Singani (storia e etimołoja)

Re: Singani (storia e etimołoja)

Messaggioda Berto » mar mar 24, 2015 10:25 am

Ke buxiari, ke ensemei!

Zingari in guerra con il mondo intero
Intervista ad Antonio Moresco, autore del libro Zingari di Merda


http://www.meltingpot.org/Zingari-in-gu ... REeteHdXug

Zingari di Merda racconta il viaggio verso la Romania di due italiani e un rom sgomberato dalla città di Pavia a bordo di una vecchia BMW per “andare a vedere da dove si mette in movimen­to tutta questa disperazione, l’origine di questa ferita”.
Con il suo autore, Antonio Moresco, abbiamo commentato le recenti misure che stigmatizzano i rom come più criminali di tutti i criminali, calamità naturale d’emergenza a cui far fronte con provvedimenti speciali.

Domanda: Zingari di Merda è il titolo del libro, un epiteto che si rivolge ad una popolazione che, pur non avendo mai dichiarato guerra a nessuno, è da secoli attaccata - come in una guerra – dal mondo intero. La discriminazione contro i rom negli ultimi mesi in Italia è diventata discorso pubblico, la loro persecuzione oggi è legittima. Dire “Zingari di merda” non è più un’offesa di matrice razzista, ma è considerata quasi un’affermazione oggettiva.

Risposta: Il titolo rappresenta la forza dei popoli perseguitati da secoli che utilizzano gli epiteti offensivi rovesciandoli con fierezza. Il nostro accompagnatore si rivolgeva a se stesso e agli altri rom usando queste parole, che aveva sentito dire contro di sè in Italia. E’ un titolo ambivalente perché rispecchia al contempo la situazione spaventosa dell’Italia di questi anni, dove un popolo dai comportamenti non omologati è di nuovo diventato capro espiatorio di paure ed insicurezze su cui forze politiche fanno leva per nascondere i gravi problemi dell’attualità, ma quando un paese imbocca le strade delle discriminazioni si sveglia poi con le ossa rotte...

D: L’istituzione di un Commissario straordinario per una presunta emergenza incarnata dai rom significa considerare la presenza di questo popolo alla pari di una calamità naturale. E’ forse l’errore macroscopico di un potere che, oggi come ieri, non sa rapportarsi con l’alterità?
Tutto il discorso e con esso le politiche prodotte sui popoli rom in Italia, anche quando si agisce in nome dell’integrazione, nascono dall’applicazione di categorie organizzative a loro estranee, si affronta la loro società partendo dal “noi” e dal “nostro” modo di vivere.

R: Si dà sempre per scontato che il nostro modo di vivere sia quello giusto, cosa evidentemente tutta da dimostrare. A volte anche chi accetta in termini generali gli zingari in realtà vorrebbe sempre ricondurli a dinamiche di vita simili alle proprie. In questi ultimi anni gli zingari incarnano l’irriducibilità e la differenza, io ho scelto di rappresentarli senza censure.
Non ho cercato di farne un santino edificante ma ho mostrato degli esseri umani con la loro forza, la loro diversità e il loro mistero. In genere ogni loro comportamento è letto attraverso la deformazione incredibile del paragone. Ad esempio la violenza nei confronti delle donne – che non mi sono sentito di censurare nel mio racconto - sembra maggiormente grave e criminale se compiuta da parte degli zingari, nonostante le cronache rivelino preoccupanti violenze domestiche contro le donne nelle case degli italiani. Nel momento in cui è stato stabilito che quello è il popolo che fa paura tutto viene visto in una maniera deformata. E’ il meccanismo spaventoso che spesso accade nella storia, coltivato e manipolato per coprire altre cose gravi.

D: La persecuzione contro i rom è oggi più che mai quotidiana, ma anche il tuo libro ha inizio con una persecuzione, ossia dopo gli sgomberi dell’ex Snia Viscosa a Pavia nell’agosto 2007, quando vengono lasciati per strada un centinaio di donne, uomini e bambini.

R: Il libro parte dal lavoro di volontariato di Giovanni Giovannetti all’ex Snia Viscosa; dalla lotta e dalla vicinanza profonda con le persone che vivevano accampate lì è nata l’idea di rintracciare queste famiglie nel sud della Romania, dove molti di loro sono andati a ripararsi dopo la cacciata.
Siamo andati quindi fino a Listaeva, un paese dove gli zingari vivevano nelle buche sotto terra, abbiamo visto le condizioni in cui vivevano le persone, facendo a turno le guardie notturne per proteggere i propri bambini da topi di un metro. E’ allora evidente che queste persone non emigrano in Italia perché sono dei profittatori. Eppure a Pavia il Sindaco del Partito Democratico si è comportato in maniera indistinguibile dalle destre che siamo abituati a vedere come razziste e forcaiole. Se hanno creduto che inseguire questi comportamenti xenofobi avrebbe portato ad un incasso elettorale, la dimostrazione della mancanza di lungimiranza storica è stata plateale con il risultato delle elezioni.

D: Nel tuo viaggio in Romania ti soffermi a descrivere la posizione economica imposta a questo popolo dal sistema economico, che pretende che restino immobili a vivere delle briciole del mercato globalizzato basato proprio sugli scambi attraverso le frontiere. Tu sottolinei la contraddizione tra fissità economica imposta e spinta al movimento degli esseri umani, che si spostano per cercare di sfruttare le opportunità dello sviluppo, sottraendosi a ruoli previsti per loro da non si sa bene chi.

R: Il tentativo di ancorarli ad una posizione è una miopia e tradisce la mancanza di lungimiranza storica: i popoli si sono sempre spostati, anche nel recente passato i popoli hanno sempre migrato, è incredibile che l’Italia non riesca ad affrontare in termini equilibrati e giusti le migrazioni e il desiderio di migliorare la propria sorte.
Anche nelle baracchine di Slatina le televisioni scalcagnate delle giovani famiglie rom trasmettevano di continuo quanto è bella, ricca e luminosa la vita in Italia e negli altri paesi.
Queste persone giovani cercano giustamente di avere una piccola parte in questa ricchezza. Poi ci sono i meccanismi economici diseguali che fanno sì che in Italia con l’elemosina in una giornata una zingara possa guadagnare 20-30 euro, che in Romania non guadagna neanche un operaio. Questi meccanismi vanno molto bene quando sono le fabbriche italiane, ad esempio Pirelli, che sfruttano questi salari estremamente bassi ed impiantano in Romania le loro attività. Paradossalmente gli stessi meccanismi che portano le persone a migliorare la propria condizione sfruttando le differenze del valore della moneta romena rispetto a quella italiana e quindi immigrando in Italia, generano invece violenza ed ipocrisia. Le situazioni di vita che ho visto nel nostro viaggio sembravano quelle del Bangladesh post alluvione e non quelle di un luogo così vicino a casa nostra.

D: La schedatura, il tentativo di presidiare e censire i campi nomadi, la folle idea di rilevare le impronte digitali rappresentano forse l’illusione di bloccare e imbrigliare la determinazione degli uomini ed in particolare di questo popolo a partecipare al benessere negato?

R: Io ne sono convinto. Queste iniziative vengono gettate in pasto alle persone galvanizzate dalle campagne politiche e mediatiche, ma non hanno senso perché gli spostamenti umani non si possono fermare.
Persino all’epoca dei romani, che facevano guerre pazzesche ed erano sotto le armi per decenni per tenere fuori i cosiddetti barbari, per secoli e secoli poi quelle stesse popolazioni che loro volevano escludere sono passate sul territorio italiano.
A mio avviso più è determinata ed efficace la capacità di sigillare le frontiere più l’effetto boomerang è devastante. Quello che vediamo oggi è una politica miope oltre che criminale ed inaccettabile su molti piani.

Zingari di merda
di Antonio Moresco
Fotografie di Giovanni Giovannetti
Effigie Edizioni

Neva Cocchi, Progetto Melting Pot Europa
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Re: Singani (storia e etimołoja)

Messaggioda Berto » sab apr 11, 2015 9:36 am

???
Rom in Romania: tra tradizione e rumenizzazione

12 febbraio 2007

http://www.balcanicaucaso.org/Tesi-e-ri ... ione-35712



Una ricerca sul campo, a Cluj Napoca, Transilvania. Serena Scarabello racconta in questo suo lavoro la comunità rom dei Gabor. I nomi, la memoria, i rapporti tra uomo e donna. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Di Serena Scarabello

Gli Zingari in Romania costituiscono circa il 2,46% (dati relativi al censimento della popolazione del 2002) della popolazione e sono organizzati in varie comunità, ciascuna con un proprio nome che normalmente fa riferimento all'attività lavorativa tradizionale: gli Zingari "aurari" lavoravano l'oro, i "rudari" erano artigiani del legno, gli "ursari" allevatori di orsi, i "caldarari" costruttori di contenitori di rame, i "laudari" musicisti.

Attualmente non esiste più una reale corrispondenza tra il lavoro praticato e il nome della comunità, poiché le recenti trasformazioni della società romena hanno indotto la maggior parte degli zingari ad abbandonare le attività tradizionali per adeguarsi al nuovo contesto economico.

In particolare le politiche attuate in epoca comunista hanno profondamente modificato la situazione economica e sociale della popolazione zingara: il regime infatti non riconobbe mai gli zingari come una minoranza culturale e tentò di assimilarli alla popolazione romena, attraverso l'obbligo al lavoro salariato nelle fabbriche o nelle cooperative statali, l'obbligo alla scolarizzazione e alla residenza fissa.

Negli anni in cui il partito comunista fu al potere, gli zingari vennero romanisaţi, cioè "romanizzati". La diffusa proletarizzazione delle comunità zingare, soprattutto quelle urbane, avvenuta in questa fase storica, favorì l'ascesa sociale di alcune famiglie, ma anche l'abbandono delle attività in cui gli zingari erano specializzati, dello stile di vita tradizionale e la disgregazione di molte comunità.

Nelle zone rurali queste politiche di assimilazione non sempre furono applicate con la stessa severità e, grazie a speciali autorizzazioni, alcuni gruppi zingari continuarono a praticare le attività artigianali tradizionali, come la costruzione dei mattoni o la lavorazione del ferro, e a fornire ai romeni un servizio utile e insostituibile. In genere gli artigiani soggiornavano qualche mese in un villaggio e, a seconda delle richieste, si trasferivano poi in altre località con tutta la famiglia: praticavano il loro lavoro in forma itinerante e questo contribuì al mantenimento di legami molto forti all'interno del gruppo e la conservazione di tradizioni che differenziavano nettamente queste comunità dalla popolazione maggioritaria.

La distinzione tra gli Zingari "romanizzati" e i "tradizionali" ha avuto origine dalle politiche applicate in epoca comunista ma è tuttora una terminologia in uso in Romania, con una connotazione apparentemente paradossale: gli zingari "romanizzati" sono disprezzati e si dice che pratichino attività illegali e amorali danneggiando il resto della popolazione mentre i "tradizionali" sono ben visti perché vivono isolati nelle loro comunità, rispettando le regole della società maggioritaria e si pensa abbiano un lavoro onesto. Questa idea è presente nell'immaginario collettivo dei romeni e, pur se stereotipata, è indicativa di alcune particolarità della condizione attuale degli zingari.

La diffusa percezione negativa degli zingari "romanizzati" è dovuta alla loro attuale condizione economica e sociale, estremamente misera e difficile: la maggior parte di loro è stata infatti proletarizzata durante il regime comunista senza però avere una formazione che potesse garantire delle qualifiche professionali.

