I goera mondial

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Messaggioda Berto » sab feb 15, 2014 8:57 am

I goera mondial
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Come la Russia zarista avrebbe potuto evitare la prima guerra mondiale

http://www.lindipendenza.com/robinson-r ... a-mondiale

Proponiamo in ANTEPRIMA per L’Indipendenza la traduzione integrale in italiano dell’articolo How Russia Might Have Stopped World War I, tratto da The American Conservative, scritto da Paul Robinson, professore presso la Graduate School of Public and International Affairs all’University of Ottawa, saggista, è autore di numerose pubblicazioni sulla storia militare russa e su difesa ed etica militare. (Traduzione di Luca Fusari)

Quest’anno, dato che si commemora il 100° anniversario della prima guerra mondiale, è opportuno ricordare chi ci avvertì del suo catastrofico scoppio, possiamo celebrare la loro saggezza ed utilizzarli per promuovere la causa della pace nel nostro tempo. Anche a distanza di cent’anni, possiamo imparare da chi vide ciò che più rifiutò di vedere.

Forse i più conosciuti profeti antebellici della prima guerra mondiale sono Ivan Bloch, autore di The Future War (1898), e Norman Angell, autore di The Great Illusion (1909), entrambi i quali sostennero che una guerra tra le grandi potenze sarebbe stata lunga, costosa ed inutile. Ma probabilmente il più preveggente di tutti fu l’ex ministro degli interni russo,
Petr Nikolaevich Durnovo, che cent’anni fa in questo mese scrisse un memorandum di avvertimento allo Zar Nicola II circa le terribili conseguenze che sarebbero derivate se la Russia avesse continuato l’alleanza con la Francia contro la Germania andando in guerra contro quest’ultima.

Il Memorandum Durnovo, com’è noto, è uno dei più notevoli documenti conservatori contro la guerra e merita sia d’essere letto per intero che analizzato in profondità.
Anche se Durnovo non fu sempre nel giusto, e molto di quello che scrisse si attiene specificamente a quel periodo, le sue previsioni furono straordinariamente accurate, e la filosofia alla base dei suoi argomenti ha continua rilevanza.

Durnovo iniziò la sua nota allo zar spiegando che il fatto centrale nella politica europea era la lotta tra la Germania e l’Inghilterra.
Questa era destinata infine a provocare una guerra, la quale non si sarebbe limitata a queste due nazioni.
«I raggruppamenti fondamentali in una futura guerra sono evidenti: la Russia, la Francia e l’Inghilterra da una parte; la Germania, l’Austria e la Turchia, dall’altro», scrisse Durnovo.

L’Italia era più probabile che si unisse al primo gruppo rispetto al secondo, così come la Serbia e il Montenegro, mentre La Bulgaria si sarebbe unita agli Imperi centrali. La Romania si sarebbe seduta in disparte aspettando di vedere chi stesse vincendo. Questa fu una previsione accurata.

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... /02/24.jpg

L’onere principale della guerra, per Durnovo, sarebbe caduto sulla Russia,
«dal momento che l’Inghilterra non è certo in grado di prendere parte considerevole in una guerra continentale, mentre la Francia, povera di manodopera, probabilmente aderirà a tattiche rigorosamente difensive, in considerazione alle enormi perdite di guerra a fronte delle condizioni attuali di tecnica militare.
La parte dell’ariete, facendo una breccia nel forte spessore della difesa tedesca, sarà nostra».

La Russia era però impreparata alla guerra. La sconfitta era probabile e il risultato sarebbe stato la rivoluzione.
Come Durnovo aggiunse:

«il problema inizierà dando la colpa al Governo per tutti i disastri. Nelle istituzioni legislative inizierà un’aspra campagna contro il governo, seguita da agitazioni rivoluzionarie in tutto il Paese, con slogan socialisti capaci di suscitare e mobilitare le masse, a cominciare con la divisione della terra e le successive divisioni di tutti gli oggetti di valore e di proprietà. L’esercito sconfitto, avendo perso i suoi uomini più affidabili, e traviato dalla marea di contadini e dal loro primitivo desiderio di terra, sarà troppo demoralizzato per servire come un baluardo della legge e dell’ordine. Le istituzioni legislative e dei partiti d’opposizione intellettuali, privi di reale autorità agli occhi della gente, saranno impotenti ad arginare la marea popolare circostante, e la Russia verrà gettata nell’anarchia senza speranza».
Questo è esattamente ciò che successe.
Alla base di queste previsioni vi fu una visione del mondo profondamente pessimista e conservatrice, che considerava l’autocrazia come l’unico baluardo contro il caos.

