Assurdità demenziali a giustificazione dei crimini degli zingari e a sostegno della loro presunta innocenza.Gli zingari, perseguitati da cinquecento anni in tutta EuropaAlessandro Marzo Magno sabato 23 giugno 2018
https://www.avvenire.it/agora/pagine/gl ... tta-europaFuggiti dagli ottomani, si diffondono in tutto il continente suscitando simpatie. Poi vengono accusati di furti e rapine e cacciati da ogni governo
Il primo a volerli cacciare è stato Ludovico il Moro: nel 1473 stabilisce che gli zingari vengano allontanati dal territorio del ducato di Milano, pena la morte. Da lì comincia una lunga serie di editti - "grida", come ci ha insegnato Alessandro Manzoni - contro i gitani che termineranno soltanto ai tempi di Maria Teresa. Anche con lei, però, non avranno piena cittadinanza, semplicemente si passerà dalla persecuzione all’assimilazione.
Un po’ in tutta Italia, e pure nel resto d’Europa, dal Cinquecento in poi gli zingari diventano oggetto di bandi e persecuzioni, ma da nessuna parte accade con tanta ossessività come a Milano. Con gli spagnoli si arriverà a una sessantina di grida sul tema. Il che, in un paio di secoli, fa una media di una legge ogni poco più di tre anni, con un crescendo di pene talmente esagerato da rivelarne l’assoluta inefficacia.
E pensare che all’inizio gli zingari vengono accolti con simpatia: sono costretti a lasciare i Balcani dopo le conquiste ottomane del XV secolo e sciamano un po’ in tutta Europa.
Quando già a Milano li si perseguitava, a Venezia attorno al 1505 Giorgione dipinge un quadro, La Tempesta, destinato a cambiare la storia dell’arte: è il primo dove il paesaggio diventa protagonista. Viene descritto come "paesetto in tela cum la tempesta, cum la cingana et sodato" e se una zingara aveva un tale posto di prestigio all’interno dell’opera di uno degli artisti più celebri dell’epoca, significa che non era ancora stata colpita dalla riprovazione sociale. Mancava poco. «
È finito quel brevissimo lasso di tempo in cui lo zingaro, esotico e misterioso, incuriosiva la gente e commuoveva con la sua triste storia di pellegrino: inizia ora la caccia allo zingaro ladro, pigro e imbroglione», scrive Giorgio Viaggio nel suo Storia degli zingari in Italia.
La Serenissima non vede l’ora di prendere gli zingari e incatenarli ai remi delle proprie galee. Il decreto papale del 1557 stabilisce che «gli zingari debbino uscire di Roma e suo territorio» e concede tre giorni di tempo, pena la galera per gli uomini e la frusta per le donne. Nel 1570 a Cremona un gruppo di ventidue zingari viene assalito dalla popolazione cittadina che ne brucia la casa provocando la morte degli occupanti. Nel 1572 trecento zingari nella provincia di Parma vengono attaccati e sterminati dai soldati del duca, accompagnati da una folla inferocita.
A Milano dopo la fine della dinastia Sforza (1498) i francesi ribadiscono le norme anti gitani che vengono riprese e rafforzate dagli spagnoli. Col duca di Terra Nova (1568) e Carlo d’Aragona (1587) inizia la repressione vera e propria, con la condanna a cinque anni di remo per gli uomini e alla «pubblica frusta» per le donne; nel decreto del 1587 si parla di «cingheri, gente pessima, infame, data solo alle rapine, ai furti e ogni sorte di mali». Una grida del 1605 comanda invece che «niuna persona, ancora privilegiata o feudataria, ardisca alloggiare, dare ricetto, aiuto o favorire in alcun modo a detti cingari».
Nel 1624 in una legge contro le delinquenza comune gli zingari vengono definiti i più pericolosi tra i malfattori e si dichiara lecito derubarli delle loro cose, senza tener conto di permessi e licenze da essi posseduti (spesso avevano autorizzazioni all’accattonaggio e al girovagare emesse in Germania). Inoltre si intima il divieto di frequentarli. Evidentemente le autorità del ducato di Milano non riescono a fare nulla di concreto contro i nomadi, visto che autorizzano la giustizia fai da te: nel 1657 si concede alle popolazioni di riunirsi al suono della campane a martello «e perseguitare detti cingari prenderli e consignarli prigioni».
Non si riesce a farli star buoni? E allora che non entrino nemmeno: il 15 marzo 1663 una nuova grida vieta l’accesso agli zingari nel ducato, pena sette anni di galera agli uomini e alle donne di essere pubblicamente frustate e mutilate di un orecchio (la pena della galera non significa andare in prigione, ma diventare "forzati da remo" a bordo delle unità militari: Milano "affittava" vogatori forzati a Venezia). Trent’anni dopo, nell’agosto 1693, è prevista l’impiccagione immediata per gli zingari che fossero trovati nel territorio milanese. Di più: qualunque cittadino ha diritto di «ammazzarli impune» e poi di «levar loro ogni sorta di robbe, bestiami denari che gli trovasse», in regime di esenzione fiscale, «senza che s’habbia a interessare il regio fisco». Si ha diritto di ammazzare e di far bottino come se si fosse in guerra, ma il nemico, in questo caso, non sono i soldati stranieri, bensì gli zingari.