Di conseguenza questa manodopera non-specializzata subisce ora un'esclusione economica legata all'incapacità di adeguarsi alle nuove tecnologie e alle evoluzioni dell'economia di mercato. Il miglioramento delle loro condizioni è ostacolato anche dalle discriminazioni che subiscono, dalla disgregazione dei legami comunitari e dalla perdita dei riferimenti culturali tradizionali, causata dall'assimilazione rapida e forzata.

In genere questi zingari soffrono di un senso di inferiorità rispetto ai non-zingari ed hanno assorbito le concezioni negative che la popolazione romena ha nei loro confronti, arrivando a disprezzare e a rifiutare la loro stessa cultura, senza però avere reali possibilità di accesso a quella della società maggioritaria.

Diversa, per certi aspetti, è la situazione degli zingari tradizionali, che hanno mantenuto durante il periodo comunista fino ai giorni nostri un intenso legame comunitario e le tradizioni sociali e lavorative: la famiglia è rimasta il nucleo fondamentale in cui gli individui crescono, educati ai valori e alle usanze del gruppo e le attività artigianali tradizionali sono state mantenute e tramandate di padre in figlio.

È interessante il fatto che molte di queste comunità non sono rimaste rigidamente legate ai metodi lavorativi tradizionali, ma hanno saputo rinnovare le loro abilità ed adattarle all'economia di mercato, scegliendo però in autonomia le strategie economiche e cercando di non tradire i valori tradizionali. Ad esempio, secondo la tradizione uno zingaro "vero" non deve svolgere un lavoro salariato, ma un lavoro indipendente e possibilmente avere come collaboratori gli uomini della sua stessa comunità: per questo molti zingari "tradizionali" si sono impegnati nel commercio, creando un'organizzazione comunitaria più o meno complessa e dando vita a vari sistemi commerciali.

Un esempio è il mercato "Aurora" di Timişoara: all'entrata si viene accolti da zingari, donne generalmente, che cercano di persuadere ad acquistare profumi di grandi marche, ovviamente contraffatti. La prima zona del mercato è riservata ai commercianti romeni, mentre nell'area successiva si incontrano degli zingari in abito tradizionale che gestiscono banchi di vestiti usati: la differenza con l'area precedente è stridente, l'atmosfera qui è più frizzante, accesa dai colori dei mucchi di vestiti, dai chiacchiericci delle donne, dai bambini che corrono da tutte le parti.

La maggior parte di questi zingari sono "Gabori", appartenenti cioè ad un gruppo che tradizionalmente lavorava il ferro per la costruzione di grondaie e che ora si dedica prevalentemente al commercio, organizzato all'interno della comunità in tutte le sue fasi. Sono gli uomini Gabor infatti che vanno all'estero varie volte all'anno, in Belgio, in Austria, in Germania e in Italia per recuperare la merce da rivendere alle famiglie di grossisti di Timişoara che a loro volta riforniscono le famiglie che lavorano al mercato "Aurora".

Il gruppo Gabor di Timişoara è un esempio di comunità che ha mantenuto un legame cooperativo tra le famiglie molto forte e ha riadattato le proprie risorse ed abilità al nuovo contesto economico: è interessante notare il fatto che chi, tra i Gabori di Timişoara, partecipa a questa organizzazione di commercio di vestiti gode di un certo benessere economico.

Si tratta inoltre di un gruppo che mantiene dei valori e delle usanze tradizionali anche in ambito familiare: lo si può facilmente intuire dalle regole vigenti per le donne, che devono sottostare al volere prima del padre e poi del marito e che hanno come ruolo principale quello di madre e poi di suocera.

I matrimoni stabiliscono dei rapporti di alleanza tra le due famiglie, spesso dello stesso rango sociale, e sono combinati dai genitori quando le ragazze sono ancora molto giovani, cioè a partire dai 12 anni. I Gabori sono quindi un gruppo tradizionale ed endogamico che ha rigidamente regolato i contatti con la cultura romena: gli uomini limitano all'ambito lavorativo i rapporti con l'esterno, le donne non possono avere relazioni di nessun tipo con uomini non-gabor, i bambini frequentano solo le prime classi della scuola elementare.

I membri di questa comunità spiegano il loro volontario isolamento dicendo che non vogliono subire discriminazioni nel lavoro e nella scuola romena e che vogliono mantenere le usanze tradizionali perché sono necessarie al mantenimento della comunità, che è il punto di riferimento di ogni individuo. Dicono anche di voler continuare il lavoro nel commercio, perché permette di ottenere un certo benessere economico e di avere un rapporto con i romeni equo e paritario. Temono il momento in cui la Romania entrerà a pieno titolo in Europa, perché presumono, probabilmente a ragione, che le normative europee impediranno loro di lavorare e vivere con le modalità attuali.

Sicuramente i cambiamenti saranno numerosi e profondi e i Gabori dovranno riuscire a mantenere unita la loro comunità quando la scolarizzazione sarà veramente obbligatoria, i matrimoni tra minorenni sanzionati più severamente e il commercio più rigidamente regolamentato. D'altra parte, la Romania, assieme all'Europa, dovrebbe trovare dei modi per riconoscere e rispettare maggiormente le esigenze di minoranze come quella degli zingari, che hanno bisogno di vivere, studiare e lavorare in libertà e con dignità.

http://www.balcanicaucaso.org/Media/Fil ... abello.pdf
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Re: Singani (storia e etimołoja)

Messaggioda Berto » sab apr 11, 2015 7:04 pm

???

Rom e Sinti, tra sgomberi forzati, parole d'odio e falsi miti

"Il rapporto dell'Associazione 21 Luglio: "aumentano gli sgomberi per il Giubileo". In Italia abita lo 0,25% dei Rom; solo il 3% di loro è nomade. In 40mila vivono nei campi. C'è chi in Tv li definisce "feccia della società": ma i bambini hanno un'aspettativa di vita è inferiore di 10 anni e all'Università non arrivano mai ???

di ANDREA SCUTELLA'

http://www.repubblica.it/solidarieta/di ... -111438654

ROMA - È il 9 luglio 2014, in riva al fiume Aniene. Trentanove persone di etnia Rom subiscono uno sgombero forzato dal loro accampamento, in via di Val d'Ala. Supportate da Amnesty International e dall'Associazione 21 Luglio chiedono una sistemazione alternativa. "Dopo ore di intense trattative - riporta una nota dell'Associazione 21 Luglio - ai rom viene offerta l'accoglienza all'interno dell'ex Fiera di Roma". Il 30 novembre, però, arriva la notifica di uno sgombero imminente. I 15 nuclei familiari verranno rimpatriati in Romania. Salvo trovarsi, di nuovo, a fine febbraio 2015, in riva al fiume Aniene. "Lo sgombero forzato ha avuto un costo totale di 168.400 euro, senza che sia stata trovata alcuna risposta adeguata alle famiglie coinvolte". Ecco un chiaro esempio di "Gioco dell'Oca", che 21 Luglio denuncia nel suo primo rapporto nazionale: presentato proprio l'8 aprile, nella giornata internazionale dedicata ai Rom, Sinti e Camminanti.

Giubileo in vista: aumentano gli sgomberi.
"Dopo l'annuncio del Giubileo, nel periodo compreso tra il 13 e il 30 marzo - spiega Carlo Stasolla, presidente dell'Associazione 21 luglio - si è passati da una media 2 sgomberi al mese a 6 a settimana. C'è un libro di Tano D'Amico sull'evento del 2000, che si intitola Il Giubileo nero degli zingari. Alle istituzioni suggerirei di evitare questo rischio". Una preoccupazione condivisa da Riccardo Magi, presidente dei Radicali italiani e consigliere comunale di Roma. "Il rischio - precisa - è quello di cedere a interventi di decoro o pulizia della città in netto contrasto con le politiche sociali". L'esempio della comunità di via Val d'Ala è dietro l'angolo. "Gli sgomberi, lasciando la situazione invariata, muovono tre cose - conclude Stasolla -: i rom, i soldi e i voti". Cacciare una comunità rom, infatti, è di sicuro appeal elettorale.

A Milano si sgombera per l'Expo.
"Lo sgombero come metodo è legittimo" precisa Carlo Stasolla "ma diventa forzato quando non si rispettano i parametri stabiliti dalle organizzazioni internazionali", cioè quando manca un preavviso sufficiente e le giuste alternative alla vita in strada per le famiglie. A Roma, lo scorso anno 34 sgomberi forzati hanno coinvolto circa 1.135 persone, secondo i dati forniti da 21 Luglio. A Milano, invece, 191 sgomberi hanno riguardato oltre 2.200 persone. Secondo le Associazioni Naga e Errc vengono chiamati "allontanamenti medio-grandi" quelli eseguiti per opere legate all'Expo e "micro-allontamenti" quelli "frutto della pressione di cittadini" che spesso non rispettano "la normativa vigente".

Il sistema dei campi e i flussi di denaro in aumento.
"Dal 2000 l'Italia è stata definita il Paese dei campi". L'Associazione 21 luglio nel suo rapporto denuncia con forza "la politica segregante volta a gestire e a mantenere un sistema abitativo parallelo per soli rom, ovvero su base etnica". Un sistema che è costato alla sola città di Roma circa 22 milioni di euro nel 2013, secondo "Campi Nomadi spa", un documento prodotto da 21 luglio nel 2014, che aveva anticipato la collusione tra politiche sociali e malaffare emersa con l'inchiesta Mafia Capitale. L'Associazione annuncia un "Campi nomadi bis" in uscita il 6 maggio, focalizzato sullo scandalo dei centri di raccolta "temporanei" dei rom. Stasolla non si sbottona troppo sui flussi di denaro diretti verso i campi, ma anticipa che "non sono diminuiti, anzi sono aumentati rispetto al passato".

La longa manus della Cooperativa 29 giugno.
Il solo "villaggio" di Castel Romano, su cui era stesa la longa manus della Cooperativa 29 Giugno, sarebbe costato, secondo le stime di 21 Luglio, oltre 5 milioni di euro. Ancor più preoccupante diviene il fatto se paragonato "con quanto il Governo italiano ha dichiarato di avere destinato a politiche di inclusione rivolte ai rom nel documento presentato in sede di Revisione Periodica Universale presso le Nazioni Unite (senza specificare l'arco temporale): 19.830.000 euro".

?Dall'emergenza all'inclusione.?
Erede della sciagurata stagione della "emergenza nomadi" (2008-2011) - che permise di agire in deroga a diverse leggi nella gestione dei campi - la Strategia nazionale di inclusione dei Rom, Sinti e Camminanti (2012) "ce l'ha chiesta l'Europa" ed è imperniata su 4 cardini: alloggio, salute, impiego e istruzione. La stagione "emergenziale" si è conclusa a suon di sentenze, considerata illegittima dal Consiglio di Stato nel 2011, con conferma della Cassazione nel 2013. Ad oggi, nonostante i buoni propositi, l'attuazione del nuovo piano vive di ritardi e confusioni.

I rischi della discrezionalità dei Comuni.
La discrezionalità degli enti locali non solo nei confronti delle istituzioni nazionali, ma anche nei rapporti reciproci, per l'applicazione dei provvedimenti "può condurre a situazioni in contrasto con la Strategia", sottolinea 21 Luglio. "I Comuni possono attivare misure proprie a prescindere dagli orientamenti delle Regioni (...) come di fatto avviene". Le politiche figlie delle vecchie logiche emergenziali, come la costruzione di nuovi campi, sono costate dal 2012 ad oggi, secondo i calcoli di 21 luglio, circa 13 milioni di euro. Inoltre l'attivazione dei tavoli regionali, fulcro del piano, procede a rilento: a febbraio 2015 erano operativi appena 10 su 20 previsti. Regioni con una consistente percentuale di popolazione rom, come Lombardia e Veneto, sono ferme al palo. Il tavolo del Lazio, invece, pur istituito, non è ancora stato convocato.