«Tutti mi considerano un monarchico inveterato, il difensore reazionario dell’autocrazia, un incorreggibile oscurantista (…) e non si rendono conto che io sono il più convinto dei repubblicani», si lamentò Durnovo, aggiungendo:
«ritengo migliore per un popolo la situazione in cui la gente possa avere a capo dell’amministrazione come presidente il cittadino più meritevole scelto da loro stessi. Per alcuni Paesi tale ideale (…) sta diventando una possibilità. Ma ciò non è affatto possibile circa il nostro immenso e molto variegato Impero russo, dove a causa di considerazioni puramente pratiche la macchina dell’amministrazione e l’unità dell’Impero richiedono l’esistenza della bandiera imperiale tessuta dalla storia. Se dovesse andarsene, la Russia si disintegrerà. Questa è la legge immutabile della natura dell’ordine politico della Russia».

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Nato nel 1847, Durnovo (nella foto a sinistra) divenne un ufficiale nel 1862, trascorrendo 10 anni nella marina.
Secondo lo storico Dominic Lieven, la sua «visione della comunità russa perfetta era decisamente militare, spiritualmente unita in una causa patriottica comune e con gli ordini inferiori potenzialmente ribelli tenuti sotto stretta disciplina dai loro superiori sociali e professionali».

Dopo aver lasciato la marina, iniziò una carriera nel dipartimento di polizia fino a diventare ministro degli Interni nel mese di Ottobre del 1905, quando la Russia era afflitta da disordini dopo la sua sconfitta nella guerra con il Giappone. Come ministro degli Interni, si occupò spietatamente dei rivoluzionari. «Governare uno Stato è un duro affare, lo Zar deve essere terribile ma gentile, terribile in primo luogo e gentile in secondo».

A Durnovo non piacque l’alleanza franco-russa.
La Francia repubblicana e la Russia zarista non avevano nulla in comune.
Il conservatore Impero tedesco, al contrario, era un alleato molto più naturale. «Gli interessi vitali della Russia e della Germania non sono in conflitto», scrisse Durnovo nella sua nota allo zar. I due Paesi non hanno denunciato alcuno degli altrui territori, e i loro interessi commerciali coincidevano. Al contrario, «la Triplice Intesa è una combinazione artificiale, senza una base di reale interesse».

Una politica estera basata sugli interessi piuttosto che sul sentimento avrebbe allineato la Russia con la Germania, e così facendo avrebbe evitato una guerra che molto probabilmente avrebbe distrutto entrambi i Paesi.
Il Memorandum di Durnovo non venne fuori dal nulla. Lo consegnò subito dopo il licenziamento di Vladimir Nikolaevic Kokovtsov come primo ministro nel Febbraio del 1914, come parte di uno sforzo concertato da parte dei funzionari di mentalità conservatrice per riorientare in tal senso la politica estera ed interna della Russia.
Durnovo e i suoi colleghi hanno cercarono di riaffermare il principio monarchico che era stato diluito nel mese di Ottobre del 1905, quando lo zar emise un Manifesto che portò all’elezione per la prima volta del Parlamento della Russia, la Duma.
Lo sforzo non riuscì. L’alleanza con la Francia ebbe un forte sostegno all’interno della burocrazia e tra coloro che erano vicini allo zar, sia per solidi motivi strategici e finanziari (la Russia fece affidamento sugli investimenti francesi) e perlopiù sentimentali.

Nonostante o forse a causa delle origini tedesche di tanti aristocratici e burocrati russi, molti russi consideravano la Germania e i tedeschi con deciso sospetto. Al contrario, ci fu una grande ammirazione per la cultura francese. Il Granduca Nikolaj Nikolaevic, che divenne comandante supremo dell’esercito russo nel Luglio 1914, odiava il Kaiser, il quale lo definì in modo sprezzante come ‘Basileo’, ma adorava la Francia, un Paese la cui lingua parlava fluentemente e presso cui aveva spesso viaggiato in gioventù.

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Durante la guerra nel suo quartier generale supremo non sventolò una bandiera russa ma una francese, datagli dal generale Joffre nel 1912.
Contro questo tipo di sentimento francofilo, l’appello di Durnovo al principio monarchico ebbe poche possibilità di successo.

Durnovo fu molto più preciso nelle sue previsioni rispetto a quelle di altri proprio a causa del suo rifiuto nel sottomettere l’interesse al sentimento. I sostenitori dell’alleanza franco-russa, irritati per quelle che consideravano come umiliazioni tedesche in Russia, videro nella guerra che scoppiò nell’estate del 1914 come la possibilità per ripristinare la grandezza della Russia.

