Sta ki la me fa fastidio, la me da de volta a le buele, la me fa skifo!Perché io (a differenza di quelli) davvero sto con Stacchiohttp://barbablog.vanityfair.it/2015/02/ ... n-stacchioAnch’io sto con Stacchio, ma non perché ha sparato a un uomo. Sto con Graziano Stacchio, il sessantacinquenne benzinaio della provincia di Vicenza che ha ucciso con un colpo di fucile il
rapinatore quarantunenne Albano Cassol, perché è l’unica persona che in questa brutta storia ha avuto parole di pena e dispiacere per i familiari della vittima.
Sto con Stacchio perché si affanna a spiegare di non voler essere un esempio e di non voler essere strumentalizzato («Io non sono un divo, né un politico. Non è la mia vita, questa»).
Sto con Stacchio perché non solo gli si legge nel viso anziano e disperato quanto sta soffrendo per aver ucciso involontariamente un uomo – ha sparato a una gamba, reciso un’arteria femorale e la vittima è morta dissanguata – ma perché esprime sconsolato quello che prova: «Una dimensione di disperazione, di sconforto, di confusione».
Sto con Graziano Stacchio perché è l’unico che, nonostante l’angoscia, nel delirio che ha seguito il disgraziato epilogo della rapina alla gioielleria di Ponte di Nanto sembra rimanere lucido, e soprattutto rimanere umano. Un altro vicepresidente del Senato che non voglio più nominare lo ha definito un eroe, un sindaco di paese ha fatto stampare magliette con frasi da Far West («Io sto con Stacchio per la difesa del territorio») e poi ci sono i matti che in Rete scrivono sotto la foto del benzinaio «Na fusilà e fora dai cojioni»: una fucilata e fuori dai coglioni, come se non fosse morto un uomo ma un animale molesto, e forse per un animale in parecchi si sarebbero dispiaciuti di più.
Qualcuno già vede Graziano Stacchio parlamentare e lui protesta: «Spero abbiano rispetto della mia persona e non mi espongano». Gli hanno dato una scorta per proteggerlo da eventuali ritorsioni della famiglia del giostraio ucciso e lui commenta: «È imbarazzante avere una scorta, se l’hanno deciso significa che ci saranno dei motivi. Però io francamente non temo reazioni da questa gente. Penso che anche i parenti della vittima abbiano capito perché ho sparato, e che non volevo uccidere quell’uomo». La sua iscrizione nel registro degli indagati per eccesso di difesa non è una stortura gauche caviar buonista, ma un automatismo: se uccidi un bandito per difenderti, sei indagato. I morti e le loro famiglie hanno dei diritti, o almeno dovrebbero averli (e i vivi no li ga mia i diriti? E le fameje de i delincoenti no li ga mia vargogna?). Di sicuro lo capisce Stacchio, uomo perbene che si chiede che cosa è giusto e che cosa è sbagliato, e non si vergogna di mostrare la sua confusione: «A volte mi dico che ho fatto la cosa giusta, altre volte mi sento male, poi torno tranquillo e poi mi riprende lo sconforto».
Ha visto delle persone in difficoltà, ha sparato in aria, gli hanno risposto al fuoco, ha sparato ancora. Un uomo è morto: giostraio, nomade, pregiudicato. Aveva quarantun anni e dei figli.
Ensemenia, falba dona, nesuni sta co Stakio parké el ga copà on delincoente e potensialmente sasin (???), ma parké el ga vesto l'omanedà e el corajo de vinçar el teror, a ris-cio de la so vita, de defendar la vida e i beni de li so viçini, xente par ben come lù ke la se gagna el pan col suor de la so fronte e no robando o rapenando o copando. Suca marsa!Anca sta ki lè conpagna, stesa bruta ràçaLa Lucarelli: Stacchio non doveva spararev - selvaggia-lucarellihttp://www.vvox.it/2015/02/09/la-lucare ... va-sparareVolevo dire che io non sto col benzinaio vicentino che ha sparato al rapinatore. Ma non perchè provi particolare pena per il rapinatore. Era un recidivo, girava con un fucile, sapeva a cosa poteva andare incontro, se l’è voluta. Non sto col benzinaio perchè non s’è difeso, non ha agito d’istinto, nessuno stava sparando a nessuno. C’era una rapina in corso. Ce ne sono tante, tutti i giorni. E’ uno schifo, ma gli dai quello che vogliono e vanno via. Se poi non vanno via, ti menano e tu gli spari, fai bene.
