Singani (storia e etimołoja)

Re: Singani (storia e etimołoja)

Messaggioda Berto » mar mar 25, 2014 6:28 pm

Ceso, latrina, gabineto, ritiro, caxoto, toilete, bagno

viewtopic.php?f=142&t=582

El ceso o latrina de i singani soto al cavalvia de l'aotostrada a Bolsan Vixentin:

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Re: Singani (storia e etimołoja)

Messaggioda Berto » dom giu 15, 2014 7:42 pm

La "Campi Nomadi Spa" che gestisce gli insediamenti Rom nella capitale

http://www.repubblica.it/solidarieta/di ... e-88871021

Nel 2013 il Comune di Roma ha speso oltre 24 milioni per gestire 11 "villaggi della solidarietà" e i "centri di raccolta Rom", dove vivono circa cinquemila degli ottomila persone, oltre che per sgomberarli degli insediamenti informali. Lo dice un rapporto presentato dall'Associazione 21 luglio. l'86,4% è servito per la gestione dei campi, la vigilanza e la sicurezza; il 13,2% per la scolarizzazione; lo 0,4%per l'inclusione sociale

di FRANCESCA GNETTI

ROMA - Venti anni fa, sotto la giunta di centro-sinistra, guidata da Francesco Rutelli, nasceva a Roma il primo campo nomadi. Da allora la capitale ha continuato a investire risorse umane ed economiche per spostare le comunità Rom in insediamenti isolati, lontani dal centro della città e miseri, caratterizzati da precarie condizioni igienico-sanitarie, da abitazioni deteriorate e da servizi insufficienti. Nel tempo il sistema si è istituzionalizzato e i costi sono lievitati. Nel 2013 il comune ha speso oltre 24 milioni di euro per gestire gli 11 insediamenti, tra i cosiddetti "villaggi della solidarietà" e i "centri di raccolta Rom", dove vivono circa cinquemila degli ottomila rom presenti nella capitale, e per sgomberarli dagli insediamenti informali. È quanto emerge dal rapporto 'Campi Nomadi s. p. a.' presentato a Roma il 12 giugno dall'Associazione 21 luglio, che si occupa della promozione dei diritti delle comunità rom e sinti in Italia.

Un sistema di segregazione e discriminazione. "Di tutti questi soldi, neanche un centesimo è andato ai rom", precisa Carlo Stasolla, presidente dell'associazione. A usufruire dei finanziamenti comunali sono 35 enti pubblici e privati, tra i quali risultano come destinatari principali il Consorzio Casa della Solidarietà e Risorse per Roma, per lo più tramite affidamento diretto e non con bandi pubblici. Questo fiume di soldi non si traduce dunque in alcun beneficio per la comunità Rom ma, al contrario, alimenta la percezione negativa che l'opinione pubblica ha nei suoi confronti. "Nel corso di vent'anni si è assistito all'istituzionalizzazione di un sistema organizzato che produce segregazione e discriminazione", prosegue Statolla, "in questo sistema l'inclusione non può funzionare. L'unica soluzione è la chiusura dei campi". Degli oltre 24 milioni di euro spesi dal Comune per affrontare la "questione Rom", infatti, l'86,4 per cento è stato utilizzato per la gestione dei campi e per la vigilanza e la sicurezza al loro interno; il 13,2 per cento è stato destinato a interventi di scolarizzazione e solo lo 0,4 per cento all'inclusione sociale dei rom.

I costi della gestione. A Roma sono presenti otto "villaggi della solidarietà" che prima dell'insediamento della giunta di Ignazio Marino a giugno dell'anno scorso si chiamavano "villaggi attrezzati". Sono stati costruiti tutti tra il 2000 e il 2012 e le abitazioni sono container, roulotte e bungalow, composte di solito da una o due stanze e a volte prive di cucina e di bagno. Gli spazi riservati ai bambini, come ludoteche e aree giochi, sono completamente assenti, mentre bisogna percorrere in media due chilometri per arrivare alla prima fermata di autobus e tre per arrivare alle poste e al mercato più vicini. Alcuni campi sono inoltre provvisti di un sistema di videosorveglianza e di un registro di identificazione per annotare le entrate e le uscite. Per la gestione dei "villaggi della solidarietà", dove vivono 4.391 persone, l'anno scorso il comune ha speso in tutto oltre 16 milioni di euro. Tra questi il più costoso risulta il campo di Castel Romano, che si trova all'estrema periferia meridionale della città. In un'area di 41.750 metri quadrati, circondata da una recinzione, vivono 989 persone, tra cui 520 minori, prevalentemente in case container con spazi interni molto ridotti. Per gestire questo insediamento, che si trova a oltre 31 chilometri di distanza dal centro della città, il comune ha speso oltre cinque milioni di euro nel 2013.

Invisibilità e sgomberi forzati. I "centri di raccolta rom" sono invece i campi di nuova generazione. Si differenziano dai villaggi per le abitazioni in muratura, ma sono altrettanto segreganti e invisibili. A Roma sono tre: via Salaria, costruito nel 2009, via Amarilli, nel 2010, e Best House Rom, nel 2012. La loro gestione complessiva è costata sei milioni di euro, ma, come si legge nel rapporto dell'Associazione 21 luglio, "è stata riscontrata la mancanza dei requisiti minimi previsti dalla normativa nazionale e regionale e dagli standard internazionali". Altri due milioni di euro, inoltre, sono stati spesi per coprire i costi delle 54 azioni di sgombero forzato condotte nel 2013 per spostare da una parte all'altra della città circa 1.200 Rom che vivevano in insediamenti informali.

