III goera mondial ?

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Messaggioda Berto » mer apr 09, 2014 6:00 am

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I guai della Finanza internazionale e la voglia di guerra americana

http://www.lindipendenza.com/i-guai-del ... -americana

di LEONARDO MAGRINI

Da quando il mese scorso i ministri delle Finanze europei hanno adottato lo schema del prelievo forzoso (bail-in) per colpire azionisti, obbligazionisti e depositi bancari, l’intero sistema finanziario monetarista che fa perno sulla City di Londra e Wall Street è spacciato. Dal punto di vista oligarchico, il modo per evitare un default inevitabile è provocare una guerra che consentirà ai vincitori di cancellare la massa di debito impagabile in una riorganizzazione post-bellica. Per questa ragione la NATO ha chiuso tutti i canali di collaborazione con la Russia, accelerando così la prospettiva di uno scontro militare strategico.

Allo stesso tempo, il Presidente Obama si sta muovendo per spingere i rapporti con la Cina lungo la stessa china. Durante un’audizione al Congresso la scorsa settimana, il sottosegretario USA per l’Asia ed il Pacifico Daniel Russel ha minacciato direttamente la Cina di rappresaglie se dovesse intraprendere passi che vadano nella direzione del “modello Crimea” nelle isole disputate nel Mar della Cina. Dietro ordini della Casa Bianca, il ministro della Difesa USA Chuck Hagel ha annunciato che due nuovi cacciatorpediniere americani dotati di sistemi di difesa missilistica Aegis verranno dispiegate in Giappone nel 2017, stringendo così il laccio di contenimento intorno alla Cina. Il dispiegamento punta chiaramente alla Corea del Nord, ma Pechino lo leggerà come parte di un disegno per creare un’alleanza contro la Cina nell’Asia e nel Pacifico. Al contempo, gruppi di opposizione a Taiwan continuano a inscenare violente provocazioni che mirano allo scontro ora che i rapporti tra Cina e Taiwan si erano sviluppati nel senso della riconciliazione ed eventualmente della riunificazione.

Simultaneamente, un cacciatorpediniere americano dotato di sistemi ABM Aegis è stato dispiegato nel Mar Nero non lontano dalla base navale russa di Sebastopoli in Crimea. Al vertice della NATO della scorsa settimana, sono stati interrotti tutti i collegamenti con la Russia, incluso il Consiglio NATO-Russia. A Washington, il Presidente Obama ha annunciato che tutta la cooperazione strategica con la Russia a livello militare e strategico è stata interrotta. E’ stato annullato tutto il lavoro sulla difesa anti missili balistici in Europa, ed è stata interrotta perfino la cooperazione della NASA con la Russia su questioni vitali quali la difesa dagli asteroidi. Di solito si interrompono tutti i canali di comunicazione ufficiali alla vigilia di una guerra. Indicando la prontezza russa a rispondere alle mosse americane e della NATO, il Presidente Putin ha ordinato manovre strategiche da parte di unità dotate di armi nucleari, che impegneranno oltre 10.000 forze speciali.

Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha offerto a John Kerry una proposta per disinnescare la crisi ucraina. Ma il Presidente Obama, comportandosi come vero agente della City di Londra e di Wall Street, non è disposto ad accettare una soluzione diplomatica razionale. Lyndon LaRouche ha chiarito il punto: se il sistema finanziario entra in fase di disintegrazione con il prelievo forzoso e i salvataggi bancari, affonderà con lui tutto il sistema oligarchico e verrà spazzato via il potere dell’Impero.
Se riuscirà a provocare la guerra prima del crac finanziario, il debito potrà essere cancellato a condizioni di guerra, e l’impero sopravvivrà.
Se il crac finanziario si verificherà prima, il sistema oligarchico transatlantico è spacciato.
Questo è il motivo per cui il mondo si trova oggi sull’orlo di una guerra termonucleare.
Per scongiurare il pericolo, Lyndon LaRouche ha sottolineato che il Presidente Obama deve essere destituito dall’incarico immediatamente.
E in Europa e negli Stati Uniti il sistema finanziario attuale, ormai spacciato, dovrà essere eliminato in modo ordinato e sostituito da un sistema di tipo Glass- Steagall.

*Movisol, Executive Intelligence Review
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Re: III goera mondial ?

Messaggioda Berto » gio apr 17, 2014 7:39 am

Gli Students For “Liberty” vogliono una guerra preventiva contro la Russia

http://www.lindipendenza.com/mcadams-eu ... iti-russia


Proponiamo in ANTEPRIMA per L’Indipendenza la traduzione integrale in italiano dell’articolo The Mask Slips: “Libertarians” Call for Pre-Emptive War da parte di Daniel McAdams, direttore esecutivo del Ron Paul Institute For Peace and Prosperity, organizzazione fondata dall’ex congressista Ron Paul per promuovere una politica estera americana anti-interventista. (Traduzione di Luca Fusari)

I lettori di Neocon Watch si ricorderanno di Eglė Markevičiūtė (nella foto a sinistra), membro lituano nell’International Executive Board degli Students for Liberty (SFL), la quale ha co-redatto con il presidente degli SFL Alexander McCobin, un imbarazzante fallace articolo critico nei confronti di Ron Paul circa la sua opposizione ad un intervento degli Usa in Ucraina.

La ragazza fa inoltre parte della rete Young Voices, che è stata riconosciuta per il suo lavoro dalla National Endowment for Democracy, l’organizzazione finanziata dal governo degli Stati Uniti per il regime change. Ebbene Markevičiūtė è tornata e la sua maschera è scesa. In un suo recente articolo sul Daily Caller, intitolato in maniera inequivocabile, Military intervention is the only solution to Russia’s aggression (L’intervento militare è l’unica soluzione all’aggressione da parte della Russia, n.d.t.), ha chiesto agli Stati Uniti di lanciare una guerra preventiva contro la Russia.

Lei è sofferente per il rifiuto degli Stati Uniti nel combattere la sua battaglia e quella dell’Ucraina. «La mancanza di un’azione militare del mondo occidentale favorisce solo il regime di Putin», facendo il broncio ed imitando Jennifer Rubin. Tutti i bimbi del blocco della libertà dovrebbero abbracciare la dottrina della guerra preventiva di George W. Bush, asserisce l’attivista lituana della libertà:

«una presenza militare limitata, come ad esempio una maggiore presenza della Nato nei Paesi baltici e in Polonia o lo spiegamento di truppe in Ucraina, è qualcosa che gli individui amanti della libertà dovrebbero riconsiderare come misura preventiva atta a fermare le ulteriori diffuse conquiste di Putin in Europa orientale».

Nulla dice sulla libertà di voler rubare i soldi dei contribuenti americani per combattere le sue battaglie. Nulla dice sulla libertà di aggiungere più trilioni di dollari nelle vene del complesso militare-industriale degli Stati Uniti. Non c’è libertà che in una distruzione totale da Terza Guerra Mondiale. La pace e la prosperità sono per i perdenti, per Markevičiūtė e le sue coorti a volte bisogna imporre la libertà al resto del mondo tramite la canna di un fucile.

Nonostante il suo duro discorso, sembra abbastanza improbabile che Markevičiūtė intenda arruolarsi nell’esercito. A quanto pare questo è un compito che spetta agli americani. Come la maggior parte dei nuovi Paesi membri della Nato, vede l’adesione in quella che un tempo fu l’alleanza dell’ovest non come un mezzo per risolvere i vecchi conflitti, ma piuttosto come pugni a disposizione per la sua nazione, come quando un gracile bambino trova il “coraggio” in un muscoloso suo nuovo amico disposto a difenderne le sue azioni sempre più provocatorie.

L’espansione della Nato è sempre stata una cattiva idea, ma quando si hanno persone come il ministro degli esteri polacco, Radek Sikorski, un ex dipendente del neoconservatore American Enterprise Institute, sollecitare l’Ucraina nel provocare la Russia, e la lituana Markevičiūtė sospirante ardentemente per un attacco preventivo degli Stati Uniti contro la Russia, è più che evidente che si trattava di una colossale stupida idea, la quale potrebbe avere conseguenze ramificate in grado di cambiare il mondo.

Il non-interventista Justin Raimondo ha recentemente sfidato altri membri del Board degli Students for Liberty a chiarire se con il loro sostegno per una guerra preventiva non fossero poco rispettosi dell’etica libertaria, ma la loro risposta è stata ancora una volta deludente e floscia: «è una grande organizzazione tenda e il mio ruolo non riguarda l’ambito ideologico». A quanto pare apparentemente si può essere un neocon e risultare ancora un attivista per la libertà.

L’etichetta libertà comincia a diventare insignificante. L’organizzazione degli Students for Liberty è così dedita nel promuovere la libertà oltremare che sono disposti a promuoverla nascosti su un bombardiere stealth! Non vi è libertà che in un missile cruise sopra il tuo villaggio…. Missione compiuta!.

Comenti===============================================================================================================================

Enrico
17 Aprile 2014 at 4:39 pm #
Daniel McAdams sta mentendo spudoratamente. Come può constatare chiunque legga l’articolo di Eglė Markevičiūtė ( http://dailycaller.com/2014/04/07/milit ... ggression/ ) o quello scritto assieme a Alexander McCobin ( http://blog.panampost.com/alexander-mcc ... nd-crimea/ ) non c’è alcun riferimento ad un “attacco preventivo” o ad una “guerra preventiva” contro la Russia.

Anzi, la cosa divertente è che nell’articolo della Markevičiūtė (e anche nell’altro articolo) si dice proprio il contrario (tramite la citazione di Andrei Illarionov): “Putin must be confronted militarily. I do not mean acts of war. But the West should show a military presence in the Black Sea, for example. This is the only way to stop Putin”. Sarebbe difficile dire in maniera più chiara che non si sta suggerendo alcun attacco. Uno può essere favorevole o contrario, ma non può distorcere il pensiero di altre persone solo perché non concorda con loro.

Se si avesse la pazienza di leggerli, prima di commentarli, si vedrebbe che quegli articoli contengono molti concetti libertari. Eccone un assaggio:

“It’s understandable that not everyone outside of Eastern Europe would take an interest in the current crisis, like many libertarians who rightfully urge the West to not intervene. The only thing I, as an Eastern European, would like to ask libertarians of the West is to avoid apologizing for Putin’s regime when advocating for peace. The enemy of your enemy is not always your friend.”

Tipico neocon, eh? La realtà è che McAdams ha attribuito ad altri cose che non hanno mai sostenuto. Questo è un atteggiamento vergognoso e stupido, e non ha nulla a che vedere col libertarismo.
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Re: III goera mondial ?

Messaggioda Berto » ven apr 18, 2014 6:35 am

Non siamo “guerrafondai americani”. Lavoriamo insieme per la libertà
http://www.lindipendenza.com/non-siamo- ... la-liberta


Gentile redazione del quotidiano online L’ Indipendenza, scriviamo questa lettera aperta perché ci sembra il caso di fare un po’ di chiarezza su Students For Liberty dopo aver letto sul vostro giornale la traduzione di un articolo di Daniel McAdams e uno di Ricardo in merito alla querelle tra il Ron Paul Institute e alcuni membri di SFL.

Cominceremmo innanzitutto con il chiarire, vista la necessità, che cosa NON è Students For Liberty. Students For Liberty non è al soldo delle Koch Industries, e già in passato si è schierata assumendo una posizione neutrale sulle diatribe tra la famiglia di imprenditori americani e i diversi gruppi e istituti libertari statunitensi. Contrariamente a quanto viene sostenuto da alcuni fantasiosi commentatori da social network, SFL non è al soldo del governo americano: purtroppo (o per fortuna) nessuno di noi fa parte della Justice League e meno che meno dello S.H.I.E.L.D.

Dubito che possiate trovare tra noi dei sostenitori di Obama, anzi basterebbe leggere il libro After the Welfare State per capire qual è la nostra posizione in merito alle riforme attuate dall’amministrazione americana.

Prima di spiegarvi cosa invece è SFL, arriviamo dritti punto: il fatto che ci siano membri dell’ associazione (fatta da individui che ovviamente possono sostenere posizioni diverse tra loro ed avere opinioni differenti, ma che senza ombra di dubbio sono accomunati dall’amore per la Libertà, a sostegno della quale profondono tutto il loro impegno) a favore di una guerra preventiva contro la Russia è assolutamente FALSO, contrariamente a quanto viene sostenuto nell’ ultimo articolo da voi tradotto e pubblicato. Né Eglè Markevičiūtė, duramente attaccata anche al livello personale dagli articoli in questione, né nessun altro membro di SFL ha mai proferito una sola parola a favore dell’imperialismo americano.

Per rendere l’idea troverete di seguito alcune citazioni, tratte dagli articoli originali – che basterebbe leggere, prima di gridare indignati contro questi “neocon” poco più che ventenni, che proprio il mese scorso sono riusciti a far riunire a Berlino più di 600 studenti e giovani professionisti liberali provenienti da tutta Europa: “The only thing I, as an Eastern European, would like to ask libertarians of the West is to avoid apologizing for Putin’s regime when advocating for peace. The enemy of your enemy is not always your friend”. Ancora: “Opening international borders for oppressed immigrants and simplifying the visa regime would be the most humane way of dealing with war-mongering dictators all over the world”. Infine: “imposing economic sanctions on Russia would harm Russian citizens more than their tsar-like leaders who are not easily motivated by the suffering of others”. (vedi http://blog.panampost.com/…/ron-paul-gets-it-wrong…/), (http://dailycaller.com/…/military-intervention-is-the…/).

Certamente, accrescere la presenza della Nato nei paesi dell’ est è una posizione – sostenuta, per altro, da un membro del Board di ESFL che, vivendo in Lituania, probabilmente sente il timore di un’invasione Russa molto più di come lo si possa sentire a Washington o nelle città venete – con cui non tutti possono concordare, ma in merito alla quale si può civilmente discutere senza scadere in attacchi personali controproducenti al dibattito ed offensivi.

