La Storia dei veneti contà da Edoardo Rubini e Ouropa Veneta

Re: La Storia dei veneti contà da Edoardo Rubini e Ouropa Ve

Messaggioda Berto » mer ott 29, 2014 8:28 am

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http://www.europaveneta.org/areacultura ... igini.html


Le origini

Analizzando la struttura giuridica dell'antica società venetica è possibile avere un'immagine dell'evoluzione del diritto veneto attraverso i millenni, dato che tante norme consuetudinarie d'età medievale si caratterizzano come la sopravvivenza di istituti d'epoca remota.
Le scuole storiche polacca e ceca riconducono l'etnogenesi dei Veneti all'humus della Civiltà di Lusazia, che si sviluppò tra il 1500 ed il 1100 a.C. nell'omonima regione posta a sud di Berlino, tra la Germania Orientale, la Cechia e la Polonia. Da essa si sviluppò il movimento di civilizzazione che dilagò in larga parte d'Europa, promosso non da conquiste militari, ma da una nuova visione spirituale del mondo; infatti, i primi Veneti furono conosciuti come portatori dei campi di urne (Urnenfelder), in riferimento all'uso introdotto nella ritualità funeraria di bruciare i defunti prima di riporre i loro resti sotto terra, all'interno di vasi sacri. Anche in Italia, alcuni eminenti studiosi di storia e di linguistica hanno seguito questa impostazione di fondo: Devoto, Battaglia, Sergi; di tutto questo, però, l'Università italiana non ha ancora preso atto, poiché resta ancorata a una visione statalista della storia, in larga misura tributaria al mito della romanità. Ad importanti esiti conducono invece le ricerche di studiosi stranieri, cui non è sfuggita la pregnanza culturale dell'argomento; alcune considerazioni svolte di recente da Jozko Šavli inseriscono gli istituti giuridici alto-medievali (che vedremo poi descritti da Lujo Margetic)in una prospettiva ancor più profonda, caratterizzata dalla straordinaria continuità nel tempo della società veneta.

"È sorprendente scoprire che la donna venetica dell'Europa Centrale - a differenza di quella germanica - possedeva la capacità giuridica e la capacità di agire. Così, lo Sachsen Spiegel (specchio sassone) del 1275 - il libro giuridico tedesco - enumera tra i soggetti giuridici: Dio, il Re, il Duca, il Conte, lo Sachese (l'uomo sassone), il Wende, e la Wendin (l'uomo e la donna veneti) ". " I popoli di origine venetica, pur parlando assieme ad altri lingue indoeuropee, si differenziano per la loro matrice preistorica in modo decisivo dagli altri popoli indoeuropei. L'organizzazione sociale dei popoli venetici, già da tempo immemorabile è formata dalla comunità del villaggio, con campi divisi che appartengono alle singole famiglie. Quella dei popoli celtici e germanici era, invece, formata dalle comunità di parentela (in tedesco: Sippe), mentre nell'Europa meridionale dominava la grande famiglia, o clan. In modo simile, la grande famiglia - detta "produttiva" - era tipica anche presso i Latini e gli antichi Greci, che la chiamavano Ergasterion; essa si basava sull'autorità assoluta del padrone (patria potestas). La famiglia venetica era invece basata sull'autorità sia del padre che della madre. La discendenza della stirpe poteva continuare, con tutto il lascito dell'eredità, sia in linea maschile che in linea femminile ". " La donna nella società venetica aveva pari diritti dell'uomo, la sua significativa posizione deriva dalla precedente cultura matriarcale preindoeuropea".

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... ianco1.jpg

L'ingresso delle Venetiae nel sistema istituzionale di Roma avvenne in età augustea con il riconoscimento delle città venete come municipia: ai Veneti era garantito il sostanziale autogoverno del loro territorio, attraverso organi di nomina locale. Dopo la caduta dell'Impero, un altro passaggio denso di implicazioni per i successivi sviluppi in campo giuridico-istituzionale è rappresentato dal periodo immediatamente anteriore alla costituzione ufficiale della Repubblica avvenuta con l'elezione del primo Doge, Paoluccio Anafesto. Tra i tanti grandi intellettuali veneti del Settecento, Vettor Sandi ebbe il merito di tracciare la storia della nostra Repubblica alla luce dell'evolversi delle sue istituzioni; egli potè così acquisire con metodo scientifico - al tempo in cui il nostro popolo era ancora libero - una serie di importanti riferimenti storici.
"Ripugnava alla verità donar supposti fantastici alla nazione": con tale frase egli suggellò l'impresa di confutare il fondamento storico dell'atto di fondazione della città fatto risalire al 25 marzo 421, data che per secoli era stata osservata come verità indiscussa e fatta quasi oggetto di venerazione . La Repubblica, dunque, rinunciò a questo dogma e recepì le notevoli scoperte di questo studioso, il quale spese in questi studi larga parte della sua vita. Relativamente al periodo anteriore all'anno Mille, l'assunto fondamentale dell'opera Principj di Storia Civile è la nascita della Veneta Repubblica in forma di totale indipendenza sia dall'Impero bizantino, sia da quello germanico. Si tratta di un indirizzo che è stato messo frettolosamente da parte dalla storiografia moderna: eppure meriterebbe di essere approfondito.


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Ad importanti esiti conducono invece le ricerche di studiosi stranieri, cui non è sfuggita la pregnanza culturale dell'argomento; alcune considerazioni svolte di recente da Jozko Šavli inseriscono gli istituti giuridici alto-medievali (che vedremo poi descritti da Lujo Margetic)in una prospettiva ancor più profonda, caratterizzata dalla straordinaria continuità nel tempo della società veneta.

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"È sorprendente scoprire che la donna venetica dell'Europa Centrale - a differenza di quella germanica - possedeva la capacità giuridica e la capacità di agire. Così, lo Sachsen Spiegel (specchio sassone) del 1275 - il libro giuridico tedesco - enumera tra i soggetti giuridici: Dio, il Re, il Duca, il Conte, lo Sachese (l'uomo sassone), il Wende, e la Wendin (l'uomo e la donna veneti) ". " I popoli di origine venetica, pur parlando assieme ad altri lingue indoeuropee, si differenziano per la loro matrice preistorica in modo decisivo dagli altri popoli indoeuropei. L'organizzazione sociale dei popoli venetici, già da tempo immemorabile è formata dalla comunità del villaggio, con campi divisi che appartengono alle singole famiglie. Quella dei popoli celtici e germanici era, invece, formata dalle comunità di parentela (in tedesco: Sippe), mentre nell'Europa meridionale dominava la grande famiglia, o clan. In modo simile, la grande famiglia - detta "produttiva" - era tipica anche presso i Latini e gli antichi Greci, che la chiamavano Ergasterion; essa si basava sull'autorità assoluta del padrone (patria potestas). La famiglia venetica era invece basata sull'autorità sia del padre che della madre. La discendenza della stirpe poteva continuare, con tutto il lascito dell'eredità, sia in linea maschile che in linea femminile ". " La donna nella società venetica aveva pari diritti dell'uomo, la sua significativa posizione deriva dalla precedente cultura matriarcale preindoeuropea".

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"È sorprendente scoprire che la donna venetica dell'Europa Centrale - a differenza di quella germanica - possedeva la capacità giuridica e la capacità di agire. Così, lo Sachsen Spiegel (specchio sassone) del 1275 - il libro giuridico tedesco - enumera tra i soggetti giuridici: Dio, il Re, il Duca, il Conte, lo Sachese (l'uomo sassone), il Wende, e la Wendin (l'uomo e la donna veneti) ". linea femminile ".

Wende e Wendin = venedi/veneti ???

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L'organizzazione sociale dei popoli venetici, già da tempo immemorabile è formata dalla comunità del villaggio, con campi divisi che appartengono alle singole famiglie. Quella dei popoli celtici e germanici era, invece, formata dalle comunità di parentela (in tedesco: Sippe), mentre nell'Europa meridionale dominava la grande famiglia, o clan. In modo simile, la grande famiglia - detta "produttiva" - era tipica anche presso i Latini e gli antichi Greci, che la chiamavano Ergasterion; essa si basava sull'autorità assoluta del padrone (patria potestas). La famiglia venetica era invece basata sull'autorità sia del padre che della madre. La discendenza della stirpe poteva continuare, con tutto il lascito dell'eredità, sia in linea maschile che in linea femminile ". " La donna nella società venetica aveva pari diritti dell'uomo, la sua significativa posizione deriva dalla precedente cultura matriarcale preindoeuropea".


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E i mile ani del mexoevo veneto-xerman endove xeli, endove li gavio sconti?

