconfine. Come già avvenuto in passato la popolazione civile fa le spese del conflitto; una parte del Saquit el-Hamre viene costretta all’esodo mentre il resto dei civili deve subire persecuzioni ed uccisioni per ritorsione. La cessione della zona di Tarfaya dalla Spagna al Marocco riporta comunque la pace tra le due nazioni.
Con il ristabilimento della calma viene fondata l’ENMINSA, la società mineraria spagnola che, grazie anche ad appoggi statunitensi e tedeschi, inizia l’attività estrattiva nella zona di Bu Craa dove viene aperta una miniera a cielo aperto.
Contemporaneamente il Marocco ribadisce le sue mire espansionistiche cercando di ostacolare il processo d’indipendenza della Mauritania che comunque si affrancherà nel 1960. Anche con l’Algeria, dopo che ne aveva appoggiato la lotta anti-francese, sorgono contrasti a causa della contesa sul territorio di Tindouf: in seguito la situazione verrà risolta con la rinuncia da parte algerina della sovranità sul territorio in cambio di uno sfruttamento congiunto delle miniere di ferro.
Nel 1965 anche l’ONU incomincia ad interessarsi della situazione ed approva una prima risoluzione, che verrà in seguito reiterata ogni anno, nella quale si chiedeva al governo spagnolo di prendere adeguate misure al fine di liberare i territori dell’Ovest Sahara istituendo un referendum tramite il quale il popolo sahrawi avrebbe potuto decidere del proprio futuro. Ufficialmente le posizioni di Marocco, Mauritania e Spagna sono favorevoli all’iniziativa ma, nei fatti, non fanno nulla per renderla effettiva. Il governo spagnolo, rimandando continuamente il referendum, crea addirittura la Giama’a un’Assemblea Generale del Sahara che però risulta essere un organo in mano agli spagnoli che lo utilizzano per i propri fini.
Intanto, il processo di urbanizzazione delle popolazioni nomadi, accelerato dalle ricorrenti stagioni secche e dalla grande offerta di lavoro nei centri della costa, faceva sempre più sentire i suoi effetti mettendo a contatto elementi di tribù che in passato non avevano mai avuto modo di solidarizzare e la popolazione spagnola con quella indigena. Questo processo consente la nascita di una diffusa coscienza etnico-nazionale che risulterà fondamentale nel proseguo della lotta di liberazione del popolo Sahrawi. I giovani sahrawi hanno da questo momento la possibilità di studiare ed istruirsi nelle scuole marocchine e nelle università dei paesi magrebini mentre gli stessi spagnoli, spinti dalla necessità di reclutare mano d’opera specializzata per le proprie imprese, aprono numerose scuole superiori.
La nascita del movimento indipendentista sahrawi: il Fronte Polisario
Il 1967 vede la nascita del primo movimento organizzato per l’indipendenza del popolo sahrawi: è l’ MLS (Movimento di Liberazione del Sahrawi) fondato da Sidi Ibrahim Bessiri un insegnante di religione ed arabo a Smara in Siria dove era arrivato dopo essere fuggito nel’58 in Marocco dove aveva potuto studiare. Il movimento aveva tra le sue finalità aveva la liberazione nazionale e numerose riforme sociali senza l’utilizzo della non violenza. Il 17 giugno, però, in occasione di una festa indetta dalle autorità spagnole per celebrare l’annessione del Sahara spagnolo, viene indetta una contromanifestazione di protesta nel quartiere popolare di Zemla nella città di Ayun. L’esercito reagisce sparando sulla folla e provocando un massacro: molti sono gli arresti effettuati e tra questi viè anche quello di Bassiri di cui, da quel momento, non si avranno più notizie. In seguito a questo fatto l’MLS viene sciolto ed i suoi aderenti vengono costretti all’esodo.
