Coała xeła l'etega de l'endependenteixmo veneto?

Re: Coała xeła l'etega de l'endependenteixmo veneto?

Messaggioda Berto » gio dic 20, 2018 10:42 pm

In Veneto c'è chi ci spera ancora: «indipendenza, no al sovranismo»

https://www.facebook.com/groups/2376236 ... 0001594411

In Veneto c'è chi ci spera ancora: «indipendenza, no al sovranismo»
Alessio Mannino
Un gruppo di intellettuali (da Favaro a Lovat, da Bassani a Lottieri) rialza la bandiera dismessa dalla Lega. Guardando alla Catalogna. «L’Italia? Una malattia illiberale»
18 dicembre 2018

https://www.vvox.it/2018/12/18/in-venet ... sovranismo


Ci riprovano, gli indipendentisti duri e puri. Quelli del Veneto libero da Roma ma anche da Milano, che abborrono la Lega sovranista di Salvini ma non credono neanche a quella autonomista del governatore Luca Zaia. Quelli che si rifanno alla Catalogna ribelle al centralismo spagnolo. Quelli, insomma, convintamente anti-italiani (e critici dell’Unione Europea). Si sono ritrovati a Limena lo scorso 1 dicembre, senza sigle, dando vita a quella che sembra per ora più un’iniziativa culturale, un pensatoio, che non un movimento o partito. Fra loro, il costituzionalista Andrea Favaro (co-autore con il consigliere regionale Antonio Guadagnini del libro “Io sovrano”), lo scrittore Davide Lovat, lo storico Marco Bassani (considerato l’erede di Gianfranco Miglio), Carlo Lottieri (filosofo della politica, nel team dell’Istituto Bruno Leoni, cittadella del liberismo italiano). Presente era anche Marc Gafarot, dell’Assemblea Nazionale Catalana. «Come nel caso dell’ANC catalana, si tratta dell’incontro di individui, e non di sigle. Ognuno aderisce a titolo personale», precisa Lottieri (in foto al centro). L’obiettivo é «l’indipendenza del Veneto, che è un diritto e anche un dovere nei riguardi delle generazioni a venire. Per statuto, l’Assemblea non può presentarsi alle elezioni, né possono candidarsi quanti hanno cariche al suo interno».

Non rischia di essere l’ennesimo tentativo di dare corpo a un fronte indipendentista veneto destinato a naufragare addosso allo scoglio della strapotenza leghista in Veneto?
È nata una realtà che può forse anche favorire l’aggregazione delle forze indipendentiste, ma che mira soprattutto a rendere consapevoli i veneti del fatto che solo sganciandosi da Roma possono dare un futuro a loro stessi e alle altre comunità di cui si compone oggi l’Italia.

Se non dovesse arrivare l’autonomia su cui Zaia ha imbastito il referendum dell’anno scorso, potrebbe tornare in auge la battaglia per l’indipendenza, o i veneti ormai si sono rassegnati?
Una vera autonomia, da Roma, non verrà mai. I veneti desiderano l’indipendenza, ma la considerano un obiettivo irraggiungibile. Non è così. Molti nostri concittadini, per giunta, sembrano pensare che vi siano altre priorità politiche, dall’immigrazione all’Europa. La malattia che sta facendo tanto soffrire gli italiani, e non solo i veneti, si chiama invece Italia.

Perché l’Italia è una malattia? Per il differenziale di tasse che lasciano il Veneto per lo Stato centrale, insomma per gli schei, o si sono aggiunte altre ragioni?
L’Italia è ingestibile: è una società a irresponsabilità illimitata. Sul piano economico, inoltre, l’Italia penalizza il Veneto (a cui sottrae ogni anno circa 20 miliardi) e le altre aree più produttive, spostando altrove molta ricchezza che qui viene prodotta. Ma questa unità politica distrugge anche il Sud, che non può crescere a causa di contratti di lavoro nazionali che costringono molti lavoratori alla disoccupazione e a causa di salari pubblici elevati (per quelle aree) che spingono troppi a cercare il mitico “posto pubblico”. Il risultato? Poco privato, poco mercato, poca imprenditoria. Per giunta, è difficile che culture diverse possono trovarsi a loro agio entro un sistema legale uniforme. Bisogna insomma liberare le energie di tutta Italia dando libertà e responsabilità a ogni comunità.

Il sovranismo sembra ormai l’idea egemone della nuova destra salviniana, in Italia. Lei, che è di scuola liberista, cosa pensa di questa evoluzione (o involuzione, a seconda dei punti di vista) della destra italiana?
In parte, il sovranismo nasce dalla legittima opposizione dinanzi a un progetto di costruzione tecnocratica ed elitaria dell’Unione. Ma poi, al tempo stesso, esso propone un nazionalismo che ha alle spalle milioni di morti (si pensi alla Prima Guerra Mondiale) e mette a rischio ogni libertà dei singoli e delle comunità.

In che modo il sovranismo mette in pericolo la libertà? Quale libertà viene minacciata?
L’esaltazione retorica della Patria italiana e il mito del tricolore sono solo la premessa a una crescita esponenziale del potere di Stato, e infatti tutte le forze sovraniste sono anche protezioniste in economia. Il Veneto però è da sempre aperto al mondo e lo splendore di Venezia è stato costruito dai commerci. Una realtà con le nostre potenzialità non può accettare il nazionalismo dei sovranisti, che per giunta sembrano riattualizzare quegli odi tra europei che già ci hanno trascinato in guerre sanguinose.

Il tema centrale della politica italiana oggi è la gestione delle finanze rispetto ai vincoli Ue. È solo una questione di numeri neutri ed oggettivi, oppure, come sostengono i critici, si scontrano in realtà due opposte ma ugualmente legittime visioni politiche: una ancorata a Maastricht e ai trattati e l’altra ad una riscoperta della spesa pubblica in deficit?
Il sovranismo e il populismo delle due forze di governo cercano di conquistare i voti (soprattutto nel Sud) promettendo aiuti e prebende. È la vecchia politica della spesa facile, che ha causato già molti danni ai veneti. L’Unione europea di Juncker è indifendibile, ma lo è egualmente la volontà di trasformare l’Italia tutta in un vasto Mezzogiorno assistito dai tedeschi.

Quando dice “politica della spesa facile” è dunque d’accordo con la Commissione Ue che cerca di ridurre quanto più possibile il deficit della manovra di governo? Giudica positivamente, insomma, l’ispirazione liberista della Ue? Cosa c’è, nel dettaglio, di indifendibile nell’operato della Commissione?
La Ue non ha affatto una linea liberista, ma semmai ultra-interventista: basti vedere la politica agricola comune, la crescente regolazione connessa alle direttive e, soprattutto, il progetto di realizzare un potere centrale sempre più forte. E tutto questo è indifendibile. Ovviamente, il club europeo della moneta unica esige che i membri tengano alcuni comportamenti ben precisi, dato che il valore dell’euro è connesso alla solidità dei bilanci. Continuare a fare debito, come vorrebbero fare le “cicale” (Salvini e Di Maio), penalizza le “formiche” dell’Europa del Nord, ed è ovvio che da lì vengano forti reazioni negative.