Se le done veneteghe-venesiane-venete le jera conpagne de li omani col memo poder e aotorità, parké no le se cata entel major consejo e ente le istitusion statali venesiane?

Moleghela co sti endouropei e priendouropei ke no li ghè mai stasti, le xe categorie enventà par coverxar buxi de gnoransa e no le xe reali e storegamente existeste!
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: La Storia dei veneti contà da Edoardo Rubini e Ouropa Ve

Messaggioda Berto » mer ott 29, 2014 10:52 pm

Wendi o Venedi

http://it.wikipedia.org/wiki/Venedi

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I Venedi o Vendi (in antico inglese Winedas, in antico norvegese Vindr, in tedesco Wenden e Winden, in inglese Wends o Wendish, in danese vendere, svedese vender) erano le popolazioni di slavi occidentali che confinavano con i Germani (tra le odierne Germania, Polonia e Boemia) o che vivevano entro i confini delle odierne Germania ed Austria, dove si erano stabiliti dopo il periodo delle invasioni (???).
Non si trattava di popoli omogenei, ma di popolazioni, tribù e gruppi etnici diversi nel tempo. Si ritiene che i popoli germanici abbiano all'inizio indicato con il nome di Venedi i Venedi della Vistola, per poi usarlo, invece, dopo il periodo delle invasioni barbariche, per i loro nuovi vicini orientali: gli Slavi. Per gli Scandinavi dell'età medievale, i Venedi erano gli Slavi della costa orientale del Mar Baltico, ma in seguito anche popoli come gli Obodriti, i Rugi slavi, i Veleti e le tribù della Pomerania. Per i Sassoni dell'area settentrionale del Sacro romano impero erano gli Slavi che vivevano a ovest del fiume Oder come i Polabi, i Sorbi e i Milceni. I Germani del sud, invece, definivano Venedi i popoli della Bavaria slava o gli Sloveni. Col tempo le terre dei Venedi furono progressivamente inglobate dalle popolazioni germaniche e oggi gli unici due gruppi definiti Venedi sono i Sorbi della Lusazia (Germania orientale]) e i Casciubi della Pomerania (Polonia settentrionale).
I territori di influenza slava vennero poi rotti da alcuni grandi eventi, quali la colonizzazione germanica del Danubio, la distruzione del regno avaro, l'immigrazione e lo stanziamento dei Magiari (di stirpe uralo-altaica).
Nel 1169, durante il periodo delle Crociate del Nord, le forze danesi, guidate dal vescovo Absalon e da Re Valdemaro I, condussero una campagna contro i Venedi con l'obiettivo di porre fine alle loro incursioni e di convertirli al Cristianesimo: i danesi presero e distrussero la loro più importante roccaforte a Capo Arkona, distruggendo tra l'altro la statua del loro dio Svetovid. Successivamente riuscirono a vincere anche le residue resistenze, sconfiggendo e annettendo definitivamente tale popolazione.
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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... Vineta.jpg

Vineta
http://it.wikipedia.org/wiki/Vineta
Vineta (anche Jumme o Jumneta) è una città leggendaria. È descritta come la città commerciale più potente della costa baltica dal X al XII secolo.
Secondo la leggenda fu fondata nel 500 dai vichinghi norvegesi o dagli slavi.
Essi erano vincolati da un regolamento che imponeva loro la pace all'interno ma li costringeva a difendere la città dagli esterni fino alla morte[senza fonte]. Il commercio era la principale fonte di reddito, ma i guerrieri della città erano mercenari e si mettevano al servizio di chiunque li pagasse per combattere per lui.
La storia è raccontata in un testo del 1240 circa, la Jómsvíkinga saga. Vineta combatté duramente contro il re di Svezia, Norvegia e Danimarca tra il 980 e il 1150, ritardando così la cristianizzazione della Scandinavia.
La leggenda vuole Vineta sprofondata nel mare in seguito ad un uragano, provocato, secondo testi cristiani, dalla credenza nell'immoralità del popolo della città.

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/c ... aPlatz.JPG

Cfr. co:

Venta
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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... -Venta.jpg



Veneto:etimoloja, xenetega e storia
viewtopic.php?f=134&t=24


No tuti sti nomi łi xe varianse de l’etnego Veneto/Veneti
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... lFTmM/edit

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... Veneta.jpg
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Re: La Storia dei veneti contà da Edoardo Rubini e Ouropa Ve

Messaggioda Berto » dom mag 17, 2015 10:10 am

La Repiovega Veneta a domegno venesian no ła jera federal
viewtopic.php?f=167&t=1602
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Re: La Storia dei veneti contà da Edoardo Rubini e Ouropa Ve

Messaggioda Berto » mar ago 04, 2015 1:37 pm

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Da Europa Veneta
http://venetostoria.com/2015/07/12/i-ti ... -ai-veneti

I TIGLI SACRI AI VENETI

A volte abbiamo pensato che i liberali, leggendo della vita politica che si svolgeva sotto il tiglio nel Medioevo nelle nostre zone, si siano fatti allora venire l’idea dell’ “albero della libertà”.

Europa Veneta In effetti, Jozko Savli, scrisse a questo riguardo nel libro, scritto nella sua lingua madre, “Slovenija, podoba evropskega naroda” (di cui Europa Veneta ha curato l’edizione in italiano dal titolo “Slovenia, immagine di una nazione europea”).
Nella sua biblioteca, T. Jefferson, l’estensore della Dichiarazione d’Indipendenza degli U.S.A (1776), teneva un esemplare del volume “Les Six Livres de la Republique”, scritto da Jean Bodin (Parigi 1576), che contiene la descrizione dell’insediamento dei Duchi di Carinzia – Forme d’investir le Duc
de Carinthie. Bodin comincia con le parole: “niente può essere paragonato a questo rito…”.

A volte abbiamo pensato che i liberali, leggendo della vita politica che si svolgeva sotto il tiglio nel Medioevo nelle nostre zone, si siano fatti allora venire l’idea dell’ “albero della libertà”.
Fatto si è che nel libro di Ferruccio Clavora “Od duoma…” a pag. 41 si precisa che durante la seconda dominazione francese (1806-1814) l’amministrazione voluta da Napoleone in Friuli fece piazza pulita delle tradizioni locali, come aveva già fatto in tutto il Veneto: “in particolare furono abolite tutte le particolarità locali e si impose un modello di vita sociale ed amministrativa molto centralizzato.
Furono abolite le vicinìe – sosednje, i tigli furono tagliati e le tavole di pietra distrutte. I simboli delle antiche Banche [in veneziano “banca” sta per “organo direttivo”], segni storici delle grandi capacità democratiche, di autogoverno e di solidarietà delle genti della Slavia Veneta venivano arbitrariamente cancellati con la forza della prepotenza”.

Si può dire che fosse l’anticipo di quello che capiterà con l’unitarismo italico.

La morale che dalla storia possiamo trarre è che in costanza di una Civiltà intrisa di fede Cattolica si siano sviluppati, specie durante il tanto vituperato Medioevo, le massime strutture democratiche in varie parti d’Europa, mentre con il dominio liberal-massonico instaurato dal Regno d’Italia napoleonico prima, e dal Regno d’Italia savoiardo poi, si sia passati ad una libertà solo nominale ed ideologica, che significava l’eliminazione della Tradizione Cattolica e delle identità locali che ad essa s’ispiravano. Al loro posto si instauravano oligarchie occulte, che da tale falsa libertà ideologica hanno tratto non piccola parte della loro forza.


Me despiaxe tanto ma no a ghe entra par gnente el catołiçexemo co ła democrasia comounal de orexene mexoeval e co łi arbari secołari o sagri endoe ke ła xente del comoun ła se radounava; el catołiçexemo no lè ła fonte de ła democrasia comounal, ansi ła so strutura ła jera arestogratega e castual e contro ła democrasia comounal e popolar; par ła jerarkia catołega i arbari sagri łi jera considerà resti pagani del demogno. Sto stemo contar bàłe.