La lotta iniziata da Bessiri viene ripresa da un altro giovane Requibat di formazione marocchina, al-Wali Mustapha Sayed che comincia la sua militanza a favore della causa sahrawi entrando in un collettivo antispagnolo all’università di Rabat. Dopo i due colpi di stato contro il presidente Hassan, in cui gli aderenti al collettivo sono marginalmente coinvolti, decide assieme ai compagni di riparare a Zomerate in Mauritania. In questo luogo, dopo aver preso contatti con altri sahrawi, viene fondato nel 1973 il Fronte Polisario o Fronte per la Libertà del saquiat al-Hamra ed il Rio de Oro: l’intento dei ribelli è porre fine all’occupazione ed al regime coloniale degli spagnoli ricorrendo anche alla lotta armata. Nel III congresso del Fronte vengono inoltre chiarite le linee guida del movimento che prevedono la volontà di mantenere, una volta ottenuta l’indipendenza, le frontiere coloniali (in ottemperanza al principio sancito dall’OUA), di eliminare la struttura tribale della società e di emancipare le donne, che contribuiranno in seguito in modo determinante alla lotta anticolonialista. Fin dall’inizio la lotta del Fronte si esplica sia sul piano militare, con azioni via via sempre più efficaci, che su quello diplomatico cercando di intrattenere rapporti con i governi dei paesi arabi al fine di legittimare la propria rappresentatività del popolo sahrawi. Contemporaneamente la crisi dell’impero coloniale portoghese ed altri fattori spingono la Spagna ad affrontare la questione del Sahara spagnolo. Il censimento che viene fatto, però fornisce risultati atti a favorire gli interessi spagnoli, considerando gli indigeni sahrawi nel numero di 73.497, su un totale di 95.019 abitanti, mentre la resistenza quantifica in circa 500-600.000 il numero di sahrawi considerando i nomadi ed i numerosi fuoriusciti (40-50.000 risiedevano in Marocco, 18.000 in Algeria mentre altri in Mauritania).
La Marcia Verde
Appena la Spagna si dichiara pronta ad indire il referendum la reazione marocchina nella persona del re Hassan II è molta violenta ed il sovrano arriva ad affermare che impedirà con ogni mezzo l’inclusione di una opzione indipendentista all’interno del referendum. In precedenza la Spagna, intenzionata a lasciare libero il paese, aveva operato in tal senso favorendo la nascita del PUNS (Partito di Unità Nazionale Sahrawi) che avrebbe dovuto guidare il paese all’indipendenza; la reazione marocchina, però, spinse la Spagna a tornare sui suoi passi disilludendo le speranze della popolazione locale sempre più raggruppata attorno al Fronte Polisario. In Algeria il fronte cominciò ad approntare dei campi di raccolta nei quali confluirono anche numerosi disertori sahrawi dell’esercito.
Il 14 ottobre 1974 una missione ONU incaricata di verificare la situazione del paese rileva quanto la popolazione osteggi l’annessione del Sahara Spagnolo ad uno dei paesi vicini e come sostenga il Fronte Polisario quale proprio legittimo rappresentante. Due giorni dopo la Corte dell’Aja decreta illegittima l’applicazione del principio di res nellius (terra di nessuno) al Sahara Spagnolo e dichiarava l’inesistenza di vincoli di sovranità territoriale di Marocco e Mauritania nei confronti del Sahara Spagnolo.
Il Marocco non accetta passivamente le risoluzioni dell’ONU e reagisce, dopo aver stipulato un accordo segreto con la Mauritania, inviando ben 350.000 contadini da Tarfaya al di la del confine con il Sahara durante la cosidetta Marcia Verde, ufficialmente dichiarata una pacifica manifestazione secondo Re Hassan ma prontamente condannata dall’ONU.
Il 14 novembre a Madrid, Re Juan Carlos di Borbone, Re Hassan e Mokhtar Ould Daddah, presidente della Mauritania, siglano un trattato che prevede, alla partenza della Spagna, la spartizione del territorio tra Marocco e Mauritania.
La nascita della RASD
Dal canto suo il Fronte Polisario dichiara che “il nostro popolo, che attualmente deve far fronte all’invasione marocchina, considera l’accordo concluso… nullo e non avvenuto, e lo ritiene un atto di aggressione e di brigantaggio”. La Giama’a viene perciò immediatamente sciolta (il suo presidente aveva fatto atto di sottomissione al Marocco pochi giorni prima della marcia). Il 27 febbraio del 1976 a Bir Lahlu in territorio liberato, viene proclamata la nascita della RASD (Repubblica Araba Democratica Sahariana) coma stato arabo, africano e non allineato.
A questo punto le truppe marocchine e mauritane invadono il paese prontamente ostacolate dalla resistenza dell’ALPS (Armata di Liberazione Popolarev Sahrawi). L’invasione però si traduce subito in dramma per la popolazione civile costretta a fuggire dalle città trovando rifugio nei campi di raccolta organizzati dal Fronte Polisario nella parte nord-orientale del paese ancora libera. L’aggressione marocchina non si ferma neanche davanti all’esodo della popolazione e, sui campi di raccolta, vengono effettuati bombardamenti durante i quali vengono sganciate bombe al napalm ed al fosforo bianco. A questo punto l’unica salvezza consiste nell’attraversare il confine algerino: nei pressi di Tindouf il governo algerino concede una striscia di territorio al confine con la Mauritania. Proprio qui verrà costituito il nucleo della nascente Repubblica Sahrawi.
