Siria

Re: Siria

Messaggioda Berto » mar lug 04, 2017 5:30 am

Medio Oriente: si gioca tutto attorno ad Assad. E Israele cambia i suoi piani
Adrian Niscemi on Lug 3, 2017

http://www.rightsreporter.org/medio-ori ... suoi-piani

La partita strategica in Medio Oriente si gioca tutta attorno ad Assad e alla sua permanenza alla guida della Siria. Lo ricorda l’editorialista di Salom, Karel Valansi, con un editoriale nel quale spiega i motivi per cui Hezbollah sta rischiando il tutto per tutto pur di salvare il dittatore siriano.

La nascita dello Stato Islamico – ISIS – è stata altamente funzionale agli scopi strategici di Russia e Iran in quanto è stata la molla che ha fatto scattare il sostegno armato, politico e strategico al regime di Bashar al-Assad e ha consentito a Mosca e a Teheran di portare le loro truppe, o le truppe dei gruppi a loro affigliati come Hezbollah, direttamente in Siria. È vero che Russia e Iran hanno obiettivi diversi in Siria ma al momento quegli obiettivi sono funzionali l’uno all’altro. Forse è per questo che ISIS è riuscito a sopravvivere così a lungo nonostante avesse di fronte eserciti come quello russo, quello iraniano e le milizie di Hezbollah. Se venisse meno lo Stato Islamico verrebbe meno anche la necessità per Mosca e Teheran di mantenere le loro truppe in Siria.

È pur vero che nella realtà sia i russi che gli iraniani appoggiati da Hezbollah, hanno combattuto più gli altri gruppi ribelli che l’ISIS, ma la scusa ufficiale per la loro presenza in Siria è sempre stata quella di combattere lo Stato Islamico.

Ora, cosa succederebbe se la minaccia dello Stato Islamico venisse meno? A questo punto probabilmente né la Russia né l’Iran ritirerebbero le loro truppe dalla Siria, vuoi perché non c’è solo ISIS che rappresenta una minaccia per il regime di Assad, vuoi perché soprattutto l’Iran ed Hezbollah hanno investito tantissimo, sia in denaro che in termini di perdite umane, pur di creare una linea diretta via terra tra Teheran e Beirut. Ma la condicio sine qua non per la loro permanenza in Siria e quindi per l’implementazione del loro piano rimane il mantenimento del potere da parte di Assad, almeno per quella parte della Siria indispensabile a unire l’Iran al Libano.

Tutto questo a Teheran lo sanno benissimo per questo la diplomazia iraniana sta lavorando alacremente per convincere la diplomazia internazionale a togliere il veto alla permanenza di Assad al potere. Già il Presidente francese, Emmanuel Macron, ha fatto sapere che per quanto riguarda la Francia la rimozione di Assad non è più una priorità. L’Europa è allineata su questa linea già da diverso tempo e persino la Turchia comincia a pensare alla permanenza di Assad a Damasco come una eventualità da non scartare a priori, seppure a determinate condizioni. A volere la caduta di Assad rimangono quindi gli Stati arabi del Golfo, gli Stati Uniti e forse Israele, dico forse perché ufficialmente lo Stato Ebraico non ha mai preso posizione su Assad anche perché era meglio avere un nemico debole alle porte piuttosto che un nemico temibile. Il problema però è che questo discorso poteva valere prima che l’Iran ed Hezbollah si posizionassero quasi ai confini con Israele. E la loro permanenza in quello scacchiere è legata direttamente alla sopravvivenza di Assad. Ecco perché Israele di recente è diventato molto più duro nei confronti di Assad e del suo esercito. Probabilmente a Gerusalemme hanno realizzato che la presenza iraniana sul Golan e la permanenza al potere di Assad sono direttamente legate.

Ora però i tempi stringono. L’Iran sta accelerando il suo posizionamento in Siria e moltiplica gli sforzi per mantenere Assad al potere. Gli attacchi ai gruppi ribelli siriani posizionati nei punti strategici per Teheran si stanno moltiplicando. ISIS viene sostanzialmente ignorato salvo quando occupa quei territori necessari agli iraniani per creare il famigerato corridoio con il Libano. La divisione della Siria in aree di influenza non è più un tabù purché a Damasco rimanga Assad in modo da garantire legittimazione alla presenza russa e iraniana in Siria. Pure la Turchia si trova d’accordo con questa linea a condizione che possa espandere la sua influenza sul Kurdistan siriano.

Cosa ci aspetta quindi adesso? Probabilmente ci aspetta una accelerazione sia sul fronte della guerra allo Stato Islamico, più che altro da parte della coalizione a guida americana, che sul fronte della guerra alla galassia dei gruppi ribelli siriani non legati a ISIS, una guerra tutta iraniana (sempre con il costante aiuto di Hezbollah). Da un lato si vogliono chiudere i conti con lo Stato Islamico per togliere legittimità alla presenza russo-iraniana in Siria. Dall’altro si vuole invece prendere possesso stabilmente di quei territori indispensabili a Teheran per portare a compimento il piano degli Ayatollah. Ma per farlo Assad deve rimanere a Damasco.

Ecco perché se fino ad oggi Israele si è tenuto alla larga dal pantano siriano e sostanzialmente non ha mai fatto nulla per abbattere Assad, ora non può più farlo. Il rischio che l’esercito iraniano (o chi per lui) si posizioni stabilmente al confine con Israele e che riesca a creare quel pericolosissimo corridoio tra Teheran e Beirut è troppo forte per essere sottovalutato. Ora per Israele la caduta di Assad diventa quindi quasi una priorità.
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Re: Siria

Messaggioda Berto » mer lug 26, 2017 8:05 am

"E la Siria?" - Un punto sulla situazione in Siria
pubblicato su ” Osservatorio sulle Comunità Cristiane in Medioriente”
25/07/2017
Mario Villani

http://www.vietatoparlare.it/la-siria-u ... ione-siria


Il silenzio dei mass media su questo Paese Mediorientale ha un solo significato: Assad sta vincendo.

Capita talvolta che un argomento che ha tenuto banco sui mass media per mesi ed anni, improvvisamente scompaia dalle cronache dei mezzi cosiddetti di informazione e cada nell’oblio. Generalmente quando questo avviene vi è una ragione ben precisa: le cose non stanno andando come i cosiddetti “poteri forti” avevano pianificato e l’operazione di camuffamento della realtà attraverso una valanga di menzogne si presenta troppo ardua e rischiosa persino per chi ha il controllo del 90% dei mezzi di informazione occidentali.

È quanto sta avvenendo in Siria. Per anni giornali e televisioni ci hanno detto che il feroce dittatore Assad stava per essere sconfitto da ribelli desiderosi di dare alla Siria una vera democrazia. Corrispondenti televisivi, con le lacrime agli occhi, ci hanno descritto le nefandezze di un regime che, pur di sopravvivere utilizzava le armi chimiche contro il proprio stesso popolo, gassando vecchi, donne e bambini e costringendo milioni di persone a fuggire dal paese.

Nello stesso tempo tutti i commentatori ci hanno sempre assicurato che i ribelli “buoni”, con l’aiuto delle nazioni occidentali e di quegli straordinari esempi di democrazia che sono il Qatar e l’Arabia Saudita, avrebbero prima o poi rovesciato il dittatore restituendo la libertà al popolo siriano.

Una favola sempre più difficile da sostenere a fronte di all’emergere di una realtà ben differente, ma che giornalisti di tutto il mondo hanno continuato a raccontare fino a pochi mesi fa. Poi il silenzio. Perchè? Semplicemente perché il “feroce dittatore”, avversato da USA, Europa, Arabia Saudita, Turchia, Giordania e Paesi del Golfo sta vincendo sia sul piano militare che su quello politico.

Sul piano militare l’Esercito Siriano, appoggiato dagli Hezbollah libanesi e da volontari sciiti iracheni (e probabilmente iraniani), sta riguadagnando il terreno perduto negli anni fino al 2015.

Aleppo ormai è completamente libera. Palmira è stata ripresa e proprio da Palmira è partita l’offensiva che, avanzando verso est, dovrebbe arrivare a rompere l’assedio della città chiave di Der Ezzor. Le forze siriane sono infatti alle porte di Sukhanà, ultimo grande centro tenuto dall’ISIS sulla strada appunto per Der Ezzor. Da nord stanno invece calando i formidabili combattenti della Forza Tigre che hanno riconquistato, partendo da Aleppo migliaia di chilometri quadrati di territorio.

