Ła storia so łi veneteghi ke ła se cata so Raixe Venete

Ła storia so łi veneteghi ke ła se cata so Raixe Venete

Messaggioda Berto » lun feb 10, 2014 3:19 pm

Ła storia so li veneteghi ke ła se cata so Raixe Venete

http://www.raixevenete.net/documenti/doc122.asp

I Veneti emergono dall'anonimato

L'etnico Veneti (Enetoí, Ouénetoi, Veneti) ricorre nella tradizione allo scopo di individuare popolazioni stanziate in varie aree del mondo antico, dall'Asia Minore (Veneti "troiani"), alla penisola balcanica (Eneti illirici), dall'Europa settentrionale e centrale (Veneti, Venedi, Venedae, distinti dai Sarmati; Veneti in Bretagna), alla regione laziale (i Venetulani sono ricordati da Plinio come uno dei popoli laziali scomparsi ai suoi tempi).

La questione dell'ampia diffusione del termine Veneti è stata affrontata dagli studiosi esclusivamente su base linguistica, mancando l'apporto della documentazione storico-archeologica: G. Devoto, ad esempio, osservava che l'etnico *wenet- "non può identificarsi che con la base dei conquistatori, organizzatori, realizzatori" e che "dovunque si trova attestata la parola Veneti, ivi si sono affermati rappresentanti di una organizzazione di tradizione linguistica indoeuropea, meritevole di essere definita e riconosciuta in confronto delle altre come quella sostanzialmente dei vittoriosi". A. L. Prosdocimi, nel tentativo di definire che cosa rappresenti l'etichetta Veneti, precisa che il termine Veneti è sinonimo di Indoeuropei e che, nella fattispecie, "i Veneti del Veneto rappresentano un filone di Indoeuropei il cui etnico era appunto Veneti o era avviato a divenirlo". Mentre gli altri Veneti menzionati dalle fonti letterarie non risultano ancorati a nessuna realtà storico-culturale, solamente per i Veneti dell'Adriatico si è andata creando una sorta di mitistoria, cui corrisponde una ricchissima documentazione archeologica, supportata dalla conoscenza della lingua e della scrittura.


Il problema delle origini

Gli autori antichi concordano nell'attestare una provenienza orientale dei Veneti. L'origine orientale, o più specificamente troiana dei Veneti, prende le mosse da un passo dell'Iliade di Omero (Il. II, 851-852), in cui il poeta ricorda, tra gli alleati dei Troiani, un gruppo di Paflagoni, guidati da Pilemene, dal forte cuore, che vengono dagli Eneti, il paese detto delle mule selvagge. Qualsivoglia sia la corretta interpretazione del termine Eneti, o nome di popolo, o nome di città, è indubbio che a questo luogo omerico faccia riferimento tutta la tradizione classica, greca e latina, che fa provenire i Veneti dall'Asia Minore, nella fattispecie dalla Paflagonia, regione che si snoda lungo le sponde meridionali del Mar Nero. In tale direzione si susseguono le notizie negli autori antichi, dai greci Euripide e Teopompo, ai latini Catone e Cornelio Nepote, informazioni che trovano una codificazione in età augustea (27 a. C.-14 d. C.). Tito Livio e Virgilio, voci ufficiali del nuovo regime instaurato da Ottaviano Augusto, ricollegano i Veneti ad Antenore, eroe scampato alla distruzione di Troia e mitico fondatore di Padova. Tito Livio racconta che morto Pilemene a Troia, gli Eneti, già cacciati dalla Paflagonia, senza una patria e una guida, si rivolsero ad Antenore (Liv. I, 2-3): "con un gruppo di Eneti, ... Antenore pervenne nella parte più interna dell'Adriatico, e cacciati gli Euganei, che abitavano fra il mare e le Alpi, gli Eneti e i Troiani occuparono quelle terre... L'intera gente prese il nome di Veneti". Nell'Eneide virgiliana (Virg. Aeneide. I, 242-249), Venere, angosciata per il lungo peregrinare del figlio Enea, contrappone a quest'ultimo la felice sorte di Antenore che, sfuggito dalle mani degli Achei, si addentrò nei golfi dell'Illiria, si spinse nel regno dei Liburni e, superata la fonte del Timavo, fondò in quelle terre la città di Padova e stabilì la sede dei Troiani. L'affiancare Antenore, nel suo viaggio verso Occidente, ad Enea , illustre esule troiano e leggendario fondatore di Roma, tradisce l'intento propagandistico di voler legittimare anche su base, per così dire, mitistorica, quella secolare amicitia fra i due popoli, Veneti e Romani, documentata dalle fonti antiche quantomeno a partire dalla guerra gallica del 225-222 a. C., in cui, secondo Polibio, i Veneti avrebbero scelto di stare dalla parte dei Romani (Pol. II, 23, 2-3: "Veneti e Cenomani, cui i Romani avevano inviato un'ambasceria, preferirono allearsi con quest'ultimi; perciò i re dei Celti furono costretti a lasciare una parte delle loro forze a difendere il paese dalla minaccia costituita da costoro"; lo stesso Polibio (II, 18, 2-3) ricorda il precedente aiuto fornito dai Veneti ai Romani in occasione del sacco di Roma del 390 a. C.: [i Celti...] "presero la stessa Roma, tranne il Campidoglio... avendo i Veneti invaso il loro territorio, conclusero un trattato con i Romani, restituirono loro la città e ritornarono in patria". Tale notizia è stata interpretata da alcuni studiosi come una proiezione nel passato dell'allenza veneto-romana del 225 a. C. Plinio il Vecchio, che scrive nel primo secolo d. C., si richiama a Catone, autore vissuto tra III e II secolo a. C., per qualificare i Veneti di stirpe troiana (Plin. Nat. Hist. III, 130: Venetos troiana stirpe ortos auctor est Cato). Risulta significativo che Plinio citi Catone, un autore alquanto antico, piuttosto che Virgilio o Livio, letterati vissuti nel I secolo a. C., che, nel clima di esaltazione politica e di propaganda della grandezza di Roma, promossa dall'imperatore Augusto, fanno provenire i Veneti dalla Paflagonia dopo la distruzione di Troia: in tale scelta si potrebbe ravvisare la volontà di Plinio di dare maggiore spessore storico alla sua definizione, ignorando volutamente la propaganda corrente a lui ben nota. Sebbene in un passato nemmeno tanto lontano la tendenza della critica era quella di cancellare secoli di tradizioni connesse all'origine dei popoli italici, tacciandole frutto di favole e di leggende, allo stato attuale della ricerca si assiste ad un interessante recupero delle tradizioni antiche e della mitologia. Nella fattispecie, la ricca documentazione archeologica pertinente alla civiltà dei Veneti, letta e valutata nell'ambito di quella vasta e fitta rete di scambi che contraddistingue le vicende del Mediterraneo dagli inizi del mondo greco, conferisce valore al mito. Il Veneto, fin dagli albori della sua storia, si è sempre rivelato una terra di passaggio, di scambi (si pensi al commercio dell'ambra, dei metalli, del sale, del vino, della ceramica di provenienza attica), di accoglienza, e di commistione di civiltà, fra l'Egeo e l'Europa centrale, fra il mondo dei Greci e la civiltà etrusca, fra i Celti ed i Romani.