Culto degli alberi sotto la croce
http://www.nemetonruis.com/alberi_cristianesimo.htm

Quando i cristiani iniziarono la loro opera di conversione delle popolazioni pagane, la prima cosa che fecero fu quella di vietare il culto che tali popolazioni riservavano agli alberi e conseguentemente, quello di distruggere le foreste sacre.
Le prove di tale furioso accanimento contro gli alberi si trovano nelle loro stesse agiografie; infatti possiamo portare come esempio gli anatemi dei concili provinciali, quello di Arles che nel 452 d.C. proibiva l'adorazione degli alberi, delle fonti e delle pietre; quelli di Tours e di Nantes, rispettivamente del 567 e 568 che si accanirono contro quelle persone che celebravano riti sacrileghi all'interno dei boschi e contro gli alberi consacrati al demonio.
L'accanimento contro gli alberi durò per gran parte del Medioevo, durante il quale i parroci rimproveravano ed in seguito mettevano a morte, le persone che portavano offerte agli alberi, che innalzavano altari sulle loro radici e che richiedevano la protezione per la propria famiglia e per i propri beni intonando a loro dei lamenti.
Il culto degli alberi durò fino al medioevo inoltrato nonostante la chiesa si diede un gran da fare già prima del 400, infatti il più noto persecutore dei boschi fu un tale San Martino il quale, come ci racconta Suplicio Severo; durante un suo viaggio passò nei pressi di Atun dove dopo aver abbattuto un bosco sacro si apprestava ad abbattere un grosso Pino nei pressi di un santuario. La storia ci narra che Martino incontrò la resistenza del sacerdote locale e della popolazione ancora pagana; i quali lo attaccarono dicendogli: " se hai un po' di fiducia nel Dio che dici di onorare, abbatteremo noi quest'albero che cadrà su di te, se il tuo signore è con te, come dici, sfuggirai".
Martino acconsentì e si fece legare nel punto previsto; poi quando l'albero stava per crollare si fece il segno della croce e l'albero lo sfiorò di un soffio senza toccarlo, il miracolo ovviamente convertì in massa i villici.
Dopo San Martino, l'opera distruttiva venne proseguita dal suo discepolo San Maurilio vescovo di Angers, il quale nel tentativo di evangelizzare il Comminges diede fuoco al bosco sacro che una volta distrutto fu consacrato a San Pietro.
Indicativa è anche la storia di San Germano vescovo di Auxerre (388÷348), il quale andò a Roma per studiare la retorica ed il diritto, conquistando una tale fama che l'imperatore Onorio lo nominò governatore di Borgogna, di cui Auxerre è la capitale.
Nel centro città si innalzava un enorme Pino, a cui Germano appendeva le teste degli animali uccisi durante la caccia.
Accadde che il vescovo Amatore, santo pure lui, gli rimproverò che tale usanza era idolatria e che era di cattivo esempio per i pagani nonché offensivo per i cristiani, intimandogli di abbattere l'albero; ma ottenne solo un diniego, così dovette provvedere lui stesso.
L'abbattimento dell'albero fece andare su tutte le furie Germano, che si dimenticò di essere cristiano e a capo del suo esercito si diresse contro il vescovo Amatore il quale fu costretto a rifugiarsi ad Autun.
Ovviamente, essendo un racconto cristiano, la storia finisce con Amatore che torna ad Auxerre e con l'inganno rinchiude Germano all'interno della chiesa, dove gli pratica la tonsura e gli promette che sarebbe diventato il suo successore, così come gli fu comunicato dallo spirito santo in persona, a tale annuncio Germano acconsentì e diventò santo.
Il culto degli alberi era talmente radicato da sopravvivere anche in grandi città nonostante secoli di guerra contro di esso da parte di santa romana chiesa, figuriamoci nelle zone rurali.
Tale guerra ovviamente non si limitava solo alla Gallia ma anche ai paesi di origine germanica, come dimostrato da San Bonifacio che nel convertire i germani abbatté la quercia Geismair, consacrata a Thor.
Anche Carlo Magno continuò questa infame opera, infatti nel 772, durante una missione punitiva contro gli Angari, distrusse il santuario pagano dove veniva venerato Irminsul, un gigantesco tronco d'albero che nelle credenze pagane aveva il compito di sostenere la volta celeste.
Nel 789 fu pubblicata un'altra condanna contro gli stolti che accendevano candele e praticavano superstizioni sotto alberi, pietre e sulle fonti.
Nonostante tutto il culto degli alberi si perpetuò per altri numerosi secoli, prova di questo è la storia del vescovo Anselmo che nel 1258 a Sventanistis ordinò l'abbattimento di un'enorme quercia sacra; ma la sua forza e resistenza era talmente alta che l'ascia rimbalzò sul tronco colpendo mortalmente il boscaiolo, a quel punto il vescovo in persona prese l'ascia, ma anche lui non riuscì a far nulla, così ordinò che l'albero fosse bruciato.
Notizie del genere si hanno anche un secolo dopo, dove, tra il 1351 e 1355 a Romuva, in Prussia, su richiesta del vescovo Giovanni I, il gran maestro dei cavalieri della croce fece segare una quercia sacra sotto la quale si radunava la popolazione per pregare.
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Re: La Storia dei veneti contà da Edoardo Rubini e Ouropa Ve

Messaggioda Berto » ven ago 28, 2015 12:21 pm

Anca mi, ani endrio, ke jero pitosto crueto de storia, me jero fato ciapar da coel kel contava Rubini e ente sta paxena de rengaura, so wikipedia, se pol lexar le parole de Rubini ke ghevo cavà fora da on so livro, a ke li ani me firmavo Paolo Sarpi; se fuse deso no lo rifaria pì ... pì soto se cata do me enterventi creteghi "Incongruenze e La Repubblica Veneta non era uno stato federale" a nome Alberto Pento e ghè na bela difarensa co coeli de Paolo Sarpi. A pensarghe me vien na sciantina de vargogna.

https://it.wikipedia.org/wiki/Discussio ... o_federale

Incongruenze
La voce Repubblica di Venezia riguarda la forma che lo Stato dei veneti lagunari o della Venezia marittima a partire dal XII°secolo, quando il dogado veneziano si trasformò da ducato monarchico a comune ed iniziano così le istituzioni repubblicane. Prima di questo periodo non si può parlare di Repubblica di Venezia ma di uno Stato Veneziano a regime dogale monarchico. Per il periodo precedente, circa due secoli, quando l'area lagunare della Venezia marittima era dominio bizzantino non si può parlare di Stato Veneziano o di dogado veneziano ma si deve parlare di Venezia marittima provincia bizzantina i cui dogi era funzionari bizzantini nominati da Bizanzio attraverso l'esarcato di Ravenna e probabilmente di origine bizzantina greco-armena e non veneta stante ai loro cognomi. Nell'VIII° secolo le province bizzantine italiane furono trasformate in ducati i cui dogi divennero di nomina venetica per concessione imperiale che trasferì ai veneti lagunari la potestà di nominare o eleggere i dogi. Alberto Pento --79.38.249.59 (msg) 09:57, 28 ago 2015 (CEST)

La Repubblica Veneta non era uno stato federale
Non si può dire che la Repubblica di Venezia fosse uno stato federale poiché la sovranità apparteneva soltanto all'aristocrazia veneziana riunita nel Maggior Consiglio della città di Venezia; le comunità di terra e di mare, dette domini, godevano sì di una certa autonomia amministrativa ma non erano politicamente sovrane, pertanto siccome il "concetto federale" si attribuisce alla sovranità politica, non si può attribuirlo all'autonomia amministrativa. Basta il semplice confronto con lo Stato Italiano che non è uno stato federale ma centralizzato la cui sovranità politica è del Parlamento (dove esercitano la sovranità i rappresentanti eletti dai cittadini), mentre gli altri enti territoriali hanno soltanto funzioni e autonomie amministrative. I due livelli, politico e amministrativo non vanno confusi. Alberto Pento --79.38.249.59 (msg) 10:21, 28 ago 2015 (CEST)


Rubini lè responsabile de ver contà robe no vere, de ver fato pì edeoloja ke storia. Ma xe responsabili tuti li storeghi ke li ga contà bale o no contà gnente, speçalmente coeli taliani; cusì a ghemo dovesto ranjarse par catarse fora la storia contà mal o non contà da staltri e co se se ranja se pol anca xbajar e se enpara purpio xbajando.
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Re: La Storia dei veneti contà da Edoardo Rubini e Ouropa Ve

Messaggioda Berto » mer ott 21, 2015 7:23 am

???

NON POSSIAMO NON DIRCI…VENETI E VENEZIANI, l’identità delle Venezie.
20 ottobre 2015 di Millo Bozzolan

Di Edoardo Rubini.

LA REPUBBLICA E’ VENETA.

http://venetostoria.com/2015/10/20/non- ... le-venezie


Ha ragione che che senza ancorarsi alle radici solide del nostro passato non si va da nessuna parte. La Repubblica, però, era dei Veneti intesi come genti affini etnicamente nell’area alpino-adriatica (attuali Veneto, Lombardia Orientale, Friuli Venezia Giulia, Istria), che condividevano praticamente tutto: origini, affinità linguistica, tradizioni, orientamento religioso, ecc.