Attorno a Damasco è rimasta una sola grande sacca controllata dagli islamisti, ma le sue dimensioni si stanno riducendo giorno dopo giorno. Anche a sud, nelle regioni da Daraa e Quneitra, malgrado l’appoggio di Usa (e Israele), i cosiddetti ribelli stanno perdendo terreno. La circostanza è significativa perché ancora pochi mesi fa i ribelli sembravano sul punto di conquistare la capitale provinciale di Daraa e da qui marciare verso Damasco che dista meno di cento chilometri. Di questi giorni infine è l’inizio di una operazione congiunta esercito siriano, hezbollah, esercito libanese per riconquistare quella porzione di territorio montagnoSO posto a cavallo tras Siria e Libano chiamato Qalamoun e controllato da varie formazioni islamiste fin da 2013.

Bashar Assad però non sta vincendo solo sul piano militare, ma anche su quello politico e persino dell’immagine. Il fronte internazionale che si era creato contro di lui è ormai a pezzi e quasi più nessuno pretende le sue dimissioni (salvo la Mogherini, ma questo è insignificante come insignificante è l’Europa).

Alcuni Stati non fanno più mistero di collaborare con lui e non mi riferisco solo a Russia e Iran, ma a nazioni come l’Egitto ed il Libano. L’offensiva congiunta tra siriani e libanesi sul Qalamoun a cui accennavo prima è sicuramente molto significativa in questo senso (benchè l’esercito libanese tenga un profilo basso anche a causa di cronici problemi di armamento). Il rientro di migliaia di profughi che vanno a ripopolare i villaggi e le città mano a mano che vengono liberate dall’esercito sono la smentita più clamorosa alla bufala secondo la quale i Siriani scappavano da Assad.

Cosa ha provocato questo rovesciamento della situazione? Molteplici fattori.

Prima di tutto l’intervento diretto della Russia. L’appoggio aereo della RUAF è stato sicuramente un elemento decisivo anche se condotto solo da una trentina di apparecchi. Altrettanto decisivo è stato però la riorganizzazione dell’esercito siriano condotta da esperti militari russi. Solo per fare un esempio la Quinta Legione che ha ripreso Palmira e che guida la marcia verso Der Ezzor è stata addestrata ed armata da consiglieri militari russi.

Forse ancor più importante è stato però l’appoggio diplomatico, condotto da quel gigante della diplomazia russa che è il Ministro Lavrov, sicuramente il più intelligente e preparato di tutti i Ministri degli Esteri del mondo. La diplomazia russa è riuscita a dividere il fronte dell’opposizione armata ed a paralizzare le velleità americane di un intervento diretto più massiccio di quello che è in atto. E’ riuscita inoltre far fallire tentativi di provocazioni e false flag come fasulli attacchi con il gas.

A fianco dell’intervento russo (ed in misura minore di quello iraniano) a far pendere l’ago della bilancia a favore di Assad sono state anche le divisioni tra le formazioni guerrigliere e, soprattutto, tra i loro padrini internazionali. Siamo al punto che i combattenti sostenuti dalla Turchia (paese NATO) si stanno scontrando ferocemente con quelli sostenuti dagli USA (parimenti paese NATO) mentre gli islamisti sponsorizzati dall’Arabia Saudita stanno combattendo in quel di Idleb contro quelli sostenuti dal Qatar.

Si va quindi verso la conclusione del conflitto siriano? Personalmente non sono ottimista. Credo che si vada verso la fine di una fase della guerra in Siria e non della guerra stessa. I nodi sono ancora troppi, gli appetiti paurosamente scatenati ed il buon senso latitante. Temo potremo assistere, al contrario, ad una vera e propria escalation con l’intervento sul campo di quelle forze che fino ad oggi hanno agito prevalentemente per interposta persona. Speriamo che san Marone ed il Ministro Lavrov facciano il miracolo.
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Re: Siria

Messaggioda Berto » mer lug 26, 2017 8:14 am

TRUMP METTE FINE AL SOSTEGNO AI TERRORISTI SIRIANI (CHE OBAMA DEFINI' MODERATI)
25 luglio - WASHINGTON

http://www.ilnazionalista.it/index.php? ... M.facebook

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato ieri di avere messo fine al programma Usa di sostegno ai ribelli siriani, perché ''massiccio, pericoloso e dispendioso''. ''L'Amazon Washington Post ha fabbricato i fatti sulla fine da me decisa dei massicci, pericolosi e dispendiosi aiuti ai ribelli siriani che combattono Assad .....'' ha scritto il presidente su Twitter, annunciando la decisione e, allo stesso tempo, rispondendo con un nuovo atto d'accusa al quotidiano, che aveva pubblicato un articolo dal titolo ''La cooperazione con la Russia diventa centrale nella strategia di Trump in Siria''. La testata giornalistica è da sempre schirata con il partito Democratico. Quindi difende le decisioni di armare i terroristi siriani non a caso definiti ''moderati'' prese da Obama. Con quelle decisioni, Obama alimentò enormemente la guerra civile in Siria, e permise l'arrivo dell''isis, con la catastrofe che ne è seguita.
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Re: Siria

Messaggioda Berto » mer set 13, 2017 8:31 pm

Israele mostra i muscoli: parlare a nuora perché suocera intenda
Written by Sarah G. Frankl|
04/09/2017

http://www.rightsreporter.org/israele-m ... ra-intenda


Ieri la stampa internazionale ha diffuso la notizia che Israele ha dato il via alla più grande esercitazione militare degli ultimi anni, forse la più grande di sempre. Lo scenario ipotizzato dai “giochi di guerra” è quello di una invasione dal nord, cioè dal Libano e dalle Alture del Golan.

Nelle esercitazioni che prenderanno il via oggi e dureranno fino al 14 settembre saranno impiegati decine di migliaia di soldati e vedranno la partecipazione di tutti i corpi armati israeliani, esercito, aviazione, marina e servizi segreti.

Quella di Israele non è solo una delle più grandi esercitazioni militari di sempre, è una vera e propria prova di forza per mostrare ad Hezbollah cosa succederebbe in caso di un attacco da parte dei terroristi libanesi allo Stato Ebraico. Ma soprattutto è un messaggio all’Iran che con sempre più decisione si sta posizionando in Siria con l’intenzione di aprire un nuovo fronte contro la piccola democrazia israeliana.

E a tal riguardo non è secondaria la scelta di coinvolgere nell’esercitazione anche una certa quantità di riservisti, non solo per coinvolgere anche questi nell’esercitazione ma per dimostrare al nemico che in brevissimo tempo l’esercito israeliano è in grado di passare da 150.000 a oltre 750.000 effettivi da schierare sui vari fronti.

È un po’ come parlare a nuora perché suocera intenda, parlare a Hezbollah perché Teheran intenda che non sarà per niente facile attaccare Israele. È una esercitazione muscolare che mette in campo tutte le armi ad alta tecnologia in mano all’esercito israeliano, armi di cui né Hezbollah né gli iraniani possono disporre.





Quando Israele distrusse il reattore nucleare di Assad
Rebecca Mieli
06 settembre 2017
http://www.progettodreyfus.com/operazio ... ia-israele


Operazione Orchard (frutteto). Nel 2007, mentre il Consiglio di Sicurezza ONU varava diverse risoluzioni contro l’Iran a causa delle attività di arricchimento dell’Uranio su scala industriale, un’altra nazione attirò l’attenzione di Israele per le attività compiute nel medesimo ambito.

Israele scoprì che la Siria stava costruendo un reattore nucleare: già dal 2002 il Mossad aveva intercettato una serie di conversazioni tra la Corea del Nord e la Siria riguardante una collaborazione in ambito nucleare, ma solo nel 2007 emersero i dati lampanti della costruzione di un reattore nucleare clandestino per la produzione di plutonio, nella regione del Dayr az Zawr (a 140 km di distanza dal confine iracheno, sulla sponda est dell’Eufrate).

La sorpresa di tale scoperta derivò da una parte dalla grande enfasi con cui Israele aveva cercato di mettere sotto i riflettori della comunità internazionale il programma nucleare iraniano, che in quel momento sembrava la minaccia più preoccupante e che aveva finito per monopolizzare l’attenzione dei servizi segreti; dall’altra dalla scarsa fiducia riposta nelle capacità di leadership di Bashar Al-Assad, che aveva preso le redini del paese alla morte del padre ma che non era considerato alla sua altezza.

Israele non si concentrò con sufficiente attenzione sulla cooperazione tra Siria e Corea Del Nord, pensando, da un lato, che la crisi economica e l’arretratezza siriana avrebbero tenuto il nuovo leader lontano dall’impegnarsi in una costosa nuclearizzazione del paese, e dall’altro che la lunga serie di visite di Ahmadinejad e Mohsen Fajgrizadeg-Mahabadi a Damasco fossero soltanto una successione di occasioni per rinnovare un’alleanza già consolidata da anni.

Il dibattito tra le forze militari, l’intelligence e il governo israeliano si tradusse in un vano tentativo di chiedere l’assistenza statunitense per la distruzione del reattore di Al-Kibar. Bush si oppose fermamente alle richieste di Olmert, che dopo una serie di fallimenti politici avrebbe avuto l’occasione di riconquistare la fiducia del paese.