Alberto PentoGià allora erano delinquenti e criminali suscitando giustamente avversione, riprovazione, odio e persecuzione civile e penale come meritavano. Nessun pregiudizio etnico-culturale, la gente, le comunità, le istituzioni di allora esercitavano soltanto la legittima difesa.Quanti sono i Rom in Italia? Non esistono dati certi20 giugno 2018
Alessandro Serranò
https://www.agi.it/cronaca/rom_censimen ... 2018-06-20L'assenza di dati certi sulla "composizione etnica e razziale" della popolazione rom in Italia è stata segnalata dal Comitato per l'eliminazione della discriminazione razziale - organismo delle Nazioni Unite - nelle sue "osservazioni conclusive" del diciannovesimo e ventesimo rapporto periodico sulla situazione italiana, datate 9 dicembre 2016. Questo documento è stato trasmesso dal Comitato all'Ue, che lo ha a sua volta consegnato all'Italia in forma di "raccomandazione".
Una serie di raccomandazioni
"Mentre vanno notati i recenti sforzi da parte dello Stato per migliorare la raccolta di dati sui reati commessi con movente razziale - si legge nel documento - il Comitato ribadisce le sue preoccupazioni riguardo alla mancanza di dati particolareggiati sulla composizione razziale e etnica della nazione. Tali dati sono un punto di partenza essenziale per una successiva disaggregazione di più dettagliati indicatori socio-economici per singolo gruppo sociale, che può rivelare fino a che punto sia differenziato il godimento dei diritti previsti dalla Convenzione per quegli individui protetti ai sensi dell'articolo 1 della stessa Convenzione.
Il Comitato Onu sottolinea poi che "tale disaggregazione dei dati statistici è indispensabile per definire una base empirica su cui individuare particolari gruppi soggetti a discriminazione per razza, colore, provenienza o origine etnica o nazionale, per adottare le opportune misure - anche speciali - per correggere situazioni diseguaglianza, e per valutare l'impatto delle misure adottate".
L’assenza di dati
L'Associazione 21 Luglio, che tutela i nomadi, nel suo rapporto 2017 ha richiamato espressamente le conclusioni del Comitato Onu. "Già nel dicembre 2016 - si legge nel rapporto - il Comitato sull’Eliminazione della Discriminazione Razziale delle Nazioni Unite aveva espresso la sua preoccupazione riguardo all’assenza di un sistema per la raccolta di questa tipologia di informazioni" sulla popolazione rom in Italia. "Nell’agosto 2017 la Commissione Europea - ricorda l'Associazione - ha sottolineato la persistente mancanza di dati, di indicatori e di meccanismi di monitoraggio efficaci nell’indagare l’entità dell’impatto sulle azioni a contrasto della discriminazione".
Una delle percentuali più basse di tutta Europa
La presenza in Italia di Rom, Sinti e Caminanti, secondo il rapporto, "è stimata dal Consiglio d’Europa in una forbice molto ampia e compresa tra le 120.000 e le 180.000 persone, che costituirebbe comunque una delle percentuali più basse registrate nel continente europeo".
Il rapporto dell'Associazione 21 luglio rileva ancora che "nel 2017 è stato finalizzato uno sforzo di analisi attraverso un rapporto effettuato dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) e dall’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI) in collaborazione con l’Ufficio Nazionale Anti Discriminazioni Razziali (UNAR). Il testo finale raccoglie due ricerche (“Progettazione di un sistema informativo pilota per il monitoraggio dell’inclusione sociale delle popolazioni Rom, Sinti e Caminanti” e “Gli insediamenti Rom, Sinti e Caminanti in Italia”) presentate il 6 febbraio 2017". Ma, osserva l'Associazione, "il lavoro svolto non sempre ha tenuto conto delle variabili socio-economiche e della gamma di soluzioni abitative scelte dai rom, sinti e caminanti in Italia e offre informazioni e dati relativi prevalentemente a quegli individui e quelle comunità “ipervisibili” perché presenti in insediamenti formali o informali".
Il rischio di una deriva di stampo genetico
Anche nel suo rapporto 2016, l'Associazione 21 Luglio scriveva: "Mancano in Italia dati sulla composizione etnica della popolazione rom. I numeri sulla loro presenza - spiegava l'Associazione - consistono prevalentemente in stime che si mantengono all’interno di un’ampia e controversa forbice compresa tra le 120.000 e le 180.00 unità. Definire il numero dei Rom nel nostro Paese è impresa estremamente difficile visto che prima di farlo, andrebbe innanzitutto stabilito chi è rom e chi non lo è, ed alto potrebbe essere il rischio di cadere in una deriva di stampo genetico”.
L'importante è il numero di chi marginalizzato e confinato nelle baraccopoli
“Resta comunque importante - prosegue il rapporto 2016 - conoscere il numero dei Rom al fine di valutarne le condizioni di vita ed analizzare l’impatto delle misure e delle politiche nazionali e locali. Non è necessario per questo avere contezza di quante sono le persone di origine rom nel nostro Paese, ma piuttosto quante sono, tra esse, coloro che vivono in condizione di povertà, marginalità e segregazione. Quanti, in poche parole, vivono giornalmente la discriminazione che trova la sua espressione architettonica nelle baraccopoli formali e informali che insistono sul territorio".