Buone e cattive pratiche. "Questo sistema sta implodendo", avverte Stasolla, "i campi sono luoghi che generano bisogni. Abbassare i costi non è una soluzione, l'unica possibilità è il superamento definitivo dei campi". Alternative meno discriminatorie e più economiche e sostenibili a lungo termine ce ne sarebbero, come dimostrano gli esempi riportati nel rapporto. A Messina il Villaggio Fatima, nella zona portuale, è stato creato ristrutturando alcuni edifici di proprietà comunale, grazie anche alla partecipazione della stessa comunità rom. Il costo complessivo è stato di poco più di 145mila euro.
A Padova, invece, il Villaggio della Speranza è stato costruito interamente dalle famiglie sinte che poi sono andate ad abitarvi, per un costo totale di 642mila euro.
Il comune di Roma però per ora non sembra intenzionato a seguire queste buone pratiche. Gli sgomberi continuano, si progettano nuovi campi e la spesa per il 2014 è in aumento. Per i cinquemila rom segregati ai margini della città, la speranza di uscire dai campi è ancora lontana.
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Re: Singani (storia e etimołoja): el sonadore de fixarmonica

Messaggioda Sixara » mar set 02, 2014 1:43 pm

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( mi no ghe fago la carità nisùn ma i sonadori de fixarmonica a gò on debole :D )
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Re: Singani (storia e etimołoja)

Messaggioda Berto » sab nov 29, 2014 4:38 pm

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Re: Singani (storia e etimołoja)

Messaggioda Berto » gio feb 05, 2015 8:09 am

Se cata singani ente i paexe xlameghi ? No!

Li se cata lomè ente i paexe ouropei a prevalensa xlamega (Boxnia, Turkia), na no en Arabia, en Axia, en Afrega e parké no ente ste aree ?
el parké a podì ben somexarvelo da valtri senssa ca ve lo diga mi ...



Esistono anche gli zingari musulmani?
http://mondoislam.altervista.org/esisto ... -musulmani

Prima di tutto il termine “zingaro” è usato per discriminare qualcuno, spesso si usa “Rom” per indicarli in modo un pò più carino, dopo vi spiegheremo i significati dei due termini e le origine degli zingari. Ci sono anche zingari musulmani (una minoranza) e sono di origine bosniaca, oppure provenienti dal Kosovo, dalla Macedonia, scappati dalla loro terra per disperazione, causa guerre e carestia.
Il musulmano zingaro ( i Khorakanè) o “Xoraxanè” – apprendendo da alcune fonti- che letteralmente significa “Cantori del Corano” di solito conosce pochissimo l’Islam, non è affatto praticante, tranne alcuni di loro, la maggior parte uomini di una certa età. Negli ultimi 50 anni, sono emigrati in massa in paesi come: Croazia, Erzegovina. Gli zingari musulmani in Romania parlano anche il turco, considerati dalla popolazione rumena, dei veri turchi al 100%.

Il termine “zingaro”: ha un’origine antica che risale ai tempi in cui arrivarono in Europa, infatti la definizione “zingaro” ha il suo corrispettivo in altre lingue europee, fra questi “Zigeuner” che significherebbe “proibito”, “intoccabile”. Il termine “nomade” è più recente, considerato (purtroppo) dall’Europa dell’ 800 come appartenente ad un popolo di “selvaggi” e “primitivi”, lontanissimi anni luce dal modello europeo. ???

“Nomadi e nomadismo sono infatti – spiega Piero Colacicchi- termini ottocenteschi, di ambito positivista, nati non tanto per descrivere uno stile di vita, come sembrano fare, ma per discriminare i Rom come una delle ‘razze inferiori’, incapace di fermarsi, vagabonda per natura: per discriminarla, secondo il pensiero dell’epoca, dalla razza superiore del non-zingaro ‘amante della patria’, posato e asservito alla morale del consumismo e della produzione industriale”. ???

Il termine che si usa più spesso adesso è “Rom”, che sarebbe uno dei principali gruppi etnici, che parla la lingua “romanes” ed è di origine … indiana. Proprio così, gli zingari, definiti anche nomadi, gitani (originari della Spagna o del nord Africa) e Rom, sono di origine indiana/ pakistana. Una storia che risale a secoli fa. I sinti sono di origine pakistana, termine che proviene dalla provincia di Sindh. Poco viene menzionato l’Olocausto degli zingari dell’Europa centrale nel lontano ma indimenticabile 1944. Spesso i media ricordano lo sterminio degli ebrei e quasi mai degli zingari. Scene allucinanti, strazianti. ??? (sì ma manco de coele de li cristiani armeni stermegnà da li muxlim e de li cristiani nejeriani stermegnà da li muxlin)

Quante volte è capitato ad ognuno di noi di incontrarli per strada mentre chiedono l’elemosina, in metropolitana, mentre cantano una canzone o suonano uno strumento a volte sgangherato, ai bordi di periferia nei loro camper, con la musica ad alto volume quasi arabeggiante e non abbiamo mai pensato… “sono musulmani anche loro?” (mai visto e sentesto on singano sonar al me paexe, mai!, robar e acatonar sì ma cantar e sonar mai!). E senza saperlo li abbiamo odiati, criticati, sbeffeggiati, disprezzati per la loro insistenza, per gli atti di furto o altro. Indipendentemente dalla loro religione, l’odio è il sentimento più brutto che possa avere una persona verso un’altra. Preghiamo per loro affinchè possano abbandonare l’illecito haràm e trovare la Luce di Allah (swa) nei loro cuori. Forse un giorno, anche loro saranno dei veri musulmani, ed alcuni lo sono già, e noi non lo sappiamo. (Caro xlamego se pense a la to Jihad o Goera Santa de stermegno - el pì grando cremene contro l'omanedà ca ghe sipia)
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Re: Singani (storia e etimołoja)