Le associazioni di categoria in rivolta contro il governo gialloverde puntano molto alle opere pubbliche, cioè a carico della collettività. Pensa anche lei che siano indispensabili il Tav, il Mose, la Pedemontana e le altre infrastrutture?
Ogni opera fa a sé, naturalmente. È però sicuramente vero che dietro ad alcune di queste opere c’è soprattutto il tentativo di gruppi economici abituati a vivere di spesa pubblica e legami con questo o quel partito. Spesso le grandi opere sono necessarie, ma in questo caso possono benissimo essere realizzate da privati e finanziate da quanti le utilizzano.



Alberto Pento
Bene, l'importante è che si dica e ribadisca che l'indipendenza è possibile solo se la stragrande maggioranza dei veneti la vuole e che in Catalogna non si fanno passi avanti in tal senso perché non esiste questa stragrande maggioranza (a dire il vero non esiste nemmeno la maggioranza assoluta) e che in Veneto gli indipendentisti sono ancora una minoranza minimale ma proprio minimale poco credibile e impreparata.
Poi bisogna dirsi e dire che manca del tutto un progetto credibile che convinca e unisca i veneti e che il "Mito della Serenissima e del Marcianismo" su cui finora ha puntato prevalentemente l'indipendentismo non è del tutto corretto né minimamente sufficiente, nemmeno con l'aggiunta delle rivendicazioni economico-finanziarie.
Se a quanto sopra vi mettiamo le aggravanti dei personalismi, dei fanfaronismi, dei careghismi, dei furbismi, ..., le speranze si riducono a un flebile lumicino.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Coała xeła l'etega de l'endependenteixmo veneto?

Messaggioda Berto » gio dic 27, 2018 9:56 pm

CARI VENETI, ALL’INDIPENDENTISMO NON SERVE UN’ALTRA COMMEDIA LEGHISTA
di ALESSANDRO MORANDINI
27 dicembre 2018

https://www.miglioverde.eu/cari-veneti- ... a-leghista

Quando si dice che i Veneti desiderano l’indipendenza ci si sta riferendo ad un desiderio profondo e coerente con la presenza di una identità territoriale maturata nel corso di una lunga e gloriosa storia; non si vuole banalmente sostenere che se una persona chiede ad un Veneto: “Desideri l’indipendenza?” questi risponda immediatamente “Si!”.
Noi siamo consapevoli di molti dei desideri che proviamo, ma non di tutti.
I desideri sono pulsioni profonde che possono emergere in determinate situazioni, possono restare silenti perchè non vengono sollecitati, possono cambiare perchè non trovano concrete possibilità di soddisfazione. Il desiderio di indipendenza, per esempio, è, sul piano individuale, costituivo della nostra stessa umanità: quando il bambino cresce mostra all’adulto che vuole diventare indipendente. I bambini che non mostrano di desiderare l’indipendenza dall’adulto faranno fatica a crescere (e in alcuni patologici casi non cresceranno mai). Ovviamente c’è una importante differenza tra il desiderio di indipendenza di un bambino e il desiderio di indipendenza dei Veneti. Questo secondo è…
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Alberto Pento
Siamo alla manipolazione del buon senso, un pò come l'inflazione percepita e l'inflazione reale o l'insicurezza percepita e l'insicurezza reale.
Alle ultime elezioni politico-amministrative venete meno del 4% dei veneti con diritto di voto e votanti hanno votato per partiti indipendentisti. Cosa significa questo dato, applicando il metodo interpretativo di Bernardini?
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Re: Coała xeła l'etega de l'endependenteixmo veneto?

Messaggioda Berto » lun gen 07, 2019 9:28 pm

"Muteranno le cose se cambieranno gli uomini"
gennaio 2019
Enzo Trentin

https://www.vicenzareport.it/2019/01/mu ... nno-uomini

Vicenza – La storia dell’indipendentismo veneto non è una storia d’intelletto creativo: non elabora nulla, salvo triturare nel frullino i medesimi richiami a questa o quella indicazione di principio internazionale, e a qualche legge italiana adattati al contesto odierno. Non c’è un necessario coordinamento tra le forze democratiche venete e la comunità internazionale, e desiderare che un problema sparisca, raramente è una strategia efficace.

Con queste premesse conversiamo con Giovanni Dalla Valle, medico psichiatra in pensione che, da veneto doc, molto si è speso per l’idea indipendentista.

Giovanni, secondo te esiste ancora un indipendentismo veneto?

Direi che fatta eccezione per alcune associazioni culturali e pochi coraggiosi, d’indipendentismo ne è restato poco dalle vostre parti. Quel che è rimasto lo classificherei come venetismo, una caricatura grossolana dei nobili ideali che i veri indipendentisti hanno da tempo individuato perfettamente con l’aggettivo di caregari. D’altra parte occorre capire che l’indipendentismo che abbiamo visto tra il 2010 e il 2015 era in gran parte populismo, anzi una specie di avanguardia di quello che poi sarebbe stato definito populismo dai media, e che oggi sta dilagando in tutto il mondo occidentale. I Gilets Jaunes ne sono in qualche modo l’espressione più acuta e più recente in Francia, ma ricordo che ci furono anche i Berets Rouges nel 2013, i Forconi in Italia nello stesso periodo, il Movimento 15 in Spagna nel 2012, Occupy Wall Street in Usa nel 2011 etc.

È la conseguenza delle devastanti ripercussioni di una crisi finanziaria globale (2007-2008), con la reazione autoritaria e punitiva della UE e della BCE nei confronti dei paesi membri più indebitati (specie quelli dell’Eurozona) e la sostituzione dei primi ministri con commissari ad hoc tipo Mario Monti in Italia l’11 novembre 2011; Lucas Papademos in Grecia nello stesso giorno, e con l’imposizione di un’austerità massacrante per i ceti medio-bassi. Per approfondire si veda qui.

Pensi che le divisioni interne abbiano giocato un ruolo nell’impedire all’indipendentismo veneto di fare massa critica e diventare fenomeno “rivoluzionario” serio come in Scozia, in Catalogna o nelle Fiandre?

Non esiste in politica un partito, o un qualsiasi gruppo di persone che intendono occuparsi dell’assetto amministrativo di una comunità che non finiscano per essere divisi, frammentati e persino lacerati al loro interno in vari momenti. È proprio la capacità di diversificazione tra di noi che ci ha consentito di evolvere. Oggi godiamo tutti di salute, prosperità, comodità impensabili ai tempi della scimmia australopiteca Lucy (3.2 milioni di anni fa) perché ci sono sempre stati “rompimarroni” tra di noi. Evidentemente quando i venetisti parlano di “unità” intendono un tipo di conformità sociale simile a quella dei membri della tribù di Lucy.

Lo stesso principio vale anche per chi si ostina a pensare che l’indipendentismo veneto possa rinascere se si tenta di riunire tutti, cani e porci, sotto un’unica formazione. Ci hanno provato dozzine di volte in più di trent’anni. Semplicemente non funziona. Occorrono invece progetti seri su cui tutti possano concentrarsi, dimenticando (o perdonando) le ferite reciproche, e scoprendo la forza della coesione attorno a un lavoro utile per l’intera comunità.
Il Libro Bianco dei Veneti, progetto da me lanciato nel marzo 2014, aveva appunto questo scopo. Fummo affondati dai soliti australopitechi venetisti, molto più compatibili con il profilo del politico medio italiano che non con quello dei nostri avi. Peccato non si capiscano queste cose.