La resistenza sahrawi riesce comunque ad ottenere numerosi successi soprattutto sul fronte mauritano dove riescono addirittura a penetrare profondamente all’interno del paese. Nello stesso periodo la situazione interna della Mauritania era diventata sempre più precaria a causa della siccità e dell’oneroso impegno finanziario richiesto dalla guerra. Nel 1978, perciò, il Fronte Polisario proclama una tregua unilaterale e nel ’79 si arriva al definitivo cessate il fuoco tra le due parti consentendo alle forze del Fronte di potersi concentrare sul fronte marocchino. A questo punto le truppe marocchine invadono la regione del Rio de Oro appena evacuata dalle forze mauritane. Inoltre il Marocco, gia’ spalleggiato dalla Francia, tenta di ottenere anche l’appoggio tecnico-finanziario degli Stati uniti e lo otterrà in seguito in cambio della concessione di tre basi militari in territorio marocchino. Anche le truppe della RASD possono comunque contare sull’aiuto degli alleati algerini e libici dai quali ricevono armi, anche se la principale fonte di approvvigionamento militare risiede proprio nel sottrarle al nemico. In questo quadro maturano una serie di pesanti sconfitte per il Marocco che si vede costretto a cambiare repentinamente la propria tattica, in funzione anche del fatto che il popolo marocchino dimostra sempre maggior insofferenza nei confronti di una guerra che non smette di mietere vittime e di svuotare le casse statali. Viene così decisa la difesa del solo triangolo utile, ovvero quella zona comprendente le miniere di fosfati e le città, tramite la costruzione di un muro di sabbia e filo spinato lungo circa 1.500 chilometri, di alcune potenti fortificazioni presso punti strategici e l’utilizzo di un’attenta vigilanza aerea. Anche in questo modo, però, le forze marocchine subiscono nuove sconfitte e ben presto le nuove postazioni cadono, compresa la roccaforte di Guelta Zammur, e numerosi varchi vengono aperti nel muro. Ancora una volta però, il supporto offerto dagli Stati Uniti consente al Marocco di rafforzare le proprie difese e viene costruita una nuova barriera formata da ben quattro mura ampliate rispetto alla precedente e dotate perfino di attrezzature elettroniche di difesa. La nuova difesa è presidiata da 120.000 soldati!
Anche l’ALPS è perciò costretta cambiare tattica e, nell’84, lancia l’offensiva “Gran Magreb” basata su attacchi fulminei e ripetuti localizzati sempre in diversi punti infliggendo notevoli danni al nemico dimostrando quanto sia importante per il popolo sahrawi, la completa liberazione della loro patria.
Sul piano diplomatico la RASD è stata via via riconosciuta da un numero sempre crescente di nazioni (in numero di 59 al luglio 1985) ma l’ONU, pur emanando una serie di risoluzioni atte ad aprire i negoziati per favorire lo svolgimento del referendum, non ha mai menzionato la Repubblica Sahrawi nei suoi testi, mancando implicitamente di riconoscerne l’esistenza. Diverso è il comportamento tenuto dall’OUA che, nel 1982 ad Addis Abeba, ammetteva la RASD nell’organizzazione quale 51°, provocando la dissociazione del Marocco all’organizzazione
La vita nei campi profughi
Dal 1975 circa 160.000 sahrawi sono costretti a vivere nei campi profughi dislocati nei pressi di Tindouf, nel deserto algerino. Le condizioni nei campi sono terribili: la mancanza di cibo, acqua e medicinali aggrava la situazione resa già difficile dall’affollamento e dal continuo flusso di profughi. Gli organismi e le associazioni internazionali intervengono fornendo gli aiuti più urgenti. L’organizzazione dei campi risulta comunque, fin dall’inizio, ben ideata: la popolazione, distribuita su un territorio piuttosto vasto, viene suddivisa in tre regioni (al-Ayun, Smara, Dakhla), ognuna delle quali è suddivisa in sette province a cui vengono dati i nomi delle città e dei villaggi della patria occupata. La RASD viene dotata anche di una complessa struttura politico-amministrativa allo scopo di evitare un pericoloso vuoto di potere di cui avrebbero potuto approfittare gli invasori. In questo modo il popolo sahrawi poteva eleggere i propri rappresentanti nei vari organi. L’organigramma della repubblica era completo di un Governo, di un Consiglio nazionale (organo legislativo) e di un capo dello stato. Inoltre tutto il funzionamento dello stato si basava sulla Costituzione.