La civiltà atestina, la cultura paleoveneta, i Veneti

Nel 1876, presso la stazione dell'odierna cittadina di Este, nel corso di lavori agricoli emersero due tombe di cremati, dotate di un ricchissimo corredo di vasi fittili e bronzei (fra i materiali vanno senz'altro segnalati due splendidi vasi di bronzo decorati con animali fantastici e figure umane). L'allora Conservatore del piccolo Museo estense, Alessandro Prosdocimi, diede il via ad una serie di campagne di scavo che, fra il 1876 e il 1882, portarono alla luce centinaia di sepolture: i ricchissimi materiali rinvenuti in quei contesti sepolcrali costituiscono ancor'oggi la maggior parte del patrimonio archeologico della protostoria atestina. Nel 1882 lo stesso Prosdocimi pubblicò nelle Notizie degli Scavi un ampio articolo in cui, dopo sei anni di incessanti indagini di scavo e clamorose scoperte, tracciò il quadro di una nuova civiltà: la civiltà veneta preromana poteva dirsi uscita dal mondo dell'intuizione e dell'erudizione leggendaria, per entrare a pieno titolo nella vasta problematica della protostoria italiana ed europea. A partire dai primi anni del Novecento, grazie a nuove scoperte, gli studiosi appurarono che la cosiddetta civiltà atestina, definità così da Prosdocimi dal nome antico di Este (Ateste), non era limitata al centro estense, bensì risultava attestata in un ambito geografico particolarmente vasto, esteso a occidente fino al lago di Garda e al fiume Mincio, a mezzogiorno fino al fiume Po, a settentrione fino al crinale alpino e ad oriente fino al Livenza e al Tagliamento e anche oltre, fino alla necropoli di S. Lucia di Tolmino, scoperta alla fine dell'800 dal noto Carlo Marchesetti. A questa cultura, contraddistinta da caratteri peculiari, venne attribuito il nome di paleoveneta, meno restrittivo di atestina, e al popolo la denominazione di Paleoveneti, per non creare equivoci con i Veneti moderni. Tuttavia, allo stato attuale della ricerca, sembra più corretto recuperare la storicità del nome Veneti, ben documentato nelle fonti letterarie.


Il topos dei cavalli veneti

Alcmane, autore greco vissuto alla metà del VII secolo a. C., ricorda "un cavallo vigoroso corsiero [...] enetico" e dei "puledri enetidi [...] dalla Enetide, regione dell'Adriatico" (Alcman. fr. 1, 46-51; 172 = Voltan 4-5). Alcmane, che si ricollega ad Omero quando definisce la terra di origine degli Eneti il paese delle mule selvagge, è il primo autore a menzionare quello che diventerà il topos dei cavalli veneti e che avrà un largo seguito presso i successivi autori greci e latini. Il frequente ricorrere nelle fonti antiche di questo tema sottintende un'attività economica, quella dell'allevamento equino, particolarmente apprezzata dai contemporanei; attività che da semplice fonte economica primaria divenne, nel corso del tempo, fonte competitiva di ricchezza nell'ambito degli scambi e delle relazioni commerciali fra Europa e Italia. Per citare un esempio, in seguito alla conclusione delle guerre istriche, il regulus dei Galli transalpini Cincibilo, assieme a Carni, Giapidi ed Istri, inviò, nel 171 a. C, un'ambasceria a Roma per lamentare che il console Caio Cassio Longino aveva intrapreso, di sua iniziativa, una spedizione per raggiungere la Macedonia via terra, e che, dopo aver ottenuto la loro collaborazione (probabilmente in base ai patti esistenti), li aveva trattati come nemici (pro hostibus), saccheggiando i loro territori.

Anche in questa occasione, il senato deprecò il comportamento del console, che fu richiamato a Roma, e inviò ambasciatori al di là delle Alpi con doni per i reguli, in modo da ristabilire le buone relazioni. In occasione della medesima ambasceria a Roma, i notabili gallici chiesero il permesso ai Romani di acquistare dai Veneti fino ad un massimo di dieci cavalli di razza a testa e di esportarli nel Norico.


Il panorama archeologico

Fin dai primi anni del Novecento, importanti scoperte archeologiche, unite a rinvenimenti occasionali, contribuirono a delineare la fisionomia del Veneto protostorico: la realtà preromana di Padova, che solo in questi ultimi decenni è stata realmente compresa; la necropoli di Montebelluna, terzo polo geografico dei Veneti ; le tombe di Mel, lungo la valle del Piave; il luogo di culto di Lagole di Calalzo (che ha rivelato una documentazione linguistica analoga a quella rinvenuta alla fine dell'800 oltralpe, a Gurina, al di là del passo di Monte Croce Carnico, nella valle della Gail); il Veneto orientale con i centri di Altino, Oderzo, Concordia, fino ai territori compresi fra il Tagliamento e l'Isonzo.


a) Prima età del ferro (VIII-VI secolo a. C.)

A partire dall'VIII secolo a. C. compaiono i caratteri di una poleografia organizzata, con centri di pianura di primaria importanza, posti al controllo dei principali fiumi del territorio (dall'Adige al Tagliamento), uniti a centri comprimari o minori, situati presso i medesimi corsi d'acqua. Un aspetto da segnalare è lo stretto rapporto delle città venete con l'acqua, ben rilevato dalle fonti antiche. Strabone, geografo greco vissuto in età augustea, qualifica i centri veneti come "città simili ad isole", circondate dall'acqua e poste su importanti vie di transito. Anche le necropoli, situate esternamente ai centri urbani, risultano essere spesso dislocate in aree attigue all'acqua: anzi talvolta sono proprio i corsi d'acqua a marcare il confine fra la città dei vivi e quella dei morti, corsi d'acqua che devono essere attraversati nell'ultimo viaggio dal mondo terreno all'al di là. Nell'VIII secolo a. C., quando al popolamento sparso e diffuso tipico del IX secolo subentra la nascita di nuovi centri, che sorgono in aree nuove o con uno spostamento areale rispetto ai precedenti, i poli del nuovo sistema sono i centri di Este e Padova (Veneto euganeo); la loro centralità nell'ambito del panorama italico ed europeo sembra aver determinato la crisi del Veneto orientale, che risulta invece caratterizzato, nel passaggio fra la fine del bronzo-inizio ferro, da una generalizzata continuità di occupazione e da una decisa vitalità, quale area di raccordo fra il comparto circumadriatico e la fascia alpina e transalpina. Dalla metà dell'VIII secolo inizia a manifestarsi un'articolazione in classi, distinte in base al rango e al ruolo: i corredi funerari risultano contraddistinti da una diversa qualità e quantità dei materiali. Nel VI secolo a. C. si registrano delle trasformazioni nel quadro degli insediamenti, che sfociano in una fase decisamente urbana. Nascono nuovi poli d'attrazione quali Vicenza, a cui si connette il ripopolamento delle colline circostanti, Altino, Adria.

b) Seconda età del ferro (V-II secolo a. C.)