Il presidente statunitense non volle in alcun modo partecipare ad un ennesimo attacco contro un paese arabo. Per questo motivo il leader israeliano convocò un team di specialisti militari e scienziati per valutare l’ipotesi di un attacco militare.

Ignorare il reattore avrebbe significato la nascita di un “nuovo Iran” in Siria, una nazione ostile nuclearizzata e fuori controllo, ma questa volta al confine con Israele. Il reattore, probabilmente solo all’inizio della costruzione, venne valutato da Israele come un simbolo per impressionare i paesi vicini, non certo come l’avvio di un programma nucleare con fini non pacifici, ma l’implicita accettazione della presenza di questo sito avrebbe comportato la costruzione di altri reattori in ulteriori nazioni arabe.

Olmert era comunque determinato ad attaccare: voleva ripristinare in pieno il senso della missione difensiva dell’esercito israeliano, demoralizzato dall’esito della guerra in Libano, e voleva inviare un segnale netto e deciso ad Ahmadinejad, che si stava approssimando a iniziare il secondo mandato come leader dell’Iran. Dopo una serie di incontri tra Israele e Stati Uniti, Bush accettò l’idea che il reattore siriano rappresentasse una minaccia all’esistenza di Israele, e che in questo caso un attacco militare potesse essere giustificato.

Olmert decise di rafforzare la propria posizione con un ultimo incontro negli Stati Uniti, dove avvertì Bush dell’attacco imminente, ricordandogli di come l’attacco contro il reattore nucleare iracheno di Osirak (1981) fosse stato in un primo momento condannato dall’amministrazione Reagan per poi essere invece ritenuto di fondamentale ausilio solo dieci anni dopo, in occasione della la Guerra del Golfo.

Nella notte tra il 5 e il 6 Settembre del 2007 l’aviazione israeliana entrò nello spazio aereo siriano e bombardò il reattore, portando a termine la missione con successo. Il presidente Olmert ottenne una delle più importanti vittorie della sua carriera, mostrando una determinazione che non era emersa durante la guerra libanese e riuscendo in una delle operazioni militari più critiche della storia dello stato ebraico.

Tratto da L’EFFETTO DEL PROGRAMMA NUCLEARE IRANIANO SUL DIBATTITO POLITICO IN ISRAELE, di Rebecca Mieli




Israele ha attaccato una base militare di Assad in Siria
Ci sono due morti e secondo l'opposizione siriana è stato colpito un centro per le armi chimiche
giovedì 7 settembre 2017

http://www.ilpost.it/2017/09/07/attacco ... i-chimiche


Un portavoce dell’esercito siriano di Bashar al Assad ha detto che questa mattina Israele ha attaccato una base militare delle forze legate al dittatore siriano Bashar al Assad nei pressi della città di Masyaf, nell’ovest del paese, uccidendo due soldati siriani. L’attacco, dice la Siria, è stato condotto con alcuni missili lanciati dallo spazio aereo libanese e ha prodotto gravi danni alla base. Israele, come già fatto in passato, non ha confermato l’attacco, di cui hanno parlato però anche diverse fonti legate all’opposizione siriana, che sostengono inoltre che sia stato colpito un centro per la produzioni di armi chimiche.

Negli ultimi anni del conflitto in Siria, Israele ha spesso attaccato segretamente convogli militari siriani o basi legate ad Hezbollah, storico rivale di Israele che negli si è ritagliato un ruolo molto importante nella guerra in Siria. Come ha fatto notare Amos Harel, un giornalista di Haaretz che si occupa spesso di sicurezza e operazioni militari, ieri le forze israeliane hanno invece preso di mira una base governativa.

Harel ipotizza che l’attacco sia stato «una specie di segnale di protesta contro le potenze del mondo»: a luglio infatti Russia e Stati Uniti si sono accordati per imporre una tregua nella regione di confine della Siria sud-occidentale senza tener conto delle obiezioni del governo israeliano (che teme un nuovo impegno di Heezbollah nell’area fra Siria e Israele).

In questi giorni, fra l’altro, Israele sta conducendo una delle più grandi esercitazioni militari degli ultimi 20 anni proprio nel nord del paese. Ieri i media libanesi avevano parlato di aerei israeliani nello spazio aereo del Libano, ma non è chiaro se la cosa sia collegata agli attacchi di questa mattina o alle esercitazioni militari in corso.











Gli iraniani alle porte
Senza allentamento delle sanzioni, Teheran non avrebbe potuto nemmeno sognare di investire enormi risorse finanziarie e militari nell’edificazione di un nuovo impero persiano
Di Avi Issacharoff
Times of Israel, 3.9.17

http://www.israele.net/gli-iraniani-alle-porte

A meno di grossi cambiamenti, Israele rischia di trovarsi avviato verso un altro scontro violento lungo il suo confine settentrionale, questa volta contro truppe iraniane o combattenti sostenuti dall’Iran e dotati di missili su ordine da Teheran.

La scomparsa dello Stato Islamico (ISIS) da vaste porzioni della Siria, unita alla mancanza di interesse (o di volontà) da parte delle superpotenze di rimuovere Assad dal potere, stanno aprendo la strada al controllo iraniano dei territori fino a poco tempo fa tenuti dal gruppo jihadista. Allo stesso tempo, un enorme numero di combattenti Hezbollah fedeli all’Iran si sono trincerati nel Libano meridionale, sia in postazioni ben visibili sia in punti d’osservazione spacciati per “osservatori a scopi ambientali”, stando a quanto riferiscono gli ufficiali israeliani. Israele non potrà tolleralo a lungo. La presenza di forze sciite al confine, siano esse Hezbollah o altre milizie sostenute dall’Iran, unita agli sforzi dell’Iran di far affluire armamenti in grado di alterare gli equilibri militari, segnalano che l’era della calma che Israele ha goduto dopo la guerra contro Hezbollah dell’estate del 2006 sta arrivando al capolinea.

All’inizio di questo mese il nuovo ministro della difesa iraniano ha dichiarato che il suo paese ha privilegiato il potenziamento del proprio programma missilistico e l’esportazione di armi per puntellare i vicini alleati. “Quando un paese diventa debole, altri sono incoraggiano ad attaccarlo – ha detto il generale Amir Hatami, senza specificare di quali paesi stesse parlando – Dovunque sia necessario, esportiamo armi per aumentare la sicurezza della regione e di singoli paesi, per evitare guerre”.

Gerusalemme ha messo in guardia contro gli sforzi iraniani di creare strutture per la produzione di missili in Libano. Il ministro della difesa Avigdor Liberman ha detto al Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, nel loro incontro in Israele alla fine di agosto, che l’Iran sta “lavorando per creare fabbriche per produrre armi di precisione all’interno dello stesso Libano”. Liberman non ha minacciato esplicitamente di attaccare le fabbriche di missili iraniani in Libano, ma ha affermato che “il governo libanese e i cittadini del Libano meridionale devono sapere” che Israele sarà costretto a reagire con determinazione e potrebbe essere trascinato in futuri conflitti. La presenza di progetti per almeno due stabilimenti iraniani per la produzione di missili è stata rivelata da Israele all’inizio dell’estate. A fine agosto il primo ministro Benjamin Netanyahu ha detto a Guterres che l’Iran è coinvolto anche nella costruzione di un’altra base missilistica in Siria. Non è ancora il momento di correre nei rifugi. A quanto risulta l’Iran non ha ancora iniziato a costruire gli impianti missilistici, verosimilmente destinati a produrre missili più potenti e più precisi di quelli nell’attuale arsenale di Hezbollah. Ma non ci vorrà molto tempo. I contratti tra la Siria e il Libano da una parte e l’Iran dall’altra per creare le fabbriche sono quasi completati, cosi come un accordo che permetterà all’Iran di costruire un porto in Siria, guadagnandosi un accesso diretto al Mediterraneo.

Perché tutte queste carte notarili? Secondo i funzionari israeliani, l’Iran sta cercando di adottare il modello usato dalla Russia quando si è assicurata il permesso di piazzare un porto a Tartus, cosa che venne fatta con l’approvazione di entrambi i rami del parlamento secondo modalità che supererebbero anche l’esame di un tribunale internazionale. Questi contratti possono essere annullati solo con l’accordo di entrambe le parti. Anche gli iraniani vogliono assicurarsi il loro porto marittimo, ed ecco perché stanno prestando un’attenzione così meticolosa agli aspetti legali.