Numeri di una percezione sballata.
Gli organismi internazionali hanno spesso sottolineato come in Italia manchino adeguati strumenti di monitoraggio per valutare l'inclusione dei Rom, Sinti e Camminanti. I pochi numeri che ci sono, frutto di stime e non di censimenti, bastano a confutare alcuni luoghi comuni. Non solo l'Italia non è "invasa" dai rom, ma, tra i paesi europei, è quello che ne ha le percentuali più basse: appena lo 0,25% sul totale dei residenti. Metà di loro ha la cittadinanza italiana. Le stime del Consiglio d'Europa oscillano tra le 120mila e le 180mila persone, di cui 40mila vivono nei "campi nomadi". A proposito di nomadismo, c'è un altro mito da sfatare: appena il 3% dei rom continua a viaggiare, secondo il Rapporto Conclusivo dell'indagine sulla condizione di Rom, Sinti e Camminanti in Italia diffuso dalla Commissione Diritti Umani del Senato nel 2011.

Baraccopoli e magazzini.
I luoghi in cui abitano i rom rientrano spesso nella definizione di baraccopoli stabilita dall'Un-Habitat delle Nazioni Unite. Gli abitati "sono spesso delimitati da recinzioni" e "videosorvegliati", si legge nel rapporto di 21 Luglio. Sono "al di fuori del tessuto urbano e distanti dai servizi primari, come scuole, ospedali e supermercati" tantoché "l'isolamento spaziale spesso si traduce in isolamento sociale". Le "condizioni igienico-sanitarie" sono "critiche" e le "unità abitative sono temporanee, solitamente bungalow, container o roulotte". Il "Best House Rom", il discusso centro di raccolta temporaneo di Roma senza luce e aria naturale in cui vivono 300 rom ormai da 2 anni, è accastato come magazzino. La segregazione sulla base dell'origine etnica, inoltre, potrebbe costare all'Italia l'ennesima procedura di infrazione da parte dell'Unione Europea.

I minori rom.
Oltre il 60% dei rom presenti in Italia hanno meno di 18 anni, secondo Opera Nomadi. Di questi "almeno 15mila" sarebbero "a rischio apolidia". La condizione, cioè, di inesistenza di fatto per la burocrazia italiana, che ha ripercussioni gravissime sulla vita quotidiana: l'impossibilità di avere un pediatra o un medico di famiglia, di iscriversi a scuola, di contrarre un prestito, un mutuo, di prendere la patente di guida, di iscriversi alle liste di collocamento. Di vivere, insomma.

Un bambino ha possibilità di laurearsi prossime allo zero.
Un bambino che vive in un "campo nomadi" in Italia, secondo le stime raccolte da 21 Luglio, ha possibilità prossime allo 0 di intraprendere un percorso universitario e neanche l'1% di frequentare le scuole superiori. Tra la scuola primaria e la secondaria di primo grado abbandonano il 50% dei minori rom e sinti. Circa il 95%, invece, getta la spugna tra le medie e le superiori. Infine un bambino appartenente alle minoranze zigane ha un'aspettativa di vita di 10 anni inferiore rispetto a un collega gagè. E dire che i progetti di scolarizzazione dei rom, nel solo Comune di Roma, sono costati 3,2 milioni nell'anno solare 2014.

E tocca pure sentire quello della Lega: "Sono la feccia della società".
"I rom sono la feccia della società" dice in diretta Tv l'europarlamentare della Lega Nord, Gianluca Buonanno. Un'affermazione dell'arguto deputato che ha scatenato l'applauso del pubblico di Piazza Pulita, immediatamente stigmatizzato dal conduttore Corrado Formigli. Nel 2014 altri 442 discorsi d'odio - calco dell'inglese hate speech - hanno afflitto il dibattito pubblico italiano, "di cui 204 ritenuti di particolare gravità". L'87% dei questi discorsi sono stati pronunciati da uomini politici. Ne risulta un bombardamento quotidiano da parte di alcune forze politiche contro i Rom, i Sinti e i Camminanti.

Sentimenti antizigani.
Non deve stupire, allora, il triste primato risultato dal sondaggio del Pew Research Centre, secondo cui l'85% degli italiani esprime sentimenti antizigani. Per ogni Buonanno che parla c'è una folla pronta ad applaudire. Una volta acclamata, la parola, non fatica a trasformarsi in azione: da parte dell'istituzioni - Borgaro, provincia di Torino: un sindaco Pd e un assessore ai trasporti di Sel hanno pensato a una linea bus dedicata esclusivamente al servizio tra il campo rom e il capolinea - della società civile - "È severamente vietato l'accesso agli zingari" recitava il cartello appeso all'ingresso dell'esercizio commerciale romano - e dei singoli individui, probabili autori dei numerosi incendi che hanno interessato molti "campi nomadi" nel 2014.

???

No se ga da contar bàłe, ła xente no ła ga co i sinti o i rom, come etnia o ràça, no no, ła xente la ga co coełi ke vien ciamà "singani" e ke vive ente łi canpi, łi cari e łe roułót, ke no łaora e ke canpa acatonando, trufando, enbrojando, rapinando, robando e de asistensa piovega ... se xonte i singani ke łi vive ente łe carovane jostrare e coełi ke vive ente łe caxe e ke roba, rapina e secoestra.

Prasiò no se trata de rasixmo ma de on pì ke justo, łejitimo sentimento de aversion, timor, rabia, verso xente ke fa del mal.
De fati ła xente, ła nostra bona xente, no ła ghe va contro łi omani sinti o rom ke łi vive ente łe caxe e ke se gagna el pan col suor de ła fronte, come tuti i boni omani; ła nostra bona xente no ła xe cusita ensemenia, xe çerti falbi defensori dei falbi diriti ke łi conta storie ke no xe vere e łi fa pasar par rasista ła nostra bona xente; sti marudene falbi łi xe łi pexo omani ke ghe sipia al mondo.
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Re: Singani (storia e etimołoja)

Messaggioda Berto » sab apr 11, 2015 7:50 pm

???

Giornata Internazionale dei rom e sinti: presentato il Rapporto Annuale 2014
mercoledì, 08 aprile, 2015

http://www.21luglio.org/giornata-intern ... nuale-2014

In occasione della Giornata Internazionale dei rom e dei sinti, stamane l’Associazione 21 luglio ha presentato il “Rapporto Annuale 2014”, il primo rapporto nazionale sulla condizione dei rom e dei sinti in Italia che indaga sull’anno passato per individuare la trama che ha intessuto le politiche attuate nel nostro Paese nei confronti di tali comunità.

Il Rapporto è stato presentato anche alla Presidente della Camera Laura Boldrini la quale, per celebrare la Giornata, ha ricevuto in un incontro privato una delegazione dell’Associazione 21 luglio e un gruppo di dodici donne rom.

Oggi, in Italia, vivono circa 180 mila rom e sinti, che rappresentano lo 0,25% della popolazione presente sul territorio nazionale. Il 50% di essi ha la cittadinanza italiana e 4 rom e sinti su 5 vivono in regolari abitazioni, studiano, lavorano e conducono una esistenza come quella di ogni altro cittadino, italiano o straniero, residente nel nostro Paese (e nesun el se la ciàpa co sta xente regolar). La loro quotidianità, tuttavia, resta quasi sempre sconosciuta agli occhi della pubblica opinione, mentre più visibili, nelle cronache dei giornali e dei commenti degli esponenti politici, sono le circa 40.000 persone che vivono nei cosiddetti “campi” – 1 rom su 5 sul totale dei presenti in Italia (2 so 9 xe pì justo).

Se puntiamo la lente sul 2014, in relazione ai rom e ai sinti che nel nostro Paese vivono in emergenza abitativa, dal Rapporto emerge che in Italia il varo della Strategia Nazionale per l’Inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Camminanti e il cambio di direzione da essa paventato non hanno significato un sostanziale mutamento delle loro condizioni di vita. L’approccio emergenziale – che nei propositi doveva essere definitivamente abbandonato – ha rappresentato il leitmotiv di ogni azione pubblica e si è andato declinando nei dodici mesi considerati in numerose azioni di sgombero forzato (più di 230 nelle città di Roma e Milano) e nella ideazione e progettazione di nuovi “campi nomadi”.

La questione abitativa resta centrale nelle politiche che le Amministrazioni locali organizzano nei confronti dei rom e dei sinti. Malgrado i proclami e le buone intenzioni, negli ultimi tre anni sono stati costruiti nuovi insediamenti a Roma, Milano, Giugliano, Carpi e in diverse città italiane del centro-sud, da Latina a Lecce, sino a Cosenza, sono in discussione avanzata progetti relativi alla costruzione di nuovi insediamenti per finanziamenti che superano i 20 milioni di euro.

Nella maggioranza dei “campi nomadi” italiani – anche quelli organizzati e gestiti dalle autorità – sono molteplici gli elementi di criticità che, da Torino a Palermo, passando per Roma e Napoli, sono stati riscontrati e che li hanno resi luoghi di sospensione dei diritti umani.

Tali politiche hanno una ricaduta sulla qualità della vita di un minore che vive all’interno dell’insediamento segnando profondamente il suo futuro. Un “figlio del campo” avrà possibilità prossime allo zero di accedere a un percorso universitario, mentre le possibilità di frequentare le scuole superiori non supereranno l’1%. In 1 caso su 5 non inizierà mai il percorso scolastico. Soprattutto in tenera età avrà fino a 60 volte la probabilità – rispetto a un suo coetaneo non rom – di essere segnalato dal Servizio Sociale e di entrare in contatto con il sistema italiano di protezione dei minori. La sua aspettativa di vita risulterà mediamente più bassa di circa 10 anni rispetto al resto della popolazione mentre da maggiorenne avrà 7 possibilità su 10 di sentirsi discriminato a causa della propria etnia.

Nel 2014 è inoltre emerso un forte nesso tra le politiche discriminatorie e segregative e un radicato antiziganismo. Dei 443 episodi di discorsi d’odio contro i rom registrati dall’Osservatorio dell’Associazione 21 luglio, l’87% risulta riconducibile a esponenti politici. Numerosi sono stati gli episodi violenti avvenuti a Poggioreale, Latina, Vimercate, Querceta, Città di Castello, Padova e Acilia che hanno avuto per bersaglio i rom.

Il Rapporto si concentra infine sulla situazione nella Capitale, “cartina di tornasole” di ciò che accade nel Paese. Emblematico è il “gioco dell’oca” degli sgomberi romani – 34 nel solo 2014 – che hanno spinto le comunità rom da un punto all’altro della città senza ottenere alcun risultato se non la violazione dei diritti umani e lo sperpero del denaro pubblico.

Il 9 luglio 2014, a seguito dello sgombero forzato in via Val d’Ala, a Roma, 15 nuclei familiari sono stati trasferiti nell’ex Fiera di Roma e successivamente rimpatriati in Romania. Il “gioco dell’oca” si è concluso con il loro ritorno, dopo 9 mesi, nell’insediamento dal quale erano stati sgomberati per un costo, sostenuto dall’Amministrazione comunale, di quasi 170.000 euro.

Nel 2014 l’Assessorato alle politiche sociali guidato dall’assessore Rita Cutini si è rivelato – si legge nel Rapporto – «tra i più problematici alla luce del suo profondo immobilismo politico» in un quadro caratterizzato da «amministratori incapaci da 20 anni di conoscere ed affrontare la situazione abitativa di 8.000 rom, dirigenti inadeguati, alcuni elementi di un associazionismo interessato al guadagno».