A questo contesto assai omogeneo, si accostavano altre etnie, che si riconoscevano nello Stato Veneto per ideali altissimi, cioè i valori spirituali ed il senso di Giustizia, in una parola la Civiltà Veneta. Faccio riferimento alle genti della Costa Dalmatica, all’area greca, ad altri possedimenti meno duraturi come quelli in Puglia, ecc. Si è tante volte paragonata Venezia con Roma, specie nel Ventennio, ma senza convincere.

Si è parlato di “Città Stato”, ma bisogna intendersi. Nell’antichità tutto il potere politico, con le inevitabili varianti, era organizzato in base ad un legame Città-Terra circostante (in altri luoghi c’erano p.e. i feudi, foma diversa per concezione dalle Terre di San Marco, ma dalle medesime dimensioni). In pratica, dicevo, specie nel Medioevo Cristiano l’autonomia locale era una regola.

La Veneta Serenissima Repubblica era nonostante questo uno Stato Territoriale, pur essendo a base federale. Non era una Città-Stato. Roma fu un Impero, almeno negli ultimi secoli, perché aveva conquistato con la forza altri territori. Venezia si mosse sempre in modo diverso, annetteva ciò che le interesseva, ma attraverso il consenso e la trattativa. Le nuove comunità chiedevano in determinate circostanze la “dedizione” ritenendo che ciò convenisse ai loro interessi. A tal fine inviavano i loro ambasciatori a Venezia portando gli Statuti locali, la Repubblica li approvava talvolta con lievi modifiche, si accordava su tasse, privilegi, leva militare, poi affermava la prorpia sovranità con terre che nella forma erano Dominii, ma nella pratica erano soci.

Come ho scritto in precedenza, Venetia vuol dire terra dei Veneti (anticamente la Urbs Venetorum si chiamava Rivoalto). L’idea che fosse una città-stato si è sviluppata nell’800, quando il Regno d’Italia voleva presentarsi come stato solido e maturo, mentre Venezia era dipinta come la dominatrice furba e opportunista. Le cose stanno altrimenti: lo Stato italiano si è affermato con mere annesioni imponendo ogni trasformazione sociale e ogni scelta politica, mentre Venezia ha sempre rispettato la Tradizione, propria e altrui.

Sul piano etnico, poi, va detto che i Veneti nell’Antichità furono un popolo importante, esteso su vaste aree d’Europa. Il Dogado Veneto nasce come sulla base di una precedente confederazione costituita nel 466 sulla fascia costiera adriatica da Grado a Cavarzere, che sempre si mantenne indipendente dalla caduta dell’Impero Romano in avanti, resistendo a tutti, Longobardi, Franchi, Arabi, Normanni, Turchi, ecc. Solo in periodo gotico furono associati a quel Regno (ma governandosi da sé, come mostra la famosa lettera di Cassiodoro ai Tribuni marittimi, anno 537 circa) e poi ponendosi nell’area d’influenza bizantina, che però in nessun modo intaccò la Veneta Sovranità.

Tra il VI ed il XIII (quando Bisanzio cadde) la Venetia Maritima non era intesa come un ambito urbano, ma come un ambito lagunare, un’unione di 12 centri da Grado a Cavarzere (cfr. Giovanni Diacono). Questa Civiltà non era di origine romana, ma era la continuità della Civiltà precedente, generatasi nell’Età del Bronzo. Si può concludere che la nascita di nuova Repubblica Veneta in tutto e per tutto rappresenterebbe la ripresa della legittima sovranità della precedente Repubblica Veneta (nei documenti la Repubblica prediligeva proprio il termine “Veneto”, in senso di Nazione). Il dimensionamento della Repubblica come “marinara” o “città stato” è un artifico retorico inventato dal nazionalismo italiano per intuibili ragioni.


Coante ensemense kel conta Rubini!

Ente ła lagouna, al termene de l'enpero roman, no ghe jera gnaona confederasion endipendente, łi jera teritori sojeti a Bixansio. La Repiovega Veneta no ła jera federal e de tuti i veneti ma lomè dei venesiani e staltri veneti de tera e łe xenti dei so domegni de mar łi jera suditi e lè termenà co Napoleon purpio par sto fato, par sta so granda pèca, ke i venesiani, l'arestograsia venesiana egoista, no ła ga mai volesto corexar. Le xenti istriane no łe jera venete ma "istriane" anca se longo i secołi de domegno venesian se ga trasferio live na megnoransa de xenti venete e anca se na parte de le xenti "istriane" ła ga scuminsià a parlar anca veneto; cusì en Dalmasia, en Lonbardia e ente tuti i domegni venesiani de mar.



No, mi so' veneto vixentin, no' son venesian e gnanca markesco
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La Repiovega Veneta a domegno venesian no ła jera federal, no ła gheva gnente de federal
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La fede en Cristo Dio e San Marco no te porta l'endependensa
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I veneti ke nega e falba ła storia veneta
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Ƚe colpe, ƚe responsabeƚetà e ‘l tradimento dei venesiani
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Ła Serenisima no ƚa pol tornar parké lè na espariensa pasà
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Ła Repiovega Veneto Venesiana lè termenà ente 1797 el 12 de majo:
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Ƚe colpe, ƚe responsabeƚetà e ‘l tradimento dei venesiani
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El Parlamento Arestogratego Venesian
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El Comoun Venesian e ła Concio
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I Duki o Doxi de ła tera veneta:
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I Duki o Doxi e łe grandi fameje venet-xermagne:
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Mexoevo - ognefegansa połedega de l'ara veneta:
viewforum.php?f=184

El stado veneto a domegnansa venesiana
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Periodo o ani o secołi veneto-venesiani - 400 ani (Stato-Repiovega Veneta de Tera e de Mar):
viewforum.php?f=138

Cosa tor da l'espariensa pasà de ła tera veneta:
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El sogno mito dei Serenisimi - Venesia e i so limiti
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Veneti ke łi sogna na nova Repiovega Arestogratega
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El mito de Venesia lè n'entrigo par l'endependensa veneta
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On novo Veneto
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Re: La Storia dei veneti contà da Edoardo Rubini e Ouropa Ve

Messaggioda Berto » lun nov 21, 2016 11:21 pm

RUBINI RISPONDE E FEDERICO MORO, SU LISSA E I VENETI NEGATI
lunedì 21 novembre 2016

Tosati, ea ze longa la nota, ma piacevole da lezer e quindi ve consiglio de tegnerla in memoria e lezerla magari a tocheti. Mi la meto anca ne la nova pagina Gualtiero Scapini dedicà a la difesa de la verità dei fati storici riguardanti ea Nazion veneta.

https://dalvenetoalmondoblog.blogspot.i ... ref=fb&m=1



Caro Federico,
trovo utile che tu discerna le varie questioni: una per volta, ti dimostrerò come si possa usare la ragione nel trattare la storia. Mi pare tu faccia grande fatica a comprendere ciò che ti è stato ben spiegato, anche da Renzo Fogliata e da Massimo Tomasutti, quindi non ho la pretesa di aver più successo di loro.
Lascerò il tuo testo in forma normale, il mio lo metterò in maiuscoletto e blu per distinguerlo.

Caro Edo,
1- MORO - come ho già avuto modo di scrivere la storia si fa partendo dalla cronologia: se tu mescoli quanto successo "prima" del 1848, con quanto accade dopo, Lissa è del 1866 tra l'altro, evidentemente non ci capiamo più. Non mi sono dato nessuna zappa sui piedi, Claudia Reichl-Ham distingue giustamente tra prima e dopo, cosa che tu non fai. Anch'io distinguo tra prima e dopo, aggiungendo che la mancata adesione della flotta alla rivoluzione del 48 mi fa pensare a cambiamenti già intervenuti. Valutazione personale ma sostenuta da un fatto indiscutibile: la flotta ha sparato su Venezia, non contro gli austriaci. Anche qui in nome di San Marco e della Serenissima? Eppure Venezia rinasce repubblica e tornerà tale alla fine. Alla luce del semplice dato cronologico, comunque, il tuo intero discorso decade. Stiamo parlando del 1866, non del 1797 o del 1805 , neanche del 1820, neppure dello stesso 1848.

