La storia raccontata da Vittorio Selmo di Verona

La storia raccontata da Vittorio Selmo di Verona

Messaggioda Berto » ven mar 27, 2020 9:05 am

La storia raccontata da Vittorio Selmo di Verona
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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: La storia raccontata da Vittorio Selmo di Verona

Messaggioda Berto » ven mar 27, 2020 9:07 am

???

Alla ricerca dello Stato perduto.
VittorioSelmo1946

https://www.facebook.com/groups/2376236 ... 1671971579

La filosofia hegeliana formulava il concetto di Stato assoluto, che motivava Fascismo e Nazionalsocialismo, concetto che veniva bensi formalmente negato dalla Repubblica Italiana, peraltro senza sostituirlo con un diverso concetto. Solo la forma diveniva quella repubblicana. Per tacer d’altro, di ciò ne sia prova il fatto che il codice penale e quello civile tuttora in uso, sono ancora quelli fascisti. In altri termini in 70 anni Il Sistema dei Partiti,dal 1948, non ha saputo formulare una propria sostanziale idea dello Stato da mettere a fondamento dei massimi principi del diritto; il Sistema dei Partiti non si è preoccupato d’altro che di costruirsi privilegi ed assoluzioni da qualsiasi rendiconto e responsabilità e, sopratutto, di rafforzarsi quale centralistica oligarchia di interessi, (senza neppure obbligo di redigere i propri bilanci). Forte della propria potestà legiferante, il Sistema dei Partiti, ciascuno nella sua tensione assolutista di imposizione del proprio potere, si è letteralmente sostituito allo Stato e si è spartito tra le proprie segreterie il potere politico, che prima era del solo partito fascista, attribuendone quote decisive anche ad altri centri di potere inconoscibili e comunque incontrollabili ( finanza, informatica, ecc). Neppure Lega e 5 Stelle, vincitori delle elezioni politiche del 4.3.2018, dichiarati antagonisti dei partiti finora al governo, hanno mai formulato un proprio concetto di Stato, intendendo solo sostituirsi agli altri partiti, con una contestazione reattiva/punitiva, senza tuttavia rinnegarne la medesima natura e struttura partitica e senza neppure avere nella loro storia alcun autore o riferimento ideologico sull’interpretazione della vita. Questo risultato elettorale, considerato nel suo definitivo e complessivo significato, a noi Veneti dice che il Sistema dei Partiti ha conclusivamente fatto il suo tempo, perchè non serve a rappresentare la volontà politica degli elettori. Infatti da chiunque il voto del 4.3.2018 è stato interpretato quale condanna,senza riserve, di un intero Sistema Politico e dei suoi interessi e sfruttamento delle fatiche e delle economie del popolo.
Tale condanna rafforza le istanze identitarie dei popoli e dei valori dei Territori Veneti, che ancòra di più oggi hanno diritto di recuperare il proprio significato politico di Stato Veneto, sua sovranità, libertà e indipendenza; uscire senz’altro dal criterio centralista del potere, da restituire con tutte le loro prerogative ai Territori Veneti dall’Adda all’Istria; adottare la democrazia diretta, senza intermediazioni partitiche per la rappresentanza politica; adoperarsi per il proprio riconoscimento statuale internazionale.
@Referendum Indipendenza Veneto - “Il nostro Veneto.Il nostro Referendum”


Gino Quarelo
No grazie: Istria e Lombardia orientale non sono territori veneti, ma sono stati per qualche secolo territori non veneti di dominio veneziano.

No tuti łi domegni venesiani łi jera tera veneta
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 137&t=2184


Vittorio Selmo
23 febbraio 2019

https://www.facebook.com/VittorioSelmo1 ... 8622495929

@Stato Veneto propone la Poliarchia nella concezione e gestione dello Stato, cioè quote di potere politico garantito e assegnato ai distinti Territori Veneti confederati, a somiglianza, non già un copia incolla, della Confederazione svizzera.
Certo il Sistema delle Comunità è da perfezionare secondo la nostra mentalità (giudizi di valore).
Ma ciô che fa la dfferenza è l’eliminazione del centralismo, quale principio di Stato e di governo. In questa previsione il populismo resta escluso, mentre l’Ordinamento statuale assume una ben diversa consistenza, rispettosa anzitutto delle diversità, laddove il Sistema dei Partiti invece, cosificando l’Uomo, ne fa solo una questione economica, una somma di bisogni. Ma la vita, l’esistenza non si esaurisce nell’economia.


Gino Quarelo
Interessante, resta solo da chiarire cosa siano mai questi territori veneti indefiniti.


Veneto e Serenisima, coençedense e difarense
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... =49&t=2615

Immagine
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Re: La storia raccontata da Vittorio Selmo di Verona

Messaggioda Berto » ven mar 27, 2020 9:08 am

No tuti łi domegni venesiani łi jera tera veneta
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 137&t=2184


Il venezianismo è una idolatria politica antiveneta
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 167&t=2692
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Re: La storia raccontata da Vittorio Selmo di Verona

Messaggioda Berto » ven mar 27, 2020 9:12 am

La forma è costitutiva dell’essenza delle cose. In questa sintesi c’è la originaria, storica ed inconciliabile differenza politica dei veneti dagli italiani.

https://www.facebook.com/VittorioSelmo1 ... 0416102083

Mentre lo Stato italiano ha forma unitaria (non già unita) ed omologante, per la quale sono indifferenti, indistiguibili e prive di valore le diversità dell’identità di ciascun popolo della penisola, invece per lo Stato Veneto ogni suo Territorio, come delineati al 1797, ha conservato ciascuno personalità statale, (benchè tutt’oggi occupati dallo Stato Italiano, nonostante il decr. leg.vo 212/2010 di abrogazione dell’annessione dei Territori Veneti all’Italia).
La partecipazione nella Costituzione federale della Confederazione dei Territori Veneti, specificatamente diversa e dissimile da quella italiana, rende diverso e di natura differente anche lo Stato Veneto.
“È diversa ogni società, se diversa è la forma dell’unione” (Arist. La Politica III, 1*).
L’esperienza dell’annessione all’Italia per noi Veneti è stata criminale, devastante, di rapina reiterata e continuata anche oggi, nefanda sotto ogni profifo e negativa del nostro diritto di vivere una vita degna di essere vissuta.
Stato Veneto, se non ora quando

https://www.facebook.com/groups/2376236 ... 4787883265


Gino Quarelo

In questa premessa o impostazione basilare, vi è un grave errore di fondo, un malinteso, una inesattezza, una imprecisione gravida di tutta una serie di conseguenze assurde che rendono il progetto politico una fantasia impossibile o una demenzialità insensata che genera speranze illusorie, delusione e inutile perdità di tempo.

Lo Stato Veneto del 1787 corrisponde all'impero veneziano, costituito da Venezia la città dominante e dai suoi territori dominati o domini di terra e di mare. Tale impero veneziano era costituito da una molteplicità di popolazioni, tutte suddite di Venezia e solo una minima parte di loro era veneta nel senso di essere collocata nel territorio che da miliaia di anni è storicamente qualificato e conosciuto come veneto o essere proprio dei veneti.
Un mondo che non esiste più da 222 anni e che non potrà più esistere nella realtà poiché è cambiato completamente e la Patria Veneta attuale non corrisponde in alcun modo a quel mondo passato che non esiste più.

Ipotizzare una confederazione di quei territori continentali e mediterranei oggi appartenenti a quasi una decina di stati con popolazioni che di veneto hanno pochissimo o nulla è ragionevolmente assurdo, come è assurda l'idea che un morto possa resuscitare.

Costruire un progetto politico su questa base o solo aderirvi e credervi fideisticamente è segno di invasamento mitomaniacale, di ignoranza e incultura, di infantilismo irragionevole, di incoscienza e immaturità umana e intellettuale.




Vittorio Selmo
Sergio Tegani La democrazia nei partiti è esclusa per definizione.
Il partito è solo un insieme di interessi di classi sociali.
Le classi sociali non esistono più.
Il partito comunista/socialista non combatte affatto le cause in loco dell’esodo degli africani dalla loro terra. Anzi. Dato che, per giustificarsi di esistere, ha tuttora bisogno della classe del proletariato, e questa essendo scomparsa, con il cinismo che connota il realismo marxista-leninista, ne organizza lo sradicamento dalla loro terra e l’importazione dall’Africa, qui travestendola da “umanità”, a prescindere dalle sofferenze disumane e dai troppi morti che affogano nella trasferta.
Il partito deve far prevalere l’interesse dei suoi aderenti sugli interessi di chiunque altro, cioè sul resto dell’umanità.
Portàti alle loro più compiute conseguenze, i partiti hanno fondato le più spaventose dittature, con milioni di morti, guerre e devastazioni.
Il 9 nov. 1989 è crollato non a caso il muro di Berlino insieme con tutte le implicazioni di disumanità che le dittature che anche i partiti comunisti del resto del mondo avevano portato con sè.
Riproporre oggi i contenuti, l’analisi, la prassi ed i metodi del Sistema dei Partiti, di qualunque partito, di destra o di sinistra non importa, a tacere d’altro è mettersi fuori della Storia per proporre un controsenso al superato dissstro mondiale operato dal Sistema dei Partiti ed allo sforzo invece di autentico progresso della Civiltá che con fatica, affermando al posto del Sistema dei Partiti e dei loro macroscopici interessi, il Sistema delle Comunità con i loro valori e Democrazia Diretta, ricerca orizzonti nuovi dei rapporti politici, rispettosi dell’Uomo e della sua vita.


Gino Quarelo
Scusa Selmo
ma non si capisce il nesso del tuo commento con il mio.
In ogni caso sono gli uomini individualmente o collettivamente a fare il bene o il male e non necessariamente i partiti in quanto tali fanno del male.
I partiti sono solo una forma di organizazzione politica che in taluni paesi democratici funzionano bene e gli uomini collettivamente e politicamente possono fare del male anche senza partiti.

I partiti non rappresentano solo gli interessi delle classi sociali ma anche le diversità e le specificità culturali, territoriali, etniche e religiose.

La Svizzera in ral senso insegna come ben ci ha spiegato e ci spiega da tempo il nostro Enzo Trentin che ha approfondito la questione della democrazia all'epoca dei comuni medievali e in quella odierna in taluni paesi esemplari che fanno scuola.

Per quanto riguarda l'invasione dei clandestini dall'Africa mi sembra che nel tuo commento tu abbia trascurato
i danni e le sofferenze che che questo fenomeno ha provocato da noi e che per noi dovrebbe essere l'aspetto più importante da considerare.



Franco Pistoia
Tanti commenti buttati lì senza sapere esattamente di cosa si parla, si considera l’autonomia è da considerarsi come un contentino da parte dello stato italiano, mentre attraverso leggi internazionali siglate e accettate come proprie dallo stato italiano, il popolo Veneto, quello vero, potrebbe ottenere la propria indipendenza, purtroppo troppi pseudo indipendentisti, finti veneti creano effetti contrari facendo credere che ottenere l’indipendenza sarebbe un’utopia e che avere più autonomia sarebbe la vera volontà della massa.


Gino Quarelo
Scusa tanto ma quello che dici è semplicemente insensato.
La verità è che è la volontà della maggioranza dei veneti a determinare le scelte politiche (proprio secondo le convenzioni e le leggi internazionali e nazionali italiane) e non certo la volontà demenziale di minoranze ignoranti, incoscienti, fanatiche, presuntuose, idolatre, mitomaniache, inconcludenti.


Sergio Tegani
Siamo già stato Veneto.
Non ci resta che buttare oltre Po' tutti gli italiani, senza distinzione di religione, colore della pelle e etnia di provenienza.
Io ho già cominciato.

Gino Quarelo
Mi dispiace deluderti ma non è mai esistito finora uno Stato Veneto a sovranità di tutti i veneti. La Serenissima non era certo uno Stato Veneto di tutti i veneti, una Nazione Veneta nel vero senso della parola.
La Nazione si ha quando tutti direttamente o indirettamente attraverso dei rappresentati democratici o aristocratici (nelle repubbliche democratiche o aristocratiche) o attraverso dei rappresentanti aristocratici o democratici (nelle monarchie aristocratiche o costituzionali) partecipano della sovranità politica e nella Serenissima la maggior parte dei veneti erano sudditi non sovrani e subivano la sovranità aristocratica veneziana.
Poi l'impero veneziano era costituito anche da molti popoli non veneti.

Sergio Tegani
La sovranità veneziana, come era, certo meglio di quella Italiana! Non sei d'accordo?


Gino Quarelo
No non era certo meglio se lo fosse stata "tutti" l'avrebbero difesa a costo della vita ma così non è stato, nemmeno Venezia e i veneziani hanno difeso la Serenissima contro Napoleone.
Basta fare un confronto con la Guerra di Cambrai di 290 prima quando Venezia si difese e difese i suoi domini con le unghie e con i denti e con intelligenza.
Certo, in alcuni periodi la Serenissima ha avuto un buon governo, a volte meglio di tanti altri che vi erano in Italia e in Europa però poi non ha saputo evolversi e adeguarsi ai tempi moderni con il loro portato democratico e si è fatta scalzare dalla storia.
E comunque nella sovranità italiana vi è anche quella veneta, nel senso che i veneti partecipano alla sovranità italiana.
La liberazione dai problemi e il miglioramento incominciano con l'assunzione piena delle proprie responsabilità storiche e non certo con il vittimismo e l'attribuzione delle colpe e del male esclusivamente agli altri.
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Re: La storia raccontata da Vittorio Selmo di Verona

Messaggioda Berto » ven mar 27, 2020 9:16 am

Vittorio Selmo e l'abrogazione di Calderoli del regio decreto che annetteva il Veneto allo Stato italiano
8 maggio 2019

https://www.facebook.com/VittorioSelmo1 ... 9802571144

Sul decrr. leg.vo 212/2010 di abrogazione del r.d.l. 3300/1866 conv. In legge 3841/1867 di annessione dei Territori Veneti allo Stato Italiano.

a) L’art. 5 Cost. Ital. dispone solo un decentramento amministrativo per gli enti regionali che fanno parte del territorio italiano, senza nominare le regioni, con la conseguenza per cui alle regioni, o meglio ai territori sui quali insistono amministrativamente, ma non più facenti parte del territorio politico italiano, non puó applicarsi lo stesso art. 5 Cost. sul decentramento amministrativo.

b) Non è dimostrato in alcun modo che il decr. leg.vo 212/2010 abbia ecceduto, ovvero abbia disposto in senso incompatibile con i limiti della legge delega.

c) Il decr. leg.vo 212/2010 è stato applicato con effetto utile per l’abrogazione di tutte le altre normative con esso elencate. Perció non vi è una ragione giuridica per cui solamente l’abrogazione del r.d.l. 3300/1866 e la legge di conversione 3841/1867 dovrebbe fare eccezione.
d) Non esiste nell’Ordinamento italiano la previsione legale di resurrezione di una legge abrogata, tantomeno mediante “emendamento” di un preteso errore nel disporla. Mentre potrebbe essere riproposta la legge abrogata, tuttavia con ciô riconoscendone la sua precedente avvenuta abrogazione.
e) Le leggi successive al decr. leg.vo 212/2010, dispositive di norme concernenti comunque i Territori dichiarati non facenti parte dello Stato Italiano, sono da considerarsi inefficaci, tanto come quelle che disponessero norme su altri territori esteri e, in ogni caso, non hanno alcun effetto sanante del presupposto abrogativo del decr. leg.vo 212/2010.
f) L’elenco delle regioni di cui all’art. 131 Cost. It. ha scopo e contenuto esclusivamente amministrativo, non già ricognitivo di una loro sottostante territorialità politica.



https://www.life.it/wp-content/uploads/ ... zione1.pdf

Alberto Pento
Questa argomentazione è di una demenzialità pura che più demenziale non si può. Da un punto di vista logico e del buon senso. l'abrogazione di un Decreto poi convertito in Legge non ha alcun effetto poiché ciò che era affidato al Decreto è stato trasmesso/trasferito alla Legge che è ancora in vigore e il Decreto in sè è diventato inutile in quanto era un provvedimento provvisorio e momentaneo in attesa della Legge che poi è arrivata e ne ha assurbito il compito e la funzione.

Un ministro e un governo non hanno alcuna facoltà di abrogare una Legge del Parlamento, solo il Parlamento può abrogare o cambiare una sua Legge.




Vittorio Selmo
Ma lo puô in applicazione (dovuta) di un decretoi legislativo, che è emanato dal parlamento

Alberto Pento
Scusami Selmo ma questa tua posizione condivisa anche da altri, per quanto mi riguarda non ha alcun senso, alcun valore, alcuna validità, alcuna efficacia, vuoto e demenziale formalismo.

Vittorio Selmo
Alberto Pento oltre a dare un giudizio “a prescindere”, sarà opportuno motivarlo, credo. Altrimenti esso stesso non ha senso. Ben fatto, mi pare, l’esposto alla Cedu. Adesso sono i Veneti a doversi dotare di una propria Autorità.

Alberto Pento
La CEDU ha respinto come irricevibile e non pertinente l'istanza o il ricorso della LIFE.


Alberto Pento
Nessun organo dello Stato italiano: né il Governo né il Presidente della Repubblica né il Parlamento né la Corte Costituzionale né alcun giudice ordinario si è mai preoccupato o ha ritenuto necessario di intervenire con un qualsiasi provvedimento legislativo per annulllare gli effetti o per ripristinare gli effetti dell'abrogazione dei provvedimenti da te citati. Se quanto abrogato a suo tempo da Calderoli avesso avuto un qualche effetto giuridico sensato stai pur certo che lo Stato Italiano avrebbe già legiferato per porvi rimedio.
È più che sensato e logico ritenere che quanto è stato abrogato, sia stato semplicemente assorbito da altre leggi successive che ne hanno perpetuato e ne perpetuano il contenuto.

Maurizio Curto
Nessuno si è mosso per paura di sollevare un polverone. Tanto i Veneti xe bauchi vuoi che si mettano a tirar fuori sta cosa ? Poi si son detti tanto ci pensano quelli come te a mettergli i bastoni fra le ruote.

Roberto Poli
sempre e cmq ipotizzando sia stato un errore, a detta solo dei giornalisti e dei diretti interessati in veste informale. E se invece fosse stato un atto dovuto? Un passaggio obbligato per motivi a noi sconosciuti o incomprensibili..?
Di Calderoli s'è detto di tutto, ma chi lo conosce non lo definisce incompetente, anzi tutt'altro! Bah!

Alberto Pento
Maurizio Curto ha scritto
Nessuno si è mosso per paura di sollevare un polverone. Tanto i Veneti xe bauchi vuoi che si mettano a tirar fuori sta cosa ? Poi si son detti tanto ci pensano quelli come te a mettergli i bastoni fra le ruote.

Alberto Pento scrive
Maurizio Curto la tua è un'argomentazione del tutto insensata catalogabile tra quelle demenziali dei complottisti.
È più che sensato e logico ritenere che quanto è stato abrogato, sia stato semplicemente assorbito da altre leggi successive che ne hanno perpetuato e ne perpetuano il contenuto.

Alberto Pento
Roberto Poli ha scritto:
sempre e cmq ipotizzando sia stato un errore, a detta solo dei giornalisti e dei diretti interessati in veste informale. E se invece fosse stato un atto dovuto? Un passaggio obbligato per motivi a noi sconosciuti o incomprensibili..?
Di Calderoli s'è detto di tutto, ma chi lo conosce non lo definisce incompetente, anzi tutt'altro! Bah!

Alberto Pento scrive:
È più che sensato e logico ritenere che quanto è stato abrogato, sia stato semplicemente assorbito da altre leggi successive che ne hanno perpetuato e ne perpetuano il contenuto.


Massimo De Vei
Quali sono le leggi sucessive???

Angelo Ruben
Alberto Pento concordo in pieno . Questo decreto legislativo del 2010 non ha fatto altro che abolire un regio decreto, cioè un atto emesso da uno Stato che non esiste più dal 2 giugno 1946 . Il decreto legislativo tante volte chiamato in causa avrebbe avuto valore giuridico solo se avesse intaccato la Costituzione repubblicana la quale all'art. 131 indica le regioni che fanno parte dell'Italia e tra esse c'è anche il Veneto .

Vittorio Selmo
Il Signore si, che se intende ! ( Ricordo di Calindri che beveva Cinar. “Contro il logorio della vita moderna”)


Alberto Pento
Prendendo per buono il ragionare di questi "venetisti venezianisti" l'abrogazione dell'annessione ripristinerebbe lo stato precedente all'annessione stessa ossia quello della sudditanza franco-austriaca e non certo lo Stato della Repubblica Serenissima che all'epoca dell'annessione non esisteva più da quasi 70anni.




decr. leg.vo 212/2010
https://www.gazzettaufficiale.it/gunews ... 2840839806

Art. 1
Abrogazioni espresse

1. A decorrere dal 16 dicembre 2010, le disposizioni legislative elencate nell'allegato al presente decreto sono o restano abrogate ai sensi dell'articolo 14, comma 14-quater, della legge 28 novembre 2005, n. 246.