Cosa è invece Students For Liberty? Students for Liberty è una associazione studentesca internazionale, presente ormai in tutti i continenti e dedita alla diffusione di idee liberali in tutto il mondo. Che si impegna in prima linea in una battaglia che supponiamo il vostro giornale condivida. E per questo allora ci chiediamo: ha davvero senso portare avanti un dibattito sterile, probabilmente contaminato da inimicizie personali o pregiudizi, anche in Italia?

L’Italia – quel paese in cui 6 persone sono agli arresti perché chiedevano che venisse data una chance all’indipendenza del Veneto, quel paese in cui le imprese chiudono, le tasse si alzano e i cervelli fuggono – non ha bisogno, secondo noi, di un movimento liberale diviso e lacerato.

Da qui il nostro appello: discutiamo di questioni che possano interessare il nostro paese e che possano arricchire il dibattito su temi liberali in un’ Italia liberticida; siamo consapevoli dell’ esistenza di più correnti, con idee e obbiettivi differenti, ma l’insultarci per un dibattito che è già di per sé marginale negli Stati Uniti (o meglio, sul web, perché di questo si tratta) è controproducente e indice di cecità. Cecità perché siamo certi che le alternative che stiamo a discutere non sono la vittoria di Putin su Obama o dei neocon Students for Liberty sul Ron Paul Institute, ma sono la vittoria dello statalismo – sia esso di Obama o Putin, di Renzi o di Grillo, di Berlusconi o Monti – contro invece la possibilità che il liberalismo e il libero mercato possano essere davvero considerati come politiche da perseguire e ideali a cui tendere, in Italia come nel Mondo.

Sincerely & For Liberty

Luca Bertoletti
Alice Speranza
Riccardo Farina
Ennio Emanuele Piano
Giacinto Ferrero.
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Re: III goera mondial ?

Messaggioda Berto » lun apr 21, 2014 7:34 am

Students for Liberty, le vostre bugie hanno gambe più corte della Libertà (1° parte)

http://www.lindipendenza.com/students-f ... 2%B0-parte


di LUCA FUSARI

Nei giorni scorsi è stato pubblicato su questo giornale l’articolo Non siamo “guerrafondai americani”. Lavoriamo insieme per la libertà firmato ed inviato alla redazione da Luca Bertoletti, Alice Speranza, Riccardo Farina, Ennio Emanuele Piano, Giacinto Ferrero a nome degli Students for Liberty (SFL).

L’articolo è successivo alla pubblicazione, sempre su questo sito, di due articoli da me tradotti redatti rispettivamente da Justin Raimondo (non Ricardo!) direttore editoriale di Antiwar.com, senior fellow presso il Randolph Bourne Institute, e da Daniel McAdams, direttore esecutivo del Ron Paul Institute For Peace and Prosperity, organizzazione fondata dall’ex congressista Ron Paul per promuovere una politica estera americana anti-interventista.

I due articoli (reperibili qui e qui) facevano riferimento alle dichiarazioni ben poco libertarie, per ciò che concerne la politica estera, pubblicamente rilasciate da Alexander McCobin (Presidente degli Students for Liberty) e da Eglė Markevičiūtė (membro lituana nell’International Executive Board degli Students for Liberty) rispettivamente sia su Panam Post che sul Daily Caller quali risposte critiche alle precedenti dichiarazioni pronunciate a titolo personale dall’ex congressista Repubblicano Ron Paul in favore del riconoscimento dell’autodeterminazione della Crimea dall’Ucraina.

In particolare i due membri internazionali degli SFL nei loro articoli invitavano la comunità occidentale ad attuare sanzioni economiche e misure militari contro la Russia atte ad aiutare il nuovo governo di Kiev, incrementando la presenza di truppe Usa/Nato nei Paesi baltici e in Ucraina (a proposito quali zone dell’Ucraina?) e sul Mar Nero (leggasi Crimea) al fine di sfidare e “contenere” Putin.

Innanzitutto è da notare come i rappresentanti italiani degli Students for Liberty abbiano sentito la necessità di dover scrivere un loro articolo presso questa testata libera ed indipendente quale risposta a quanto io ho testualmente tradotto da fonti e siti americani libertari autorevoli. Sicché i contenuti sollevati nella loro missiva appaiono tesi nell’unico tentativo di voler confutare e mettere in discussione quanto apparso in precedenza su questo sito (nel pieno esercizio del diritto di cronaca e della linea editoriale di questo giornale) in merito alla questione della Crimea, dell’Ucraina e al comportamento tenuto in tale scenario dagli stessi SFL, non mostrando altrettanta attenzione e sensibilità per l’oggetto specifico della questione denunciata dagli articoli tradotti.

Piuttosto, sarebbe stato più indicato e di maggior rilievo l’invio alla redazione de L’Indipendenza di una loro lettera aperta nei confronti dei loro referenti McCobin e Markevičiūtė per prenderne criticamente le distanze e/o, al contempo, per chiedere alcuni doverosi chiarimenti circa le loro recenti assai discutibili affermazioni, alla luce dei valori che dovrebbero invece caratterizzare tale associazione di studenti della libertà.

Infatti dagli studenti italiani ed europei amanti della libertà, ci si aspetterebbe una loro indipendente libera valutazione dei fatti inerenti la querelle innescata da McCobin e Markevičiūtė, la quale non colpisce solo un personaggio che nel corso dei decenni ha sempre contribuito alla promozione del libertarismo, ma anche quelle stesse idee di libertà le quali dovrebbero costituire le fondamenta sulle quali promuovere liberi scambi commerciali e un rapporto pacifico di cooperazione volontaria tra i popoli e gli individui abitanti questo pianeta.

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Ovviamente questo avrebbe comportato da parte degli SFL italiani una loro maggior sensibilità ai principi del libertarismo e a quei contenuti che affermano di apprezzare, dunque una presa di posizione culturale, in primo luogo, rispetto al giudizio e alle opinioni espresse dai due esponenti del board internazionale dell’organizzazione a cui fanno capo, difformità di giudizio che però, è bene ribadirlo, non risulta presente.

Infatti dal loro articolo/comunicato emerge come i rappresentanti italiani degli Students for Liberty acriticamente cerchino solamente di auto-assolvere la loro organizzazione e i loro vertici attraverso una serie di “grossolane” argomentazioni poco obiettive e poco veritiere circa la natura e le posizioni palesate dalla loro associazione.

Posso comprendere come con tale articolo inviatoci si voglia speculare sulla verità, interpretando il ruolo delle improbabili vittime di un qualche “complotto moscovita” ordito anche dal sottoscritto, allo scopo di dar risalto ed ottenere una benigna pubblicità alla propria organizzazione (e magari qualche medaglia all’onore dalla Beltway) ma francamente per poter recitare tale parte, è necessario avere quantomeno una solida linea difensiva e veritiere argomentazioni in mano.

Requisiti che l’articolo redatto a più mani, (devo supporre quale nota ufficiale anche a nome dell’organizzazione italiana referente degli SFL, ovvero l’Italian Students for Individual Liberty o ISFIL, oltreché gli European Students for Liberty o ESFL?) dubito siano presenti o rilevabili. Emergono infatti, abbastanza chiaramente una serie di inesattezze e di mistificazioni, le quali mi hanno spinto alla stesura di questa doverosa lunga ed articolata replica, tesa a far inequivocabile e definitiva chiarezza su tali questioni non propriamente marginali.

Infatti gli autori dell’articolo inviatoci mentono anche sulla natura dell’organizzazione per la quale così orgogliosamente militano. Students for Liberty, fondata nell’estate del 2008, è infatti una organizzazione finanziata, o come loro stessi amano scrivere «al soldo», delle Koch Industries. La prova di tale palese connessione, negata invece dagli SFL euro-tricolori nelle prime loro righe («Cominceremmo innanzitutto con il chiarire, vista la necessità, che cosa NON è Students For Liberty. Students For Liberty non è al soldo delle Koch Industries»), è facilmente riscontrabile e dimostrabile navigando in rete in siti investigativi evidenzianti i contributi e i finanziamenti versati dalle corporations e dai gruppi industriali statunitensi alla politica, alle associazioni, ai think tank, ed altri enti benefici o senza scopo di lucro.

Nella fattispecie se si naviga sul sito sourcewatch.org nella pagina dedicata all’analisi dei versamenti stanziati dalle Koch Family Foundations (ovvero dalla David H. Koch Foundation, dalla Charles G. Koch Charitable Foundation, dalla Claude R. Lambe Charitable Foundation, e dalla Knowledge and Progress Fund) si può riscontrare come l’organizzazione degli Students for Liberty abbia ripetutamente ricevuto donazioni nel corso degli ultimi anni da parte dei due fratelli.

Fin dal 2009, Students for Liberty ha ottenuto 3500 dollari dalle fondazioni dei Koch con la casuale del finanziamento di “programmi educativi”. Nel 2010, Students for Liberty ha ottenuto 20 mila dollari dalle fondazioni dei Koch con la casuale del finanziamento di “programmi educativi”. Nel 2011, Students for Liberty ha ottenuto 25 mila dollari dalle fondazioni dei Koch con la casuale del finanziamento di “un sostegno generale operativo”.

Nel 2012, per poter organizzare le conferenze internazionali SFL in giro per il mondo, tale associazione studentesca internazionale, presente ormai in tutti i continenti, ha ricevuto 10 mila dollari di sponsorizzazione dal Cato Institute, 5 mila dollari rispettivamente sia dall’Atlas Economic Research Foundation che dall’Institute for Humane Studies, e 2500 dollari dal Charles Koch Institute.

Il Cato Institute, l’Atlas Foundation, e l’Institute for Humane Studies sono tra i più importanti think tank ed associazioni finanziate e gestite a nome dei fratelli Koch, sicché si potrebbe sostenere che tali versamenti indirizzati verso gli Students for Liberty altro non siano che una partita di giro di soldi sempre scuciti dai due facoltosi industriali al fine di bypassare i limiti di contribuzione ammessi dalla legge statunitense.

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Tant’è che ufficialmente, secondo la compilazione fatta dall’American Bridge 21st Century Foundation, da Conservative Transparency con dati dell’Irs, la Charles G. Koch Charitable Foundation è stata la quarta più grande donatrice degli Students for Liberty tra il 2009 e il 2012, contribuendo direttamente complessivamente con oltre 105 mila e 328 dollari in 5 versamenti.

Ovviamente a fronte di tale cifra non sono mancati anche altri contributi economici, ufficialmente sempre da loro erogati, mediante l’Atlas Economic Research Foundation, la seconda più grande donatrice degli Students for Liberty, con un versamento di altri 165 mila e 158 dollari. Tra il 2009 e il 2012, complessivamente la somma sicuramente versate direttamente da fondazioni controllate o facenti a capo ai Koch è stata di 270 mila e 486 dollari su 1 milione 12 mila e 430 dollari di bilancio dichiarato dagli SFL.

Apparentemente la cifra può sembrare poca cosa, ma già questa risulta determinante per renderli tra i maggiori contributori fisici di tale organizzazione superando per donazioni anche il Donors Capital Fund (DCF). E’ bene però chiarire cosa sia il DCF, il maggior singolo contributore dopo i Koch degli SFL, e il maggiore se si scorporano e si analizzano distintamente sul piano dei versamenti l’Atlas e la Charles G. Koch Foundation.

Il DCF è un fondo che assieme al DonorsTrust (DT) è gestito dalla Philanthropy Roundtable la quale fa riferimento a Whitney L. Ball. Il DCF e il DT raccolgono donazioni provenienti da vari privati finanziatori in favore di associazioni e think tank dell’area conservatrice americana. Nella fattispecie, il DCF e il DT sono degli altri canali/contenitori adottati dai Koch per foraggiare le loro associazioni predilette coprendo però le loro effettive cifre versate con quelle di altri soci partecipanti nei fondi, il tutto al fine di bypassare l’anti-trust e i limiti di finanziamento previsti dalla legge.

Il DCF è infatti a sua volta co-finanziato con donazioni provenienti anche dal Knowledge and Progress Fund controllato da Charles G. Koch. Sicché si potrebbe sostenere che il DCF e il DT costituiscano canali ufficiosi ed indiretti di contribuzione da parte dei due fratelli. Nel 2010 sia il Donors Trust che il Donors Capital Fund hanno contribuito a finanziare molti dei gruppi ed associazioni facenti riferimento ai fratelli Koch: l’Americans For Prosperity Foundation (AFP, presieduta direttamente da David H. Koch), il Committee For A Constructive Tomorrow (CFACT), Cornwall Alliance, Heartland Institute, e lo State Policy Network (SPN). Tant’è che nel 2011 la Philanthropy Roundtable ha premiato Charles G. Koch col Premio dedicato a William E. Simon per la Leadership filantropica.

Analizzando il DCF e il DT in relazione agli Students for Liberty risulta che tra il 2009 e il 2012 tali due fondi hanno rispettivamente versato 225 mila e 412 dollari e 138 mila e 500 dollari, ovvero come già scritto la prima e la terza più grande fonte di donazione degli SFL. Complessivamente sia il DCF e il DT hanno versato in quel triennio agli SFL 363 mila e 915 dollari, ed è assai probabile come in tali somme di denaro versate, vari biglietti verdi provengano anch’essi dalle tasche dei fratelli Koch (come riporta il Center for Public Integrity il ruolo filantropico di partecipazione dei Koch nel DT è quantomeno di 100 mila dollari versati dal 2010).

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Se nel periodo 2009-2012 i Koch hanno ufficialmente direttamente versato 270 mila e 486 dollari agli Students for Liberty, indirettamente ma ufficiosamente potrebbero averne versati potenzialmente altri 363 mila e 915 dollari (o quantomeno una buona parte di essi), per una somma complessiva di 634 mila e 401 dollari su un totale di 1 milione 12 mila e 430 dollari, ovvero più della metà dei fondi raccolti dagli SFL, nel periodo considerato, erano riconducibili in qualche modo ai due industriali!.