In tale contesto caratterizzato da forti contraddizioni, una più diffusa e maturata consapevolezza tra gli amministratori sulla necessità di superare definitivamente i “campi nomadi” e una nuova sensibilità dell’opinione pubblica nel condannare con determinazione e fermezza forme di razzismo verso i rom devono rappresentare quelle gocce di speranza da cui potrà prendere finalmente avvio una nuova politica rivolta ai rom e ai sinti che vivono nel nostro Paese e lo sradicamento di quegli stereotipi e pregiudizi negativi diffusi e radicati nei loro confronti.


http://www.21luglio.org/wp-content/uplo ... luglio.pdf

ROM E SINTI IN ITALIA. ALCUNI NUMERI

12 milioni in Europa di cui 6 milioni nell’Unione Europea
Circa 180.000 in Italia, lo 0,25% della popolazione totale
Solo il 3% è effettivamente nomade
Il 50% ha cittadinanza italiana
Circa 40.000 vivono nei “ campi”
Il 60% ha meno di 18 anni
15.000 minori apolidi/a rischio apolidia

I dati presentati sono frutto di stime (con ogni probabilità sotto-stime), vista l’assenza di dati certi riguardo le comunità rom e sinte presenti in Italia.
La presenza di rom e sinti in Italia è stimata dal Consiglio d’Europa tra i 120.000 e i 180.000, costituendo circa lo 0,25% del totale della popolazione italiana, una tra le percentuali più basse d’Europa

Mi sembra che si faccia troppa confusione (e a chi giova?) nel chiamare razzismo ciò che razzismo non è.
I cittadini italiani di etnia no rom e no sinta, non hanno mai manifestato atteggiamenti razzisti nei confronti dell'etnie rom e sinta. Quello che in genere i cittadini italiani giustamente manifestano è la loro sacrosanta e legittima avversione verso tutte quelle persone che praticano i delitti di furto, truffa, rapina, sequestro di persona, omicidio e accattonaggio, se poi tra questi delinquenti vi sono anche talune persone di etnia rom e sinta e che vivono da nomadi o nei "campi nomadi" e che genericamente, storicamente e tradizionalmente sono chiamati zingari, gitani o "singani" (lingua veneta) non trasforma in razzismo questo sacrosanto sentimento di avversione nei confronti di chi pratica il male. Infatti i cittadini italiani non hanno alcun atteggiamento discriminatorio, persecutivo e razzista nei confonti dei sinti-rom che vivono nelle case e si guadagnano il pane con il sudore della fronte; se si trattasse di razzismo allora anche nei confronti di queste oneste e normali persone vi sarebbero atteggiamenti discriminatori e persecutori, ma così non è. Siete pregati di non mentire e di non accusare ingiustamente il prossimo.
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Re: Singani (storia e etimołoja)

Messaggioda Berto » sab apr 11, 2015 8:43 pm

???

La giornata internazionale di Rom e Sinti di Stefano Pasta

http://lacittanuova.milano.corriere.it/ ... om-e-sinti

L’8 aprile è il Romano Dives, la giornata internazionale dei rom e sinti, che ricorda il primo congresso di intellettuali romanì avvenuto a Londra nel 1971. Stabilì il termine “rom” (uomo) come denominazione ufficiale, l’inno Djelem Djelem in memoria del genocidio nei lager nazifascisti e la bandiera con ruota indiana su sfondo per metà verde, a simboleggiare la terra coperta d’erba, e per metà azzurra come il cielo. Ha senso oggi questa Giornata? La risposta sta in un’altra domanda: conosciamo la complessità di questa presenza o ne abbiamo un’immagine stereotipata?

In Italia i rom e sinti sono pochi: lo 0,23 della popolazione, una delle percentuali più basse d’Europa. La metà sono di cittadinanza italiana, 160mila vivono in casa, solo 40mila in campi e baraccopoli. Quasi nessuno pratica più il nomadismo, con l’eccezione di alcune famiglie circensi come i Togni e gli Orfei. Il 60% è minorenne, sono un popolo di bambini. E ancora: chi oggi sente parte della nostra memoria collettiva i nomi di Agnone, Boiano e Prignano? Questi e altri sono campi di concentramento in Italia, dove sono stati detenuti rom e sinti con cognomi italiani, poi deportati in Germania e Polonia. Ad Auschwitz c’era lo Zigeunerlager, 32 baracche circondate di filo spinato dedicate ai rom e sinti. I loro bambini divennero le cavie del dottor Mengele, che sperimentava le sue teorie eugenetiche iniettando inchiostri negli occhi per cambiare il colore dell’iride.

Proprio dalla memoria dimenticata del genocidio di almeno 500mila rom e sinti parte il progetto “Giving memory a future” (www.romsintimemory.it) del Centro di Ricerca sulle relazioni interculturali dell’Università Cattolica di Milano e della Shoah Foundation, l’istituzione di Los Angeles voluta da Steven Spielberg. Questa risorsa multimediale è stata presentata al convegno “International Roma Day 2015. Rom e Sinti dalla scuola al lavoro” alla Presidenza del Consiglio di Largo Chigi ed è alla base del percorso di formazione “Porrajmos, lo sterminio dimenticato” del Ministero dell’Istruzione. Il sito è composto da tre sezioni. Nella prima sono ricostruite le fasi che nell’Europa nazifascista hanno segnato l’ostilità contro i rom e sinti, con documenti e saggi storici, foto e videoclip di sopravvissuti ai lager. La crescita del pregiudizio e dell’odio fu progressiva.

Quando il 30 gennaio 1933 Adolf Hitler divenne Cancelliere, i rom e sinti erano una piccola minoranza (26.000) per la quale il gruppo dirigente nazista mostrava scarso interesse. L’indifferenza iniziale cambiò in seguito alle “pulsioni” antizigane dell’opinione pubblica, della gente comune come degli accademici e degli amministratori locali. Negli anni Trenta, fu un crescendo di controlli, custodie preventive di polizia, sgomberi, fotografie e impronte digitali, espulsioni dalle case popolari, limitazioni delle licenze per il commercio ambulante, condanne per “essersi spostati in orda”, espulsioni di “elementi turbolenti” e retate contro i mendicanti. Fin da subito, l’allarme sociale si intrecciò al discorso razziale. Psichiatri e antropologi come Robert Ritter e Eva Justin effettuarono misurazioni antropometriche per definire i geni dell’inferiorità degli zingari. Individuarono la tara ereditaria nel wandertrieb, “l’istinto al nomadismo”, che giustificava “l’asocialità zingara” su base razziale.

Dall’erosione dei diritti in nome della pubblica sicurezza (???) si arrivò alla deportazione e ai camini di Auschwitz ???. Le altre sezioni di “Giving memory a future” si spostano invece sul presente. La seconda aiuta a capire chi sono i rom e sinti e a conoscere la loro storia, mentre la terza affronta i diritti alla scuola, casa, lavoro e salute, la sfida del convivere tra pregiudizi e stereotipi, buone prassi e veri e propri pogrom in Italia (Opera, Torino, Ponticelli) e in Europa (Francia, Ungheria, i paesi dell’Est). Il sito unisce quindi passato e presente. Non significa voler inchiodare la realtà odierna a un semplicistico e sterile rimando al passato. È la proposta della memoria non come retorica ma come impegno per la tutela dei diritti umani nel presente.

Come guardiamo oggi ai rom e sinti? Un esempio: lo Stato di Emergenza Nomadi proclamato dal 2008 al 2011 in cinque Regioni, che prevedeva misure giuridiche «straordinarie» per gruppi, italiani e stranieri, individuati su base etnica. Era la prima volta che accadeva dalle Leggi Razziali del 1938. Secondo l’ordinamento italiano, lo Stato di emergenza si attua per «una calamità, una catastrofe» o eventi «che per intensità ed estensione debbano essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari». Ecco come abbiamo guardato alla presenza di rom e sinti negli ultimi anni, come al terremoto in Abruzzo o ai rifiuti in Campania. Del resto, i ghetti in cui confiniamo i rom delle nostre città non sono solo quelli fisici, i campi e le baraccopoli. Ci sono anche quelli mentali. Per l’Eurobarometro solo il 7% degli italiani risponde positivamente alla domanda «Sei disponibile ad avere amici rom?». È uno dei valori più bassi in tutta Europa. ???

L’anno scorso il dodicenne A. camminava per andare a scuola su una strada di Milano. Una macchina nera gli si accostò, il guidatore abbassò il finestrino e gli sputò in faccia: aveva riconosciuto che il ragazzino era rom (???). Quella mattina A. buttò lo zaino a terra e non riuscì a entrare in classe. Sempre nel capoluogo lombardo, V. accoglierà i visitatori di Expo nell’hotel a 5 stelle in cui lavora. Ai colleghi non ha mai rivelato di essere rom (V. è biondo con occhi azzurri ???) e che fino l’anno scorso viveva in una baracca. Suo fratello F. ha 18 anni e lavora come giardiniere in una cooperativa. Ha una bambina di due anni, ma ha rinunciato a chiedere gli assegni familiari che gli spetterebbero. «Se il mio capo venisse a sapere che ho avuto una figlia da giovane – dice – capirebbe subito che sono rom e mi licenzierebbe».

???
Ha senso la Giornata dell’8 aprile? Forse sì. Almeno finché non potremo pubblicare le foto di A., finché non si potrà scrivere per intero il nome di V. e finché F. non potrà chiedere l’assegno familiare per la figlia senza paura di ritorsioni.
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Re: Singani (storia e etimołoja)

Messaggioda Berto » dom giu 28, 2015 9:39 pm

???

Il Tribunale di Roma riconosce la disumanità dei campi rom Riconosciuto il carattere discriminatorio del campo La Barbuta, la seconda sezione del Tribunale civile ha condannato il Comune di Roma. Associazione 21 luglio e ASGI: "Sentenza storica"

9 June 2015

http://frontierenews.it/2015/06/il-trib ... -campi-rom

Deve intendersi discriminatoria qualsiasi soluzione abitativa diretta esclusivamente a persone appartenenti a una stessa etnia, tanto più se realizzata in modo da ostacolare l’effettiva convivenza con la popolazione locale

Il 30 maggio 2015, con ordinanza della seconda sezione del Tribunale Civile di Roma, il Giudice ha riconosciuto «il carattere discriminatorio di natura indiretta della complessiva condotta di Roma Capitale […] che si concretizza nell’assegnazione degli alloggi del villaggio attrezzato La Barbuta», ordinando di conseguenza al Comune di Roma «la cessazione della suddetta condotta nel suo complesso, quale descritta in motivazione, e la rimozione dei relativi effetti».

In riferimento al «villaggio attrezzato» La Barbuta, realizzato nel 2012 dall’Amministrazione capitolina, nell’aprile dello stesso anno l’Associazione 21 luglio e l’ASGI (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione) avevano promosso un’azione legale contro il Comune di Roma attraverso il sostegno dell’Open Society Foundations e il supporto di Amnesty International e del Centro Europeo per i Diritti dei Rom (ERRC).

Accolta pienamente la tesi espressa nel ricorso dalle due organizzazioni che hanno sostenuto come il “villaggio” La Barbuta debba considerarsi discriminatorio – e quindi illegittimo – già per il solo fatto di rappresentare una soluzione abitativa di grandi dimensioni rivolta a un gruppo etnico specifico e comunque priva dei caratteri tipici di un’azione positiva.

«Deve infatti intendersi discriminatoria qualsiasi soluzione abitativa di grandi dimensioni diretta esclusivamente a persone appartenenti a una stessa etnia, tanto più se realizzata, come nel caso dell’insediamento sito in località La Barbuta, in modo da ostacolare l’effettiva convivenza con la popolazione locale, l’accesso in condizione di reale parità ai servizi scolastici e socio-sanitari e situato in uno spazio dove è posta a serio rischio la salute delle persone ospitate al suo interno».