Nella seconda età del ferro, se da un lato si realizza la massima espansione territoriale dei Veneti, dall'altro comincia a verificarsi una certa dissoluzione legata alla pressione esercitata da altre realtà etnico-culturali, quali gli Etuschi padani, i Celti, i Reti. Indizi primari del passaggio alla fase urbana sono la trasformazione dell'edilizia domestica (le capanne vengono sostituite da strutture in muratura), il cambiamento del rituale funerario (si accentua il rituale del simposio-banchetto, mutuato dall'ambito greco-etrusco), l'attestazione di luoghi di culto (eco della religiosità pubblica della civiltà etrusca fra VII-VI secolo a. C.), spesso ubicati presso corsi d'acqua e-o direttrici commerciali, la nascita del concetto di confine, la diffusione della scrittura. Alle importazioni ceramiche (ceramica attica e-o etrusco-padana; precoci materiali di matrice celtica o cetizzante, quali fibule di tipo tardohalstattiano centroccidentale e ganci traforati) si affianca una produzione locale di imitazione (ad esempio la ceramica fine da mensa in argilla semidepurata e grigia).


L'arte delle situle

Le situle sono vasi di bronzo a forma di secchio, attestati anche nel mondo orientale e centroeuropeo, che i Veneti producono largamente e sono soliti decorare con motivi geometrici e figurati. La provenienza di questi manufatti è prevalentemente funeraria, in quanto essi venivano usati come recipienti per contenere i resti della cremazione dei defunti. Questi vasi bronzei venivano lavorati con la tecnica dello sbalzo, o a stampo o a incisioni: nella fase più antica la decorazione fu esclusivamente geometrica, successivamente figurata (ad esempio nella nota situla Benvenuti, rinvenuta nella necropoli nord ad Este e datata alla fine del VII secolo a. C., sono rappresentati uomini intenti in varie attività della vita quotidiana, animali reali, esseri fantastici, fiori e virgulti).


Gli ex voto

Gli ex voto, connessi ai luoghi di culto, possono rivelare dei caratteri comuni, ma possono anche manifestare delle diversità, delle specifiche diversità da centro a centro. Nella fattispecie gli ex voto (prevalentemente di bronzo) e alcune caratterische cultuali evidenziano una netta dicotomia fra l'area sud-occidentale (che gravita sul territorio di pertinenza atestina) e l'area nord-orientale (di pertinenza patavina). Caratteristica dell'area di gravitazione altinate è la presenza di una forte componente femminile, contraddistinta, ad esempio, dalla divinità Pora-Reitia, dalle immagini e dalle dediche femminili, dai doni legati alla filatura-tessitura e dai riti di passaggio che coinvolgono le giovani fanciulle (ad esempio quello della scrittura). Tipica dell'area soggetta all'influenza patavina è l'assenza di immagini femminili e la preminenza di dediche e offerte maschili. Di raccordo appare l'area altinate-trevigiana.


Il costume dei Veneti dalla documentazione figurata

E' soprattutto dalla documentazione iconografica di natura cultuale (bronzetti e oggetti ex voto), attestata a partire dal V secolo a. C., che si ricavano informazioni utili circa il costume degli antichi Veneti. Complessivamente si può affermare che il costume veneto doveva differenziarsi, oltre che nei colori e nei modelli degli abiti, anche nelle guarnizioni, nel numero e nel tipo dei monili e nella foggia della cintura. Il costume non mutava solamente in base al tipo di occasione pubblica in cui veniva indossato, ma anche secondo lo status sociale che era in grado di qualificare. Al riguardo è stata formulata l'ipotesi che l'atto del vestirsi doveva essere non una semplice scelta privata, bensì doveva corrispondere ad un sistema di comunicazione sociale.


Le fonti epigrafiche. Lingua e scrittura

L'identità etnico-culturale dei Veneti è contraddistinta, oltre che dalle espressioni di cultura materiale, anche da una lingua comune, definita "venetico". Il venetico risulta attestato nel Veneto centrale e meridionale (Este, Padova, Vicenza, Adria); nell'area dolomitica cadorina (Lagole di Calalzo, Belluno); nella valle della Gail (Würmlach, Gurina); nel Veneto orientale (Montebelluna, Altino, Oderzo); man mano che ci si muove verso Est, le testimonianze, seppur presenti, si fanno sporadiche (allo stato attuale della ricerca nell'area friulana si contano circa una ventina di iscrizioni). Se il riconoscimento del venetico come una lingua appartenente al ceppo indoeuropeo è stato un dato acquisito fin dagli inizi degli studi linguistici, meno univoca è stata la classificazione di questa lingua: da ultimo, in base alle recenti acquisizioni, è stata riconosciuta una rilevante affinità del venetico con il latino. La documentazione della lingua venetica si deve esclusivamente alle iscrizioni (allo stato attuale delle conoscenze si possiedono oltre quattrocento testi). Esse sono redatte in un alfabeto di derivazione etrusca, adattato alle esigenze fonologiche della lingua venetica: l'acquisizione dell'alfabeto etrusco è avvenuta in due fasi, una più antica (inizi del VI secolo a. C.) di matrice settentrionale (Chiusi), e una più recente (di poco posteriore) di matrice meridionale (Veio). Una caratteristica della scrittura venetica è l'uso della puntuazione, cioé di punti che, secondo regole complesse, precedono e seguono le lettere, quando queste si trovano in posizioni particolari. La puntuazione ha una funzione connessa all'insegnamento della scrittura, che pare basato sulla sillaba (proprio dalla città di Este provengono le testimonianze più complete di tutta l'Italia antica per quanto riguarda l'insegnamento della scrittura). La constatazione che le iscrizioni più antiche sono prive di puntuazione (la più antica iscrizione finora nota, databile al VI secolo a. C., il cosiddetto Kantharos di Lozzo, attesta una prima fase di scrittura senza puntuazione), e rivelano delle differenze nell'uso e nella forma di alcune lettere confermerebbe la tesi che i Veneti mutuarono per almeno due volte l'alfabeto dagli Etruschi, in tempi diversi e da aree geografiche diverse (Chiusi e Cerveteri o Veio). Altri aspetti singolari sono che la scrittura procede da destra verso sinistra e che le parole vengono scritte tutte di seguito, senza essere divise (la puntuazione, come si è accennato, non aveva una funzione divisoria). Circa l'ambito cronologico, le iscrizioni vanno dal VI secolo a. C. al periodo della romanizzazione. Per quanto riguarda i contenuti, si tratta quasi esclusivamente di iscrizioni funerarie o votive, ad eccezione di alcune iscrizioni confinarie e pubbliche. I testi sono brevi e ripetitivi, in quanto redatti secondo stereotipi relativi a ciascuna classe testuale. Ciò inevitabilmente condiziona la conoscenza del venetico: lessico e morfologia si conoscono in misura ristretta, mentre è noto un ampio repertorio onomastico, da cui si desumono interessanti informazioni di natura sociale ed istituzionale. Di analoga derivazione etrusca è anche la formula onomastica binomia: essa in genere è caratterizzata da un nome individuale e un appositivo derivato dal nome del padre, con suffisso -io o -ko; per le donne il patronimico può essere sostituito dal gamonimico proveniente dal nome del marito con suffisso -na. Non mancano le attestazioni di una formula onomastica trinomia, che nel caso delle donne è stata spiegata con la presenza sia del patronimico che del gamonimico. Rimangono tuttoggi al vaglio degli studiosi alcuni aspetti del sistema onomastico venetico, soprattutto per quanto riguarda le implicazioni di natura giuridico-sociale.