Concordi che sarebbe utile avere una Intelligencija veneta?

Come tu sai io mi sono speso con frequenti viaggi in Veneto. È noto che pur operando professionalmente da decenni a Londra mi sono fatto più di cento voli per la rinascita della Repubblica Veneta, e ho investito enormi quantità di tempo, denaro ed energie. Ho organizzato eventi, convegni tra i più partecipati. Occasioni d’incontro, dibattito e approfondimento anche chiamando a partecipare esponenti catalani, scozzesi, fiamminghi, siciliani, sardi, tirolesi e altri ancora. Certo, la conclusione che anch’io ne ho tratto è che l’indipendentismo veneto manca di una Intelligencija, e soprattutto ci sono persone un po’ bauche, oltre a qualche pampalugo, che rendono l’obiettivo wishful thinking (un pio desiderio). Basta osservare come i semplici indipendentisti si sono fatti abbindolare nel corso della campagna elettorale per le regionali del 2015.

Chi, tra gli altri, opera per “la causa” è Venetian Ambassadors, l’organizzazione internazionale no-profit che promuove l’immagine, il lavoro e gli interessi dei cittadini veneti nel mondo, e di chiunque venga in contatto con loro. La sua missione è etica. Sono determinati a continuare l’ethos degli Ambasciatori della Serenissima Repubblica di Venezia, noti nei secoli per le loro eccellenti abilità nello sviluppare rapporti culturali, diplomatici, commerciali con tutti i popoli della terra. Su questa base c’è in animo di superare le note divergenze. Si pensa di lanciare un crowdfunding rivolto ai veneti nel mondo.

Stimolandoli con informazioni storiche e d’attualità, con promozioni culturali ed economiche, con gemellaggi, scambi di visite, meeting, convegni e congressi. Si tratta di un lavoro immenso che potrebbe superare il problema di sempre: l’autofinanziamento. Motivo per cui alcuni hanno creduto che con l’elezione nelle istituzioni italiane si potesse ovviare, ma abbiamo constatato che si tratta di una lusinga. Chi arriva ad essere eletto in tali istituzioni ne viene imbambolato, pensa ai schei, viene cooptato, diventa malaccorto. Beninteso non parliamo di coloro che sono chiaramente in malafede, perché portatori d’una cultura partitocratica che ha sconfortato tutti; non solo i veneti. Da qui si capisce che il programma è vasto, e necessita di molte risorse umane che sono state disperse dai soliti opportunisti della carega.

Cosa pensi del progetto Assemblea Veneta, presentato di recente da alcuni intellettuali?

Spero non si tratti dell’ennesima manovra per portare acqua al mulino dei candidati per le regionali del 2020. Auspico che si ricordino che i politici sono come i pannolini: bisogna cambiarli spesso e per le stesse ragioni. Indubbiamente, se in AV saranno in grado di presentare facce nuove e non legate a logiche elettorali, io per primo non esiterò a coadiuvarli. Soldi per finanziarli possiamo sicuramente trovarli con la rete d’imprenditori della Venetian Ambassadors. Ho, però, già detto chiaro ai promotori che noi non muoveremo un dito se il loro progetto rischia di fare da cassa di risonanza per i soliti caregari, e se non c’è volontà di studiare, proporre e condividere (dal basso) un canovaccio di soluzioni concrete per i veneti di oggi che porti alla fine a un preciso programma istituzionale per un Veneto indipendente.

Ora ci servono persone che facciano per i veneti. Finora, ho visto efficienti solo soggetti culturali come: Raixe Venete, l’Accademia della Bona Creanza, l’Accademia della Lingua Veneta, Incant’Arte, l’Associazione Paolo Sarpi e pochi altri nel fare qualcosa di concreto per promuovere la cultura veneta e il diritto all’autodeterminazione. Al momento, con la dovuta attitudine guardinga, visto i pregressi, ma senza necessariamente disperare, dico solo: bon laoro! Pregherò San Marco anche per loro. Chissà che, questa volta, siano meno Bertoldi del solito.

Eppure non sono mancati personaggi che hanno tentato di portare avanti programmi indipendentisti un po’ più strutturati, almeno a livello istituzionale: Beggiato, Busato, Chiavegato, Comencini, Guadagnini, Morosin, e qualche altro…

Li conosco tutti fin troppo bene (sic) e sono grandemente deluso. I loro non sono progetti, ma piuttosto slogan e spesso a pura finalità elettorale. Cos’è un progetto? Una conferenza? Un’arringa nelle Tv locali? Una manifestazione? Un corteo? Un comunicato? Un post in Facebook? Una lettera piccata nella rubrica “lettere al direttore” di qualche quotidiano? No: queste sono solo iniziative di protesta, esternazioni, urla tra la folla, magari anche ben confezionate e ben sonorizzate, ma restano solo urla tra tante.

Un vero progetto politico predispone obiettivi chiari. Nasce dall’identificazione di problemi veri e specifici che interessano la maggior parte dei membri di una comunità. Cinque milioni di Veneti non possono aver tutti gli stessi problemi. Poi dalla proposizione di soluzioni concrete e specifiche a questi problemi, condivise con più gente possibile, in tutti i settori istituzionali più rilevanti: economia, lavoro, pensioni, scuola, sicurezza, ambiente etc. per proseguire con l’illustrazione di metodi e tempistiche per realizzare queste soluzioni. Poi con la stima di un budget per pagare i costi dei professionisti, delle strutture, della logistica, necessarie a realizzare il proposito.

Questo è un progetto. Un qualsiasi imprenditore lo chiama business plan. Nessuna banca o imprenditore ti presta un Euro oggi se non gli presenti un piano chiaro e articolato in questi termini. Non ho mai visto niente di simile da parte dei nostri masanielli fai-da-te. Sempre e solo slogan, chiacchiere, fuffa. I Veneti del 2019 hanno bisogno di preservare la loro forza economica, sociale e culturale, non di reinventarsene una nuova. Se hanno bisogno di una nuova Repubblica, non è perché una volta hanno goduto per più di mille anni delle buone e sagge amministrazioni della Serenissima, ma perché gli ultimi 158 anni di amministrazione italiana hanno semplicemente fallito. Tutto qua. Ma per convincere cinque milioni di persone che questo si possa fare, occorre un programma serio, non escludendo qualche euro per finanziarlo.

Dobbiamo intendere che oggi non abbiamo una classe dirigente capace di guardare più in là del prossimo risultato elettorale, quindi praticamente ininfluente, pur avendo tante potenzialità?

Sì! Il Veneto sotto questo aspetto è un grande brodo di cultura dove periodicamente salgono a galla i personaggi più spigliati, disinvolti, disinibiti. Persone e strutture intermedie (partiti, sindacati, associazioni) verso le quali oramai la maggioranza dei cittadini esprime diffidenza perché si sente abbindolata da anni. Solo a titolo esemplificativo ne citerò alcuni considerandoli degli archetipi: Ettore Beggiato è un antico e duttile autonomista, federalista, oggi indipendentista. Fondatore e demolitore di numerosi partitini, è stato spaparanzato per tre legislature in Regione Veneto.

