Orban ha più che ragione non è giusto che gli ungheresi siano costretti a pagare per gli zingari che non si guadagnano il pane con il sudore della fronte.
Dall'Ungheria alla Romania: esplode la rivolta dei rom
Emanuel Pietrobon
10 marzo 2020
https://it.insideover.com/societa/dallu ... uExovf0Jio
Mentre in Ungheria la comunità rom sta timidamente insorgendo contro il governo di Viktor Orban, accusato di portare avanti un’agenda antiziganista, scontrandosi però con il muro di diffidenza e ostilità della maggior parte dell’opinione pubblica e della realtà politica, anche in Romania si segnalano sollevazioni dirette contro gli attori del mondo istituzionale colpevoli di assumere posizioni ritenute razziste e discriminatorie.
C’è un filo conduttore a legare gli eventi che stanno avendo luogo da Budapest a Bucarest: in entrambi i paesi la comunità rom dovrebbe trasformarsi da minoranza a maggioranza nei prossimi decenni e negli ultimi anni sembra avere preso coscienza della rivoluzione demografica in corso, iniziando a rivendicare i propri diritti, a rivendicare maggiore spazio pubblico e chiedere più opportunità.
Le proteste a Târgu Mureș
Târgu Mureș, città di 145mila abitanti situata nel cuore della Transilvania storica, ottobre dell’anno scorso. Il sindaco, Dorin Florea, si lamenta pubblicamente della propensione della comunità rom ad avere famiglie numerose, eccessivamente numerose a suo dire, esprimendo perplessità in relazione al fatto che i bambini verrebbero utilizzati come “fonte di reddito“, assicurando alle famiglie la possibilità di vivere per anni grazie agli aiuti sociali.
Aresel, un movimento civico che si occupa di questioni rom, organizza una prima protesta, il 17 ottobre, davanti al municipio. L’evento si rivela un successo: accorrono in centinaia, dalla città e dai dintorni, chiedendo le scuse e le dimissioni del sindaco. Come evidenzia Nicu Dumitru, il portavoce del movimento, si è trattato di “un giorno storico, i rom, per la prima volta negli ultimi 30 anni, sono usciti in strada per dire la loro, perché questo tipo di dichiarazioni non sono ammissibili nella Romania del 21esimo secolo”.
Il sindaco rifiuta di scusarsi con la minoranza etnica e rincara la dose, spiegando che in città, che ospita una delle comunità rom più numerose del paese, da quando è stato eletto ha dedicato molta attenzione ai loro bisogni, alle loro necessità, attraverso progetti di edilizia popolare, miglioramento delle infrastrutture esistenti, mense popolari, iniziative per la scolarizzazione e per l’inclusione nel mercato del lavoro e nella società, ma senza alcun risultato: la maggior parte dei rom continuerebbe a preferire le abitazioni fatiscenti, e le agenzie municipali continuerebbero ad essere sommerse di richieste per gli alloggi popolari e per gli assegni di maternità da parte di 12enni e 13enni gravide.
Florea arriva a proporre, sulla sua pagina Facebook, di introdurre dei parametri legali che, se non soddisfatti, impediscano alle coppie di formare una famiglia, come ad esempio la volontà di ricercare attivamente lavoro, di voler vivere in abitazioni agibili, di voler assicurare ai figli un ambiente economico accettabile, fissando inoltre un’età minima per diventare genitori, alla luce della tendenza dei rom a formare famiglie in età pre-adolescenziale.
Le proteste continuano, si allargano: 100 manifestanti diventano 500, poi superano quota 1000. Piccole cifre, certamente, ma si tratta comunque della prima volta che la comunità rom si mobilita nel paese e, soprattutto, che dà luogo ad una mobilitazione continua. I manifestanti chiedono un intervento del presidente, Klaus Iohannis, e al grido di ribellione si unisce anche la più alta autorità del mondo rom, non riconosciuta legalmente da alcuno stato, il re Dorin Cioabă.
La mobilitazione ha successo: il 21 gennaio, Florea, viene chiamato per un’udienza dal Consiglio Nazionale Contro le Discriminazioni, e quindi ritenuto colpevole di discorso d’odio e condannato al pagamento di una multa di 10mila lei (circa 2mila euro). Si tratta di un altro traguardo storico: è la prima volta che un politico di alto profilo, quale è il sindaco di una grande città, viene ritenuto responsabile di discorso d’odio e condannato per questo, è il segno che qualcosa sta cambiando nella società e nella politica e che i rom non possono più essere ignorati, tantomeno denigrati.