L’ 8 agosto 2012, pronunciandosi sull’istanza cautelare, il Tribunale di Roma aveva ritenuto che le circostanze esposte dalle due organizzazioni «concorrano nel rendere verosimile il carattere discriminatorio delle attività di assegnazione degli alloggi presso il campo denominato Nuova Barbuta». Il Tribunale di Roma, accogliendo la richiesta presentata dall’Associazione 21 luglio e dall’ASGI aveva pertanto ordinato «la sospensione delle procedure di assegnazione degli alloggi all’interno del villaggio attrezzato Nuova Barbuta fino alla definizione del procedimento sommario di cognizione».

Il 13 settembre 2012 lo stesso Tribunale, in diversa composizione, accogliendo il reclamo del Comune di Roma, aveva annullato la precedente sospensiva, consentendo così il trasferimento delle comunità rom forzatamente sgomberate nel nuovo insediamento.

Il 30 maggio 2015 il Tribunale Civile di Roma, definendo in primo grado il procedimento promosso da Associazione 21 luglio e ASGI ha riconosciuto le ragioni delle due organizzazioni e ha confermato, per la prima volta in Europa, il carattere discriminatorio di un “campo nomadi”, luogo ormai riconosciuto, anche a livello internazionale, come spazio di segregazione e di discriminazione su base etnica.

«Con una sentenza di grande pregio il Tribunale di Roma ha confermato l’illegittimità delle politiche abitative adottate dal governo centrale e da alcune amministrazioni locali nei confronti dei cittadini rom, riaffermando la necessità di superare non solo i “campi” ma anche qualsiasi altra politica abitativa finalizzata alla marginalizzazione e ghettizzazione del popolo rom» afferma l’ASGI.

Secondo l’Associazione 21 luglio «la sentenza rappresenta uno spartiacque decisivo, oltre il quale ogni azione del Comune di Roma deve indirizzarsi verso il definitivo superamento dei “campi” della Capitale». I “campi nomadi” vanno superati, «da oggi – aggiunge l’associazione – deve porsi fine all’immobilismo che ha caratterizzato sino ad ora l’Amministrazione Capitolina. In assenza di una repentina azione ci riserviamo ulteriori interventi per dare effetto immediato alla sentenza».
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Re: Singani (storia e etimołoja)

Messaggioda Berto » dom giu 28, 2015 9:48 pm

La difficile convivenza con i rom

«La convivenza con la popolazione romanì oggi è difficile per il radicato pregiudizio, duro a morire, e per le scelte politiche sbagliate. Una sequenza di deficit mediatico, culturale, politico, istituzionale di partecipazione attiva e di conoscenza». Lo afferma in questa intervista Nazzareno Guarnieri, promotore del «progetto federazione», un'iniziativa per sollecitare ed incoraggiare la partecipazione attiva di Roma e di Sinti. Nell'anno 2009 è stato eletto presidente della Federazione romanì.

http://www.toscanaoggi.it/Toscana/La-di ... -con-i-rom

Nazzareno Guarnieri, primogenito di una numerosa famiglia rom, ha iniziato la sua formazione frequentando con successo il prestigioso Istituto Magistrale «B. Spaventa» di Città S. Angelo (PE), conseguendo nel 1971 il diploma della qualificazione magistrale.

La sua formazione continua con il corso biennale di operatore psicopedagogico presso Università di L'Aquila, e successivamente il corso di mediatore culturale e la Laurea in psicologia sociale. Il costante impegno volontario e professionale per la popolazione romanì, la promozione e la realizzazione di importanti esperienze di interazione culturale e la partecipazione a numerose iniziative italiane ed europee arricchiscono il percorso formativo di Guarnieri, tale da essere oggi un professionista, un leader ed un attivista rom riconosciuto a tutti i livelli.

Nell'anno 2000 e e nell'anno 2002 Nazzareno Guarnieri è il vincitore del Premio Raffaele Laporta, per la sezione progetti educativi. Nell'anno 2003 Nazzareno Guarnieri è il promotore del «progetto federazione», un'iniziativa per sollecitare ed incoraggiare la partecipazione attiva di Roma e di Sinti. Nell'anno 2009 che è stato eletto presidente della Federazione romanì.

Nazzareno Guarnieri, come mai sembra impossibile stabilire con la minoranza Rom un sistema di regole condivise e di convivenza pacifica?

«La convivenza con la popolazione romanì oggi è difficile per il radicato pregiudizio, duro a morire, e per le scelte politiche sbagliate. Una sequenza di deficit mediatico, culturale, politico, istituzionale di partecipazione attiva e di conoscenza. Deficit che hanno categorizzato i pregiudizi contro la popolazione rom e sinta e banalizzato la cultura romanì. Deficit che hanno ostacolato i processi di scambio culturale, di acculturazione e inculturazione ed hanno impedito una “canalizzazione politico/istituzionale” alla cultura romanì. Deficit che hanno portato a generalizzare a tutta la popolazione rom e sinta la responsabilità del singolo. Una sequenza di deficit che richiedono una risposta urgente e chiara, capace di abbandonare i diritti differenziati e l'assistenzialismo culturale, oggi riservati a rom e sinti, e costruire le relazioni umane e di scambio culturale con la popolazione romanì».

La Risoluzione del Parlamento europeo dell'11 marzo 2009 al punto 8. riporta: «La grande maggioranza dei laureati rom non fa ritorno alla propria comunità dopo il completamento degli studi universitari e che alcuni di essi negano le proprie origini o non sono più accolti nella loro comunità quando cercano di farvi ritorno». A Cosa è dovuto questo disconoscimento, forse a discriminazione?

«Questa è una amara verità innegabile non solo per i rom laureati o con al titolo di studio, ma anche per tanti altri rom che sono riusciti a farcela ad uscire dalla segregazione e dall'assistenzialismo ed essere protagonisti positivi e professionisti preparati. La tendenza di addebitare questa scelta di assimilazione al radicato pregiudizio ed alla discriminazione, così come attribuire la responsabilità solo alla politica mi pare riduttivo. Credo che tutto nasca da una perfida combinazione di interventi e di politiche da un lato limitati agli aspetti sociali, assistenziali e di emergenza, mai culturali. Questo sta conducendo alla perdita di una identità culturale collettiva, dall'altro la mancanza di processi di partecipazione reali. Quale possibilità ha un rom che è riuscito a farcela di rivendicare la propria identità culturale romanì e collaborare per la crescita sociale e culturale della propria popolazione? Senza contare gli stereotipi creati ad arte che descrivono lo zingaro solo come la persona che vive nel campo nomadi, che ruba e non lavora, ecc. Quindi non solo l'indifferenza e l'assenza di una politica per la cultura romanì, ma una precisa volontà di gran parte della società civile, che si è occupata e che si occupa dei rom, di gestire o tutelare, evitando ogni forma di crescita dell'autonomia e della normalità per i rom. Qualsiasi cultura si evolve con il contatto e con lo scambio culturale».

Mi faccia capire il vostro punto di forza, da qui l'appello che rivolgete anche agli stessi Rom è Partecipazione, vuole spiegarmi meglio, cosa vuol dire?

«Dalle esperienze del passato e del progetto federazione, avviata molto lentamente fin dal dicembre 2003, sono arrivate alcune interpretazioni della partecipazione attiva dei rom. Non Basta essere Rom ma è necessario che la partecipazione Rom sia Qualificata. Mi spiego meglio non si tratta di avere o meno un titolo di studio ma di possedere o acquisire le conoscenze e le competenze necessarie per una partecipazione qualificata, solo così si può costruire un processo di formazione alla partecipazione (capacity building) e di empowerment e di superare la convinzione che la questione rom sia solo una questione sociale (sicurezza e legalità) e di folclore, effetto delle improvvisazioni che hanno manipolato la realtà culturale romanì».

Infine vorrei capire, vista anche la sua formazione professionale, cosa propone per contribuire a una maggiore scolarizzazione dei bambini e bambine Rom?

«Il fallimento delle politiche del passato per la popolazione romanì dimostra, anche in questo caso, che senza la partecipazione attiva, propositiva e professionale di Rom e Sinti ogni iniziativa è destinata al fallimento, bisogna passare dalla mediazione culturale alla partecipazione.

Le iniziative di scolarizzazione dei bambini rom e sinti devono porsi l'obiettivo del successo scolastico e non impegnarsi solo per la frequenza. Sono troppi gli alunni rom e sinti che completano la scuola elementare senza aver acquisito la strumentalità minima di base: saper leggere, scrivere e far di conto e nel contempo ritenere che le abilità del bambino rom costituiscano un handicap. La presenza di bambini Rom nella scuola Italiana è condizionata da stereotipi e pregiudizi che conducono al fallimento del progetto educativo, e troppo spesso, è gestita con distanza dalle dinamiche della diversità culturale e della strategia interculturale. Quindi in breve: formazione per gli insegnanti, produzione di materiale didattico specifico, realizzazione di un osservatorio nazionale e regionale, sostenere le sperimentazioni mirate partendo dalla cultura di origine».

Nei vostri interventi spesso vi pronunciate contro i campi nomadi come ostacolo alla integrazione, ironia della sorte spesso se ne giustifica la nascita per preservare la cultura romanì?

«In Abruzzo non vi sono campi rom, i rom che arrivano vengono inseriti in civili abitazioni con l'ausilio del volontariato sociale. Il campo nomadi è la nostra tomba non rappresenta la cultura romanì. Spesso proponiamo l'autogestione dei campi nomadi e usare le ingenti risorse per la gestione dei campi nella costruzione di politiche abitative serie».

Quale sono i prossimi impegni della Federazione?

«In Spagna a Cordoba il prossimo 8 e 9 Aprile 2010 si svolgerà il secondo vertice europeo sui rom ed il fatto che si realizzi durante la Presidenza Spagnola dell'Unione Europea è un buon auspicio perchè la Spagna negli ultimi anni è stato il paese europeo che più ha investito in politiche sociali e culturali per la popolazione romanì. Per la grave condizione e discriminazione della popolazione romani in molti stati Europei, dal secondo vertice europeo sui rom ci attendiamo conclusioni politiche con la esplicitazione di una strategia politica chiara ed efficace, strategia che da una parte impegni la Commissione europea e gli Stati membri dell'UE ad una forte e coordinata azione politica e degli strumenti giuridici per contrastare l'antiziganismo, dall'altra parte definisca il ruolo attivo delle organizzazioni rom nei piani d'azione europei e nazionali, nella progettazione/realizzazione delle politiche per i rom, nel monitoraggio dei progetti destinati alla popolazione romanì. Vi invitiamo a consultare il nostro spazio Web: http://federazioneromani.wordpress.com».

S.V.
LA SCHEDA

Alla popolazione rom si applica, se cittadini stranieri, il decreto legislativo 25 luglio 1998 (Testo unico sull'immigrazione).

Non esistono censimenti ufficiali che dicano con esattezza quanti sono.

In Europa la minoranza rom/sinta è definita «la minoranza più numerosa dell'Unione europea».

In Italia ci sono una dozzina di etnie molto radicate in precisi territori, ognuna con proprie tradizioni. Partiti dal nord dell'India e dal Pakistan intorno all'anno mille, gli zingari si sono stabilizzati nell'est europeo da dove hanno poi ricominciato altre migrazioni. In Italia i primi arrivano alla fine del 1300. Quella rom è una delle società più chiuse e tribali che si conoscano esistono diversi gruppi.

I rom abruzzesi e molisani: i più tradizionalisti, conservano intatto l'uso del romanì e sono arrivati in Italia dopo la battaglia del Kosovo nel 1392 a seguito dei profughi arbares'h (albanesi). Si dedicano ai mestieri tradizionali come l'allevamento e il commercio di cavalli ed è molto diffusa tre le donne (rumrià) la chiromanzia.