2799 - REGIO DECRETO - 3300 - 04/11/1866
COL QUALE LE PROVINCIE DELLA VENEZIA E QUELLE DI MANTOVA FANNO PARTE
INTEGRANTE DEL REGNO D'ITALIA


legge di conversione 3841/1867
3260 - LEGGE - 3841 - 18/07/1867
COLLA QUALE E' DATA FORZA DI LEGGE AL REGIO DECRETO 4 NOVEMBRE 1866, COL QUALE FU DICHIARATO CHE LE PROVINCIE DELLA VENEZIA E QUELLA DI MANTOVA FANNO PARTE INTEGRANTE DE REGNO D'ITALIA.



Alberto Pento
Nessun organo dello Stato italiano: né il Governo né il Presidente della Repubblica né il Parlamento né la Corte Costituzionale né alcun giudice ordinario si è mai preoccupato o ha ritenuto necessario di intervenire con un qualsiasi provvedimento legislativo per annulllare gli effetti o per ripristinare gli effetti dell'abrogazione dei provvedimenti da te citati. Se quanto abrogato a suo tempo da Calderoli avesso avuto un qualche effetto giuridico sensato stai pur certo che lo Stato Italiano avrebbe già legiferato per porvi rimedio.
È più che sensato e logico ritenere che quanto è stato abrogato, sia stato semplicemente assorbito da altre leggi successive che ne hanno perpetuato e ne perpetuano il contenuto.



Abrogazione della legge
https://www.okpedia.it/abrogazione_legge
L'abrogazione di una legge è la cessazione dell'efficacia delle norme giuridiche in essa contenute. Le norme giuridiche abrogate possono essere abrogate soltanto da norme di pari grado o di grado superiore. L'abrogazione si dice parziale se riguarda soltanto una parte della norma. È invece abrogazione totale se investe l'intera norma giuridica. Il legislatore può abrogare una legge nei seguenti modi:
Abrogazione espressa. Il legislatore emana una nuova norma giuridica che dichiara la cessazione dell'efficacia di una norma (o legge) precedente.
Abrogazione tacita. Il legislatore emana una nuova norma giuridica incompatibile con la norma precedente. Tale processo è definito abrogazione in modo tacito.
Abrogazione implicita. Il legislatore emana una nuova legge con cui regola per intero la materia già disciplinata dalla legge precedente.

Le norme giuridiche possono essere abrogate anche per illegittimità costituzionale (art. 136 Cost.) e per volere popolare tramite il referendum abrogativo (art. 75 Cost.). L'abrogazione di una norma giuridica si
distingue dalla deroga in quanto quest'ultima lascia in vigore la norma "derogata" per la generalità dei casi, mentre una norma abrogata cessa di produrre effetti giuridici.
L'abrogazione si distingue anche dall'annullamento in quanto quest'ultimo agisce in modo retroattivo sull'efficacia della norma, mentre l'abrogazione non ha effetti retroattivi.



LIFE a Strasburgo contro lo Stato Italiano
13 Aprile 2011
Daniele Quaglia

https://www.life.it/1/life-a-strasburgo

Dopo tutte le vicissitudini collegate ai ricorsi contro la Camera di Commercio, LIFE Treviso aderisce nel 2005 all’APV (Autogoverno del Popolo Veneto). A novembre 2006, LIFE TV a firma Daniele Quaglia, invia una diffida diffida-richiesta allo Stato Italiano, reo di occupare il nostro territorio in maniera illegittima, e intima allo stesso di abbandonare il territorio del Veneto entro 90 giorni. L’intimazione rimane inascoltata e così scatta una citazione in giudizio presso il tribunale di Venezia contro il Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano e l’allora presidente del Consiglio dei Ministri, Romano Prodi, in quanto rappresentanti dello Stato italiano, occupante illegittimo del territorio Veneto. La citazione in giudizio è presentata da LIFE Treviso nella persona del suo presidente Daniele Quaglia e dallo stesso come libero cittadino. Il 2o febbraio 2008 arriva la sentenza con la quale il Giudice Zacco dichiara il “difetto assoluto di giurisdizione”: una sentenza insperata che magicamente ci apre le porte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo. LIFE allora apre una sottoscrizione di mandato alla quale rispondono 1350 cittadini che si dichiarano Veneti e che conferiscono mandato a LIFE Treviso e a Daniele Quaglia di agire presso la Corte Europea di Strasburgo. Il legale incaricato in breve tempo prepara il ricorso, Ricorso-Strasburgo che sarà depositato alla Corte Europea il 2 giugno 2008. Dopo 20 giorni arriva notizia che il ricorso è stato accettato e dichiarato ammissibile. Nei giorni 7-8 ottobre 2010 una delegazione LIFE composta da Agnoletti Geremia, Daniele Quaglia, Sanson Antonio e Zambon Danilo si recherà a Strasburgo per chiedere spiegazione del ritardo sulla discussione del ricorso e le eventuali previsioni. Gli incaricati ci hanno garantito che nonostante i ritardi causati da un sovraccarico di lavoro, la Corte dovrebbe discutere il nostro ricorso entro i primi mesi del 2011. Quindi ci siamo e aspettiamo fiduciosi ma serenamente realistici.(QD)

https://www.facebook.com/quagliadan/pos ... 3529394746
Alberto Pento
Potresti ricordarci cosa rispose la CEDU di Strasburgo al ricorso LIFE sull'abrogazione del decreto regio e della successiva legge ottocentesca di annessione del Veneto allo Stato italiano?

Daniele Quaglia
Mai risposto kofà a dir NO PARLO, NO SENTO, NO VEDO

Alberto Pento
Si vede che hanno ritenuto il tutto irricevibile, non pertinente e strumentale.

Daniele Quaglia
ricorso rigettato perché non rispettoso degli artt. 34 e 35 della convenzione (senza specificare i punti non rispettati e senza possibilità di appello).


Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali
https://www.coe.int/it/web/conventions/ ... treaty/005

Articolo 34
Ricorsi individuali
La Corte può essere investita di un ricorso da parte di una persona fisica, un’organizzazione non governativa o un gruppo di privati che sostenga d’essere vittima di una violazione da parte di una delle Alte Parti contraenti dei diritti riconosciuti nella Convenzione o nei suoi protocolli. Le Alte Parti contraenti si impegnano a non ostacolare con alcuna misura l’esercizio effettivo di tale diritto.

Articolo 35
Condizioni di ricevibilità
1La Corte non può essere adita se non dopo l’esaurimento delle vie di ricorso interne, come inteso secondo i principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti ed entro un periodo di sei mesi a partire dalla data della decisione interna definitiva.
2La Corte non accoglie alcun ricorso inoltrato sulla base dell’articolo 34, se:a è anonimo; oppure se è essenzialmente identico a uno precedentementee saminato dalla Corte o già sottoposto a un’altra istanza internazionale d’inchiesta o di risoluzione e non contiene fatti nuovi.
3La Corte dichiara irricevibile ogni ricorso individuale presentato ai sensi dell’articolo 34 se ritiene che:a)il ricorso è incompatibile con le disposizioni della Convenzione o dei suoi Protocolli, manifestamente infondato o abusivo; o se il ricorrente non ha subito alcun pregiudizio importante,salvo che il rispetto dei diritti dell’uomo garantiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli esiga un esame del ricorso nel merito e a condizione di non rigettare per questo motivo alcun caso che non sia stato debitamenteesaminato da un tribunale interno.
4La Corte respinge ogni ricorso che consideri irricevibile in applicazione del presente articolo. Essa può procedere in tal modo in ogni stato del procedimento.
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Re: La storia raccontata da Vittorio Selmo di Verona

Messaggioda Berto » ven mar 27, 2020 9:18 am

Alberto Pento. Le percentuali dei votanti alle elezioni nella Regione amministrativa del Veneto non possono essere utilizzate per dimostrare l’inesistenza nei veneti della loro volontà diffusa e radicata di autodeterminazione

Vittorio Selmo
20 luglio 2018

https://www.facebook.com/groups/2376236 ... nt_mention

Alberto Pento. Le percentuali dei votanti alle elezioni nella Regione amministrativa del Veneto non possono essere utilizzate per dimostrare l’inesistenza nei veneti della loro volontà diffusa e radicata di autodeterminazione.
Più onestamente dovrebbero venire in considerazione anche altri elementi decisivi, allo scopo di non nascondere, anche stavolta, la verità.
Per tutti basti citare l’assenteismo massiccio, specie nelle ultime votazioni, ma anche in precedenza, ke lascierebbero intendere, (in certe zone anche oltre il 40%), un dimostrato rigetto dell’italia partitica e, con essa, dell’Italia tout court, in favore della propria libertà.
A quanto sopra va aggiunta la nausea dei veneti autentici indipendentisti, per la votazione di partiti apparentemente “venetisti”, ma in realtà collusi col Sistema dei Partiti italiani, con i quali hanno che hanno spartito i rimborsi elettorali, dopo aver incassato i voti dei veneti più sprovveduti ed ingabolati.
Per il resto la storia elettorale veneta per l’indipendentismo, resta una delle più sofferte e drammatiche vicende di cui abbiamo dovuto prendere atto. Cosi come degli autentici tradimenti politici messi in atto nelle singole città ed in Regione e nel Parlamento della Repubblica Italiana, da coloro che si erano fatti votare in nome e per l’indipendenza veneta, per poi fare unicamente il loro interesse personale ed abbandonare i veneti al loro destino.


Alberto Pento
L'autodeterminazione o desiderio naturale di essere liberi, autonomi, indipendenti, di autogovernarsi, di essere sovrani e padroni di se stessi, della propria terra, dei propri beni, del proprio lavoro, dei propri diritti umani, civili e politici, ... oltre ad essere un sentimento/bisogno/aspirazione/desiderio naturale universale lo è sopratutto laddove l'uomo e le sue comunità sono maltrattate, depredate, disprezzate, sofferenti, a rischio di sterminio e estinzione.

Anch'io come uomo e come veneto (non serenissimo) vorrei esserlo sopratutto in uno stato come quello italiano che mi maltratta, mi depreda, mi disprezza, mi fa soffrire e mi impedisce di vivere responsabilmente e degnamente.

L'autodeterminazione o desiderio naturale di essere liberi, autonomi, indipendenti, di autogovernarsi, di essere sovrani e padroni di se stessi, della propria terra, dei propri beni, del proprio lavoro, dei propri diritti umani, civili e politici, non va certo interpretata come vorrebbero o intenderebbero gli indipendentisti invasati dall'idolatria politico-religiosa venezianista con il suo mito e con al suo centro la morta Serenissima da rescuscitare, restaurare, riprendere come se fosse stato il paradiso in terra e la perfezione politica e sociale.

La responsabilità e la colpa in ogni caso è sempre in buona parte dei veneti stessi, nel passato remoto, ieri, come oggi e come domani.
Certamente più una persona ha coscienza e potere più è responsabile.

Sul tradimento degli uomini di potere va ricordato quello dell'aristocrazia veneziana nel settecento che ha impedito la democratizzazione della sovranità di tutti i veneti nella Repubblica Serenissima a dominio veneziano e che ha favorito la conquista di Napoleone con tutte le conseguenze che ci hanno portato ad essere parte dello stato italiano.


Maurizio Bedin
Alberto Pento dunque? Cosa si fa? I casi, d'azione, da prendere in considerazione sono parecchi. Ma voglio partire da alcune tue affermazioni. La tua visione "giacobina" traspare netta nell'affermare "... Invasati dall'idolatria...venezianista (?)... la morta Serenissima da resuscitare, restaurare, riprendere come se fosse stato il paradiso in terra e la perfezione politica e sociale".
Mettiamo i puntini dove vanno, ok? C'è tutta una letteratura in merito. Di questa, un buon 80% (sto al ribasso) parla del "de cuius" in maniera ammirevole e come esempio di governo illuminato. Logicamente, rapportato al contesto storico del tempo. Stessa cosa ora, a nostri tempi, nessuno potrebbe portare l'Italia ad esempio per gestione del bene comune, giustizia, servizi al popolo e millee altri aspetti.
Ti garantisco che i Veneti, sebbene astiosi, baruffanti, ed ogni altra "virtù" tu voglia affibbiare loro, qualora avranno la possibilità di autodeterminazione, NON faranno una copia della precedente, in quanto cambiati i tempi e le esigenze sociali (contesto storici, ricordi?), ma mi auguro mantengano quei principi che sono tuttora validi, del contrappeso politico e giuridico e del servizio sociale. Mi auguro uno Stato dove il cittadino (brutta parola giacobina), sia responsabile in prima persona delle scelte politiche e sociali, non delegando a terzi, ma dopo una piena informazione. Una forma molto simile alla cosiddetta democrazia diretta, tipo Svizzera.
Poi, fanatismi o meno, credo che nessuno, con un minimo di discernimento, può giustificare, preferire od accettare, quanto (non) ci viene offerto dallo Stato che ci colonizza da quasi 153 anni. Ed a che costo...


Alberto Pento
A me interessano i fatti più che i libri sui fatti e un fatto è che la Serenissima non ha fatto nulla per promuovere il popolo veneto, una nazione e uno stato dei veneti, tanto meno la sovranità di tutti i veneti in una Repubblica veneta e non solo veneziana.

Poi un'altro fatto innegabile è che Venezia non ha combattuto e non ha organizzato i veneti per resistere e per impedire che le terre venete e i loro abitanti finissero sotto a Napoleone.
Il resto sono chiacchere senza gran valore.

Se la Serenissima fosse stata un paradiso in terra per i veneziani e per tutti i loro sudditi veneti e non veneti, avrebbero combattuto tutti fino alla morte per essa, ma così non è stato.
Se la Serenissima avesse promosso il popolo veneto, una nazione e uno stato del popolo veneto o delle genti venete e la sovranità di tutti i veneti in una Repubblica veneta e non solo veneziana con un sacro patto come quello svizzero del Grütli, probabilmente vi sarebbe a tutt'oggi uno stato veneto indipendente come vi è ancora quello svizzero nonostante Napoleone.

La storia è costituita dai fatti e non dalle chiacchere e sopratutto non torna indietro.

Patto del Grütli
https://it.wikipedia.org/wiki/Patto_eterno_confederale
Il Patto confederale o lettera di alleanza (in tedesco Bundesbrief) documenta l'alleanza eterna o lega dei tre cantoni forestali (in tedesco Ewiger Bund der Drei Waldstätten), ovvero l'unione dei tre cantoni dell'odierna Svizzera Centrale che si formò ai primi di agosto dell'anno 1291. Viene chiamato anche Patto del Grütli, dal nome del luogo dove venne stipulato.





Maurizio Bedin
Mazarol Veneto concordo con te . È spesso in contrapposizione con tutti i patrioti, difendendo posizioni giacobine. In quanto a fatti di difesa dei territori veneti, sto leggendo degli scritti di Thomas Okey e di Horatio Brown in merito. Essi affermano che i Veneti, oltre alle Pasque veronesi, sono insorti in molti altri moti insurrezzionali. In molti altri luoghi dei territori veneti. In pochi ne parlano, ma non fu solo Verona. Verona fu la sommossa eclatante. Come dicono questi storici, ci furono moltre altre insurrezzioni, non registrate negli annali in quanto il governo era in subbuglio e poi decaduto . Ma le testimonianze di prelati e popolo, di allora, dicono che NON fu una accettazione pacifica essere invasi dai francesi giacobini in mome di una fantomatica egalité, fraternité, liberté. Infatti, anche quelle del 1809 non furono registrate dal governo napoleonico, ma ebbero luogo. Eccome.
Dunque, il "caro" Pento, asserisce cose solo dal punto di vista degli occupanti e solo la versione "ufficiale".
La verità ha bisogno di angolature diverse. E di diverse testimonianze.
Se guardassimo alla verità odierna solo in termini ufficiali, saremmo tutti felici e contenti. Ma con il c... o rotto.

Maurizio Bedin
Alberto Pento no!!!
A te NON interesssno i fatti. Poi, quali fatti ? Da che fonte ? Wikipedia? Ma fammi il piacere... Marco Polo, Palladio, Dandolo, Bragadin, Sebastiano Venier, Goldoni, Vivaldi, Tiziano Vecellio, etc., tutti italiani!!!!!
O sei tarato o sei un troll.
Dammi tu le prove che i personaggi che ho nominato sono italiani... Grazie.


Orazio Scavazzon
Quante panzane scrive l'alberto , vi posso confermare che il popolo veneto durante l'occupazione napoleonica ovunque ha cercato di ribbellarsi combattendo e morendo . Nel torrione del castello inferiore di marostica esiste una testimonianza dell'epoca dove è scritto che nella piana di cartigliano è avvenuto un sanguinoso scontro aprile 1797 tra le truppe locali unificate delle guarnigioni di schio, thiene , bassano, asiago , ma purtroppo nulla potè fermare le soverchianti forze napoleoniche


Alberto Pento
Che vi siano state qua e là in terra veneta delle insorgenze e delle ribellioni all'occupazione francese non è una novità e nessuno lo nega, ma furono eventi occasionali, non generalizzati e che non coinvolsero in modo organizzato e istituzionale tutti i veneti, tutti i territori soggetti a Venezia. Quello che invece non vi è stato è la mobilitazione dell'esercito della Serenissima, dello Stato veneto, per impedire a Napoleone di occupare le terre venete, per resistergli e per cacciarlo, Venezia fece di tutto per non contrastare Napoleone e ritirò tutte le truppe difatto abbandonando i suoi domini di terra alla conquista del francese.
Chi di voi mi sa dire qualche nome di battaglie combattute dall'esercito della Serenissima contro Napoleone?
O forse sono io che nascondo le gloriose battaglie sostenute dalla Serenissima a difesa delle terre venete dall'invasore Napoleone?

Alberto Pento
Mazarol Veneto ha scritto:
Maurizio Bedin non perdere tempo con il signor Alberto,storico da Wikipedia,l'unica cosa che gli viene bene è denograre la Serenissima e il popolo Veneto,anche se si dichiara appartenente al nostro popolo,ne è uno dei suoi più acerrimi nemici!

Alberto Pento scrive
Io sono nemico di chi mi manca di rispetto e di chi manca di rispetto ai veneti che siano veneti che si negano come veneti e si affermano come italiani sia che siano veneti che si negano come italiani per affermarsi come veneziani; io sono nemico di tutti i fanfaroni propugnatori di miti che ingannano, i fanatici, i bugiardi e i falsificatori della storia siano essi italiani o veneti.
Ricordo che la stragrande maggioranza dei veneti etnici finora si è politicamente espressa come italiana e per l'Italia, quindi la minoranza minimale venetista se vuole avere qualche change deve loro amore fraterno e democratico rispetto, come i venetisti venezianisti invasati dal mito di Venezia Serenissima debbono amore fraterno e democratico rispetto ai veneti venetisti che non si sentono veneziani e che non apprezzano l'idolatria politica impostata sul mito della Serenissima.
Senza coscienza storica vera, senza amore e rispetto per gli altri veneti, per tutti i veneti anche per quelli che si sentono e si vogliono italiani, l'indipendentismo veneto non andrà mai da nessuna parte, specialmente quello invasato dal mito di Venezia che per fanatismo patriottico e cronica ignoranza falsifica la storia.

La veneticità o venetidudine non è monopolio dei venetisti/venezianisti indipendentisti
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 153&t=2875
https://www.facebook.com/groups/2376236 ... 6250904785




Alberto Pento

Maurizio Bedin ha scritto:
Alberto Pento no!!!
A te NON interesssno i fatti. Poi, quali fatti ? Da che fonte ? Wikipedia? Ma fammi il piacere... Marco Polo, Palladio, Dandolo, Bragadin, Sebastiano Venier, Goldoni, Vivaldi, Tiziano Vecellio, etc., tutti italiani!!!!!
O sei tarato o sei un troll.
Dammi tu le prove che i personaggi che ho nominato sono italiani... Grazie.

Alberto Pento risponde
cosa si può rispondere a una persona come questo Maurizio Bedin, che manca di rispetto, abissalmente ignorante, fanatica e invasata, che lancia demenziali e insensate accuse?
Io in questo filone e in altri non ho mai parlato di Marco Polo, Palladio, Dandolo, Bragadin, Sebastiano Venier, Goldoni, Vivaldi, Tiziano Vecellio, etc., non ho mai detto che erano italiani.
Se poi la politica enciclopedica di wikipedia Italia ha stabilito di trattare i personaggi storici degli ex stati della penisola italica come se fossero personaggi della storia italiana o come italiani non è certo responsabilità mia, non sono io il padrone di wikipedia e non per queste stranezze o anomalie, l'enciclopedia wikipedia nel suo complesso perde di valore.


Mazarol Veneto
Alberto Pento solo esempi perchè come le tue affermazioni sono smentite dai riscontri storici,se non capisci questo è appunto inutile discuterne con tè!WSM!!!

Maurizio Bedin
Alberto Pento moleghela. Te ga roto le bale. Te si pezo de na zeca in tei maroni. Quanto ciapito
al mese da l'occupante?
Par esar veneto ghe vol fede, corajo e determinaxion. Ti no tin ga gnanca una de ste qua. Lasseme star venduo de l'ostia. Da notar ca te si duro de comprendonio... I te ga martelà par ben... Ostia.

