Il passaggio alla romanitàa) Aspetti storico-archeologiciI Veneti, i cui contatti con i Romani risultano documentati quantomeno a partire dalla fine del terzo secolo, furono sempre in buoni rapporti con Roma, e questo risulta in modo esplicito dalle fonti letterarie che li citano come alleati dell'Urbe nei più importanti eventi bellici del tempo (
ricordiamo che Polibio fa entrare i Veneti nella storia di Roma in occasione del tumultus gallicus del 390 a. C.: i Galli senoni, guidati da Brenno, avrebbero desistito dall'assedio dell'Urbe in quanto minacciati dai Veneti nelle loro sedi padane).
Nel catalogo polibiano dei milites messi a disposizione dei Romani dagli alleati alla vigilia della guerra gallica del 225-222 a. C., i Veneti compaiono con un contingente di circa 10.000 uomini. Durante la guerra annibalica (218-201 a. C.), Asconio Pediano, un veneto dell'aristocrazia di Patavium (Padova), si distinse nelle operazioni condotte da Marco Claudio Marcello sotto le mura di Nola, durante l'assedio cartaginese della città. Nella guerra sociale (dai socii, alleati; 90-88 a. C.), i Veneti rimasero a fianco dei Romani, come risulta da alcune interessanti testimonianze epigrafiche. Una doppia serie di ghiande missili, con iscrizione, rispettivamente, venetica e romana (Opitergin(orum), degli Opitergini) fu scagliata da un reparto di frombolieri (funditores) provenienti da Oderzo (Opitergium) durante l'assedio di Asculum (Ascoli Piceno). Un altro genere di proiettile, una sorta di campana di piombo con due iscrizioni venetiche, fu lanciata da un librator, probabilmente di Ateste (Este), contro qualche reparto di insorti presso Montemanicola (L'Aquila), nel territorio degli antichi Vestini. Quando Roma, dunque, diede il via al processo di espansione nella valle Padana, nell'ultimo venticinquennio del III secolo a. C., i Veneti, accomunati dalla comune politica antigallica, non ostacolorano tale avanzata, e, in seguito alla riconquista della Cisalpina dopo il passaggio di Annibale, non subirono confische o fondazioni di colonie, ad eccezione di un settore collocato ai loro confini orientali, che, dopo aver subito nel 186 a. C. un'occupazione da parte di 12.000 Galli Transalpini, ed essere divenuto ager Gallorum, fu, dopo la loro espulsione, ridotto ad ager publicus e destinato all'impianto della colonia di diritto latino di Aquileia (181 a. C.).
La fondazione di Aquileia, la presenza di Marco Emilio Lepido a Padova per dirimere dei conflitti interni, i cippi confinari fra Este-Padova e tra Este-Vicenza, che documentano un concetto prettamente romano di controllo del territorio, la costruzione nel 148 a. C. della via Postumia , la grande arteria padana che metteva in collegamento Genova ad Aquileia, sancirono via via la fine dell'autonomia e dell'indipendenza dei Veneti, pur nel nome dell'amicizia con il popolo romano (come risulta ad esempio attestato dalla stele di Ostiala Gallenia, moglie veneta di un romano).
La realizzazione di un'importante rete viaria facilitò la creazione di intensi rapporti fra l'Italia centrale e le regioni a nord del Po, la cui ricchezza e fertilità, ben decandate da autori antichi quali Catone e Polibio, attrassero cittadini romani e alleati latini e italici. Questa immigrazione spontanea favorì in modo lento e graduale l'acculturazione romana.
Tale fenomeno procedette in modo pacifico e "indolore" tanto che pian piano i Veneti abbandonarono le loro tradizioni politiche, economiche, artistiche e religiose in favore della cultura romana. Un notevole impulso al processo di romanizzazione venne dal provvedimento attribuito a Pompeo Strabone, noto come lex Pompeia de Transpadaniis (legge Pompea sui Transpadani), con cui gli abitanti dei territori a nord del Po ricevettero lo ius Latii, ossia il diritto latino. Un ulteriore passo verso la piena romanizzazione fu compiuto fra il 49 e il 42 a. C., quando a tutto il territorio fra le Alpi e il Po fu estesa la cittadinanza romana.