Ha rassegnato le proprie dimissioni dalla segreteria del gruppo consiliare Siamo Veneto, ma di risultati per il raggiungimento dei requisiti contributivi a decorrere dall’1/06/2017 determinanti per gli ambiti suddetti non ne ha conseguito alcuno. Non per questo avrà necessità del reddito di cittadinanza, perché ha già maturato il massimo per lui ottenibile: un vitalizio di 49.579,60 euro lordi all’anno (3.721,70 euro netti al mese).

Per le mansioni di segretario del gruppo consigliare Siamo Veneto è stato remunerato con ulteriori 115.818,32 euro l’anno (9.651 lordi al mese). Dal 1993 al 1995, senza fare lo schizzinoso, è stato Assessore per la Giunta di Giuseppe Pupillo (ex comunista) e quella di Aldo Bottin (ex democristiano), svolgendo il ruolo di foglia di fico per la partitocrazia in piena tangentopoli, che attraverso la sua presenza, ha potuto gabellare gli elettori dando l’impressione d’essere autonomista e federalista.

Non essendo un sovversivo lo hanno lasciato girovagare per il mondo. A Serafina Correa (Brasile) lo hanno ritenuto persona importante nominandolo cittadino onorario senza alcun merito apparente. Tra i “benefit di regime” c’è anche quello della pubblicazione di libri, e dell’acquisto degli stessi da parte del servizio bibliotecario veneto, sempre naturalmente a spese del contribuente. Oggi preferisce un’attività politica più defilata, da orchestratore tanto per intenderci. Ha coscienza del fatto che come rappresentante non avrebbe più il consenso. S’è scelto il ruolo del memorialista. Riappare in occasione delle ricorrenze che il calendario storico veneziano ciclicamente ripropone: sempre le stesse.

Lucio Chiavegato (un soffio di fumo) è salito infruttuosamente su tutte le barricate. È entrato e uscito da numerosi partiti e movimenti autonomisti, federalisti, indipendentisti, ma senza alcun costrutto. Se gli chiedi qualche idea per un progetto politico-istituzionale rimanda a quando sarà eletto insieme a molti altri. Chiavegato è perfetto come sindacalista della Life, e se mai si presentassero nella scena politica italiana degli autentici gilets jaunes lui ne sarebbe l’ideale animatore.
6 ottobre 2012 – Indipendenza Veneta in Consiglio Regionale Veneto. A partire dal secondo a sinistra: Alessio Morosin, Lodovico Pizzati, Anna Ferro, Luca Azzano Cantarutti e Gianluca Busato, alcuni dei “fratelli-coltelli” protagonisti dell’indipendentismo veneto, che puntavano all’elezione in Regione.

Più di recente, è salito alla ribalta Antonio Guadagnini, ma poiché se n’è già parlato qui osservo solo che proviene dall’esercizio del salto con la pertica tra i partiti più discussi della cosiddetta prima repubblica, e non aggiungo altro. Sarebbe solo peggiorativo. Con le elezioni del 2020, si prepara a prolungare la sua carriera. Avendo in più la benedizione, disinvolta e irresponsabile, dei dirigenti di Indipendenza Veneta, i quali, mi spiace dirlo, qui fanno solo una brutta figura.

Degli altri, pur riconoscendo qualche guizzo di genialità, inutile parlare. L’assenza di risultati da essi ottenuti è eloquente. La loro cultura indipendentista in realtà è una competenza partitocratica, che per descriverla sarebbe necessario uno spazio che questo giornale non mi concederebbe. Oggi in Veneto non esistono più le risorse di un tempo, e l’avversario non è solo Roma c’è anche Bruxelles. Catalogna docet. La cosa più deprimente di questi supposti leader indipendentisti è che se vai a rivederti i discorsi che facevano fuori dalle campagne elettorali, trovi sempre prese di posizioni contro la partitocrazia italiana. Poi, immancabilmente, a pochi mesi dalle elezioni, tutti là a presentare il loro simboletto in mezzo a miriadi di partiti italiani con i quali a volte hanno cercato alleanze. Un’ambivalenza devastante. Muteranno le cose, se cambieranno gli uomini.



Alberto Pento
Anche Dalla Valle fa storia all'ingrosso e alla buona con vari elementi fasulli come quello che i veneti (tutti) avrebbero giovato per oltre mille anni dell' "ottima e invidiabile amministrazione veneziana". In Realtà la maggior parte dei veneti è stata amministrata dai veneziani solo per circa 400 anni, poco più poco meno. E nel momento fatidico quando bisognava cambiare, Venezia ha resistito al cambiamento e lo ha impedito e poi quando è arrivato il castigamatti corso si è persino defilata abbandonando i veneti al loro destino. Sono aspetti della storia importanti e non vanno né falsificati né omessi.
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Re: Coała xeła l'etega de l'endependenteixmo veneto?

Messaggioda Berto » mer feb 06, 2019 9:35 pm

L’indipendentismo veneto fa sempre le stesse cose
febbraio 2019
Enzo Trentin

https://www.vicenzareport.it/2019/02/li ... h9UPzPmWkg

Vicenza – Recentemente, ovvero dalla prima riunione dell’Asenblèa Veneta, l’indipendentismo autoctono ama guardare a se stesso come a un mosaico dove le varie tessere, sfumature, e colori, contribuiscono a formare un’immagine complessiva di ciò che dovrebbe essere il nuovo soggetto che nascerà dalla secessione dallo Stato italiano.
È noto, infatti, che in Veneto (e per questo non necessariamente s’intende la sola Regione amministrativa italiana, bensì i più ampi territori della fu Serenissima Repubblica di San Marco) c’è una diffusa insofferenza per la mala gestio del Parlamento della penisola, come per la maggior parte delle amministrazioni da esso discendenti. Tuttavia, al momento in cui scriviamo, nessuna di queste tessere è ancora riuscita a spiegare compiutamente al pubblico come, senza l’appoggio di altri Stati e dell’Unione Europea, faranno a cambiare il governo con il consenso del governo. Oppure – il che è la stessa cosa – come faranno a mozzare, recidere o amputare questo Stato (ovvero rendere indipendente il Veneto) con il consenso di questo Stato?

La questione, antropologicamente, ci appassiona. Per meglio capire, si sa, il meccanismo dell’identificazione, dell’introspezione è quello che funziona meglio. Per fortuna noi, da irriverenti, abbiamo un’alta dose di anticorpi, che ci consentono speculazioni intellettuali più descrittive che denigrative. Del resto fino a qualche decina di anni fa la cultura dell’informazione era comunque sinonimo di pacatezza, pensiero, riflessione, ragionamento. Più quest’ultima è diventata di maggiore portata, più la cultura si è diffusa. Un bene. Ma tutte le novità portano con sé anche i contro. Neuroni in libertà; potrebbe essere questo il fenomeno biologico a cui stiamo assistendo osservando come l’indipendentismo veneto sia considerato il più effervescente, il più ricco di soggetti impegnati nei più disparati ambiti: politico, storico, culturale, folkloristico, sportivo.