L’investimento iraniano non si limita al porto marittimo e agli impianti per la produzione di razzi. Teheran investe molti denari e risorse anche in vari progetti economici in Siria, da una rete per cellulari alle estrazioni minerarie. Assad, consapevole che questo è l’unico modo per garantire la sopravvivenza della sua dinastia alawita, ha dato la sua benedizione. Per ora la presenza militare iraniana in Siria si limita ufficialmente ai “consiglieri” della Guardia Rivoluzionaria. Ma si tratta di qualcosa di molto più consistente se si tiene conto delle molte migliaia di sciiti sparsi in tutta la Siria che sono a libro-paga di Teheran. Hezbollah, la milizia più fedele all’Iran, ha già schierato in Siria in modo permanente un terzo delle truppe da combattimento che ha a disposizione, e nonostante le gravi perdite subite sembra non avere alcuna intenzione di lasciare il paese nel futuro prevedibile.

In Libano, dove il denaro è nelle mani di grandi e ben note famiglie di affaristi sunniti e cristiani, gli iraniani sono meno interessati a investire in infrastrutture e vogliono solo costruire l’impianto per produrre missili di precisione. Il primo ministro libanese Saad Hariri – il cui governo comprende anche Hezbollah sebbene egli abbia accusato la Siria, alleata di Hezbollah, d’aver assassinato suo padre Rafik Hariri il 14 febbraio 2005 – è troppo debole per affrontare Hezbollah e i suoi sostenitori.

Mentre Teheran investe enormi risorse per trasformare la Siria in una provincia iraniana, gli Stati Uniti e la Russia hanno deciso di trascurare questo dramma che altera profondamente la regione. I russi sono gli unici che potrebbero veramente fare la differenza. Ma non hanno alcuna intenzione di farlo. È vero il contrario: per loro, la presenza di migliaia di sciiti servirà a puntellare il regime di Assad. L’incontro del mese scorso a Sochi tra Netanyahu e il presidente russo Vladimir Putin probabilmente non cambierà di molto questa aritmetica. La Russia vuole vedere Assad rafforzato, anche se questo significa consentire a Teheran di farlo.

Washington avrebbe potuto fare pressione sulla Russia. Ma il presidente Donald Trump, in tutt’altre faccende affaccendato, ha scelto di ignorare ciò che sta succedendo in Siria: una scelta di per sé assai pericolosa. A fine agosto il quotidiano Asharq al-Awsat ha riferito che gli Stati Uniti hanno ceduto con la Russia su diverse questioni, durante i recenti colloqui ad Amman sul cessate il fuoco nella Siria meridionale e presso le alture del Golan. In primo luogo, gli americani hanno convenuto che spetterà agli ispettori russi monitorare l’attuazione del cessate il fuoco e farsi “giudici” nei conflitti tra le forze filo-Assad e filo-Iran e i loro avversari: in pratica, come lasciare i topi a guardia del formaggio. In secondo luogo, gli americani hanno accettato che le milizie sciite (filo-iraniane) si schierino fino a 10 miglia (16 km) dal confine con la Giordania e il Golan israeliano, e non a 20 miglia (32 km) come Washington e Amman avevano inizialmente chiesto. Secondo il reportage, in alcuni punti la zona cuscinetto si ridurrà addirittura a cinque miglia (8 km). Se la notizia è vera, non si può fare a meno di pensare che l’amministrazione Usa sta voltando le spalle alle più elementari esigenze di sicurezza di Israele su questo fronte.

Ma non è solo colpa di Trump. I massicci investimenti dell’Iran sono evidentemente il risultato della maggiore stabilità finanziaria raggiunta dal paese grazie all’accordo sul nucleare iraniano sottoscritto dal predecessore di Trump, Barack Obama. Il budget delle forze armate iraniane è ora di 23 miliardi di dollari e le Guardie Rivoluzionarie hanno visto un balzo del 40% del loro bilancio rispetto allo scorso anno. Senza l’allentamento delle sanzioni, Teheran non si sarebbe mai potuta nemmeno sognare di lanciarsi nell’edificazione di un nuovo impero persiano esteso dallo Yemen al Libano, passando per l’Iraq e la Siria.
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Re: Siria

Messaggioda Berto » mer set 13, 2017 8:32 pm

Forse Putin ha scoperto l’inganno iraniano in Siria (ma noi non ci fidiamo)
Written by Gabor H. Friedman|
11/settembre 2017

http://www.rightsreporter.org/forse-put ... ci-fidiamo

Medio Oriente (Rights Reporter) – Forse il Presidente russo, Vladimir Putin, ha capito l’inganno iraniano in Siria, ha capito che Teheran ha usato l’intervento russo in soccorso di Assad solo ed esclusivamente come mezzo per potersi posizionare in Siria e creare un corridoio diretto di soccorso a Hezbollah che vada dall’Iran al Libano.

A far pensare questo è un articolo scritto da Ronen Bergman, corrispondente da Mosca del quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, giornalista generalmente ben introdotto negli ambienti diplomatici russi che gli forniscono molto spesso notizie di primissima mano.

Secondo Bergman Putin avrebbe “vivamente consigliato” ad Assad di non rispondere ai presuti attacchi israeliani sulla Siria con particolare riferimento all’ultimo presunto attacco a una fabbrica di missili e agenti chimici avvenuto la settimana scorsa.

Stando a quanto riferisce questa mattina Ronen Bergman nel suo articolo da Mosca, in una conversazione telefonica tra lui e un alto funzionario russo (chiaramente anonimo) quest’ultimo gli avrebbe rivelato che Putin ha sollecitato il dittatore siriano, Bashar al-Assad, a non attuare ritorsioni contro Israele a seguito dei presunti attacchi israeliani in Siria.

“Se Iran ed Hezbollah superano i loro limiti nel coinvolgimento in Siria li sopprimeremo”

Lo stesso funzionario ha detto al giornalista israeliano che «la Russia è consapevole delle preoccupazioni israeliane in merito alle azioni dell’Iran e di Hezbollah in Siria» rassicurando sul fatto che Mosca impedirà a Teheran di creare un “punto di appoggio” sulle Alture del Golan. «Se Iran ed Hezbollah superano i loro limiti nel coinvolgimento in Siria li sopprimeremo» ha detto l’alto funzionario russo a Ronen Bergman.

Il funzionario russo ha poi confermato che l’argomento principale dell’ultimo incontro tra Putin e Netanyahu, al quale ha partecipato anche il Direttore del Mossad Yossi Cohen, è stato proprio l’atteggiamento iraniano in Siria volto unicamente a rafforzare significativamente la presenza iraniana in territorio siriano. Putin sarebbe rimasto colpito dalle prove presentate dal Mossad le quali confermano che l’Iran ha posizionato un cospicuo numero di uomini appartenenti alle Guardie della Rivoluzione (i pasdaran) unitamente a uomini delle milizie sciite provenienti dal Pakistan e dall’Iraq in prossimità delle Alture del Golan. Secondo il funzionario russo, a seguito delle prove presentate dal Mossad, Putin si sarebbe convinto che i piani iraniani a lungo termine per la Siria e per il Medio Oriente non includono la Russia.

Infine il funzionario russo avrebbe elogiato il coordinamento di sicurezza tra Israele e Russia per quanto riguarda le azioni aeree in Siria. Il fatto di poter comunicare direttamente e tempestivamente attraverso una linea diretta e criptata che va dalla base aerea di Khmeimim in Siria (gestita dai russi) al centro di comando della IAF di Tel Aviv, ha contribuito a evitare incresciosi incidenti tra le forze aeree russe e quelle israeliane che avrebbero potuto provocare vittime da ambo le parti.

Ora, a prescindere dalle parole del funzionario russo, parole che fanno senza dubbio piacere e fanno ben sperare per il prossimo futuro, noi continuiamo a non fidarci di Putin. Questa intervista ci sembra tanto uno spot a Putin che però continua ad avere con l’Iran rapporti decisamente preferenziali. Possiamo ragionevolmente credere al fatto che la Russia abbia sconsigliato ad Assad di avviare ritorsioni contro Israele, ma più per il fatto che ne rimarrebbe bruciato che per altro. Non crediamo che la Russia sia all’oscuro dei piani iraniani, non ci crediamo perché tutto quello che avviene sul territorio siriano è sotto la lente di ingrandimento dei servizi russi ed è molto (ma molto) improbabile che quanto riferito a Putin dal Mossad non fosse già a conoscenza del Presidente russo. L’unica cosa a cui possiamo credere è che Putin sia rimasto sorpreso del fatto che anche al Mossad ne fossero a conoscenza.
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Re: Siria

Messaggioda Berto » gio mar 01, 2018 1:26 pm

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Re: Siria

Messaggioda Berto » gio mar 01, 2018 1:26 pm

Il parroco di Damasco: i "ribelli" bombardano noi e uccidono i civili di Ghouta
2018/3/1
Nell'enclave in mano ai ribelli a pochi chilometri da Damasco, la zona di Goutha, i civili sono vittime dei bombardamenti ma anche degli stessi ribelli. Ce ne parla MUNIR HANASHY 01 marzo 2018 INT. Munir Hanashy

http://www.ilsussidiario.net/News/Ester ... uta/809148

A comando, l'indignazione del mondo occidentale si alza. Da quando l'astuta menzogna della politica estera di Barack Obama ha dipinto il presidente siriano Assad come un dittatore da eliminare come già fatto con Gheddafi, basta un colpo di bacchetta e la scena si ripete. Foto di bambini morti, gente travolta dalle macerie di case bombardate, gas chimici che avrebbero fatto addirittura una vittima (un bombardamento con gas chimici, se veramente fosse stato tale, di vittime ne avrebbe fatte a migliaia), titoli a lettere giganti del tipo "L'inferno di Goutha, duemila morti nel silenzio del mondo". Nessuno nega che nell'enclave di Goutha, a pochi chilometri da Damasco, una delle ultime zone rimaste in mano ai ribelli anti-Assad tra cui la gran parte sono miliziani di al Qaeda, sostenuti e armati da sempre dagli Stati Uniti, ci siano vittime civili; ma forse, come ci ha detto padre Munir Hanashy, parroco a Damasco (raggiunto al telefono dopo ore di bombardamenti sulla capitale siriana da parte dei "ribelli") sarebbe ora di ammettere che ci sono due facce alla medaglia dipinta da Obama e dal suo successore Trump, il cui unico interesse è sempre stato eliminare Assad in quanto alleato di russi e iraniani.