I rom e l'Europa, dal rigore tedesco alla Francia modello "bastone e carota" Viaggio nei paesi europei alla ricerca di un'integrazione possibile
Nel continente sono tra i 9 e i 12 milioni: ma non esistono censimenti
I Rapporti della Divisione Roma and Travellers del Consiglio europeo
L'Italia ha la maglia nera. Ovunque esistono Uffici centrali nazionali
di CLAUDIA FUSANI
2007/04
http://www.repubblica.it/2007/04/sezion ... uropa.html La copertina del giornale Le Petit Parisien del 1908 dedicata a Santa Sara, patrona dei viaggiatori e degli zingari. Ogni anno, a fine maggio, nel sud della Francia si ritrovano migliaia di rom di tutta Europa
Sono "qualcosa" che non può essere ignorato. "Esistono" e devi farci i conti. Sono, spesso, un "problema" per gli altri, cioè "noi"; ma soprattutto per se stessi: condizioni igienico sanitarie pessime, massimo della devianza, nessuna integrazione. Tutto vero. Eppure se cerchi di capire come l'Europa affronta la questione rom e zingari rimbalzi in un muro di vaghezza e pressapochismo. Nonostante gli sforzi del Dipartimento
Roma and Travellers
(Rom e camminati, due delle varie etnie zingare), l'ufficio nato nel 1993 a Strasburgo nell'ambito del Consiglio Europeo per fronteggiare la questione rom e che ogni anno produce pagine e pagine di relazioni, rapporti internazionali, raccomandazioni, manca totalmente un progetto esecutivo. Dalle parole non si riesce a passare ai fatti. Risultato: se l'Italia non sa da che parte cominciare per affrontare la questione rom, l'Europa è messa più o meno nelle stesse condizioni.
"Purtroppo non esiste un modello unico per affrontare la questione" dice Maria Ochoa-Llido, responsabile del Dipartimento rom e migranti del Consiglio di Europa. "La situazione varia da paese a paese e ogni governo affronta la questione con un proprio approccio politico. Negli ultimi venti anni le cose stanno cambiando e il Consiglio d'Europa se ne sta facendo carico sul fronte dei diritti umani, dei diritti delle minoranze e in funzione dell'integrazione sociale".
Negli anni, attraverso numerose Raccomandazioni - ad esempio sulle condizioni abitative (2005), sulle condizioni economiche e lavorative (2001), sui campi e sul nomadismo (2004) - si è cercato di dare almeno una cornice di riferimento, linee guida ai vari stati per gestire la continua emergenza rom. Buone intenzioni, quindi, ma scarsi risultati. Secondo il Rapporto annuale della Commissione europea contro il razzismo e le intolleranze
presentato al Parlamento Europeo il 23 novembre 2005, i Rom risultano la popolazione più discriminata d'Europa. Svantaggiati nel lavoro, nell'alloggio, nell'istruzione e nella legislazione ma anche vittime regolari di continue violenze razziste. Il Rapporto - va detto - non si occupa dell'aspetto devianze, cioè criminale, che caratterizza da sempre la popolazione rom e che tanto pesa nel non-inserimento sociale degli zingari.
Una minoranza di 9-12 milioni di persone - Uno dei file più aggiornati della Divisione Roma and Travellers sono i numeri. Che vista l'assenza di censimenti della popolazione rom - per il timore che possano diventare strumenti discriminatori - è già tantissimo. In Europa si calcola che viva un gruppo di circa 9-12 milioni di persone, in qualche paese del centro e dell'est europa - Romania, Bulgaria, Serbia, Turchia, Slovacchia - arrivano a rappresentare fino al 5 per cento della popolazione. Scorrendo i fogli delle statistiche ufficiali europee (aggiornate al giugno 2006), colpisce come nei paesi della vecchia Europa, nonostante la presenza e l'afflusso continuo di popolazione rom, manchi del tutto un loro censimento. Eppure conoscere i contorni del problema dovrebbe essere il primo passo per approcciarlo. Sono censiti solo gli zingari che vivono nei paesi dell'est Europa, dal 1400 la "casa" dei popoli nomadi in arrivo dall'India del nord est.
La Romania guida la classifica dei paesi con maggior numero di gitani: l'ultimo censimento ufficiale del 2002 parla di una minoranza che si aggira tra il milione e 200 mila e i due milioni e mezzo. Seguono Bulgaria, Spagna e Ungheria a pari merito (800 mila), Serbia e Repubblica Slovacca (520 mila), Francia e Russia (tra i 340 e 400 mila; ma secondo il rapporto di Dominique Steinberger del 2000 in Francia vivrebbero almeno un milione di zingari), Regno Unito (300 mila), Macedonia (260 mila), Repubblica ceca (300 mila), Grecia (350 mila). L'Italia è al quattordicesimo posto con una stima, ufficiosa in assenza di un censimento, che si aggira sui 120 mila. Sappiamo che oggi quel numero è salito fino a 150-170 mila. Facendo un confronto con i paesi della vecchia Europa, è una stima inferiore rispetto a Spagna e Francia, Regno Unito e Germania. Sui motivi di queste concentrazioni la Storia conta poco: se è vero che la Germania nazista pianificò, come per gli ebrei, lo sterminio degli zingari (Porrajmos) e nei campi di concentramento tedeschi morirono 500 mila rom, in Spagna la dittatura di Franco ha tenuto in vigore fino agli anni settanta la legislazione speciale contro i gitani eppure gli zingari continuano ad essere, e sono sempre stati, tantissimi.