Durnovo aveva una visione dell’interesse nazionale molto più materiale, fece dei calcoli e scoprì che la guerra semplicemente non aveva senso.
Il realismo è spesso denunciato come immorale, come se il perseguimento del grezzo interesse nazionale inevitabilmente producesse cattivi risultati.
Ma come Anatol Lieven e John Hulsman hanno sottolineato nel loro libro del 2006, Ethical Realism, una politica estera sulla base di calcoli di interesse razionali mitiga le decisioni avventate produce risultati più eticamente desiderabili di una basata sulla moralizzazione.

Durnovo senza dubbio considerò le conseguenze interne della guerra come una parte vitale del calcolo se valesse la pena combattere. Al giorno d’oggi non abbiamo bisogno di preoccuparci di una rivoluzione, ma questo non significa che le nostre guerre non abbiano conseguenze interne. Disturbano i nostri ordini politici e sociali, aumentando il debito, incoraggiando le usurpazioni statali sulle libertà civili, e così via. Queste conseguenze sono spesso più importanti nel lungo termine per la società nel suo complesso rispetto ai costi immediati in vite e tesori.

Infine, ciò che rese preveggente Durnovo fu il suo pessimismo. «Siamo in un vicolo cieco. Temo che tutti noi, insieme con lo Zar, non riusciremo ad uscirne», disse nel 1912. Questa, come si è poi scoperto, fu una paura giustificata. Non è un caso che l’opposizione alla prima guerra mondiale in Russia venne da conservatori come Durnovo, non dai liberali. Ciò che caratterizzava quei liberali, così come i liberals interventisti di oggi, era il loro ottimismo ventilato che la guerra sarebbe finita bene e avrebbe reso tutto migliore.

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Un esempio notevole nella Russia imperiale fu il ministro dell’Agricoltura, Aleksandr Vasilievich Krivoshein (nella foto sopra), il quale fu probabilmente il falco più importante nel governo russo. Durnovo dubitò che i russi avrebbero sostenuto il loro governo in tempo di guerra, Krivoshein non ebbe tali preoccupazioni.

Il governo ha bisogno di «credere più nel popolo russo e nel suo amore secolare per la patria, che era più grande di tutte le preparazioni fortuite per la guerra», sostenne. Nel Luglio del 1914, fu il liberale Krivoshein (che più di ogni altro convinse il Consiglio dei ministri russo a mobilitare l’esercito) ad aver portato la Russia e il resto d’Europa in una guerra disastrosa.

L’appello di Durnovo al principio monarchico è oggi ovviamente superato. Le sue idee politiche reazionarie fanno di lui una figura antipatica agli occhi moderni. Ma il suo tentativo di fare un calcolo razionale degli interessi, la sua enfasi sulle conseguenze interne negative della guerra, e il suo rifiuto di piegarsi alle facilonerie che così spesso causano le guerre lo rivalutano.

Con gli argomenti che scalderanno entrambe le sponde dell’Atlantico circa le origini della prima guerra mondiale, la sua eredità, e la giustizia o l’ingiustizia delle varie cause, tali aspetti aiuteranno a formare non solo il modo in cui consideriamo quella guerra ma anche il modo in cui vedremo le guerre del futuro, il memorandum di Durnovo merita una seconda occhiata.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: I goera mondial

Messaggioda Berto » dom feb 16, 2014 6:23 am

Ła barbarie de ła I goera mondial
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Storia de ła prima goera mondial
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... pXc2c/edit

http://www.peacelink.it/storia/a/8229.html


Fuxiłasion e teror ente ła prima goera mondial
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... haY0U/edit

A go on sogno!
A go on sogno da vivar vanti de morir e lè coeło de poder vedar, miłara de Veneti montegar so łe nostre Alpi sante e ke a miłara łi se raduna so łe piane dei 4 osari vixentini: del Cimon, del Paxoubio, de Axiago, del Gràpa
e ke da łi, łi ghe sighe ai nostri morti, a l’Ouropa e al mondo intiero kel nostro canto no lè coeło barbaro e viołento de łi tałiani, el canto mamełego-roman de łi sasini de Cristo ma tuto naltro, na canta de paxe, de fradernetà e de ben;
e ke dapò a miłara ognoun el porte on tricołor tałian a bruxar so l braxer del riscato e ke l’oxe alto: mi so veneto e no tałian e ke pì gnente me podarà costrenxar a portar sta orenda bandera ke ła gronda del sangoe de ła nostra xente veneta.
No łi se vargogna mia łi alpini de ver sempre en man el tricołor tałian e de cantar l’orenda canta mamełega piena de viołensa e ke ła exalta łi sasini de Cristo.