Se sparano a qualcuno e gli spari fai bene. Se sei lì e vedi che c’è una rapina chiami la polizia. In questo caso invece il benzinaio è salito in casa, ha preso il suo fucile con cui andava a sparare ai caprioli e s’è messo a sparare (lui). Inutile poi dire che non voleva uccidere. E’ come per il rapinatore: imbracciare il fucile vuol dire esporre se stessi e gli altri a un rischio. Quello di morire e uccidere. Sparare a gente armata (se non sta sparando) vuol dire innescare il far west. Vuol dire che magari io passo di lì con mio figlio a mettere benzina e mi arriva un proiettile. O arriva a mio figlio. Vuol dire che la commessa che volevi difendere rischia la vita più che se lasciassi i rapinatori andar via col bottino.
Io lo so che chi sta dietro a un bancone è esasperato. Lo so che è difficile non aver voglia di sparare a chi ti fa vivere nel terrore. Ma dire “ha fatto bene” vuol dire che il prossimo proiettile può toccare a noi o ai nostri figli. Vuol dire che il prossimo a crepare può essere un disperato con un’arma giocattolo che non ha da dare da mangiare al figlio. Vuol dire legittimare la giustizia fai da te. E la giustizia fai da te non solo non ci difende dai rapinatori (quelli continueranno, di morire lo mettono in conto sempre), ma non ci difende neanche dal nostro vicino di casa, armato di fucile e di buone intenzioni.
"Doveva farsi i fatti suoi". I parenti del rapinatore minacciano il benzinaio
L'ultima follia della famiglia Cassol contro Graziano Stacchio: "Come se noi prendessimo una pistola e ora andassimo a sparargli..."Nino Materi - Mer, 11/02/2015 - 08:22
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 92184.htmlLa roulotte non è di quelle fatiscenti, modello accampamento rom. Ricorda piuttosto quei caravan confortevoli che ospitano gli artisti dei circhi di lusso. Qui poco dopo il cartello di «Benvenuti a Fontanelle», nell'Opitergino, c'è la «casa» di Albano Casson.
Si tratta di una casa con le ruote, ma non chiamatela «nomade», altrimenti la famiglia Cassol si arrabbia: «Noi non siamo rom, siamo nati in Veneto e ci consideriamo "razza Piave" a tutti gli effetti». La disputa sull'effettiva identità etnica dei Cassol ci interessa poco, anche perché rischia di portarci fuori strada rispetto alla via maestra di questa brutta storia, lungo la quale un bandito ha perso la vita e un uomo perbene rischia di finire sul banco degli imputati.
Il bandito risponde al nome di Albano Cassol, 41 anni; l'uomo perbene si chiama Graziano Stacchio, 65 anni. La sera di martedì 2 febbraio Cassol è morto nell'assalto di un commando criminale a una gioielleria di Ponte di Nanto, nel Basso vicentino.
A ucciderlo è stato il benzinaio Graziano Stacchio, «reo» di non essersi girato dall'altra parte ma di aver difeso la commessa e il titolare del negozio che in quel momento si trovavano sotto la minaccia delle armi. Graziano ha prima sparato un colpo di fucile in aria, poi ha mirato alle gambe di Cassol, successivamente morto dissanguato durante la fuga in auto. Il caso potrebbe chiudersi qui. La dinamica è chiara. Le immagini delle telecamere di sorveglianza sono lì a dimostralo.
Invece avviene un cortocircuito che - prima ancora che giudiziario - è mediatico. La Procura di Treviso indaga il benzinaio per eccesso di legittima difesa. Giornali e televisioni si scatenano nel dar voce alla famiglia del rapinatore ucciso. E qui la situazione vira scivola subito sul piano inclinato del paradosso.