Maurizio Bedin
Alberto Pento qua e là delle insorgenze? Come le guerre "vinte" dal TUO Stato? Tutte di aggressione! Dai, Pento, non abusare della mia pazienza verso la cialtronaggine al soldo della manipolazione dell'evidenza. Ti prego... abbi pietà di te stesso. Stai scivolando nel ridicolo!

Alberto Pento
Tutto qua quello che sapete dire, nessun nome di battaglie combattute dall'esercito della Serenissima contro Napoleone per fermarlo e cacciarlo dai territori veneti?
Io sono felicissimo di essermi allontanato da un mondo, quello venetista venezianista pieni di personaggi ignoranti, invasati e demenziali come voialtri.
Grazie mille volte grazie!


Mazarol Veneto
Alberto Pento comincia tù a fare esempi di battaglie vinte dai Savoia e terre liberate dagli italiani,poi calati nei contesti storici dell'epoca,fai confronti "Onesti" e forse qualcuno ti darà ancora retta!

Maurizio Bedin
Mazarol Veneto forse eh... Visto l'andazzo.

Orazio Scavazzon
A difesa delle terre venete si può con certezza annoverare le battaglie fatte dalle guarnigioni di bergamo e brescia , le pasque veronesi , guarnigione di vicenza , battaglia piana di cartigliano alto vicentino , alcuni scontri sedati nel sangue anche a venezia ad occupazione avvenuta .
Ma credo sia inutile parlare con chi nega che le montagne siano più alte della pianura

Mazarol Veneto
Orazio Scavazzon senza dimenticare la Battaglia di Lissa dove i marinai affondarono anche la corazzata re d'italia al grido di Viva San Marco!


Alberto Pento
La battaglia di Lissa fu un confronto militare navale tra il Regno d'Italia e l'Impero austroungarico e nulla c'entra con Napoleone e la Serenissima.
I veneti in qualità di sudditi dell'impero austriaco parteciparono come soldati e marinai austriaci.


Alberto Pento

Orazio Scavazzon ha scritto
A difesa delle terre venete si può con certezza annoverare le battaglie fatte dalle guarnigioni di bergamo e brescia , le pasque veronesi , guarnigione di vicenza , battaglia piana di cartigliano alto vicentino , alcuni scontri sedati nel sangue anche a venezia ad occupazione avvenuta .
Ma credo sia inutile parlare con chi nega che le montagne siano più alte della pianura

Alberto Pento scrive
Tutti episodi limitati, spontanei, marginali e non generalizzati che Venezia frenò e a cui mise fine per non doversi scontrare veramente con Napoleone.
Bergamo e Brescia invece non si ribellarono ai francesi ma a Venezia, mi sa che confondi i periodi storici quello della Guerra di Cambrai nel 16°secolo e quello dell'invasione napoleonica e la fine della Serenissima nel 18°secolo.


Le rivolte di Bergamo e Brescia
La rocca di Bergamo, città ribellatasi il 13 marzo 1797.
Il generale Junot, comandante francese nel Veneto occupato.

https://it.wikipedia.org/wiki/Caduta_de ... di_Venezia

Conquistata Mantova il 2 marzo 1797, i francesi si liberarono dell'ultima importante sacca di resistenza asburgica. In tale posizione, gli occupanti finirono per forzare apertamente la democratizzazione di Bergamo, che, su pressione del generale d'Hilliers, si ribellò il 13 marzo all'autorità veneziana. Tre giorni più tardi il provveditore straordinario Battagia, nel tentativo di riportare all'ordine Bergamo, emanò un'amnistia generale per chiunque avesse causato turbamento alla pubblica quiete. Il magistrato cominciava però già a presagire il ribollire di Brescia, città in cui risiedeva e sulla quale erano in quel momento in marcia i rivoluzionari bergamaschi.

In quello stesso 16 marzo, Napoleone, battuto sul Tagliamento l'arciduca d'Austria Carlo, vide finalmente spianata la strada dell'Austria.

Il giorno successivo, dal canto suo, il Senato provvide a inviare attestati di gratitudine sovrana alle città e castelli mantenutisi fedeli, ordinando finalmente anche i primi provvedimenti difensivi. Si decretò lo sbarramento delle lagune, l'istituzione di ronde armate nelle città del Dogado e il richiamo delle unità navali di stanza in Istria. Si ordinò altresì l'incremento delle attività dell'Arsenale, cuore militare dello Stato, e l'invio di rinforzi di truppe oltremarine in Terraferma. Il 19 marzo, poi, i Tre Inquisitori di Stato riferirono allo stesso Senato lo stato generale dei reggimenti veneti. Per Bergamo, in rivolta, risultavano tagliati i collegamenti, così che gli Inquisitori riferivano di attendere notizie dai castelli e dalle valli circostanti. Brescia risultava invece ancora tranquilla, sotto il pieno controllo del provveditore Battagia, così come Crema, per la quale si richiedeva però un rafforzamento del presidio militare. Verona pareva invece in pieno fermento antifrancese, mentre Padova e Treviso tacevano, anche se la prima rimaneva sotto costante osservazione per il potenziale pericolo connesso alla presenza dello Studium. Si leggeva infatti:[1]

«Bergamo: i capi sollevati sostenuti da francesi, e si tenta di screditare la repubblica, interrotte le comunicazioni, si attendono notizie dalle valli e luoghi e castelli della Provincia.
Brescia mediante le prudenti direzioni del provveditore straordinario è tuttora ferma (...).
Crema (...) reclama un qualche presidio militare.
Verona (...), il di cui popolo disse sembrargli non inclinato ai francesi, (...) che (...) non lasciano di essere e armati e pericolosi. (...)
Padova oltre non esser pur troppo immune dal veleno in alcuni della città e dello Studio (...) ha numero di scolari delle città oltre il Mincio (...).
Treviso non offre peculiari osservazioni.»
(Relazione dei Tre Inquisitori di Stato del 19 marzo 1797 sullo stato delle provincie venete)

In realtà, però, gli Inquisitori ignoravano che a Brescia il giorno precedente (18 marzo), un gruppo di notabili, desiderosi di liberarsi del governo serenissimo per via di taluni sgarbi ricevuti, ma nell'indifferenza generale e con il solo supporto della vicina Bergamo nonché dei francesi che dal castello minacciavano l'intera città con la scusa di reprimere un fantomatico brigantaggio, vi era già stata una rivolta e che il Battaglia, per non creare danni alla popolazione ancora filo-veneta, aveva deciso di abbandonare con gli schiavoni la città. La notizia degli eventi venne infatti recata al Senato solo il 20 marzo, dopo l'arrivo a Verona dal provveditore Battagia, scampato alla rivolta. Il governo sembrò a quel punto reagire. Si inviò a tutti i reggimenti una lettera ducale per ordinare l'apprestamento all'assoluta difesa e per reclamare il rinnovo del giuramento di fedeltà. Il 21 marzo, mentre Bonaparte entrava a Gradisca, prendendo il controllo di Tarvisio e dell'accesso alle valli austriache, giunse la prima risposta: Treviso si proclamava ancora pienamente fedele a Venezia. Il giorno seguente però, pervenne da Udine una lettera da parte degli ambasciatori veneziani inviati a parlamentare con Napoleone. Questi informavano il governo dell'atteggiamento sempre più evasivo e sospetto tenuto dal generale francese. Di rimando il governo ritenne utile informare pertanto i principali magistrati di Terraferma, tutti concentrati a Verona, della necessità di operare con la massima circospezione nei confronti dei francesi: in pratica limitando il concetto di assoluta difesa espresso nella lettera ducale, nella speranza di non dar modo a Napoleone di entrare in aperto conflitto. Il 24 marzo, comunque, giunsero i rinnovi di fedeltà da parte delle cittadinanze di Vicenza e Padova, in breve seguite da Verona, Bassano, Rovigo e, di lì a poco, da tutti gli altri centri. Numerose deputazioni giunsero persino dalle valli bergamasche, pronte a sollevarsi contro i francesi.

Il 25 marzo, però, i rivoluzionari lombardi occuparono Salò, seguita, il 27 marzo, da Crema, dove il giorno successivo venne proclamata la Repubblica Cremasca. Anche i napoleonici si facevano sempre più spavaldi, intervenendo prima con un corpo di cavalleria nella repressione della resistenza cremasca e poi, il 31 marzo, colpendo con fuoco d'artiglieria Salò, ribellatasi ai giacobini. Questa però resistette, riconsegnandosi a Venezia.


Alberto Pento
Le rivolte popolari ottocentesche contro i francesi come quella di Schio del 1809, dodici anni dopo la fine della Serenissima non c'entrano nulla con gli accadimenti settecenteschi che portarono alla fine della Repubblica veneziana.
https://www.altovicentinonline.it/schio ... utogoverno



Luglio, le insorgenze venete dimenticate dalla storia ufficiale
9 Lug 2012
ETTORE BEGGIATO*

http://www.lindipendenzanuova.com/insorgenze-venete

L’insorgenza veneta del 1809 è sistematicamente ignorata dalla storiografia “ufficiale”. Nessuna sorpresa per la verità, visto che i veneti sanno tutto sulle oche del Campidoglio, conoscono a memoria i nomi dei sette re di Roma ma ben poco sanno di quanto straordinaria sia la loro storia, la storia del popolo veneto.

Napoleone aveva portato la nostra Terra in condizioni di miseria e disperazione come mai nella nostra storia, imponendo la coscrizione obbligatoria (ben 26.000 giovani veneti morirono nella disfatta in terra russa nel 1812) e una serie di tasse pesantissime (pensiamo a quella sul macinato, vera e propria tassa sulla fame). Il nostro popolo reagì con particolare vigore, al suono della campana a martello: i francesi, in nome della libertà, dell’eguaglianza e della fraternità, riportarono l’ordine con centinaia e centinaia di morti.

Particolarmente interessante è un passo del diario della contessa Ottavia Negri Velo che ricorda come il 10 luglio 1809 “A Schio si è fondato la sede del loro governo, il maggior numero vuole San Marco”: è evidente che fra le venete e i veneti che scesero in piazza c’era una notevole dimensione culturale e politica per arrivare a costituire un governo; la storiografia ufficiale ne parla, invece, come un’accozzaglia di “briganti”, di sbandati.

Un’altra pagina emblematica di quelle rivolte è quella riportata dal diario di Pietro Basso, sarto di Asolo, che sottolinea come il giorno 8 luglio “Le done de Loria, accordate con quele di Besega, le a desfà la municipalità”: siamo in provincia di Treviso e sono le donne venete che insorgono contro la soldataglia napoleonica; ma da Loria si potrebbe passare a Legnago, a Valdagno, ad Adria, a Camposanpiero, a tante altre comunità che si ribellarono contro le orde napoleoniche, come si erano ribellate nel 1797 (e penso, per esempio, ai 5 giovani fucilati dai francesi a Mussolente).

Una pagina, quella del 1809, che meriterebbe di essere conosciuta dal popolo veneto; mancò una figura leggendaria come l’eroe tirolese Andreas Hofer che guidasse il nostro popolo, e mancò anche chi, come il grande pittore spagnolo Francisco Goya tramandasse ai posteri l’eroismo di chi lottava per la propria libertà contro i crimini dell’occupante napoleonico.
*Autore di “1809, l’insorgenza veneta. La lotta contro Napoleone nella Terra di San Marco”


Maurizio Bedin
Alberto Pento te ghe vinto ti.... Par asimento. Rompaghe le bale a qualcun'altro. Grassie.


Maurizio Bedin
Alberto Pento ma quanto..... Intelijente sito? Dopo 12 ani dopo, secondo la to grande intelijensa, jera xa tuto desmentegà? Seto dove ca te mando? Indovina ... a la veneta naturalmente... Parkè te vojo ben anca se ti si.... quel ke te se...VIMDTM

Orazio Scavazzon
Orazio scavazzon ha scritto : vai a cacare


Maurizio Bedin
Orazio Scavazzon alla so maniera. Alberto Pento ha scritto :...

Mazarol Veneto
Maurizio Bedin te lo gò za dito,l'e uno che varda al deo e no vedarà mai la luna,par esempio sua bataja de Lissa,se concentra sul fato che xe i austriaci a farla,no sul fato che i marinai criase W San Marco ancora dopo ani che la Serenissima gera stà scanceà! Ma xe inutie parlar de storia co chi spara solo date e documenti"ofisiai" falsi fin sue raixe,come se al popoło centrase qualcosa sue stupidae de pochi!


Maurizio Bedin
Mazarol Veneto te ghe raxon. Ghe lo ho xa dito al Pento che ghe la mòla de... ma nol capisse gnanca queo. Xe on troll al soldo de... qualchedun.

Maurizio Bedin
Però... Lassame dir na ultima parola...
Vedemo se el sior Alberto Pento el ga da ridir anca su dati certi.
https://adria.italiani.it/insorgenze-ve ... xst0_j-uCE


Orazio Scavazzon
El trovarar da dir su la paroea insorgenze
El dirà ke adria no xè in veneto


Alberto Pento
San Marco è il Santo patrono di Venezia e anche la marina veneziana lo aveva come emblema e lo aveva ieri quando era al servizio dell'Austria nella battaglia di Lissa come ce l'ha oggi che è al servizio dell'Italia, vedasi il Reggimento San Marco che grida e invoca San Marco.
https://www.youtube.com/watch?v=HEJVMlIe8yE

Inno battaglione San Marco
https://www.youtube.com/watch?v=D4pl6L8W1QE

Maurizio Bedin
Alberto Pento oggi è al servizio dell'Italia?
Ma sai quel che dici /scrivi?
Si sono impossessati di tutto! Oltre alla ns Storia e tradizioni anche dei corpi militari : la fanteria da sbarco! I Savoia manco sspevano cos'era il mare... E non lhanno copiato solo loro...
Più scrivi e più ti sputtani.


Maurizio Bedin
Alberto Pento spero per te che il tuo nome sia un nickname
Sai che sputtanamento, altrimenti...


Gino Quarelo
A Lissa i veneti erano sudditi austriaci e hanno combattuto per l'Austria, poi sono diventati sudditi e cittadini italiani, per loro esplicita volontà e hanno combattuto per l'Italia. Hanno combattuto anche per Napoleone, magari per forza ma l'hanno fatto morendo nella sua campagna di Russia.
Voi potete starnazzare come oche quanto volete ma la storia passata non cambia, come non cambierà quella futura con queste vostre demenzialità


Alberto Pento
Non si confondano le non diffuse e non generalizzate insorgenze popolari antifrancesi, prima e dopo la caduta della Serenissima, con moti di resistenza militare dello Stato veneziano o Serenissima Repubblica contro Napoleone e le sue armate, operazioni militari che mai vi furono, anzi Venezia per paura adirittura aprì le porte delle città e delle fortezze, ritirò le sue armate e finanziò le casse di Napoleone con zecchini sonanti.
La Serenissima come stato, vigliaccamente non si oppose militarmente all'invasione, all'occupazione, alla depredazione e alla conquista delle terre venete e alla sottomissione delle genti venete suddite di Venezia che Venezia abbandonò al loro destino.
Le insorgenze antifrancesi di Adria avvenute dopo la fine della Serenissima, come le altre furono moti spontanei contro le depredazioni e le angherie dei francesi e non certo moti di ribellione per ripristinare lo stato della Serenissima.

Maurizio Bedin Gino Quarelo varda che te go sgamà da on toco... moleghela de cambiar profilo, tanto che te sipi Gino, o Alberto Pento... Sempre el solito m... te resti.

Maurizio Bedin
Alberto Pento spero che te gapi bisogno de andare al cesso, ogni tanto, cosita te me lassi on fia in pace.... E va mona ogni tanto. Te faría tanto ben... credame.

Mazarol Veneto
Maurizio Bedin lasa star, Mauri no te vedi che al seta a rigirar la fritaja,all'italiana se desmentega che Venesia zera aleata e dichiaratamente neutrale in te cuea guera,come l'italia del 15/18 i se desmentega che da aleati i gà atacà ae spae l'Austria come co i nasisti,prima i se alea e dopo i gira le spae e i te pugnała ma la colpa la ze dei altri! Lasei star i bauchi o i rompibae a presinder come sto chi!

Gino Quarelo
Repubblica Veneta, specificità e durata, realtà e mito; la mia Patria, no!
https://www.facebook.com/groups/2376236 ... 8312942245

Mazarol Veneto
Gino Quarelo no g'avevo dubi! Mi invese stae in compagnia de Goffredo Parise e de tanti come lù! E tì và in mona ała Veneta sensa rancor,tanto no g'avemo perso gnente!WSM!!!!

Maurizio Bedin
Mazarol Veneto te ghe si cascà anca ti... No te ghe riessi a resistare, ah?


Alberto Pento

Goffreso Parise parla del Veneto della Patria Veneta e non della Serenissima, proprio come me
https://www.miglioverde.eu/piazzetta-go ... ria-diceva
"Sono nato, cresciuto e vissuto a Vicenza fino ai diciotto anni e poi a Venezia e poi a Milano, e poi a Roma e poi nel mondo. Mi è bastato poco per eleggere nel mio animo Venezia a capitale del Veneto, ed è di quella città che mi sento figlio, ma non interamente."
Io diversamente da Parise mi sento figlio di Vicenza e del Veneto, molto meno di Venezia.


Mazarol Veneto
Alberto Pento come dicevo inutile! Se non hai ancora capito che Venezia è nata dal popolo Veneto e poi ne è diventata la capitale,che è il terzo e non il primo tentativo che i Veneti hanno fatto per farsi una capitale nell'acqua,che Venezia oggi ma Venethia prima cioè città dei venetici come venetice erano le terre abitate dai Venetici oggi Veneti,non comprenderai mai la Serenissima ne i suoi comportamenti che come ti ripeto per l'ultima volta sono anche figli della sua epoca,non vai da nessuna parte,storicamente parlando!

Alberto Pento
Rivoalto poi divenuto Venezia è nato sì dalle genti venete ma si è sviluppata in ambito imperiale romano bizantino di cui era provincia e il suo primo doge dal nome pare essere stato un greco-bizantino (Paoluccio Anafesto).
Dopo secoli, in cui la maggior parte dei veneti per circa 900 anni ha avuto un'altra storia in ambito imperiale germanico, i veneti tutti sono divenuti sudditi dei veneti veneziani di Venezia per 400 anni, e in questo periodo non vi è stata la formazione di un vero popolo veneto in senso nazionale e non vi è stata alcuna formazione di uno stato veneto a sovranità di tutti i veneti, dopodiché Venezia ha rinunciato e perso vergognosamente il ruolo di dominante e di guida dei veneti, abbandonando vilmente la terra veneta alla conquista di Napoleone contro il quale non ha rischiato nulla perdendo però lo stesso quasi tutto e finanche la dignità.
Oggi è una città che resta sì capitale del Veneto in memoria del passato, ma io come capitale preferirei Verona.
Il Veneto o terra veneta non era abitato solo dai venetici ma anche dagli euganei, dei reti, dai celti, a cui si sono aggiunti latini e romani, germani in gran quantità (goti, longobardi, sassoni, franchi, tirolesi, alemanni, bavaresi), slavi e altre minoranze (etrusche, istro illiriche, greco armene, giudaiche).


Altre cose scritte da Goffredo Parise:
1
Quando vedo scritto all’imbocco dei ponti sul Piave: « Fiume Sacro della Patria » mi commuovo ma non perché penso all’Italia bensì perché penso al Veneto. Fuori del Veneto per me è terra straniera e forse ostile. Non ho mai combattuto come altri possono aver fatto questo sentimento perché è veramente il più forte, né amo in maniera particolare i veneti per il solo fatto di essere veneti.
2
Non mi sono mai interessato di politica, né nazionale né internazionale perché è politica che riguarda solo marginalmente la mia Patria. E tuttavia, detto tutto questo, non sono più veneto da molti anni e se la mia regione ha ormai spazi internazionali il mio sentimento è piccolissimo e fortissimo ed è tutto racchiuso nel Veneto, specie sulle immense ghiaie infocate del Piave durante l’estate e l’azzurro torrente che vi scorre in mille rivoli e pozze gelide.
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Non parlerò del dialetto che come scrittore non amo perché soltanto in questo penso che la mia patria linguistica è l’italiano, che può anche essere una traduzione psichica del dialetto stesso ma non amo i dialetti come lingua letteraria: i dialetti (tutti) sono fatti per essere parlati e nel luogo esatto dove sono nati e sviluppati, in quei piccoli luoghi perché il dialetto cambia da un chilometro all’altro.
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Ma il centro vero e solo e unico della mia Patria lo dirò ora: è una casetta, una specie di casa delle fate, minuscola e vecchia, con tutto vecchio dentro ma efficiente e caldo a cominciare dal focolare, che sta proprio sui bordi del Piave e spesso ne viene sommersa. A mezzo metro da una finestrella che ho fatto aprire verso nord per guardare le montagne e la neve, in maggio arriva 1’upupa a trafficare per il suo nido, rizzando la sua crestina vanitosa e giustamente “ilare” come dice il poeta. A pochi metri, su un altro salice picchia il picchio, con quel movimento del becco come la piccozza del minatore o dello scalatore di vette. Le rane cantano dentro piccoli stagni e ruscelli che si gettano nel Piave, le lepri, all’alba, giocano all’amore in coppie, in piedi, una rivolta verso l’altra come danzando, un alveare naturale si e formato tra i due vetri di una finestrella e da un giorno all’altro, un grosso gufo è sceso dal camino in una frana di fuliggine odorosa, le lucciole girano e il sapore del mare quando è scirocco giunge ad avvertire che la partenza, se voglio, può essere imminente oppure no, a seconda dell’estro. La mia Patria è Ponte di Piave, un paesetto vicino un chilometro, con una fontana di acqua ferruginosa, ma sto qui, abito a Roma, all’estero. Perché? Perché cosi è la vita”.