Padre Munir, ci giungono notizie di stragi immani tra i civili che si trovano nella zona di Goutha, massacrati dai bombardamenti dell'esercito governativo, che cosa ci può dire della situazione?

Io vorrei pregare voi giornalisti occidentali di smettere di dipingere quello che accade in Siria da anni e anche adesso come una strage di innocenti voluta dal governo siriano.

Perché, invece di cosa si tratta?

Date tutte e due le facce della medaglia, per favore. Fate lo sforzo di conoscere la nostra realtà e dipingetela senza menzogne.

Ci spieghi.

Non c'è solo Goutha dove la gente muore. Di quello che succede qui a Damasco non parla nessuno ma sono settimane che siamo sotto alle bombe dei ribelli. Le scuole sono chiuse, la vita sociale ed economica è paralizzata, siamo stati fino a pochi minuti fa sotto ai colpi di mortaio provenienti da Goutha, dai ribelli.

Staranno cercando di difendersi dagli attacchi.

Ma noi a Damasco sono anni che siamo attaccati, lei pensa che un governo che ha a cuore i suoi cittadini possa non reagire e cercare di spazzare via questi cosiddetti ribelli e cercare di difenderci? Non sono neanche più colpi di mortai, hanno imparato a fabbricare missili e ci colpiscono con quelli.

Di mezzo ci vanno i civili di entrambe le parti, no?

Purtroppo, ma nessuno dice che appena è cominciata la tregua proposta da Putin e sono stati aperti i corridoi umanitari, i civili di Goutha che cercavano di fuggire sono stati presi di mira dai cecchini ribelli. O che molti civili sono siriani rapiti che vengono rinchiusi in gabbie messe lungo il confine così che il nostro esercito non possa bombardare. Loro usano scudi umani, lo hanno sempre fatto in questa guerra, anche ad Aleppo.

Dunque lei, anche da sacerdote cristiano, non ritiene che l'esercito governativo stia esagerando in questa offensiva?

In questo esercito ci sono i nostri figli, ci sono i ragazzi della mia parrocchia. Purtroppo dove ci sono gruppi terroristici, questi vanno bombardati. Il governo siriano ha proposto più volte a questa gente di lasciar andar via i civili, ma non vogliono. Da anni soffriamo morte e distruzioni da parte di questi gruppi, è ora che finisca.

Certo le sue parole danno una visione diversa di quello che scrive la stampa occidentale…

Io sono direttore delle scuole salesiane di Damasco, quante volte ho dovuto dire ai ragazzi andate a nascondervi, chiudiamo la scuola perché ci bombardano. Ma questo nessuno di voi lo ha mai scritto, Damasco è una città di otto milioni di persone che vivono nel terrore. Scrivete la verità: i cattivi non siamo noi, il nostro esercito cerca solo di difenderci. Il sangue degli innocenti ricade sulle milizie dei ribelli.
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Re: Siria

Messaggioda Berto » sab mar 17, 2018 5:39 pm

La caduta di Ghouta minaccierebbe Israele, gli interessi statunitensi e l’Occidente
16 marzo 2018
Di Muhammed Ruzgar
(Da: Jerusalem Post, 14.3.18)

https://www.israele.net/la-caduta-di-gh ... loccidente

Nessuno dei gruppi che combattono a Ghouta è internazionalmente considerato terroristico ma, per i loro inconfessabili obiettivi, Teheran e Mosca insistono a dire che si tratta di "terroristi"

Muhammed Ruzgar è lo pseudonimo con cui si firma l’attivista e giornalista siriano autore di questo articolo

Lo scorso 19 febbraio il regime siriano e le milizie russe e iraniane hanno lanciato la loro più feroce campagna di bombardamenti su Ghouta orientale, l’unica roccaforte dell’opposizione intorno a Damasco. Giorni fa le forze del regime e le milizie, appoggiate dai jet russi, hanno iniziato una massiccia operazione di terra e questa settimana sono riusciti a dividere Ghouta orientale in due parti. A causa del sistematico bersagliamento dei civili – un metodo usato spesso e volentieri dal regime e dai suoi alleati – dal 19 febbraio sono stati uccisi più di 650 civili, secondo i dati compilati dagli White Helmets, un gruppo di aiuto.

Se Ghouta orientale cade, questo fatto significherà inevitabilmente e necessariamente due cose. La prima è che l’Iran sarà padrone di Damasco, e questo si traduce in una minaccia costante per Israele. La seconda è che gli Stati Uniti perderanno la Siria a vantaggio della Russia. Pertanto l’impatto dell’operazione Ghouta comporta conseguenze che vanno ben al di là di Damasco.

L’intervento iraniano in Siria è iniziato con l’inizio stesso della rivoluzione contro il dispotismo del regime di Assad. Negli ultimi anni, l’Iran ha assunto il ruolo principale nel rendere il regime capace di reggere la lotta contro l’opposizione, e poi con la Russia ha garantito il recupero da parte del regime di vaste aree che aveva perduto. In particolare, l’Iran ha contribuito alla conquista della maggior parte della regione di Damasco, di Quneitra e la parte settentrionale della regione di Daraa. Ora un numero enorme di truppe e milizie iraniane sono vicine al confine israeliano generando una grande e diretta minaccia a Israele. L’Iran ha anche attaccato i gruppi dell’opposizione nel deserto siriano, riuscendo ad aprire una strada che si allunga da Teheran a Beirut.

Sia l’Iran che la Russia vogliono conquistare Ghouta orientale, ciascuno per sue proprie motivazioni. Ghouta orientale è l’ultima roccaforte dell’opposizione nell’area di Damasco. Vi si trova un gran numero di combattenti organizzati, senza che vi sia nessuna presenza dell’ISIS e solo un numero molto limitato di combattenti Nusra (HTS). Si stima che vi siano solo 300 combattenti Nusra, ai quali gli altri gruppi non permettono di prendere parte ai combattimenti. A Ghouta orientale sono attivi tre gruppi principali così composti. Innanzitutto, Jaish al-Islam che dispone di circa 11.000 combattenti. Questo gruppo ha combattuto contro l’ISIS uccidendone molti affiliati ed espellendo i rimanenti. Grazie a questa azione, Ghouta è diventata la prima area dell’opposizione completamente sgombra dall’influenza dell’ISIS. Jaish al-Islam è anche riuscito a indebolire Nusra tenendoli continuamente sotto pressione. Il secondo gruppo è Faylaq Rahman, che conta circa 10.000 combattenti. Il terzo gruppo principale è Ahrar al-Sham, con circa 6.000 combattenti. Nessuno di questi gruppi è considerato a livello internazionale un’organizzazione terroristica. Tuttavia, la Russia insistite a dire che i gruppi che combattono a Ghouta sono “terroristi”.

Sia la Russia che l’Iran vogliono la caduta di Ghouta orientale, ognuno con le proprie ragioni “logiche” da offrire ai mass-media. Grazie a queste “ragioni”, hanno spietatamente violato la risoluzione 2401 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che chiedeva un cessate il fuoco in tutta la Siria, e in particolare a Ghouta orientale.