Oggi esso, semplicisticamente, può essere diviso un due “filosofie”: la prima che non vuole partecipare ad alcun “rito” dello Stato italiano; la seconda che, guardano ai propri interessi elettorali piuttosto che ai bisogni del popolo, persegue l’elezione alla Regione Veneto come condizione al raggiungimento dell’autonomia transitiva all’indipendenza vera e propria. È chiamata anche la via catalana. Una definizione impropria, perché le circostanze sono diverse. Infatti, alla Catalogna non è servita l’autonomia, peraltro inimmaginabile per il Veneto. E se ai catalani è mancata sinora la maggioranza, figuriamoci i veneti che ne sono lontani anni luce.

Questa “parte elettoralistica” teorizza il candidarsi per continuare a dare un segnale politico. Sono consci del fatto che gli indipendentisti da soli non attraggono, perché stando alle convenzioni generali l’elettorato cerca il voto utile, quindi a volte si alleano con la partitocrazia che vorrebbero sostituire. Anche preferendo chiudere di occhi sul fatto che, da sempre, il potere emana leggi irte di ostacoli per i nuovi soggetti che vogliono “entrare”. Si cullano nell’idea e nella speranza che il bluff elettorale della Lega sia smascherato. Così fosse, sostengono, sarebbe possibile una coscienza condivisa, e una massa critica. Continuano ad alimentare la strategia di portare un indipendentista a sedere nelle istituzioni per avere un microfono istituzionale, non disdegnando i contributi pubblici che potrebbero gestire.

Ma ignorano, o non tengono nella dovuta attenzione, che nel tempo gli autonomisti, federalisti, oggi indipendentisti, hanno eletto le più svariate cariche istituzionali: parlamentari europei e nazionali (con tanto di viceministri), consiglieri regionali, provinciali, comunali. Senza però che l’idea autonomista, federalista (chi parla più di federalismo?) e oggi indipendentista, attragga l’elettorato in maniera determinante. Hanno appoggiato il referendum per l’autonomia del 2017, specificando a destra e manca che sarebbe stato ovvio che l’autonomia sbandierata da Zaia era una chimera, ma la forte spinta di un risultato utile avrebbe potuto risvegliare le coscienze dei Veneti.

Allo stato attuale, però, con le competenze ai costi “storici” non cambierà nulla, mentre la vera autonomia dovrebbe consistere nel mantenimento in loco delle risorse economiche prodotte dal Veneto, salvo un contributo di solidarietà. Oggi sono quindi costretti ad ammettere che i Veneti sono ammaliati dal potere taumaturgico del “cazzuto” Salvini e del suo vassallo: il pifferaio magico Zaia. E, malgrado ciò, c’è chi sollecita il “Governatore” a scendere in piazza e ad assumere la veste di alfiere dell’indipendentismo veneto.

Ma in assenza di una presa di posizione dello stesso, alcune frange hanno cominciato a definirlo: “Sior Intento” (Signor Tentenna). Si tratta, ovviamente, di reazioni emotive più che di ragionamenti politici. Infatti, non si capisce perché Luca Zaia dovrebbe abbandonare la Lega, che secondo i sondaggi è in forte ascesa elettorale, e che fa baluginare al presidente un possibile incarico d’altro rango nell’Ue, per mettersi alla guida di quella punta di lancia dell’indipendentismo veneto rappresentata dai partiti secessionisti che quando si presentano alle elezioni (da circa 40 anni oramai) non raccolgono i consensi delle urne in maniera determinante.

Si dolgono moltissimo con chi esprime giudizi sul loro modo di fare politica, ovvero sulle loro buone intenzioni, e non si rendono conto che il giudizio politico è implicito in ogni situazione per la quale chiedono il voto. Non bastasse, quando riescono ad eleggere qualche sedicente indipendentista, costui con singolari principi etico-morali, subito li abbandona in maniera ripugnante per “mettersi in proprio”. Si veda qui https://www.vicenzareport.it/2018/08/po ... smo-veneto .

Questo è veramente un episodio degno d’essere periodicamente rivisitato. Infatti, qui ci si trova di fronte ad un politico che sostiene d’aver firmato un accordo elettorale senza averlo letto, e di non considerarlo vincolante. Ovvero i veneti hanno un “rappresentante” regionale irresponsabile. Firma alla circa, benché “sul suo onore”. Non ritiene di dover rispettare i patti sottoscritti, e li considera leonini. È palesemente così poco responsabile che pretende d’avere l’avvallo e la garanzia notarile per riconoscere un preciso impegno politico liberamente assunto. A questo punto se la sua firma in calce ad un accordo spontaneamente sottoscritto non vale nulla (a meno che non sia stato minacciato con un machete), quanto varrà la sua parola di rappresentante politico?

Veniamo così ad Albert Einstein, che è stato anche uno degli scrittori di aforismi tra i più citati, e che tra l’altro diceva: “Se fai sempre le stesse cose, otterrai gli stessi risultati”. Ora questa “parte” che non ha ottenuto un risultato utile con le elezioni regionali del 2015, ha in animo d’insistere, alleata con il personaggio appena descritto, con le amministrative del 2019, e per le regionali del 2020. Avranno lo stesso risultato? Si vedrà!

Sono circa 35 anni che i veneti eleggono alla Regione Tizio e Caio senza alcun costrutto, prima come autonomisti e federalisti, oggi indipendentisti. Ma gli eletti sono stati solo attenti ad incassare i privilegi del rango. Nessuno che abbia prodotto un progetto politico-istituzionale serio e condiviso. Di più: sembrano non tener conto che i partiti oramai non godono più di un grande favore da parte dell’elettorato. A conferma basta osservare le ultime elezioni amministrative, dove c’è stata da parte dei partiti politici una vera corsa a camuffarsi da liste civiche, che però di civico hanno assai poco.

La scarsa affluenza alle urne ne è una conferma. Ed anche ottenessero uno o due o tre consiglieri regionali, dovrebbe essere posta loro la stessa domanda – qui posta al primo capoverso – che finora hanno avuto l’abilità di glissare. Tutto diventa problematico e pericoloso, per la democrazia se non si basa sulla divisione dei poteri e sulla sovranità popolare. E un Veneto indipendente simile allo Stato italiano non è certo una prospettiva alettante.

Questa “parte” oniricamente indipendentista, ma intanto autonomista, è talmente concentrata nella scalata alla Regione, da non riflettere con la necessaria lucidità che lo Stato italiano sta letteralmente crollando su se stesso, e anche l’Ue sta vistosamente vacillando. Che nella storia dello Stato italiano i cambiamenti radicali furono sempre per effetto di eventi esterni. L’importante, per questa “parte”, è andare in Regione, non importa per quale studio alternativo. Non passa per la loro mente l’utilità di un serio e condiviso programma politico-istituzionale, con il quale persuadere l’elettorato della bontà della loro proposta.

Essi fanno affidamento solamente sull’insoddisfazione per lo Stato italiano che è talmente ampia che qualcuno ha avuto la pazienza di raccogliere qui circa 200 notizie, giusto per capire che non è che uno si sveglia la mattina e odia tutti, ma che la pazienza ha un limite e ogni giorno c’è un campione che contribuisce a metterla a dura prova. Ci vuole poi una spina dorsale da intellettuale, e un pensiero ben strutturato per non soccombere alla “malattia” elettoralistica. La domanda dunque è: per quanto ancora?
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Re: Coała xeła l'etega de l'endependenteixmo veneto?