Messaggioda Berto » dom feb 08, 2015 11:33 am

Il popolo rom della Turchia - Fabio Salomoni | Ankara
15 giugno 2005

http://www.balcanicaucaso.org/aree/Turc ... chia-29598

La UYD, organizzazione della società civile turca, ha tenuto ad Edirne un convegno sulla situazione dei Rom della Turchia, nella regione dove sono più presenti. Un'occasione per parlare a livello internazionale della difficile situazione di questo popolo e delle discriminazioni di cui è oggetto

Ulasilabilir Yasam Dernegi/Accessible Life Association (http://www.uyd.org.tr UYD) rappresenta un esempio eloquente del dinamismo che caratterizza la società civile turca contemporanea. Fondata all'indomani del tremendo terremoto del 1999, da un gruppo di volontari che avevano fornito sostegno socio-psicologico ai terremotati della regione di Duzce, attualmente è impegnata, anche con il sostegno ed il partenariato di associazioni ed istituzioni internazionali, in quattro settori fondamentali: handicap fisico e mentale con un centro di riabilitazione a Duzce, un centro di riabilitazione e formazione professionale ad Istanbul ed un progetto per la realizzazione di alloggi destinati ad handicappati ed alle loro famiglie sempre a Duzce; progetti di sviluppo locale soprattutto in regionali rurali anche fondati sulla diffusione dell'agricoltura biologica; programmi di lotta alle nuove povertà urbane; salvaguardia e promozione delle minoranze culturali, in particolare Rom e Cristiano-Siriaci.
Il 7-8-9 Maggio scorso l'UYD,in collaborazione con l'Associazione di Solidarietà, Sostegno, Sviluppo e Ricerca della Cultura Zigana di Edirne (ECKAGYDD), ha organizzato ad Edirne, nella regione della Tracia turca, un Simposio Internazionale sulla Cultura Roman (in Turchia il termine più diffuso a livello popolare per indicare i Rom, è Cingene, Zingaro. In Tracia e nell'Anatolia Occidentale è usato invece Roman. Altre varianti regionali sono Mutrip nelle regioni al confine con l'Iran, Elekci ed Esmer, di carnagione scura).
I primi due giorni sono stati dedicati alle relazioni presentate dai circa 30 invitati (quattordici dei quali stranieri, provenienti da Bulgaria, Ungheria, Albania, Repubblica Ceca, Belgio, Germania, nghilterra). Nell'ultima giornata invece spazio a workshop tematici.
Con Belgin Cengiz, Coordinatrice Generale dell'Associazione, e Hacer Foggo, responsabile del progetto Rom, abbiamo parlato del convegno e più in generale della situazione dei Rom in Turchia.

Perchè un congresso sui Rom?

I Rom costituiscono generalmente un gruppo sociale tra i più oppressi e verso il quale si concentrano una grande quantità di pregiudizi, e questo vale anche per la Turchia. Essendo il sostegno ai gruppi sociali svantaggiati lo scopo della nostra associazione, ci è sembrato naturale occuparci dei Rom. Abbiamo scelto Edirne come sede del convegno perchè è la città in cui vi è tradizionalmente la più alta concentrazione di Rom, circa 30.000. La città è anche il luogo in cui, con maggiore chiarezza, si evidenzia la discriminazione della quale sono vittime. Inoltre ad Edirne per la prima volta in Turchia è stato fondata un'associazione nel cui nome compare la parola Cingene, Zingaro (da alcuni anni esiste poi, all'interno del Dipartimento Provinciale per la Cultura, un Gruppo di Musica Popolare Roman formato da dodici elementi, nda). Ci sono certo convegni a livello accademico sui Rom ma il nostro obbiettivo era quello di organizzare un'iniziativa, là dove i Rom vivono e che desse loro la possibilità di essere visibili. Per la prima volta in Turchia siamo riusciti ad organizzare un convegno sui Rom e la loro cultura.

Quanti sono i Rom in Turchia?

Non esistono statistiche ufficiali. Quelle ufficiose parlano di 500.000 persone. I ricercatori però stimano il numero dei Rom in Turchia in circa due milioni.

In quali regioni del paese vivono?

Sono presenti praticamente su tutto il territorio nazionale. Nel sud-est dell'Anatolia ad esempio, a Mardin Urfa, Diyarbakir. La regione, essendo sulla fascia di confine, si trova su di un tradizionale percorso di migrazione dei Rom, che come sai sono presenti anche in Siria ed Iran. Da sempre poi c'è un importante comunità Rom ad Istanbul. Anche nelle regioni mediterranee, Antalya ed Adana, e del Mar Nero ci sono insediamenti e villaggi Rom. Un gruppo poi è presente nella regione di Hacibektash, nell'Anatolia centrale (Hacibektash è il luogo natale dell'omonimo santo sufi fondatore dell'ordine dei Bektashi. L'affetto dei Rom per il santo sufi è testimoniato anche dalla massiccia presenza Rom durante l'annuale festa che si svolge annualmente a Hacibektash, nda). Edirne ed in genere tutte le province della Tracia sono però la regione in cui sono maggiormente presenti. Una parte dei Rom della Tracia è arrivata nella regione dai paesi vicini durante la fase di disintegrazione dell'Impero Ottomano. Nonostante, o forse proprio a causa della loro ampia diffusione sul territorio nazionale, spesso i Rom in Turchia hanno scelto di nascondere la loro identità. Ad esempio a Mardin preferiscono definirsi curdi o arabi, ad Afyon curdi. Solamente parlando con loro si scopre la loro origine.