Il caso italiano - A scorrere i Rapporti del Consiglio europeo, l'Italia sembra avere la maglia nera nella gestione della questione rom. La lista delle "mancanze" italiane è lunghissima. Contrariamente agli altri paesi della vecchia Europa, non abbiamo una politica certa sui documenti di identità e di soggiorno mentre in altri paesi hanno la carta di soggiorno e anche i passaporti. Nonostante molti Rom e Sinti vivano in Italia da decenni, non hanno la cittadinanza col risultato che migliaia di bambini rom nati in Italia risultano apolidi; gli stessi bambini non vanno a scuola e non hanno accesso all'educazione; non sono riconosciuti come minoranza linguistica. L'Italia, soprattutto, continua ad insistere nell'errore di considerare queste persone nomadi segregandole in campi sprovvisti dei servizi e diritti basilari mentre invece sono persone a tutti gli effetti stanziali. Si legge a pag. 29 del rapporto: "Non si riscontra a livello nazionale un coordinamento. E in assenza di una guida a livello nazionale, la questione non potrà mai essere affrontata in modo valido". Bocciati, su tutta la linea. Persino "puniti" nel dicembre 2004 per la violazione della disposizione sul diritto alla casa. "Puniti" anche Bulgaria e Grecia.
Gli Uffici centrali - Il nome di per sé evoca scenari da tragedia, liste, schedature, concentrazione di informazioni. Nel 1929 a Monaco nacque "L'Ufficio centrale per la lotta contro gli zingari in Germania", furono schedati, nel 1933 furono privati di tutti i diritti, poi lo sterminio. Eppure un Ufficio centrale sembra essere l'unico modo per affrontare seriamente la questione rom, capire quanti sono, dove vivono, di cosa hanno bisogno, tenere sotto controllo arrivi, partenze, doveri e responsabilità oltre che diritti. All'estero esiste un po' ovunque qualcosa di simile, in Germania, in Francia, in Olanda, Belgio e in Spagna. "In questi uffici - racconta Massimo Converso, presidente dell'Opera nomadi - lavorano anche i rom, sono mediatori culturali, parlano la lingua e i dialetti, conoscono le abitudini dei vari gruppi, dettagli per noi insignificanti e invece per loro fondamentali. Non si può prescindere da questo se si vuole affrontare il problema con serietà e concretezza". Ministero dell'Interno e Solidarietà sociale hanno avviato dei "tavoli tecnici" con esperti e rom. Ma il ministro Giuliano Amato sta pensando a qualcosa di più: un Ufficio governativo e una conferenza europea per avere gli strumenti e il luogo dove fronteggiare la questione.
Lo statuto francese - Nonostante "la grande preoccupazione" del Consiglio europeo "per i ritardi e l'emarginazione", la Francia (con 340 mila o un milione di manouche) sembra aver adottato il modello migliore sul fronte dell'accoglienza per i rom. Un modello che si muove tra l'accoglienza e la tolleranza zero, due parametri opposti ma anche complementari: da una parte la legge Besson (la prima versione risale al 1990, una successiva è del 2000) che prevede che ogni comune con più di cinquemila abitanti sia dotato di un'area di accoglienza; dall'altra la stretta in nome della sicurezza dell'ex ministro dell'Interno, attuale presidente, Nicolas Sarkozy che nel febbraio 2003 ha voluto la stretta e ha previsto (articoli 19 e 19 bis della legge sulla sicurezza interna) sanzioni particolarmente pesanti contro le infrazioni allo stazionamento. Chi non rispetta le regole dei campi e dell'accoglienza è fuori per sempre. E chi occupa abusivamente un'area può essere arrestato e il mezzo sequestrato. La legge Besson immagina i campi come una soluzione di passaggio e prevede, contestualmente, un programma immobiliare di case da dare in affitto ai gitani stanziali e terreni familiari su cui poter costruire piccole case per alcune famiglie semistanziali e in condizioni molto precarie.
Di tutto ciò è stato realizzato poco ma comunque qualcosa. Nella regione di Parigi sono stati creati campi per 560 posti in dieci anni (ne servirebbero tra i 6 e gli 8 mila) e in tutto il territorio francese ce ne sono 10 mila, un terzo di quelli necessari. Ma molti gitani e manouche vivono in case popolari e in vecchi quartieri. Pagano affitto, luce e acque. "Siamo responsabilizzati - racconta Arif, rom kosovaro, un pezzo della cui famiglia vive in Francia - viviamo nei centri abitati, non siamo emarginati, facciamo lavori come facchino, gommista, piccolo trasporto, pulizie, guadagniamo e firmiamo un Patto di stabilità per cui i ragazzi sono obbligati ad andare a scuola ed è vietato chiedere l'elemosina. Se siamo disoccupati per sei mesi abbiamo il sussidio - un mio parente prende 950euro al mese - e abbiamo anche gli assegni familiari. Certo chi sbaglia, chi delinque, chi ruba, chi non manda i figli a scuola, viene cacciato dalla Francia. E su questo punto siamo noi i primi ad essere d'accordo". Un altro risultato, visibile, è che in Francia difficilmente si vedono zingari in giro, ai semafori o nelle vie dei centri cittadini. E' vietata l'elemosina e l'accattonaggio. Recentemente l'ex ministro dell'Interno Sarkozy ha sottoscritto un piano con la Romania per il rimpatrio dei rom romeni.