RUBINI: Se tu avessi letto con attenzione, non vedresti confusione nelle mie precise spiegazioni. Capiresti come è mutata nel tempo la flotta austro-veneta. Claudia Reichl-Ham è in linea con quanto sosteniamo noi (mi riferisco a Vedovato, Beggiato, Fogliata e Tommasutti, ognuno con il proprio contributo).
Questa è la sintesi di come sono mutati alcuni aspetti, come la lingua di bordo, il nome della flotta e la composizione dei comandi:

dal 1798 al 1848 circa - la flotta si chiama “Oesterreich-Venezianische Marine”. Sia Vedovato, sia la Reichl-Ham, ricordano che sia la lingua di bordo (servizio), sia la lingua di comando, erano “una sorta di dialetto veneto”, la Reichl-Ham dichiara che il corpo degli ufficiali era composto “dal 73% di Italiani, 18% di Slavi meridionali e solo per il 5% da Tedeschi”. Vedovato afferma che tutte le maggiori navi erano comandate da Veneti e Istro-dalmati, forse l’esigua componente tedescofona di allora conduceva naviglio minore.
dal 1848 al 1866 circa - secondo Giacomo Scotti (cfr. “Lissa, 1866. La grande battaglia per l'Adriatico”) “Ben 5.000 marinai e sottoufficiali erano triestini, istriani, veneti e dalmati su un totale di 7.871 uomini che presero parte alla battaglia di Lissa sotto la bandiera dell’aquila bicipite”. Se si va al sitohttp://www.kuk-kriegsmarine.it/la-s ... ml#ventuno si apprende che il 20 marzo 1849 il corpo ufficiali era rinnovato con elementi tedeschi per la defezione di numerosi ufficiali (in pratica, tutti Veneti e Istro-dalmati), così il tedesco diviene la lingua di comando (cioè degli ufficiali), ma non ancora la lingua di bordo (servizio).

Questo dato è confermato anche da una fonte che Moro sbandiera quasi fosse l'argomento decisivo a suo favore, cioè Lawrence Soundhaus (“The naval policy of Austria-Hungary 1861-1918”, Purdue Press, West Lafayette University, Indiana, 1994) che dice: “A Lissa, circa la metà delle otto migliaia di marinai di Tegetthoff erano italiani non veneziani da Trieste, Istria, Fiume e Dalmazia, un altro terzo erano croati, diverse centinaia (per lo più macchinisti e cannonieri) erano tedeschi-austriaci o cechi, e solo seicento erano veneziani".

Tuttavia, se si aggiungono ai 600 Veneziani gli altri “italiani non veneziani”, cioè Istriani e Dalmati (con esclusione per i puristi di Trieste e Fiume, che appartenevano all’Impero) discendenti dei popoli della Serenissima, si arriva proprio a quei 5.000 di cui parla Giacomo Scotti. I conti tornano e si dimostra ancora una volta che a Lissa la quantità degli ex sudditi di San Marco nella flotta austriaca era preponderante.

dopo il 1866 - Vedovato riporta un dato significativo sul dopo Lissa, cioè dopo il 1866: negli equipaggi mercantili il 65% continuava a parlare di norma il Veneto e Vedovato dichiara che la cosa proseguì fino alla Prima Guerra Mondiale, pur a livello informale, perché l’ambiente culturale che sapeva manovrare una nave era della costa adriatica, anche se di Trieste o di Fiume, cioè veneto-dalmata, perciò chi parlava Tedesco, Ungherese e Croato in linea di massima si adeguava.

Visto il dato precedente, potrebbe ammontare a 600-800 la quantità di personale marittimo che l'Austria perde dopo il 1866 per la perdita delle Venezie.

Conclusione: è gratuita, in quanto priva di qualsiasi base storica, l’affermazione di Moro che “la data di morte della veneticità della Marina asburgica risale agli inizi della rivoluzione del 1848, quando la flotta resta fedele agli Asburgo. Già allora la maggioranza degli equipaggi, in particolare gli artiglieri è composta da elementi slavi, croati in particolare”.

ANCORA RUBINI: questa sciocchezza della “mancata adesione della flotta alla rivoluzione del ‘48” è smentita da chiunque sappia qualcosa di quel periodo storico. In particolare, il sito http://www.kuk-kriegsmarine.it/la-storia.html#ventuno spiega che nel marzo 1848 il comando della nuova “K.K. Kriegsmarine” è portato a Trieste, perché 113 su 162 imbarcazioni si schierano con Venezia.

Si può controllare con un click: non è questione di internet o non internet, questa è storia ufficiale, l’ignorante che vuole insegnarla può ignorarla, ma i fatti restano.

Parlavo nel precedente messaggio di coloro che nutrivano un sentimento nazionale veneto e che seguirono la Repubblica di Manin, anche se di famiglia perastina, come Annibale Viscovich, capitano della Fido,: era ancora un bimbo quando il nonno Giuseppe, Capitano di Perasto, quel 23 agosto del 1797, finito l’impetuoso discorso di commiato dall’amato Veneto Governo, si rivolse al nipotino con una frase davanti all’altare, come dovesse giurare per sempre: « Inxenocite anca ti, Anibale, e tiente in la mente par tuta la vita! », anche se glielo disse in Slavo-Illirico. Annibale non dimenticò, come noi Veneti dobbiamo ricordare, se non vogliamo essere rinnegati indegni.

Ma le stucchevoli invenzioni che Federico propina, nel contempo rimproverando la “mancanza di note” a chi invece scrive con verità e precisione, non si fermano qui. Come può affermare che “la flotta ha sparato su Venezia, non contro gli austriaci”?

Spiegavo che l’Austria perdette la gran parte degli equipaggi, ufficiali compresi, ma riuscì a salvare il grosso delle navi, poiché purtroppo allora, nel marzo 1848, non erano ormeggiate a Venezia. Tuttavia, il grosso dei marinai con i loro ufficiali restarono fedeli alla vera Madre Patria, Venezia. Come spiega il sito http://www.kuk-kriegsmarine.it/la-storia.html#ventuno, sulle fregate e i brigantini che riuscì a salvare, Vienna dovette mettere la truppa di fanteria; iniziò il blocco navale sulla laguna, che strangolò Venezia essendo concentrato nell'Alto Adriatico, fino a raggiungere il numero di 30 unità nel corso del 1848. Ma oltre ad essere falso che tutti i capitani fossero rimasti fedeli all’Austria, non è neppur vero che quelli austriaci, di fresca nomina oppure no, abbiano sparato su Venezia. Avevo già spiegato invano nel mio messaggio precedente che il bombardamento iniziò la notte del 29 luglio 1849 con l’artiglieria posizionata in gronda lagunare, dopo che il 27 maggio 1849 si era dovuto abbandonare Forte Marghera.

Quelle furono le uniche bombe che colpirono la città (a parte i palloni…). Quindi, il bombardamento navale te lo sei sognato, ammetti che sono le tue solite trovate da romanziere... Non v’è nessuna traccia in nessuna pubblicazione (con o senza note) di una simile baggianata. Da Veneziano, prima che da cultore di storia, ti spiego perché questa sarebbe stata una cosa impossibile.

Premesso che per un azione simile bisogna avere navi e artiglierie adeguate e personale preparatissimo (mentre l’Austria in quel momento non disponeva né degli uni, né dell’altro), dovendo bombardare Venezia dal mare, restavano tre vie:

1. entrare in laguna con le navi, poi attaccare per esempio S. Andrea, o l’Arsenale, o il sestiere di Castello – ma i Veneziani ben più esperti li avrebbero subito fatti a pezzi, proprio come andò a finire con le navi del Bonaparte nel 1797, essendoci fondali bassi e da compiere manovre difficili per gli inesperti. Un suicidio che infatti gli Austriaci neppure si sognarono di affrontare.

2. cercare di colpire Venezia dal mare: anche questo è impossibile, essendoci il Lido davanti alla laguna, i cannoni navali di allora non avevano gittata sufficiente a scavalcare il Lido, inoltre la visibilità dal mare era pari a zero.

3. bombardare i forti di Lido, Malamocco e Pellestrina: ma oltre alla irrilevanza di questo obiettivo, quei forti avevano con ogni probabilità cannoni più grossi e le navi austriache avrebbero avuto la peggio.

Ti scrivo questo per farti capire che, al di là delle note e della bibliografia, la storia si fa – prima di tutto - usando il cervello.

2- MORO - il "saggio" di Vedovato non si può prendere in considerazione perché non ha i requisiti scientifici minimi: fa una serie di affermazioni, giuste-sbagliate non importa, senza mai citare la fonte relativa. Non basta una bibliografia alla fine, anche se buona e simile a quella da me citata. Servono le note, redatte in modo che chiunque possa andare a controllare. Non c'è una sola nota: chi dice cosa, quindi? Quali i documenti?

RUBINI: il "saggio" di Vedovato va apprezzato come uno strumento valido di ricerca storica. Uno storico degno di questo nome non si nasconde mai dietro ad un dito, ma entra nel merito. La bibliografia c’è: se sei capace, la devi contro dedurre (come sto facendo io con te, dimostrando che le tue citazioni sono a casaccio). Contro Vedovato ti mancano gli argomenti, perché i suoi dati collimano nella sostanza con tante altre fonti e con tutte quelle che abbiamo sin qui menzionato.