I rom napoletani (detti napulengre). Fortemente mimetizzati nel capoluogo, fino a una trentina d'anni fa fabbricavano arnesi per la pesca e facevano spettacoli ambulanti. Esistono anche i rom cilentani (una grande comunità di 800 persone vive a Eboli), lucani (una delle comunità più integrate), pugliesi, calabresi e i camminanti siciliani.

Sinti giostrai – Sparsi soprattutto tra il nord e il centro Italia sono almeno trentamila. Arrivati in Italia all'inizio del 1400, sono i depositari del più antico dei mestieri rom, quello dei giostrai. Un mestiere però che sta scomparendo trasformandoli in rottamatori di oggetti recuperati tra i rifiuti e venditori di bonsai artificiali.

I Rom harvati e il sottogruppo dei kalderasha, circa 7 mila persone arrivate dal nord della Jugoslavia dopo le due guerre mondiali, e i rom lovara (non più di mille) chiudono il gruppo dei rom con cittadinanza italiana.

I rom jugoslavi – È possibile suddividerli in due grandi ceppi, i khorakhanè (musulmani) e i dasikhanè (i cristiano-ortodossi). Vivono per lo più nei campi nomadi del nord e del centro Italia.

I rom romeni – Quello dalla Romania è ormai un flusso continuo e inarrestabile. Le più grandi comunità sono a Milano, Roma, Napoli, Bologna, Bari, Genova ma ormai il fenomeno è in crescita in tutta Italia.

A livello europeo esiste il Dipartimento Rom and Travellers (Rom e camminanti, due delle varie etnie zingare). L'ufficio, nato nel 1993 a Strasburgo nell'ambito del Consiglio Europeo per fronteggiare la questione rom, ogni anno produce pagine e pagine di relazioni, rapporti internazionali, raccomandazioni.
Se in Italia non è ancora stata affrontata la questione rom, l'Europa è messa più o meno nelle stesse condizioni.

Negli anni, attraverso numerose Raccomandazioni – ad esempio sulle condizioni abitative (2005), sulle condizioni economiche e lavorative (2001), sui campi e sul nomadismo (2004) – si è cercato di dare almeno una cornice di riferimento, linee guida ai vari stati per gestire la continua emergenza rom.

Uno dei file più aggiornati dell'ufficio europeo sono i numeri. In Europa si calcola che viva un gruppo di circa 9-12 milioni di persone, nei paesi del Centro e dell'Est europa – Romania, Bulgaria, Serbia, Turchia, Slovacchia – arrivano a rappresentare fino al 5 per cento della popolazione. Scorrendo i fogli delle statistiche ufficiali europee (aggiornate al giugno 2006), colpisce come nei paesi della vecchia Europa, nonostante la presenza e l'afflusso continuo di popolazione rom, manchi del tutto un loro censimento. Sono censiti solo gli zingari che vivono nei paesi dell'est Europa: dal 1400 la «casa» dei popoli nomadi in arrivo dall'India del nord est.

La Romania guida la classifica dei paesi con maggior numero di gitani: l'ultimo censimento ufficiale del 2002 parla di una minoranza che si aggira tra il milione e 200 mila e i due milioni e mezzo. Seguono Bulgaria, Spagna e Ungheria a pari merito (800 mila), Serbia e Repubblica Slovacca (520 mila), Francia e Russia (tra i 340 e 400 mila).

L'Italia è al quattordicesimo posto con una stima, ufficiosa in assenza di un censimento, che si aggira sui 120 mila. Sappiamo che oggi quel numero è salito fino a 150-170 mila. Facendo un confronto con i paesi della vecchia Europa, è una stima inferiore rispetto a Spagna e Francia, Regno Unito e Germania. Sui motivi di queste concentrazioni la Storia conta poco: se è vero che la Germania nazista pianificò, come per gli ebrei, lo sterminio degli zingari (porrajmos) e nei campi di concentramento tedeschi morirono 500 mila rom, in Spagna la dittatura di Franco ha tenuto in vigore fino agli anni settanta la legislazione speciale contro i gitani eppure gli zingari continuano ad essere, e sono sempre stati, tantissimi.

Lo statuto francese – Nonostante «la grande preoccupazione» del Consiglio europeo «per i ritardi e l'emarginazione», la Francia (con 340 mila o un milione di manouche) sembra aver adottato il modello migliore sul fronte dell'accoglienza per i rom. Un modello che si muove tra l'accoglienza e la tolleranza zero, due parametri opposti ma anche complementari: da una parte la legge Besson che prevede che ogni comune con più di cinquemila abitanti sia dotato di un'area di accoglienza; dall'altra la stretta in nome della sicurezza. Chi non rispetta le regole dei campi e dell'accoglienza è fuori per sempre. E chi occupa abusivamente un'area può essere arrestato e il mezzo sequestrato. La legge Besson immagina i campi come una soluzione di passaggio e prevede, contestualmente, un programma immobiliare di case da dare in affitto ai gitani stanziali e terreni familiari su cui poter costruire piccole case per alcune famiglie semistanziali e in condizioni molto precarie.

Il caso tedesco – In Germania i 130 mila circa tra Rom e camminanti sono considerati per legge «minoranza nazionale». Dagli anni sessanta, con la caduta del modello socialista titino e con le prime diaspore rom dall'est europeo verso l'occidente europeo che poi si sono ripetute negli anni ottanta e novanta con le guerre nei Balcani, la Germania ha accolto queste migliaia di persone in fuga con un progetto di welfare.
Sono state assegnate case, singole o in palazzine popolari, hanno avuto il sussidio per il vitto, chi ha voluto è stato messo in condizione di lavorare. ???

La Spagna – La Spagna ha una delle comunità gitane più popolose e in Europa occupa il terzo posto dopo Romania e Bulgaria con 800 mila presenze. Dalla fine degli anni Ottanta il governo centrale ha elaborato un Programma di sviluppo per la popolazione rom. Anche in Spagna ogni regione ha un Ufficio centrale che coordina gli interventi e le politiche per gli zingari in cui lavorano sia funzionari del governo che rom con funzioni di mediatori culturali. Il risultato è che non esistono quasi più campi nomadi, quasi tutti vivono in affitto nei condomini popolari o in case di proprietà, nelle periferie ma anche nelle città. Dipende dal livello di integrazione. Che è in genere buono anche se resta alto il tasso di criminalità.
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Re: Singani (storia e etimołoja)

Messaggioda Berto » mar ott 06, 2015 7:39 am

???

La mappa dei rom in Italia. La comunità conta 150/170 mila persone
scritto da Master24 il 29 Settembre 2015

http://www.infodata.ilsole24ore.com/201 ... la-persone

Vagabondi, sporchi e ladri, quando si parla di nomadi le generalizzazioni e i luoghi comuni si sprecano. Dalle notizie diffuse intorno al mondo di rom, sinti e camminanti in Italia sembra che siano milioni, che dietro i piccoli crimini ci siano loro (con la variante immigrato dietro l’angolo), che vivano accampati nei luoghi più inospitali e insalubri delle città italiane.

Il fenomeno conta realmente numeri da invasione? Forse no. Infatti stiamo parlando di una comunità che conta 150/170 mila persone, più o meno la popolazione della Locride. Potrebbero tutti comodamente assistere ad una partita di calcio nello stadio Rungrado May Day di Pyongyang. Le comunità di rom, sinti e camminanti in Italia sono lo 0,23% della popolazione e sono uno dei gruppi più piccoli d’Europa; in Francia ad esempio si stima ne vivono 350 mila (0,5% della popolazione d’Oltralpe), sono più o meno i turisti che in due settimane hanno visitato la Sacra Sindone a Torino. In Spagna la cifra sale, anzi si duplica, arrivando a 700 mila persone di etnia rom e sinti (1,7% degli abitanti).

Parlare del fenomeno dei nomadi impone l’uso di parole come “stime”, “circa”, “sembrerebbe”. Una delle difficoltà maggiori è che le ricerche e le statistiche sull’argomento si basano su un dato etnico, quindi sensibile. Gli zingari, oltre che gli ebrei, sono infatti stati censiti e deportati nei campi di sterminio nazisti. Parlando quindi di questo argomento si riapre una ferita. E in Italia doppiamente, infatti il Paese ha commemorato per la prima volta il Porrajmos, l’Olocausto di rom, sinti e camminanti (500.000 vittime), solo nel 2009.

Secondo problema per i ricercatori è tenere il passo con il continuo andirivieni dei nomadi europei, con la presenza di quelli “storici” e di quelli “invisibili” che sono in transito nel nostro paese. I dati nell’infodata fotografano quindi questo fenomeno in evoluzione e sono il frutto delle stime stilate da associazioni, istituzioni e enti che si occupano dei nomadi. In molti pensano che i rom siano solo quelli che vivono nei campi, nelle baraccopoli, nei prati e nei parchi in condizioni di povertà e di scarsa igiene. Invece la maggior parte di rom e sinti presenti in Italia, circa 100/80 mila, abitano in case e appartamenti tradizionali. Inoltre 70 mila sono cittadini italiani.

È il caso delle comunità di antico insediamento, in Italia da 700 anni, come i sinti e rom abruzzesi (5.000), i camminanti siciliani, e le grandi comunità calabresi (10.000). Antica discendenza e un tetto sulla testa per questi “nomadi”. Come si può notare i numeri riportati nei grafici per queste regioni sono dei dati più contenuti, in queste zone i rom e i sinti sono meglio integrati e essendo per il 90% italiani non risultano nelle statistiche sulla presenza rom in Italia. Queste persone sono difficili da monitorare, rintracciare e tendono per la maggior parte a non pubblicizzare la loro etnia visti i pregiudizi ancora esistenti nei confronti degli zingari nel nostro paese.

Marcello Zuinisi, il rappresentante legale di Nazione Rom, associazione nazionale che si occupa di promuovere l’integrazione e l’inclusione di rom, sinti e camminanti, ritiene che le difficoltà di stima e monitoraggio della presenza di nomadi in Italia siano legate a delle carenze giuridiche e ad una certa volontà politica. «Lo Stato italiano, l’attuale governo in modo marcato, non si impegna affinché ci sia chiarezza sui rom» sostiene Zuinisi. «Ci sarebbe un ufficio contro le discriminazioni razziali (UNAR), istituito nel 2003, che dovrebbe monitorare la presenza rom e l’applicazione della Strategia nazionale d’inclusione dei rom, dei sinti e dei camminanti in attuazione della comunicazione della Commissione europea n.173/2011. Però solo la Liguria ha creato un tavolo istituzionale che ha coinvolto i rom come componente attiva delle contrattazioni per migliorare l’integrazione e le condizioni di vita di rom e sinti (ndr. Sono 10 le regioni che hanno varato i tavoli di inclusione di cui parla il presidente di Nazione Roma, per la precisione sono stati varati in Umbria, Toscana, Emilia Rimagna, Molise Marche,Piemonte, Calabria, Campania, Lazio e Liguria. Solo in quest’ultima però ha rispettato gli schemi imposti dalla Strategia di inclusione).

Perché questa carenza di impegno secondo lei? «Intorno ai rom e ai fondi che la Comunità europea destina per l’integrazione e l’inclusione dei rom in quanto minoranza si sta creando una seconda Mafia Capitale. Adesso i fondi vengono gestiti da associazioni e uffici, non dalle comunità rom e sinti, un po’ com’è avvenuto e come avviene per la questione immigrati insomma. E stiamo parlando di grosse cifre che possono fare gola». (Dovaria esar i singani a spendar i skei dei fondi ouropei, a posto sarisimo!)