Con il benzinaio che diventa «colpevole» e il rapinatore «vittima». Almeno questo è il delirante schema mentale o della famiglia Cassol che urla ai giornalisti di «non voler parlare». Ma poi, dalla scaletta cromata del loro caravan, urlano frasi sconsiderate del tipo: «Q
uel benzinaio doveva farsi i fatti (eufemismo, ndr ) suoi.. non ci si fa giustizia da soli... e come se noi adesso prendessimo una pistola e andassimo a sparargli...». Chi non credesse che queste frasi siano state pronunciate davvero, può rivedere l'ultima puntata della programma Quinta Colonna condotta su Rete4 da Paolo Del Debbio. All'inviato della trasmissione i parenti di Cassol hanno urlato: «
Ma tu da piccolo non hai mai rubato delle cioccolate? Tutti abbiamo commesso degli errori...». Ma non tutti, per fortuna, vanno a fare rapine in gioielleria. Però anche su questo punto dalla famiglia Cassol non arriva nessuna autocritica, solo accuse contro lo «Stato italiano che non ci consente di fare un lavoro onesto».
Una tesi che i parenti più stretti di Albano Cassol confermano anche a noi del Giornale : «Albano aveva messo la testa a posto... aveva chiesto un lavoro anche al sindaco del paese... si è trovato in una situazione assurda... ma non meritava di fare quella fine... vogliamo giustizia... chi ha sbagliato deve pagare... contro di noi sentiamo odio e calunnie... ma siamo pronti a denunciare tutti... abbiamo ingaggiato ben due avvocati».
E qui ritorna il paradosso: con la famiglia di un bandito che chiede «giustizia» e un uomo mite dipinto come un giustiziere senza scrupoli. Ma i curriculum vitae dei due «contendenti» parlano chiaro: Albano Cassol ha una fedina penale nera come la pece; Graziano Stacchio ha sulla parete un attestato di «benemerenza al valor civico». Anni fa salvò la vita a una ragazza finita con l'auto nel fiume; quel maledetto 2 febbraio imbracciò il fucile per difendere due persone minacciate dai rapinatori. Poi è andata com'è andata.
Ma Stacchio - a differenza di Cassol - non ha nulla di cui vergognarsi.
Eppure questo benzinaio sta sentendo in questi giorni sulle sue spalle tutto il peso di una tragedia per la quale si mostra disposto addirittura a recitare un mea culpa sull'altare del buonismo più demagogico: «Mi dispiace per la famiglia Cassol... sono vicino alla moglie... e ai suoi bambini... anch'io ho dei figli e dei nipoti...». È questo un sentimento di solidarietà che fa onore a Graziano Stacchio, ma è come certi ribaltamenti di ruolo ci facciano perdere di vista un dato incontrovertibile:
se il giorno della rapina Albano Cassol, invece di indossare giubbotto antiproiettile e armarsi fino ai denti, fosse rimasto a casa con moglie e figli, oggi sarebbe ancora vivo e potrebbe godersi, come ogni persona onesta, un'esistenza felice e serena. Invece no, Cassol - lo stesso Cassol che secondo i parenti «aveva messo la testa a posto» - il 2 febbraio ha assaltato una gioielleria, finendo per rimetterci la pelle. Il resto sono solo chiacchiere. E lo sa bene pure l'avvocato Francesco Murgia, rappresentante legale della famiglia Cassol. Lui - da esperto del diritto qual è - a ogni «rischio di strumentalizzazione», oppone saggiamente la pacatezza dell'uomo di legge: «Nessuna vendetta, la vedova di Albano Cassol vuole solo conoscere la verità».
Ma la «verità», in questo caso, è sotto gli occhi di tutti. Compresi quelli delle telecamere di sorveglianza che hanno ripreso la scena. Si vede un benzinaio che prima spara in alto e poi, minacciato da Cassol che risponde al fuoco (ad altezza d'uomo), esplode un colpo per difendersi da morte sicura. Serve altro?No no serve altro!