Messaggioda Berto » mar apr 23, 2019 5:10 pm

Agli indipendentisti manca il Product Planning
Enzo Trentin
aprile 2019

https://www.vicenzareport.it/2019/04/in ... t-planning

Vicenza – Io sono notoriamente cinico, critico e disincantato, ma non ho mire di proselitismo o elettorali: non mi importa che la gente la pensi come me, voglio solo che sia informata, che senta tutte le campane. Ebbene, circa 40 anni di autonomismo, federalismo ed ora indipendentismo veneto, sembra siano stati portati avanti da persone le quali più che esperti politici si sono dimostrati dei banali propagandisti. Questi “filoni politici” sono stati condotti da una congrega di incapaci, immensamente arroganti. Salvo qualche eccezione, ovviamente. Di compulsivi ricercatori di rendite politiche, che non hanno disdegnato di sottoscrivere i loro interventi con la qualifica di “patriota”.

Nel 1774 Samuel Johnson pubblicò”The Patriot”, una critica di tutto ciò che egli considerava falso patriottismo, dove scrisse tra l’altro: «il patriottismo è l’ultimo rifugio di una canaglia.» Affermazione che, probabilmente, pecca di ottimismo, considerato che non di rado i furfanti si danno al patriottismo ben prima che ciò sia l’ultimo rifugio. Infatti, l’autonomia della Regione Veneto, malgrado un inutile referendum, per giunta consultivo, e nonostante l’indubitabile consenso della maggioranza dell’elettorato (oltre 2 milioni al voto; trionfo del Sì con 98,1%), è stata per il momento insabbiata. Per gli attuali reggitori del “Belpaese” sembra siano più importanti le elezioni europee del prossimo maggio. Gli altri, i sedicenti indipendentisti, sono gregari che non sono determinanti.

Quanto al federalismo, esso è sempre stato un metodo di governo sconosciuto in questo paese. Basta leggere le parole scritte da uno che di federalismo se ne intendeva davvero, Gianfranco Miglio che in “Io, Bossi e la Lega” (Mondadori, 1994) sostiene a pag. 38: «Dal punto di vista culturale il livello di Bossi è vicino allo zero». E a pag. 48 prosegue: «Quando i miei amici leghisti si proclamavano “federalisti“ io domandavo loro un po’ ironico, che cosa volesse dire. Mi rispondevano candidamente, non lo so, oppure facevano confusi riferimenti alle ”autonomie”, alla liberazione dall’egemonia del Sud, e via di questo passo.» E oggi il federalismo è scomparso dall’agenda politica nazionale.

Negli ultimi tempi molti di questi mestieranti della res publica si sono riciclati come indipendentisti. E Gianfranco Miglio diviene ancora più comprensibile laddove sempre a pag. 48 insiste: «Il “federalismo” era per il segretario e per i suoi accoliti uno strumento per la conquista del potere, una specie di “piede di porco” con il quale scardinare le difese degli avversari.» Questi sedicenti indipendentisti, invece, usano il “piede di porco” per entrare nelle istituzioni che vorrebbero abolire con la secessione e, invece, puntano a vivere di rendite politiche; tanto scarse, fumose e inefficaci sono le loro proposte riformiste.

Ora se a questi novelli indipendentisti è difficile ottenere l’autonomia, a questi speculatori sarà impossibile raggiungere l’autodeterminazione. Anche perché sembrano digiuni delle dinamiche della domanda e dell’offerta, sia quella politica che quella meno complessa del “mercato”. Tant’è vero che alcuni che nel 2015 chiedevano il voto per sedersi in consiglio regionale come indipendentisti, ai giorni nostri hanno ripiegato sull’autonomia. Beninteso continuano a permanere indipendentisti, ma intanto va bene per loro se l’elettorato li premierà consentendogli di sedere sugli scranni dello stesso ente istituzionale come autonomisti.

Su “Il marketing politico ed elettorale. Politica, partiti e candidati a servizio dei cittadini-elettori”, Antonio Foglio ha scritto un manuale, pubblicato dall’editore Franco Angeli, che nel tempo ne ha fatto ben tre ristampe. Ma il comportamento dei sedicenti indipendentisti veneti sembra non averne tratto beneficio. E allora mi sia consentito qualche parallelismo per verificare la correttezza di quanto cerco di sostenere da tempo.

Per esempio: il Product Planning o Pianificazione del prodotto (si veda qui) è il processo d’identificazione e articolazione dei requisiti di mercato che definiscono il set di funzionalità di un prodotto. La pianificazione del prodotto serve come base per le decisioni su prezzo, distribuzione e promozione. Il processo di creazione di un’idea di prodotto e di follow-up o azione supplementare continua fino a quando il prodotto non viene introdotto nel mercato. Inoltre, una piccola azienda deve avere una strategia di uscita nel caso in cui il prodotto non venda. La pianificazione del prodotto implica la gestione dello stesso per tutta la sua vita utilizzando varie strategie di marketing, incluse estensioni o miglioramenti del prodotto, maggiore distribuzione, variazioni di prezzo e promozioni.

Orbene la “domanda del mercato” è l’insofferenza per la deficitaria democrazia italiana, e per la rapace partitocrazia. C’è una classe dirigente priva di qualsiasi “nobiltà” e di esempi da imitare. Gli italiani hanno provato a votare tutto il ventaglio dell’offerta politica, ma la macchina istituzionale è sempre peggiore. E gli indipendentisti?

Per ora, continuano a coalizzarsi in infiniti ed elettoralmente inconsistenti partitini. Addirittura millantano coalizioni elettorali che esibiscono il simbolo elettorale dello stesso partito, ma via via cambiato nel tempo, ed alla cui adesione rimangono meno della stessa manciata di persone. E il curioso è che c’è un elettorato, distratto e disarmato, che inneggia nei social network a questa disinibita operazione elettorale.

Comunque ci penserà il “mercato”, ovvero la più ampia platea degli elettori a premiare o meno queste spigliate operazioni di… “unione che fa la forza”. E comunque anche costoro non hanno ancora indicato quali funzionalità dovrebbero superare queste problematiche. Soprattutto sembrano ignorare che i gruppi sociali non si formano più sulla base dell’appartenenza territoriale, culturale e linguistica, ma essenzialmente sulla condivisione di idee, di esperienze, di progetti. Vale a dire un nuovo disegno istituzionale con i suoi vantaggi competitivi.

Ne consegue che anche “il prezzo”, ovvero il carico fiscale che il cittadino dovrebbe sostenere per tale “nuovo prodotto” non è stato previsto e determinato. Insomma, non c’è la pianificazione del “prodotto indipendenza” né il processo di “creazione di un’idea di prodotto” e di follow-up o azione supplementare fino a quando il “prodotto” non verrà introdotto. Non bastasse, manca una manovra di uscita per il “prodotto” nel caso in cui “non venda”, né si prevedono le procedure per la gestione del “prodotto” per tutta la sua vita utilizzando varie strategie, incluse estensioni o miglioramenti, maggiore distribuzione (quali altre fasce di popolazione oggi ai margini o escluse ne beneficeranno), variazioni di prezzo (carico fiscale) e promozioni (ulteriori vantaggi).

È vero! Sono tutte cose già viste e vissute in passato, ma ora è proprio dura. Ora è veramente tempo da duri!
E, invece, assistiamo all’imitazione – da parte di alcuni altri – del modello catalano che non ha ancora ottenuto “l’obiettivo indipendenza”, mentre i leaders storici si sono dimostrati corrotti.
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Re: Coała xeła l'etega de l'endependenteixmo veneto?