Mazarol Veneto
Alberto Pento io abito a la Orotava isola di Tenerife,come da saccente vedi sul mio logo,ospite di un popolo fiero come il Guance,ma autoesiliato per stare lontano dai falsiveneti come tè! Ma se qualcuno mi chiede dov'è la mia patria non ho bisogno di indicarla nella carta geografica,basta che indichi la parte sinistra del mio petto!




Gino Quarelo

Andeas Hofer è un tirolese un eroe che i veneti non hanno mai avuto. I veneti avevano Venezia che invece si è calata le braghe. Due storie diverse, da una parte un popolo vero e dall'altra un non popolo, un popolo mancato.

Annamaria Deoni
Credo che sia ovvio che non è un cognome Veneto.


Annamaria Deoni
Credo altrettanto che non uccida leggerlo.


Annamaria Deoni
E comunque per memoria famigliare le insorgenze Venete sono avvenute fino al 1922. Chiaro che Napoleone non centra. Ma i nostri vecchi ci hanno provato finché hanno potuto. E per non essere incarcerati si sono imbarcati per Nova York, attraversando il nord Italia a piedi e salpando col bastimento a Genova. Ho trovato nel sito della compagnia di navigazione dell'epoca riscontro del loro arrivo e pure gli esiti della visita medica di ingresso e nelle lettere personali conservate da nonna il motivo del "viaggio". Sono i Veneti di oggi che mi preoccupano, soprattutto i sabotatori. Buona giornata.

Gino Quarelo
Io mi preoccuperei di più dei venetisti fanfaroni e venditori di illusioni, degli ingannatori, degli aprofittatori e caregari, del mitomani, invasati e fanatici, degli ignoranti presuntuosi e arroganti, degli antidemocratici e illiberali, dei filo nazi maomettani e degli antisemiti, dei bugiardi, dei falsificatori della storia.

Annamaria Deoni
Pur ammettendo che l'ambiente è in parte ambiguo e corrotto, l'aggressività verbale, la saccenza, e il pregiudizio nei confronti dei conterranei allontana tutti da un sano percorso di consapevolizzazione prima e di azione, in seconda battuta, per il raggiungimento del nostro obiettivo. Questa acredine, questo odio viscerale e la presunzione di avere la verità assoluta in tasca è disarmante e deterrente. Queste cose uno se le aspetta da un nemico, da un "giacobino"... Mi spiace ma questo modo di fare mi offende e mi umilia. Io non mi permetterei mai di screditare così il mio prossimo. E soprattutto giunti a questo livelli di convincimento, non mi dichiarerei Veneto. Perché alla fine questo è odio allo stato puro.


Alberto Pento
Per me i conterranei sono tutti i veneti e non vanno confusi con la minoranza venetista venezianista, a cui propabilmente tu ti riferisci e contro la quale vanno le mie poco lusinghiere critiche, i miei caustici giudizi, e per taluni aspetti demenziali il mio motivato disprezzo.
Io non confondo "i veneti" con questa minimale minoranza di veneti venetisti affetti dalle demenziali presunzione e arroganza di sentirsi e di considerarsi più veneti e più veri veneti degli altri, e che dopo vent'anni di frequentazione, militanza e approfondimento "venetista" sono senza volerlo arrivato a considerare questi venetisti invasati e presuntuosi, data la loro assoluta mancanza di rispetto e di amore, miei nemici di fatto e nemici dei veneti e di una possibile indipendenza veneta tutta da ripensare (nemici di fatto come lo sono stati i veneziani a suo tempo che non hanno ritenuto i veneti tutti fraternamente degni di partecipare democraticamente alla sovranità della Repubblica e che hanno abbandonato le terre venete e i veneti a Napoleone senza muovere un dito per difenderli come sarebbe stato nel loro dovere visto che erano i signori della Serenissima e dominavano tra l'altro il Veneto e i veneti).


Gino Quarelo
Io poi non confonderei le ribellioni, le sollevazioni, le rivolte alle angherie o di classe con le insorgenze di un popolo contro un dominio straniero, per liberarsi, essere indipendenti e avere la sovranità politica, sono cose diverse, completamente diverse.


Mazarol Veneto
Gino Quarelo ti sei descritto bene!

Renato Moro
I ze guastatori de a Republik of Italy cioè REPVBLICA IDAGLIANA cioè Repubblica italiana 4 nomi i ga pignorati e falliti falza società di diritto pubblico e a naso i ze anca gheffi wsm
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: La storia raccontata da Vittorio Selmo di Verona

Messaggioda Berto » ven mar 27, 2020 9:24 am

PIAZZETTA GOFFREDO PARISE A VICENZA: “IL VENETO È LA MIA PATRIA”, DICEVA

Proprio in questi giorni è stata inaugurata a Vicenza la “Piazzetta Goffredo Parise” che ha finalmente posto fine a una dimenticanza imperdonabile da parte della città: il grande scrittore vicentino è mancato, infatti, più di trent’anni fa.
Parise è conosciuto soprattutto come l’autore di “Il prete bello”, dei “Sillabari”, meno per i sentimenti che provava per la nostra Terra veneta: e così vorrei approfittare di questa occasione per riproporre un Suo articolo uscito sul Corriere della Sera del 7 febbraio 1982.
È una testimonianza particolarmente intensa del legame che univa Goffredo Parise (e tanti veneti) alla Terra di San Marco.

Ettore Beggiato
“Il Veneto è la mia Patria. Do alla parola Patria lo stesso significato che si dava durante la prima guerra mondiale all’Italia: ma l’Italia non è la mia Patria e sono profondamente convinto che la parola e il sentimento di Patria è rappresentato fisicamente dalla terra, dalla regione dove uno è nato. Sebbene esista una Repubblica Italiana questa espressione astratta non è la mia Patria e non lo è per nessuno degli italiani che sono invece veneti, toscani, liguri e via dicendo. L’Unità d’Italia non c’è mai stata nonostante la “Patria” del Risorgimento, della prima guerra mondiale, della seconda e della costituzione repubblicana in cui viviamo.
Sono nato a Vicenza, una città di pietra grigiastra dalle colonne spropositate, che in molti punti sembra finta, fatta di magnifiche “quinte” teatrali che si riassumono infatti meravigliosamente nel teatro Olimpico di Andrea Palladio, che però è di legno ed è un teatro. Anche Vicenza lo è, e non è mai stata per me una città ma appunto un teatro senza nome, in tutte le sue vie, grandi e piccole, grigie, umide e leggermente muschiose. In questo teatro ho ambientato cinque miei romanzi, senza mai far riconoscere direttamente la città perché appunto la vedevo e la ricordo come un teatro in cui si può cambiare commedia ma non scenografia. È fatta di scorci, di angoli, di improvvise colonne bianco-grigie, lievemente funerarie e grosse come alberi tropicali, non è gentile, graziosa o fantastica come Venezia ma sempre fitta e alle volte solenne appunto come le foreste tropicali. Il resto, la parte per cosi dire umile, è invece campagnola.
Sono nato, cresciuto e vissuto a Vicenza fino ai diciotto anni e poi a Venezia e poi a Milano, e poi a Roma e poi nel mondo. Mi è bastato poco per eleggere nel mio animo Venezia a capitale del Veneto, ed è di quella città che mi sento figlio, ma non interamente. A Venezia l’acqua si accosta alla terra in lagune e se dovessi dire quale è veramente il centro della mia terra direi che è quella parte di terraferma che non è né terra, né acqua ed è tutte e due insieme e sente sempre comunque il sapore della Laguna e vede il colore del cielo che non è né soltanto di terra (come intorno a Ferrara) né soltanto di mare come a Capri. Sono i colori del cielo di Francesco Guardi e di Tiepolo.
Lo notammo insieme a Giovanni Comisso, un giorno, sui ghiaioni del Piave ed egli mi disse: « Queste sono le nuvole del nostro cielo».
Tuttavia ho girato il mondo fino a quando mi ha sorretto la gioventù e lo spirito di curiosità e di ansia esistenziale che, oltre a Comisso, doveva avere certamente per primo Marco Polo. Con lo stesso candore ed incoscienza noi veneti abbiamo girato il mondo: ma la nostra Patria, quella per cui se ci fosse da combattere combatteremmo è soltanto il Veneto. Con il ricordo dei suoi odori di polenta che uscivano un tempo dai fumaioli delle case durante l’inverno uggioso, nebbioso e nordico, gli odori di paglia, di letame, di grano e di fieno durante l’estate. Quando vedo scritto all’imbocco dei ponti sul Piave: « Fiume Sacro della Patria » mi commuovo ma non perché penso all’Italia bensì perché penso al Veneto. Fuori del Veneto per me è terra straniera e forse ostile. Non ho mai combattuto come altri possono aver fatto questo sentimento perché è veramente il più forte, né amo in maniera particolare i veneti per il solo fatto di essere veneti.
Ci sono i buoni e i cattivi, per lo più sono piuttosto ignoranti, non mi sono particolarmente simpatici, trovo più simpatici altri di altre regioni, ho pochissimi amici veneti. Ma il Veneto resta la mia Patria perché vi sono nato: semplicemente. Il mio sentimento è lo stesso di un contadino che è sempre rimasto li e ha la sua terra e la sua falce preferita che gode ad arrotare cavandone suono brillante. So distinguere le campane del Veneto da ogni altro suono di campane, specialmente quelle della Basilica di Monte Berico a Vicenza, non le ho mai dimenticate e se ne risento il suono nell’immaginazione mi prende la stessa allegria del mattino di domenica quando, da ragazzo, mi svegliavo al loro suono.
Non mi sono mai interessato di politica, né nazionale né internazionale perché è politica che riguarda solo marginalmente la mia Patria. E tuttavia, detto tutto questo, non sono più veneto da molti anni e se la mia regione ha ormai spazi internazionali il mio sentimento è piccolissimo e fortissimo ed è tutto racchiuso nel Veneto, specie sulle immense ghiaie infocate del Piave durante l’estate e l’azzurro torrente che vi scorre in mille rivoli e pozze gelide.
Del Veneto amo Venezia, Treviso, e Cortina d’Ampezzo, i luoghi da me più frequentati. Ritengo che le Tofane e le grandi e scintillanti distese di neve su tutta la Conca Ampezzana ma anche al di là verso la provincia di Bolzano, quella cresta punta che si chiama monte Lagazuoi, in vetta al passo del Falzarego, siano la mia Patria. Che quella qualità di neve, invernale o primaverile su cui gli sci scricchiolano appena durante l’inverno e scivolano durante la primavera, siano più di ogni altro elemento quello distintivo della mia Patria. La neve della mia Patria è sempre stato l’elemento primo della mia vita non soltanto sportiva, anzi lo sport non c’entra niente. L’ho baciata, mangiata, leccata, carezzata molte volte. Mi sono immerso in quella neve un giorno o due dopo le grandi nevicate come in un bagno di fresca vita con gli occhi rivolti al cielo immensamente azzurro e al sole, puntino bianco dai raggi accecanti. Ho sorpreso camosci nella loro intimità primaverile, sfiorato caprioli, agguantato a tuffo una pernice bianca e solo per poco mi è mancato un gallo forcello, rotolando con loro lungo i bianchi pendii. Ho guardato da lontano, stando sempre sugli sci, i piccoli paesi che si vedono dalle alte vette nevose, con i loro campanili già austriaci e piano piano scendendo nel silenzio li ho raggiunti. Quasi sempre solo o in compagnia di amici che provavano il mio stesso sentimento. Ho infine guardato la neve scendere quando le saltava il ticchio di scendere, lenta, sottile e fatata, dalle finestre di una casetta ben riscaldata, per ore e ore senza accorgermene, tanta smania avevo di lei, sempre e sempre.
Venezia, il sogno di tutti i sogni, l’ho conosciuta da solo senza guide, d’inverno girando per le calli e perdendomi in continuazione e scoprendo la sua bellezza stranamente lagunare e non marina (il mare sta nel sud dell’Italia oppure a nord, in Liguria) che odora di alghe e anche un poco di merda. Qua e là qualche fritto di pesce. Ho infinitamente amato (quasi come l’odore della neve nel vento) l’odore dei pontili d’estate, che sta tradii forte salso, lo iodio e quello della pelle al sole appena uscita dall’acqua. Le lunghe passeggiate sulla spiaggia mai deserta del Lido dove si è tutti fratelli, sorelle, cugini, zii, nonni, dominata da due grandi alberghi che si ergono come una lussuosa clinica il primo e come immensa moschea aguzza di minareti in un miraggio da deserto il secondo. Ho amato con brividi di piacere le fresche stradine sepolte di verde del Lido, con cespugli popolati di lucciole, canaletti e poi improvviso il mare Adriatico con la sua luna calma e rossa. Della Laguna e delle sue isole ho già accennato che piano piano, a lembi, a strappi, si avvicinano alla terraferma e da dove si vedono sempre incombere le montagne azzurre o coperte di neve. Ed ecco arrivare tra un lembo e l’altro di barena Punta Sabbioni e Jesolo, cosi pazzamente colorata d’estate e cosi deserta come il Sahara d’inverno, percorsa da venti gelidi là dove migliaia di tende e roulotte stavano pochi mesi prima, per il rincorrersi sempre troppo rapido delle stagioni cosi diverse una dall’altra.
Ecco dunque la terra che si innesta quasi immediatamente nella Marca Trevigiana attraverso le campagne di bonifica, altro mare di granoturco solcato dal fiume Piave che si fa largo e piatto alla foce, fiancheggiato da vigneti. Ed ecco, andando verso Treviso, il Piave rifarsi quello che è, torrente, con le sue isole tra le ghiaie, le grandi bilance da pesca che lo coprono da una riva all’altra e poi farsi ruscello, ragnatela di ruscelli dal rumore leggero di sorgente contro i sassi delle infinite prode.
Treviso è una città contadina, esistono ancora sellai e un mercato pieno di oggetti fatti a mano per il lavoro della terra o della casa di campagna; coltelli, falci, trappole per i topi, canestri seggiole di paglia, graticole, spiedi e coltellini con il manico di legno, dritti e ricurvi e tutto è ricoperto da quell’odore di grasso e di consorzio agrario, di semi e bulbi, che ognuno (spero) conosce, salvo gli abitanti delle grandi città. Anche tutti questi oggetti e odori sono la mia Patria. Non parlerò del dialetto che come scrittore non amo perché soltanto in questo penso che la mia patria linguistica è l’italiano, che può anche essere una traduzione psichica del dialetto stesso ma non amo i dialetti come lingua letteraria: i dialetti (tutti) sono fatti per essere parlati e nel luogo esatto dove sono nati e sviluppati, in quei piccoli luoghi perché il dialetto cambia da un chilometro all’altro.
Eppure non l’ho scordato e sempre quando posso parlo con infinito piacere il dialetto perché è la lingua della mia Patria. Piano piano sparirà e la sua conservazione, la più poetica per quanto riguarda la mia Patria, si troverà un giorno nei microfilm delle poesie di Andrea Zanzotto che nel Galateo in bosco, l’ ultimo suo libro, ha raggiunto altissimi gradi di musica perpendicolare, come una sonda conficcata a Pieve di Soligo dai sottoboschi marcescenti di castagni, con i suoi ragni e bisce e vermiciattoli e suoni a mezzo tra vegetali e animali, talpacei, dentro la nostra terra fino al centro del globo a raggiungere fuochi o rose danteschi.
Ma il centro vero e solo e unico della mia Patria lo dirò ora: è una casetta, una specie di casa delle fate, minuscola e vecchia, con tutto vecchio dentro ma efficiente e caldo a cominciare dal focolare, che sta proprio sui bordi del Piave e spesso ne viene sommersa. A mezzo metro da una finestrella che ho fatto aprire verso nord per guardare le montagne e la neve, in maggio arriva 1’upupa a trafficare per il suo nido, rizzando la sua crestina vanitosa e giustamente “ilare” come dice il poeta. A pochi metri, su un altro salice picchia il picchio, con quel movimento del becco come la piccozza del minatore o dello scalatore di vette. Le rane cantano dentro piccoli stagni e ruscelli che si gettano nel Piave, le lepri, all’alba, giocano all’amore in coppie, in piedi, una rivolta verso l’altra come danzando, un alveare naturale si e formato tra i due vetri di una finestrella e da un giorno al¬l’altro, un grosso gufo è sceso dal camino in una frana di fuliggine odorosa, le lucciole girano e il sapore del mare quando è scirocco giunge ad avvertire che la partenza, se voglio, può essere imminente oppure no, a seconda dell’estro. La mia Patria è Ponte di Piave, un paesetto vicino un chilometro, con una fontana di acqua ferruginosa, ma sto qui, abito a Roma, all’estero. Perché? Perché cosi è la vita”.



Alberto Pento

Mazarol Veneto ha scritto:
Maurizio Bedin lasa star, Mauri no te vedi che al seta a rigirar la fritaja,all'italiana se desmentega che Venesia zera aleata e dichiaratamente neutrale in te cuea guera,come l'italia del 15/18 i se desmentega che da aleati i gà atacà ae spae l'Austria come co i nasisti,prima i se alea e dopo i gira le spae e i te pugnała ma la colpa la ze dei altri! Lasei star i bauchi o i rompibae a presinder come sto chi!




Alberto Pento scrive:
Mazarol Veneto sei ignorante, invasato fanatico e demenziale, bugiardo e senza rispetto.
Ti ricordo, imbecille senza rispetto, che io sono veneto vicentino e che non sono né veneziano, né marciano e che l'aristocrazia e l'arroganza veneziana è terminata nel 1797.
Io sono un veneto indipendentista non venezianista e vorrei non essere sottomesso né a Roma, né a Milano, né a Venezia, con gente come te, invasata e demenziale, io non sono disponibile a costruire alcun stato veneto.