Il caso tedesco - Il Rapporto del Consiglio europeo, datato 2004, parla di "svantaggi sociali, pregiudizio, discriminazione per quello che riguarda la casa, il lavoro e la scuola e di casi clamorosi di razzismo" . Detto tutto ciò in Germania i 130 mila circa tra Rom e Camminanti sono considerati per legge "minoranza nazionale". Hanno diritti e doveri. "Dagli anni sessanta, con la caduta del modello socialista titino - racconta Massimo Converso, presidente dell'Opera nomadi italiana - e con le prime diaspore rom dall'est europeo verso l'occidente europeo che poi si sono ripetute negli anni ottante e novanta con le guerre nei Balcani, la Germania ha accolto queste migliaia di persone in fuga con un progetto di welfare. Sono state assegnate case, singole o in palazzine popolari, hanno avuto il sussidio per il vitto, chi ha voluto è stato messo in condizione di lavorare. Tutto questo - continua Converso - al prezzo di rispettare i patti e la legge. Altrimenti, fuori per sempre. Ci sono stati anni in cui interi gruppi stavano per lunghi periodi in Germania, poi venivano in Italia dove invece non è mai stato pensato un vero, severo e anche rigido piano di accoglienza e dove gli zingari hanno avuto da sempre maggiori e diverse fonti di reddito, ben più remunerative perché spesso illegali".
La Spagna come la Bulgaria - Nonostante Franco, le leggi speciali e le persecuzioni, la Spagna ha una delle comunità gitane più popolose e in Europa occupa il terzo posto dopo Romania e Bulgaria con 800 mila presenze. Dalla fine degli anni Ottanta il governo centrale ha elaborato un Programma di sviluppo per la popolazione rom anche se il budget annuale sembra abbastanza ridotto (3,3 milioni di euro a cui però si aggiungono i finanziamenti delle singole regioni e delle ong). Anche in Spagna ogni regione ha un Ufficio centrale che coordina gli interventi e le politiche per gli zingari in cui lavorano sia funzionari del governo che rom con funzioni di mediatori culturali. Il risultato è che non esistono quasi più campi nomadi, quasi tutti - chi non lavora ha un sussidio di circa 700 euro al mese per sei mesi - vivono in affitto nei condomini popolari o in case di proprietà, nelle periferie ma anche nelle città. Dipende dal livello di integrazione. Che è in genere buono anche se resta alto il tasso di criminalità: furti ma soprattutto spaccio di droga. Sono zingare il venti per cento delle donne detenute nelle carceri spagnole. Negli ultimi mesi nelle periferie delle grandi città, a Barcellona come a Madrid, a Siviglia e a Granada, stanno rispuntando baraccopoli e favelas: sono gli ultimi arrivati, i rom della Romania, la nuova emergenza.
La ricetta del "politico" gitano - La Spagna ha saputo produrre, finora, l'unico europarlamentare gitano: si chiama Juan de Dios Ramirez Heredia, è stato rappresentante dell'Osservatorio europeo contro il razzismo e la xenofobia e nel 1986 ha fondato la Union Romanì, federazione della associazioni gitane spagnole. Heredia , in un'intervista rilasciata al magazine europeo Cafè Babel , immagina il futuro della comunità rom: "Potrà essere migliore solo se sapremo mantenere una certa dose di sopravvivenza e riusciremo ad essere presenti dove si prendono decisioni politiche. Non ha senso che in paesi come la Spagna, dove siamo 800 mila, non ci sia un solo gitano deputato o senatore". A gennaio scorso, per la prima volta, la Serbia - 600 mila rom ufficiali senza contare quelli partiti negli anni e ora in giro per l'Europa senza documenti - ha accettato in Parlamento due deputati dei partiti delle minoranze gitane, l'Unione dei rom e il Partito dei rom.
Sono 36 milioni gli zingari nel mondo. Diciotto milioni vivono ancora in India. Un milione circa è riuscito ad arrivare anche negli Stati Uniti. A parte poche migliaia di loro che sono riusciti ad avere una vita normale e ad emergere, ovunque sono rimasti gli ultimi nei gradini della società.
(3 fine)
Fonti sul web: www. coe. int/romatravellersdivision (è il sito generale della Divisione Rom e Camminanti del Consiglio europeo)
http://www.coe.int/t/e/human_rights/ecr ... y_approachwww. coe.int/t/e/human_rights/minorities/1Country_specific_eng. asp#P321_1 (questi file contengono i Rapporti della Commissione europea contro il razzismo)
http://www.coe.int/t/dg3/romatravellers ... ommDH(2006)1_en. asp
(in questi indirizzi si possono consultare i Rapporti dell'Alto commissario per i diritti umani e un altro Rapporto dal titolo: "La situazione dei Rom nell'Unione europea allargata")
(3 giugno 2007)
Rom, la via tedesca per l'integrazione: a Berlino appartamenti e assegni mensili. "In Italia solo campi-ghetto comunali"di Elisa Murgese | 12 ottobre 2016
https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/1 ... si/3077931Ann Morton Hyde, consulente Ue, boccia la scelta italiana: solo nel Belpaese esistono campi gestiti dalle istituzioni e riservati esclusivamente ai rom. A Neukölln, quartiere a sud della capitale, un complesso ne ospita 600 di nazionalità romena. Per loro un appartamento con affitto calmierato e assegni di mantenimento, come per qualsiasi cittadino europeo in difficoltà. Bitonci: "Così si creano ghetti pericolosi"
A Berlino ci sono 20mila rom. A Milano circa 4mila. A Roma, poco più di 10mila. “Come possono numeri così esigui a essere un problema così importante per voi italiani?”. Ann Morton Hyde, consulente Ue, lancia il sasso. Per lavoro, Hyde, gira l’Europa per valutare le politiche di ogni stato rispetto alla comunità rom. Unica, la scelta italiana: solo nel Belpaese, infatti, sono stati creati campi gestiti dalle istituzioni e riservati esclusivamente ai rom. “Non capisco perché pensiate che vogliano vivere solo in ghetti comunali”, racconta lungo la strada verso Neukölln, quartiere dove si trova il progetto d’eccellenza dell’accoglienza rom di Berlino, un complesso dove vivono 600 rom romeni di cui 231 bambini. Per loro un appartamento (con affitto calmierato) ma anche assegni mensili di mantenimento, come per qualunque cittadino europeo in difficoltà economica che abbia già un lavoro part-time in suolo tedesco.