Qual'è la loro condizione dal punto di vista occupazionale?

In genere sono occupati in lavori tradizionali: musicisti, nei matrimoni soprattutto, artigiani, nella produzione di ceste ed oggetti per la casa, stagnini, rottamai, nel settore delle pulizie. Occupazioni precarie, oltretutto sempre meno diffuse, e che non garantiscono nessuna forma di assicurazione sociale. La gran parte dei Rom infatti non è iscritta a nessuna delle tre mutue esistenti nel paese. Essi hanno in genere la Carta Verde, che garantisce assistenza sanitaria gratuita a chi è privo di una occupazione fissa. Solamente una ristretta percentuale di Rom appare impegnata nel settore del commercio. In linea generale appare chiaro che i Rom in Turchia sono uno dei gruppi sociali economicamente più svantaggiati e tra i quali la disoccupazione è maggiormente presente. Nel loro caso emarginazione economica ed origine etnica sembrano coincidere.

Quali sono i problemi in campo scolastico?

In genere le famiglie Rom esprimono il desiderio di poter garantire un'educazione adeguata ai loro figli. Nella realtà pregiudizi e discriminazione costituiscono ostacoli importanti e spesso i bambini Rom, e soprattutto le bambine, abbandonano la scuola entro i primi due anni. Edirne in questo senso rappresenta un caso esemplare: esistono due scuole primarie (elementari/medie) note come "scuole degli zingari". Quando una famiglia Rom vuole iscrivere i propri figli in un'altra scuola, viene rimandata a queste due scuole, una forma di ghettizzazione quindi. Inoltre su di una popolazione totale di 30.000 Rom, sono solamente otto i ragazzi Rom che hanno superato l'esame di ammissione all'università, una cifra abbastanza eloquente.

Generalmente la condizione dei Rom è appunto associata a fenomeni di discriminazione, qual è la situazione in Turchia?

Come in molti altri paesi, anche in Turchia i Rom sono soggetti a diverse forme di discriminazione. Sul piano legislativo, la legge 2501 del 1934, (Iskan Kanunu, varata per regolamentare l'acceso di emigrati e profughi nel territorio della Repubblica) nell'articolo che stabilisce quali categorie di persone non possano entrare nel paese, cita anche gli "zingari nomadi". In virtù di questa legge ancora in vigore, recentemente è stato per esempio respinto alla frontiera un gruppo di Rom bulgari, invitati ad un festival musicale in Turchia. Nel 1993 una proposta di legge presentata da un deputato di Edirne, mirava a modificare questa legge, che è in contrasto con l'articolo 10 della Costituzione che garantisce uguaglianza di diritti davanti alla legge senza distinzione di razza, lingua, religione,sesso, e che inoltre pone i Rom nella condizione di cittadini di seconda classe. La proposta è stata però respinta dal Parlamento.

Sul piano linguistico sono molte le tracce di discriminazione e pregiudizi nei confronti dei Rom, anche in documenti e pubblicazioni ufficiali. Nel 2003, su iniziativa dello scrittore Rom Mustafa Aksu, è stata modificata la voce Cingene del Dizionario Turco edito dal Ministero dell'Educazione Nazionale, che conteneva espressioni denigratorie. Un'analoga modifica è stata apportata nello stesso anno all'Enciclopedia Turca che accanto alla voce Cingene associava anche espressioni del tipo "senza religione, furto e prostituzione". Anche a livello popolare sono molte le espressioni che indicano la diffidenza ed il pregiudizio nei confronti dei Rom.

Discriminazione anche sul piano politico: sempre Mustafa Aksu ci ha raccontato di come tempo fa alcuni Rom chiesero di poter iscriversi a tre diversi partiti politici. Inizialmente accolti con molta disponibilità sono stati poi rifiutati quando hanno rivelato di essere Rom. Un altro esempio di atteggiamento discriminatorio lo abbiamo avuto proprio ad Edirne, dove il Comune ha in programma di costruire alloggi per i Rom, però due chilometri all'esterno della città, la gente non vuole avere vicini Rom. In genere poi i quartieri dove vivono i Rom sono in una situazione alquanto precaria dal punto di vista sia delle abitazioni che delle infrastrutture.

Quali iniziative avete in programma sul tema dei Rom per il futuro?

Per l'anno prossimo pensiamo di riproporre la questione dei Rom all'interno del Coordinamento per i Diritti delle Minoranze. Per un'azione più efficace che abbia come obbiettivo la modificazione delle leggi esistenti, così come ci hanno detto i nostri consulenti legali, è necessario però che siano proprio i Rom, i soggetti di questa discriminazione, ad dare il via ad un'azione legale. A quel punto noi avremmo la struttura necessaria per mettere in moto iniziative ed una campagna di sostegno nei loro confronti.
La nostra associazione poi ha in programma due altre iniziative rivolte ai Rom: la prima è un Festival Internazionale del Cinema Rom e la seconda un Centro Culturale Rom ad Istanbul. In questo centro ci sarebbe posto per iniziative di vario genere, ad esempio laboratori per la costruzione di strumenti musicali. Abbiamo anche pensato alla possibilità di un corso di lingua Rom. I Rom in Turchia infatti parlano nella grande maggioranza turco. Molti di loro però ci hanno detto: "Non ne abbiamo bisogno, fateci corsi di inglese". Per il momento non sembrano molto interessati alla questione della lingua ma è probabile che il loro interesse sia destinato ad aumentare.