Messaggioda Berto » lun mag 20, 2019 9:17 am

Impegno e coerenza dell'indipendentismo veneto
Enzo Trentin
19 maggio 2019

https://www.vicenzareport.it/2019/05/im ... smo-veneto

Vicenza – Sono favorevole all’autodeterminazione di tutti popoli; quello veneto compreso naturalmente. Tuttavia in seno all’indipendentismo marciano ci sono idee molto diverse. Ma in democrazia, come suggeriva Socrate, è necessario discutere avendo la modestia di non pretendere a priori d’aver ragione. E laddove alcuni pseudo indipendentisti che non godono del mio apprezzamento dimostrassero che io ho torto, tutti ne usciremmo arricchiti e non sconfitti. Ciò premesso, argomenterò sugli auto certificati e spurii indipendentisti veneti prendendo a pretesto un aneddoto personale.

A una conferenza propedeutica sulla migliore strategia aziendale, tenutasi con il patrocinio e presso la sede di una delle banche popolari venete oggi passate alla cronaca per aver messo in serie difficoltà circa 220.000 risparmiatori autoctoni, ho assistito a un chiaro esempio dell’uso protettivo della coerenza.

La riunione era presieduta da due giovani volenterosi che cercavano di reclutare nuovi adepti, vantando le miracolose capacità della loro tecnica promozionale e propagandistica: seguendo il loro programma si potevano ottenere i più diversi successi, ivi compresi quelli imprenditoriali.

Ero andato per osservare il tipo di tattiche persuasive usate in queste conferenze di promozione e avevo portato con me un amico interessato all’argomento, un professore universitario specializzato in statistica e logica simbolica. Via via che il tempo passava e i due conferenzieri spiegavano le basi teoriche dell’azione, mi accorsi che il mio collega diventava sempre più irrequieto. Si agitava continuamente sulla sedia con aria infelice e alla fine non resisté più: al termine dell’esposizione, all’invito rivolto al pubblico di fare domande alzò subito la mano e in due minuti, in modo garbato ma fermo, demolì tutte le argomentazioni, indicando con precisione dove e perché erano contraddittorie, illogiche e insostenibili. L’effetto sui due conferenzieri fu disastroso. Dopo un silenzio imbarazzato, tentarono entrambi una debole replica, fermandosi però a metà e ammettendo infine, dopo un breve conciliabolo, che le osservazioni del mio amico erano apprezzabili e “meritavano un approfondimento”.

Più interessante dal mio punto di vista fu però l’effetto sul resto del pubblico. Appena finite le domande, i due relatori furono avvicinati da quattro o cinque imprenditori che diedero loro il proprio biglietto da visita, pregandoli di contattarli per fissare un appuntamento presso la propria azienda. Stringendosi nelle spalle, ridacchiando e dandosi di gomito mentre intascavano i biglietti da visita, i due tradivano un’enorme sorpresa: dopo quello che era parso un fiasco irrimediabile della conferenza, la riunione si era risolta chissà come in un grande successo, con uno strabiliante consenso di parte del pubblico. Ero un po’ perplesso, ma per il momento attribuii questa reazione al fatto che non avessero capito i ragionamenti del mio collega. Risultò invece che era vero l’opposto.

Usciti dalla sala di riunione, fummo avvicinati da tre persone che subito dopo la conferenza si erano affrettate a richiedere il colloquio. Ci chiesero perché eravamo venuti: glielo spiegammo e facemmo anche a loro la stessa domanda. Uno era un produttore di abbigliamento con un disperato bisogno di sfondare: era venuto per vedere se quei relatori avrebbero potuto servirgli ad ottenere un indispensabile aumento delle vendite, cosa che i due presentatori ovviamente gli avevano garantito. Un’altra era una donna che soffriva per il fatto che quando si presentava in banca per un finanziamento, l’istituto di credito non la considerava affidabile malgrado le garanzie sostanziali che poteva esibire. Il terzo era un attivista politico. Anche lui aveva un problema: col lavoro che faceva non trovava il tempo per preparare gli esami universitari, e con le tecniche proposte dai due relatori sperava di poter ridurre le ore dedicate alla politica (senza perdere, ovviamente, vantaggi e rendite politiche), per poterne dedicare qualcuna di più allo studio. Fra parentesi, è interessante notare che i due conferenzieri avevano assicurato sia a lui che alla donna che la tecnica era in grado di risolvere i rispettivi problemi, benché diametralmente opposti.

Ancora convinto che i tre avessero abboccato perché non avevano capito le osservazioni del mio collega, mi misi a interrogarli in proposito e con sorpresa mi accorsi che le avevano capite fin troppo bene. Era stata proprio la sua argomentazione così stringente a spingerli a mettersi immediatamente nelle mani di quei consulenti. Il giovane attivista fu quello che chiarì le cose nel modo migliore: «Non avevo veramente intenzione, quest’oggi, di impegnarmi nell’ovvia spesa che i consulenti comporteranno, perché sono proprio al verde. Volevo aspettare fino alla prossima riunione. Ma quando il suo amico ha cominciato a parlare, mi sono reso conto che facevo meglio ad impegnarmi subito, altrimenti sarei andato a casa e mi sarei messo a pensare a quello che aveva detto e alla fine non ne avrei fatto più nulla».

Ecco che le cose cominciavano ad avere un senso. Queste persone avevano dei problemi molto reali e cercavano disperatamente un modo per risolverli. Se si doveva prestar fede ai due conferenzieri, erano persone che avevano trovato una soluzione possibile. Spinti dal bisogno, volevano assolutamente credere che questa fosse la risposta che cercavano. Ma a questo punto per bocca del mio amico si era fatta sentire la voce della ragione capace di dimostrare l’infondatezza teorica della soluzione appena scoperta. È il panico. Ci vuole subito una difesa contro gli attacchi della logica che minaccia di rovinare anche quest’ultima speranza. Ci vuole un rifugio sicuro dove il pensiero non possa molestare, e non importa se il rifugio è magari un po’ sciocco. L’impegno che avrebbero preso con i consulenti, ha consentito loro di mettersi in salvo e di non pensarci più: la decisione era presa e d’ora in avanti per fugare i dubbi basterà mettere in funzione il programma automatico della coerenza con gli impegni assunti. Almeno per qualche tempo, si potrà riposare nell’illusione di aver trovato una risposta.

Se l’automatismo della coerenza funge da difesa contro le insidie del pensiero, non dobbiamo meravigliarci che questo meccanismo possa essere sfruttato da certi profittatori che hanno tutto l’interesse a una nostra risposta automatica e non ragionata. Queste persone sono così brave a predisporre le cose in maniera da far scattare in noi la molla della coerenza cieca, che raramente ci accorgiamo di essere caduti in trappola. Ma debbo confessare che ne ho avuto la certezza solo dopo che occasionalmente ebbi a leggere un libro di Robert B. Cialdini: «Influence – How and why people agree to things» © 1984 William Morrow and Co., New York, 1984, che al capitolo 3: “Impegno e Coerenza – Gli spauracchi della mente”, descriveva un aneddoto molto simile.