“Funziona così – spiega Karmen Vesligaj, direttrice di Phinove, ong che lavora con i rom di Neukölln – se guadagni 500 euro al mese e il tuo affitto è di 500 euro, allora lo Stato ti invierà un assegno di 550 euro”. Quello di Neukölln è l’unico progetto nel suo genere di Berlino, ma si inserisce in una politica tedesca di appartamenti di emergenza, case popolari e aiuti economici. “In Italia, invece ai rom non è permesso neppure l’accesso ai bandi per le casa popolare – spiega Maurizio Pagani, presidente di Opera Nomadi Milano – perché risiedere in un campo nomadi li esclude automaticamente dalla graduatoria”. Quella tedesca è invece “un’iniziativa fallimentare” secondo il primo cittadino leghista di Padova Massimo Bitonci. “Mettere così tanti rom tutti assieme renderà pericoloso il quartiere tedesco – racconta il sindaco sceriffo – meglio fare come a Padova, ovvero dividere le famiglie rom e distribuirle in varie parti della città: solo così possiamo controllarle e risolvere il problema”.
Rom a Berlino, niente ghetti ma appartamenti. “In Italia sono pochi, non possono essere un problema"Elisa Murgese
http://www.ilfattoquotidiano.it Associazione 21 luglio: “In Italia solo un rom su 5 vive nei campi, ma la P.A. continua a costruirli”
Il modello abitativo tedesco sarebbe “importabile” in Italia, continua Hyde, perché le cifre italiane e tedesche non differiscono di molto. “Sono 120mila i rom in Germania – precisa Ina Rosenthal, project manager di Hildegard Lagrenne Stiftung, la più grande ong di Berlino che si occupa della minoranza – di cui 70mila con cittadinanza tedesca”. Al di ua delle Alpi sono 160mila, metà dei quali italiani mentre gli altri prevenienti da Romania o ex Jugoslavia. Di questi, stando al report di Associazione 21 Luglio “solo uno su cinque vive nei cosiddetti campi”. Una percentuale che corrisponde allo 0,06% della popolazione italiana, eppure “in Italia gli interventi pubblici restano mirati esclusivamente alla realizzazione di campi – continua Pagani – mentre sono assenti politiche per scolarizzazione (solo il 30% degli aventi diritto frequenta le scuole dell’obbligo, ndr) o formazione professionale”. A Milano, per esempio, dei 5,6 milioni di euro spesi dall’amministrazione per il Piano rom e sinti dal 2014 al 2015, 260mila erano destinati a scuola e lavoro mentre oltre 4 milioni alle espulsioni dagli insediamenti irregolari.
Berlino: “Non chiederemmo mai ai rom di vivere nei campi”
“Non chiederemmo mai ai rom di vivere in campi nomadi”, chiude Robin Schneider, responsabile dell’area Lavoro, donne e integrazione del Comune di Berlino. “No” ai campi rom perché, a suo dire, non permettono ai loro ospiti di diventare economicamente indipendenti. E infatti, quella della “Little Romania” di Neukölln è una soluzione difficilmente immaginabile in Italia. Qui, più di sette anni fa, si sono trasferiti circa 600 rom provenienti da Fontanelle, un piccolo centro vicino a Bucarest. “Vivevano in condizioni di massimo degrado – racconta Vesligaj – senza luce né elettricità e con la spazzatura fino al primo piano, visto che il proprietario dei condomini non pagava l’impresa di pulizie”. Tutto cambiò quando nel 2011 il complesso è stato comprato da una società immobiliare cattolica[4]. In pochi mesi la spazzatura è scomparsa e gli appartamenti sono tornati ad essere caldi e con acqua corrente. Inoltre, è stato portato avanti un lavoro di scolarizzazione e ricerca di posti di lavoro. La situazione attuale? A cinque anni di distanza, tutte le 134 famiglie pagano l’affitto, “per una media di 6 euro per metro quadrato al mese (contro una media berlinese di 7,98 euro, ndr)”, precisa la responsabile. Un progetto, quello del quartiere di Neukölln, che se pensato in Italia sarebbe sufficiente ad accogliere circa un terzo dei rom presenti sul territorio di Milano.