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b) Aspetti linguisticiAnche dal punto di vista linguistico il passaggio dal venetico al latino fu lento e graduale. Un elemento che presumibilmente favorì questo trapasso fu la stretta somiglianza della lingua venetica con quella latina, che doveva suonare all'orecchio dei Veneti non del tutto estranea:
il venetico infatti presenta a tutti i livelli (fonetica, morfologia, lessico) notevoli affinità con il latino (ciò ha portato a formulare l'ipotesi che in un'epoca molto antica, precedente gli stanziamenti nelle rispettive sedi storiche, i due popoli fossero insediati in aree vicine e parlassero due lingue molto simili, quasi due dialetti della stessa lingua). Sono ancora una volta i documenti epigrafici a consentirci di osservare questo passaggio dal venetico al latino: in una prima fase assistiamo all'abbandono dell'alfabeto venetico, mentre la lingua può dirsi ancora venetica. Segue l'abbandono della formula onomastica locale per l'adozione del sistema onomastico romano (prenome, gentilizio, cognome); infine vengono abbandonati gli idionimi propriamente venetici, che talvolta sopravvivono nella forma di cognome. Ad esempio, nel santuario di Lagole nel Cadore le dediche alla divinità encoria vengono gradualmente sostituite con le dediche ad Apollo. Ancora, il trapasso alla romanizzazione si può seguire da vicino negli epitaffi delle necropoli di Ateste (Este): da una fase di piena veneticità, caratterizzata da una scrittura, lingua, formulario e onomastica venetici, si passa, attraverso fasi intermedie in cui coesistono moduli dell'una e dell'altra cultura (alfabeto latino con formulario venetico; alfabeto e formulario latini con onomastica venetica), ad una fase in cui si accetta totalmente il modello portato dai Romani negli epitaffi che sono ormai latini (solamente il permanere di basi onomastiche locali tradisce il legame con la tradizione degli antichi Veneti).
1) Łe xenti venete: veneti, gałi çenomani (e forse altri ?) co i gałi çenoni, guidà da Breno, entel 390 v.C. łi ga tacà Roma, no łi xe entervegnesti a favor de Roma ma łongo i confini co łi çenoni par defendarli da ła presion çenona, ke dopo sto fato el posa ver fato tornar da Roma staltri gał pol esar ma no xe demostrà ke łe xenti venete łe sipia entervegneste a favor de i romani.
Dopo a Talamon entel 225 v.C. i ghe ga dà na man ai romani.
Però pì tardi co xe rivà sù Anibałe entel 218 v.C. e i liguri e i gałi de ła çixalpina o padania łi ghe ga da na man contro Roma, i veneti par ke łi sipia restà neotrali e no łi ghe gapia dà na man ai romani.
2) Come se fa a sostegner ke łe xenti vente łe gà xbandonà łe so tradision e łe so istitusion połedego economeghe, artisteghe e rełijoxe par torse coełe romane?
a) łe xenti venete pì ke “sotomese” e sensa diriti :
http://it.wikipedia.org/wiki/Municipio_(storia)
I municipi (in lingua latina mūnǐcǐpǐum), nella antica Roma ed in particolare nella Roma repubblicana, erano le comunità cittadine legate a Roma, ma prive dei diritti politici propri dei cittadini romani: si distinguevano perciò dai federati, che conservavano la propria sovranità, e dalle colonie.
La maggior parte dei municipia conserva i propri magistrati e una certa autonomia amministrativa.
Con l'estensione della cittadinanza romana a tutti i popoli della penisola (90 a.C.) e a tutti gli abitanti dell'impero (212 d.C.), i municipi persero la loro condizione particolare.
łe jera soçe e federà de i romani
http://it.wikipedia.org/wiki/Federato
b) łe atività economeghe łe seita coełe del pasà: pastorisia, artexanà, mercadura, navigasion;
ç) łe tradision łe seita coełe del pasà, coalkeona ła termena e coalkedona ła se xonta;
d) no se ga da confondar łi çentri çitadini endoe se ga reałexà ła statułetà romana co ła arketetura da i paexi endoe ke se ga conservà de pì łe tradision de łe xenti venete: caxoni, feste, rełijoxetà, feste e riti, come par ła łengoa.
Se se sovegna del caxo de Traxea Peto kel preferiva tornar a Pava par łe so feste venete ke star a Roma par łe feste romane co Neron.
3)...