Qual è il vostro bilancio del convegno?

Nonostante la partecipazione di molti esponenti della società civile, anche da Istanbul e da Ankara, sinceramente ci aspettavamo una maggiore partecipazione da parte della realtà locale. In ogni caso riteniamo che il convegno abbia avuto il merito di portare all'attenzione delle autorità locali la questione dei Rom ed abbia permesso loro di venire a contatto con punti di vista differenti, Crediamo quindi che nel futuro potranno avere un diverso approccio alla questione e forse abbiamo dato un piccolo contributo perchè l'opinione sui Rom possa cambiare. In ogni caso il convegno ha dato la possibilità alle diverse realtà che si occupano di Rom di conoscersi, di stabilire contatti e relazioni anche a livello internazionale. Per quanto riguarda poi gli interventi degli ospiti stranieri, ci ha colpito molto verificare quanto discriminazione e pregiudizi siano ampiamente diffusi, in particolare la situazione dell'Ungheria ci ha molto impressionato. Certo in alcuni casi il mondo politico sembra essere più attento alla situazione dei Rom ma in genere ci sembra che razzismo e discriminazioni siano pericolose costanti. Dal canto loro gli ospiti stranieri hanno avuto la possibilità di conoscere più da vicino la realtà dei Rom in Turchia, che in genere non è molto conosciuta. Ad esempio ignoravano che fossero così numerosi ed anche che ci fossero così tanti Rom musulmani.


Fuga da Selendi - Fazıla Mat 15 gennaio 2010

http://www.balcanicaucaso.org/aree/Turc ... endi-55929



I cittadini di Selendi, nella Turchia occidentale, costringono l'intera popolazione rom a lasciare il paese a seguito di un incidente avvenuto la notte di capodanno. Decine di persone deportate. I commenti dei media e il dibattito sulle minoranze in Turchia

A Selendi, nella provincia di Manisa (Turchia occidentale), fino a una settimana fa viveva una popolazione rom di 74 persone, di cui 15 bambini e 20 donne. Lo scorso 7 gennaio, scortati dalla polizia, sono stati tutti deportati nella località di Gördes. Le autorità avevano mostrato di essere incapaci di difenderli dagli attacchi degli altri abitanti della cittadina.

L'episodio è scaturito da una discussione avvenuta la notte di capodanno. Burhan Uçkun, cittadino rom di Selendi, è entrato in un bar per bere un tè. "Non serviamo da bere agli zingari", gli avrebbe detto il proprietario del locale, che sostiene però di aver solamente intimato a Uçkun di rispettare il divieto di fumo. Sta di fatto che dagli insulti si è passati alle mani, coinvolgendo più persone da entrambe le parti. Alla fine Uçkun è stato portato prima in ospedale e poi al comando di polizia mentre suo padre, non reggendo l'agitazione, è morto di infarto.

Cinque giorni dopo, quando il bar ha riaperto, è scoppiata una nuova rissa tra i parenti del defunto e i frequentatori del locale. A questo punto si è formato un gruppo di circa mille persone che ha attaccato le abitazioni dei rom. Le case sono state prese a sassate, alcuni veicoli sono stati bruciati ed è stato necessario l'intervento della gendarmeria per calmare la folla, che poi è stata mandata a casa.

I rom, invece, sono stati caricati su pullman e trasferiti provvisoriamente nella vicina Gördes. E' chiaro che per loro al momento non si parla di far ritorno nella cittadina dove vivevano da oltre trent'anni, visto che immediatamente dopo il trasferimento i bulldozer hanno raso al suolo gli accampamenti e le baracche in cui abitavano.

I rom attribuiscono gran parte della responsabilità dell'accaduto al sindaco di Selendi, Nurullah Savaş, che avrebbe incitato la folla all'aggressione, e ricordano che prima della sua elezione l'anno scorso dalle file dell'MHP (Partito di Azione Nazionale), non si era mai verificato un caso del genere.

Secondo altre testimonianze, il presidente della provincia di Manisa, Celalettin Güvenç, avrebbe poi chiesto ai rom di firmare un foglio in cui dichiaravano di trasferirsi volontariamente. Güvenç avrebbe anche affermato che erano obbligati ad andarsene, e che non avrebbero potuto più restare nella cittadina.

L'ampio spazio dedicato dai media turchi al caso dei rom di Selendi, descritto come eclatante caso di razzismo, ha tuttavia portato le autorità a dichiarare pubblicamente sostegno e a offrire garanzie agli sfollati. Abdullah Cıstır, presidente dell'Associazione rom di Izmir, ha riferito alla NTV che il presidente della provincia di Manisa avrebbe quindi garantito la protezione dello Stato ai rom che volessero far ritorno a Selendi, aiutandoli a pagare per sei mesi o anche un anno l'affitto di case prefabbricate che verrebbero costruite per loro. Ma sono pochissimi quelli che prendono in considerazione un eventuale ritorno.

"Anziché avere un tetto preferisco dormire all'aperto ma essere in salvo", ha detto un giovane commentando l'invito a tornare. Dodici famiglie intanto, circa quaranta persone, sono state trasferite, sembrerebbe in modo definitivo, nella città di Salihli, nella stessa provincia. Sarebbe stata garantita loro una casa, un sussidio per l'affitto, viveri e riscaldamento per aiutarli a iniziare una nuova vita.

