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Palestinesi di Siria: Un anno di uccisioni e tortureKhaled Abu Toameh
https://it.gatestoneinstitute.org/9902/ ... -uccisioni Il 2016 è stato un anno difficile per i palestinesi. È stata dura non solo per quei palestinesi che vivono in Cisgiordania, sotto il regime dell'Autorità palestinese (Ap) o sotto Hamas, nella Striscia di Gaza. Quando gli occidentali sentono parlare di "situazione difficile" o di "sofferenza" dei palestinesi, immediatamente presumono che si parli dei palestinesi della Cisgiordania o della Striscia di Gaza. Raramente la comunità internazionale sa quello che accade ai palestinesi nei paesi arabi e questo perché è difficile accusare Israele delle loro sofferenze.
La comunità internazionale e i giornalisti mainstream sono a conoscenza solo di quanto accade ai palestinesi che vivono in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Naturalmente, la vita sotto l'Autorità palestinese e Hamas non è una passeggiata, anche se questa scomoda verità potrebbe essere piuttosto sgradevole da sentire per i giornalisti occidentali e le organizzazioni per i diritti umani.
Ad ogni modo, i media mainstream sembrano preferire chiudere un occhio sulla difficile situazione dei palestinesi che vivono nei paesi arabi. Questa inadempienza danneggia innanzitutto gli stessi palestinesi e consente ai governi arabi di portare avanti le loro politiche di persecuzione e repressione.
Negli ultimi anni, i palestinesi residenti in Siria sono stati protagonisti di storie orribili. Ma dov'è l'attenzione mediatica per i palestinesi di questo paese martoriato dalla guerra? Essi vengono uccisi, torturati, imprigionati e fatti sfollare. E l'Occidente sbadiglia.
A Gerusalemme e Tel Aviv, sono centinaia i giornalisti stranieri che si occupano di Medio Oriente. Eppure, si comportano come se i palestinesi vivessero solo in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Non hanno alcun desiderio di recarsi in Siria o in altri paesi arabi per parlare dei maltrattamenti e degli abusi perpetrati dagli arabi contro i loro fratelli palestinesi. Per questi giornalisti, gli arabi che uccidono e torturano altri arabi non fanno notizia. Ma quando i poliziotti israeliani sparano e uccidono un terrorista palestinese che alla guida di un camion si lancia contro un gruppo di soldati uccidendoli e ferendoli, i reporter occidentali si precipitano a casa dei familiari dell'attentatore per intervistarli e offrirgli la possibilità di esprimere la loro opinione.
Ma i palestinesi di Siria sono meno fortunati. Nessuno gli chiede cosa ne pensano della distruzione delle loro famiglie, delle loro comunità e della loro vita. E soprattutto non lo fanno le centinaia di corrispondenti che lavorano nella regione.
Secondo recenti reportage pubblicati da un certo numero di media arabi, "nel 2016, numerosi palestinesi residenti in Siria sono stati uccisi, torturati e sfollati".
"L'anno scorso è stato un inferno per questi palestinesi e le gravi conseguenze non saranno cancellate per molti anni a venire. Nel 2016, i palestinesi di Siria sono stati sottoposti alle più crudeli forme di tortura e privazione da parte di bande armate e dal regime siriano al potere. È difficile trovare una famiglia palestinese in Siria che non sia stata colpita".
Secondo questi articoli, le autorità siriane nascondono i corpi di più di 456 palestinesi che sono morti sotto tortura in carcere. Nessuno sa esattamente dove si trovino i cadaveri o per quale motivo le autorità siriane si rifiutino di consegnarli ai familiari.
Ancor più inquietanti sono le notizie secondo le quali le autorità siriane espiantano gli organi dei palestinesi morti. Le testimonianze raccolte da alcuni palestinesi rivelano che una banda collegata al governo siriano commercia gli organi delle vittime, compresi donne e bambini. Altri 1.100 palestinesi sono rinchiusi nelle prigioni siriane dall'inizio della guerra, più di cinque anni fa. Le autorità siriane non forniscono statistiche per quanto riguarda il numero dei prigionieri e dei detenuti né consentono ai gruppi per i diritti umani o al Comitato internazionale della Croce Rossa di visitare le prigioni e i centri di detenzione.