Questo ovviamente fa lievitare il loro impegno economico e la loro influenza sul board interno degli SFL, quale peso decisionale giocato nelle politiche e priorità di tale organizzazione, con ciò che ne può conseguire circa le politiche perseguite ed ottemperate da tale associazione e dalla sua leadership interna sul piano esterno e della comunicazione.

Dunque benché i Koch non siano i soli finanziatori di tale associazione studentesca, sono certamente i suoi maggiori finanziatori per somme versate e sono quindi coloro i quali oltre ad aver maggior voce in capitolo nel fundraising dell’organizzazione e dunque nella composizione del board degli SFL.

Se teniamo presente il bilancio dichiarato dagli stessi Students for Liberty sul loro sito per il 2009-2010, e i dati riportati da Conservative Transparency emerge come 23 mila e 500 dollari siano stati erogati direttamente dalla Charles G. Koch Charitable Foundation. Nello stesso periodo gli indiretti contributi erogati dall’Atlas Economic Research Foundation sono stati di 30 mila e 880 dollari.

Complessivamente la somma versata ufficialmente direttamente dai soli Koch nel 2009-2010 è stata di 54 mila 380 dollari. Tale finanziamento era corrispondente a poco meno della metà del budget degli SFL nel periodo 2009-2010, ma ad esso bisogna però aggiungere anche i finanziamenti ottenuti tramite il DT e il DFC, rispettivamente 5 mila e 65 mila dollari, quindi complessivamente altri 70 mila dollari.

Complessivamente la somma versata ufficialmente ed ufficiosamente dai Koch nel 2009-2010 è potenzialmente di 124 mila e 380 dollari, cifra costituente ben oltre la metà del totale delle entrate degli SFL. La cifra effettiva è inoltre superiore di 4 mila 780 dollari a quella realmente dichiarata dagli SFL sul loro sito (119 mila e 600 dollari). Tenendo presente che le somme del DT non necessariamente sono tutte versate dai Koch, in ogni caso stiamo parlando di cifre ragguardevoli per una organizzazione i cui membri asseriscono di non essere al soldo delle Koch Industries!….

Se poi guardiamo ai dati dichiarati dagli stessi SFL nel bilancio 2012-2013, tale associazione ha dichiarato di aver ottenuto entrate e spese notevolmente superiori agli anni precedenti, tant’è che i dati da loro forniti risultano numericamente alquanto opinabili e anch’essi poco attendibili. Conservative Transparency reputa lo stanziamento della Charles G. Koch Charitable Foundation di 56 mila e 828 dollari, mentre l’Atlas Economic Research Foundation di 85 mila e 278 dollari. Dunque complessivamente i Koch avrebbero ufficialmente erogato direttamente ed indirettamente 142 mila e 106 dollari.

Ovviamente bisogna però contemplare anche il Donors Trust e il Donors Capital Fund, i quali hanno donato parecchio agli SFL, rispettivamente 247 mila dollari e 100 mila dollari, dunque i due fondi hanno stanziato assieme 347 mila dollari. Complessivamente la somma versata ufficialmente ed ufficiosamente, direttamente ed indirettamente, dai Koch nel bilancio 2012-2013 è potenzialmente di 489 mila e 106 dollari.

Dando per scontato che il sito Conservative Transparency abbia registrato tutte le transazioni avvenute tra il 2012-2013, se sommiamo ai 142 mila e 106 dollari direttamente erogati dalla Charles G. Koch Charitable Foundation e dalla loro controllata Atlas, con le altre private donazioni stanziate (comprese quelle facenti riferimento al Donors Capital Fund e al Donors Trust) fanno in totale 597 mila e 106 dollari, cifra senz’altro superiore ai 21 mila e 518 dollari dichiarati dalle corporations, ma cifra al contempo inferiore ai 844 mila e 366 dollari dichiarati quali stanziamenti provenienti dalle fondazioni.

Sicché all’appello mancano 247 mila e 260 dollari di donazioni ottenute dalle fondazioni. E’ dunque immaginabile che tale cifra sia stata versata attraverso qualche altro canale, ed è assai probabile come questo sia un ulteriore contributo proveniente dall’impero e dalle fondazioni dei fratelli Koch, molto probabilmente dallo SPN. Infatti gli stessi SFL, benché non siano finanziati esclusivamente dai Koch, fanno parte dello State Policy Network (SPN) organizzazione anch’essa finanziata dai Koch fin dal 2002.

Fin dal 2002, lo SPN ha ottenuto 6500 dollari dalle fondazioni dei Koch con la casuale del finanziamento di “un sostegno generale operativo”. Nel 2004, lo SPN ha ottenuto 2500 dollari dalle fondazioni dei Koch con la casuale del finanziamento di “un sostegno generale operativo”. Nel 2005, lo SPN ha ottenuto 15 mila dollari dalle fondazioni dei Koch con la casuale del finanziamento di “un sostegno generale operativo”. Nel 2006, lo SPN ha ottenuto 15 mila dollari dalle fondazioni dei Koch con la casuale del finanziamento di “un sostegno generale operativo”. Nel 2010, lo SPN ha ottenuto 10 mila dollari dalle fondazioni dei Koch con la casuale del finanziamento di “un sostegno generale operativo”.

Lo State Policy Network fa parte di una rete di think thank e associazioni (tra le quali figurano l’Americans for Prosperity, l’American Encore, Freedom Partners e la Heritage Foundation, quest’ultima avente una visione neoconservatrice in politica estera) che assieme all’American Legislative Exchange Council (ALEC) vengono tutte foraggiate finanziariamente dalle Koch Industries per la loro azione di lobbismo.

Sicché è possibile e probabile che i finanziamenti “mancanti” giunti agli SFL provengano da tali altri enti della rete dei Koch. Dunque che i finanziamenti da tali personaggi siano in realtà superiori a quelli stanziati dall’Atlas e dalla Charles G. Koch Charitable Foundation e persino da quelli stanziati anche tramite il Donors Trust e il Donors Capital Fund.

I Koch investono forti somme di denaro nei college e nelle università americane al fine di educare le nuove generazioni al capitalismo con corsi ad hoc monotematici; i gruppi dei campus universitari degli Students for Liberty hanno accesso, possibilità di assunzione e di impiego di risorse rese disponibili grazie ai programmi educativi sviluppati e finanziati presso l’Institute for Humane Studies, e presso il Charles Koch Foundation (come evidenzia lo stesso sito della fondazione perlomeno con un briciolo di obiettività rispetto ai pinocchi italici), oltreché nella rete tentacolare dei numerosi think tank ed enti finanziati o gestiti direttamente e/o indirettamente dai fratelli Koch (inclusa la Reason Foundation che edita Reason magazine, il Competitive Enterprise Institute, ovviamente il Cato Institute, ma anche la neoconservatrice American Enterprise Institute, e molti altri).


Avendo tradotto consapevolmente per questa testata vari articoli tratti anche da organizzazioni aventi a che fare direttamente o indirettamente con i portafogli dei Koch mi rendo perfettamente conto di come sia sbagliato voler generalizzare l’influenza di tali finanziatori in ogni articolo o in ogni opinione espressa in tali siti o nelle attività svolte da tali think tank e associazioni.

Essendo inoltre un libertario e scrivendo per una testata indipendente che non prende soldi pubblici statali, capisco e sostengo l’importanza della filantropia da parte dei privati nella promozione delle idee e della cultura. Dunque non sarò certo io a fare del facile moralismo circa il finanziamento e le donazioni privatamente versate dai Koch presso tali enti senza scopo di lucro.

Tuttavia, come risulta dai dati qua forniti gli Students for Liberty risultano certamente sussidiati dai fratelli Koch con ingenti somme, influenzandone in ragione di ciò le strutture operative e i vertici dell’associazione con loro nomine discrezionali calate dall’alto nel board. Inoltre come si evince dalle informazioni tratte dai siti Open Secret e Public Campaign Action Fund, le Koch Industries non possono certo essere considerate un fulgido esempio di ‘capitalismo di libero mercato’.

Semmai esse sono un inequivocabile esempio di quel che viene definito ‘capitalismo clientelare’, tutelante gli interessi economici dei loro proprietari non attraverso la competizione e l’innovazione di mercato, ma mediante l’amichevole sostegno di alcuni legislatori al fine di proporre una legislazione statale atta a favorirli con aiuti federali e sussidi economici.

Tale concezione del “capitalismo”, riflettendosi sia nell’ambito della politica che nella promozione delle idee, comporta una difformità finalistica di fondo la quale è divergente rispetto all’autentico ed originario messaggio di laissez faire e di libero mercato alla base della filosofia e dell’etica libertaria. Appare quindi evidente come a differenza di talune dichiarazioni pronunciate recentemente da Charles Koch sul Wall Street Journal, vi sia una grossa ipocrisia nella loro concezione, alquanto retorica, di difesa del “libero mercato” e della “libertà”.

Tale visione, in determinate e specifiche tematiche/circostanze, ha delle inevitabili implicazioni su quanto sostenuto dalle loro organizzazioni sussidiate o controllate, per bocca dei loro funzionari e dirigenti nominati e stipendiati, rispetto ai più coerenti ed indipendenti esponenti del libertarismo americano. Non stupisce quindi che i vertici degli Students for Liberty dimostrino da sempre un profondo forte disprezzo nei confronti di un personaggio popolare presso i giovani come Ron Paul.

I motivi non si limitano a ciò che concerne le sue, legittime e assai valide, vedute personali sull’autodeterminazione della Crimea dall’Ucraina; Ron Paul non figurando sul libro paga dei due fratelli risulta essere un temibile avversario, una scomoda voce indipendente risvegliante le coscienze delle nuove generazioni sui veri valori fondamentali caratterizzanti la libertà sul piano domestico ed estero: il libero mercato, la difesa del diritto naturale, e il non-interventismo e la pace sul piano internazionale.

Principi non negoziabili alla base della Repubblica forgiata dai Padri Fondatori americani, considerati solo come un irritante ostacolo da distorcere sul piano semantico e concettuale, e certamente da non condividere (arrivando anche a ridicolizzarne chiunque se ne faccia portavoce), da parte di quei membri collegati a quelle élite industriali e bancario-finanziarie traenti beneficio dall’attuale ‘sistema americano’ del Big Government a stelle e strisce e dalla sua estensione/presenza interventista in giro per il mondo.

Continua…
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Re: III goera mondial ?

Messaggioda Berto » mar apr 22, 2014 12:04 pm

Gli Usa e la strategia del “Dr. Stranamore” nei confronti di Russia e Cina

http://www.lindipendenza.com/pilger-sta ... ussia-cina

Proponiamo in ANTEPRIMA per L’Indipendenza la traduzione integrale in italiano dell’articolo Nato’s action plan in Ukraine is right out of Dr Strangelove, tratto da The Guardian, di John Pilger, giornalista australiano per varie testate giornalistiche, è corrispondente di guerra, scrittore, saggista e documentarista. (Traduzione di Luca Fusari)

L’altro giorno ho guardato Il dottor Stranamore. L’avrò visto forse una dozzina di volte; dà un senso a notizie senza senso. Quando il Maggiore TJ “King” Kong ”punta i piedi sui rossi” e vola segretamente con il suo bombardiere nucleare B52 verso un obbiettivo della Russia, il compito di rassicurare il presidente è lasciato al generale “Buck” Turgidson.


https://www.youtube.com/watch?v=9oyPpGpVkug

Se colpiamo per primi, dice il generale, avremo «non più di 10-20 milioni di morti, al massimo». Sicché il presidente Merkin Muffley gli risponde: «io non voglio passare alla storia come il maggior assassino di massa dopo Hitler». Il generale Turgidson replica: «sarebbe meglio, signor presidente, se lei pensasse un po’ di più al popolo americano e un po’ di meno alla vostra immagine nei libri di storia».


https://www.youtube.com/watch?v=9ArR3SBJMTs

La genialità nel film di Stanley Kubrick è che esso rappresenta con precisione la follia e i pericoli della Guerra Fredda. La maggior parte dei personaggi sono basati su persone reali e su reali maniaci. Non vi è alcun equivalente di Stranamore oggi, perché la cultura popolare incide direttamente quasi interamente sulle nostre vite interiori, come se l’identità fosse lo spirito del tempo morale e la vera satira fosse ridondante, ma i pericoli sono gli stessi.

L’orologio nucleare è rimasto a cinque minuti dalla mezzanotte; le stesse false flags sono issate sopra quegli stessi obiettivi dallo stesso «governo invisibile», come Edward Bernays, l’inventore delle relazioni pubbliche, ha descritto la moderna propaganda. Nel 1964, l’anno in cui fu prodotto Il dottor Stranamore ”il gap missilistico” fu una false flag.

Per costruire più armi, più grandi ordigni nucleari e per perseguire una politica dichiarata di dominio, il presidente John F. Kennedy approvò la propaganda della Cia che l’Unione Sovietica fosse ben davanti agli Stati Uniti nella produzione di missili balistici intercontinentali. Questo riempì le prime pagine come la “minaccia russa”. In realtà, gli americani erano così avanti nella produzione di missili, che i russi non li avvicinarono.

La Guerra Fredda si è basata in gran parte su questa bugia. Dal crollo dell’Unione sovietica, gli Stati Uniti hanno circondato la Russia con basi militari, aerei da guerra e missili nucleari come parte del loro progetto di ampliamento della Nato. Rinnegando la promessa fatta dall’amministrazione di Reagan al presidente sovietico Mikhail Gorbaciov nel 1990 che la Nato non si sarebbe mai espansa «un pollice verso est», ma la Nato si è presa tutta l’Europa orientale.

Nell’ex Caucaso sovietico, il riarmo militare della Nato è il più esteso dai tempi della seconda guerra mondiale. Nel mese di Febbraio, gli Stati Uniti hanno attuato a distanza uno dei loro golpi “colorati” contro il governo eletto dell’Ucraina; le truppe d’assalto erano fasciste.

Per la prima volta dal 1945, un partito apertamente antisemita e filonazista controlla settori chiave del potere statale in una capitale europea. Nessun leader europeo occidentale ha condannato questa rinascita del fascismo al confine con la Russia.