Essere alleati è il contrario di essere neutrali o si è alleati o si è neutrali, non si può essere alleati di qualcuno e al contempo essere neutrali.
Poi essere neutrali non significa lasciar entrare gli eserciti altrui perché si facciano la guerra sul tuo territorio mettendolo a ferro e fuoco, con grave danno per le popolazioni, con il rischio che qulcuno ne approfitti come ga fatto Napoleone; un tale comportamento è semplicemente demenziale e criminale verso il sudditi, i cittadini, verso il tuo paese e il tuo stato, la neutralità disarmata di Venezia fu una vigliaccheria vergognosa.


http://www.treccani.it/enciclopedia/l-u ... Venezia%29

Nicolò 2° Guido Erizzo, un patrizio conservatore che avrebbe analizzato tra i primi, all'indomani di Campoformido, "l'avvenimento della distruzione del Veneto Governo Aristocratico", era convinto che, se si fosse dato ascolto a Francesco Pesaro, nel 1796-1797 il capo dell'ala misogallica dell'establishment lagunare (non a caso il democratico Balbi lo presentava come il Pitt veneziano, un omologo dell'allora leader dei tories), e, invece di adottare "la massima d'una Neutralità disarmata, ch'è quanto dire di un abbandono di Territorio al primo occupante", si fossero prese "le più adeguate misure, onde difender la Veneta Terra Ferma dai mali inevitabili d'una Guerra", la Repubblica di Venezia si sarebbe salvata o quanto meno non sarebbe crollata così rapidamente ed ingloriosamente (58).
In questo caso Erizzo insisteva - come del resto avrebbero insistito dopo di lui quasi tutti i cronisti e gli storici che avrebbero ricostruito le vicende della caduta della Repubblica - su una radicale contrapposizione tra due linee politiche, la neutralità disarmata adottata dal governo veneziano e la neutralità armata invocata da Pesaro, che in effetti erano rimaste, a causa dei limiti del procuratore, soltanto virtualmente lontane. Risulta in ogni caso dagli interventi di Pesaro alle consulte dei savi che si tennero in quei mesi che l'influentissimo procuratore di San Marco (Giovanni Andrea Spada gli avrebbe addirittura attribuito un'"autorità più che dittatoria") (59) concordava con i suoi colleghi riguardo ad una serie di punti qualificanti, che si possono così riassumere:
1) lo scontato rigetto del "mostruoso governo della Francia" (tale "odio" - sottolineava Piero Zen nel gennaio del 1793 - era "un sentimento comun a tutti");
2) di regola la recisa condanna ideologica non faceva velo, quando i savi dovevano giudicare circa la potenza francese (un realismo, che induceva tra l'altro a respingere la consolante interpretazione della rivoluzione transalpina come un fenomeno entropico, che non avrebbe mancato di far rapidamente collassare la Repubblica democratica su se stessa: nell'ottobre del 1792 Nicolò Michiel "guarda[va] la Francia come governo ch'à ancora principi, saran non buoni, ma [ha] un piano", le truppe "si portano con bravura", "tutte le direzioni fino ad ora compariscono consigliate, non condotte da fanatismo, da entusiasmo, da furore"; "convien dunque rifletter" - invitava da parte sua Zaccaria Valaresso, il quale dichiarava anche che aveva "più paura della paura del Senato che de' Francesi" - "alla dimostrazione solenne del consenso di tutta la Francia a mantener il sistema di libertà", "stabilito avendo decadimento della Monarchia ed instituzione [della] Repubblica democratica");
3) anche per questa ragione tutti i savi condividevano, sia pure con motivazioni diverse a seconda delle congiunture politiche e della percezione che avevano della minaccia francese, la "massima di sostener neutralità perfetta" (Zen nel gennaio del 1793). Non era soltanto per supina obbedienza a "tutte le ragion da un secolo e mezzo stabilite" che si doveva "restar nel stato ove siamo" (Valaresso): la neutralità era imposta non tanto o non soltanto dalla storia quanto dalla diffusa convinzione che si riteneva la Serenissima affatto "impari alla difesa" (Zen);
4) come sottolineava Valaresso, "da Crema a Fusina" era uno "stato troppo lungo, troppo stretto, difficilissimo a garantir": "piazze sproviste, opere esteriori mancanti, depositi vuoti, non artiglieria, non munizioni"; "fa tristezza lo stato della Terra Ferma", ripeteva Francesco Battagia, che "riflette[va] anche sulla mancanza d'un comandante che imprima stima, considerazione", mentre Pesaro ricordava che "la Repubblica ha li suoi stati d'Italia abbandonati": "né truppa né uomini né fortezze né artiglierie", anche le cernide, le milizie rurali, erano "rese inefficaci";
5) il procuratore era convinto che si dovesse rimediare in qualche modo a questo disastroso assetto militare (in ogni caso arruolando Svizzeri e altri mercenari, non certo armando i sudditi, come invece avrebbero voluto, con il senno di poi, alcuni del suo partito), ma si rendeva anche conto che, in ogni caso, era utopico sperare che "una forza portata alla frontiera" veneziana potesse opporsi con una qualche speranza di successo all'esercito di una grande potenza;
6) Pesaro ripiegava conseguentemente su una linea più realistica: si doveva "pensar almeno [alle] città murate", riprendere, di fatto, la politica militare seguita durante la guerra di successione spagnola, quando "la sola massima" della Repubblica era stata quella di "guardar le piazze" e il resto della Terraferma era stato in buona sostanza abbandonato all'arbitrio degli eserciti occupanti, anche allora francesi e imperiali (60);
7) tuttavia i Francesi del 1792 (e, nonostante Termidoro, anche quelli del 1796-1797) erano ben diversi dai Francesi del 1701, dal momento che - sottolineava il procuratore - avevano "gioco non colle truppe ma colle massime portate da dette truppe" e, anche se gli eserciti della Repubblica transalpina fossero stati arrestati sulle Alpi, non bisognava dimenticare che la loro "guerra [era] da popolo a popolo": "oggi li francesi fanno una guerra ne' stati colla bandiera seduzione";
8) secondo Pesaro e la maggioranza dei savi era conseguentemente necessario privilegiare l'"interna custodia", vale a dire "prima di tutto poner i popoli in istato di neutralità e che corrispondino alle massime" della Repubblica e quindi far intervenire gli inquisitori di Stato ("Tribunal faccia") per controllare strettamente la Terraferma: in conclusione una "neutralità [...] accompagnata da misure di premunimento", che impedissero soprattutto alla propaganda rivoluzionaria di "turbar li sudditi".

"Il Senato sia neutrale ma lo sia non con abbandono", era la linea invocata da Pesaro e in larga misura recepita dal governo marciano, quanto meno sul versante della vigilanza (nel 1792-1795 gli inquisitori ῾investirono' nell'intelligence somme nettamente superiori a quelle impiegate negli anni che avevano preceduto la rivoluzione: il tetto, quasi 60.000 ducati, vale a dire più di tre volte il livello precedente il 1789, fu raggiunto nel 1793-1794, nei mesi del Terrore) (61). Dove invece Pesaro fallì, ma più per demerito suo che per la resistenza oppostagli dalla maggioranza dei savi, fu sul fronte del "premunimento" militare. Il procuratore, come del resto anche gli altri savi del consiglio, non aveva nel suo cursus honorum alcuna esperienza in divisa, né aveva al suo fianco un consigliere che potesse suggerirgli un piano militare di un qualche respiro: anche a causa dei limiti di Giuseppe Priuli, un suo fedele seguace cui aveva fatto affidare il saviato alla scrittura (la versione veneziana del segretariato alla guerra), la parola d'ordine della neutralità armata rimase uno slogan, cui non corrispose un vero e proprio programma di riarmo.

Questioni chiave come la necessità di costituire un valido esercito da campagna e di affidarlo ad un comandante in capo che, diversamente dagli alti ufficiali veneziani, avesse avuto modo di distinguersi in guerra, furono tutt'al più sfiorate. Sia sul finire del 1792 che nella primavera del 1794, nei due momenti in cui perorò con maggior energia la causa della neutralità armata, il procuratore si accontentò che fossero presi alcuni provvedimenti (spostamento di truppe dalla Dalmazia in Terraferma, arruolamento di tremila miliziani, ecc.) (62) affatto inadeguati se non nella prospettiva dell'"interna custodia", di una repressione degli "assembleisti" e degli altri simpatizzanti per le esperienze politiche d'Oltralpe.

La decisione del governo veneziano - nei fatti più che nelle dichiarazioni d'intenti - di lasciare inerme la Repubblica non deve indurre a ritenere, come ha invece preteso una storiografia superficiale, che i savi del consiglio fossero affatto ciechi di fronte alla prospettiva di un'invasione dei Transalpini. Al contrario essi mettevano in conto il "pericolo ch'un'orda francese s'introduca a Brescia, Bergamo, Verona a piantar [lo] stendardo della libertà" (Valaresso); in particolare Pesaro prevedeva assai lucidamente che "quando saranno vicini, oppugneranno e niente basterà" e "se si lascerà piantar l'albero, i Francesi saranno avversi", che, in poche parole, una volta che i Transalpini avessero messo piede in Terraferma, lo schermo della neutralità non avrebbe in alcun modo protetto il regime aristocratico dalle fiamme dell'incendio rivoluzionario. Ma la minaccia ῾giacobina' era percepita come una sorta di punizione, che il Signore voleva infliggere all'antico regime ("soggiaceremo al destin comun, che Dio vuol sottometter l'Europa", era il lamento degno di Giobbe, che usciva dalle labbra di Valaresso), non come una laica sfida alla costituzione materiale veneziana.

Appare chiaro dai sommari delle consulte che né Pesaro né gli altri savi si riconoscevano in un progetto che non fosse quello di una mera conservazione dell'esistente, della salvaguardia di un'identità ontologica, che per di più il potente procuratore continuava a rivestire dei panni della più tradizionale mitologia della Serenissima, arrivando al punto di affermare che i Francesi "l'anno colla Repubblica perché il miglior governo". Certo, non tutti i membri del nucleo dirigente condividevano questa visione politica ispirata da un inossidabile orgoglio patrizio. Ma i savi più realisti e pragmatici erano anche i meno disposti a varare misure energiche e i più inclini alla rassegnazione. Ad esempio Giovanni Querini "teme mali dall'avvanzamento delle truppe francesi in Italia, conosce tutto ciò, ma riflette e trova che niente si può far e che, se si facesse, tardo sarebbe il soccorso". Era la linea di un immobilismo ῾piagnone' teorizzata soprattutto da Battagia, per molti aspetti (origine, studi, carriera politica, legami massonici, idee economiche) l'anti-Pesaro: "piange sulla costituzion infelice della Repubblica, trova minor pericolo nel continuar a farsi quello che si è sempre fatto più tosto che altrimenti".

Battagia si opponeva ai provvedimenti militari anche nell'ipotesi che fossero diretti esclusivamente all'"interna custodia": la sua tesi era che "la custodia da massime [rivoluzionarie] non se fa colla guerra, ma con la forza sobriamente esercitata e colla dolcezza [del] Governo" e che la "prima base della sicurezza è il non abusar dell'impero". Mentre il conservatore Pesaro insisteva a favore dell'adozione di una politica repressiva, il ῾progressista' Battagia era convinto che qualsiasi "premunimento" avrebbe paradossalmente aggravato la crisi della Serenissima: le tasse, che bisognava imporre per poter armare la Repubblica, e le misure poliziesche non solo non avrebbero modificato in tempo utile e nella misura necessaria "la costituzion infelice della Repubblica", ma l'avrebbero per di più privata del consenso dei sudditi. E i Francesi? "Si deve confidar delle circostanze varie non appartenenti a noi", sperare che in un modo o nell'altro la coalizione antirivoluzionaria togliesse a Venezia le castagne dal fuoco.

In ogni caso secondo Battagia le scelte della Repubblica non dovevano essere decise in base a sentimenti e risentimenti ideologici, ma alla luce di un calcolo spassionato, che riconoscesse nella "giusta probabilità" l'unico criterio razionale nelle "cose umane". Da un paio di secoli quasi tutte le case abbienti del patriziato puntavano, nel tentativo di conservare intatto patrimonio e peso politico, ad un solo matrimonio per generazione, sapendo bene che in tal modo mettevano spesso a repentaglio la loro stessa sopravvivenza. La "giusta probabilità" invocata da Battagia rilanciava per un certo verso questa rischiosa scommessa a carico di tutto lo stato-corpo aristocratico veneziano: il "continuar a farsi quello che si è sempre fatto", se non offriva alcuna garanzia per il futuro, presentava l'indubbio vantaggio di non costringere a rimettere in discussione la forma politica e le pratiche tradizionali di quella piramide di case che era la società patrizia.

Va da sé che non erano né le convinzioni liberal né i calcoli razionali di Battagia che potevano pesare sull'atteggiamento della maggioranza degli altri savi del consiglio, anche se va tenuto presente che la linea politica ῾rinunciataria' del futuro provveditore generale in Terraferma era condivisa in larga misura da uomini di primo piano quali Girolamo Zulian, Valaresso e Piero Donà. Se la strategia immobilista doveva avere la meglio, era soprattutto perché andava incontro sia al diffuso misoneismo ("non si faccia cose nuove, non si alteri, va tanto bene", dichiarava ad esempio Giannantonio Ruzzini) che a quell'"hideuse avarice" della classe dirigente veneziana, che Giacomo Casanova avrebbe stigmatizzato all'indomani della caduta della Repubblica marciana (se Battagia, che apparteneva ad una casa della media nobiltà, non voleva ulteriori "pesi all'erario" per non gravare sui sudditi, alcuni savi assai ricchi erano avversi alla neutralità armata e, a maggior ragione, ad una partecipazione di Venezia alla "viva guerra" perché temevano "di dover essi pagare le conseguenti imposizioni") (63).

Non stupisce pertanto che tra i savi tendesse sempre a prevalere l'opinione che "le precauzioni possono esser domandate da circostanze che qui non vi sono", che apparisse ragionevole, di fronte agli alti e ai bassi della politica internazionale e ad una situazione interna che non dava alcuna preoccupazione, continuare a procrastinare o comunque ad annacquare qualsiasi "premunimento" consigliato da Pesaro. Come avrebbe riassunto Vittorio Barzoni, "l'imperizia era in concorrenza colle vane speranze, coll'amore del suddito, col piacere del riposo, col sentimento della propria impotenza, colla mancanza di patriotismo, col riguardo di non turbare il senato, colla scioperataggine universale e, per una tacita transazione fra la debolezza di tutti, la patria si trovò immolata all'improvidenza d'ognuno". I savi del consiglio "speravano, ed era l'unica loro speranza, che qualche fausto avvenimento mutar facesse l'aspetto delle cose e dalla faccia dell'Italia rimovesse il turbine, che le romoreggiava sopra" (64).

Nell'attesa del "fausto avvenimento" la Repubblica si aggrappava alla ciambella della "perfetta neutralità" nei confronti dei belligeranti, una linea politica che tendeva tuttavia ad interpretare come una prudente e realistica presa d'atto degli equilibri del momento. Di qui una serie di mezze misure, di scelte congiunturali che, in luogo di rendere - come era nelle intenzioni del governo marciano - ancora più perfetta la neutralità, non potevano che contribuire ad appannare i rapporti, a seconda dei casi, con la Francia o con l'Impero e di conseguenza offrivano alle due potenze dei motivi o dei pretesti per recriminazioni e rivendicazioni. Volendo evitare di inimicarsi i belligeranti (questa l'interpretazione ῾negativa' che fu data alla neutralità), la Serenissima ne attizzò paradossalmente l'ostilità, così come la sua arrendevolezza nei confronti delle loro richieste aprì la strada a ulteriori cedimenti. In questo modo la Repubblica compromise di fatto la possibilità di evitare di essere direttamente coinvolta nel conflitto: quando, nel maggio del 1796, i territori marciani diventarono un teatro di guerra, Venezia aveva già perduto da tempo, se mai l'aveva avuto, quello scudo, che la professata neutralità avrebbe dovuto garantirle.

Anche se o, meglio, proprio perché si rifiutò di accogliere i reiterati inviti di Vienna di aderire alla coalizione antifrancese (l'ultimo di essi fu respinto il 17 novembre 1792), la Repubblica si guardò bene dal negare agli Austriaci una serie di concessioni, che l'agganciavano, di fatto, al carro imperiale e che quindi erano destinate quanto meno ad irritare Parigi e ad indurre quel governo a considerare la neutralità marciana una maschera ipocrita. In particolare Venezia non denunciò la convenzione che consentiva alle truppe degli Asburgo di transitare per quella strada di Campara, che collegava Borghetto con Goito, vale a dire il Trentino con il Mantovano (e di conseguenza il Milanese). Inoltre il governo marciano aderì alle richieste degli Imperiali e dei loro alleati sardi di consentire loro "di far co' sudditi veneti qualunque privato contratto di armi, viveri, cavalli ecc." (65). In terzo luogo collaborò con Milano, come abbiamo visto, con l'intento di erigere un cordone sanitario contro la propaganda sovversiva. Infine consentì a parecchi emigrati francesi, tra i quali vi era perfino il conte di Lilla, il futuro Luigi XVIII, di rifugiarsi nei suoi Domini.

Nello stesso tempo Venezia cercò di conservare, pagando il necessario pedaggio, buoni rapporti con la Francia. Quando l'ambasciatore veneziano Almorò 1° Alvise Pisani fu costretto dalle sanguinose giornate dell'agosto 1792 ad abbandonare Parigi e a rifugiarsi a Londra, il governo marciano non prese neppure in considerazione l'ipotesi di approfittare dell'occasione per chiudere l'ambasciata, ma preferì rimanere in quella sorta di limbo diplomatico che era garantito da un'ambasciata priva di ambasciatore. Il più importante e discusso passaggio successivo della politica veneziana nei confronti della Francia rivoluzionaria fu, il 26 gennaio 1793, il riconoscimento del cambiamento di regime. Come abbiamo visto, l'Esposizione del luglio 1793 avrebbe cercato di minimizzare la portata traumatica dell'evento e di ricondurlo, nonostante tutto, sul terreno della continuità statuale: le credenziali a Hénin "in nome della Repubblica" erano state "rilasciate a Parigi prima della morte del Re" e, "quando s'accettarono", "il Re, comunque decaduto, era ancor vivo" (in effetti, era stato decapitato il 21 gennaio, ma la notizia della sua esecuzione non aveva ancora raggiunto Venezia) (66).

In realtà, la questione del riconoscimento fu sviscerata dai savi del consiglio in tutte le sue eventuali ricadute, politiche e ideologiche, senza preoccuparsi affatto del destino di Luigi XVI. Piero Pesaro, un fratello minore di Francesco, cui era accomunato anche da una scelta conservatrice, ricordò che, "riconoscendo con sollennità il Governo Francese", "si riconosce li principi francesi", vale a dire la triade eversiva "empietà, eguaglianza, libertà", e che ciò avrebbe necessariamente avuto un "effetto orribile per la Repubblica" veneta, mentre Ruzzini, che era invece favorevole al riconoscimento, invitò a condizionarlo all'impegno di Parigi di "tener lontana la guerra di seduzion". Prevalse, alla fin fine, l'impostazione esclusivamente politico-diplomatica di Valaresso: "l'accoglier [Hénin quale incaricato d'affari del nuovo regime] lascia la Repubblica" veneta "nel stato ove si trova ora", mentre "il rifiutarlo ci separa dalla Francia" (67).

Questa tesi fu ribadita di fronte al senato dal savio in settimana Zulian, che fece presente che, "quantunque cambiatasi effettivamente dalla Francia la forma del suo governo, non si è giammai perciò interrotta la corrispondenza con essa" e che questa "medesima corrispondenza si era pur mantenuta col fatto fino a questi ultimi giorni da alcune altre principali Corti d'Europa, Napoli, Spagna, Toscana, Genova, perfino Inghilterra". "Le massime di antica amicizia verso la Francia" e il pericolo "di un rifiuto" consigliavano pertanto di accettare Hénin nella sua nuova veste: in ogni caso Zulian avvertì che bisognava considerare "come semplice in tale circostanza" la richiesta francese, in quanto gli appariva - e voleva far apparire - affatto naturale "la nuova destinazione di ministri in relazione al nuovo sistema di governo" (68).

Secondo il reazionario Tentori, "il Senato [fu] abbagliato dalle insidiose [...] riflessioni" di Zulian "sostenute ed avvalorate da quelli della di lui lega" (69). In realtà, se si prende in considerazione il risultato della votazione del senato (193 voti a favore, 7 tra contrari e ῾non sinceri'), appare chiaro che il consiglio non fu vittima di una qualche congiura ispirata dai massoni (la società cui aveva appartenuto Zulian) e dai filogiacobini, ma si limitò a ratificare una scelta precedentemente adottata da tutti i savi, ivi compresi i conservatori fratelli Pesaro. Va del resto tenuto presente che l'unico senatore che prese la parola contro la parte "accettante le credenziali segnate dal Consiglio esecutivo provisionale di Parigi all'incaricato degli affari della nuova Repubblica di Francia" fu Angelo Querini, un tradizionale avversario dell'establishment veneziano, ma da posizioni, quanto meno in passato, ispirate dai Lumi (70).

La scelta della "perfetta neutralità" fu ufficialmente comunicata ai sudditi con un proclama datato 23 febbraio 1793 (71). Un mese più tardi fu accolta dal senato, ancora una volta in seguito ad un intervento di Zulian, la richiesta francese di poter esporre le armi del nuovo regime: questa volta "fu generale la disapprovazione, e sì numeroso fu il concorso del popolo accorso a riguardare l'odiato Stemma, che fu d'uopo di tutta la vigilanza degl'inquisitori di Stato, e delle Guardie da essi stabilite per impedire gl'insulti dell'adirata popolazione" (72). Nonostante la reazione popolare, che del resto lo stesso governo aveva favorito, in modo particolare all'indomani dell'esecuzione di Luigi XVI, da un lato impedendo la pubblicazione di qualsiasi scritto sulla rivoluzione (una decisione drastica che mirava ad evitare che la stessa propaganda controrivoluzionaria potesse contrabbandare i messaggi eversivi dei giacobini) (73) e dall'altro mobilitando le gazzette contro la Repubblica transalpina (anche le moderate "Notizie del Mondo" di Compagnoni avrebbero dipinto la Francia come "una foresta di bestie feroci sitibonde d'umano sangue") (74), nonostante che quasi tutti i principali Stati europei si fossero alleati, tra febbraio e marzo, allo scopo di schiacciare l'idra rivoluzionaria francese, i savi non si allontanarono dalla retta via precedentemente tracciata.






http://www.treccani.it/enciclopedia/l-u ... Venezia%29
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Appare più produttivo riconoscere piuttosto la fragilità intrinseca di una forma politica, la città-stato dei patrizi, irrimediabilmente destinata ad essere schiacciata, nei tempestosi anni tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento, tra il martello democratico e l'incudine delle monarchie assolute. Senza dubbio il governo veneziano si distinse per l'incapacità di adottare una linea politica che gli consentisse di opporre un'apprezzabile resistenza alle manovre che puntavano alla dissoluzione o, nell'ipotesi migliore, ad un drastico ridimensionamento della Repubblica. Ma perché continuò ad opporre una pavida neutralità e un inossidabile immobilismo costituzionale ad un contesto che lo minacciava sempre più dappresso? Va da sé che, a monte della "debolezza", si collocavano non soltanto le responsabilità e gli errori tattici dei vertici del governo marciano, ma anche e soprattutto, come aveva sottolineato Nani, delle cause strutturali. Agli inizi del Settecento un ministro di Luigi XIV aveva spiegato ad un ambasciatore della Serenissima che "la condizione dei gentiluomini veneziani, che si credono liberi, era simile a quella libertà che godono li cavalli di bronzo sovraposti alla porta della chiesa di S. Marco, i quali, quantunque non legati o ritenuti, pure non sapevano o potevano muoversi" (19).