Gli abitanti di Selendi sembrano intanto molto contrariati per il fatto di essere stati bollati come "razzisti", e accusano i media di aver distorto i fatti. Nelle diverse interviste continuano a ripetere che i rom sono dei ladri e degli usurai che bestemmiano e bevono.

L'ex imam della cittadina ha detto che il padre di Uçkun, morto d'infarto la notte di capodanno, "bestemmiava contro Allah e la moschea. Alla fine è stato fulminato e giustizia è stata fatta. Quell'uomo venticinque anni fa aveva sparato ad una persona. Se fossimo razzisti non l'avremmo tenuto qui a quel tempo."

C'è anche chi dice che "i rom potrebbero anche fare ritorno, purché vivano come esseri umani", mentre altri si alterano anche solo a considerare una tale eventualità. Un ex insegnante racconta che in passato ci sono state famiglie che hanno dovuto andarsene via a causa degli atteggiamenti violenti dei rom, e pur affermando che non ci sono scuse per quello che è stato fatto la notte del 5 gennaio conclude: "Ora che se ne sono andati siamo sereni. Se tornassero, loro stessi non lo sarebbero".

La discriminazione dei rom in Turchia in materia di accesso all'istruzione e alle strutture sanitarie, partecipazione sociale, ricerca di un lavoro e ottenimento dei documenti di identità è una situazione oggettiva citata anche nell'ultimo rapporto dell'Unione europea sul Paese. Il governo dell'AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo), che finora ha fatto ben poco per rimediare a questo stato di cose, il 10 dicembre scorso ha realizzato il primo incontro del gruppo di lavoro costituito per valutare la condizione dei rom.

La sociologa Neşe Erdilek ricorda che i rom della Turchia hanno iniziato a emergere in pubblico come gruppo sociale dieci anni fa; che precedentemente, proprio perché venivano automaticamente emarginati per la loro identità, hanno cercato sempre di non manifestare la propria origine. Ma la loro situazione ha assunto una fisionomia diversa quando hanno iniziato a costituirsi in associazioni, e la popolazione rom ha smesso di auto-denominarsi "zingaro" (çingene), termine associato ad un'identità negativa, per adottare il termine roman.

La Erdilek spiega però che, facendo ciò, hanno optato per una posizione a favore dell'autorità e del più forte - atteggiamento che avrebbe consentito loro la sopravvivenza anche al tempo degli ottomani - ed è per questo che una gran parte di essi sottolinea sempre la fedeltà allo Stato e alla bandiera turca evidenziando con enfasi la propria differenza da altri gruppi sociali come i kurdi.

Non sarà un caso che Burhan Kuzu, presidente della commissione per la redazione della Costituzione, commentando i fatti di Selendi abbia detto: "I rom sono i nostri cittadini più fedeli, quelli che non hanno mai problemi con il sistema, con il regime e le altre persone. Sono cioè quelle persone che sono da considerarsi le più innocenti e - non che qualcuno debba essere emarginato - proprio quelle da emarginare di meno." ???
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Re: Singani (storia e etimołoja): singanini

Messaggioda Sixara » gio feb 12, 2015 7:56 pm

Do putìni zhigàgni de G.Berengo Gardin

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(ke dopo deventà grandi i và conbinare malàni)
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Re: Singani (storia e etimołoja)

Messaggioda Berto » dom feb 22, 2015 12:05 pm

???

Nomadi, in fuga nella città nascosta

http://milano.repubblica.it/dettaglio/n ... /1374186/1

Nomadi per forza: cacciati dai campi, centinaia di rom si rifugiano tra le pieghe delle periferie. Due esperienze a confronto: la piccola enclave dei Selimovic e il mega insediamento del Triboniano
di Fabrizio Ravelli

Centinaia di rom si rifugiano nelle periferie. Si nascondono, tra le discariche o in improvvisati accampamenti fangosi. Come succede a Milano, dove ci sono esperienze assai diverse che si confrontano. Quella della piccola enclave dei Selimovic e il grande insediamento del Triboniano. Ecco la seconda puntata del reportage che racconta l'altra faccia delle grandi città: le metropoli sommerse, quei luoghi dove vivono gli stranieri e che nessuno vede mai.

Dopo Roma, viaggio a Milano, tra campi nomadi che sono stati chiusi (come è capitato ad Opera, dove Don Colmegna denuncia che è stato messo in atto un vero e proprio "pogrom") e insediamenti fantasma dove ora vivono gli zingari. I fantasmi li trovi anche di giorno, cercandoli nelle pieghe delle periferie, nelle ordinate e sorvegliate discariche dei campi organizzati o negli improvvisati accampamenti fangosi che vanno e vengono sotto la spinta della paura.

Le mappe cambiano e si aggiornano, faticano a registrare questo andirivieni. Gli zingari, fantasmi che incarnano ogni brutto sogno della città spaurita, sempre più spesso si nascondono. Provano a cancellare la propria identità. Oppure si inventano micropaesi semiclandestini e lì stanno, cercando di farsi dimenticare. Come questi bosniaci khorakhané che, un po' contro voglia e grazie alla mediazione della Comunità Sant´Egidio, aprono le porte del loro villaggio in fondo alla campagna del Vigentino. Ospitali, ma timorosi di ogni pubblicità. La cascina settecentesca che occupano, cadente e per ora risparmiata dall´espansione immobiliare della città, è di una società del gruppo Ligresti. Sono abusivi, ma tollerati.