I fondi di cui parla Zunisi sono quelli stanziati dall’Unione europea dal 2007 al 2013, si tratta di 28,8 miliardi di € tra i finanziamenti del Fondo europeo di sviluppo regionale e del Fondo sociale europeo. Altri 8,3 miliardi sono giunti attraverso il Fondo per lo sviluppo rurale. Nel nuovo piano FES 2014-2020 la cifra destinata all’Italia è salita a 32 miliardi di euro e secondo quanto stabilito dalla Commissione europea lo Stato dovrà destinare il 20% della cifra per promuovere l’inclusione sociale e combattere la povertà, quindi anche per contribuire all’integrazione della minoranza rom. Un altro miliardo circa sarà destinato alla questione rom dal FESR.

Eleonora Aragona @EleonoraAragona giornalista freelance

L’autrice del testo e dell’Info Data ha frequentato: Master full time Comunicazione e Media Digitali e Master part time Informazione Multimediale e Giornalismo Economico del Sole 24Ore.

Ps. Sono d’obbligo alcune precisazione rispetto i dati mostrati nelle infografiche. Innanzitutto vista la difficoltà nel reperire numeri sulla questione rom potrebbero esserci delle imprecisioni sull’effettiva popolazione nelle città o nelle regione. Segnalateli e aggiorneremo le mappe. Secondo punto, come si potrà notare nel caso dell’Abruzzo e di Pescara potrebbe sembrare strano che in Regione non ci sia il dato e a Pescara invece la presenza sia di 2000 persone. In tutto l’Abruzzo in realtà vivono circa 5000 rom e sinti, ma non esistono campi nomadi. Ecco spiegata quella che potrebbe sembrare un’incongruenza.

Per Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia e Molise non siamo riusciti a capire quale sia la città più popolata da rom, sinti e camminanti.


El rasixmo dei singani - etnorasixmo
viewtopic.php?f=150&t=459
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Re: Singani (storia e etimołoja)

Messaggioda Berto » mer dic 23, 2015 9:45 pm

???
Come ke sto Liverani el stravolxe ła storia.

Quando i Rom erano gli schiavi d’Europa

LUCA LIVERANI
2 dicembre 2015
http://www.avvenire.it/Cultura/Pagine/ROM-.aspx

Schiavi nell’Europa del XIX secolo. Fino alla metà dell’800 non c’era bisogno di arrivare nei campi di cotone degli Stati Uniti del Sud, né nelle colonie africane di Francia o Regno Unito. Perché a un migliaio di chilometri a Est dall’Italia, nelle regioni dell’ex Valacchia e della Moldavia – l’attuale Romania – la schiavitù era pratica diffusa, consolidata, legale. Vittime dello sfruttamento bestiale intere comunità rom. Nell’odierna Giornata internazionale per l’abolizione della schiavitù – il 2 dicembre 1949 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite approvava la Convenzione per la soppressione del traffico di persone e dello sfruttamento della prostituzione – vale la pena di sfogliare una pagina misconosciuta di storia europea.
???

Se della tratta di schiavi dall’Africa verso le Americhe – iniziata secoli dopo e conclusa molto prima – se ne sono occupati storici, romanzieri, registi, la schiavitù dei rom in Europa è stata decisamente trascurata. I rom arrivano nell’attuale Romania e Ungheria attorno al XIV secolo dalla Turchia e dall’Armenia, in gruppi e comunità. Il loro destino è ben presto quello di diventare di “proprietà” del principe o dei nobili latifondisti. Risalgono già al 1385 le prime testimonianze di rom schiavi, costretti a lavorare i campi di alcuni monasteri. Vengono comprati, scambiati, donati come regali di nozze. Acquistare lo schiavo comporta l’acquisizione anche di moglie e figli.
Gli uomini svolgono i lavori più pesanti, dall’aratura alla raccolta della legna, alle donne sono assegnati la coltivazione di campi e giardini, ai bambini i lavori artigianali. Una pratica che si perpetuerà per secoli. Come ricostruisce Leonardo Piasere, antropologo dell’Università di Verona, nel suo La stirpe di Cus, nel 1780 il monastero di Secu, in Moldavia, ad esempio, possiede 165 salase , cioè famiglie di rom. Schiavi che provengono da donazioni di principi e boiari, offerti addirittura «per il perdono dei peccati» o «per la commemorazione dei defunti». Qui i rom hanno l’obbligo di lavorare una settimana ogni tre per il monastero, le altre per il loro sostentamento.
E ci sono regolamenti più duri: nel monastero di Strimba, in Valacchia, tre giorni di lavoro forzato e tre giorni per se stessi. Qualcuno prova a fuggire: in Bulgaria, oltre il Danubio. Chi viene catturato subisce varie punizioni: bastonatura sotto le piante dei piedi, ceppi a polsi, collo e caviglie, collare appesantito da pesanti corna. Alcuni vengono spediti in catene dal principe a Lasi, e condannati ai lavori forzati nelle saline, da dove non torna nessuno. «Gli zingari sono nati per essere schiavi – si legge all’inizio del 1800 nel Codice della Valacchia – e chiunque sia nato da una madre schiava non può essere altro che schiavo». La storia dello schiavismo dei rom in Romania è, secondo Piasere, il «più grande, sistematico, controllato sistema schiavistico dell’Europa moderna ». Nel 1807 la Corona britannica abolisce la schiavitù nelle sue colonie. La Francia lo farà nel 1848.
La Russia libererà i servi della gleba nel 1861. Negli Stati Uniti avverrà nel 1865, dopo la Guerra civile. Moldavia e Valacchia resistono fino al 1855 quando il principe Grigore Ghica sancisce l’emancipazione degli ultimi schiavi rom di Moldavia. L’8 febbraio 1856 il principe di Stirbei emana la legge per l’emancipazione di tutti gli zingari del Principato romeno. Lo Stato pagherà un indennizzo ai proprietari pari a 10 pezzi d’oro a schiavo. Dopo cinquecento anni di schiavitù, i rom romeni sono liberi. Chi può, emigra: alcuni in America, molti altri in Ungheria o Serbia. Carlo Stasolla è il presidente dell’Associazione 21 luglio, onlus molto attiva nella promozione dei diritti dei rom in Italia: «Poco prima della guerra nell’ex Jugoslavia – racconta – molti di quei rom fuggirono dalla Serbia per arrivare da noi in IS talia. Sono quelli che gli altri rom ancora oggi chiamano romùni , cioè “i romeni”, a sottolineare l’origine di queste comunità serbe.
Ce ne sono a Roma, a Torino, in Sardegna». Quella della schiavitù dei rom in Romania, dice Stasolla, «è una storia sconosciuta di soprusi e deprivazioni. Come quella del porrajmos », il “grande divoramento”, termine in romanì per definire lo sterminio di 500 mila rom e sinti nel lager nazisti. «Atrocità che la storia ricorda solo quando il vinto rivendica i torti subiti. Nessuno tra i rom – dice ancora il presidente della 21 luglio – ha saputo denunciare in maniera abbastanza forte queste tragedie, a differenza degli ebrei che hanno avuto una classe intellettuale in grado di condurre la battaglia per la memoria. Perché nella tradizione orale dei rom chi ha subito torti tende a rimuoverli. Per fortuna c’è stata l’opera di storici come Luca Bravi, che hanno svelato il genocidio dei rom in Italia, concentrati in 15 campi in cui molti sono morti di stenti». Molti degli stessi ebrei reduci dai lager, d’altronde, raccontano di come abbiamo deciso di tacere per anni perché, al loro ritorno, nessuno credeva ai loro racconti dell’orrore. Cinquecento anni di schiavitù.

Poi lo sterminio nazista. «È un’eredità che pesa come un macigno e che tuttora crea diffidenza e sfiducia verso le istituzioni. Quando ci approcciamo a loro – spiega Stasolla – dobbiamo sapere che abbiamo a che fare con persone profondamente ferite, che hanno una rabbia inespressa ». Una storia secolare di soprusi che ha scavato un fossato tra rom e gagé. «Siamo noi – che abbiamo gli strumenti culturali, il dovere, la responsabilità – a dover colmare questa distanza ». Impresa impossibile? «Sicuramente è più facile accusare i rom, bollarli tutti come ladri.

La verità è che la stragrande maggioranza dei rom è inclusa, ma si nasconde per evitare l’emarginazione. Lo sa che nel profondo Nord leghista ci sono intere comunità di rom kosovari perfettamente integrate? Operai, imprenditori, impiegati. Mantengono le loro tradizioni nel chiuso delle case. Ma nascondono di essere rom. Ora i loro figli li stanno rinnegando. E questi genitori sono a un bivio: rifiutare la loro identità o uscire allo scoperto? Che prezzo dovrebbero pagare? La perdita del lavoro o altro?».



No xe vero ke łi jera łi sciavi de l'Ouropa, caxo mai de ła Romania, ma pì ke sciavi łi jera servi de ła gleba.
Ma ente resto de l'Ouropa no ghè testemognanse ke łi fuse sciavi o servi de ła gleba e gnanca laoradori de ła tera łi jera xa małociàpar via de łe so ladrarie. E no x evero ke łi xe devegnsti ladri parké łi jera persegoità, ma purpio el contraro:



Parti o łej de ła Repiovega Serenisima de 1549-1558 e altre
Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... 270001.jpg
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Re: Singani (storia e etimołoja)

Messaggioda Berto » mar mag 31, 2016 7:13 am

Il cuore è uno zingaro? Allora paghi il campeggio
Su Stefania Vedi tutti gli articoli diStefania
di GILBERTO ONETO
http://www.lindipendenzanuova.com/il-cu ... -campeggio

Gli zingari entrano nella storia documentata in un libro del poeta persiano Firdusi del 1011 e il loro ingresso è da subito di quelli che alimentano le leggende (e non solo le leggende) metropolitane. Vi si racconta infatti che un consistente gruppo di Luli (o Luri), provenienti dall’India centrale o centro-settentrionale, sarebbe stato chiamato alla corte del re persiano Baharam Guru con la funzione di musici e di giocolieri. Costoro avrebbero però dissipato le fortune guadagnate (e anche quelle altrui) in forma così dissennata da essere cacciati dal paese e condannati al “nomadismo perpetuo”.