Nel rapporto più recente sul dramma dei palestinesi di Siria si legge che 3.420 palestinesi (455 dei quali sono donne) sono stati uccisi dall'inizio della guerra. Il report, pubblicato dal Gruppo di Azione per i Palestinesi in Siria rivela inoltre che circa 80.000 palestinesi sono fuggiti in Europa, 31.000 in Libano, 17.000 in Giordania, 6.000 in Egitto, 8.000 in Turchia e 1.000 nella Striscia di Gaza. Secondo il rapporto, 190 palestinesi sono morti per malnutrizione e mancanza di cure mediche, perché i campi profughi e i villaggi in cui risiedono sono sotto assedio da parte dell'esercito siriano e di gruppi armati.
Palestinesi che fuggono dal campo profughi di Yarmouk, nei pressi di Damasco, dopo i duri combattimenti del settembre 2015. (Fonte dell'immagine: RT video screenshot)
Allarmati dall'indifferenza della comunità internazionale verso la loro tragedia, i palestinesi di Siria ricorrono ai social media per fare sentire la loro voce, nella speranza che i decisori politici occidentali o il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ossessionati come sono dagli insediamenti israeliani, possano prestare attenzione alle loro sofferenze. L'ultima campagna lanciata sui social media, intitolata "Dove sono i detenuti?", fa riferimento al destino sconosciuto di quei palestinesi che sono scomparsi dopo essere stati arrestati dalle autorità siriane. Gli organizzatori della campagna hanno rivelato che, negli ultimi anni, 54 minori palestinesi sono morti sotto tortura nelle carceri siriane e centinaia di prigionieri e detenuti sono dispersi, dopo essere stati arrestati.
Da un altro report è emerso che dall'inizio della guerra civile oltre l'80 per cento dei palestinesi che vivono in Siria ha perso il lavoro e la propria attività. Inoltre, molti minori palestinesi sono stati costretti a lasciare la scuola e cercare lavoro per sostenere le loro famiglie.
Eppure, per la comunità internazionale e i media occidentali, questi dati e rapporti sono quantomeno noiosi. Ai paesi arabi non importa nulla dei palestinesi residenti in Siria che vengono uccisi, torturati e che muoiono per la fame. Nel mondo arabo, le violazioni dei diritti umani non fanno notizia. Quando un paese arabo rispetta i diritti umani, allora sì che questo fa notizia.
La leadership palestinese in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza è anche cieca alle sofferenze della sua popolazione che risiede nel mondo arabo, in particolare in Siria. Questi cosiddetti leader sono troppo occupati ad afferrarsi per la gola politicamente per preoccuparsi del benessere della loro popolazione, che è soffocata sotto i regimi antidemocratici e repressivi dell'Autorità palestinese e di Hamas. Questi leader si preoccupano più dell'intenzione del presidente Donald Trump di spostare l'ambasciata americana a Gerusalemme che della loro popolazione. Nelle ultime due settimane, Mahmoud Abbas e i suoi funzionari non hanno perso occasione per dire che il trasferimento dell'ambasciata americana a Gerusalemme innescherebbe tensioni in Medio Oriente. L'uccisione, la tortura e la rimozione dei palestinesi nei paesi arabi sembrano non attirare la loro attenzione.
Resta da vedere se il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite rivedrà le sue priorità e indirà una riunione d'emergenza per discutere della campagna omicida contro i palestinesi in Siria. Forse questa emergenza prevarrà sulla questione della "costruzione degli insediamenti", come argomento meritevole di una condanna mondiale.
Khaled Abu Toameh è un pluripremiato giornalista che vive a Gerusalemme.