Precoci rapporti fra Veneti e Celti

Proprio dall'onomastica emergono indizi non solo dei precoci rapporti fra i due popoli, ma anche dell'inserimento dei Celti nell'ambito della società veneta. Da segnalare una serie di ciottoloni iscritti, rinvenuti a Padova, i quali hanno consentito di ricostruire una sorta di prosopografia che ci illumina sulle modalità dell'integrazione. Altro caso interessante è quello di Este, dove dai documenti epigrafici risultano attestati dei sistemi onomastici di donne venete con gamonimico (nome del marito) celtico, e di donne celte con gamonimico veneto. L'elemento celtico risulta particolarmente documentato in località quali Oderzo, Altino e la valle del Piave.


Il passaggio alla romanità

a) Aspetti storico-archeologici

I Veneti, i cui contatti con i Romani risultano documentati quantomeno a partire dalla fine del terzo secolo, furono sempre in buoni rapporti con Roma, e questo risulta in modo esplicito dalle fonti letterarie che li citano come alleati dell'Urbe nei più importanti eventi bellici del tempo (ricordiamo che Polibio fa entrare i Veneti nella storia di Roma in occasione del tumultus gallicus del 390 a. C.: i Galli senoni, guidati da Brenno, avrebbero desistito dall'assedio dell'Urbe in quanto minacciati dai Veneti nelle loro sedi padane). Nel catalogo polibiano dei milites messi a disposizione dei Romani dagli alleati alla vigilia della guerra gallica del 225-222 a. C., i Veneti compaiono con un contingente di circa 10.000 uomini. Durante la guerra annibalica (218-201 a. C.), Asconio Pediano, un veneto dell'aristocrazia di Patavium (Padova), si distinse nelle operazioni condotte da Marco Claudio Marcello sotto le mura di Nola, durante l'assedio cartaginese della città. Nella guerra sociale (dai socii, alleati; 90-88 a. C.), i Veneti rimasero a fianco dei Romani, come risulta da alcune interessanti testimonianze epigrafiche. Una doppia serie di ghiande missili, con iscrizione, rispettivamente, venetica e romana (Opitergin(orum), degli Opitergini) fu scagliata da un reparto di frombolieri (funditores) provenienti da Oderzo (Opitergium) durante l'assedio di Asculum (Ascoli Piceno). Un altro genere di proiettile, una sorta di campana di piombo con due iscrizioni venetiche, fu lanciata da un librator, probabilmente di Ateste (Este), contro qualche reparto di insorti presso Montemanicola (L'Aquila), nel territorio degli antichi Vestini. Quando Roma, dunque, diede il via al processo di espansione nella valle Padana, nell'ultimo venticinquennio del III secolo a. C., i Veneti, accomunati dalla comune politica antigallica, non ostacolorano tale avanzata, e, in seguito alla riconquista della Cisalpina dopo il passaggio di Annibale, non subirono confische o fondazioni di colonie, ad eccezione di un settore collocato ai loro confini orientali, che, dopo aver subito nel 186 a. C. un'occupazione da parte di 12.000 Galli Transalpini, ed essere divenuto ager Gallorum, fu, dopo la loro espulsione, ridotto ad ager publicus e destinato all'impianto della colonia di diritto latino di Aquileia (181 a. C.).

La fondazione di Aquileia, la presenza di Marco Emilio Lepido a Padova per dirimere dei conflitti interni, i cippi confinari fra Este-Padova e tra Este-Vicenza, che documentano un concetto prettamente romano di controllo del territorio, la costruzione nel 148 a. C. della via Postumia , la grande arteria padana che metteva in collegamento Genova ad Aquileia, sancirono via via la fine dell'autonomia e dell'indipendenza dei Veneti, pur nel nome dell'amicizia con il popolo romano (come risulta ad esempio attestato dalla stele di Ostiala Gallenia, moglie veneta di un romano).

La realizzazione di un'importante rete viaria facilitò la creazione di intensi rapporti fra l'Italia centrale e le regioni a nord del Po, la cui ricchezza e fertilità, ben decandate da autori antichi quali Catone e Polibio, attrassero cittadini romani e alleati latini e italici. Questa immigrazione spontanea favorì in modo lento e graduale l'acculturazione romana. Tale fenomeno procedette in modo pacifico e "indolore" tanto che pian piano i Veneti abbandonarono le loro tradizioni politiche, economiche, artistiche e religiose in favore della cultura romana. Un notevole impulso al processo di romanizzazione venne dal provvedimento attribuito a Pompeo Strabone, noto come lex Pompeia de Transpadaniis (legge Pompea sui Transpadani), con cui gli abitanti dei territori a nord del Po ricevettero lo ius Latii, ossia il diritto latino. Un ulteriore passo verso la piena romanizzazione fu compiuto fra il 49 e il 42 a. C., quando a tutto il territorio fra le Alpi e il Po fu estesa la cittadinanza romana.