Chi controlla cosa, in Siria. Situazione aggiornata a febbraio 2018

Per la Russia, la caduta di Ghouta significa che tutta la città di Damasco cadrebbe sotto il controllo del regime, garantendo alla Russia un’esistenza a lungo termine in Siria e la sicurezza per le sue basi nel centro del paese e sulla costa. La Russia non intende mantenere forze militari vicino a Damasco, ma deve salvare la capitale e tenerla al sicuro per preservare la propria influenza nell’area che si estende da Hama a Homs e poi a ovest fino a Latakia e Tartus, dove ha una base navale. Mosca è riuscita a proteggere le aree settentrionali di questa linea di controllo attraverso i colloqui di Astana e gli accordi di de-escalation che ha sottoscritto con Turchia e Iran. Ha anche pattuito il dispiegamento di postazioni di controllo turche a Idlib. La seconda ragione dietro al sostegno russo all’operazione contro Ghouta è che, se tutta la città di Damasco cade sotto il controllo del regime, ciò conferirà al regime e alla Russia una posizione molto forte nei negoziati politici. La Russia ha già cercato di spostare i negoziati siriani da Ginevra a Sochi, sicché la vittoria a Ghouta, se dovesse accadere, darà slancio ai colloqui di Sochi ospitati dalla Russia e farà di Mosca il regista del “processo di pace” in Siria.

L’obiettivo dell’Iran a Ghouta è quello di conquistare l’area e diventare il capo effettivo di Damasco. Un obiettivo è anche quello di prendere il controllo completo della strada Teheran-Beirut, che passa vicino a Ghouta. Ciò garantirà a Teheran il potere di ricattare comodamente Israele e l’Occidente, conferendo a Teheran una posizione di forza nei negoziati sul suo programma nucleare. Allo stesso tempo, agevolerà i piani dell’Iran per il cambiamento demografico in Siria: Teheran ha sempre mirato a trasformare Damasco in una capitale sciita.

L’Iran sta creando un corridoio terrestre sciita sotto il proprio controllo, che arriva fino alle porte di Israele

Gli Stati Uniti dovrebbero preoccuparsi per la pressione che la caduta di Ghouta eserciterà su Dara’a e sui ribelli siriani nella Siria meridionale. Il regime farà seguire all’operazione Ghouta uno spostamento di forze a sud verso Dara’a, vicino alla Giordania. Questo minaccerà l’influenza di Stati Uniti e Regno Unito nel sud della Siria, e minaccerà in particolare la guarnigione di Tanf (Tanaf) che la coalizione a guida Usa mantiene in Siria vicino al confine siro-giordano-iracheno. Il che limiterà l’influenza americana e minaccerà l’area gestita dai partner degli americani che militano tra le forze democratiche siriane e nel PYD curdo a est del fiume Eufrate. L’influenza degli Stati Uniti a est dell’Eufrate, sicurezza e calma incluse, è già compressa dal fatto che la Turchia considera il PYD come parte del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) e quindi una seria minaccia alla sicurezza nazionale della Turchia. Ankara si comporta di conseguenza. Il caso di Afrin mostra che gli alleati degli Stati Uniti nella Siria orientale non sono abbastanza forti per resistere agli attacchi della Turchia. A questo bisognerebbe aggiungere la possibile nuova cooperazione tra Turchia e Russia contro il PYD, cosa che potrebbe istigare la maggioranza araba in Siria contro sia gli Stati Uniti che il PYD, mettendo ulteriormente a repentaglio l’influenza degli Stati Uniti a est dell’Eufrate.

Nella Siria meridionale, Stati Uniti e Regno Unito hanno sostenuto i gruppi ribelli dell’Esercito Libero Siriano. Nel 2017 Stati Uniti, Giordania e Russia hanno firmato un accordo di de-escalation relativo al sud della Siria. Ciò ha alleggerito la pressione sulla presenza e sulle forze iraniane a Dara’a e a Quneitra. Israele ha reagito a tale sviluppo con raid intermittenti per impedire all’Iran di estendere la sua influenza. Ma per ora non sembra che queste misure siano riuscite a fermare l’Iran.

Se Washington e Israele non saranno in grado di agire per difendere Ghouta o almeno per proteggere la parte meridionale della Siria, ciò costerà caro perché la sconfitta di Ghouta farà perdere credibilità agli Stati Uniti nei gruppi di opposizione in Siria. Gli Stati Uniti si troveranno senza un partner in Siria tra i gruppi ribelli. A quel punto anche attacchi aerei contro l’Iran e le postazioni del regime saranno considerate a livello internazionale come una sterile violazione. Dunque, indipendentemente dai massacri commessi dal regime, dalla Russia e dall’Iran, le loro violazioni delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza sono di per sé un motivo per intervenire. Un intervento urgente, oggi, per fermare in Siria l’egemonia russa e l’Iran che rafforza le sue basi, appare dunque come una necessità per la sicurezza israeliana e gli interessi americani.
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Re: Siria

Messaggioda Berto » sab apr 07, 2018 8:18 am

Erdogan e Mogherini vengono allo scoperto. Due facce della stessa medaglia
Gabor H. Friedman
2 aprile 2018

http://www.rightsreporter.org/erdogan-e ... a-medaglia

Quando il capo della diplomazia europea, Federica Mogherini, ha chiesto una indagine indipendente sui drammatici fatti avvenuti al confine tra Israele e la Striscia di Gaza e quando ha paragonato il tentativo di migliaia di arabi di entrare illegalmente in Israele alla stregua di un Diritto, non ne siamo rimasti meravigliati. Ce lo aspettavamo così come, dopo i silenzi sulle stragi di curdi perpetrate da Erdogan, ci aspettavamo che non appena la Mogherini avesse avuto la possibilità di attaccare la democrazia israeliana non avrebbe perso un solo attimo nel farlo.

«La libertà di espressione e la libertà di riunione sono diritti fondamentali che devono essere rispettati» scrive la Mogherini nel comunicato diffuso sabato sera paragonando il tentativo violento di migliaia di persone di entrare in Israele alla stregua di una manifestazione pacifica.

E torna la retorica, usata solo ed esclusivamente quando si parla di Israele, dell’uso “proporzionato” della forza. «Mentre Israele ha il diritto di proteggere i suoi confini, l’uso della forza deve essere proporzionato in ogni momento» scrive la sig.ra Mogherini, una frase che contiene al suo interno tutta l’assurdità del pensiero europeo perché se si riconosce il diritto di Israele a difendere il suoi confini si deve riconoscere anche il diritto all’uso della forza per farlo. E siccome è difficile stabilire cosa significhi “proporzionalità” quando si è sotto attacco, la frase della Mogherini assume le sembianze di una presa di posizione contro Israele a prescindere.

E mentre la Mogherini rilasciava le sue dichiarazioni, in contemporanea anche il dittatore turco, Recep Tayyip Erdogan, faceva sentire la propria voce. «Hei Netanyahu, sei un occupante ed è come occupante che sei su quelle terre. Allo stesso tempo sei un terrorista» ha detto Erdogan rivolto al Premier israeliano Benjamin Netanyahu.

Ora, la frase di Erdogan lascia aperti un paio di interrogativi non di poco conto. Cosa intende il dittatore turco con il termine occupante? Israele non occupa più la Striscia di Gaza dal 2005 e questo il dittatore turco lo sa benissimo. Quindi a cosa si riferiva Erdogan? Probabilmente a tutto Israele giudicando quindi lo Stato Ebraico alla stregua di un occupante della propria terra.

Che poi parliamoci chiaro, Erdogan che critica la risposta israeliana farebbe ridere in qualsiasi contesto minimamente normale. Ma quando si parla di attaccare Israele ogni cosa è permessa, ogni cosa è lecita, anche la più assurda.

Però in questo susseguirsi di attenzioni particolari verso Israele, anche da parte della stampa, una cosa positiva c’è: abbiamo capito perché la Mogherini non ha detto una sola parola sulle stragi di curdi perpetrate da Erdogan e sulla invasione militare del Kurdistan siriano mentre si è catapultata a criticare la giusta autodifesa israeliana. I due sono speculari l’una all’altro. Il loro obiettivo, la loro visione di un Medio Oriente “in pace” è la stessa e non prevede la presenza di Israele, cioè dell’unica democrazia in quella regione.

Erdogan non ne fa mistero tanto da puntare alla creazione di un grande esercito islamico per attaccare Israele. La Mogherini invece è più subdola, lavora ai fianchi usando la diplomazia europea come un’arma contro Gerusalemme, coccolando da un lato i nemici di Israele come gli iraniani, mentre dall’altro non perde occasione per far adottare all’Unione Europea misure che danneggino lo Stato Ebraico.

Ora, si potrebbe erroneamente pensare che il problema della coppia Mogherini-Erdogan sia un problema di esclusiva pertinenza israeliana. Invece no, anche perché Israele sa difendersi benissimo da questi satrapi. Il problema è tutto europeo. È l’Europa che deve temere veramente questi individui, è l’Europa “l’obiettivo grosso” delle orde islamiche che Erdogan punta a guidare anche con l’aiuto della Mogherini. Israele è solo un ostacolo su quella strada, certo, un grosso ostacolo che fino a quando resiste impedisce a gente come Erdogan di mettere in pratica il proprio piano, ma pur sempre solo un ostacolo e non l’obiettivo finale. Ci pensino bene gli europei la prossima volta che criticheranno Israele per essersi difeso dalle orde di assassini islamici.