Circa 30 milioni di russi morirono durante l’invasione del loro Paese da parte dei nazisti di Hitler, i quali furono sostenuti dal famigerato Esercito insurrezionale ucraino (UPA), responsabile di numerosi massacri di ebrei e polacchi. L’Organizzazione dei nazionalisti ucraini, di cui l’UPA era l’ala militare, ispira oggi il partito Svoboda.

Dal putsch di Washington a Kiev, alla risposta inevitabile di Mosca nella russofona Crimea per proteggere la sua flotta del Mar Nero, la provocazione e l’isolamento nei confronti della Russia sono state capovolte nella notizia di una “minaccia russa”. Questa è propaganda fossilizzata. Il generale dell‘aeronautica degli Stati Uniti che presiede le forze Nato in Europa, il generale Philip Breedlove, non meno di due settimane fa ha mostrato delle immagini di 40 mila truppe russe “ammassate” sul confine con l’Ucraina, così come fece Colin Powell affermando di avere immagini dimostranti che c’erano armi di distruzione di massa in Iraq.

Certo è che il rapace ed avventato colpo di Stato realizzato da Barack Obama in Ucraina ha acceso una guerra civile e Vladimir Putin è stato attirato in una trappola. A seguito dei furiosi 13 anni aventi inizio con l’Afghanistan, attaccato dopo che Osama bin Laden era già fuggito, e la successiva distruzione dell’Iraq sotto una false flag, dopo aver inventato una “canaglia nucleare” nell’Iran, dopo aver mandato la Libia in una anarchia hobbesiana e aver sostenuto i jihadisti in Siria, gli Stati Uniti stanno infine per realizzare una nuova guerra fredda per completare la loro campagna mondiale di omicidi e terrore da droni.

Un piano d’azione a cui aderisce la Nato e che sembra direttamente uscito dalla stanza della guerra de Il dottor Stranamore, è il dono del generale Breedlove alla nuova dittatura in Ucraina. Il ‘Rapid Trident‘ porterà truppe Usa sul confine russo dell’Ucraina e la ‘Sea Breeze‘ manderà navi da guerra americane in vista dei porti russi.

Allo stesso tempo, i giochi di guerra della Nato in Europa orientale sono progettati per intimidire la Russia. Immaginate la reazione se questa follia fosse avvenuta al contrario ai confini degli Usa, roba da generale Turgidson. E poi c’è la Cina. Il 23 Aprile, Obama inizierà un tour in Asia per promuovere il suo “piano” sulla Cina.

L’obiettivo è quello di convincere i suoi “alleati” nella regione, principalmente il Giappone, a riarmarsi e prepararsi alla possibilità di una guerra con la Cina. Entro il 2020, quasi i due terzi di tutte le forze navali statunitensi di tutto il mondo saranno trasferite nella zona Asia-Pacifico.

Questa è la più grande concentrazione militare in quella vasta regione dalla seconda guerra mondiale. In una zona ad arco che si estende dall’Australia al Giappone, la Cina dovrà affrontare i missili statunitensi e i bombardieri armati di armi atomiche.

Una base navale strategica è in costruzione sull’isola coreana di Jeju, a meno di 400 miglia da Shanghai e al cuore industriale della unico Paese il cui potere economico rischia di superare quello degli Stati Uniti. Il piano di Obama è stato progettato per minare l’influenza della Cina nella regione.

E’ come se una guerra mondiale fosse già iniziata con altri mezzi. Questa non è una fantasia da dottor Stranamore. Il segretario alla difesa di Obama, Charles “Chuck” Hagel, è stato a Pechino la scorsa settimana per consegnare un avvertimento alla Cina, la quale come la Russia potrebbe affrontare l’isolamento e la guerra se non si piegherà alle richieste degli Stati Uniti.

Ha paragonato l’annessione della Crimea alla complessa disputa territoriale della Cina con il Giappone sulle isole disabitate nel Mar Cinese orientale. «Non si può andare in giro per il mondo», ha detto Hagel con la faccia seria, «a violare la sovranità delle nazioni con la forza, la coercizione o l’intimidazione». Per quanto riguarda il massiccio movimento americano di forze navali e di armi nucleari in Asia, esse sono «un segno della assistenza umanitaria che l’esercito statunitense è in grado di fornire».

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Obama sta realizzando il più grande budget per le armi nucleari rispetto al picco storico raggiunto durante la Guerra Fredda, l’era del dottor Stranamore. Gli Stati Uniti stanno portando avanti la loro ambizione di lunga data di dominare il continente eurasiatico che si estende dalla Cina all’Europa: un “destino manifesto”, fatto proprio con la forza.
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Re: III goera mondial ?

Messaggioda Berto » mer apr 23, 2014 4:44 pm

Students for Liberty, le vostre bugie hanno gambe più corte della Libertà (2° parte)

http://www.lindipendenza.com/students-f ... 2%B0-parte

di LUCA FUSARI

Appurato che nella loro lettera inviata a questo giornale, gli italici studenti kochiani, mentono spudoratamente sui loro principali finanziatori privati, gli Students for Liberty (SFL) mentono anche sui loro legami e connessioni con organismi riconducibili al governo federale degli Stati Uniti d’America.

Nella fattispecie, non si tratta solo di sostenere che sono finanziati dal governo statunitense tramite i sussidi erogati ai fratelli Koch per le loro attività industriali, ma anche circa i loro rapporti col Big Government a stelle e strisce nelle loro attività “educative”.

Il direttore del Ron Paul Institute for Peace and Prosperity ha sottolineato come il presidente degli SFL, Alexander McCobin, ha legami personali con l’organizzazione Young Voices Advocates, la quale è una organizzazione finanziata dal governo statunitense mediante la National Endowment for Democracy (NED), ottenente a sua volta finanziamenti dallo Usaid, dal Dipartimento di Stato e dal Congresso statunitense.

La NED, avente nel proprio board molti esponenti dichiaratamente neoconservatori, è di fatto una organizzazione neocon:

il suo presidente, Carl Gershman, oltre ad essere ex membro dell’organizzazione Democratica Freedom House, è l’ex direttore esecutivo dei Social Democrats-Usa (SDUSA), la principale associazione dei socialdemocratici in America tra il 1972 e il 2005.

Nel board dei direttori figurano in rappresentanza di altre organizzazioni e think tank: Elliott Abrams (Senior Fellow for Middle Eastern Studies, Council on Foreign Relations), l’ex presidente della Banca mondiale Robert Zoellick (ora al Belfer Center for Science and International Affairs, Peterson Institute for International Economics), l’ex senatore RINO Norm Coleman (ora all’American Action Network e all’American Action Forum), Francis Fukuyama (Freeman Spogli Institute for International Studies), il Democrat Will Marshall (Progressive Policy Institute), Margaret Spellings (presidente del George W. Bush Presidential Center), George Weigel (Ethics and Public Policy Center), Vin Weber (Clark & Weinstock) e Zalmay Khalilzad (CSIS, Khalilzad Associates), tutti già membri del Project for the New American Century (o PNAC).
Il PNAC, think tank neoconservatore fondato nel 1997 da William Kristol (direttore della rivista The Weekly Standard) e Robert Kagan (marito di Victoria Nuland, attuale assistente Segretario di Stato per gli affari europei ed euroasiatici presso il Dipartimento di Stato dell’amministrazione Obama) e scioltosi nel 2006, è stato l’ispiratore di molte delle decisioni belliche e geopolitiche (in particolare in Iraq ed Afghanistan) dell’amministrazione di George W. Bush, avendo avuto tra i suoi membri molti importanti aventi ricoperto ruoli governativi, tra i quali: Dick Cheney, Donald Rumsfeld e Paul Wolfowitz.

La NED ha semplicemente ricostituito il vecchio gruppo neocon del PNAC sotto un’altra sigla, proseguendo le solite logiche tipicamente neoconservatrici in nome dell’”esportazione della democrazia”. Non a caso, la NED è la mandante e la regista delle proteste ucraine di Maidan (le quali altro non sono che la riproposizione più “hard power” di quelle precedenti da loro promosse nel 2004), dunque è la principale responsabile del regime change ai danni di Yanukovich e dell’attuale instabilità in Ucraina.

Immagine

Lo scorso Dicembre, in un suo discorso, Victoria Nuland ha ammesso che dal 1991 ad oggi, il governo degli Stati Uniti ha:

«investito più di 5 miliardi di dollari in aiuti all’Ucraina (…) nello sviluppo di istituzioni democratiche e in aiuti per promuovere una società civile e una buona forma di governo».

Come ha invece denunciato lo stesso Ron Paul:

«i sostenitori della NED e delle sue organizzazioni collegate sostengono che non c’è nulla di sbagliato nell’invio di dollari per “promuovere la democrazia” oltreoceano. Tuttavia la NED, l’Usaid e le altre sigle non hanno nulla a che fare con la promozione della democrazia e tutto ciò che hanno a che fare è con la distruzione della democrazia. Non è democrazia inviare miliardi di dollari per spingere ad un cambio di regime estero. Non è democrazia spingere le Ong a riscrivere le leggi e la costituzione in luoghi come l’Ucraina. Non è affare nostro».

Già nel 2005 l’ex congressista libertario si oppose all’erogazione di fondi alla NED nella US foreign assistance authorization bill:

«la National Endowment for Democracy (…) ha ben poco a che fare con la democrazia. Si tratta di un’organizzazione che utilizza i soldi statunitense provenienti dalle tasse per sovvertire realmente la democrazia, innaffiando e finanziando quei partiti o i movimenti politici da favorire all’estero. Le cosiddette rivoluzioni popolari colorate d’oltremare assomigliano più alle pagine scritte da Lenin sul ​​rubare il potere anziché a genuini movimenti democratici locali».

McAdams non ha fatto accuse infondate, ma ha solo rilevato come Alexander McCobin, oltre a rivestire il ruolo di “presidente” non democraticamente eletto degli Students for Liberty, sia a sua volta membro anche di una organizzazione finanziata indirettamente dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti tramite la National Endowment for Democracy gestita da neoconservatori, il che ovviamente ha inevitabili ripercussioni sulla sua obiettività circa le dichiarazioni professate a nome degli SFL sulla crisi in Ucraina e sulle attività estere del governo degli Stati Uniti.

McCobin non è comunque il solo membro degli SFL operante in tale organizzazione finanziata dalle istituzioni federali statunitensi, in quanto anche Fred Roeder, direttore marketing e comunicazione degli SFL, è anch’egli “casualmente” membro di Young Voice Advocates essendone il suo direttore.

Non solo, secondo il report di metà 2013 rilasciato dagli stessi SFL e redatto dallo stesso McCobin, Young Voices Advocates è ufficialmente partner degli SFL (anche se sarebbe più corretto sostenere che sono gli SFL a piegarsi ai voleri della Young Voices Advocates e di chi la foraggia):

«la crescita dei gruppi nella nostra rete, le persone che fanno parte dei nostri programmi di formazione alla leadership, gli eventi che si svolgono, e le risorse che offriamo indicano che stiamo avendo un impatto significativo. E ora, Young Voices sta amplificando l’impatto esponendo al mondo le nostre idee e il crescente movimento studentesco libertario. Il cambiamento sta arrivando. Un cambiamento per un mondo più libero, e gli Students for Liberty stanno conducendo questo cambiamento».

‘Cambiamento’ è la parola chiave usata da McCobin ma non solo da lui e certamente è da intendersi anche come conduzione di cambi di regime in giro per il mondo. Non è quindi casuale il sostegno da parte di McCobin e degli SFL in favore anche di quello orchestrato a Kiev dalla National Endowment for Democracy (e dunque da Victoria Nuland e dal Dipartimento di Stato dell’attuale amministrazione Obama), date le loro frequentazioni e affiliazioni.

Sicché si può senza alcun dubbio sostenere come i vertici degli Students for Liberty siano tra i sostenitori delle politiche estere della presidenza Democrat di Barack Obama, interpretando il ruolo dei soldatini nel campo della promozione del cambiamento globale.

Un cambiamento che si basa, oltreché sulla spesa di miliardi di dollari direttamente o indirettamente estorti dai contribuenti americani per programmi di esportazione della democrazia mediante tecniche di sommossa nelle piazze, anche nell’organizzazione e nei contenuti delle conferenze studentesche SFL in giro per il mondo.

Dunque se come asserisce McCobin, la Young Voices Advocates “amplifica” l’impatto degli Students for Liberty come movimento studentesco “libertario” in giro per il mondo, davvero dovremmo dunque credere che tale organizzazione sia coerentemente libertaria? Che Obama (e non quel “putiniano” di Ron Paul) sia il “miglior e più coerente” promotore del libertarismo sul pianeta? Che Obama sia diventato da oltre un anno un “libertario”, nonostante gli scandali e le ripetute violazioni costituzionali nei diritti naturali, compiute dalla sua amministrazione, confermino tutt’altro giudizio?.

Sempre a proposito di sostegno economico al regime change di Kiev, l’articolo inviatoci prosegue menzionando il libro After the Welfare State, una raccolta di saggi di vari autori curato da Tom G. Palmer e distribuito dagli SFL. Tra gli autori presenti nel libro citato non figurano saggi scritti da Rockwell, Woods, Salerno o Murphy ovvero da membri del Ludwig von Mises Institute con sede ad Auburn (Alabama), quanto piuttosto vi figurano, guarda caso, saggi di membri del kochiano Cato Institute (Boaz, Tanner) di Washington DC e persino dell’italiano Piercamillo Falasca.