b) Aspetti linguistici

Anche dal punto di vista linguistico il passaggio dal venetico al latino fu lento e graduale. Un elemento che presumibilmente favorì questo trapasso fu la stretta somiglianza della lingua venetica con quella latina, che doveva suonare all'orecchio dei Veneti non del tutto estranea: il venetico infatti presenta a tutti i livelli (fonetica, morfologia, lessico) notevoli affinità con il latino (ciò ha portato a formulare l'ipotesi che in un'epoca molto antica, precedente gli stanziamenti nelle rispettive sedi storiche, i due popoli fossero insediati in aree vicine e parlassero due lingue molto simili, quasi due dialetti della stessa lingua). Sono ancora una volta i documenti epigrafici a consentirci di osservare questo passaggio dal venetico al latino: in una prima fase assistiamo all'abbandono dell'alfabeto venetico, mentre la lingua può dirsi ancora venetica. Segue l'abbandono della formula onomastica locale per l'adozione del sistema onomastico romano (prenome, gentilizio, cognome); infine vengono abbandonati gli idionimi propriamente venetici, che talvolta sopravvivono nella forma di cognome. Ad esempio, nel santuario di Lagole nel Cadore le dediche alla divinità encoria vengono gradualmente sostituite con le dediche ad Apollo. Ancora, il trapasso alla romanizzazione si può seguire da vicino negli epitaffi delle necropoli di Ateste (Este): da una fase di piena veneticità, caratterizzata da una scrittura, lingua, formulario e onomastica venetici, si passa, attraverso fasi intermedie in cui coesistono moduli dell'una e dell'altra cultura (alfabeto latino con formulario venetico; alfabeto e formulario latini con onomastica venetica), ad una fase in cui si accetta totalmente il modello portato dai Romani negli epitaffi che sono ormai latini (solamente il permanere di basi onomastiche locali tradisce il legame con la tradizione degli antichi Veneti).
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Re: Ła storia so li venetghi ke ła se cata so Raixe Venete

Messaggioda Berto » lun feb 10, 2014 3:20 pm

Oservasion, xonte, creteghe
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ła storia so li veneteghi ke ła se cata so Raixe Venete

Messaggioda Berto » lun feb 10, 2014 4:13 pm

I Veneti emergono dall'anonimato

L'etnico Veneti (Enetoí, Ouénetoi, Veneti) ricorre nella tradizione allo scopo di individuare popolazioni stanziate in varie aree del mondo antico, dall'Asia Minore (Veneti "troiani"), alla penisola balcanica (Eneti illirici), dall'Europa settentrionale e centrale (Veneti, Venedi, Venedae, distinti dai Sarmati; Veneti in Bretagna), alla regione laziale (i Venetulani sono ricordati da Plinio come uno dei popoli laziali scomparsi ai suoi tempi).

La questione dell'ampia diffusione del termine Veneti è stata affrontata dagli studiosi esclusivamente su base linguistica, mancando l'apporto della documentazione storico-archeologica: G. Devoto, ad esempio, osservava che l'etnico *wenet- "non può identificarsi che con la base dei conquistatori, organizzatori, realizzatori" e che "dovunque si trova attestata la parola Veneti, ivi si sono affermati rappresentanti di una organizzazione di tradizione linguistica indoeuropea, meritevole di essere definita e riconosciuta in confronto delle altre come quella sostanzialmente dei vittoriosi". A. L. Prosdocimi, nel tentativo di definire che cosa rappresenti l'etichetta Veneti, precisa che il termine Veneti è sinonimo di Indoeuropei (???) e che, nella fattispecie, "i Veneti del Veneto rappresentano un filone di Indoeuropei il cui etnico era appunto Veneti o era avviato a divenirlo". Mentre gli altri Veneti menzionati dalle fonti letterarie non risultano ancorati a nessuna realtà storico-culturale, solamente per i Veneti dell'Adriatico si è andata creando una sorta di mitistoria, cui corrisponde una ricchissima documentazione archeologica, supportata dalla conoscenza della lingua e della scrittura.



Łe categorie de priendouropei e endouropei łe xe falbe e on fruto de ła gnoransa

Ła falba teoria endouropea
viewtopic.php?f=97&t=269

Ła foła de l’endouropeo – ła protołengoa endouropea
viewforum.php?f=113

Veneto:etimoloja, xenetega e storia
viewtopic.php?f=134&t=24

No tuti sti nomi li xe varianse de l’etnego Veneto/Veneti
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... lFTmM/edit

Uenet, ueni, uenetoi, uenetos win, wonne, von
etimoloja da voxi veneto bretoni-galo-çelte e xermane
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... 9SREU/edit

Łe raixe de łe çità venete
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... NBems/edit

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Re: Ła storia so li veneteghi ke ła se cata so Raixe Venete