Il nuovo asse imperialista riunito per spartirsi la Siria
05 aprile 2018

https://www.facebook.com/adriano.marche ... 8842134335

È davvero la nemesi di ogni processo di pace il fatto che le sciagure della Siria e la sua risoluzione siano finite ieri nelle mani del gatto, Tayyip Erdogan, la volpe, Hassan Rouhani e il padre nobile, Vladimir Putin. Che foto opportunity, il mondo del nuovo imperialismo in una sola foto.

Il loro incontro ad Ankara ieri ha disegnato una soluzione un coacervo di interessi acuti e contrastanti, e una volontà evidente di spartizione. Il tutto, segnato dalla bambinesca soddisfazione, peraltro autorizzata dal grande assente, che l'America di Trump sia fuori dal giuoco, errore che Trump ancora non ha capito quanto sia grande, poiché consente l'espansione dei suoi peggiori nemici in un'area volatile e pericolosissima. Trump ha annunciato il suo desiderio di salpare definitivamente le ancore, abbandonando Curdi, Yazidi, sunniti dissidenti, cristiani… Nelle mani del trio.

Dell'Europa non se ne parla nemmeno, in senso proprio. E la strage dei trecentomila continuerà. I tre protagonisti non si sono abbracciati intensivamente davanti alle telecamere, i loro scopi rimangono l'uno contro l'altro. l'Iran e la Russia sono i sostenitori di Assad, mentre Erdogan lo odia. Ma Erdogan, che assorda il mondo dando di assassino a destra e a manca, ora dimentica la ruggine con la Russia, sempre più spessa da quando nel 2015 gli buttò giù un aeroplano da guerra. Da allora, con grande preoccupazione degli alleati occidentali che siedono insieme alla Turchia nella NATO, Erdogan ha recuperato e allargato il suo rapporto, fino ad essere uno dei pochi Paesi che non hanno espulso i diplomatici Russi dopo l'attacco con gas nervino contro un'ex spia di Putin.

Adesso che cosa vuole la Turchia dal leader Russo? Oh, poca roba, il permesso di neutralizzare i curdi, la conclusione positiva della vendita del sistema missilistico S400, fra i più potenti del mondo, e la realizzazione del Piano Rosatom per il primo impianto nucleare turco. E l'Iran? Oh niente, solo dominare il Medio Oriente, dall'Iran al Libano e da là, il cielo è il limite… E la Russia, tutto.

Più in generale, i tre Paesi ieri riuniti per chiudere sette anni di guerra mettono in primo piano grossi interessi. La Russia e l'Iran vogliono pieno accesso alla costa, dove si trova la base di Tartus per il dominio russo del Mediterraneo e la base aerea presso Latakia, e per Teheran è importante un chiaro canale di passaggio verso la capitale dell'Iraq, Bagdad, e fino ai confini con Israele: da là, si espande il dominio sciita, da qua può minacciare Israele anche attraverso gli Hezbollah. Ankara, dopo la pulizia etnica dei curdi ad Afrin, mentre Assad con i russi bombardavano Idlib (uno scambio fra gentleman), vuole seguitare a perseguitarli a Manjib, a occidente dell'Eufrate, un'altra zona curda. E' quindi illusorio pensare che le tre forze in campo possano bloccare lo scontro: esso nacque come rivolta sunnita contro lo strapotere sciita di Assad e i suoi amici e resterà. E i Curdi non si arrenderanno ai Turchi. La guerra continuerà. I sunniti stretti fra le rovine o divenuti profughi, seguiteranno a vedere crescere fra loro gli estremisti, Idlib, dove sono fuggiti i superstiti di Ghouta e di Aleppo, seguiterà ad essere bombardata, e i Turchi faranno di tutto per eliminare i Curdi. Il summit di Ankara è il secondo, dopo un incontro a Sochi, che cerca di contrabbandare l'idea che i tre, prima coinvolti in scontri gli uni contro gli altri, vogliano adesso discutere un accordo di pace. Alle telecamere parlano, legalisti come sono e democratici, di una "Costituzione" per il popolo siriano; ma nel segreto delle stanze del palazzo di Erdogan certo si è parlato di molto altro. Per esempio, Putin, che non è un appassionato della sopravvivenza di Assad, ha anche qualche conto aperto con l'Islam, come l'Islam l'ha con lui.

Ha fatto male Trump ad annunciare proprio ieri che se ne andrà dalla Siria: sembra una mossa di paura, che avalla l'abbandono dei curdi, i suoi migliori alleati nella guerra contro l'Isis; o un cedere alla Turchia per la preoccupazione che la NATO possa esplodere; sembra un lasciare campo libero a quell'Iran di cui così giustamente sa criticare le ambizioni atomiche e la violazione dei diritti umani. Insomma, sembra una risposta a un ricatto. E non è vero che sarà un risparmio economico: se i sauditi si ingaggiano in una guerra con l'Iran, il mercato del petrolio va in pezzi.




ASSAD L'IMPUTATO
Niram Ferretti
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Questo editoriale è dedicato a quei commentatori che un anno e due giorni fa, dopo il bombardamento chimico di un villaggio nel nord della Siria che uccise cento civili, tirarono fuori questa giustificazione: “Non può essere stato Assad perché se usasse armi chimiche sarebbe un suicidio”. Si riferivano al fatto che il presidente siriano aveva firmato un accordo per la distruzione sorvegliata delle sue armi chimiche dopo un’altra strage contro i civili e quindi non poteva farsi cogliere di nuovo in fallo. Ora che è passato un anno possiamo rispondere con tranquillità: quell’attacco non fu per niente “un suicidio” per il presidente siriano. Vediamo di ricapitolare per punti.

- Se nel 2017 Assad stava vincendo, nel 2018 sta trionfando. A febbraio la sua contraerea ha persino abbattuto un aereo israeliano, cosa che non osava fare dal 1982.

- Il bombardamento punitivo ordinato dall’Amministrazione Trump uccise sei soldati siriani. Decisamente non fu una rappresaglia catastrofica per l’esercito della Siria.

- La commissione d’inchiesta dell’Opcw, l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, ha stabilito che l’agente nervino sarin usato nell’attacco è lo stesso delle scorte del governo siriano (scorte che non ci dovrebbero essere più dopo l’accordo del settembre 2013, ma che sono state conservate in segreto).

- La commissione d’inchiesta dell’Opcw sulle stragi con armi chimiche in Siria è stata sciolta a causa di un veto russo alle Nazioni Unite a fine ottobre e non potrà più fare altre indagini. Il sarin c’è ancora, la commissione d’inchiesta è stata eliminata.

- Ci sono sempre più contatti tra il governo di Assad e i paesi occidentali, vedi per esempio la visita molto discreta del suo capo dell’intelligence a Roma a gennaio.

- Il pilota siriano che eseguì quel bombardamento è stato premiato con una medaglia.

Postilla finale. Gli israeliani segnalano che da giorni l’esercito siriano sta rinforzando le sue posizioni sul confine, in violazione degli accordi del 1974. È quello che succede quando non ci sono mai conseguenze. Vengono sviluppi peggiori.
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Re: Siria

Messaggioda Berto » sab apr 07, 2018 8:19 am

Trump: quando l’aiuto a Israele non basta. I rischi del ritiro dalla Siria
Adrian Niscemi
04/04/2018

http://www.rightsreporter.org/trump-qua ... alla-siria


Oggi ad Ankara si riunisce il nuovo asse del male per discutere come spartirsi le spoglie della Siria anche in previsione dell’annunciato ritiro delle truppe americane dallo scenario siriano.

I presidenti di Iran, Turchia e Russia si vedranno oggi nella capitale turca per quello che sembra il summit decisivo per il futuro assetto della Siria. Indicativo il fatto che per l’ennesima volta Erdogan, Putin e Rouhani decideranno tutto senza la presenza di Assad a dimostrazione del fatto che il Presidente siriano altro non è che un fantoccio, una marionetta nelle mani dei tre satrapi.

A peggiorare il quadro generale c’è l’annuncio dato la scorsa settimana da Trump in merito all’imminente ritiro delle truppe americane dalle zone sotto il loro controllo, un ritiro fortemente osteggiato dai consiglieri di Trump che non vorrebbero lasciare il destino della Siria nelle sole mani di Iran, Turchia e Russia anche e soprattutto per la posizione strategica del territorio siriano nel contesto mediorientale.

Perché il punto è questo, un ritiro degli americani dalla Siria significa lasciare completa mano libera a Putin, Erdogan e Rouhani, significa quindi compromettere fortemente la sicurezza di Israele e del Libano oltre a permettere a Teheran di portare a compimento il piano di un “corridoio sciita” che va dall’Iran al Libano passando per Iraq e Siria, significa permettere a Erdogan di avere mano libera nel Kurdistan siro-iracheno e infine significa permettere a Putin di potenziare l’influenza russa in tutto il Medio Oriente, e di certo non è una cosa buona.