3- MORO - Infatti, tra le affermazioni che ripeti senza esibire nessuna prova ci sono: che a bordo si parlasse veneto, che la maggioranza degli equipaggi fosse veneta, che Tegetthof ordinasse a Vincenzo Vianello quanto sappiamo, che i marinai gridassero w san marco al momento dell'affondamento della Re d'Italia o dopo la battaglia, qua esistono diverse versioni. Lo dice Vedovato, che però non racconta dove ha trovato queste notizie, ignorate da qualunque documento e/o memoria dell'evento.

RUBINI: le diverse versioni attengono a questioni irrilevanti. Per quanto attiene alla lingua di bordo, è assodato che questa fosse il Veneto, di sicuro fino al 1866, ma anche dopo. Unica eccezione, il caso che, IN PRATICA, ciò fosse divenuto disagevole. Quando gli Austriaci, per esempio, imbarcarono truppe di terra nel 1848, è possibile che su certe navi la provenienza geografica di questi equipaggi li inducesse a parlare in Tedesco. Di regola, però, non c’è possibilità di far parlare una massa a bordo di una nave la lingua che solo pochi conoscono: si può farlo solo se a ignorarla è un’esigua minoranza.

Il Tedesco, dicono le fonti consultate (cfr. Claudia Reichl-Ham, Alberto Vedovato), era nel 1866 solo la lingua di comando, ma tu non hai ancora capito che questa è altra cosa dalla lingua di servizio (cioè di bordo), che difatti restava il Veneto.

Mio padre, che è Capitano di lungo corso e ha passato la vita in navigazioni trans-oceaniche, potrebbe spiegarti che se gli ufficiali sanno usare solo la lingua di comando, mentre l’equipaggio non la capisce, bisogna prendere un interprete a bordo, perché i marinai parlano la lingua di bordo e nulla può costringerli a parlare lingue sconosciute. È sempre stato così, né può essere altrimenti.

Sopra ho riportato ciò che dicono le fonti, di sicuro se ne possono allegare tante altre, ma che difficilmente smentiranno fatti pacifici e notori tra gli studiosi: solo tu sostieni - senza prove - che nella flotta austriaca nell’800 si parlasse solo Tedesco.

4- MORO - tra l'altro, nella valutazione degli equipaggi, a partire dagli ufficiali, insisti nell'adottare un criterio piuttosto estensivo per accrescere il numero dei veneti. Per te lo sono indiscutibilmente tutti i dalmati, tutti coloro il cui cognome viene scritto con la finale -ich, lo fanno anche i tedeschi ti faccio presente, trentini, triestini e chi più ne ha più ne metta. Perché anche trentini e triestini che in buona parte, ma non tutti, sono italiani ma non sono mai, dico mai stati veneti? Per quale ragione un triestino dovrebbe gridare W San Marco in ricordo della Serenissima? Trieste è stata veneziana per una frazione del XIV secolo e solo per occupazione militare. Infatti, si è "concessa" all'Austria pur di sfuggire al dominio della Serenissima. I fiumani? E quando mai sono stati veneti? I dalmati a sud di Spalato e fino a Cattaro dove, erano sotto governo veneto ma etnicamente non erano affatto veneti? Il conte Viscovich del celebre discorso di Perasto, non era veneto ma morlacco cioè slavo. E si scrive con -ich.

RUBINI: La cosa semplice che non vuoi capire, senza allambiccarsi il cervello in disquisizione linguistiche su cui nessuno qui ha grande competenza, è che l’Alto Adriatico è una specie di lago, dove i popoli che ci vivono hanno condiviso tutto nei secoli. Un Veneziano, un Chioggiotto, un Triestino, uno dalla laguna di Caorle o di Scardovari, un Polesano, un Rovignese, uno da Lussino o da Cherso, o anche un Zaratino o un Bocchese, potevano formare una comunità unita nei millenni, si sentivano una sola Nazione sotto San Marco anche se qualcuno parlava Veneto-Dalmata e un altro Slavo-Illirico. Di sicuro avrebbero guardato come uno straniero un Romano o uno da Belgrado. Anche a Spalato e a Cattaro si sentivano Veneti in un modo peculiare, nessuno però si sentiva italiano: già le città costiere dell’Adriatico vivevano proiettate sull’acqua e spesso per nulla su terra, poi la politica della Serenissima, anche la sua politica religiosa, fece il resto, cementando tutto.

Ciò fa sì che le più forti manifestazioni di patriottismo veneto nel 1797 le troviamo a Zara e a Perasto, ma anche a Cherso, di cui Luigi Tomaz ricorda 4 giornate di resistenza anti-austriaca (12-15 giugno 1797), durante le quali il popolo insorse contro i nobili che meditavano di consegnarsi all’Austria dopo un mese dall’abdicazione del Veneto Governo, perché volevano restare veneti. E che dire della Repubblica delle Sette Isole Unite? Come può essere che la Repubblica delle Isole Ionie, Repubblica Septinsulare, Eptaneso o Stato Ionio, formata dalle Isole Ionie abbia resuscitato la Repubblica di San Marco, sotto la protezione della Russia, tra il 1800 e il 1807?

Erano Corfù, Isola di Passo, Itaca, Cefalonia, Leuca, Zante e Cerigo: oggi diremo “sono Greci”, alla fine Greci e Slavi omaggiano e ricordano la Repubblica Veneta più di noi, rimbecilliti da un secolo e mezzo di regime corrotto.
Su Trieste, ricordiamo che la città lasciò la Repubblica durante le vicissitudini della guerra di Chioggia, Venezia avrebbe potuto riprendere la città con la forza, ma non lo fece: una lezione di civiltà che tanti dovrebbero apprendere e tanti ricordare con gratitudine, fino ad abbracciare il nome veneto. I Trentini, poi, sono Veneti anche linguisticamente, se la Repubblica non mirò mai ad acquisire Trento ciò fu per rispetto sia verso Roma (a Trento c’era un Vescovo-conte), sia per rispetto verso Vienna, ma i Trentini sono identici a noi.

5- MORO - Ciò detto, l'elenco completo degli ufficiali in comando a Lissa sulla flotta austriaca si trova in Die Operationen der Österreichischen Marine während des kriegs 1866, pubblicato a Wien nel 1866 facilmente reperibile anche in internet grazie alla Stanford University. Alle pagg. 13-14. Di italiani, ma non è detto siano veneti, abbiamo solo Florio, dal cognome addirittura siciliano se proprio vogliamo, Eberle, trentino dunque, Calafatti, Masotti, anche questo un cognome non proprio veneto, forse Adrario. Comandanti di unità che per la maggior parte non hanno partecipato allo scontro. Arruolare tra i veneti perché triestini altri mi sembra davvero improprio. Kern, per esempio. Perché no von Henriquez allora, da cui discende in linea diretta la celebre "aquila di Trieste" della Grande Guerra? Tutti gli altri sono senza se e senza ma tedeschi, con due probabili slavi, Millossich e Daufalik.

RUBINI: Ho visto la fonte che citi, conferma il dato riportato da Alberto Vedovato che indica capitani veneto-triestini in 5 di loro, cioè Barry, Kern, Calafatti, Masotti e Eberle. Ti sfuggiranno tutte le conoscenze in possesso di Vedovato, ma non hai neppure seri motivi per dubitare. Se vuoi dire che questi 5 non fossero né Veneziani, né Triestini, sta a te dimostrarlo. Il problema è che non sai quasi niente.

Per la cronaca, Florio non è solo un cognome siciliano, ma anche dalmata, dato che questo capitano Marco Florio era nato nel 1827 a Perzagno, nelle Bocche di Cattaro, discendente da un’antica famiglia di grande fede veneziana.

Un lavoro storico non cessa di esistere perché senza note, si vedono tanti testi di valore scientifico con poche o senza note e, per converso, tante schifezze munite di note. Io sono pignolo e nei miei lavori metto le note fatte meglio, cioè quelle a piè di pagina, per agevolare i lettori, anche quelli critici.

Può darsi che Barry, Kern, Calafatti, Masotti e Eberle vivessero o fossero anche nati a Venezia, d’altronde nessuna fonte parla di norme che impedissero ai Veneziani di comandare una nave. Tu ha solo il pregiudizio che “la data di morte della veneticità della Marina asburgica risale agli inizi della rivoluzione del 1848, quando la flotta resta fedele agli Asburgo. Già allora la maggioranza degli equipaggi, in particolare gli artiglieri è composta da elementi slavi, croati in particolare”. Ma sono fandonie di tua invenzione, che contrastano con qualsivoglia fonte storica: i 5/8 dei marinai austriaci del 1866 appartenevano agli ex Dominii della Repubblica (slavi e non slavi), prima ho presentato conteggi precisi con tutte le fonti del caso.