Messaggioda Berto » lun feb 10, 2014 4:14 pm

Il problema delle origini

Gli autori antichi concordano nell'attestare una provenienza orientale dei Veneti. L'origine orientale, o più specificamente troiana dei Veneti, prende le mosse da un passo dell'Iliade di Omero (Il. II, 851-852), in cui il poeta ricorda, tra gli alleati dei Troiani, un gruppo di Paflagoni, guidati da Pilemene, dal forte cuore, che vengono dagli Eneti, il paese detto delle mule selvagge. Qualsivoglia sia la corretta interpretazione del termine Eneti, o nome di popolo, o nome di città, è indubbio che a questo luogo omerico faccia riferimento tutta la tradizione classica, greca e latina, che fa provenire i Veneti dall'Asia Minore, nella fattispecie dalla Paflagonia, regione che si snoda lungo le sponde meridionali del Mar Nero. In tale direzione si susseguono le notizie negli autori antichi, dai greci Euripide e Teopompo, ai latini Catone e Cornelio Nepote, informazioni che trovano una codificazione in età augustea (27 a. C.-14 d. C.). Tito Livio e Virgilio, voci ufficiali del nuovo regime instaurato da Ottaviano Augusto, ricollegano i Veneti ad Antenore, eroe scampato alla distruzione di Troia e mitico fondatore di Padova. Tito Livio racconta che morto Pilemene a Troia, gli Eneti, già cacciati dalla Paflagonia, senza una patria e una guida, si rivolsero ad Antenore (Liv. I, 2-3): "con un gruppo di Eneti, ... Antenore pervenne nella parte più interna dell'Adriatico, e cacciati gli Euganei, che abitavano fra il mare e le Alpi, gli Eneti e i Troiani occuparono quelle terre... L'intera gente prese il nome di Veneti". Nell'Eneide virgiliana (Virg. Aeneide. I, 242-249), Venere, angosciata per il lungo peregrinare del figlio Enea, contrappone a quest'ultimo la felice sorte di Antenore che, sfuggito dalle mani degli Achei, si addentrò nei golfi dell'Illiria, si spinse nel regno dei Liburni e, superata la fonte del Timavo, fondò in quelle terre la città di Padova e stabilì la sede dei Troiani. L'affiancare Antenore, nel suo viaggio verso Occidente, ad Enea , illustre esule troiano e leggendario fondatore di Roma, tradisce l'intento propagandistico di voler legittimare anche su base, per così dire, mitistorica, quella secolare amicitia fra i due popoli, Veneti e Romani, documentata dalle fonti antiche quantomeno a partire dalla guerra gallica del 225-222 a. C., in cui, secondo Polibio, i Veneti avrebbero scelto di stare dalla parte dei Romani (Pol. II, 23, 2-3: "Veneti e Cenomani, cui i Romani avevano inviato un'ambasceria, preferirono allearsi con quest'ultimi; perciò i re dei Celti furono costretti a lasciare una parte delle loro forze a difendere il paese dalla minaccia costituita da costoro"; lo stesso Polibio (II, 18, 2-3) ricorda il precedente aiuto fornito dai Veneti ai Romani in occasione del sacco di Roma del 390 a. C.: [i Celti...] "presero la stessa Roma, tranne il Campidoglio... avendo i Veneti invaso il loro territorio, conclusero un trattato con i Romani, restituirono loro la città e ritornarono in patria". Tale notizia è stata interpretata da alcuni studiosi come una proiezione nel passato dell'allenza veneto-romana del 225 a. C. Plinio il Vecchio, che scrive nel primo secolo d. C., si richiama a Catone, autore vissuto tra III e II secolo a. C., per qualificare i Veneti di stirpe troiana (Plin. Nat. Hist. III, 130: Venetos troiana stirpe ortos auctor est Cato). Risulta significativo che Plinio citi Catone, un autore alquanto antico, piuttosto che Virgilio o Livio, letterati vissuti nel I secolo a. C., che, nel clima di esaltazione politica e di propaganda della grandezza di Roma, promossa dall'imperatore Augusto, fanno provenire i Veneti dalla Paflagonia dopo la distruzione di Troia: in tale scelta si potrebbe ravvisare la volontà di Plinio di dare maggiore spessore storico alla sua definizione, ignorando volutamente la propaganda corrente a lui ben nota. Sebbene in un passato nemmeno tanto lontano la tendenza della critica era quella di cancellare secoli di tradizioni connesse all'origine dei popoli italici, tacciandole frutto di favole e di leggende, allo stato attuale della ricerca si assiste ad un interessante recupero delle tradizioni antiche e della mitologia. Nella fattispecie, la ricca documentazione archeologica pertinente alla civiltà dei Veneti, letta e valutata nell'ambito di quella vasta e fitta rete di scambi che contraddistingue le vicende del Mediterraneo dagli inizi del mondo greco, conferisce valore al mito. Il Veneto, fin dagli albori della sua storia, si è sempre rivelato una terra di passaggio, di scambi (si pensi al commercio dell'ambra, dei metalli, del sale, del vino, della ceramica di provenienza attica), di accoglienza, e di commistione di civiltà, fra l'Egeo e l'Europa centrale, fra il mondo dei Greci e la civiltà etrusca, fra i Celti ed i Romani.

Veneto:etimoloja, xenetega e storia
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... =drive_web
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Carte Coulture Ouropee
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... tBR28/edit
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Carte Coulture Venete
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... 1obWc/edit
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Xenetega Ouropea e Veneta
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... =drive_web

Carte de li abità omani ente la Tera Veneta a partir da li Ani del Bronxo e dapò ente coeli del Fero
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... dTTE0/edit

Łe raixe de łe çità venete
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... NBems/edit

Na ‘olta, coanti omani ghe jera ente ła tera veneta?
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... wtM28/edit
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Re: Ła storia so li veneteghi ke ła se cata so Raixe Venete

Messaggioda Berto » lun feb 10, 2014 4:14 pm

La civiltà atestina, la cultura paleoveneta, i Veneti

Nel 1876, presso la stazione dell'odierna cittadina di Este, nel corso di lavori agricoli emersero due tombe di cremati, dotate di un ricchissimo corredo di vasi fittili e bronzei (fra i materiali vanno senz'altro segnalati due splendidi vasi di bronzo decorati con animali fantastici e figure umane). L'allora Conservatore del piccolo Museo estense, Alessandro Prosdocimi, diede il via ad una serie di campagne di scavo che, fra il 1876 e il 1882, portarono alla luce centinaia di sepolture: i ricchissimi materiali rinvenuti in quei contesti sepolcrali costituiscono ancor'oggi la maggior parte del patrimonio archeologico della protostoria atestina. Nel 1882 lo stesso Prosdocimi pubblicò nelle Notizie degli Scavi un ampio articolo in cui, dopo sei anni di incessanti indagini di scavo e clamorose scoperte, tracciò il quadro di una nuova civiltà: la civiltà veneta preromana poteva dirsi uscita dal mondo dell'intuizione e dell'erudizione leggendaria, per entrare a pieno titolo nella vasta problematica della protostoria italiana ed europea. A partire dai primi anni del Novecento, grazie a nuove scoperte, gli studiosi appurarono che la cosiddetta civiltà atestina, definità così da Prosdocimi dal nome antico di Este (Ateste), non era limitata al centro estense, bensì risultava attestata in un ambito geografico particolarmente vasto, esteso a occidente fino al lago di Garda e al fiume Mincio, a mezzogiorno fino al fiume Po, a settentrione fino al crinale alpino e ad oriente fino al Livenza e al Tagliamento e anche oltre, fino alla necropoli di S. Lucia di Tolmino, scoperta alla fine dell'800 dal noto Carlo Marchesetti. A questa cultura, contraddistinta da caratteri peculiari, venne attribuito il nome di paleoveneta, meno restrittivo di atestina, e al popolo la denominazione di Paleoveneti, per non creare equivoci con i Veneti moderni. Tuttavia, allo stato attuale della ricerca, sembra più corretto recuperare la storicità del nome Veneti, ben documentato nelle fonti letterarie.

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Re: Ła storia so li veneteghi ke ła se cata so Raixe Venete

Messaggioda Berto » lun feb 10, 2014 4:15 pm

Il topos dei cavalli veneti

Alcmane, autore greco vissuto alla metà del VII secolo a. C., ricorda "un cavallo vigoroso corsiero [...] enetico" e dei "puledri enetidi [...] dalla Enetide, regione dell'Adriatico" (Alcman. fr. 1, 46-51; 172 = Voltan 4-5). Alcmane, che si ricollega ad Omero quando definisce la terra di origine degli Eneti il paese delle mule selvagge, è il primo autore a menzionare quello che diventerà il topos dei cavalli veneti e che avrà un largo seguito presso i successivi autori greci e latini. Il frequente ricorrere nelle fonti antiche di questo tema sottintende un'attività economica, quella dell'allevamento equino, particolarmente apprezzata dai contemporanei; attività che da semplice fonte economica primaria divenne, nel corso del tempo, fonte competitiva di ricchezza nell'ambito degli scambi e delle relazioni commerciali fra Europa e Italia. Per citare un esempio, in seguito alla conclusione delle guerre istriche, il regulus dei Galli transalpini Cincibilo, assieme a Carni, Giapidi ed Istri, inviò, nel 171 a. C, un'ambasceria a Roma per lamentare che il console Caio Cassio Longino aveva intrapreso, di sua iniziativa, una spedizione per raggiungere la Macedonia via terra, e che, dopo aver ottenuto la loro collaborazione (probabilmente in base ai patti esistenti), li aveva trattati come nemici (pro hostibus), saccheggiando i loro territori.