Piercamillo Falasca, già collaboratore dell’Istituto Bruno Leoni, editorialista del sito Libertiamo di Benedetto Della Vedova (quando ancora militava nel PDL e poi in Futuro e Libertà di Fini), candidatosi deputato con Scelta Civica di Monti alle ultime elezioni politiche italiane, membro di Italia Aperta di Alessandro De Nicola (ora nel consiglio di amministrazione di Finmeccanica), membro nel board di Retelib di Pietro Ichino, direttore del magazine Strade online, e recentemente reclutato “a sua insaputa” nel governo di Matteo Renzi come consulente economico proprio dal sottosegretario al ministero degli esteri Benedetto Della Vedova (per il quale era anche già stato assistente parlamentare nella scorsa legislatura), non è certo un nemico del Welfare statale, dato che intende addirittura pubblicamente estenderlo ulteriormente, suppongo con somma gioia di Palmer…

Ma chi è Tom Palmer? Il signor Palmer è Senior Fellow del Cato Institute ed è Vice Presidente esecutivo per i programmi internazionali dell’Atlas Economic Research Foundation, come ho già in precedenza dimostrato, entrambe le organizzazioni sono finanziate e controllate dai fratelli Koch (già finanziatori degli SFL) e a loro volta sono tra i partners e i principali sponsor degli SFL (anche per le loro itineranti conferenze).

Ebbene il signor Tom Palmer, il quale fin dall’inizio ha sostenuto i rivoltosi di Maidan e il regime change operato a Kiev, come ho accennato in questo articolo, è a mio avviso uno di quei intellettuali di corte, di quei:

«cattivi maestri, che mirano a danneggiare volutamente l’impianto teorico del libertarismo traviando parecchi giovani da una genuina conoscenza dei veri contenuti degli autori fondatori di tale movimento; il tutto al solo scopo di rendere più addomesticabile le idee libertarie in funzione degli interessi clientelari e politicanti dei loro burattinai finanziatori. Tali distopici messaggi, implicano un condizionamento e una strumentalizzazione di molti neofiti al servizio di tali campagne di disinformazione e diffamazione; è bene comunque evidenziare come molti dei libertari appartenenti a tali associazioni promotrici di tali distopici messaggi siano molto spesso completamente all’oscuro di tali rivalità e degli scopi effettivi a cui mirano taluni comunicati calati dall’alto».

Immagine

Non a caso in Why Liberty, altro libro sponsorizzato dagli SFL e anch’esso edito dal signor Palmer (nella foto a sinistra) nei quattro angoli del mondo, anziché trovare saggi di personalità del libertarismo del calibro di Rothbard, Block, Ron Paul o Hoppe, vi troviamo invece, guarda caso, un saggio scritto da Alexander McCobin intitolato The political principle of liberty, una sua apologetica e piuttosto generica analisi politologica su cosa sia il libertarismo.

Nel saggio in questione McCobin, oltre a provare a dare una giustificazione del libertarismo sul piano etico-politico, ne descrive solo gli aspetti afferenti alle libertà civili e politiche senza però mai citare Rothbard, autore del libro L’etica della libertà incentrato proprio sul rapporto tra libertà e giusnaturalismo.

Il presidente degli SFL invece decanta il Cato Institute quale modello e fonte di ogni formulazione delle idee libertarie, senza mai citare o accennare alla scuola economica austriaca quali riferimenti di tale filosofia nell’ambito della libertà economica. Come vedremo anche in seguito, Tom Palmer gioca un ruolo fondamentale quale ispiratore degli attacchi mossi da McCobin e da Markevičiūtė nei confronti di Ron Paul, non a caso nel loro articolo apparso su Panam post la lituana scrive:

«parlare della secessione della Crimea come democraticamente legittima è intellettualmente disonesto, dato che il referendum è stato sostanzialmente approvato con le armi senza scelta legittima per la regione se restare sovrana nell’Ucraina. Come Tom Palmer ha giustamente sottolineato, le secessioni pacifiche di solito non sono precedute da interventi armati provenienti da Paesi circostanti».

McAdams, direttore del Ron Paul Institute For Peace and Prosperity, in un altro suo articolo confuta tale obiezione intellettualmente disonesta sollevata anche da McCobin, osservando che:

«come responsabile per il monitoraggio delle elezioni in posti lacerati dalla guerra civile quali l’Albania (1997), il Montenegro (1998) , e altrove, posso attestare il fatto che le elezioni a mano armata producano danni. Spesso molte vittime.(..) Nella fattispecie lui afferma che il voto era una “farsa”, perché l’affluenza è stata sospettosamente alta e presumibilmente troppe persone erano a favore della scissione dall’Ucraina. (…) Tuttavia, i precedenti storici dimostrano che in simili votazioni legate alla questione della sovranità e dell’identità, il risultato è in realtà abbastanza simile. Senza bandiere rosse lì, apparentemente giuste… Sarebbe sicuramente una farsa, perché ‘il referendum ha dato alla Crimea solo due scelte: ‘unisciti ala Russia ora o più tardi’. Ma è davvero l’esito del referendum avvenuto? I veri quesiti erano un po’ diversi da quelli che afferma. E’ vero che lo status quo non è stato offerto come opzione, ma gli elettori avevano di fronte due scelte molto diverse: 1 ) Sei a favore dell’unificazione della Crimea con la Russia come parte della Federazione russa?. 2) Sei a favore del ripristino della costituzione del 1992 e dello status della Crimea come parte dell’Ucraina?».

Lo scorso 12 Marzo 2014, sia il Cato Institute che l’Atlas Economic Research Foundation hanno recentemente promosso e organizzato assieme al Ministero dello sviluppo economico e del commercio d’Ucraina, all’European Business Association e alla Kyiv School of Economics, un seminario tenutosi proprio nella capitale ucraina, presso l’InterContinental Hotel.

Il seminario/conferenza intitolato ‘Emergency Economic Summit for Ukraine‘, ha visto la partecipazione di politici europei ed ucraini, finanzieri internazionali e banchieri dell’area caucasica ed est europea.

Tra i relatori partecipanti vi era il primo ministro golpista ucraino Arseniy Yatsenyuk (il quale poche settimane fa è stato ricevuto da Obama a Washington DC ricevendo un miliardo di dollari dei contribuenti americani), e Andrei Illarionov, Senior Fellow del Cato Institute, lo stesso economista citato da Markevičiūtė nel suo articolo sul Daily Caller per giustificare l’intervento militare e l’aumento della presenza militare Usa/Nato nei Paesi baltici. Anche questo dev’essere ovviamente una “fortuita coincidenza”!.

E’ presumibile che in tale meeting vi sia anche lo zampino di Palmer, il quale contrariamente a quanto sostiene l’esponente lituana degli SFL per l’Europa, ricordo essere uno strenuo oppositore del principio di autodeterminazione territoriale anche laddove esercitato pacificamente. In particolare è nota la sua personale opposizione alla legittimità della secessione della Confederazione sudista durante la guerra civile americana.

La secessione degli Stati del Sud dall’Unione americana avvenne per ragioni fiscali e fu inizialmente senza alcun spargimento di sangue, dunque essa fu pacifica sino all’intervento armato del Paese circostante: gli Stati Uniti d’America, ovvero fino a quando il presidente Abraham Lincoln non invitò Fort Sumter (forte militare unionista nei pressi del porto di Charleston in South Carolina) a non arrendersi alle truppe confederate nonostante l’avvenuta secessione del ‘Palmetto State’ dall’Unione americana.

E’ dunque immaginabile come dietro all’opposizione di Markevičiūtė nei confronti della secessione della Crimea, e nelle sue dichiarazioni tese ad auspicare una sua riconquista militare da parte della Nato e da parte degli Stati Uniti al fine di mantenerla sotto la bandiera ucraina, vi sia la stessa logica di fondo che ispirò Lincoln a Fort Sumter, la quale è ovviamente assai apprezzata, oltreché da Tom Palmer, dai neocon e dall’establishment di Washington DC.
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Re: III goera mondial ?

Messaggioda Berto » sab apr 26, 2014 8:25 am

Students for Liberty, le vostre bugie hanno gambe più corte della Libertà (3° parte)

http://www.lindipendenza.com/students-f ... 2%B0-parte

di LUCA FUSARI

Nel precedente articolo ho anticipato come l’attacco a nome degli Students for Liberty (SFL) sferrato da McCobin e Markevičiūtė nei confronti di Ron Paul è il sottoprodotto delle argomentazioni lincolniane promosse da Tom Palmer in materia di secessione ed autodeterminazione.

Per il kochiano vicepresidente esecutivo dei programmi internazionali dell’Atlas Economic Research Foundation, membro del Cato Institute, direttore della Cato Universiy, la secessione è una questione che resta un tabù indifendibile alla luce della sua fallace e preconcetta interpretazione storiografica dei motivi e delle cause che indussero gli Stati confederati americani a secedere dall’Unione americana.

Secondo Palmer tale secessione fu dovuta esclusivamente alla difesa dell’istituto della schiavitù nei confronti degli afroamericani da parte di proprietari terrieri sudisti aventi dubbia moralità, dunque tale secessione sarebbe in sé immorale e come tale da condannare a priori. Tale argomentazione, ovviamente allineata sia alla propaganda abolizionista del XIX° secolo che alla propaganda revisionista yankee successiva al conflitto, non fu la vera ragione della repressione della secessione da parte di Lincoln.

Tant’è che la causa anti-schiavista fu sposata opportunisticamente dal presidente statunitense solo a partire dal 1864 (3 anni dopo lo scoppio ufficiale del conflitto con il Sud!) con il suo remissivo appoggio all’approvazione del XIII° Emendamento della Costituzione. In realtà a differenza dell’aura apologetica propagandata anche da Hollywood attorno alla figura del 16° presidente statunitense, è emerso da tempo la scomoda verità del suo razzismo nei confronti dei neri.

Ad esempio Phillip Magness e Sebastian Page storico presso l’Università di Oxford, autori del libro Colonization After Emancipation: Lincoln and the Movement for Black Resettlement hanno scoperto presso i National Archives un ordine del presidente yankee del Giugno 1863 nel quale si chiedeva ad un agente coloniale britannico, John Hodge, di reclutare gli schiavi liberati per inviarli nelle colonie britanniche dell’America centrale in Guyana e Belize. Il piano di Lincoln prevedeva l’invio degli ex schiavi del Sud fuori dal territorio degli Stati Uniti anche verso Panama per costruire un canale, decenni prima degli effettivi lavori sul canale realizzato nel 1904.

Venne anche allestita una prima spedizione di prova, con circa 450 schiavi liberati mandati dal governo degli Stati Uniti ad Haiti, successivamente morti di fame e vaiolo. Tale piano di colonizzazione dei Caraibi, il quale prevedeva dunque l’espulsione degli afroamericani dal suolo americano continentale; non venne poi realizzato a causa dell’opposizione del Congresso a stanziare i finanziamenti necessari, e dal momentaneo mutamento della guerra in favore della Confederazione, il che indusse gli inglesi a bloccare tali accordi presi con Lincoln.

E’ comunque possibile ipotizzare che se Lincoln non fosse stato assassinato nell’Aprile 1865, questi avrebbe messo in atto tale piano, il quale avrebbe certamente gettato a posteriori tutt’altra luce sulle vicende della guerra civile americana e sugli effettivi valori dei due fronti e in particolare sulla moralità di tale presidente e della sua presidenza.

Inoltre importanti studiosi come Raimondo Luraghi (Storia della Guerra civile americana e La guerra civile americana. Le ragioni e i protagonisti del primo conflitto industriale), Thomas DiLorenzo (membro del Ludwig von Mises Institute ed autore dei volumi The Real Lincoln: A New Look at Abraham Lincoln, His Agenda, and an Unnecessary War e Lincoln Unmasked: What You’re Not Supposed To Know about Dishonest Abe) e il giornalista e scrittore Alberto Pasolini Zanelli (Dalla parte di Lee. La vera storia della guerra di secessione americana) hanno ampiamente dimostrato come le cause della secessione degli Stati confederati del Sud furono principalmente legate all’aumento delle tasse e alle politiche protezioniste sul commercio promosse da Lincoln, al fine di favorire quei settori industriali del Nord che lo sostennero elettoralmente e finanziariamente durante la campagna elettorale.

Tali politiche di capitalismo clientelare intraprese da Lincoln, oltre a danneggiare il libero mercato e gli scambi commerciali domestici, colpirono i commerci di cotone tra il Sud e le manifatture del Regno Unito. Appare evidente come le vere cause della secessione confederata siano profondamente invise, per ovvie ragioni sia dai fratelli Koch (i principali finanziatori di Palmer e degli Students for Liberty) che da gran parte di chi vive e lavora nella Beltway di Washington DC a spese federali pagate dai contribuenti di tutta l’Unione.

Peraltro l’argomentazione di Palmer risulta alquanto miope, dato che l’istituto della schiavitù era in vigore anche in alcune delle 13 colonie americane che secessero dal Regno Unito nella guerra d’indipendenza combattuta tra il 1775 e il 1783, venendo praticata e difesa anche da alcuni Padri Fondatori americani.

Dunque a rigor di logica, se la secessione degli Stati confederati era “macchiata dal peccato” della schiavitù, analogamente lo stesso si potrebbe dire per la secessione che contribuì all’indipendenza delle 13 colonie e quindi alla nascita degli Stati Uniti d’America, dato che trattasi di una secessione a catena.

Palmer reputa forse che gli americani debbano ritornare ad essere sudditi di Sua Maestà, come i loro cugini del Canada, in ragione delle loro colpe passate?. Qual è la differenza che renderebbe legittima la secessione del 1775 e non quella del 1861? Palmer ovviamente non lo spiega.

La sua preferenza per gli Stati Uniti rispetto agli Stati Confederati d’America oltre ad essere dettata da ragioni di mera opportunità situazionale (in relazione all’attuale esistenza degli Usa anziché della Csa) deriva anche da una certa narrazione propagandistico-storicista, teleologicamente idealista e celebrativa promossa oltreché dalla mecca del cinema americano anche dalla Beltway, sviluppatasi sin da dopo la morte di Lincoln e arricchitasi di nuove discutibili argomentazioni nel corso del XX° secolo.

Secondo tale narrazione statalista, la legittimità di quella del 1775 sarebbe giustificata dal percorso storico di successiva progressiva affermazione della democrazia, della libertà e dei diritti civili e politici in ragione dell’avvento al potere di presidenti riformatori come Lincoln, e i suoi successori nel corso del XX° secolo (ad esempio Wilson, i due Roosevelt, Truman, Kennedy, Johnson).