Nella trama dei lacci invisibili, che non soltanto negli ultimi mesi della Repubblica aristocratica dovevano impedire ai "gentiluomini veneziani" di "muoversi" in una direzione o nell'altra con la necessaria determinazione e, in ogni caso, quanto meno di opporre un'apprezzabile resistenza "all'impero delle circostanze" (20), figuravano alcuni nodi, che nel loro intreccio contribuivano a paralizzarne le volontà e, ancora prima, a distorcerne la visione. Il traballante tavolo della politica veneziana, una volta venuta meno la rete di protezione assicurata dalla balance of powers internazionale, doveva necessariamente crollare a causa di alcune opposizioni irrisolte e di uno scarto sempre più evidente tra la retorica ufficiale e una realtà effettuale di segno diverso.

Venezia voleva essere ed era, per un certo verso, ad un tempo una città-stato, cui facevano capo i due Domini di terra e ῾da mar', e uno stato ῾regionale', che privilegiava il rapporto tra la Dominante e la Terraferma e che conseguentemente confinava la Dalmazia e il Levante in una posizione semicoloniale. Da un paio di secoli le fortune materiali del patriziato abbiente riposavano soprattutto sulle campagne della Terraferma (21), ma il mare continuava ad attirare dei grandi investimenti ideali (nonché materiali, come avevano sottolineato le dispendiose campagne di Angelo Emo contro Tunisi), anche perché rimaneva lo schermo su cui si poteva proiettare il glorioso passato della Repubblica e sembrava garantire a tutto il corpo aristocratico un orizzonte comune.

Quest'ultimo era tanto più necessario in quanto all'interno del patriziato la contrapposizione tra i ricchi e i poveri (due classi certamente frutto della semplificazione di un contesto sociale a più strati, ma che appaiono in ogni caso significative ai fini di una ricostruzione della caduta della Repubblica) non rispecchiava soltanto, come è scontato, una disuguaglianza economica, ma, come ha recentemente dimostrato Volker Hunecke in un importante volume dedicato a Il patriziato veneziano alla fine della Repubblica 1646-1797.

Demografia, famiglia, ménage (22), era a sua volta matrice di altre disuguaglianze. Il divario tra le due componenti concerneva in effetti, oltre la proprietà, anche il potere politico, i livelli e gli stili di vita, il prestigio sociale, le strutture familiari, le pratiche matrimoniali, l'educazione dei figli e il rapporto con la casa e con lo Stato.

La polarizzazione era talmente marcata che non sembra eccessivo fare riferimento a due corpi aristocratici veneziani retti da sistemi ideologici che, se presupponevano - va da sé - uno zoccolo comune di storia e di tradizioni, di usi e costumi, di miti e di riti, erano per altri aspetti radicalmente distanti l'uno dall'altro. Mentre gli strati medi e superiori del patriziato da una parte concepivano il servizio dello Stato come una sorta di potlatch, che li costringeva a sacrificare sull'altare dei pubblici interessi il privato - dai beni alla famiglia e, fino a poche generazioni prima, alla stessa vita - e dall'altra ubbidivano di regola al cosiddetto "spirito di famiglia", una ῾ragione di casa' che prescriveva la conservazione ad ogni costo dell'unità familiare in modo da evitare una frantumazione del patrimonio, che ne avrebbe abbassato il livello di vita e soprattutto compromesso il rango politico e sociale, la ῾plebe' patrizia si aspettava invece dallo Stato che la impiegasse in reggimenti o in altri incarichi ῾di guadagno' o che le destinasse delle ῾provvidenze' per consentirle di tirare avanti alla meno peggio e, priva o quasi com'era di beni al sole e di regola anche di un'abitazione stabile, viveva alla giornata senza preoccuparsi dei destini di aggregati familiari di per se stessi assai instabili.

Alla vigilia della caduta della Repubblica i ῾poveri', l'῾altro' corpo aristocratico, occupavano più della metà, se non i due terzi delle panche del maggior consiglio. Anche se il rapporto di forze registrato in ambito demografico non si era affatto tradotto sul piano politico-istituzionale, non per questo la massa grigia dei patrizi più o meno miserabili poteva essere ignorata dal regime. Il consolidamento dello stato sociale aristocratico a beneficio dei ῾poveri' e il rispetto, da parte di questi ultimi, degli equilibri politici e costituzionali tradizionali apparivano alla maggioranza dei nobili veneziani strettamente connessi e correlati. L'immobilismo in politica internazionale era in larga misura il riflesso di un immobilismo imposto dalla situazione interna e che aveva favorito anche una burocratizzazione dello Stato-corpo aristocratico. La Venezia dei patrizi aveva smarrito da un paio di secoli la sua ragion d'essere mercantile senza peraltro riuscire a rimpiazzarla - se non in seno ad alcune delle grandi case del patriziato - con una compiuta ideologia proprietaria.

In ogni caso adoperando, oltre alla carota, anche il bastone, la frazione più ricca del patriziato non solo aveva conservato nelle sue mani il timone del regime, ma aveva addirittura consolidato le proprie posizioni in seno alla consulta dei savi, la versione veneziana del consiglio dei ministri, a spese del patriziato ῾mezzano', mentre la parte conservatrice di quest'ultimo aveva conquistato il pieno controllo del consiglio dei dieci e dell'inquisitorato di Stato. Nel 1780 questo assetto politico era stato definitivamente ibernato dalla sconfitta, che l'ala radicale del patriziato povero - ma anche, indirettamente, il ῾partito' delle riforme guidato da Andrea Tron - aveva subito da parte di un blocco conservatore sostenuto dai filoclericali e più che mai deciso a rimanere fedele alle "buone leggi" ereditate dai "maggiori".

Di qui l'avvento di un clima ottusamente conformista, che avrebbe indotto Gritti, uno dei pochi patrizi di orientamento illuminista, a definire la Repubblica un'"aristolidocrazia" (23). Di qui, ancora, un grottesco rilancio della mitologia tradizionale della Serenissima, ad un tempo sintomo della crisi della "fabbrica" statale e indice di una diffusa cecità nei confronti delle crepe denunciate da Nani e da molti altri osservatori. Quando era già in corso da tre anni la rivoluzione in Francia, un patrizio non avrebbe esitato a scrivere che "i principi, le direzioni e le politiche sapienti leggi" di Venezia, l'"affetto ingenuo dei sudditi verso il pubblico nome e la ben rassodata riputazione" internazionale dello Stato marciano congiuravano nell'"assicurar[ne] sempre più la durata" (24).

...
Come riconosceva un giovane patrizio veneziano in una dissertazione accademica, che aveva finto che fosse uscita dalla penna dei riformatori dello Studio di Padova, a ben vedere Venezia governava le province della Terraferma, sia pure utilizzando il guanto di velluto ῾repubblicano', come se fossero "poco meno che tante provincie suddite in uno Stato monarchico", vale a dire secondo un modulo ῾dispotico' - quello stesso che si era affermato, non soltanto a detta di Nani, in seno al governo e al patriziato della Dominante - che concedeva un'autonomia assai ridotta alle periferie e che in ogni caso non faceva leva sullo "spirito" - veneto o ῾nazionale' che fosse - vale a dire su legami politici sottesi da un'ideologia comune, ma riconosceva i suoi puntelli esclusivamente nelle "leggi" e nell'"interesse" (26), in un potere normativo e in comuni obbiettivi economici che i sudditi non erano in grado di contribuire a definire.

Il ventre molle del sistema di potere veneziano era la nobiltà della Terraferma, la quale, come avrebbe denunciato a posteriori l'ex patrizio Alessandro Balbi, "proscritta dai nazionali comizi, confinata a delle urbane mansioni, subalterna alle presidenze patrizie, dal di cui confronto sempre più campeggiava la sua degradazione, senza speranza di occupar una carica se non comprandola, costretta a mendicar presso una corte straniera la opportunità di far brillare dei talenti militari o civili, oppressa da gravezze scritte e non scritte, divorata dal desiderio di migliorare la sua sorte, calpestata da un ministero ignorante, da una ingorda finanza e sempre da un nuovo tirannetto, languiva nell'obbrobrio e nel disprezzo" (27). Una subalternità e una marginalità politiche che erano per di più aggravate in molte province dal manifesto predominio economico del patriziato veneziano, che non solo possedeva la maggior parte delle campagne, soprattutto quelle più fertili, della pianura padana, ma era anche proprietario, a Padova e in altri centri minori, di molti stabili urbani. Non era difficile prevedere che, nel caso in cui "la dolce influenza del Veneto governo" fosse stata neutralizzata dagli sviluppi della guerra, le tentazioni municipalistiche dei patriziati della Terraferma sarebbero ritornate alla ribalta.

Tra i fattori della "durata" della Repubblica elencati dai patrizi conservatori non figurava - e non era una dimenticanza casuale - una forza armata in grado di difendere lo Stato e di imporre la volontà della Dominante alle periferie recalcitranti. La questione militare o, meglio, quella della mancanza di un valido esercito (alquanto diversa la situazione sul mare, come aveva dimostrato, nonostante tutto, la guerra contro Tunisi) era da un paio di secoli il più evidente "tallone d'Achille" della Repubblica. L'esercito veneziano si limitava ad essere la sommatoria delle guarnigioni, che presidiavano distrattamente le fortezze dello Stato. La guerra di successione spagnola aveva dimostrato che non era di per se stesso in grado, ancorché accresciuto dalle cernide e da reggimenti levati per l'occasione, di evitare l'occupazione della Terraferma da parte degli eserciti delle grandi potenze europee (anche allora si era trattato di Francia e Impero): soltanto dopo cinque anni di guerra Venezia era riuscita a mettere in campagna un corpo di truppe con il compito di controllare dappresso quelle dei belligeranti.

Le riforme del secondo Settecento, prima fra tutte l'istituzione del Collegio militare di Verona, avevano senza dubbio favorito una relativa modernizzazione dell'esercito veneziano e una notevole qualificazione professionale di una parte ristretta dei quadri, come avrebbe testimoniato, tra l'altro, il rilevante contributo dato dagli ex militari veneti all'esercito cisalpino-italico (due ministri della guerra, sette generali, otto colonnelli, ecc.) (28), ma non lo avevano trasformato in un affidabile esercito ῾nazionale', anche perché i patrizi veneziani avevano continuato a rimanere esclusi dal corpo ufficiali e la maggioranza dei nobili della Terraferma con vocazione militare aveva preferito cercare un più gratificante impiego all'estero. Non stupisce quindi che fin dagli anni 1760 il futuro tenente generale (il grado più elevato nella gerarchia militare veneziana dopo quello, affidato sempre a stranieri, di comandante in capo) Alvise Frachia Magnanini predicesse: "tempo verrà, e non è molto lontano, che nell'abbandono delle fortezze e nello squallore dell'armata li generali della Repubblica in luogo di chiudere le porte e presentare un aspetto imponente ad esempio de' maggiori, non avran che far di meglio che di ricevere civilmente quel belligerante che per ragioni di guerra vorrà rendersene il primo padrone" (29).
...
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: La storia raccontata da Vittorio Selmo di Verona

Messaggioda Berto » ven mar 27, 2020 9:26 am

Da tempo, da molto tempo ho rinunciato all’idea che sia possibile una trasformazione/rettifica della forma mentale “italiana”.

Stato Veneto
9 febbraio 2019·

https://www.facebook.com/StatoVenetoPas ... 7806008491

La massima categoria della Natura è la diversità,
Le diverse mentalità = giudizi di valore, stratificatisi nei secoli alle diverse latitudini, marcano territori e confini delle affinità tra persone e tra popoli.
L’affinità è il presupposto della possibile convivenza ed aggregazione tra gruppi sociali.
In modo strano ed anzi illogico, ‘mentalità’ ed ‘affinità’ non sono mai state considerate categorie della Politica, anche se storicamente sono innegabili. Mentre è vero che la Politica, per evidenti finalità di interessata, ma nefasta centralizzazione del potere, dovunque ha coartato le esistenze umane nella soppressione delle loro diversità, che è quanto a dire forzare la vita nella omologazione innaturale delle unicità ed irripetibilità di ciascun essere umano e di ciascun popolo.
Quindi, in modo derivato, l’omologazione è servita di base per negare ad ognuno la giustizia, dando a tutti le stesse cose, anzichè dando il suo a ciascuno ed a ciascun popolo. Queste teoriche dell’egualitarismo e dell’omologazione degli esseri umani, appartengono in origine ai princìpi, a noi estranei, della rivoluzione della Francia (poi trasmesse nelle Italie), che invece aveva conosciuto fino in fondo, per secoli, la monarchia, la centralizzazione e l’assolutismo del potere politico.
La Francia reagiva contro la stessa idea di assolutismo del potere bensi ghigliottinando migliaia di teste, ma poi organava lo Stato, nonostante tutto, mantenendo il principio dell’assolutismo, solo illudendosi di mitigarlo ridistribuendolo, dall’unica persona del sovrano, in cui si concentrava, nelle tre funzioni legislativa, esecutiva e giudiziaria.
Ciô è tanto vero che tuttora detti poteri sono connotati di assolutismo, nonostante la forma repubblicana dello Stato francese e italiano.
Ma i Veneti non hanno mai conosciuto, in undici secoli, e non sono affatto eredi nè di monarchia, nè di centralizzazione di potere, nè di assolutismo, di cui anche oggi il Sistema dei Partiti è servo e mistificatore.
Nei Veneti ci sono stratificazioni storiche di secoli che sono di natura politica differente, che si è organizzata nel tempo contro ogni forma di assolutismo e di centralizzazione dei poteri dello Stato, organizzazione anche mentale, un autentico “stato mentale” che fa la differenza e che appartiene al nostro dna. Lo si vede pulsante anche nella nostra quotidianità.
Mentalità, cioè giudizi di valore; ed affinità, cioè condivisione nell’agire comune, per i Veneti hanno un significato particolare e distinto, difficilmente riscontrabile altrove e ancôr piû difficimente esportabile, perchè non si improvvisa niente.
Dunque facciamoci convinti di dover concentrare i nostri sforzi e le nostre volontà solamente verso l’autodeterminazione dei Territori Veneti, allo scopo di poter recuperare almeno le condizioni politiche minime, per vivere nella sovranità dei nostri Territori Veneti una vita libera e degna di essere vissuta.
Esplora @Stato Veneto




Alberto Pento

I veneti descritti e raccontati in questo post non esistono, non sono mai esistiti, sono pura mistificazione.
I veneti dei territori del Veneto (che durante l'Impero romano d'occidente faceva parte prima della X Regio e poi della provincia della Venetia et Histria), dopo la fine sell'Impero romano d'occidente hanno avuto storie diverse:
quelli terrestri sono stati per 900 anni sudditi dei regni germano italici dei goti e dei longobardi migrati e insediatisi in Italia, con i loro ducati; poi sudditi dell'Impero francocarolingio, poi del Sacro Romano Impero, poi hanno vissuto l'Età comunale con le sue libertà democratiche e repubblicane, le signorie cittadine e infine per 4 secoli sono stati sudditi della signoria Serenissima veneziana, poi arrivò Napoleone;
quelli marittimi della costa e delle lagune per secoli sono stati provincia e sudditi dell'Impero romano d'oriente con capitale Costantinopoli, parte dell'esarcato di Ravenna e il primo duca fu un funzionario militare bizantino;
Rivoalto divenne centro politico del Veneto bizantino molto tardi e i ducati lagunari per secoli furono signorie famigliari monarchiche; Rivoalto assunse il nome di Venezia intorno al 12°secolo quando il comune veneziano, divenuto libero comune dopo il mille in concomitanza ai comuni della terra ferma si rese autonomo e indipendente dal potere imperiale bizantino e si trasformò in signoria plurifamigliare e in repubblica aristocratica; poi Venezia divenne Serenissima e per 400 anni fu anche la signoria dei veneti e delle città venete di terra; infine arrivò Napoleone.
Non vi fu mai una storia unitaria, comune ed egualitaria.

Un'altra mistificazione demenziale contenuta in questo scritto è che i veneti terrestri e marittimi siano estranei e avversi per storia e natura alle idee, ai valori e agli istituti socio politici repubblicani e democratici;
i liberi comuni delle città venete (tra cui Rivoalto-Venezia) dimostrano il contrario, come dimostrano il contrario pensatori e uomini di cultura come:
il laico Marsilio da Padova e alla sua opera "Defensor pacis" del XIII° secolo, contenente elementi di democrazia
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 179&t=1641
e come Pietro D'Abano del XIV° secolo, veneto pavano non veneziano, martire della libertà
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 179&t=2332

Venezia poi fu centralista e assolutista, non promosse mai la sovranità federale dei veneti, anche se lasciò l'autonomia amministrativa ai territori da lei dominati e si tenne stretta egoisticamente, demenzialmente e acristianamente la sua signoria politica fino a ché non fu travolta e punita dalla storia.

Le idee di libertà, di indipendenza e di responsabilità e quindi di democrazia e di repubblica sono connaturate ai veneti, a tutti i veneti di terra e di mare con le loro diversità etnico-storico-culturali e linguistiche.
A me spaventano e fanno orrore le idee totalitarie e assolutiste dei dogmatismi/fideismi/utopismi religiosi e politici con le loro presuntuose e arroganti castualità e le loro innumerevoli e sistematiche falsità.





Maurizio Bedin
Gino Quarelo o Alberto Pento... Te continui a remar contro e no te tien conto soratuto del contesto storico, come te digo sempre. Garafati che zente studià cofà F. C. Lane, Norwich, H. Brown e anche el pí zovane D. Laven i parla de Commonwealth veneto, e ti te si sempre bastian contrario?


Gino Quarelo
A me interessa la realtà delle cose e dei fatti con la loro verità e null'altro, poi io ho imparato a ragionare con la mia testa e non con la testa degli altri e sopratutto uso la ragione e non il mito e il dogma.


Gino Quarelo
Non è esistito alcun commonwealth tra Venezia e i veneti dei territori veneti (del Veneto), i veneti delle città venete erano solo sudditi di Venezia non esisteva alcun federalismo nazionale veneto.
Non è esistito alcun commonwealth né come quello originario durante la rivoluzione inglese, né come quello costituitosi alla fine dell'Impero coloniale inglese con gli stati che ne facevano parte, dopo la loro indipendenza.

https://it.wikipedia.org/wiki/Commonwealth_of_England
https://it.wikipedia.org/wiki/Commonwea ... le_nazioni


Maurizio Bedin
Gino Quarelo ma va...
Te capissi solo queo ke te vol ti... Contesto storico? Carneade? Chi era costui?


Gino Quarelo
Contesto storico = realtà e non altro.
L'interpretazione che falsifica la storia non è la storia, non è la realtà storica e nemmeno il contesto storico ma una loro manipolazione/alterazione/mistificazione, un inganno.


Maurizio Bedin
Gino Quarelo ripeto... Va in m.... Chiaro? Spero che te lo gapi d... cofà la to testa.


Gino Quarelo
Argomenti, fatti, verità e no balle, insulti e parolàse.


Maurizio Bedin
Gino Quarelo insulti? Ma da doe viento?
Te go mandà solo doe ke te se... O gavarissito pí caro in italian.?



Gino Quarelo

Te continui a remar contro e no te tien conto soratuto del contesto storico
te si sempre bastian contrario
Te capissi solo queo ke te vol ti
Carneade
Va in m...
Spero che te lo gapi d... cofà la to testa

Mancano i fatti, mancano gli argomenti, manca il ragionamento, manca la coscienza, manca il pensiero, manca la maturità umana.

Andrea Davini
Gino Quarelo......allora sei un poliziotto o un carabbaniere? Dì la verità

Alberto Pento
Sicuramente non un demente come te.


Renato Moro
Renato Moro Uno de quei che va a trovar senza farse veda i CC


Andrea Davini
Alberto Pento...chi è che insulta? Toccato sul vivo anche tu?


Erica Scandian
Maurizio Bedin, questo è scritto nel profilo di "Gino Quarelo": "Se sei veneto e uomo libero e vuoi l'indipendenza del Veneto non puoi non amare gli ebrei e Israele." Mi dissocio completamente da questo pensiero. Evidentemente un troll...non c'è una foto e il nome è evidentemente inventato/falso.

Andrea Davini
Erica Scandian....infatti è da un po' che gli chiedo nei vari post, se è un poliziotto o un cabbaniere!


Alberto Pento
Io sono veneto vicentino indipendentista e lo sono a prescindere dalla storia Serenissima e anche senza Venezia.
Non intendo condividere alcuna fraternità veneta e alcun progetto politico indipendentista con veneti senza rispetto, invasati dal mito della Serenissima, antidemocratici, illiberali, teocratici e sopratutto antisemiti; io con questi veneti demenziali non ho nulla da spartire.
Chi non ama gli ebrei e Israele con me non potrà costruire alcunché e io non sarò mai suo fratello, anzi costoro per me sono nemici, nemici della libertà, del bene e della civiltà.