Gli arabi detestano i palestinesi.Ecco perché.
by Lila C. Ashuryan on Feb 4, 2017
https://www.rightsreporter.org/gli-arab ... esi-perche Gli arabi detestano i palestinesi.
Non è una affermazione che viene da un sondaggio o da ipotesi frutto di ricerche, ma dalla semplice constatazione dei fatti.
Come mai i Paesi arabi che ospitano i cosiddetti “profughi palestinesi” negli ultimi 68 anni non hanno mai concesso loro la cittadinanza? (se si fa eccezione per pochi casi in Giordania?).
Come mai alla caduta di Saddam Hussein la prima cosa che hanno fatto gli iracheni è stata quella di espellere migliaia di palestinesi? Perché gli arabi preferiscono tenere i palestinesi segregati all’interno di grandi campi profughi? Perché in Siria gli unici ad essere attaccati da tutti, siriani, Hezbollah e ISIS, sono stati i palestinesi?
Come mai l’Arabia Saudita ha tagliato quasi tutti i finanziamenti alla Autorità Nazionale Palestinese? Perché l’Egitto perseguita i palestinesi di Gaza, impedendo loro il passaggio di materiali dal proprio confine e vietando ai palestinesi di uscire da Gaza?
Queste sono solo alcune delle domande che ci si dovrebbe porre quando si parla di palestinesi. Il mondo è concentrato unicamente sul conflitto israelo-palestinese e fa a gara per attribuire ogni responsabilità a Israele. Ma la realtà è che gli unici a sopportare questo popolo "inventato dal nulla" sono proprio gli israeliani, perché gli arabi li detestano.
Il professore Mordechai Kedar sostiene che questa antipatia degli arabi verso i palestinesi sia motivata in massima parte dal fatto che gli arabi sono convinti che le cosiddette “sofferenze” dei palestinesi derivino da loro stessi; e, in particolare, dal fatto che molti arabi palestinesi sin da prima del 1948 abbiano venduto le loro terre agli ebrei, incassato milioni di dollari, poi spostati nei conti svizzeri. E oggi, quegli stessi che hanno venduto terre agli ebrei, li accusano di aver rubato le loro terre.
Questa narrativa funziona benissimo in un Occidente sempre più antisemita e anti-israeliano, ma non funziona nei Paesi arabi dove, pur senza ammetterlo, tutti conoscono la verità.
Molto più semplicemente il motivo per cui gli arabi detestano i palestinesi dipende dal fatto che li ritengono una specie di "parassiti" che per decenni hanno sfruttato la “solidarietà araba”, senza riuscire in alcun modo a scalfire Israele. E, nel contempo, senza impegnarsi minimamente nella costruzione di un loro Stato indipendente e autonomo.
Per decenni hanno ricevuto centinaia di miliardi di dollari, più di qualsiasi altro Paese al mondo, e oggi continuano a piangere miseria e a lamentarsi della perdita di terre che loro stessi hanno venduto agli ebrei.
Un fatto che appare in tutta la sua evidenza a Gerusalemme, dove prima i palestinesi hanno venduto terreni, case e appartamenti agli ebrei e oggi si lamentano della “giudaizzazione” di Gerusalemme!
Ci sono molti altri motivi per cui i palestinesi sono detestati dagli arabi, alcuni storici sostengono sia attribuibile al tentativo da parte di Arafat di rovesciare il regno giordano (Settembre Nero); fino all’appoggio dato a Saddam Hussein durante l’invasione del Kuwait; mentre altri motivi sarebbero di tipo antisemita e, comunque, legati all’odio degli arabi per gli ebrei; un odio che porta a detestare i palestinesi per non essere mai riusciti a distruggere Israele.
Oggi nessun Paese arabo è disposto a combattere per i palestinesi o a rinunciare a qualcosa per sostenere la loro causa.
Nei media arabi i palestinesi non sono mai stati a un livello di gradimento così basso. Solo l’Occidente continua a credere alla narrativa palestinese e a finanziarla profumatamente.