«Siamo qui da dieci anni, paghiamo luce e acqua, e tutto quello che si deve pagare. Dicono che noi zingari siamo sporchi, ma qui stiamo nel pulito e i nostri bambini crescono bene», dice Jela Selimovic. Ha 45 anni, è la moglie del capo riconosciuto Beban. Sette figli, una nipotina che si fa ballare in grembo e accarezza con gli occhi, che sono bellissimi e celesti. Il villaggio è in pratica una grande famiglia allargata di 150 persone. Nell'aia della grande cascina si sono costruiti 16 di quelle che chiamano «baracche», ma che sono in realtà ordinati chalet di legno, in stile bosniaco-tirolese.

Fregi traforati sul pluviale, spaziose verande, antenne satellitari e galli che cantano. Il clan dei Selimovic è arrivato qui nelle campagne del Vigentino sull'onda di una tragedia, una di quelle che si ripetono nei campi dei rom. Era il gennaio del ‘95, stavano accampati in via Corelli, fra la ferrovia e l'aeroporto di Linate, dove ora c'è il Cpt, il centro di detenzione per gli immigrati clandestini. Una roulotte prese fuoco, morirono quattro bambini, età fra i 7 mesi e i 4 anni. «Ci hanno cacciati, abbiamo cominciato a spostarci e ogni volta ci mandavano via. Avevamo i bambini all'asilo, per portarli e andarli a prendere facevamo anche 30 chilometri». La prima figlia di Jela ha oggi 25 anni, e non è mai andata a scuola: «Ma è l'unica. Tutti gli altri ci sono andati. Noi non mandiamo i figli a rubare, ma a studiare. I nostri ragazzi non hanno mai combinato casini, non sono mai finiti al Beccaria». Il carcere minorile.

Nel ribollente arcipelago della comunità zingara di Milano, ripopolato senza soste dall´immigrazione romena, questo villaggio di bosniaci è una specie di isola semi-segreta. Ma anche un esempio di come piccoli insediamenti, tollerati e integrati, possono sopravvivere senza traumi. «Ci siamo fatti tutto da soli - dice Beban Selimovic - senza bussare a nessuna porta. Ci dicono: volete fare gli zingari. No, vogliamo fare una vita come la vostra. I miei figli sono come voi gagi, sono cittadini italiani». Nella grande sala di casa sua, luminosa e pulitissima, vanno e vengono ragazzi appena svegli che hanno l'accento milanese. Ci sono soprammobili ovunque. Immagini di madonne, una statua della Vergine di Lourdes. Un berretto con la scritta "Beban-Lourdes 2006". «I nostri vecchi erano musulmani. Noi andiamo a pregare Dio in chiesa, e a dire la verità io i musulmani non li amo proprio». Incorniciata, la foto in bianco e nero del passato. Zingari accovacciati davanti a una tenda, che lavorano pentole in rame. «Quel bambino sono io. Quello è mio padre Bajro. Lui era un giudice, un saggio che chiamavano a risolvere questioni in Svizzera, in Francia, in Germania, perché era un uomo giusto. Io sono in Italia da trent'anni: ero a Roma quando rapirono Aldo Moro».

Sono quasi tutti fuggiti dalla Bosnia poco prima della guerra. Si sono salvati, ma hanno perso i loro beni. Ci tornano in vacanza, «ma i figli quando ci andiamo non aspettano che di tornare qui in Italia, a casa loro». Sono benestanti, i Selimovic e il loro clan: trafficano ferro e metalli, sgomberano cantine e fabbriche dismesse, tengono banchi di robivecchi nei mercatini. Hanno auto di lusso, magari vecchiotte: «Lo so, molti italiani pensano che rubiamo. Ma le macchine sono tutta la nostra ricchezza, e sono in regola». Vogliono vivere per conto loro. Quando stavano per installare qui a fianco un grande campo rom, i ragazzini appesero alla recinzione cartelli che dicevano: "No al campo-viva la Lega Nord". «Fra noi ci aiutiamo, e diamo una mano anche a chi viene da fuori: ma solo per poco tempo. Perché in 25 anni fra noi non c'è mai stata una lite, ci conosciamo e siamo tutti parenti. Con gli altri, non si sa mai». Non amano gli zingari romeni: «Noi le nostre donne non le mandiamo in giro a chiedere l'elemosina». Anche se frequentano qualche romeno, per lavoro. Nella rigenerazione e commercio di bancali, per esempio. «Paghiamo le tasse», dice Jela. Mostra il suo timbro, con codice fiscale e numero di partita Iva. ???

Elisabetta Cimoli, della Comunità Sant'Egidio, li frequenta da anni, conosce tutti per nome, ha visto nascere e crescere i loro bambini. Risolve loro qualche problema: le visite mediche alla Asl, lo scuolabus, la raccolta rifiuti dai cassonetti che stanno fuori, le vaccinazioni: «Il lavoro di mediazione paga, per vincere l´isolamento e l'apartheid». Il villaggio semi-segreto, abusivo ma integrato, sta sulle mappe degli insediamenti "illegali" milanesi. In pratica non dà fastidio a nessuno, e anche con la gente dei quartieri vicini non ci sono problemi. I bosniaci vorrebbero che nessuno si ricordasse di loro, perché comunque il rischio di essere cacciati esiste. Curano le loro case come se dovessero restare per sempre: ci sono siepi di bellissime rose, aiuole, pozzi per l´acqua.