Preoccupazione in Israele

Al termine dell’ultimo incontro tra Netanyahu e Trump avvenuto il mese scorso a Washington, il Premier israeliano era apparso rincuorato sulla Siria e sulla minaccia iraniana che proprio da quella regione arriva nei confronti di Israele. Trump e Netanyahu erano apparsi concordi su diversi punti specie su quello che Israele avrebbe avuto mano libera per impedire a Teheran di posizionarsi stabilmente in Siria e che in tutto questo avrebbe avuto il sostegno americano. L’annuncio a sorpresa di Trump ha cambiato tutto.

E non aiutano i messaggi confusi che arrivano da Washington. Lunedì della scorsa settimana alcuni funzionari della difesa americana avevano annunciato l’invio di rinforzi in Siria, il giorno dopo Trump ha annunciato l’imminente ritiro. Poche ore dopo l’annuncio di Trump arriva un nuovo capovolgimento. Durante un breafing della Difesa con i giornalisti un funzionario affermava che gli Stati Uniti sarebbero rimasti in Siria fino a quando la regione non sarebbe stata sicura. Confusione totale che non fa altro che aiutare i tre satrapi a spartirsi le spoglie siriane.


Qual’è la strategia di Trump in Medio Oriente?

Sul Medio Oriente si ha l’impressione che Trump navighi a vista. Non si intravede uno straccio di strategia. Va bene l’appoggio palese a Israele e il trasferimento dell’ambasciata americana a Gerusalemme, che per altro scatenerà un vespaio, ma a tutto questo va aggiunta una strategia che non può prescindere da quello che avviene in Siria. E se gli americani se ne andranno veramente Israele resterà l’ultimo baluardo contro l’espansione dei tre regimi che oggi ad Ankara decideranno come spartirsi la Siria.

Non si è visto nemmeno l’annunciato piano di pace con gli arabo-palestinesi, ma questo è un problema decisamente secondario rispetto alla Siria e alla minaccia che rappresentano le mira espansioniste iraniane e turche appoggiate dalla Russia. Trump non ne può stare fuori, non se almeno gli interessa il destino della regione.

Le prossime ore saranno decisive per capire non tanto i piani di Russia, Turchia e Iran che ormai sono palesi, quanto piuttosto per capire se il Presidente Trump ha una linea per contrastarli, ammesso che abbia intenzione di contrastarli perché sinceramente al momento non sembra che lo voglia fare.





Cosa succede se gli Stati Uniti si ritirano davvero dalla Siria
Lorenzo Vita
03/04/2018

http://www.occhidellaguerra.it/stati-uniti-ritiro-siria


Negli ultimi giorni, l’avventura americana in Siria, prima per sconfiggere lo Stato islamico, poi per un (non ancora chiarito) ruolo di garanzia nel post-guerra, si è arricchito di un nuovo episodio. Donald Trump ha annunciato il ritiro “molto presto” delle forze Usa. Un annuncio arrivato a poche ore dalla notizia del congelamento di 200 milioni di dollari per la Siria.

La pressioni su Trump per evitare il ritiro

La notizia ha immediatamente fatto il giro del mondo. E ha destato perplessità non soltanto fra gli alleati, ma anche nei circoli politici e diplomatici americani. L’annuncio di Trump comporterebbe, se confermato, un rovesciamento epocale delle logiche siriane. E, come scritto su questa testata, le domande su chi possa riempire il vuoto lasciato dagli Usa, non trovano ancora risposte chiare (forse la Francia di Emmanuel Macron).

Fonti vicine al Pentagono hanno espresso dubbi, se non vere e proprie preoccupazioni. La scelta significherebbe l’abbandono degli alleati (i curdi) e dei progetti di incidere sul futuro della Siria. E al Pentagono, dare le chiavi della Siria alla Russia e all’Iran, non è qualcosa che interessi particolarmente. Tanto è vero che dopo l’annuncio di Trump, i vertici militari Usa hanno discusso sull’invio di più truppe. Una confusione totale.

Preoccupazioni sono state espresse anche dall’Arabia Saudita. Il principe Mohammed bin Salmanha chiesto all’amministrazione americana di non ritirarsi dalla Siria. Come scritto da Guido Olimpio per Il Corriere della Sera “Trump ha chiesto che Riad ‘investa’ quattro miliardi di dollari per la ricostruzione e la stabilizzazione della zona settentrionale”. Difficile credere che questo investimento sia realizzato senza garanzie della presenza Usa. E preoccupazioni sono state espresse anche da Israele, che spera che gli Usa non se ne vadano dalla Siria per evitare che l’Iran ottenga il controllo assoluto del corridoio che collega Teheran al Mediterraneo. E sperano in John Bolton.

Cosa possiamo aspettarci

Va fatta una doverosa premessa: Trump potrebbe anche non fare niente. Del resto è lo stesso presidente che parlava di ritiro e poi ha bombardato la base vicino Damasco. E, come detto sopra, le pressioni sono molte, sia esterne (Israele e Arabia Saudita) sia interne (quei generale a cui Trump dà ampia fiducia). Ma ammettiamo che vada avanti. A quel punto, gli scenari sarebbero molto interessanti e, allo stesso tempo, non per forza forieri di chiarezza.

Una prima conseguenza potrebbe essere il controllo immediato della Siria da parte delle forze del blocco rappresentato da Iran, Russia e Turchia. Scenario che vedrebbe la Siria garantita nella sua unità e nel mantenimento del governo di Bashar al Assad. Ma che comporterebbe anche un Paese nel mirino costante di Israele, preoccupato dall’Iran. Se la Russia decidesse, in futuro, di seguire gli Usa, Israele potrebbe avviare qualche iniziativa. Comunque, tendenzialmente, questo è lo scenario che darebbe più ossigeno al legittimo governo di Damasco.
Una seconda conseguenza sarebbe la fine di qualsiasi rapporto fra curdi e Stati Uniti. Il che comporterebbe due effetti: la resa dei conti tra turchi, alleati dei turchi e curdi nel nord della Siria; e la scelta per le milizie curdo- siriane di consegnarsi a Damasco o finire nelle mani dei ribelli filo-turchi, che potrebbero avere mano libera come già fatto con Ramoscello d’ulivo. Uno scenario che già si sta manifestando.
La terza conseguenza potrebbe essere un ravvivarsi del focolaio jihadista nella Siria orientale, per ora sedato dalla presenza Usa. Il terrorismo in Siria si è fermato quando tutte le forze coinvolte hanno deciso che Daesh andava sconfitto. Del resto la coalizione a guida Usa non poteva far vedere che l’Isis continuasse a proliferare nell’area da lei controllata. Ma senza truppe statunitensi e con l’Iraq che spinge per annientare le ultime sacche del Califfato, quest’ultimo potrebbe anche riprendere fiato e senza neanche il freno operato dalle forze americane e degli alleati. Che di fatto lascerebbero di nuovo libero lo jihadismo di imperversare nell’est della Siria.

Ed è proprio la parte orientale del Paese a dover preoccupare. Le forze americane, volenti o nolenti, sono un tappo. Da una parte, la Turchia non può avanzare troppo perché sa che si troverebbe di fronte la potenza per eccellenza della Nato. Dall’altra parte, i ribelli sono garantiti dall’ombrello di Washington, che fa sì che Russia, Iran e esercito siriano non possano spingersi oltre una certa linea. E sono un freno anche per l’esercito iracheno, che ribolle al confine. Tolto il tappo, il rischio è che si crei un bagno di sangue per controllare un’area fondamentale. Sembra un paradosso, ma nel regno dell’instabilità, una forza destabilizzatrice ora è una garanzia che non si scateni, di nuovo, l’inferno. E forse, qualcuno vuole avere un motivo in più per rimanere in Siria.




LA NECESSITA' CHE GLI USA RESTINO IN SIRIA
Niram Ferretti
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Grave l'annuncio di Donald Trump di volere ritirare il contingente americano in Siria. Grave per il semplice motivo che in questo modo essa diventerebbe il feudo incontrastato di forze antidemocratiche e neo-imperialiste come l'Iran, la Russia e la Turchia.

Benjamin Netanyahu e Mohammed Bin Salman hanno entrambi espresso al presidente degli Stati Uniti la loro preoccupazione per una decisione del genere che, se fosse messa in pratica, regalerebbe la regione interamente ad attori pericolosi per la sicurezza mediorientale e palesemente in contrasto con gli interessi americani.

C'è da sperare che l'arrivo alla Casa Bianca di Mike Pompeo come Segretario di Stato al posto di Rex Tillerson e soprattutto di John R. Bolton al posto del Generale McMaster, orientino Trump nella direzione opposta.

Una presenza americana stabile in Siria costituisce il paletto piantato di traverso ai piani egemonici di stati canaglia.
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