Gli abitanti dei campi sono impegnati in attività lavorative, prevalentemente nel settore terziario, ma anche nell’agricoltura, nell’allevamento e nell’artigianato, che è un settore molto significativo. L’attività lavorativa, in considerazione anche del fatto che nei campi non esisteva moneta, risultano essenziali per impegnare gli individui ed evitare situazioni, comuni ad altri campi profughi, di deperimento fisico-psicologico, di perdita di identità culturale e di abbandono all’ozio. La maggioranza della popolazione risulta comunque impegnata nei servizi e nell’amministrazione dei campi ma soprattutto nei settori dell’istruzione e della sanità. L’organizzazione scolastica prevede due cicli di studi primario e secondario e recentemente è stata avviata una campagna di alfabetizzazione rivolta alla popolazione adulta. Il problema maggiore che si è posto all’avvio dell’attività scolastica, fu la mancanza di insegnanti preparati a svolgere il proprio ruolo ma esisteva anche l’esigenza di limitare al minimo gli effetti della colonizzazione culturale sia spagnola che marocchina. A questo riguardo la scuola sahrawi è impegnata in una campagna di recupero delle tradizioni e della cultura del popolo sahrawi.
Per quanto riguarda la situazione sanitaria, dopo i primi disperati mesi, la situazione risulta oggi normalizzata grazie ad un piano di formazione del personale e di una politica basata sulla prevenzione. Nei campi è stata creata una rete di farmacie, consultori ed ambulatori e molti sono gli ospedali sparsi oltre a quello nazionale Bashir Saleh completo di ogni specializzazione. Inoltre è in atto un graduale processo di recupero nei confronti della medicina tradizionale.
Un aspetto fondamentale nella vita dei campi è l’apporto dato dalla donne sahrawi, presenti ed attive in ogni settore in funzione anche del fatto che la popolazione maschile è purtroppo spesso stata impegnata nella guerra di liberazione nazionale. Addirittura nella scuola 27 Febbraio vengono istruite e preparate le donne che in seguito andranno a far parte dei quadri dirigenti della società sahrawi.
Ben diversa risulta la situazione nei territori sottoposti all’occupazione marocchina. Qui la popolazione ha dovuto subire a pressioni, minacce ed angherie allo scopo di fiaccare, inutilmente peraltro, la resistenza e l’attaccamento alla propria terra del popolo sahrawi.
Nel 1985 il Marocco si dichiara finalmente pronto ad accettare l’indizione del referendum contando sul fatto che, a quella data, gran parte della popolazione residente nelle terre irredente è abitata in maggioranza da coloni marocchini. Successivamente, nel 1988, la risoluzione ONU 621/88 istituisce la MINURSO (Missione delle Nazioni Unite per il Referendum del Sahara Occidentale) e stabilisce un piano per riportare la pace nel paese. Successivamente, il Fronte Polisario ed il Marocco accettano la tregua fissata per il 6 settembre ’91 e programmano lo svolgimento del referendum per il gennaio 1992 considerando valide le liste elettorali del censimento spagnolo del 1974. In funzione della scadenza referendaria il Marocco organizza una Seconda Marcia Verde cui partecipano circa 155.000 coloni marocchini che portarono il rapporto tra coloni e sahrawi nelle zone occupate a 7 a 1.
Purtroppo, e non a caso, il testo dell’accordo prevede che chi non risulta censito possa presentare ricorso alla MINURSO al fine di poter essere ammesso al voto. Volutamente, però, non è stato specificato che ciò dovrebbe essere possibile per i soli sahrawi, cosicchè il Marocco ha potuto presentare una lista elettorale aggiuntiva composta da soli coloni marocchini, bloccando così lo svolgimento del referendum con una valanga di ricorsi che non possono essere esaminati dalla missione ONU.
Per quanto riguarda l’Italia, in completo disprezzo alle posizioni espresse dal Parlamento Europeo nel 1989 in favore dell’autodeterminazione del popolo sahrawi, continua tranquillamente nel suo programma di ingenti aiuti anche militari al Marocco. Durante la recente visita del Re del Marocco in Italia (12/4/2000) Roma il paese è stato chiamato a svolgere il ruolo di pacificatore per il contenzioso sul Sahara Occidentale in quanto è l’unico a poter mantenere una posizione neutrale sulla questione. Nella stessa data l’americano James Baker, che per conto dell’ONU dovrebbe favorire la convocazione del referendum sull’autodeterminazione deciso nel 1992 ha dichiarato che, guardacaso, “non è in vista una soluzione”.
Bibliografia
Il fronte polisario di Luciano Ardesi della fondazione Internazionale Lelio Basso, lega italiana per i Diritti e la Liberazione dei popoli. Napoli 1986
La Repubblica Araba Sahrawi Democratica di Gaia Pallottino Rossi Doria edito dal Centro Informazione ed Educazione allo Sviluppo
Una Tragedia da fermare articolo pubblicato da “Il Sole delle Alpi” del 12-6-1999
Un “frente” dimenticato articolo pubblicato da “Il Sole delle Alpi” del 22-5-1999