6- MORO - La stessa fonte, alle pagg. 27-8, parla di due timonieri, indicati con il termine Steuermann, della Ferdinand Max: Franz Seemann e Kerkovich. Non accenna minimamente a Vincenzo Vianello, il cui unico riferimento si trova in un elenco dei feriti della nave Kaiser. A quanto pare perché non si trova in queste pagine. Quindi non sulla Ferdinand Max. Lo stesso Vianello è indicato comunque come Vinzent in tedesco. Ovvio, visto che era questa la lingua di bordo, di certo la lingua del comandante della stessa Ferdinand Max, von Sterneck, al quale si deve per forza, in quanto capitano della nave, d'aver dato l'ordine di speronamento della Re d'Italia. Non l'ha fatto di certo Tegetthof, il quale non è il comandante della nave bensì della flotta. Perchè von Sterneck avrebbe dovuto usare il veneto per dare un ordine a Kerkovich o Seemann? Perché Vianello, se non è un caso di omonimia sempre possibile per carità, si trovava sulla Kaiser. Fino a prova contraria.


RUBINI: Mi commuovo quando vedo l’ingenuità di chi solleva questioni nominali prive di sostanze come avesse trovato la pietra filosofale. Secoli fa (persino fino al 1956), i nomi venivano tradotti nella lingua del posto. Per esempio, io nella mia biblioteca ne ho uno del 1956 intitolato “Il meglio di Federico Nitzsche”. Vuoi vedere che questo Federico era italiano? Ma chi sarebbe così ingenuo da pensarlo? Eppure, se Vincenzo Vianello si trova sotto forma di Vinzenz Vianello cominciano le elucubrazioni e gli scandali. Pensate allora quando Giovanni Caboto in Inghilterra diveniva John Cabot, o per converso Thomas More in Italia diveniva Tommaso Moro… oggi, che siamo nel mondialismo e nel trans-nazionale, mettiamo dappertutto etichette nazionaliste e facciamo questioni di discriminazione, quando un tempo nessuno faceva una piega. Mi viene il dubbio che forse nei secoli siamo andati indietro invece che avanti. In sintesi: serve la laurea o la nota per capire che Vincenzo Vianello e Vinzenz Vianello sono la stessa persona e che la differenza di scrittura si deve alla moda del periodo o agli usi burocratici, che nulla cambiano della persona? In pieno ‘800, Tegetthoff giovane cadetto negli Archivi del Collegio di Sant’Anna a Venezia, sestiere di Castello, è indicato con il nome proprio “Guglielmo”: vuoi vedere che la lingua di comando, a bordo della città di Venezia, era il Veneziano? O che Tegetthoff nel frattempo aveva cambiato nazionalità? Va un po’ a controllare negli archivi dell’attuale “Collegio navale Morosini”…

Di Vincenzo Vianello credo bene che hai trovato riscontro in un elenco dei feriti della nave Kaiser, dato che era imbarcato lì.

Mo ti spiego perché non trovi Vincenzo Vianello tra i timonieri della Ferdinand Max: infatti non era su quella nave. Hai appena detto che era sulla Kaiser: “ma ci sei, o ci fai?” - dicono a Roma. Quando la Kaiser sbattè sulla prua della Re di Portogallo, la fucileria italiana dalla fiancata bersagliò il ponte di comando dell’avversaria. Vincenzo Vianello era timoniere di seconda classe e che cosa accadde lo si scopre dal certificato di decorazione firmato a Pola il 28 settembre 1866 dal Contrammiraglio Von Petz, che gli conferì la medaglia d’oro: “il timoniere di 2° classe Vincenz Vianello, nonostante fosse ferito, subito dopo la morte del timoniere capo Lenaz, e al ferimento del timoniere di 1° classe Pinduli, prese il timone della nave e ha intrepidamente manovrato. Ha dimostrato audacia, sangue freddo e e coraggio rari”.

Ciò che accadde sulla Erzherzog Ferdinand Max è una storia simile. Poco prima dell'affondamento della corazzata italiana, si dice che il comandante di quella austriaca Maximilian Daublesky von Sterneck,, avesse urlato in veneto al suo timoniere, Tommaso Penzo: «Daghe dosso, Nino, che la ciàpemo!». C’è chi sostiene che l’abbia detto Tegetthoff, ma è un dettaglio irrilevante. È una tradizione ormai divenuta leggenda. Tuttavia, la cosa che mi pare sia sfuggita ai più (ancorché ovvia ed evidente) è che non si tratta di un ordine, perché nelle forze armate gli ordini si danno secondo schemi fissi. È invece un incitamento, che chiunque avrebbe potuto esclamare. Resta un fatto destinato a restare indimostrato, ma resta nel campo del possibile, perché Vienna aveva a modo suo incoraggiato il patriottismo dei Veneti (avendo in quel tempo tutti archiviato il 1848 nel cassetto dei brutti ricordi). L’Austria resta l’unico Stato che ha re-installato almeno una parte dei Leoni di San Marco su palazzo ducale, tra i tanti devastati durante l’occupazione franco-giacobina del 1797. La banana republic ha sempre impedito queste operazioni di recupero e ciò è sintomatico della maggiore distanza che Venezia ha da Roma rispetto a Vienna. Opinioni, per carità… ma anche cruda realtà.
7- MORO - Sempre la stessa fonte alla pag. 30 racconta in effetti dell'esultanza dei marinai della flotta austriaca: non al momento dell'affondamento della Re d'Italia, erano un po' indaffarati per la verità, bensì una volta arrivati in porto. E qualche giorno dopo. Esultano arrampicati sulle sartie, così racconta la fonte, perché da Vienna è appena giunta la notizia che il contrammiraglio von Tegetthof è stato promosso viceammiraglio. Non fa alcun cenno a cosa abbiano gridato i marinai. Difficile pensare però siano esplosi in un W San Marco! quanto mai inopportuno visto che nel giro di appena 18 anni l'Austria ha dovuto combattere ben tre guerre per cercare di tenersi stretto un pezzetto della Penisola. Venezia compresa. Sua storica arcinemica per secoli.

RUBINI: La tua opinione di “Austria storica arcinemica” è tipicamente italiana: l’Italia massona fu sempre contro l’Austria cattolica (e un certo livore sopravvive ancora, se gettiamo uno sguardo su che succede al confine del Brennero), ma questo non è certo il sentimento veneto. Per Venezia l’Austria restò una fondamentale alleata in quattro secoli di guerre quasi continue contro i Turchi, quest’alleanza ebbe un’unica vera grande eccezione della guerra contro la Lega di Cambrais (a parte le baruffe sul nostro confine orientale).

Nel 1866 il 1848 era ormai una parentesi chiusa; invece, sulle guerre di annessione dei Savoia le fasce popolari e i Veneti in particolare sono sempre stati freddi. Un po’ come oggi, i Veneti non si sentono italiani.

Sulle manifestazioni di giubilo va fatta chiarezza. È vero che Tegetthoff fu promosso immediatamente, via telegrafo, al grado di Vizeadmiral (vice-ammiraglio), ma la notizia pervenne comunque via piroscafo il giorno dopo, il 21 e allora si festeggiò, il 21 non aveva senso gridare “W San Marco”, dovevano festeggiare il loro condottiero. Su “Lissa, 1866. La grande battaglia per l'Adriatico” di Giacomo Scotti ogni cosa è descritta con esattezza. Questo fatto avvenne il 20 luglio, alla fine degli scontri. Solo verso il tramonto, alle h. 18,05, la Erzherzog Ferdinand Max entrò in porto S. Giorgio dove era radunata la flotta, essendo l’Ammiraglio rimasto a far la guardia là davanti, che qualche nave italiota non andasse ancora in cerca di guai.

Entrò in porto segnalando la vittoria e concludendo con il segnale “Viva l’Imperatore!”: fu allora che scattò il giubilo generale (Triestini compresi, suppongo, perché no?) tra i naviganti ancora sulle navi: i marinai lanciarono i cappelli in aria e gridarono “Viva San Marco!”.