Sembra di un altro pianeta lo squallore delle baraccopoli improvvisate, delle bidonvilles fangose e maleodoranti. Ma sembrano lontani anche i mille problemi dei grandi campi istituzionali, riconosciuti dal Comune come quello di via Triboniano, dove in tre aree vivono 600 zingari romeni più un'ottantina di bosniaci che sono qui dal 1989. Le piccole enclaves sopravvivono seminascoste. Qui, anche se la collocazione ha i tratti della discarica umana, oltre il cimitero Maggiore, fra la ferrovia e un deposito di container, è impossibile far finta che la comunità di Triboniano non esista. Qui si gioca una partita che non ha precedenti in Italia, quella del "patto di cittadinanza e legalità" fra zingari e istituzioni. Un impegno sottoscritto da tutti i rom che vincola la permanenza al rispetto della legge, dell´igiene, dell´obbligo scolastico per i ragazzini. Pena, l'allontanamento immediato.

E' il campo di mediazione fra l'assistenza pubblica e le paure dei milanesi. Ci lavorano il Comune (soprattutto l´assessore ai servizi sociali Mariolina Moioli, bella tempra di democristiana), la prefettura, la questura, e la Casa della Carità di don Virginio Colmegna. Se i bosniaci del Vigentino cercano il silenzio e l'isolamento, i rom romeni come quelli del Triboniano devono nascondere la loro identità zingara per potersi integrare. «Sono persone che devono diventare fantasmi - si arrabbia don Colmegna - Non sono riconosciuti come potenziali abitanti, ma devono scomparire per magari ricomparire sotto un´altra veste».

Dice che i milanesi gli chiedono sempre: dove sono quelli di Opera? I rom cacciati dalla gente di Opera, che con un vero pogrom diede fuoco alle tende che li doveva ospitare. «Li abbiamo resi invisibili», dice. Racconta che uno di loro ha trovato casa e lavoro, e un vicino con cui ha fatto amicizia gli ha lasciato le chiavi andando in ferie: «Perché sai, in giro ci sono tanti zingari... ». Al lavoro e al padrone di casa si presentano solo come romeni: «Invisibili. Ci sono bambini che a scuola non possono fare vedere i propri genitori».

Al Triboniano, così come in altri insediamenti, la linea di don Colmegna è questa: «Abbassare l'intolleranza con i fatti concreti, perché questo permette di confrontarsi e anche scontrarsi con durezza. Lo ripeto sempre: il primo a diventare diffidente coi rom è chi ci sta in mezzo. Io non li mitizzo, anzi litigo con chi per ideologia li vede solo come vittime». Per Don Colmegna, i rom sono ormai un lavoro a tempo pieno. Conosce tutti. Ha fatto un digiuno di protesta dopo lo sgombero del campo di via San Dionigi, poi ha ospitato gli sgomberati alla sua Casa della Carità, poi si è inventato per loro una specie di tour: ogni notte ospiti in un luogo diverso, per lo più parrocchie ma non solo. «Un gesto provocatorio e simbolico. Siamo costretti a diventare nomadi. Bisogna conoscere, non creare esclusione».

Adesso è in Romania, in torpedone: ci va spesso per creare condizioni che permettano agli zingari di restare in patria. Sì, per chi ci sta in mezzo alla faccenda, le grane sono pane quotidiano. Al Triboniano, sul viale davanti al campo, da un po' di tempo è nata una bisca a cielo aperto, che richiama grande pubblico. Oppure: le roulottes (rottami del terremoto irpino) sono infestate da insetti e topi. Però c'è anche altro. I ragazzini vanno a scuola, giocano a calcio nel campetto di quartiere. Tutte le famiglie pagano la luce. Molti hanno un lavoro, o frequentano corsi professionali. Sabato scorso hanno eletto dei loro rappresentanti, esperimento del tutto inedito. Tre per ognuna delle 3 aree. Andranno ai «tavoli» di confronto con le istituzioni. E anche questo è un modo per non essere più invisibili.
(05 ottobre 2007)
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Re: Singani (storia e etimołoja)

Messaggioda Berto » dom mar 08, 2015 7:18 am

I singani xełi rasisti ?

viewtopic.php?f=150&t=459
El rasixmo dei singani - etnorasixmo
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Re: Singani (storia e etimołoja)

Messaggioda Berto » dom mar 08, 2015 7:28 am

VIDEO / “ZINGARI FECCIA DELL’UMANITA'”. RADICALI E FONDAZIONE ROMANI’ DENUNCIANO L’EUROPARLAMENTARE BUONANNO
paolapeluso on 7 marzo 2015
http://certastampa.it/2015/03/07/video- ... e-buonanno

“Zingari feccia dell’umanità”, tra gli applausi del pubblico. La sortita infelice dell’europarlamentare Buonanno, durante la trasmissione Piazza Pulita su La7 di una settimana fa, è finita nell’esposto-denuncia in Procura a firma della Fondazione Romanì e del partito Radicale. Oggi la presentazione dei dettagli della denuncia, presso la sede di Teramo Nostra, alla presenza del referente della Fondazione, Nazareno Guarnieri, e dell’esponente dei Radicali, l’avvocato Vincenzo Di Nanna. Tra i casi di discriminazione razziale nei confronti dell’etnia rom, viene citata l’iscrizione in palestra negata ad una bambina rom di dieci anni. La procura di Pescara ha archiviato l’inchiesta.


http://www.veratv.it/video/2015/03/07/0 ... -2015.aspx



Ma i radicali no łi fa altretanto co l'etnia veneta o col popoło veneto.
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