Orbene, prendiamo ad esempio quell’attivista politico preoccupato. Se in Italia fare il “rappresentante” politico nelle istituzioni non fosse una professione, egli non avrebbe avuto alcuna ansia. Al contrario fare politica altrove è un servizio alla collettività, non una professione. Per esempio: i 246 membri del Consiglio nazionale e del consiglio degli Stati della CH dedicano al mandato parlamentare una parte del proprio tempo di lavoro. Generalmente oltre al ruolo di parlamentare, svolgono anche una attività professionale. Il fatto di assumere compiti e mandati pubblici in quanto attività accessoria viene definito in Svizzera ”sistema di milizia”. Lo si può constatare su www.admin.ch a pagina 30 dell’opuscolo “La Confederazione in breve. 2014”.

Analogamente se il “servizio” politico non fosse svolto “professionalmente” i cittadini non avrebbero l’alibi di aver votato un “rappresentante” (in tal modo sentendosi a posto con la propria coscienza) che poi si sente svincolato da qualsiasi mandato. Come sancito dall’Art. 67 della Costituzione. Questo atteggiamento potrebbe essere accettabile laddove all’elettore fossero concessi gli istituti di partecipazione popolare o di democrazia diretta. Ma questo purtroppo non è; dunque chi vota si spoglia della propria “sovranità” e concede un mandato in bianco all’eletto. Eppure, attraverso gli strumenti della democrazia diretta potremmo agire con deterrenza nei confronti di ogni possibile deviazione del “rappresentante”.

Non sorprende, quindi, che ci siano esponenti politici che si definiscono indipendentisti (qui mi limito ai soli veneti), che posticipano la presentazione di una proposta di diverso assetto istituzionale. E la domanda è: come può un popolo seguire chi non gli mostra la giusta strada? Di più: come ci si può affidare a cuor leggero a chi si propone d’imitare modelli non felicemente sperimentati?

Per esempio: già il 21 gennaio 2013, in un’intervista ad un veneto trasferitosi per lavoro a Barcellona, scrivevo: «In questi ultimi tempi stanno arrivando molti nodi al pettine e di conseguenza molte pressioni su problemi sinora irrisolti, ivi compresi innumerevoli casi di corruzione rimasti sinora sotto traccia. Da ricordare, per esempio, il caso del palazzo della musica di Barcellona, collettore di decine di milioni di Euro di tangenti, tanto che il partito CiU su richiesta del giudice Jose Maria Pijoan Canadell ha dovuto dare in garanzia l’edificio sede del suo partito. Un’altra questione è relativa ai finanziamenti dell’UE destinati alla riqualificazione professionale, ed invece confluiti ad una componente di CiU, e cioè Union democratica, l’equivalente della DC italiana. E l’elenco potrebbe continuare.»

In questo quadro, come si fa a pensare che conquistando la maggioranza alla Regione Veneto, si potrà poi trattare l’autodeterminazione del popolo veneto concertandola con lo Stato italiano? Non è noto a questi pseudo indipendentisti veneti che la Catalogna, malgrado la loro maggioranza nella Generalitat de Catalunya, e alcuni parlamentari indipendentisti siedano nella Cortes Generales di Madrid non hanno ottenuto nulla, ed anzi rischiano una riduzione dell’autonomia regionale?

Recentemente sulla rivista «MiglioVerde», Marietto Cerneaz ci ricorda che quando Pedro Sanchez detronizzò Mariano Rajoy, con un “colpo di palazzo” riuscito grazie anche all’appoggio degli indipendentisti catalani, tra lui, il suo partito e i secessionisti era tutto rose e fiori. Poi, è caduto anche il suo governo, che si reggeva come fosse un castello di carte quando soffia il vento. Ora con la vittoria con un certo margine di vantaggio del Psoe alle elezioni, Sanchez pare voglia vendicarsi dello sgarbo degli indipendentisti, che nello scorso mese di Febbraio non hanno votato il suo bilancio, facendo cadere il governo.

Guardare all’UE che difende i diritti umani sembra alquanto bizzarro, considerato che non ha fatto un fiato a favore di numerosi esponenti indipendentisti in carcere da oltre un anno e mezzo solo per aver cercato di rispettare un preciso mandato. Infatti in campagna elettorale dichiararono che, se eletti, avrebbero indetto un referendum per l’indipendenza della Catalogna. Semmai è interessante osservare che, malgrado le ampie autonomie, gli indipendentisti non hanno superato il 47% dei consensi elettorali, ed oggi alcuni sondaggi danno tale adesione al 37%.

Tra le autonomie catalane che nessun commentatore sembra prendere in considerazione c’è quella del Dipartimento di giustizia della Generalitat della Catalogna, attraverso il Segretario delle misure criminali, la reintegrazione e l’attenzione alle vittime. Questo ufficio è responsabile della definizione della direzione dell’esecuzione criminale in Catalogna e dell’attuazione delle proposte, piani e programmi per la sua esecuzione. La Catalogna è l’unica comunità autonoma spagnola che ha trasferito poteri giurisdizionali e la gestione delle carceri dal 1° gennaio 1984, e quindi coordina e supervisiona l’attuazione delle politiche in questo campo.

Per questo non va trascurata l’«affezione» con la quale i leaders indipendentisti imprigionati sono trattati, considerato che essi non subiscono certo un trattamento analogo a quello di Bobby Sands, che è stato un attivista e politico nordirlandese, volontario della Provisional Irish Republican Army. Eletto membro del parlamento britannico mentre era detenuto nel carcere di Maze, a Long Kesh, ivi morì il 5 maggio 1981 a seguito di uno sciopero della fame condotto ad oltranza come forma di protesta contro il regime carcerario cui erano sottoposti i detenuti repubblicani.

Dulcis in fundo: l’indipendentismo catalano, almeno dal 1980, beneficia di innumerevoli vantaggi competitivi sconosciuti ai veneti: non solo ha la maggioranza nella Generalitat, ha propri Sindaci in circa 600 dei 900 Comuni della regione. Dalla Generalitat dipendono i Mossos d’Esquadra o Policia de la Generalidad. La peculiare cultura catalana è istruita in tutte le Università autoctone, in un canale televisivo specifico, in decine e decine radio locali (quasi una per ogni Comune di medio-grandi dimensioni), nonché in alcuni giornali e periodici sia a stampa che on line. Ciò nonostante, i catalani favorevoli all’indipendenza non hanno superato la maggioranza degli aventi diritto. E questo porta necessariamente ad una riflessione sulla qualità dei rappresentanti politici catalani, che sono cosa diversa dal loro popolo.

Per concludere ecco che similmente a quelle persone che decisero di affidarsi ai due giovani volenterosi di cui all’aneddoto d’apertura, ci sono degli elettori disposti ad affidarsi a dei sedicenti indipendentisti che, godendo di rendite politiche come rappresentanti dello Stato italiano in Regione Veneto (e per ciò stesso avendo giurato sulla vigente Costituzione), lasciano intendere al pubblico più credulone che il governo italiano potrebbe comportarsi diversamente dal governo spagnolo. Ed è a questo punto che mi domando se per caso non avesse ragione il Mahatma Ghandi laddove diceva: «Sotto un governo ingiusto, ogni persona decente dovrebbe essere in prigione.»
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