Bitonci: “Non credo nella mediazione. Andate a lavorare”
“Non credo nella mediazione con queste comunità”. È netta la posizione del sindaco leghista di Padova. “Le forme di mediazione non funzionano: per questo abbiamo eliminato i mediatori culturali e cancellato i contratti con le cooperative che portavano i bambini rom a scuola”. La scelta che è stata fatta a Padova rispetto ai campi nomadi è stata chiara fin dai primi giorni del mandato di Bitonci: raso al suolo “con le ruspe”, tiene a precisare il primo cittadino, il campo irregolare di via Bassette, con tanto di allontanamento dei suoi 150 occupanti. Ma, ruspe a parte, la novità introdotta dalla giunta della Lega Nord è un’altra: oltre ad avere assegnato cinque appartamenti a famiglie rom con minori, nel sistema padovano una variante urbanistica ha reso edificabili una decina di terreni dove già vivevano alcune famiglie rom, “che quindi potranno passare dalle baracche a casette più dignitose”, precisa Massimo Bitonci. Unica regola, secondo il sindaco sceriffo, che questi terreni possano accogliere poche persone e siano distribuiti per la città, in modo da non creare “pericolosi ghetti”. Auto-costruzione su terreni del comune per i cittadini italiani rom, quindi, e liste per le case popolari agevolate per i residenti a Padova da più di vent’anni. “I nostri cittadini non riuscivano mai ad avere le case popolari”, continua Bitonci. E se un rom padovano venisse a chiedere un aiuto economico in Municipio? “A volte sono venuti a parlarmi dei rom 30enni. ‘Ragazzi, a lavorare‘, gli ho risposto”.
Ue: “I fondi europei ci sono, basta sapere come utilizzarli”
A Berlino la gestione del complesso di appartamenti affittati ai rom è finanziata “sia dal comune che da fondi dell’Ue”, precisa Karmen Vesligaj. “La municipalità investe un milione di euro l’anno per l’inclusione dei rom – continua Schneider – cui si aggiungono 4 milioni che l’Ue dà direttamente alle ong che lavorano con questa comunità”. “I fondi europei ci sono, basta sapere come utilizzarli”, conferma Hyde dell’Ue. Peccato che in Italia la spinta delle amministrazioni ad utilizzarli a favore dei rom sia ancora debole “per il timore che risultino una categoria privilegiata”, precisa Opera Nomadi. Quale quindi la spesa italiana a supporto di questa minoranza? “A livello nazionale non esistono dati”, continua Pagani, mentre su Milano si può essere più precisi: sono circa 27 milioni di euro i fondi a cui il Comune ha avuto accesso dal 2008 ad oggi, tra investimenti propri e finanziamenti della Prefettura. Ma i soldi non bastano. “Senza un dialogo aperto con le comunità zigane, non sarà mai possibile nessun cambiamento”, chiude Pagani.
“Ma quale rom? A Berlino mi scambiano per italiana”
Secondo un report dell’Ue, in Italia, solo il 37% delle persone vorrebbe un collega rom, mentre il 75% delle notizie sui rom non presenta alcuna intervista a membri di questa comunità. Non da ultimo, manca una legge che li riconosca come minoranza linguistica. “Vi siete dimenticati che sono stati perseguitati durante il nazismo?”, commenta Ina Rosenthal ricordando come in Germania i rom siano diventati “minoranza discriminata” dagli anni Ottanta. “Noi vogliamo rimediare a quanto è stato fatto in passato e l’unico modo è lottare contro la discriminazione”, continua la project manager. Al suo fianco Èva Àdàm, 25enne rom che ha lasciato in Ungheria una famiglia di musicisti per trasferirsi a Berlino nel 2015. Annuisce Èva mentre si parla di estirpare la discriminazione. “I problemi possono nascere quando la gente viene a sapere le mie origini – racconta Àdàm – se cammino per la strada, invece, nessuno pensa che io sia rom. La maggior parte delle volte mi dicono ‘Ciao bella’, scambiandomi per italiana”.
Rom e Sinti: una situazione critica in tutta EuropaAnna Mazzone - 10 aprile 2015
https://www.panorama.it/news/esteri/rom ... tta-europaLa sparata di Matteo Salvini nella Giornata internazionale dei rom e dei sinti ha riaperto in Italia l'annoso dibattito sui campi nomadi. C'è chi, come il leader leghista, li vorrebbe "radere al suolo", e chi, invece, punta il dito sulla pessima gestione della situazione delle due minoranze, ghettizzate in bidonville lontane dal centro delle città e tenute ai margini della società.
Per parte loro, tanti appartenenti all'etnia rom arrecano un grave danno di immagine alla comunità lungo la strada dell'integrazine, rendendosi protagonisti di quotidiani atti criminali. Così la rabbia esplode e nel mirino dell'opinione pubblica si tende a fare di tutta l'erba un fascio, senza saper distinguere dove arrivano le responsabilità dello Stato italiano e dove iniziano quelle dei rom.
Ma come vengono gestiti i nomadi in Europa? Esistono negli altri Paesi dell'Unione dei "campi" per rom e sinti?. E qual è la reale situazione in Italia?. Se andiamo a guardare le cifre, ci rendiamo conto che nel nostro Paese la realtà è molto diversa da come viene spesso dipinta.
In Italia ci sono circa 180.000 persone di origine rom e sinti. Di questi, il 50% hanno nazionalità italiana e 4 su 5 vivono in regolari abitazioni, lavorano e studiano esattamente come gli altri cittadini italiani o stranieri nel nostro Paese. La piaga dei campi nomadi interessa 40.000 persone. Insomma, 1 rom su 5 vive in un campo. E già questo ridimensiona l'entità del fenomeno. Campi che non dovrebbero esserci, dal momento che più volte la comunità europea si è espressa in tal senso, promuovendo iniziative per l'integrazione delle etnie, che vivono sparpagliate un po' in tutta Europa.