Amare e rispettare gli ebrei e Israele è una gioia, una necessità, un dovere, fondamento di umanità, di civiltà e di libertà
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 131&t=2785

Antisemiti veneti: comunisti, fascisti, venetisti, cristiani e nazisti maomettani
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 205&t=2690


Andrea Davini
Alberto Pento..adesso prenditi una camomilla


Maurizio Bedin
Andrea Davini e Erica Scandian avete acceso la miccia!!!! Toccato dove non vuole essere toccato né contrariato. Sei un assolutista, ma solo per te stesso. Ognuno ha il suo tallone d'Achille, la sua parte scoperta.
Io non ho nulla, a priori, contro gli ebrei. Pensa che ho avuto parecchi "amici" e conoscenti ebrei. Ho messo le virgolette perché i limiti a quell'amicizia, li mettono loro. Tutto ok, basta che NON contesti loro alcune cose. Per lavoro ne ho conosciuti a centinaia. Mio parere personale: meglio i chassidin che gli "evoluti" sionisti. Infatti, si odiano fraternamente tra loro.



Alberto Pento

Maurizio Bedin ha scritto:
Andrea Davini e Erica Scandian avete acceso la miccia!!!! Toccato dove non vuole essere toccato né contrariato. Sei un assolutista, ma solo per te stesso. Ognuno ha il suo tallone d'Achille, la sua parte scoperta.
Io non ho nulla, a priori, contro gli ebrei. Pensa che ho avuto parecchi "amici" e conoscenti ebrei. Ho messo le virgolette perché i limiti a quell'amicizia, li mettono loro. Tutto ok, basta che NON contesti loro alcune cose. Per lavoro ne ho conosciuti a centinaia. Mio parere personale: meglio i chassidin che gli "evoluti" sionisti. Infatti, si odiano fraternamente tra loro.

Alberto Pento scrive:
Tu Maurizio Bedin sei un essere infido e viscido un antisemita mascherato, una vergogna veneta.
Io sono un ex cristiano, divenuto aidolo (non ateo ma un credente naturale senza religione) e nel mio percorso di liberazione dall'idolatria cristiana ho scoperto la semplice verità che Gesù Cristo era un ebreo un pò fanatico esaltato e presuntuoso, vissuto e morto da ebreo ucciso dai romani e poi ho scoperto che gli ebrei sono stati demonizzati, discriminati e sterminati prima dai romani e poi dai romani cristiani che sono un'eresia dell'ebraismo;
ho anche scoperto che gli ebrei sono tra i religiosi meno idolatri e i più laici a parte gli ultra ortodossi e che sono tra i popoli più civili e umani della terra, non per nulla Gesù Cristo divinizzato e adorato dai cristiani era un ebreo.
Io da aidolo non ho bisogno di alcuna religione, di alcuna fede religiosa, tanto meno di quella ebraica, però ho imparato ad apprezzare e ad amare gli ebrei e Israele che a me come essere umano e come veneto non veneziano non hanno mai fatto del male; e misuro il grado di civiltà e di umanità degli esseri umani dal loro apprezzamento o dal loro disprezzo e odio per gli ebrei e per la loro terra che è Israele, come la terra dei veneti è il Veneto.



Maurizio Bedin
Alberto Pento caro Pento, ti ringrazio delle attestazioni di stima nei miei confronti, ma come è evidente, leggi e capisci (?), ciò che vuoi o che più ti aggrada. Ah...un consiglio. Non occorre mi riporti quanto ti ho esposto : sono stato io ad indirizzarlo a te. E rileggo ciò che scrivo. Le tue "scoperte" sono lapalissiane. Gesù era ebreo. Vero. E dagli stessi ebrei è stato mandato alla crocifissione. Quindi?
Io antisemita? Ti ho detto che ho avuto molti amici ebrei. Di ogni casta o livello religioso. Tutti con le loro peculiarità. Ma anche agli amici, come alle mogli e figli, gli si vuol bene per quel che sono. Pregi e difetti.
Detto questo, dato che accusi noi di stolto assolutismo, non è che con il tuo intervento tu faccia diversamente.
Come vedi, se non sproloqui a mitraglia, sono anch'io una persona normale.
Scusami l'arroganza.

Alberto Pento
Sono stati i romani a mandare alla crocifissione e a crocifiggere l'ebreo Cristo. La crocifissione era una uccisione romana, gli ebrei avevano la lapidazione.
Gli ebrei hanno soltanto accusato giustamente Cristo di balsfemia perché si dicharava il messia e lo hanno arrestato e messo sotto processo. I romani lo hanno processato e condannato non per blasfemia ma per lesa mestà dell'Imperatore romano in quanto si dichiarava re dei Giudei indipendentemente dalla volontà dell'imperatore romano a cui spettava nominare il re dei giudei e di tutti gli altri popoli sudditi di Roma.


Maurizio Bedin
Vedi che sei un assolutista?
Ponzio Pilato, romano ed antipatico anche solo per questo, si è lavato le mani dopo aver proposto la grazia, ed ha lasciato la decisione al popolo ebraico...ed hanno graziato Barabba. Almeno questo...


Alberto Pento
Il popolo ebraico della piazza di Gerusalemme ha solo scelto chi salvare in occasione della Pasqua ebraica tra il patriota Barabba o il fanatico e blasfemo Gesù Cristo, ma a condannare e ad eseguire la sentenza sono stati i romani.


Maurizio Bedin
Ripeto la mia convinzione : sei in assolutista. E solo pro domo tua.... da bravo assolutista!


Erica Scandian
Alberto Pento Cristo era un esseno, un ribelle al sistema, una grande anima...se rinascesse ora il sistema lo ammazzerebbe di nuovo. Nulla è cambiato nella coscienza di chi comanda davvero il mondo, ma per fortuna molte coscienze degli oppressi si stanno risvegliando. Namastè

Andrea Davini
Alberto Pento....e ti te si un Barabba o un Gesù?

Gian Claudio Libralon
Alberto Pento mi ogni volta che penso al Cristo quando che el ga cacià chei serpenti progenie de vipare sacerdoti ebrei dal tenpio penso che el ga fato pi che ben



Alberto Pento
L'ebreo Gesù Cristo, divinizzato e adorato dai cristiani, eretico e blasfemo per gli "ebrei ortodossi o normali", condannato e ucciso dagli invasori romani, è un personaggio storico, letterario e religioso molto complesso e pieno di contraddizioni.
I cristiani che lo adorano come dio, lo considerano come uomo un buon esempio e un maestro di vita, io invece che non sono più cristiano essendo divenuto aidolo, lo considero un esaltato presuntuoso e bugiardo: il solo ritenersi messia e figlio di Dio/Dio è una presunzione idolatra demenziale, non parliamo poi dei suoi miracolismi, della sua credenza nell'aldilà a danno dell'aldiquà e della sua avversione per la ricchezza (e per il lavoro santo e buono che la produce, poiché non sono i miracoli che aiutano l'umanità ma il quotidiano e santo lavoro dell'uomo di buona volontà).
La cacciata dei mercanti dal tempio pare una gran bella cosa ma in realtà non lo è, sia alla luce del fanatismo miracolistico di Gesù, sia in relazione alla tradizione cristiana dei miracoli, delle preghiere e della fede che farebbero miracoli, del culto dei santi, delle madonne, delle reliquie nei santuari sempre in relazione ai miracoli, sia in relazione alla vendita delle indulgenze per ridurre le pene del purgatorio, sia in relazione alla estorsione dell'8xmille attraverso la costrizione fiscale dello stato, sia in rapporto al ricatto del cattolicesimo Bergogliano sull'obbligo cristiano all'accoglienza dei clandestini, dei nazi maomettani e di tutti i cosidetti e presunti ultimi della terra.
Si consideri che in tutto in mondo antico le piazze e i cortili del tempio o prossime al tempio sono sempre state luoghi d'incontro oltre che religioso anche politico e commerciale, fin dalle ziqqurat mesopotamiche (e anche presso i templi venetici dove si facevano offerte alle divinità e libagioni), perciò è del tutto naturale che anche nel cortile del tempio ebraico di Gerusalemme si vendessero animali, ortaggi, bibite (vino) e si cambiassero valute per fare offerte cotte o crude o in denaro alla divinità, sono tradizioni universali ancora in uso ovunque sulla terra anche presso i cristiani.
Il fanatico Gesù (come già fatto da Neemia qualche secolo prima di lui) ha demenzialmente presunto di sostituire tutto ciò con le preghiere e la fede nei miracoli, però non credo che sia stato un buon affare per nessuno, anche perché Dio non fa miracoli, non è un capriccioso monarca che concede privilegi a chi vuole lui per simpatia o perché ha più fede e fervore.
I miracoli li fa solo l'uomo di buona voltà con il suo lavoro di ricerca, di fatica, di impegno, migliorando l'esistenza sua, della sua famiglia, della sua comunità e dell'umanità intera, oppure sviluppando un coscienza limpida della realtà con l'accettazione convinta della propria sorte quando non vi sono alternative e dei propri limiti e possibilità.

Usare questo episodio dei mercanti per dare contro agli ebrei è tipico degli idolatri cristiani antisemiti e antisraeliani (che è la forma moderna dell'antisemitismo) dimenticando che le chiese cristiane sono piene di mercanti (offerte dirette, buste varie e 8xmille, stipendi ai preti che insegnano religione, servizi scolastici e altro gestiti dal clero, ecc.) e che i sacerdoti cristiani per certi versi sono sicuramente peggiori dei sacerdoti giudaici, si pensi alla pedofilia indotta dal voto di castità che costituisce un pretesto e una copertura per molti omosessuali che si facevano e si fanno preti.


Alberto Pento
Vi è tra di voi, qualcuno che può testimoniare fatti precisi, in cui qualche ebreo gli avrebbe fatto del male o che lo avrebbe fatto alla sua famiglia o alle genti venete?
Io non ho memoria che qualche ebreo mi abbia fatto del male o lo abbia fatto alla mia famiglia o alle genti venete.


Maurizio Bedin
Alberto Pento una leggenda di famiglia diceva che noi eravamo discendenti di marrani spagnoli fuggiti dall'inquisizione... Ciò mon mi fa ne caldo né freddo. Cerco di capire ciò che è giusto o sbagliato. Come vedi anch'io sono per i, giusti, cambiamenti. Quindi, basta con questa sterile presa di posizione. L'argomento è un altro. E lo stiamo dibattendo da in bel po'... Non evitarlo..




Alberto Pento

Maurizio Bedin ha scritto:
Alberto Pento una leggenda di famiglia diceva che noi eravamo discendenti di marrani spagnoli fuggiti dall'inquisizione... Ciò mon mi fa ne caldo né freddo. Cerco di capire ciò che è giusto o sbagliato. Come vedi anch'io sono per i, giusti, cambiamenti. Quindi, basta con questa sterile presa di posizione. L'argomento è un altro. E lo stiamo dibattendo da in bel po'... Non evitarlo..

Però prima aveva scritto:
Andrea Davini e Erica Scandian avete acceso la miccia!!!! Toccato dove non vuole essere toccato né contrariato. Sei un assolutista, ma solo per te stesso. Ognuno ha il suo tallone d'Achille, la sua parte scoperta.
Io non ho nulla, a priori, contro gli ebrei. Pensa che ho avuto parecchi "amici" e conoscenti ebrei. Ho messo le virgolette perché i limiti a quell'amicizia, li mettono loro. Tutto ok, basta che NON contesti loro alcune cose. Per lavoro ne ho conosciuti a centinaia. Mio parere personale: meglio i chassidin che gli "evoluti" sionisti. Infatti, si odiano fraternamente tra loro.

Erica Scandian
Maurizio Bedin, questo è scritto nel profilo di "Gino Quarelo": "Se sei veneto e uomo libero e vuoi l'indipendenza del Veneto non puoi non amare gli ebrei e Israele." Mi dissocio completamente da questo pensiero. Evidentemente un troll...non c'è una foto e il nome è evidentemente inventato/falso.

Maurizio Bedin
Alberto Pento caro Pento, ti ringrazio delle attestazioni di stima nei miei confronti, ma come è evidente, leggi e capisci (?), ciò che vuoi o che più ti aggrada. Ah...un consiglio. Non occorre mi riporti quanto ti ho esposto : sono stato io ad indirizzarlo a te. E rileggo ciò che scrivo. Le tue "scoperte" sono lapalissiane. Gesù era ebreo. Vero. E dagli stessi ebrei è stato mandato alla crocifissione. Quindi?
Io antisemita? Ti ho detto che ho avuto molti amici ebrei. Di ogni casta o livello religioso. Tutti con le loro peculiarità. Ma anche agli amici, come alle mogli e figli, gli si vuol bene per quel che sono. Pregi e difetti.
Detto questo, dato che accusi noi di stolto assolutismo, non è che con il tuo intervento tu faccia diversamente.
Come vedi, se non sproloqui a mitraglia, sono anch'io una persona normale.
Scusami l'arroganza.

Alberto Pento scrive:
mi pare che tu Maurizio Bedin
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: La storia raccontata da Vittorio Selmo di Verona

Messaggioda Berto » ven mar 27, 2020 9:26 am

Il presidente dello Stato veneto: "Ecco, questo è il mio passaporto"
Stefano Lorenzetto - Dom, 01/11/2009

http://www.ilgiornale.it/news/president ... porto.html

Vittorio Selmo: "Lo rilascio anche agli extracomunitari, purché residenti qui da 5 anni.
Col monitoraggio fiscale i servizi segreti hanno in mano le nostre

Avendo la certezza che i figli prendano sempre dai padri, secondo l’aurea regola latina del qualis pater talis filius, per i veneti sarebbe un vero affare affidare le finanze pubbliche all’avvocato Vittorio Selmo, eletto per acclamazione dai suoi sostenitori presidente dello Stato veneto, quello che verrà sull’esempio di quello che fu. Pare infatti che l’avvocato Luigi Selmo (1907-1969) al momento di abbandonare, nel 1962, la presidenza degli Istituti ospitalieri di Verona abbia lasciato in cassa 6 milioni di lire, ciò che fece dell’ospedale scaligero l’unico nosocomio d’Italia in attivo.

Tanto che il Consiglio comunale, a 40 anni dalla morte, qualche sera fa ha deciso - 37 voti su 37 presenti, destra, centro, sinistra, e persino estrema sinistra, per una volta concordi - d’intitolargli quello che fino a oggi s’è chiamato Ospedale maggiore di Borgo Trento.
Il modo in cui Selmo padre riuscì a ottenere l’attivo giustifica una digressione di Selmo figlio: «Nel 1958 il democristiano Giuseppe Togni, ministro dei Lavori pubblici, si apprestava a licenziare il famoso Testo unico sulla circolazione stradale e voleva a tutti i costi che passasse alla storia come codice Togni. Papà venne a sapere di questa piccola vanità e chiese al suo concittadino e compagno di studi Guido Gonella, ministro di Grazia e giustizia, che doveva dire l’ultima parola sulla bizzarra pretesa, di non firmare il relativo decreto se prima Togni non avesse erogato i soldi per costruire il nuovo ospedale geriatrico di Verona, dal cui progetto sarebbe nato in seguito anche l’attuale Policlinico di Borgo Roma. Così avvenne. Il ministro dei Lavori pubblici scucì e Verona non spese una lira». Come se non bastasse, il presidente degli Istituti ospitalieri pretese che delle condutture per acqua, elettricità, gas, ossigeno e riscaldamento si occupassero i progettisti delle navi, allenati a economizzare nei volumi delle opere.
Tutti nati per l’architettura muraria e istituzionale, i Selmo. Da Paolo, che fece costruire i muraglioni di contenimento dell’Adige dopo la disastrosa inondazione del 1882, a Giacomo, che fu primo presidente della Corte d’appello di Torino e consigliere di Cassazione, fino a Luigi, che era stato anche penalista per 40 anni, presidente dell’Ente comunale assistenza quando nel dopoguerra le famiglie morivano di fame, artefice della prima casa di riposo per anziani, assessore ma soprattutto enunciatore delle «tre leggi fondamentali della politica come scienza».
Se dunque Vittorio, 63 anni, civilista, tre figli di cui una chirurga laureatasi in medicina sotto le bombe all’università americana di Beirut, ha oggi deciso di rifondare lo Stato veneto, di dichiararlo «libero, indipendente e sovrano», di dotare i suoi seguaci (mezzo migliaio solo a Verona) di un passaporto veneto, di immaginare un partito che non sia un partito e che si assuma l’immane compito di cancellare i partiti romani, si presume che lo abbia fatto solo per assecondare la politica come scienza, questa vocazione di famiglia dei Selmo, un po’ giuristi e un po’ filosofi, un po’ politici e un po’ edili, un po’ realisti e un po’ sognatori.
Mi conferma che ha preso da suo padre?
«Lo spero. Era un antifascista, dirigente dell’Azione cattolica. Fu arrestato dalle Brigate nere. Riuscì a fuggire dal carcere degli Scalzi, quello dove furono detenuti Galeazzo Ciano e gli altri condannati del processo di Verona. Ciò nonostante, dopo la guerra, andava nei tribunali militari a difendere i fascisti. Si rifiutò di assisterne solo uno, il quale per un’intera notte era rimasto acquattato nell’acqua di un fosso in attesa che si accendesse una luce nella casa di un’anziana ebrea, fatta poi deportare dai nazisti. In piena dittatura fondò il Movimento liberi lavoratori e nel 1946 il quindicinale Civiltà, sul quale le migliori menti pensanti approfondivano lo studio del concetto di Stato».
Che lei ha continuato passando dallo Stato italiano allo Stato veneto.
«Un’alternativa alla repubblica dei partiti, da ottenersi per vie legali e pacifiche in base al diritto dei popoli all’autodeterminazione. Puntiamo a un referendum sotto il controllo dell’Osce, l’Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione in Europa».
Ha detto niente.
«Guardi che questo tipo di referendum s’è già svolto in ben 12 Stati. La prossima nazione sarà la Scozia. Non ho bisogno di parlare con Roma: vado direttamente alla Ue. La Groenlandia ha approvato l’indipendenza dalla Danimarca giusto un anno fa e nel giugno scorso il parlamento di Copenhagen è stato costretto a ratificarla. E stiamo parlando di 57.000 abitanti. I veneti sono quasi 5 milioni».
Intanto s’è fatto il passaporto.
«Un documento tipo bancomat, che riporta la foto e i dati anagrafici. Serve a confermare l’identità veneta del titolare».
Come la cresima.
«’Na roba del genere. La vera democrazia consiste nel rispetto delle differenze, non nell’omologazione».
Finora chi l’ha chiesto?
«Elettori di tutti gli orientamenti, tranne rifondaroli e dipietristi. Per averlo basta essere nati nel Veneto oppure risiedervi da almeno cinque anni. Quindi diamo il passaporto anche ai marocchini o ai cinesi, purché abitino qui. Non abbiamo preclusioni».
Vedo però che il passaporto, sopra il leone di San Marco, riporta la dicitura «Unione europea» in 12 lingue. Un veneto vero se ne strafotte del Parlamento di Strasburgo e parla solo in dialetto.
«Siamo europeisti e non abbiamo intenti provocatori. Semmai persuasivi».
Volete ripristinare le buche delle denunzie secrete, come nella Serenissima?
«Segrete ma non anonime. Per essere prese in considerazione dai magistrati, le denunce dovevano recare la firma di due persone. Questa era la civiltà della Repubblica veneta. Quella della Repubblica italiana qual è? Retribuire i pentiti e chiamarli collaboratori di giustizia, dopo che hanno sciolto nell’acido i bambini e ammazzato un centinaio di persone, come Giovanni Brusca».
I veneti che c’entrano con la Padania?
«Nulla».
Se Umberto Bossi fa la Padania, addio Stato veneto.
«Secondo me non vuol proprio farla. Mica può sputare nel piatto romano dove anche lui mangia. È stato due volte ministro delle Riforme e che cos’ha riformato? Nemmeno una proposta d’indipendenza è riuscito a presentare. Parlano tanto di federalismo fiscale, che Dio solo sa cos’è. Ma qui non si tratta di dare più potere alle regioni, bensì di avere noi il potere di decidere. Su tutto. Oggi invece non possiamo decidere su niente, dobbiamo prima passare dal governo centrale».
Nel vostro sito Statoveneto.com ve la prendete col «monitoraggio fiscale». Non volete più pagare le tasse?
«Ce la prendiamo con l’uso distorto dei dati fiscali, con un’anagrafe telematica delle Finanze alla quale possono attingere tutti i servizi segreti, Cisr, Dis, Aise, Aisi. Di fatto una dittatura informatica. Hanno in mano le nostre vite e di loro non sappiamo nulla».
Perché volete abolire i partiti?
«Perché hanno esaurito la loro funzione storica, oggi non sono più in grado d’interpretare la vita delle persone. I partiti, per definizione, curano gli interessi di parte, ai quali noi contrapponiamo la cura dei valori».
Vale a dire?
«L’articolo 1 della Costituzione veneta proclama che il Veneto è fondato sulla qualità della vita. Non sul lavoro. La vita non può ridursi a moneta. La Costituzione italiana, nata per reazione alla dittatura, aveva come unico scopo quello d’impedire il risorgere di un despota, era protesa a evitare l’assolutismo del re con lo spezzettamento dei poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario».
E a lei invece piace il doge.
«Ma il doge non aveva poteri effettivi, almeno in tempo di pace. Solo di rappresentanza. A Marin Faliero, l’unico che tentò di accentrarli nelle proprie mani, tagliarono la testa e ancor oggi nel Palazzo Ducale di Venezia, nella Sala del Maggior Consiglio, un drappo nero copre il suo volto. In Italia tutti vogliono “farsi principi”, scrive Niccolò Machiavelli nelle Istorie Fiorentine. Nella Repubblica veneta questo non è mai stato possibile».
Crede anche lei che alla presidenza della Regione Veneto sarà candidato un leghista oppure Giancarlo Galan ha ancora qualche chance?
«Dipende da variabili che non originano dal nostro territorio. Se solo Galan avesse puntato su chi vuole il Veneto libero e sovrano... Un recente sondaggio del Gazzettino dimostra che il 10% dei veneti chiede l’indipendenza e non l’autonomia».
Ma che interesse ha Bossi a crearsi un contraltare sul fronte orientale?
«La trincea del federalismo è qua. Non dimentichiamo che Bossi viene dal Pci, non è un originario. E s’è comprato il simbolo della prima Liga veneta offrendo un posto di sottosegretario a Franco Rocchetta».
Lei come lo sa?
«Ero fra i promotori della Liga veneta. Alle politiche del 1983 eleggemmo un deputato e un senatore spendendo appena 8 milioni di lire in manifesti». (Tira fuori alcune foto che lo ritraggono nel 1980 con Rocchetta e altri leghisti della prima ora sui Colli Euganei: è riconoscibile Luigi Faccia, che fu processato come ideologo dell’assalto al campanile di San Marco e sedicente presidente del Veneto Serenissimo Governo). «Il leone di San Marco che Bossi ha messo sullo scudo di Alberto da Giussano è quello di guerra, col libro chiuso e la spada sguainata, mentre nel simbolo dello Stato veneto ha il Vangelo aperto con la scritta Pax tibi».
Del gesto dei serenissimi che pensò?
«Una scelta molto originale. Avevo perso di vista Faccia da parecchi anni».
Crede anche lei, come mi disse Rocchetta dieci anni fa, che i fratelli Zen, veneti, avessero scoperto l’America un secolo prima di Cristoforo Colombo?
«Non ho riscontri».
E che il Renzo Tramaglino dei Promessi Sposi fosse «un extracomunitario proveniente dalla Lombardia spagnola, che non manteneva certo buoni rapporti con la Repubblica di San Marco, eppure l’abbiamo accolto come un figlio»?
«Qui andiamo sul goliardico».
Volete istituire l’insegnamento della lingua veneta nelle scuole?
«Sì. Il 75% dei veneti parla veneto, l’ha scritto La Stampa. Come diceva Giacomo Leopardi, i dialetti rappresentano la ricchezza della lingua italiana. La lengoa veneta è tale proprio perché al proprio interno ha i dialetti. Il veronese è diverso dal vicentino e il padovano dal rodigino. Qui ha ragione Rocchetta quando sostiene che il veneto va considerato una lingua per la sua capacità di tradurre i neologismi: il mouse del computer che diventa croto, cioè rospo; l’elicottero, sitòn, cioè libellula; il fax, damò, cioè da adesso, per esprimere immediatezza».
Quali sono i confini dello Stato veneto?
«Quelli del 1797, quando fu soppresso».
Fino alle Bocche di Cattaro? La vedo dura. Oggi è Macedonia.
«Adattati, logico. Diciamo Veneto, Friuli Venezia Giulia, a Nord fino a Rovereto, sulle cui porte c’è ancora il leone di San Marco, e a Ovest fino all’Adda e a Crema».
Per Rocchetta i confini veneti passano per Cipro, Terra Santa, Caucaso, e arrivano fino all’iraniana Tabriz, dove la lingua dei commerci è ancor oggi un ibrido veneto. Insomma, da Bergamo al Mar Caspio.
«Sarebbe folle voler prescindere dagli eventi storici degli ultimi due secoli e dal diritto internazionale».
Se ora le nomino Napoleone, lei che fa?
«Eviti. L’affossatore, nel 1797, della Serenissima Repubblica. Un predone di opere d’arte. Un violentatore che bruciava i simboli delle città: il Bucintoro a Venezia, il carroccio della Lega custodito da secoli nella basilica di San Zeno a Verona. L’iconoclasta che fece scalpellare via da tutti i palazzi il leone di San Marco, davanti al quale, almeno, gli Austriaci si fermarono. Ma la soldataglia francese, fatta di atei, illuministi e massoni, no. Quella di Napoleone è stata la prima guerra al mondo combattuta allo scopo d’imporre un’ideologia. C’è riuscito, due secoli dopo, solo George Bush in Irak. E infatti a Bagdad gli americani hanno saccheggiato e distrutto il Museo nazionale iracheno che racchiudeva 6.000 anni di storia».
Perché i veneti ieri venivano considerati un popolo di ubriaconi, servette di facili costumi, analfabeti, baciapile e oggi di arricchiti, razzisti, sfruttatori di clandestini?
«La prima serie di pregiudizi scaturisce dalla miseria in cui ci precipitarono i Savoia dal 1866 in poi, con l’annessione all’Italia, che costrinse 5 milioni di veneti a emigrare all’estero; la seconda dall’invidia degli italiani verso un popolo che ha saputo risollevarsi con la sola forza della propria dignità. Che quello veneto è un popolo sta scritto nello statuto della Regione, all’articolo 2. Nessun’altra comunità di persone in Italia viene definita “popolo” in una legge, a parte i sardi. Faccia caso: i movimenti politici autonomistici proliferano solo qui. Non è un fenomeno negativo, ma l’espressione di un sentimento innato. Per 1.158 anni i nostri antenati hanno vissuto in una nazione indipendente. Vogliamo tornare a essere Stato veneto e l’espediente più dozzinale per impedircelo è deriderci, diffamarci, etichettarci. Ma è come se ci rilasciassero un attestato d’identità: quella che altri non hanno più».
(472. Continua)
stefano.lorenzetto@ilgiornale.it
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Re: La storia raccontata da Vittorio Selmo di Verona