Tali presidenti abolendo la schiavitù, rovesciando in Europa gli imperi centrali (salvo poi dover combattere sempre in nome della democrazia quei successivi totalitarismi subentrati nel primo dopoguerra), e promuovendo legislazioni anti-discriminazione nel campo dei diritti civili e delle minoranze, mediante un rafforzamento dei poteri federali (e dunque dell’interventismo del governo centrale e della Corte Suprema sul piano domestico a discapito del popolo e degli Stati membri), avrebbero preservato l’unità nazionale e rinverdito l’adozione del ‘sistema americano‘ e il perseguimento del ‘destino manifesto‘, gettando quindi le premesse per l’affermazione di tali presunti “valori dell’America” su scala globale (dunque ponendo gli Stati Uniti quali dispensatori attivi di tali “diritti” mediante una loro egemonia imperialista e militare su scala planetaria).

Invece per l’ex congressista Ron Paul il diritto all’autodeterminazione è un diritto naturale, dunque non dipende né dalle condizioni peculiari né tanto meno dalle tappe successive conseguite dallo Stato che ha secesso, ma risulta semmai essere un diritto superiore per moralità anche allo Stato stesso secessionista, dato che gli Stati, compresi gli Stati Uniti dipendono dal popolo americano e dal consenso di questo nei confronti dei propri rappresentanti e governanti.

La secessione è conseguenza di quella libera facoltà degli Stati dell’Unione e del loro popolo di modificare e abolire il patto d’Unione a cui hanno aderito su base volontaria e indipendente, a partire dall’adozione della nullificazione tramite il X° Emendamento della Costituzione. Il Dottor Paul è da sempre un forte difensore di qualsiasi secessione, a partire dalla secessione dal Regno Unito delle 13 colonie americane, passando per la secessione dei confederati dall’Unione americana, alle possibili future secessioni dagli Usa in ragione delle premesse contenute nella Dichiarazione di Indipendenza americana di Thomas Jefferson e nel diritto naturale di John Locke.

Invece, a causa delle idee inculcate da Palmer nelle suggestionate menti dei vertici degli SFL, quale loro credo al fine di poter comparire sui suoi libri e far carriera nei vertici di tale associazione studentesca kochiana, a partire dalla secessione confederata, ogni secessione che risulti contraria agli interessi delle élite degli Stati Uniti d’America deve essere condannata.

Chiunque (specie se sono libertari coerenti come Ron Paul, Thomas DiLorenzo o Lew Rockwell) osi riconoscere storicamente legittimo e persino legale il diritto all’autodeterminazione delle popolazioni degli Stati confederati del Sud dall’Unione americana, ostentando la ‘Bars and Stars’, e ponendo obiezioni sulla condotta di Lincoln e sulle modalità con le quali la schiavitù è stata abolita negli Stati Uniti, viene accusato da Palmer di essere automaticamente un “razzista”, un “segregazionista”, un “suprematista bianco” e addirittura un “simpatizzante hitleriano del Terzo Reich”.

Analogamente, guarda caso, chiunque (specie se sono poi quei libertari coerenti “neoconfederati”) osi sostenere il diritto all’autodeterminazione del popolo di Crimea di secedere dall’Ucraina, riconoscendo la legittimità (alla luce del diritto internazionale e del diritto naturale) di optare per un loro ritorno nella Federazione russa, rischia di essere accusato dagli scolaretti di Palmer di essere automaticamente un “putiniano”, un “omofobo”, un “illiberale” e persino un “antisemita”!. Come ho già in precedenza scritto sul sito del Movimento Libertario:

«ovviamente l’aspetto più triste (…) è il danno arrecato da tali polemiche al libertarismo e in prospettiva alle nuove generazioni. Studenti che si e no avranno letto due articoli o un libro sul libertarismo (quasi certamente non scritto da Rothbard, Hoppe, Ron Paul o Block), a causa del condizionamento dei cortigiani LINO della Beltway, si arrogano a loro volta il diritto di attaccare, bannare e ridicolizzare attraverso comunicati (che sembrano delle bolle di scomunica, a proposito di settarismo…) chi il libertarismo contemporaneo lo ha fondato o chi per oltre 40 anni è stato un coerente alfiere di tale filosofia».

Nel caso della Crimea non essendoci afroamericani e campi di cotone, si accampano altre motivazioni per considerare tale processo come aprioristicamente “malvagio”: favorisce Vladimir Putin, la Russia è un Paese che viola la libertà di stampa e d’espressione o che non riconosce i diritti positivi agli omosessuali e il loro matrimonio (ritenuti da McCobin e dagli SFL «la questione dei diritti civili del 21° secolo», molto probabilmente in ragione dell’orientamento sessuale e politico di Palmer sulla questione).

Ma l’omofobia, la contingente presenza di Vladimir Putin alla presidenza della Federazione russa o la presenza dell’istituto della schiavitù nelle terre americane nel corso del XIX° secolo, sono valide obiezioni per ledere il diritto all’autodeterminazione dei sudisti americani e dei crimeani? La risposta è ovviamente negativa, come ha spiegato Walter Block, i costumi, la cultura e le opinioni di alcune frange della popolazione o dell’intera popolazione secessionista non sono in sé valide obiezioni per negare a loro il diritto a secedere:

«uno dei motivi per cui tali sedicenti libertari si oppongono alla secessione, politicamente parlando al diritto di essere lasciati soli, è che coloro i quali vogliono la secessione potrebbero essere non completamente perfetti sotto vari aspetti. (…) Se gruppi di persone imperfette non sono giustificate dal secedere da gruppi di persone perfette, che dire degli individui? Se noi applichiamo rigorosamente il principio in base al quale la secessione confederata è da contrastare a livello individuale, ancora una volta ci imbattiamo in tutta una serie di risultati contro-intuitivi. Ad esempio, il divorzio. Sotto questa “logica” nessun coniuge potrebbe lasciare l’altro se in partenza si fosse meno che perfetti».

In verità Palmer e i suoi seguaci “amanti della libertà” mentalmente non riescono a concepire che il popolo di Crimea possa volontariamente aver scelto liberamente e democraticamente di aderire ad una Russia che loro soggettivamente aborrono, reputandola invece un luogo assai meno libero e democratico dell’America di Obama e all’Europa eurocratica. In ragione di tali loro giudizi personali si arrogano il diritto di poter decidere ciò che sarebbe “bene e giusto” per i crimeani in nome della “democrazia e della libertà” e ovviamente per conto del governo statunitense!.

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Ovviamente i loro stereotipati ed unilaterali straw man arguments sono ridicoli ed infantili, benché assai popolari tra i neocon, in chi ha rapporti coi vertici degli SFL e presso i sedicenti “liberali e LINO italiani”. Ridurre la complessità di una società formata da milioni di individui al solo suo governo e al personaggio di turno che lo comanda è una grottesca deformazione ben poco liberale e metodologicamente poco individualista della realtà.

D’altrocanto se non tutti gli americani si identificano totalitariamente in Obama e nelle sue politiche (comprendenti anche la promozione di colpi di Stato in giro per il mondo), perché chi contesta Obama in Italia dovrebbe essere automaticamente un “putiniano”? Perché invece i russi dovrebbero totalmente identificarsi con Putin o con i partiti e movimenti ultranazionalisti, xenofobi e omofobi suoi oppositori fuori e dentro la Duma? Perché i russi dovrebbero accettare una cultura, e una concezione legislativa dei diritti da loro ritenuti non russa o non in linea con la loro tradizione e sensibilità? Perché i crimeani dovrebbero accettare di sottostare al governo golpista di Kiev e ai diktat imposti da Washington DC e da Bruxelles, anziché piuttosto volontariamente scegliere del loro futuro?. Perché? Ovviamente perché lo dicono i neoconservatori Students for Liberty e il guru del cosiddetto “liberalismo libertario” più apprezzato dai salotti e accademie della Beltway: Tom Palmer!.

Le soggettive valutazioni politiche su alcuni modelli socio-culturali presenti in giro per il mondo, giudicati da Palmer e dai finanziatori degli SFL come sgradevoli o non condivisibili, devono essere valutati da tutti i membri di tale associazione studentesca a priori come “non liberali” e “non libertari” anche a costo di contestare le argomentazioni dei principali autori ed esponenti del libertarismo.

Invece tutto ciò che Palmer e i finanziatori degli SFL ritengono essere a livello planetario le “cose buone e giuste da tollerare, promuovere ed esportare”, quale “cambiamento” per il mondo anche mediante conferenze, convegni o pubblicazioni, devono essere a priori difese acriticamente da tutti i membri e i vertici di tale associazione studentesca quali tesi “liberali e libertarie”, anche a costo di risultare allineati (come nella questione dell’Ucraina/Crimea) alle logiche e agli interessi del governo Obama, e dunque in sostanza essere ridicolmente ben poco sinceramente liberali e libertari quanto a coerenza dimostrata.
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Re: III goera mondial ?

Messaggioda Berto » sab mag 03, 2014 6:43 pm

Students for Liberty, le vostre bugie hanno gambe più corte della Libertà (4° parte)

http://www.lindipendenza.com/students-f ... 2%B0-parte

di LUCA FUSARI

Perché parlare degli Stati Confederati d’America in una polemica inerente gli Students for Liberty sulla Crimea e la sua autodeterminazione? Il tema è pertinente alla luce della negazione del diritto naturale in tale precedente storico sempre da parte delle élite di Washington DC.

Ieri come oggi, appare evidente come la facoltà di un popolo di secedere da uno Stato o da un governo ritenuto centralista sia negata laddove tale scelta sia in contrasto con gli interessi delle élite al potere a Washington DC. Vi è in atto il tentativo di voler accentrare il potere segregando i popoli contro la loro volontà entro strutture centraliste nazionali e sovranazionali.

In tutto questo le considerazioni di Tom Palmer (senior fellow del kochiano Cato Institute, direttore della kochiana Cato University, vicepresidente dei programmi internazionali della kochiana Atlas Economic Research Foundation, membro del board dei kochiani Students for Liberty e curatore delle loro pubblicazioni) giocano un ruolo rilevante nella formazione di una percezione distorta del tema dell’autodeterminazione presso le nuove generazioni.

Non stupisce che le dichiarazioni rese pubblicamente da McCobin e Markevičiūtė (i vertici di tale associazione studentesca internazionale) a Panam post, facciano riferimento esplicitamente a tale intellettuale di corte, così come non stupisce che le loro battaglie e la loro agenda promossa in giro per il mondo riflettano anche tali sue considerazioni prettamente personali e poco libertarie quanto a coerenza anti-statalista professata.

Il diritto all’autodeterminazione degli Stati Confederati americani dagli Stati Uniti viene pregiudizialmente negata da Palmer, e questo ha notevoli ed inevitabili ricadute sulla percezione delle affermazioni di Ron Paul e di quei libertari del Ludwig von Mises Institute favorevoli alla secessione anche della Crimea e di potenziali altri nuovi territori (non solo in tale zona del mondo) quali nuove repubbliche indipendenti, entro un più generale processo di secessioni a catena atte a dissolvere gli attuali Stati nazionali.

Ma così come il riconoscimento storico delle ragioni legittime per l’autodeterminazione della Csa dagli Usa non può essere automaticamente ridotta ad una grottesca attestazione di razzismo o di suprematismo razziale da parte dei libertari che se ne fanno carico storicamente e politicamente nelle loro riflessioni, analogamente il loro sostegno per la secessione della Crimea non li rende automaticamente degli adulatori o dei cheerleader politici di Vladimir Putin e del Cremlino.

I libertari e i liberali classici coerenti difendono sempre il diritto naturale alla secessione e all’autodeterminazione di un territorio in quanto sostenitori e promotori di un principio libertario e liberale classico generale ed astratto avente una propria validità aldilà di chi possa favorire o sfavorire sul piano internazionale nei giochi tra potenze.

Dietro alle menzognere accuse di “putinismo”, riversate dagli Students for Liberty e dai neoconservatori su Ron Paul ed altri autorevoli libertari coerenti, in realtà si cela il culto statolatra yankee ed eurocratico teso alla preservazione e al rafforzamento dello statalismo centralista e dell’unità (nazionale o sovranazionale) quale monopolio arbitrario esercitato su un territorio e su un popolo dai governanti e le loro élite, anche aldilà che tale territorio o popolo vessato si riconosca o accetti tali governanti e tali élite (sovente non democraticamente elette).

E’ bene però evidenziare come l’autodeterminazione di un popolo, essendo un diritto naturale, non debba dipendere da esterne valutazioni stereotipate circa il rispetto di presunti e preconcetti requisiti standard “di civiltà, progresso ed umanità” connotanti la loro società (quali preferenze soggettive inerenti lo stile di vita o di condotta che tali popolazioni dovrebbero in sé sviluppare o rispettare affinché queste possano esercitare il loro diritto a secedere).

In primo luogo è bene sfatare alcuni luoghi comuni esplicati da Palmer e condivisi oltreché dai neocon dai vertici degli SFL, costituenti una summa del pensiero e della narrativa “politically correct” egemonicamente inculcata alle nuove generazioni, il tutto allo scopo di porre come tabù ogni velleitarietà secessionista in America e in Europa.



Iniziamo dalle bandiere; la ‘Stars and Bars‘, la ‘Stainless Banner‘ o la ‘Blood Stained Banner‘, e le bandiere di guerra ad esse riconducibili, non sono minimamente paragonabili alla svastica nazista.

Tale associazione è chiaramente il prodotto della propaganda liberal sviluppatasi nel corso degli anni ’60-’70 alla luce della questione delle battaglie del movimento per i “diritti civili” e delle altrettanto strumentali usi di tale simbolo da parte dei movimenti razzisti, suprematisti bianchi e dal KKK.