Alberto PentoDa ricordare anche la guerra civile in Libanohttps://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_civile_in_LibanoLa guerra civile libanese è stata una guerra civile combattuta nel paese tra il 1975 ed il 1990, che ha visto numerosi contendenti e frequenti capovolgimenti di alleanze.Fra il 1948 ed il 1975, la demografia del Libano, già di per sé estremamente complessa in seguito alle secolari vicende del paese, era mutata per via dell'afflusso di un forte numero di profughi palestinesi. Nel 1958 le milizie cristiano maronite delle Falangi libanesi, a sostegno della politica filo occidentale del presidente Chamoun, si scontrarono con le milizie filonasseriane del primo ministro Karame. Servì lo sbarco di 15 000 marines americani per sedare gli scontri.
Nel 1975 il numero dei palestinesi nel territorio libanese era cresciuto sino a circa 300.000 unità. Il Libano diventò anche rifugio dei guerriglieri palestinesi dell'OLP, i quali, cacciati dall'esercito giordano di re Husayn di Giordania, scelsero la lotta armata contro il confinante Israele. Gli accordi del Cairo legalizzarono la presenza dei guerriglieri palestinesi all'interno del territorio libanese. Il risultato fu che il Libano si trasformò in un campo di battaglia, per la risposta con bombardamenti aerei e con tiri di artiglieria da parte d'Israele. Tali risposte colpirono sia guerriglieri palestinesi che numerosi profughi palestinesi ad essi mescolati.
L'inimicizia tra le diverse etnie già presenti in Libano e l'inefficienza dell'esercito nazionale libanese trasformarono l'invasione dell'OLP e la guerriglia contro Israele in vera e propria guerra civile. I guerriglieri palestinesi avevano la simpatia dei libanesi musulmani, mentre i cristiani erano filo-occidentali e sentivano la loro presenza come una forte minaccia per il paese, questo anche perché l'esercito del Libano non era in grado di contrastare i palestinesi come invece aveva fatto quello giordano.
I musulmani si sentono sottorappresentati rispetto ai cristiani, e sotto la spinta del leader druso Kamal Jumblatt che aveva fatto dei suo partito PSP una milizia si unirono nel Movimento Nazionale Libanese a cui si aggiunsero i palestinesi dell'OLP e dell'FPLP. Arrivarono a controllare il 70% del paese e la metà di Beirut.
La guerra civile scoppiò il 13 aprile 1975. In tale data, ad ʿAyn al-Rummāna (عين ﺍﻟﺮمّاﻧـة) – un quartiere di Beirut – un piccolo gruppo di persone, tra cui Pierre Gemayel, assisteva alla consacrazione di una chiesa. Da un'automobile partirono raffiche di mitra da parte di militanti palestinesi. Al termine dell'attacco armato si contarono quattro morti e sette feriti. Alcune ore dopo, 27 palestinesi armati, stipati su un autobus che transitava nella stessa zona con analoghe intenzioni, vengono uccisi da elementi cristiani di ʿAyn al-Rummāna, dopo uno scontro violentissimo. Fu l'inizio effettivo della guerra.
La guerra civile scoppiò sia in seguito all'invasione palestinese sia a causa di una confusa gestione del potere politico libanese. Da un lato vi erano i cristiani che, intimoriti dall'alterata proporzione fra la loro comunità e quella musulmana, cercarono e ottennero il sostegno di Israele, e dall'altro i musulmani, sostenuti inizialmente dalla Siria e – in seguito alla rivoluzione khomeinista del 1979 – anche dall'Iran. A fronteggiarsi, quindi, furono da una parte le milizie composte da cristiani maroniti – delle quali la principale faceva riferimento al partito falangista di Pierre Gemayel – e dall'altra una coalizione di palestinesi alleati a libanesi musulmani sunniti, sciiti (Amal) e drusi, raccolti nel Partito Socialista Progressista. Nel giugno del 1975 la Siria cambiò però la propria posizione: truppe e mezzi blindati siriani si allearono ai cristiani.[senza fonte]