Messaggioda Berto » ven mar 27, 2020 9:32 am

Roberto Agirmo ha condiviso un link.
23 settembre 2019

Orbene:

Il sistema fiscale italiano è vessatore opprimente e gestito come "POTERE DI REGIME"

Lo Stato essendo però debole e flaccido opprime prevalentemente il "Medio Piccolo" contribuente, mentre si fa corrompere economicamente e moralmente dalla grande industria.

Lo stato SRPECA RISORSE ben più di quanto non sia la somma delle evasioni fiscali!

Domandiamoci perchè anche questo governo abbia lanciato la solita campagna di Lotta all'evasione!

Perchè; lo stato per sopravvivere nella sua immonda burocrazia deve rubare.

C'E' UN PERO': Lo stato "Siamo Noi" e molti di noi, molti cittadini sono COMPLICI in queste ruberie e con la loro COMPLICITA' impediscono i cambiamenti per mantenere le loro effimere posizioni di "privilegio".

Bisogna CAMBIARE il sistema di Gestione dello Stato, Bisogna che la Gente abbia il coraggio di svoltare, Patto per l'Autonomia Veneto, assieme a molti altri movimenti di TUTTA la penisola sta cercando di creare i presupposti per questo cambiamento........ aiutateci!

Per informazioni: info@pattoautonomiaveneto.eu

https://www.facebook.com/groups/2376236 ... 0558085020




Evasione fiscale? No, l'emergenza nazionale dell'Italia sono i 200 miliardi di sprechi all'anno
Giuseppe Timpone
17 Settembre 2019

https://www.investireoggi.it/economia/e ... btlcf-zP64


Sono settimane di proposte febbrili nell’ambito della nuova maggioranza di governo, retta in Parlamento da Movimento 5 Stelle e PD. Entro metà ottobre bisogna inviare alla Commissione europea la legge di Stabilità per il 2020 e s’infittiscono le voci su possibili nuove tasse, nonostante i “giallorossi” abbiano giustificato l’inedita alleanza con la volontà di impedire gli aumenti dell’IVA.

Invece, si parla di tassare merende, bibite gassate, biglietti degli aerei, i prelievi al bancomat sopra i 1.500 euro mensili (proposta di Confindustria) e di stangare dal 10% al 23% i pagamenti in contanti per alberghi, ristoranti e lavori domestici.

Aumenti IVA su alberghi e ristoranti a carico dei consumatori più deboli: proposta 5 Stelle

Servono soldi, lo stato deve fare cassa per fare quadrare i conti pubblici e puntualmente stampa e politica puntano il dito contro i contribuenti infedeli, che alimentano quella vasta area di economia sommersa, privando le casse di qualcosa come 100-110 miliardi di euro all’anno di gettito. L’evasione fiscale sarebbe il primo male dell’Italia, il male assoluto da combattere per risolvere tutti i nostri problemi. Peccato che sia falso.
Gli sprechi dello stato ci costano 200 miliardi all’anno

Uno studio pubblicato in questi giorni dalla Cgia di Mestre pone l’accento, al contrario, sulle grosse inefficienze della Pubblica Amministrazione e che peserebbero per ben 200 miliardi di euro all’anno, il doppio del dato sull’evasione. Per quanto i numeri, si legge, non godano di “rigore scientifico”, il quadro che ne emerge resta allarmante. La sola burocrazia sprecherebbe 57 miliardi, altri 53 arrivano dalla voce “debiti commerciali della P.A.”, le infrastrutture pesano per 40, la giustizia per altri 40, la spesa pubblica per 24, la sanità per 23,5 e il trasporto pubblico locale per 12,5. Non esiste stato senza inefficienze, ma certo che questi numeri ci pongono di fronte a un vero colabrodo amministrativo, che depreda i contribuenti italiani e deprime la nostra economia.

Se anche solo dimezzassimo tali sprechi, ci sarebbero a disposizione 100 miliardi di euro in più, sufficienti a tendere al pareggio di bilancio e a introdurre la “flat tax” al 15% nella versione più estesa e costosa sinora teorizzata (quasi 60 miliardi).

E se li eliminassimo del tutto, avremmo anche la possibilità di azzerare l’IRAP, dimezzare le accise, le imposte sugli immobili e l’IRES. E resterebbe ancora qualche spicciolo. Non solo: i governi avrebbero l’autorevolezza morale di combattere gli evasori fiscali e da questo canale arriverebbe gettito extra per eventualmente sostenere una spesa pubblica di maggiore qualità (ad esempio, più investimenti e meno sussidi a pioggia). Senza considerare gli effetti espansivi sull’economia derivanti da questi tagli alle imposte.

Tasse alte, non evasione fiscale vera emergenza nazionale dell’Italia

Esistono varie forme/cause di evasione fiscale. C’è quella di necessità, che si annida tra le piccole e micro-imprese, dettata dal bisogno: l’imprenditore non dichiara quanto fattura e il lavoratore nasconde il reddito percepito, altrimenti il primo non avrebbe come pagare le tasse e chiuderebbe battenti e il secondo non arriverebbe a fine mese. C’è chi evade indispettito dalle alte aliquote e che si ritiene in diritto di ritagliarsi un reddito maggiore di quello che le norme fiscali gli consentirebbero di trattenere, notando sprechi e inefficienze pubbliche. Infine, c’è l’evasione come “forma mentis”, cioè di quanti potrebbero pagare il dovuto, non sono interessati a disquisizioni sul rapporto tra efficienza pubblica e carico fiscale, ma si mostrano semplicemente allergici alle regole.
Come combattere davvero l’evasione fiscale

Ora, l’evasione fiscale è sempre sbagliata sul piano del diritto, ma su quello economico la si combatte su due fronti: ampliando l’area del benessere, così da fare emergere dallo stato di bisogno quanti più attori possibili; abbassando le imposte per disincentivare le dichiarazioni infedeli e ampliare la base imponibile, sostenendo i redditi, gli investimenti, la produzione e i consumi. A questo proposito, qualcuno dia un’occhiata alla Curva di Laffer.

Credibilmente, nessun governo sarebbe in grado di azzerare gli sprechi, non certo nell’immediato. A questa voce, infatti, fanno riferimento politiche clientelari, sotto sotto sostenute da tutti i partiti politici per raccattare consensi sui territori, così come anche precise scelte, come quelle di sostenere imprese in perdita (vedi il trasporto pubblico locale), a beneficio del consumatore/utente.

Gli sprechi della sanità, ad esempio, altro non sono che la dimostrazione di come una gestione in mano a manager nominati dalla politica produca costi eccessivi e spesso servizi carenti. E il sud figura in testa alle classifiche proprio per gli uni e gli altri. Dunque, meno che mai è accettabile che una classe politica così spendacciona e sprecona si arroghi il diritto di mettere ancora una volta le mani nelle tasche dei contribuenti per alimentare quel Leviatano, che non ha fatto che crescere anche negli anni di vacche magrissime.

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Stato Veneto @Stato Veneto Passaporto
ha lo scopo della libertà, sovranità e indipendenza del Popolo Veneto e dell'autodeterminazione politica dei Territori Veneti

- considerata la democrazia veneta non quale omologazione, nè egualitarismo indistinto, bensi quale rispetto, protezione e garanzia delle differenti esistenze umane; e che lo Stato è da fondarsi sull'ordine integrale della vita, di cui il lavoro e l'economia fanno parte ma non l'esauriscono; e nel quale vengono alla pari promossi ed attuati tutti i valori anche di socialità che appartengono all'essere umano, tenuto conto dell'Uomo e della sua vita in un dato luogo e nel suo tempo; della diversità e della irripetibilità di ciascuno e di ogni specifica Comunità;
- considerata l'indilazionabile urgenza di cambiamento integrale del Sistema Politico;
- considerata la necessità di eliminazione del Sistema dei Partiti, superato dalla Storia, oligarchico, individualista, agnostico, massonico e corrotto; definitivamente esaurito ed incapace di ideazioni; preordinato ad interessi solo particolari; attuativo della sistematica rapina delle fatiche e delle economie del Popolo;
- considerato giusto e doveroso il riconoscimento della sovranità popolare da esercitare con Democrazia Diretta nelle singole e specifiche Comunità, Municipi e Territori veneti, in conformità alla nostra millenaria tradizione politica di poliarchia, indipendente ed integrata nello Stato Veneto;
- considerato che i distinti Territori, intanto, di Verona, Vicenza, Padova, Rovigo, Venezia, Treviso e Belluno hanno ciascuno personalità statale e ad essi devono essere riconosciuti e restituiti tutti i loro poteri originari, con diritto di dotarsi ciascuno di una propria Costituzione, nonchè di confederarsi mediante una propria Costituzione Confederale entro lo Stato Veneto libero, sovrano e indipendente;
- afferma il diritto del Popolo Veneto di disporre di sè medesimo; di autodeterminarsi; e di dotarsi liberamente di una propria Costituzione politica Federale di Confederazione dei Territori Veneti, quale norma del proprio sviluppo politico, economico,sociale e culturale per l'esercizio dei propri diritti umani di popolo in conformità alla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e dei Trattati internazionali sul Diritto dei Popoli all'autodeterminazione;
- dichiara l'autodeterminazione politica del Popolo Veneto non negoziabile, nè compromettibile in forme qualsiasi di un'autonomia amministrativa, a danno del Popolo Veneto e funzionale solo a stabilizzare l'oppressione del Sistema dei Partiti.



Alberto Pento scrive:

Tante, troppe, confuse, contraddittorie, non chiare, incoerenti e talune non corrispondenti e non vere parole a cominciare dalla assurda presunzione/pretesa di parlare a nome del "Popolo veneto" che mi pare non si sia mai manifestato pubblicamente al Mondo per dare mandato di rappresentanza a questa entità personale o associativa denominata Stato Veneto Passaporto.

Da aggiungere che non è ben individuabile/definibile l'entità politica "Popolo veneto" perché mai esistita una comunità veneta corrispondente a questa descrizione fatta da Stato Veneto Passaporto "in conformità alla nostra millenaria tradizione politica di poliarchia, indipendente ed integrata nello Stato Veneto".
La Serenissima Repubblica non corrispondeva minimamente a questa descrizione.
La Serenissima non era certamente il paradiso in terra e non era affatto la Repubblica di tutti i veneti, a sovranità aristocratica o democratica di tutti i veneti che storicamente sono stati solo sudditi di Venezia e della sua arrogante e antidemocratica aristocrazia.

Inoltre, per quanto riguarda l'autodeterminazione vi è da osservare che a partire dal 1848 sino ad oggi la stragrande maggioranza degli abitanti cittadini dei territori veneti di Verona, Vicenza, Padova, Rovigo, Venezia, Treviso e Belluno si sono sempre pubblicamente e politicamente espressi per far parte dello Stato italiano, volontà politica che va assolutamente rispettata come la volontà della stragrande maggiolanza del "Popolo veneto" di ciò che sensatamente, etnicamente e storicamente si può considerare come "Popolo veneto"

Sul sistema dei partiti vi è da dire che nelle democrazie mondiali tale sistema non è stato affatto superato dalla storia, i partiti non esistono solo laddove non vi è democrazia ma dittatura assolutista e totalitaria;
l'imperfezione dei partiti italiani è dovuta unicamente all'imperfezione umana delle genti italiche (tra cui quelle venete) e alla mala costruzione dello stato italiano che la riflette. Nel Mondo esistono paesi dove i partiti funzionano benissimo, senza corruzione e senza soppraffare i cittadini come in Svizzera.

Il tono generale dell'intervento di Stato Veneto Passaporto è quello di chi aspira a uno stato etico e teocratico che per sua natura è antidemocratico, totalitario che per imporsi deve diventare necessariamente violento.
L'agnosticismo non è un disvalore anzi è una necessità laddove la ragione è calpestata dal fideismo teocratico religioso che ha la presunzione demenziale di incarnare la spiritualità universale e di interpretare la volontà di Dio.
Infatti l'Italia che è un paese molto religioso dove ha sede l'imperatore religioso cristiano cattolico romano ha anche lo stato più corrotto, irresponsabile, castuale e meno democratico dell'occidente.



Stato Veneto Passaporto ha scritto:

ha lo scopo della libertà, sovranità e indipendenza del Popolo Veneto e dell'autodeterminazione politica dei Territori Veneti

- considerata la democrazia veneta non quale omologazione, nè egualitarismo indistinto, bensi quale rispetto, protezione e garanzia delle differenti esistenze umane; e che lo Stato è da fondarsi sull'ordine integrale della vita, di cui il lavoro e l'economia fanno parte ma non l'esauriscono; e nel quale vengono alla pari promossi ed attuati tutti i valori anche di socialità che appartengono all'essere umano, tenuto conto dell'Uomo e della sua vita in un dato luogo e nel suo tempo; della diversità e della irripetibilità di ciascuno e di ogni specifica Comunità;
- considerata l'indilazionabile urgenza di cambiamento integrale del Sistema Politico;
- considerata la necessità di eliminazione del Sistema dei Partiti, superato dalla Storia, oligarchico, individualista, agnostico, massonico e corrotto; definitivamente esaurito ed incapace di ideazioni; preordinato ad interessi solo particolari; attuativo della sistematica rapina delle fatiche e delle economie del Popolo;
- considerato giusto e doveroso il riconoscimento della sovranità popolare da esercitare con Democrazia Diretta nelle singole e specifiche Comunità, Municipi e Territori veneti, in conformità alla nostra millenaria tradizione politica di poliarchia, indipendente ed integrata nello Stato Veneto;
- considerato che i distinti Territori, intanto, di Verona, Vicenza, Padova, Rovigo, Venezia, Treviso e Belluno hanno ciascuno personalità statale e ad essi devono essere riconosciuti e restituiti tutti i loro poteri originari, con diritto di dotarsi ciascuno di una propria Costituzione, nonchè di confederarsi mediante una propria Costituzione Confederale entro lo Stato Veneto libero, sovrano e indipendente;
- afferma il diritto del Popolo Veneto di disporre di sè medesimo; di autodeterminarsi; e di dotarsi liberamente di una propria Costituzione politica Federale di Confederazione dei Territori Veneti, quale norma del proprio sviluppo politico, economico,sociale e culturale per l'esercizio dei propri diritti umani di popolo in conformità alla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e dei Trattati internazionali sul Diritto dei Popoli all'autodeterminazione;
- dichiara l'autodeterminazione politica del Popolo Veneto non negoziabile, nè compromettibile in forme qualsiasi di un'autonomia amministrativa, a danno del Popolo Veneto e funzionale solo a stabilizzare l'oppressione del Sistema dei Partiti.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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