Anche in questa occasione, il senato deprecò il comportamento del console, che fu richiamato a Roma, e inviò ambasciatori al di là delle Alpi con doni per i reguli, in modo da ristabilire le buone relazioni. In occasione della medesima ambasceria a Roma, i notabili gallici chiesero il permesso ai Romani di acquistare dai Veneti fino ad un massimo di dieci cavalli di razza a testa e di esportarli nel Norico.

Veneti e cavaj
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtopic.php?f=108&t=353

Veneti e cavaj
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... =drive_web
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Li hippobotai de Strabon e ‘l povolo Botai
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... =drive_web
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Cavaj, Shamani e el Dio del Sielo
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... =drive_web
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Orexeni turco altaeghe de le coulture nomadego-pastorałi
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... =drive_web
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Re: Ła storia so li veneteghi ke ła se cata so Raixe Venete

Messaggioda Berto » lun feb 10, 2014 4:15 pm

Il panorama archeologico

Fin dai primi anni del Novecento, importanti scoperte archeologiche, unite a rinvenimenti occasionali, contribuirono a delineare la fisionomia del Veneto protostorico: la realtà preromana di Padova, che solo in questi ultimi decenni è stata realmente compresa; la necropoli di Montebelluna, terzo polo geografico dei Veneti ; le tombe di Mel, lungo la valle del Piave; il luogo di culto di Lagole di Calalzo (che ha rivelato una documentazione linguistica analoga a quella rinvenuta alla fine dell'800 oltralpe, a Gurina, al di là del passo di Monte Croce Carnico, nella valle della Gail); il Veneto orientale con i centri di Altino, Oderzo, Concordia, fino ai territori compresi fra il Tagliamento e l'Isonzo.


a) Prima età del ferro (VIII-VI secolo a. C.)

A partire dall'VIII secolo a. C. compaiono i caratteri di una poleografia organizzata, con centri di pianura di primaria importanza, posti al controllo dei principali fiumi del territorio (dall'Adige al Tagliamento), uniti a centri comprimari o minori, situati presso i medesimi corsi d'acqua. Un aspetto da segnalare è lo stretto rapporto delle città venete con l'acqua, ben rilevato dalle fonti antiche. Strabone, geografo greco vissuto in età augustea, qualifica i centri veneti come "città simili ad isole", circondate dall'acqua e poste su importanti vie di transito. Anche le necropoli, situate esternamente ai centri urbani, risultano essere spesso dislocate in aree attigue all'acqua: anzi talvolta sono proprio i corsi d'acqua a marcare il confine fra la città dei vivi e quella dei morti, corsi d'acqua che devono essere attraversati nell'ultimo viaggio dal mondo terreno all'al di là. Nell'VIII secolo a. C., quando al popolamento sparso e diffuso tipico del IX secolo subentra la nascita di nuovi centri, che sorgono in aree nuove o con uno spostamento areale rispetto ai precedenti, i poli del nuovo sistema sono i centri di Este e Padova (Veneto euganeo); la loro centralità nell'ambito del panorama italico ed europeo sembra aver determinato la crisi del Veneto orientale, che risulta invece caratterizzato, nel passaggio fra la fine del bronzo-inizio ferro, da una generalizzata continuità di occupazione e da una decisa vitalità, quale area di raccordo fra il comparto circumadriatico e la fascia alpina e transalpina. Dalla metà dell'VIII secolo inizia a manifestarsi un'articolazione in classi, distinte in base al rango e al ruolo: i corredi funerari risultano contraddistinti da una diversa qualità e quantità dei materiali. Nel VI secolo a. C. si registrano delle trasformazioni nel quadro degli insediamenti, che sfociano in una fase decisamente urbana. Nascono nuovi poli d'attrazione quali Vicenza, a cui si connette il ripopolamento delle colline circostanti, Altino, Adria.

b) Seconda età del ferro (V-II secolo a. C.)

Nella seconda età del ferro, se da un lato si realizza la massima espansione territoriale dei Veneti, dall'altro comincia a verificarsi una certa dissoluzione legata alla pressione esercitata da altre realtà etnico-culturali, quali gli Etuschi padani, i Celti, i Reti. Indizi primari del passaggio alla fase urbana sono la trasformazione dell'edilizia domestica (le capanne vengono sostituite da strutture in muratura), il cambiamento del rituale funerario (si accentua il rituale del simposio-banchetto, mutuato dall'ambito greco-etrusco), l'attestazione di luoghi di culto (eco della religiosità pubblica della civiltà etrusca fra VII-VI secolo a. C.), spesso ubicati presso corsi d'acqua e-o direttrici commerciali, la nascita del concetto di confine, la diffusione della scrittura. Alle importazioni ceramiche (ceramica attica e-o etrusco-padana; precoci materiali di matrice celtica o cetizzante, quali fibule di tipo tardohalstattiano centroccidentale e ganci traforati) si affianca una produzione locale di imitazione (ad esempio la ceramica fine da mensa in argilla semidepurata e grigia).

Tuti łi ensediamenti omani de na 'olta łi xe ligà a corsi de acoa, co łi omani łi gheva ancora da enventarse i condoti par l'acoa o acoadoti.
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Re: Ła storia so li veneteghi ke ła se cata so Raixe Venete

Messaggioda Berto » lun feb 10, 2014 4:16 pm

L'arte delle situle

Le situle sono vasi di bronzo a forma di secchio, attestati anche nel mondo orientale e centroeuropeo, che i Veneti producono largamente e sono soliti decorare con motivi geometrici e figurati. La provenienza di questi manufatti è prevalentemente funeraria, in quanto essi venivano usati come recipienti per contenere i resti della cremazione dei defunti. Questi vasi bronzei venivano lavorati con la tecnica dello sbalzo, o a stampo o a incisioni: nella fase più antica la decorazione fu esclusivamente geometrica, successivamente figurata (ad esempio nella nota situla Benvenuti, rinvenuta nella necropoli nord ad Este e datata alla fine del VII secolo a. C., sono rappresentati uomini intenti in varie attività della vita quotidiana, animali reali, esseri fantastici, fiori e virgulti).