Il futuro demografico rumeno: un’incognita
Nei Balcani sta avendo luogo lo spopolamento più grave e rapido del pianeta e la Romania è il secondo paese più colpito dal tremendo inverno demografico, dietro la Bulgaria. Fra il 1992 ed il 2019 la popolazione è diminuita di quattro milioni, passando da quasi 23 milioni di abitanti a circa 19 milioni. La crisi è tremenda: 38mila persone in meno fra gennaio e luglio dell’anno scorso, a causa dell’emigrazione o per il divario fra nascite e decessi, e fra il 2017 ed il 2018 il tasso di spopolamento è aumentato del 33%.
E mentre la popolazione autoctona si riduce a ritmi serrati, fra emigrazione all’estero e bassa fertilità di chi sceglie di restare, ed entro il 2050 si stima che il paese sarà abitato da circa 16 milioni di persone, la comunità rom continua ad aumentare, pur registrando anch’essa un forte movimento migratorio verso altri paesi. Ufficialmente, nel paese sono censiti circa 619mila rom (dati del 2011), ma secondo la Divisione Rom e Nomadi del Consiglio d’Europa, l’Agenzia Nazionale per i Rom e il Centro di Ricerche Demografiche (CRD) “Vladimir Trebici”, la cifra sarebbe verosimilmente più alta: circa 3 milioni. Come nel caso ungherese, la discrepanza fra i dati governativi e non governativi è legata al fatto che i rom tendono a nascondere la loro identità etnica in sede di censimento.
Il direttore del CRD, Vasile Gheţău, che da oltre dieci anni monitora l’andamento demografico del paese e procura alle forze politiche possibili rimedi alla de-natalità, restando inascoltato, se le attuali condizioni dovessero protrarsi nel tempo, i rom rappresenteranno con elevata probabilità il 40% della popolazione totale entro il 2050, surclassando gli autoctoni nei venti anni successivi. Infatti, mentre il tasso di fecondità della rumena media è al di sotto dell’1,2 figli per donna da più di venti anni, quello della donna rom è stabile a 3 figli per donna.
La Romania del 2050 sarà molto diversa da quella di oggi: i rumeni saranno pochi e, soprattutto, anziani. Sempre secondo il CRD, gli over-65 rappresenteranno il 31% della popolazione entro il 2030, in aumento dal 17% del 2011. La situazione fra i rom, invece, è radicalmente diversa: soltanto il 3% della comunità nazionale ha più di 65 anni, mentre il 47,3% ha meno di 20 anni.
Come nel resto della penisola balcanica, il riferimento è in particolare alla Bulgaria, anche in Romania la rivoluzione demografica non sembra destinata ad avvenire in maniera pacifica, perché i rom vivono nelle stesse condizioni di emarginazione ed esclusione che sperimentano altrove, sostanzialmente ammassati in ghetti etnici, nelle periferie delle grandi città. Ferentari è il caso più emblematico di questa realtà: si tratta di un quartiere-dormitorio nella parte meridionale della capitale, Bucarest, popolato da quasi 100mila persone, per la stra-grande maggioranza di etnia rom. Ferentari è il simbolo dell’integrazione mancata e della profonda divisione che separa rumeni e rom, concentrando una serie di record negativi relativamente ai tassi di crimini violenti, disoccupazione, povertà, tossicodipendenza, malattie sessualmente trasmissibili, fra le quali l’hiv-aids.
Nel lontano novembre 2006, la compagnia nazionale dell’elettricità, Electrica, decise di interrompere la luce in diverse aree del quartiere per via dei mancati pagamenti e degli allacciamenti abusivi. Fu il casus belli della più grave rivolta urbana, di stampo etnico, avvenuta nella capitale. Da allora, nulla è cambiato: Ferentari continua ad essere un ghetto in cui proliferano criminalità e malattie, la tensione con il resto della capitale continua ad essere alta e la possibilità di nuovi disordini è sempre dietro l’angolo.
Ungheria, Orbán contro i Rom: "Perché spendere per chi non lavora? I discriminati sono i bambini ungheresi"
Il suo governo deciso a bloccare le sentenze della magistratura ungherese che impongono all’esecutivo di versare risarcimenti a bimbi Rom vittime di discriminazioni gravi e di segregazione a scuola. I Rom in Ungheria sono da secoli abitanti stanziali, e non nomadi. Pacifiche proteste nella capitale Budapest
di ANDREA TARQUINI
04 marzo 2020
https://www.repubblica.it/esteri/2020/0 ... 250201427/
Il premier ungherese Viktor Orbán ha trovato un nuovo nemico necessario, o meglio nemico immaginario della Nazione europea cristiana che dice di voler difendere. Questa volta non si tratta di migranti, né dell'Unione europea, né di Soros. No: l'uomo forte magiaro, massimo stratega dei sorvanisti europei, ha i Rom e soprattutto i bimbi rom nel mirino.