Nell'Unione europea vivono più di 10-12 milioni di rom. Decine di migliaia sono scappati dai Paesi dell'Est per motivi di povertà e discriminazione. Ma, secondo un allarme lanciato dal tedesco Der Spiegel, finora l'Europa ha completamente fallito nell'aiutarli e nell'integrarli, nonostante gli ingenti fondi destinati a questo scopo. Basti pensare che per gli anni dal 2014 al 2020 Bruxelles ha stanziato 343 miliardi di euro a tutti gli Stati membri per investire in "capitale umano" e coesione sociale. I Paesi membri possono decidere in base alle loro necessità quale quota destinare per l'integrazione delle comunità rom e sinti. Vediamo la situazione Paese per Paese.
Spagna
La Spagna è il Paese europeo che registra la più alta presenza di rom e sinti, sono circa 750.000, l'1.6% della popolazione. E Madrid rappresenta anche un modello per gli altri Paesi dell'Ue: non ci sono campi nomadi e il processo di integrazione tra popolazione locale e minoranze etniche è molto avanzato, anche se continuano a esserci delle criticità, soprattutto nel settore dell'istruzione, che vede i bambini rom andare in massa all'asilo e alle elementari e poi scomparire per tutto il restante arco scolastico. Nel campo della sanità la Spagna si distingue come esempio positivo. Il ruolo chiave è svolto dai "mediatori sanitari", che lavorano per migliorare l'accesso e le condizioni sanitarie dei rom di Spagna. Viene chiamato "modello Navarra", dal nome della provincia che per prima ha fatto passi in tal senso diversi anni fa. All'interno del programma per il fondo sociale europeo (ESF) per la lotta alla discriminazione, la Fondazione Secretariato Gitano gioca in Spagna un ruolo chiave per l'integrazione sociale e lavorativa delle comunità rom e sinti.
Francia
In Francia vivono circa 400.000 rom. A gennaio del 2013 il governo si è impegnato per risolvere le diseguaglianze tra le comunità in campo sanitario, riducendo le barriere finanziarie per avere accesso al sistema sanitario nazionale. In campo lavorativo la città modello di integrazione rom è Lione. Qui il progetto Andatu ha mobilitato forze locali, civili e nazionali, coinvolgendo anche l'Ue e utilizzando fondi erogati dalla Commissione per migliorare l'accesso al lavoro per rom e sinti e l'accesso alle case pubbliche. In più, vengono offerti gratuitamente corsi di lingua francese, periodi di training professionale e supporto piscologico per l'inserimento. Il Fondo sociale europeo ha lanciato il programma di Lione finanziandolo con 350.000 euro, ma si prevede che la cifra salirà a 1.2 milioni di euro quest'anno.
Danimarca e Svezia
Secondo il rapporto del Fondo sociale europeo 2014, Danimarca e Svezia sono dei modelli per l'integrazione di rom e sinti nel campo dell'istruzione. In Danimarca il progetto Hold on tight Caravan, finanziato dal ministero per l'Educazione, promuove l'integrazione dei giovani appartenenti a minoranze etniche e il loro inserimento nel mondo del lavoro. Il progetto è partito nel 2009 e l'Europa ha contribuito con 3.214.000 milioni fino al 2013. Oggi in Danimarca un numero sempre più alto di studenti rom e sinti ha accesso alle università e al servizio pubblico di scuola superiore. In Svezia l'associazione per l'educazione in età adulta con sede a Goteborg offre borse di studio e supporto finanziario ai rom che non sono riusciti ad andare a scuola.
Germania
In Germania vivono circa 120.000 rom. Il Paese è preso a modello per l'integrazione "abitativa" delle comunità rom e sinti. Secondo l'ultimo rapporto del Fondo sociale europeo a Berlino il progetto Task Force Okerstraße garantisce che rom e sinti vengano accettati dai loro vicini e pienamente integrati nella comunità, a cominciare dal quartiere dove trovano casa. Alle famiglie rom di Germania viene assicurato supporto legale nel rapportarsi con le autorità e vengono incoraggiate diverse attività sociali che coinvolgono i bambini.
Repubblica Ceca e Slovacchia
Qui vivono circa 700.000 rom e sinti, principalmente in Slovacchia dove la popolazione delle due minoranze etniche raggiunge il 9%. La Repubblica Ceca rappresenta un modello di integrazione dal punto di vista medico-sanitario. Ai dottori cechi vengono tenuti dei corsi base per relazionarsi nel modo più appropriato con le minoranze, con un occhio alla loro cultura e alle loro conoscenze in campo medico. Mentre la Slovacchia ha appena approvato un emendamento alla sua legge anti-discriminazione con il quale vengono introdotte misure specifiche per ridurre le diseguaglianze che colpiscono le comunità rom e sinti, puntando a migliorare la loro condizione nel campo del lavoro, dell'istruzione, della sanità e del sistema pensionistico, oltre a permettere loro libero accesso a beni e servizi in tutto il Paese.
Gran Bretagna
Nel Regno Unito ci sono circa 250.000 rom e sinti, che potrebbero essere espulsi o perdere i benefici sociali di cui godono qualora entrasse pienamente in vigore la legge voluta dal premier David Cameron per limitare garanzie (e accesso) ai cittadini europei che si trasferiscono in Gran Bretagna. Qui la situazione e l'opinione pubblica sono simili a quelle italiane. I gruppi che si occupano di diritti umani e civili hanno lanciato l'allarme sui pregiudizi anti-rom nel regno Unito dopo una serie di rapimenti di bambini che ha sconvolto il Paese.