Palmer paragonando la ‘Stars & Bars/Stainless Banner’ alla svastica del Partito Nazional-Socialista dei Lavoratori Tedeschi di fatto dimostra la sua palese malafede e la sua ignoranza in storia americana. Seguendo il suo ragionamento, come mai la ‘Betsy Ross flag‘ non dovrebbe essere reputata anch’essa una bandiera “razzista” o “nazista” dato che la schiavitù era presente anche in alcune delle 13 colonie che secessero dal Regno Unito e si batterono contro gli inglesi per la loro indipendenza?.

Se i Padri Fondatori americani, adottando la ‘Betsy Ross flag’ per le 13 colonie resesi indipendenti, rimarcarono l’adozione di un segno di nuova identità e di rottura legalista istituzionale con il precedente ordinamento e sistema amministrativo britannico, perché tale rottura simbolica non sarebbe valida per la ‘Stars & Bars’ da parte dei Padri Fondatori della Csa nei confronti degli Usa?. Palmer ovviamente non lo spiega.

Il parallelismo tra svastica e bandiera confederata non è un ragionamento corretto né appropriato, perché non prende seriamente in considerazione molti aspetti della storia e della cultura americana. Paragonare la ‘Stainless Banner’ o la ‘Stars and Bars’ confederata alla svastica nazista in relazione all’istituto della schiavitù e allo strumentale utilizzo da parte dei razzisti nel corso del XX° secolo è come paragonare e qualificare la ‘Betsy Ross flag’ a vessillo della massoneria americana in relazione all’affiliazione di numerosi Padri Fondatori (e successivi presidente statunitensi) alle logge massoniche: una grottesco e ridicolo riduzionismo tipico di chi attua straw man arguments o complottismo da quattro soldi!.

La bandiera ufficiale della Confederazione sudista, non era una bandiera di partito, tant’è che il Partito Democratico americano, durante la guerra civile era diviso tra Democratici del Sud e Democratici del Nord e non ne fece uso a livello elettorale. La ‘Stainless Banner’ fu invece una bandiera di una istituzione nascente: gli Stati Confederati d’America.

Peraltro, la bandiera confederata non solo mutò graficamente tre volte nel corso del conflitto ma fu differente da reparto a reparto dell’esercito sudista e da Stato a Stato secessionista, tant’è che essa fu codificata ufficialmente solo nel 1863 (dopo due anni dall’inizio del conflitto!), dunque era ben poco totalitaria visto che non era nemmeno simbolicamente condivisa, quale univoca sua ricezione, tra gli stessi secessionisti sudisti!.

La bandiera con la svastica era invece una bandiera di un partito politico, del Partito Nazional-Socialista dei Lavoratori Tedeschi guidato Hitler, non della Repubblica di Weimar; la sua adozione a bandiera nazionale della Germania fu conseguente all’ascesa democratica di Hitler (dopo le elezioni del 1933) e con la fine della Repubblica di Weimar in seguito alla deriva totalitaria impressa dal regime hitleriano, quale identificazione del partito con lo Stato.

I nazisti, come i comunisti in Russia e nel resto del mondo, laddove conquistarono il potere, imposero i loro simboli ideologici di partito quale simbologia e teologia politica di regime. I nazisti sostituirono definitivamente la bandiera nazionale della Repubblica di Weimar con il loro vessillo di partito a partire dal 1935, dopo che Weimar a sua volta aveva in precedenza sostituito istituzionalmente, a partire dal 1919, quella della Confederazione tedesca del Nord (1867-1871) e del Secondo Reich del Kaiser Guglielmo II (in vigore tra il 1871-1918) con quella della Confederazione Germanica del 1848.

Inoltre i nazisti adottarono a livello istituzionale provvisorio anche la bandiera della Confederazione tedesca del Nord e del Secondo Reich guglielmino tra il 1933 e il 1935, sicché secondo la “logica” di Palmer questo dovrebbe costituire una attestazione probatoria, a posteriori, che il Secondo Reich fosse analogo al Terzo!. Ma allora dato che la Repubblica di Weimar inizialmente adottò nel 1918-1919 la bandiera imperiale era anch’essa “ispirata dal nazismo”?.

Ovviamente no, ma bisogna rilevare come tale accademico di Washington DC, pur essendo nato in Germania e pur non amando il diritto all’autodeterminazione dei popoli, sia di fatto un sostenitore della politica estera interventista del presidente Woodrow Wilson per quanto riguarda la sua interpretazione del primo conflitto mondiale.

Tant’è che a differenza di Hans-Hermann Hoppe, di Ralph Raico o dello stesso Lew Rockwell, egli reputa giusto l’intervento militare degli Stati Uniti contro gli Imperi Centrali in quanto avrebbe diffuso la “democrazia” in Europa (dimenticando come il Secondo Reich fosse una monarchia costituzionale parlamentare e che senza la cacciata del Kaiser non vi sarebbe poi stata l’ascesa di Hitler), criticando duramente per tal motivo persino il defunto Ludwig von Mises (oltreché i suoi allievi) per le loro simpatie asburgiche.

L’astio personale di Palmer nei confronti della bandiera confederata e la sua preferenza verso la bandiera statunitense è peraltro la riproposizione della propaganda militare promossa cent’anni fa dal governo statunitense proprio nei confronti della Germania, risultando quindi unilateralmente totalizzante ed impermeabile quanto a valutazione dei torti degli yankee rispetto alle ragioni della causa sudista.

Vi è però una notevole differenza tra il carattere istituzionale di Weimar e quello del regime nazista, così come vi è una notevole differenza sostanziale tra la Repubblica di Weimar e il Secondo Reich o la Confederazione Germanica del 1848. Associare gli Stati Uniti e gli Stati Confederati in un parallelismo cronologico analogo a quello del primo dopoguerra tedesco è in sé fallace alla luce della confusione palmeriana tra istituzione e suo ordinamento.

La Repubblica di Weimar approvò un sistema maggiormente democratico e rappresentativo con nuove disposizioni costituzionali; il regime nazista cancellò ogni diritto costituzionale precedentemente acquisito sulla base di criteri arbitrariamente ideologici connotanti la propria visione, accentrando il potere centralmente a danno dei Länder. I nazisti non secessero territorialmente dalla Repubblica di Weimar per creare un loro nuovo Stato, abolirono completamente le istituzioni tedesche allora vigenti su tutto il territorio sotto la giurisdizione della Repubblica di Weimar per sostituirle con quelle naziste.

Invece i confederati secessero territorialmente dagli Stati Uniti per creare un loro nuovo Stato, gli Stati Confederati, mantennero sovrane le assemblee legislative degli Stati aderenti (le quali erano state precedentemente elette democraticamente), avvalorando e giustificando la propria secessione facendo uso delle disposizioni presenti nella stessa Costituzione degli Stati Uniti d’America, ovvero dall’ordinamento da cui intendevano secedere.

Benché nella Costituzione statunitense non vi fosse esplicitamente scritto un diritto alla secessione dall’Unione, esso era implicito nel procedimento di nullificazione previsto dal X° emendamento della Costituzione, oltre che dagli Articoli della Confederazione (risalente alla guerra d’indipendenza e antecedenti all’approvazione della Costituzione americana) facenti riferimento alla volontarietà dell’Unione americana dei primi 13 Stati indipendenti suoi membri, oltreché ovviamente alla Dichiarazione di Indipendenza.

Quindi gli Stati Confederati attuarono pratiche giuridicamente precedentemente approvate e facenti parte del corpus giuridico ed istituzionale degli Stati Uniti e di quegli stessi Stati membri, inizialmente facenti parte volontariamente dell’Unione, e similmente alla prassi e a quei valori che portarono all’indipendenza delle 13 colonie dal Regno Unito, liquidarono con essi l’ordine rappresentato dall’Unione americana.

Nel caso degli Stati Uniti dell’epoca di Lincoln, la bandiera yankee non rispecchiava né l’ordinamento istituzionale vigente durante la guerra civile (in ragione della secessione degli Stati del Sud dall’Unione) né lo stesso significato politico ed istituzionale prima e soprattutto dopo la guerra civile americana nei territori degli ex Stati Confederati a seguito delle speculazioni venutesi a realizzare nei territori dei vinti con la ‘Ricostruzione‘.

E’ dunque di particolare interesse proseguire nell’analisi della simbologia dello Stato tedesco per comprendere appieno la mentalità lincolniana e i controsensi delle analisi di Palmer proiettati sulla storia americana e sull’attualità europea e della Crimea. L’attuale vigente bandiera della Germania (nera, rosso gialla) rappresenta la Repubblica Federale Tedesca ed è desunta da quella di Weimar a sua volta riprendente per cromatismo la bandiera del 1848.

Sicché secondo la “logica” di Tom Palmer dovremmo credere che l’attuale istituzione federale tedesca rispecchi l’ordinamento di quella del 1848 o quella della fragile Repubblica di Weimar solo per via dell’adozione della medesima bandiera? Sì, perché secondo tale personaggio l’adozione di una bandiera costituisce segno di continuità di una attestazione valoriale anziché di una territorialità giurisdizionale istituzionalizzata e/o di un nuovo assetto nel suo ordinamento!.

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Peraltro l’attuale vessillo e l’attuale assetto federale tedesco erano in uso nel secondo dopoguerra in Germania Ovest, e a partire dalla riunificazione delle due Germanie hanno sostituito anche la simbologia comunista della bandiera della Repubblica Democratica tedesca e l’assetto istituzionale della Germania dell’Est.

Ma l’attuale Germania riunificata non è analoga a quella del 1848 come sua organizzazione interna pur adottando tale simbologia di bandiera. Dunque si potrebbe perfino sostenere (a rischio di essere ingiustamente tacciati per “comunisti” dai neocon e da altri “benpensanti”) che nel 1990 non sia avvenuta una riunificazione quanto semmai una annessione pacifica (priva però di referendum consultivo) da parte della Germania dell’Ovest della controparte Germania dell’Est in seguito alla caduta del muro e del regime comunista della DDR.

La Repubblica Federale Tedesca ha quindi annesso la Repubblica Democratica Tedesca, non a caso ne ha introdotto l’assetto istituzionale dell’Ovest nei Länder dell’Est. Questo è ben lungi dall’essere una affermazione nostalgica per il comunismo sovietico e il muro di Berlino, specie se si analizza a fondo la questione e le sue conseguenze derivanti.

La riunificazione della Germania costituisce per Palmer una sorta di “espiazione” o di nuovo inizio rispetto alla precedente unificazione bismarckiana, in quanto a differenza di quella ottocentesca si baserebbe sui valori della liberal-democrazia e non su quelli del nazionalismo imperiale (il quale però si basava anch’esso pur sempre su un sistema interno di tipo confederato e costituzionale).

Tale remake ripristinante la sovranità nazionale sotto una unica autorità centrale federale tedesca anche nei Länder orientali, oltre a segnare la fine della Guerra Fredda e a cancellare la ferita della sconfitta bellica, risulterebbe ai suoi occhi paragonabile alla riannessione avvenuta negli Stati Uniti con la fine della guerra civile nel 1865 degli Stati ex confederati: una sorta di loro purificazione da ogni presunto “peccato originario”.

Oltre alla Riunificazione tedesca altro elemento/concetto cardine sotteso nella mentalità di Palmer è il tema della Ricostruzione post-guerra di secessione, la quale fu il trionfo dei valori yankee e dei decreti e delle leggi federali stabilite da Washington DC al fine di sanzionare gli sconfitti privilegiando i nordisti e ovviamente le prime leggi anti-discriminazione sugli afroamericani. In realtà, il ripristino degli ex Stati secessionisti all’interno dell’Unione americana dopo la loro sconfitta militare, costituì non un ritorno alla legalità, quanto semmai una loro conquista militare e dunque una loro riannessione e spoliazione violenta.

Anche sulla percezione della Ricostruzione del Sud, oltreché sulla successiva propaganda Repubblicana ottocentesca, gioca un ruolo particolare l’analogia con raffronti ed aspetti decontestualizzati della storia della Germania del XX° secolo, quali ad esempio il piano Marshall e la ricostruzione dell’unità dalla Germania, quali ridistribuzioni delle ricchezze ed avanzamento del Welfare State dalla Germania dell’Ovest in quella dell’Est dopo il 1991.

Il filosofo tedesco anarco-capitalista Hans-Hermann Hoppe nel suo paper De-Socialization in a United Germany, apparso sulla Review of Austrian Economics, Vol. 5, N° 2 nel 1991, sottolineò tale aspetto economico statalista criticando il metodo disastroso adottato nella riunificazione tedesca, il quale come evidenziato più recentemente anche da Wolfgang Münchau avviò in piccola scala quel meccanismo di aiuti alle regioni povere della Germania che anticipano l’attuale unione dei trasferimenti comunitari da parte degli Stati ricchi nordeuropei verso gli Stati poveri dell’Europa meridionale, e dunque l’attuale crisi dei debiti sovrani dell’Ue.

Che dire poi delle strane (e senza dubbio involontarie) assonanze tra la bandiera dell’Unione europea e la bandiera confederata navale sudista?. Davvero dovremmo credere che l’Ue sia analoga alla Csa sul piano organizzativo ed istituzionale a partire dall’assonanza delle bandiere? Se secondo tale voce della Beltway è “razzista” e “nazista” ogni bandiera confederata (dunque a rigor di logica anche quelle navali) perché non lo sarebbe anche quella scopiazzata dall’Unione europea a partire da quella in uso nella Csa?.

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Se consideriamo l’evoluzione del ruolo rilevante assunto dalla Repubblica Federale Tedesca all’interno dell’Unione europea e lo stretto legame tra la riunificazione tedesca e l’adozione di una moneta comune europea (così come descritta anche da Philipp Bagus nel libro La tragedia dell’Euro), ci accorgiamo come la retorica della riunificazione della Germania costituisca per Palmer ma anche per l’establishment europeista tedesco il fondamento alla base della politica tedesca contemporanea e il fondamento della progressiva estensione territoriale ed istituzionale dell’Ue.

