Se la Lega e Salvini non riescono a convincere i Venetisti…
da WWW.ITALIAOGGI.IT
di Goffredo Pistelli
Il proto-leghismo di Matteo Salvini fatica a sfondare. Lo dice la manifestazione veronese di solidarietà agli indipendentisti veneti e lombardi finiti sotto inchiesta e in carcere a Brescia, che s’è tenuta domenica.
Nella città dell’Arena erano attesi 10mila leghisti, indipendentisti, venetistiti ma, secondo le cronache, se ne sono visti un migliaio lievitati a 3mila per quelle più simpatetiche.
E forse il problema sta proprio nel mix: gli indipendentisti hanno imparato ormai da molti anni a diffidare del Carroccio, già quando era guidato da Umberto Bossi, figurarsi quando sulla tolda c’è il maroniano Salvini, per quanto l’eurodeputato milanese stia, di giorno in giorno, alzando i toni.
L’impressione è che il grosso dell’indipendentismo veneto, quello che ha fatto fare il boom di click al secessionismo online del discusso referendum, che non saranno stati i 1,8 milioni dichiarati ma decine di migliaia senza dubbio, si sia tenuto alla larga.
Non c’era neppure Gianluca Busato, l’inventore di quel referendum, che ne aveva festeggiato l’esito a Treviso con alcune centinaia di militanti.
Le tante microfamiglie venetiste o autonomiste lombarde non si fidano infatti di Via Bellerio, sede federale cioè nazionale del partito a Milano, perché nel tempo, soprattutto nella stagione bossiana, hanno assaggiato le durezze dell’organizzazione, trovandosi spesso passati a fil di statuto e cacciati.
Basta leggere lindipendenza.com, giornale online diretto da un ex-direttore de La Padania, Gianluca Marchi, finito anche lui in questa iperbolica inchiesta sul secessionismo, una sorta di Tanko bis, per via del blindato giocattolo che anche stavolta gli indipendenti si sarebbero messi a costruire, come in una coazione a ripetere. Un giornale assai autorevole su cui scrivono anche un teorico del Carroccio della prima ora, come Gilberto Oneto, e un altro ex-Padania come Leonardo Facco.
Al segretario leghista bergamasco Daniele Belotti, già assessore formigoniano, che sulle colonne de L’Indipendenza aveva lanciato un appello a costituire un fronte unico indipendentista, ha risposto ieri Gianfrancesco Ruggeri, un autonomista duro e puro, attivissimo sul piano della difesa delle lingue e dell’identità padane, con un liscio e busso in dieci punti. Un articolo che inizia con «Zaia si decida una volta per tutte a mandare avanti il referendum per l’indipendenza», prosegue con un «Roberto Maroni (assente domenica, ufficialmente perché indisposto, ndr) si dia una bella sveglia e la smetta di pensare solo all’Expo» e contempla suggerimenti del tipo: «La prossima volta che Giorgio Napolitano passa della nostre parti, invece di chiamare a raccolta i sindaci perché vadano ad omaggiarlo come è stato fatto in passato anche a Bergamo».
La manifestazione scaligera di domenica scorsa dice che l’aggancio al mal di pancia indipendentista non è riuscito. Almeno in piazza, anche se molto dirigenti salviniani sperano che avvenga nelle urne del 25 maggio, quando si voterà per le europee.
Il fatto che quello di Verona sia stato un raduno molto rumoroso e colorato ma privo di popolo, suggerisce poi un’altra constatazione.
Che se la scelta della città era stata fatta per recuperare il suo sindaco Flavio Tosi, alla polemica dura e pura del segretario federale Salvini, l’attesa andata delusa.
Il popolo tosiano non era in piazza domenica scorsa, pur giocando in casa.
Il sindaco veronese, che è tutt’ora il segretario della Liga veneta, è infatti capace di radunare il doppio di quelle persone con la sua lista personale, come ha dimostrato nella manifestazione del febbraio 2012 alla fiera di Verona, quella che fece arrabbiare Luca Zaia, governatore padano.
Tosi, che da tempo viaggia su un binario diverso e sempre meno parallelo da Salvini, che non perde occasione di fargli il contrappunto quando attacca l’euro, che non lo segue affatto sulle sue sparate anti-Bruxelles o con le sue blandizie verso i Forconi, era ovviamente alla manifestazione, perché non farsi vedere sarebbe stata una rottura clamorosa. Il sindaco però non s’è distinto i proclami perentori del segretario Salvini, «liberateli o lo facciamo noi», ma si è limitato, come nei giorni precedenti, a esprimere tutti i suoi dubbi sull’inchiesta.
Lo aveva fatto anche nel settembre del 2012, quando a Treviso era finita sotto inchiesta la «Polisia veneta», cioè le ronde padane. «Quando c’era Maroni ministro dell’Interno», disse allora in un comizio a Padova, uno dei primi da segretario del Carroccio veneto, «l’obiettivo principale era la lotta alla mafia. Adesso invece, se la prendono con dei poveracci che hanno le loro idee».
Anche domenica Tosi ha detto più o meno la stessa cosa, polemizzando contro il governo «che mette in libertà i delinquenti e rompe i coglioni ai cittadini».
Chi l’ha surclassato nei toni è invece lo stesso Zaia, che già aveva dato un gran peso ai secessionisti online, mentre Tosi ne era stato alla larga. «È ora di mettere insieme tutti i movimenti per marciare uniti contro lo stato centralista», ha detto il governatore.
Fra i due, è da tempo gara fra chi sarà il candidato della Lega ma soprattutto del centrodestra alle regionali del prossimo anno.