Si deve escludere che ciò potesse succedere durante l’affondamento del re d’italia. Quando una corazzata si lancia a oltre 11 nodi contro un’altra, il frastuono e il caos sono indescrivibili: motori al massimo, spari di cannone, di fucile, lo schianto improvviso, si fermano i motori e bisogna farli ripartire, urla, fumo, incendi a bordo. Al momento dell’impatto nessuno riesce a stare in piedi, tutti sono scaraventati per terra. La nave colpita si rovescia prima su un lato poi, quando la Erzherzog Ferdinand Max fa macchine indietro per togliersi di mezzo, quella italiana è trascinata sul lato opposto. I marinai cadono in mare, tutti urlano, tutti implorano aiuto. Arrivò persino il piroscafo austriaco Kaiserin Elisabeth per salvare quei disgraziati, ma le navi italiane assaltarono subito i soccorritori, cagionando indirettamente la morte di tanti loro commilitoni, dato che l’unità austriaca dovette abbandonare l’operazione di salvataggio e gli italioti tardarono con i soccorsi.

No, non c’era né tempo, né modo di fare acclamazioni nel momento dello speronamento, chi dice questo sta solo facendo una sorta di “semplificazione”, perché si è poco documentato.

8- MORO - Il resto, tipo Trento e la manovra a tenaglia oppure l'avanzata di Cialdini, lo lascio perdere perché i fatti sono fatti e non è che si possano discutere. Medici sarà anche stato un frammassone, il che evidentemente è colpa grave ma non significa nulla per tanti a cominciare da me, ma era a 8 km da Trento. Appunto. Cialdini si è fermato sull'Isonzo. Anche qui, bisogna altrimenti dimostrare il contrario. Fatti e documenti alla mano. Citandoli con precisione. Io ho ripreso il telegramma di Kuhn in cui dice di essere costretto a sgomberare la città, l'Arciduca Alberto era ben lontano: si potrebbe vedere l'ordine arrivato a Kuhn da Vienna di resistere a oltranza? Se c'è, benissimo, forse avrebbe resistito. Di fatto la guerra è terminata con Medici a 8 km da Trento e Garibaldi a Levico.

RUBINI: Fatti e documenti alla mano stai sbagliando tutto, come al solito e ti dimostro perché, con citazioni precise. Prima però, ti propongo quello che ti manca: il ragionamento, attività principe dello storico. La guerra è terminata con il gen. Medici davanti Civezzano, va bene, ma Garibaldi a Levico non c’è mai stato. Il fatto che tu lo sostenga significa che del 1866 non sai quasi nulla.

Devi leggere due testi: “Bezzecca 1866. La campagna garibaldina dall'Adda al Garda” di Ugo Zaniboni e, “Per Trento e Trieste. L'amara prova del 1866” di Riccardo Gasperi, così capiresti che Medici percorse la Val Sugana, quindi il 24 luglio lui sì che poteva trovarsi a Civezzano. Invece, quel giorno Garibaldi, ormai vecchio e con una brutta ferita sulla coscia, tanto che doveva muoversi in carrozza in montagna (un disastro), era vicino alle Prealpi Giudicarie, a Bezzecca, sul versante occidentale rispetto al lago di Garda, quindi ad un centinaio di km da Levico. Come fai a dire che era sopra la Val Sugana un vecchio ferito e stanco che in quel momento era al di là del Garda? Se tu scrivessi queste cose in un temino di storia alle medie, ti boccerebbero.

Vediamo al telegramma di Kuhn in cui tu dici che lui si dice costretto a sgomberare Trento. Non esiste un simile documento, tu leggiucchi frettolosamente cose qua e là, poi tiri conclusioni ridicole. Io però non rido e ti spiego che cos’è successo.

La tregua sottoscritta il 24 luglio prevedeva una sospensione per 8 giorni. Lo stesso 24 luglio era stata sottoscritta una tregua fra austriaci e prussiani, perciò anche l'Italia si trovò obbligata al medesimo passo. L'Arciduca Alberto ordinava a Kuhn: «Le estreme punte dell'armata rimangono nelle loro attuali posizioni. Poi, tenere Trento fino all'ultimo». Hai capito o te lo spiego in Tedesco?

Di conseguenza, Kuhn ordinava ai suoi comandanti: «Nel caso le truppe avanzate fossero costrette a ritirarsi, debbono farlo difendendo strenuamente ogni tratto di terreno metro per metro, ogni cascina, ogni casa. Dopo avere evacuato la prima linea, dove attualmente si trovano le truppe, si deve tenere ad ogni costo la seconda, naturalmente dopo aver difeso gli intervalli di terreno, la terza linea è per ultimo la città stessa; il direttore del genio tenente colonnello Wolter ha il compito di far eseguire immediatamente le necessarie fortificazioni. Ritengo personalmente responsabile ciascuno dei signori ufficiali che la difesa venga compiuta col massimo valore secondo gli ordini di sua altezza imperiale l'Arciduca Alberto”. Intanto, confluivano su Trento rinforzi di truppe austriache. Sarebbe così, secondo te, che “Kuhn dice di essere costretto a sgomberare la città”? È l’esatto opposto: o non sai leggere, o qua c’è un problema di comprendonio. L’università italiana ti deve aver scombinato.

Del resto, la tua difesa delle campagne del 1866 è così fuori dalla storia che va contro persino la reazione dei protagonisti italiani di allora. Furono infuriati i garibaldini, che all’ordine di ritirata (ben lungi dal rassegnato “obbedisco” del loro povero generale) spaccarono le baionette e imprecarono contro i Savoia, furono infuriati i mazziniani, che videro il disastro politico, si infuriò lo stato maggiore e lo stesso re, si infuriò il popolo prima e dopo Lissa manifestando sul porto di Ancona, si infuriarono i giornali e si infuriò il parlamento, che costituì il tribunale politico che condannò Persano e fece deporre Albini e Vacca… Niente paura, 150 anni dopo arrivano le menti eccelse a sostenere “non è vero niente, abbiamo vinto!”.

MORO - Ecco, credo di avere risposto puntualmente riportando fonte certa, scritta e disponibile, indicando i riferimenti per ogni affermazione. Cioè quanto mi aspetto per continuare la discussione. Non basta sostenere una tesi, qualunque essa sia, bisogna documentarla. Altrimenti non è storia, come appunto si diceva. Come la faccenda del veneto "lingua franca della marineria adriatica": chi lo dice? L'affermazione è documentata? Perché le "ragusee dalle vele maestose", Frederic Lane Storia di Venezia Torino Einaudi p. 434, avrebbero dovuto parlare veneto? Scusa, sei mai stato a sud del Po? Pensi davvero che da Comacchio a Otranto usassero il veneto? Non si può dire "parlavano veneto" e basta. Servono le prove e le deve fornire chi fa l'affermazione, l'onere non può essere invertito.

RUBINI: Ok, ti accontento. Ora che ho messo a nudo il tuo vaniloquio, ti spiego anche questo fatto storico. Coloro che hanno provato a spiegare che il Veneto era la "lingua franca della marineria adriatica" hanno detto una grande verità, ma sono cose che, andando oltre il provincialismo italico, non c’è modo di farlo comprendere agli italioti.

La lingua franca mediterranea (sabir) era parlata in tutti i porti del Mediterraneo tra il Medioevo e tutto l’800 e - pur avendo diverse varianti - la più diffusa e persistente era costituita in sostanza dal Veneziano e per una piccola parte dallo Spagnolo, con influenze di altre lingue mediterranee, come arabo, greco, catalano, turco, ecc. Lingua franca deriva dall'arabo e vuol dire 'lingua europea'. Questa lingua ausiliaria serviva a mettere in contatto i mercanti europei con gli arabi e i turchi. Pare che fosse una delle due lingue d corte presso la Sublime Porta, sicché per parlare con il sultano bisognava conoscere o il Turco, o questa specie di Veneziano. La morfologia era semplice e l'ordine delle parole molto libero, aveva pochi tempi verbali. Nel 1830 viene pubblicato a Marsiglia il “Dictionnaire de la langue franque ou Petit mauresque”, manuale scritto in lingua francese in occasione della spedizione francese in Algeria. Carlo Goldoni rappresentò, nell’ “Impresario delle Smirne”, un personaggio che si esprimeva in Lingua Franca. Insomma, a Lissa parlando Veneto si parlava la solita lingua usata da mille anni. Anche senza la nota a piè di pagina…

MORO - Continuerò, quindi, solo se mi verranno opposti argomenti sostenuti da fatti e documenti, intendendo per questi fonti primarie e secondarie, non opuscoletti che non riportano l'origine delle affermazioni. Non mi sembra di chiedere nulla di strano. Un discorso storico, appunto.

Buona giornata a tutti. federico

RUBINI: Buona giornata a te, non preoccuparti, so che non hai capito niente, ma io ho tanta pazienza.

Edoardo
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