Nella fattispecie risulta evidente come tale tema costituisca per i politici tedeschi non solo una fase transitoria passata ma semmai l’inizio di una nuova fase avente conseguenze soprattutto in prospettiva futura, quale orizzonte verso la costruzione di una nuova autorità centrale sul piano europeo: il Super Stato continentale dell’Unione europea, il quale dovrebbe assomigliare per logiche di funzionamento agli attuali Stati Uniti d’America.

Dopo la riunificazione della Germania, la riunificazione dell’Europa è divenuta una sorta di missione messianico-paternalista di civilizzazione/moralizzazione promossa sul vecchio continente dal governo tedesco e dai tecnocrati di Bruxelles entro i confini europei seguendo le orme e le indicazioni provenienti dagli Stati Uniti, la leadership globale moralizzatrice e dispensatrice di “consigli, diritti e democrazia” in giro per il mondo.

Non deve quindi stupire se proprio gli SFL in collaborazione con l’Atlas hanno realizzato recentemente la loro conferenza europea regionale 2014 a Berlino celebrando il 25° anniversario della caduta del muro, né l’atteggiamento tenuto dalle attuali autorità politiche della Germania e dell’Ue sulle sanzioni statunitensi nei confronti della Russia, o in merito al golpe di Kiev orchestrato dalla National Endowment for Democracy.

Né deve stupire la loro reazione di fronte alle azioni violente compiute dalle nuove autorità ucraine (insediate e teleguidate dal Dipartimento di Stato) nei confronti dei secessionisti russofoni di Crimea e dell’Ucraina dell’est: la Germania (in quanto Stato trainante l’Unione europea) e l’Ue (in quanto esperimento di ingegneria sociale costruttivista a guida tedesca) non concepiscono la secessione ma solo l’unità dello Stato nazionale e la sua riunificazione comunitaria con Bruxelles.

La Germania nella propria area d’influenza comunitaria europea di fatto osserva e si attiene con scrupolo alle prescrizioni dettategli ed impartitegli dalla leadership statunitense, ovvero dalla potenza vincitrice del secondo conflitto mondiale e della Guerra Fredda. Nella fattispecie gli Usa sono oggi guidati da un presidente che sin dal suo insediamento, con grande gioia di Palmer, degli SFL e della Beltway, non ha mai nascosto di ispirarsi alla presidenza di Abraham Lincoln quale modello per propugnare, ovviamente anche nel vecchio continente, la sua idea di “ordine e cambiamento” globale.
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Re: III goera mondial ?

Messaggioda Berto » dom mag 11, 2014 8:40 pm

Gli americani vogliono un governo anti-interventista in politica estera

http://www.lindipendenza.com/glaser-ame ... tati-uniti

Proponiamo in ANTEPRIMA per L’Indipendenza la traduzione integrale in italiano dell’articolo Wsj/Nbc Poll: Americans Want Less Interventionist Foreign Policy di John Glaser, tratto dal sito Antiwar.com. (Traduzione di Luca Fusari)

Nei giorni scorsi sul Wall Street Journal è apparso in prima pagina il seguente titolo: Americans Want to Pull Back From World Stage, Poll Finds (Un sondaggio rileva che gli americani vogliono ritirarsi dal palcoscenico del mondo, n.d.t.).

«Gli americani in gran numero vogliono che gli Stati Uniti riducano il loro ruolo negli affari mondiali, anche se una resa dei conti con la Russia sull’Ucraina preoccupa Washington, ha rilevato un sondaggio Wall Street Journal/Nbc News. In netto cambiamento da decenni, quasi la metà degli intervistati vuole che gli Stati Uniti siano meno attivi sulla scena mondiale (con meno di un quinto degli intervistati che chiede un impegno più attivo) una corrente anti-interventista che spazia aldilà delle linee di partito. (…) I risultati del sondaggio, in combinazione con i risultati delle precedenti indagini Wsj/Nbc di quest’anno, ritraggono un pubblico stanco dei coinvolgimenti esteri e disincantato, con un sistema economico statunitense che molti credono si stia accatastando contro di loro. Il 47% degli intervistati propone un ruolo meno attivo negli affari mondiali, segnando una quota maggiore rispetto a simili sondaggi effettuati nel 2001, 1997 e 1995».

Si può dire, dal modo in cui la giornalista incornicia i risultati del sondaggio, che lei sia infelice di quello che chiama il sentimento “anti-interventista”. Le sue parole usate rivelano come sia scioccata che tali sentimenti possano essere così popolari a fronte della sfida della Russia e le sanzioni comminate da Usa-Ue sul caso dell’Ucraina.

Ma deve aver perso il sondaggio YouGov, condotto il mese scorso, il quale constata che solo il 14% degli americani hanno detto di essere favorevoli che gli Stati Uniti assumano ‘qualsiasi responsabilità’ di coinvolgimento in Ucraina, e che solo il 18% pensano che gli Stati Uniti ‘debbano avere una responsabilità per la protezione dell’Ucraina se la Russia dovesse invaderla’.

«Gli americani sono maggiormente favorevoli affinché gli Stati Uniti non abbiano alcuna responsabilità di coinvolgimento in Ucraina anche in circostanze estreme, mostra una nuova indagine», riporta l’Huffington Post. «Una pluralità di Democratici, Repubblicani ed indipendenti concordano che gli Stati Uniti non debbano avere la responsabilità nella protezione dell’Ucraina».

Il sondaggio del Wall Street Journal/Nbc News è coerente anche con il sondaggio Pew realizzato a Dicembre, il quale ha trovato una maggioranza di americani, più che negli ultimi 50 anni di storia dei sondaggi condotti da Pew su questa domanda, che credono che gli Stati Uniti «dovrebbero occuparsi dei loro affari a livello internazionale, lasciando che gli altri Paesi facciano come meglio possono per proprio conto».


Sarà interessante vedere come questi sentimenti popolari modelleranno le prossime elezioni presidenziali del 2016. Una cosa che possiamo aspettarci è un sacco di vetriolo per questi tipi di pareri dai principali alfieri Repubblicani e Democratici. In genere, i sentimenti pro-guerra sono presi molto sul serio, mentre i sentimenti non-interventisti sono condannati come pericolosamente isolazionisti o ingenui.

Vale la pena però notare che gli stessi numeri del sondaggio hanno smentito l’accusa isolazionista: la maggioranza degli americani (77%) pensano che l’aumento dei legami commerciali ed economici con il resto del mondo sia una cosa buona, mentre solo il 18% pensa che ciò sia negativo. Così, abbastanza esplicitamente, gli americani non amano un maggiore coinvolgimento del governo degli Stati Uniti nel mondo, preferendo invece un maggiore coinvolgimento economico in generale.
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Re: III goera mondial ?

Messaggioda Berto » lun feb 22, 2016 7:21 am

L'urgenza di uscire dalla NATO
Il Comitato No Guerra No NATO: un giudizio e un appello sulla situazione attuale, in cui crescono ogni giorno i pericoli di guerra. Prima di una nuova guerra in Libia
21 febbraio 2016

http://megachip.globalist.it/Detail_New ... %3Btypeb=0

Il 20 febbraio si è tenuta l'assemblea nazionale del Comitato No Guerra No NATO, che ha approvato il documento che sottoponiamo alla vostra attenzione. Il documento sintetizza un forte giudizio sulla situazione attuale, in cui si stanno accrescendo ogni giorno i pericoli di guerra.
Sono stati nominati due coordinatori nazionali, Vincenzo Brandi e Giuseppe Padovano. La discussione è stata interamente dedicata ai preparativi di una risposta popolare alla imminente prospettiva di un'entrata in guerra dell'Italia in Libia.

Buona lettura.


COMUNICATO DEL COMITATO 'NO GUERRA NO NATO'
SULLA SITUAZIONE ATTUALE


Siamo in stato di guerra, impegnati su due fronti che di giorno in giorno divengono sempre più incandescenti e pericolosi.

Accusando la Russia di «destabilizzare l'ordine della sicurezza europea», la NATO sotto comando USA ha riaperto il fronte orientale, trascinandoci in una nuova guerra fredda, per certi versi più pericolosa della precedente, voluta soprattutto da Washington per spezzare i rapporti Russia-UE dannosi per gli interessi statunitensi.

Mentre gli USA quadruplicano i finanziamenti per accrescere le loro forze militari in Europa, viene deciso di rafforzare la presenza militare «avanzata» della NATO nell'Europa orientale. La NATO - dopo aver inglobato tutti i paesi dell'ex Patto di Varsavia, tre della ex Jugoslavia e tre della ex URSS - prosegue la sua espansione a Est, preparando l'ingresso di Georgia e Ucraina (questa di fatto già nella Nato), spostando basi e forze, anche nucleari, sempre più a ridosso della Russia.

Tale strategia rappresenta anche una crescente minaccia per la democrazia in Europa. L'Ucraina, dove le formazioni neonaziste sono state usate dalla NATO nel putsch di EuroMaidan, è divenuta il centro di reclutamento di neonazisti da tutta Europa, i quali, una volta addestrati da istruttori USA della 173a divisione aviotrasportata trasferiti qui da Vicenza, vengono fatti rientrare nei loro paesi con il «lasciapassare» del passaporto ucraino. Si creano in tal modo le basi di una organizzazione paramilitare segreta tipo «Gladio».

USA e NATO preparano altre operazioni sul fronte meridionale, strettamente connesso a quello orientale. Dopo aver finto per anni di combattere l'ISIS e altri gruppi, rifornendoli segretamente di armi attraverso la Turchia, gli USA e alleati chiedono ora un cessate il fuoco per «ragioni umanitarie». Ciò perché le forze governative siriane, sostenute dalla Russia, stanno liberando crescenti parti del territorio occupate da ISIS e altre formazioni, che arretrano anche in Iraq.

Allo stesso tempo la NATO rafforza il sostegno militare alla Turchia, che con l'Arabia Saudita mira a occupare una fascia di territorio siriano nella zona di confine. A tale scopo la Nato, con la motivazione ufficiale di controllare il flusso di profughi (frutto delle guerre USA/NATO), dispiega nell'Egeo le navi da guerra del Secondo gruppo navale permanente, che ha appena concluso una serie di operazioni con la marina turca. Per lo stesso scopo, vengono inviati anche aerei radar Awacs, centri di comando volanti per la gestione del campo di battaglia.

Nello stesso quadro strategico rientra l'operazione, formalmente «a guida italiana», che la coalizione a guida Usa si prepara a lanciare in Libia, per occupare le zone costiere economicamente e strategicamente più importanti, con la motivazione ufficiale di liberarle dai terroristi dell'ISIS. Si prepara così un'altra guerra USA/NATO, dopo Iraq 1991, Jugoslavia 1999, Afghanistan 2001, Iraq 2003, Libia 2011, Siria dal 2013, accompagnate dalla formazione dell'ISIS e altri gruppi terroristi funzionali alla stessa strategia.

Tale operazione è stata concordata dagli Stati uniti non con l'Unione europea, inesistente su questo piano come soggetto unitario, ma singolarmente con le maggiori potenze europee, soprattutto Francia, Gran Bretagna e Germania. Potenze che, in concorrenza tra loro e con gli USA, si uniscono quando entrano in gioco gli interessi fondamentali.

Oggi 22 dei 28 paesi della UE, con oltre il 90% della popolazione dell'Unione, fanno parte della Nato, riconosciuta dalla UE quale «fondamento della difesa collettiva». Sempre sotto comando USA: il Comandante supremo alleato in Europa è nominato dal Presidente degli Stati uniti e sono in mano agli USA tutti gli altri comandi chiave della Nato.

Va ricordato a tale proposito l'orientamento strategico enunciato da Washington al momento dello scioglimento del Patto di Varsavia e della disgregazione dell'Urss: «Gli Stati uniti rimangono il solo Stato con una forza, una portata e un'influenza in ogni dimensione - politica, economica e militare - realmente globali. Non esiste alcun sostituto alla leadership americana. Fondamentale è preservare la NATO quale canale della influenza e partecipazione statunitensi negli affari europei, impedendo la creazione di dispositivi unicamente europei che minerebbero la struttura di comando dell'Alleanza».

Non si può pensare di costruire una Europa diversa, senza liberarci dal dominio e dall'influenza che gli USA esercitano sull'Europa direttamente e tramite la Nato.

Anche perché l'avanzata USA/ NATO ad Est e a Sud già coinvolge la regione Asia/Pacifico, mirando alla Cina, riavvicinatasi alla Russia. È il tentativo estremo degli Stati uniti e delle altre potenze occidentali di mantenere la supremazia economica, politica e militare, in un mondo nel quale l'1% più ricco della popolazione possiede oltre la metà della ricchezza globale, ma nel quale emergono nuovi soggetti sociali e statuali che premono per un nuovo ordine economico mondiale.

Questa strategia aggressiva ha provocato un forte aumento della spesa militare mondiale, trainata da quella USA, che è risalita in termini reali ai livelli della guerra fredda: circa 5 miliardi di dollari al giorno. La spesa militare italiana, al 12° posto mondiale, ammonta a circa 85 milioni al giorno. Un enorme spreco di risorse, sottratte ai bisogni vitali dell'umanità.

In tale quadro, particolarmente grave è la posizione dell'Italia che, imprigionata nella rete di basi USA e di basi NATO sempre sotto comando USA, è stata trasformata in ponte di lancio delle guerre USA/NATO sui fronti orientale e meridionale. Per di più, violando il Trattato di non-proliferazione, l'Italia viene usata come base avanzata delle forze nucleari statunitensi in Europa, che stanno per essere potenziate con lo schieramento delle bombe B61-12 per il first strike nucleare.

Per uscire da questa spirale di guerra dagli esiti catastrofici, è fondamentale costruire un vasto e forte movimento per l'uscita dell'Italia dalla Nato, per un'Italia libera dalla presenza delle basi militari statunitensi e di ogni altra base straniera, per un'Italia sovrana e neutrale, per una politica estera basata sull'Articolo 11 della Costituzione, per una nuova Europa indipendente che contribuisca a relazioni internazionali improntate alla pace, al rispetto reciproco, alla giustizia economica e sociale.
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