Gli ex voto

Gli ex voto, connessi ai luoghi di culto, possono rivelare dei caratteri comuni, ma possono anche manifestare delle diversità, delle specifiche diversità da centro a centro. Nella fattispecie gli ex voto (prevalentemente di bronzo) e alcune caratterische cultuali evidenziano una netta dicotomia fra l'area sud-occidentale (che gravita sul territorio di pertinenza atestina) e l'area nord-orientale (di pertinenza patavina). Caratteristica dell'area di gravitazione altinate è la presenza di una forte componente femminile, contraddistinta, ad esempio, dalla divinità Pora-Reitia, dalle immagini e dalle dediche femminili, dai doni legati alla filatura-tessitura e dai riti di passaggio che coinvolgono le giovani fanciulle (ad esempio quello della scrittura). Tipica dell'area soggetta all'influenza patavina è l'assenza di immagini femminili e la preminenza di dediche e offerte maschili. Di raccordo appare l'area altinate-trevigiana.



Secie bronxee de Este, Hallstatt, Vače, Çertoxa, Boxen, Kuffern
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... Via28/edit

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La secia de l’amor
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... =drive_web

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Serci o diski de bronxo veneteghi
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... hhTFE/edit


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Re: Ła storia so li veneteghi ke ła se cata so Raixe Venete

Messaggioda Berto » lun feb 10, 2014 4:16 pm

Il costume dei Veneti dalla documentazione figurata

E' soprattutto dalla documentazione iconografica di natura cultuale (bronzetti e oggetti ex voto), attestata a partire dal V secolo a. C., che si ricavano informazioni utili circa il costume degli antichi Veneti. Complessivamente si può affermare che il costume veneto doveva differenziarsi, oltre che nei colori e nei modelli degli abiti, anche nelle guarnizioni, nel numero e nel tipo dei monili e nella foggia della cintura. Il costume non mutava solamente in base al tipo di occasione pubblica in cui veniva indossato, ma anche secondo lo status sociale che era in grado di qualificare. Al riguardo è stata formulata l'ipotesi che l'atto del vestirsi doveva essere non una semplice scelta privata, bensì doveva corrispondere ad un sistema di comunicazione sociale.

Costumi Hallstattiani e de Este, da le secie bronxee
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... NURDg/edit

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Braga (etimoloja)
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... VwU28/edit

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Tabaro (tabarro) (etimołoja)
viewtopic.php?f=26&t=322&p=1072#p1072
El tabaro de torno a Pragha: Ani del Bronxo
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... ZvdzA/edit


Sandali, scarpe, stivali, shoes, calighe, socoli, sopeli, xgalmare, ...
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... FkaW8/edit

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Zendal/Xendal e altre vesti venete
viewtopic.php?f=26&t=46&p=71#p71

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Fiło, fiłò, fiłar, filanda
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... ZINzg/edit

Scalfaroti, calse, calsoni, calsadure, calegheri
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... JyRWM/edit
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Re: Ła storia so li veneteghi ke ła se cata so Raixe Venete

Messaggioda Berto » lun feb 10, 2014 4:17 pm

Le fonti epigrafiche. Lingua e scrittura

L'identità etnico-culturale dei Veneti è contraddistinta, oltre che dalle espressioni di cultura materiale, anche da una lingua comune, definita "venetico". Il venetico risulta attestato nel Veneto centrale e meridionale (Este, Padova, Vicenza, Adria); nell'area dolomitica cadorina (Lagole di Calalzo, Belluno); nella valle della Gail (Würmlach, Gurina); nel Veneto orientale (Montebelluna, Altino, Oderzo); man mano che ci si muove verso Est, le testimonianze, seppur presenti, si fanno sporadiche (allo stato attuale della ricerca nell'area friulana si contano circa una ventina di iscrizioni). Se il riconoscimento del venetico come una lingua appartenente al ceppo indoeuropeo è stato un dato acquisito fin dagli inizi degli studi linguistici, meno univoca è stata la classificazione di questa lingua: da ultimo, in base alle recenti acquisizioni, è stata riconosciuta una rilevante affinità del venetico con il latino. La documentazione della lingua venetica si deve esclusivamente alle iscrizioni (allo stato attuale delle conoscenze si possiedono oltre quattrocento testi). Esse sono redatte in un alfabeto di derivazione etrusca, adattato alle esigenze fonologiche della lingua venetica: l'acquisizione dell'alfabeto etrusco è avvenuta in due fasi, una più antica (inizi del VI secolo a. C.) di matrice settentrionale (Chiusi), e una più recente (di poco posteriore) di matrice meridionale (Veio). Una caratteristica della scrittura venetica è l'uso della puntuazione, cioé di punti che, secondo regole complesse, precedono e seguono le lettere, quando queste si trovano in posizioni particolari. La puntuazione ha una funzione connessa all'insegnamento della scrittura, che pare basato sulla sillaba (proprio dalla città di Este provengono le testimonianze più complete di tutta l'Italia antica per quanto riguarda l'insegnamento della scrittura). La constatazione che le iscrizioni più antiche sono prive di puntuazione (la più antica iscrizione finora nota, databile al VI secolo a. C., il cosiddetto Kantharos di Lozzo, attesta una prima fase di scrittura senza puntuazione), e rivelano delle differenze nell'uso e nella forma di alcune lettere confermerebbe la tesi che i Veneti mutuarono per almeno due volte l'alfabeto dagli Etruschi, in tempi diversi e da aree geografiche diverse (Chiusi e Cerveteri o Veio). Altri aspetti singolari sono che la scrittura procede da destra verso sinistra e che le parole vengono scritte tutte di seguito, senza essere divise (la puntuazione, come si è accennato, non aveva una funzione divisoria). Circa l'ambito cronologico, le iscrizioni vanno dal VI secolo a. C. al periodo della romanizzazione. Per quanto riguarda i contenuti, si tratta quasi esclusivamente di iscrizioni funerarie o votive, ad eccezione di alcune iscrizioni confinarie e pubbliche. I testi sono brevi e ripetitivi, in quanto redatti secondo stereotipi relativi a ciascuna classe testuale.

Ciò inevitabilmente condiziona la conoscenza del venetico: lessico e morfologia si conoscono in misura ristretta, mentre è noto un ampio repertorio onomastico, da cui si desumono interessanti informazioni di natura sociale ed istituzionale.
Di analoga derivazione etrusca è anche la formula onomastica binomia: essa in genere è caratterizzata da un nome individuale e un appositivo derivato dal nome del padre, con suffisso -io o -ko; per le donne il patronimico può essere sostituito dal gamonimico proveniente dal nome del marito con suffisso -na. Non mancano le attestazioni di una formula onomastica trinomia, che nel caso delle donne è stata spiegata con la presenza sia del patronimico che del gamonimico.
Rimangono tuttoggi al vaglio degli studiosi alcuni aspetti del sistema onomastico venetico, soprattutto per quanto riguarda le implicazioni di natura giuridico-sociale.


No xe dito ke sta formouła donomia ła sipia de derivasion etrusca.
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