Dalla Persia un primo gruppo avrebbe fatto un lungo giro attraverso l’Asia centrale, fino ad approdare in Siria e poi in Egitto. Un altro gruppo si sarebbe invece diretto verso l’Impero bizantino e l’Occidente. Le loro prime segnalazioni europee risalgono al 1322 (a Creta) e al 1370, in Valacchia, con il nome di Atsingàni. Numerosi gruppi di nomadi – registrati come Cingànije – sono segnalati alla fine del XIV secolo nella penisola balcanica e in Grecia.
Nel 1419 essi compaiono in Germania esibendo lettere di protezione firmate dall’imperatore
Sigismondo, re di Boemia (da qui deriva anche il nome di Bohemiens,
attribuito agli zingari in alcuni paesi). Si tratta di una sorta di passaporto
che permette loro di attraversare tranquillamente
(si fa per dire) le permeabilissime
frontiere del tempo. Non si conosce il
motivo per cui l’imperatore le abbia concesse
e neppure se lo abbia veramente
fatto. La loro avanzata verso Occidente è
rapidissima: il 18 luglio del 1422 le Cronache
di Bologna segnalano il passaggio
in città di una pittoresca carovana di
“200 indiani” diretti a Roma e guidati da
un sedicente duca Andrea del Piccolo
Egitto. Il pellegrinaggio avrebbe avuto
per scopo l’espiazione del peccato di
temporanea conversione all’Islam, commesso
per convenienza sotto la dominazione
turca. In realtà si sarebbe trattato
di un peccato ben più grave se si vuole
dare ascolto alla memoria popolare dei
popoli slavi che hanno sempre accusato
gli zingari di essere i più fidi (o infidi)
alleati degli oppressori.
Nel 1430 gli stessi Zengani compaiono a
Fermo esibendo bolle papali che esortano
gli Stati cristiani a lasciarli liberamente
transitare senza richiedere loro tasse o
pedaggi: di questi documenti non c’è però
traccia negli Archivi vaticani, sicuramente
più scrupolosamente gestiti e meglio conservati
di quelli imperiali.
Equipaggiata con queste discutibili autorizzazioni,
una consistente carovana di
Gitani si presenta nell’agosto del 1427 a
Parigi: la loro presenza desta dapprima
solo curiosità ma dopo tre settimane vengono
cacciati a furor di popolo per le loro
“attività di latrocinio, mendicità e chiromanzia”.
Da qui, gruppi si dirigono perso
la penisola iberica, altri verso l’Inghilterra
(dove vengono dapprima accolti con benevolenza
perché scambiati con i Tinkers,
una tribù nomade gaelica), la Scandinavia
e la Russia, dove compaiono per la prima
volta nel 1501. Ai primi gruppi si aggiungono
periodicamente altri gruppi provenienti
principalmente dalla Moldavia dove
ci sono gli stanziamenti più numerosi.
Per secoli piccole carovane di zingari percorrono
l’Europa, tollerate grazie alle autorevoli
patenti di cui dicono di disporre,
per la loro scarsa incidenza numerica e
per una serie di piccoli benefici che la loro
presenza porta alla società agricola del
tempo, caratterizzata da una diffusa autarchia
economica.
Fino a gran parte dell’Ottocento l’intera
Europa è infatti un paese di piccoli e medi
villaggi contadini che producono localmente
la quasi totalità dei beni e dei
servizi, e la grande economia di scambio
si sviluppa solo nelle maggiori città e da
qui si irradia con lentezza sul territorio. La
presenza di gruppi di nomadi che si spostano
con tempi che possono anche essere
ritenuti all’epoca piuttosto rapidi, consente
la veicolazione di notizie e di merci, ma
soprattutto di alcune funzioni specialistiche
che travalicano le limitate possibilità
delle comunità rurali. Gli zingari sono
allevatori e commercianti di cavalli, sono
abili calderai e lavoratori del metallo, intrecciatori
di vimini, ma sono soprattutto
giocolieri e saltimbanchi.

In un mondo in cui erano rare le occasioni di divertimenti diversi da quelli tradizionali, l’arrivo di
una carovana di zingari costituiva un bagno nel “mondo dello spettacolo”, un tuffo nell’esotismo, nel “diverso”, che costituiva un importante diversivo e un
contributo culturale alla vita delle piccole
comunità contadine. Per tutte queste ragioni
(oltre che per il loro numero limitato)
venivano fino a un certo punto tollerate
certe attività meno commendevoli verso
cui gli zingari hanno sempre avuto una
certa vocazione: il piccolo furto, il mendicare,
il gioco d’azzardo, le piccole truffe.
Ogni tanto, quando la misura sembrava
essere colma, contro di essi venivano
emanati decreti di espulsione (nel 1506
vengono cacciati dal Ducato di Milano
con l’accusa di essere portatori di peste a
causa delle loro peculiari abitudini igieniche)
o si lasciava libero sfogo alle reazioni
degli abitanti. Ma si trattava pur sempre
di episodi limitati nel numero e nelle
conseguenze.

I veri problemi di convivenza sono nati
più di recente per due ragioni principali.
La prima riguarda i grandi cambiamenti
sociali che hanno interessato tutte le società
occidentali, che hanno resa obsoleta alle regole violate della Costituzione
ogni attività economica “pulita” esercitata
dai nomadi: non servono più calderai o
allevatori di cavalli, ma soprattutto – nell’era
del cinema, della televisione e del
divertimento facilmente accessibile – non
servono più i saltimbanchi, i giocolieri, i
mangiatori di fuoco, gli addestratori di
orsi, e comincia a non servire più neppure
la loro moderna conversione in giostrai. A
questo si aggiunge lo spropositato aumento
del loro numero: prima la fine
dell’Impero turco e poi la caduta della
Cortina di ferro hanno “liberato” gruppi
sempre più numerosi ed esigenti di zingari
che si sono spostati verso i Paesi ritenuti
più aperti e “ospitali”.

Il risultato è stato
un loro sempre più generalizzato ricorso a
mezzi di sussistenza illegali; alla più tradizionale
affezione al piccolo furto e all’accattonaggio
si sono aggiunte attività
più “evolute”, quali la rapina, l’estorsione,
l’usura, il furto nelle abitazioni. Se in
passato i nomadi avevano costituito un
problema marginale, spesso dalle connotazioni
quasi folcloristiche, oggi sono un
pressante problema sociale, una primaria
preoccupazione di ordine pubblico che va
affrontata e risolta con mezzi diversi da
quelli del passato. In una società come
quella post-moderna c’è ampio e vitale
spazio per la mobilità ma non c’è più
alcuna ragione per il nomadismo.

La Costituzione
giustamente garantisce il diritto
a muoversi in totale libertà ma questo
riguarda chi si sposta per lavoro, per
interessi personali o per ricreazione, e in
ogni caso non può prescindere dai doveri
che si hanno nei confronti della collettività:
primo fra tutti quelli di contribuire al
benessere comune e di non gravare sul
lavoro altrui, e poi quelli di rispettare le
leggi, e le buone norme di convivenza
civile e igienica.
Se qualcuno – dopo avere dimostrato
di aver pagato le tasse
e di essere in regola con tutti gli
adempimenti nei confronti della
collettività – vuole vivere in
una roulotte, fare l’eterno campeggiatore
e trascorrere la sua
vita viaggiando, deve essere liberissimo
di farlo: frequenti i
campeggi e le aree di sosta per
camper, paghi quel che deve
pagare, rispetti le regole e siamo
tutti felici per lui (e anche
un po’ invidiosi). Ma nessuno
deve pretendere di avere gli
spazi di sosta gratis, di avere
acqua, luce e servizi pagati,
nessuno può lasciare il suo ruffo
dove gli pare, e soprattutto
nessuno può sistematicamente
vivere fuori dalla legge, magari
pretendendo che la destrezza
di mano, il lamento, la continua richiesta
di bakscisc, il coltello e la violenza siano
considerate manifestazioni identitarie, o
esercitando la convinzione che la proprietà
privata sia un furto cui porre rimedio
seguendo una tradizione culturale che
travalica Proudhon e risale alle prodezze
degli antenati Luli.
Nessuno più di noi vuole mostrare energia
nella difesa dei valori identitari di
chiunque, ma siamo anche convinti con
identica determinazione che l’identità
sia indivisibile dal legame
territoriale.
Sinti, rom, khorakhané, gitani
e manouches vogliono conservare
le loro tradizioni? Benissimo
ma lo facciano nel
rispetto delle nostre, visto che
sono ospiti a casa nostra. Vogliono
nelle loro abitazioni
parlare la loro lingua e ritrovarsi
una volta l’anno al santuario
di Sara a Saintes Maries
de la Mer? Ne siamo felici. Ma
per il resto, per tutto il resto, si
devono adeguare alle nostre
leggi e rispettarle. Gli zingari
“storici” (come i sinti piemontesi
o i rom del Meridione)
vogliono in qualche modo
istituzionalizzare la loro diversità
di origine? Studiamo
un patto che sia di mutua
soddisfazione. Questa ipotesi
non li soddisfa? Rispetto a
tanti altri ospiti indesiderati hanno un
grande vantaggio: non devono essere messi
su un aereo o accompagnati alla frontiera
a spese dei contribuenti. Hanno le loro
carovane e tutte le strade godono di una
caratteristica universale: possono essere
percorse in entrambi i sensi. n
di Padanus Magister
L’ attuale sindaco del Comune di Genova
è un navigatissimo avvocato amministrativista
di fama nazionale ed è ben
noto, negli ambienti universitari, non
solo come ottimo docente di Diritto
amministrativo, ma anche come
estensore di manuali in varie branche di tale
settore dell’ordinamento giuridico.
Fa specie, dunque, che costui – data la sua
profonda preparazione giuridica – abbia
permesso l’adozione, a livello politico locale
(potenza delle ideologie), di un atto amministrativo
generale o regolamentare con il quale –
magari volendo marcatamente precorrere i tempi
come prima donna – si è disposto il diritto, in
materia di legislazione elettorale di esclusivo
appannaggio del legislatore statale, di votare per
gli extracomunitari in occasione dei rinnovi del
Consiglio comunale di quella città. Il tutto senza
che, quale necessario e ineludibile presupposto,
sussista in capo a costoro il titolo di cittadino. Del
resto anche in tale ultimo caso un tale tipo di
legislazione non può essere, certo, di competenza
di un solo Comune; cosa questa che capiscono
anche gli asini.
Si è così cercato di assegnare agli extracomunitari
un diritto civile di elettorato attivo che non
spetta; quasi che il nostro sia stato tentato di
scimmiottare le molto discutibili aperture della
Corte costituzionale con riferimento all’art. 3
della Costituzione stessa.
Il necessario annullamento di tale atto da parte
di un Governo in carica (possibile in ogni tempo
e sostenuto da un parere conforme del
Consiglio di Stato) riposa su una regola
procedurale (la sostanziale sta nei principi
fondamentali del nostro ordinamento)
che, da lunghissimo tempo, risulta
vigente; sin da prima dell’era cosiddetta
fascista e quasi prima dei tempi dello Statuto
albertino che era legge di fondo prima della
Costituzione repubblicana.
La detta regola procedimentale è stata, di poi,
ripresa da recentissime leggi statali che – nell’ambito
di asserite riforme amministrative,
poste in essere con la conclamata volontà di
devolvere qualcosa agli Enti locali, – sono
state volute nei giorni del centro-sinistra e
sono state partorite dalle elucubrazioni mentali
del ministro competente di allora: dotto
professore legato ai Ds e al loro capitano di
“lungo corso” del tempo.
Strano Paese è il nostro dove si critica anche
chi fa rispettare le leggi, pur anche se non
piacciono.
Invero, sia quando i leghisti se la prendono
con leggi vigenti che non considerano giuste
– e tentano di modificarle secondo metodi
democratici e corretti – sia quando gli stessi,
pur non condividendole, le fanno rispettare
con altrettanti metodi legittimi, accade sempre
che si accenda una cacofonia di voci
strumentalmente dissenzienti.
Tutto ciò, tuttavia, non ha niente a che vedere
con il Federalismo o col quasi Federalismo dei
piccoli passi di Gianfranco Miglio; meno male
che qualche non occhiuto dotto della sinistra
conviene, alfine, che sono migliori le nostre
riforme che quelle della sinistra passata.
Questa, col prendersela col governo per il citato
annullamento, non sa però che, così facendo,
porta acqua al mulino della Lega.
Infatti giuridicamente affermare che, in materia
elettorale, i Comuni possono fare quello che
vogliono, significa affermare che lo Stato centrale
è inutile. Significa perciò e altresì affermare
che ci si può rendere totalmente indipendenti.
Invero solo a Nazioni indipendenti e sovrane e
che non riconoscono nessun potere a loro superiore,
è dato di adottare norme di tal fatta.
E così potrebbe fare anche la Liguria se fosse
indipendente; ma tutto ciò potrebbe anche fare
solo una Padania indipendente.
Per intanto limitiamoci a fare in modo che non
sian disposte, ad arte, regole locali per creare
confusione e per indicare la Lega come il lupo di
turno e come la colpa di tutti i mali istituzionali
del nostro “Bel Paese”.
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