Egli in persona e il suo governo, come ha scritto Politico sono decisi a bloccare le sentenze della magistratura ungherese che impongono all'esecutivo di versare risarcimenti a bimbi rom vittime di discriminazioni gravi e di segregazione a scuola. Segregazione, come in Sudafrica ai tempi dell'apartheid quando Nelson Mandela era rinchiuso nel famigerato carcere di Robben Island.
Il fatto iniziale
La pietra dello scandalo è quanto accade nel povero villaggio di Gyöngyöspata. Le autorità locali hanno chiesto e ottenuto finanziamenti pubblici per la scuola, poi hanno deciso su ordine da Budapest di istituire classi separate e malissimo organizzate per i bimbi rom. Le famiglie rom del posto hanno sporto denuncia alle autorità giudiziarie, e i giudici in uno tra i loro difficili tentativi di difendere l'indipendenza della magistratura hanno dato loro ragione: occorre che il governo paghi un risarcimento danni e modifichi la situazione a vantaggio dei bimbi rom, a Gyöngyöspata e altrove. Per consentire loro di imparare lingua cultura matematica e tutto a scuola come gli altri bimbi ungheresi e sperare in un futuro di lavoro, non di emarginazione.
La dichiarazione di Orbán
Orbán non ne vuol sapere, e lo ha detto in pubblico. "Mi chiedo perché dobbiamo spendere soldi per chi non lavora; i veri discriminati sarebbero i bambini ungheresi, non i rom, se io cambiassi la situazione". E ancora: "Se io fossi un cittadino ungherese di Gyöngyöspata mi chiederei perché si devono spendere soldi pubblici per gente che poi non va a lavorare". Ed è imminente in tutta l'Ungheria - per volere di Orbán che si sente minacciato nel suo potere decennale dalla crescita delle opposizioni vittoriose alle recenti municipali a Budapest e in una decina di altre importanti città - tenere una "consultazione nazionale", cioè un referendum le cui domande sono formulate in tal modo dal regime sovranista che una sua vittoria sarebbe scontata in caso di sufficiente partecipazione al voto.
La "consultazione nazionale"
La "consultazione nazionale", nell'approssimarsi del decennale del ritorno di Orbán al potere (aprile 2010) chiederà ai cittadini se ritengono giusto spendere soldi pubblici per i rom che non lavorano e non si integrano e anche per i detenuti (di carceri sovraffollate, I) "aiutati dai loro avvocati comunisti".
La reazione della comunità Rom
Le organizzazioni della comunità Rom reagiscono, con pacifiche proteste nella capitale Budapest e in altre città. I Rom in Ungheria sono da secoli abitanti stanziali, e non nomadi. L'ottanta per cento di loro vive sotto la soglia di povertà definita dalle autorità nazionali, discriminata o emarginata da istruzione e mercato del lavoro, spesso in villaggi cui non vengono fornite acqua potabile ed elettricità.
La denuncia delle Ong
È la prima volta, denunciano opposizioni e Ong per i diritti umani, che il premier ungherese sceglie come bersaglio un "nemico interno". Una minoranza appunto, non già la Ue, le ondate migratore o gli immaginari complotti del filantropo George Soros. In tal modo il premier e il suo partito-Stato, la Fidesz sospesa dal Partito popolare europeo, copiano gli slogan lanciati dieci-undici anni fa dall'ultradestra. Come quando attorno al 2009 ci furono marce di gruppi paramilitari in villaggi rom e furono uccisi per motivi razzisti nove rom tra cui un bimbo, Robert Csorba, i cui funerali furono un momento alto della protesta dell'etnía Rom in tutta l'Europa di mezzo.
L'appello all'Europa
I Rom ungheresi chiedono aiuto all'Europa contro il premier sovranista che attacca i bambini come nemici e pericolo per la patria. Orbán procede sulla sua strada, inasprendo anche la censura. Da pochi giorni i media pubblici hanno bisogno del permesso da chiedere ogni volta alle autorità censorie (quindi di fatto a esecutivo e servizi segreti) per parlare di Greta Thunberg o di qualsiasi Ong o del tema "Diritti umani". I bimbi rom magiari sono sotto il tallone di una politica razzista, da Bruxelles non è ancora venuta una chiara risposta né una denuncia.
Emigrazione a messimi livelli
Nel frattempo l'emigrazione di giovani qualificati stanchi del clima politico dall'Ungheria tocca nuovi record nonostante il boom economico, la scuola ungheres è scesa per indice di qualità dal 37mo al 96mo posto nelle classifiche internazionali, e scuola e sanità affrontano una gravissima crisi di mancanza di fondi e strutture. Fine testo