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Re: I goera mondial

Messaggioda Berto » sab mar 15, 2014 1:06 pm

El rejsta veneto Olmi lè drio far on film so la prima goera mondial:

el ga dito ke no ghè gnente de "Grande" ente la goera e sto film el trata de on reparto ke se ge rebelà e revoltà contro.

'Torneranno i prati', Olmi in trincea per raccontare la "Grande Guerra" (no ghè gnente de grande el ga dito Olmi)

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Asiago (Vicenza), 14 mar. (Adnkronos/Cinematografo.it) - Torneranno i prati, e torna la Prima Guerra Mondiale: è il nuovo film di Ermanno Olmi. Nel centenario del primo conflitto mondiale, riprese sull'Altopiano dei Sette Comuni, nel cast Claudio Santamaria, Andrea Di Maria, Francesco Formichetti, Camillo Grassi e Niccolò Senni, soggetto e sceneggiatura dello stesso Olmi, produzione Cinema Undici e Ipotesi Cinema con Rai Cinema, siamo sul fronte Nord-Est, dopo gli ultimi sanguinosi scontri del 1917 sugli Altipiani, e, promette il regista 83enne, ''la pace della montagna diventa un luogo dove si muore: tutto ciò che si narra in questo film è realmente accaduto, e poiché il passato appartiene alla memoria, ciascuno lo può evocare secondo il proprio sentimento''.


Otto settimane di riprese, due trincee ricostruite a Val Formica e Val Giardini, tre milioni e 200mila euro di budget. ''Il miglior modo di celebrare il centenario - dice Olmi - è capire perché è successo: noi oggi siamo a una vigilia che rischia di assomigliare molto a quella della Prima Guerra Mondiale con conseguenze devastanti: la celebrazione deve essere 'voglio capire perché', perché non succeda un'altra volta''.
''Negli anni '80 storici austriaci e italiani sono stati incaricati di raccontare la Prima Guerra Mondiale, ma viene buono che quel scriveva Raymond Chandler 'Sapeva veramente tutto, ma solamente quello', perché non conoscono direttamente la realtà di cui vanno parlando. Io ho letto, riletto libri di testimoni diretti della guerra, come il mio amico Mario Rigoni Stern, Gadda, Lussu, Weber e altri: pagine di straordinaria sensibilità percettiva nel cogliere quelle sfumature che lo storico di professione non può avere. Ma oltre a questi autori, che hanno vissuto ma anche metabolizzato quegli eventi nello scrivere i loro romanzi, ho letto pagine di anonimi: c'era il nome in fondo, ma era quello di chi non ha nome. La verità l'ho trovata lì. Allora, chi scrive la storia? Quella ufficiale gli intellettuali, quella reale coloro che non hanno parola''.
Tra le testimonianze dirette, lo stesso padre di Olmi e Toni il Matto, un pastore che combatté sull'Altopiano: ''Nel '14-'15 in Italia sono successe cose vergognose, si sono mercanteggiate le condizioni di convenienza: se entrare o meno in conflitto, se schierarsi con gli austriaci o non belligerare, ma casa Savoia, sempre distratta nei confronti della storia, ha ritenuto più conveniente legarsi alle nazioni che avevano bisogno di mercati in Europa, l'Austria-Ungheria, un po' come oggi la Merkel. Fate questo lavoro, storici, e vedrete - tuona il regista - quanti fatti vergognosi di cui dobbiamo arrossire e abbassare il capo''.
Dunque, l'urgenza di questo film, 'Torneranno i prati', ambientato nell'autunno del 1917, ''il preludio di Caporetto, il preludio della disfatta: racconto di come dagli alti comandi vien l'ordine di trovare un posizionamento per spiare la trincea avversa: si finisce accoppati, ma l'ordine è arrivare là''. Probabilmente lo vedremo alla Mostra di Venezia, per ora Olmi rivela una battuta sintomatica del film che definisce 'onirico': ''Dopo una disfatta, tutti tornano a casa loro e dopo un po' tornerà l'erba sui prati''. La trincea è un avamposto, un caposaldo italiano sull'Altopiano e, continua il regista, ci sono ''due personaggi che fanno prevalere la propria coscienza sulle esigenze militari dei comandi superiori: disobbediscono, e la disobbedienza è un atto morale che diventa eroicità quando la paghi con la morte. Uno è un alto ufficiale, l'altro il solito anonimo soldatino il cui nome non significa nulla: entrambi hanno la coscienza di disobbedire. Nel processo, Eichmann sosteneva 'Abbiamo obbedito a un ordine', ma no: non ci sono ordini, quando un ordine è un crimine''.
E Olmi affonda: ''Sui monumenti che ancora oggi ritraggono gli alti comandanti, bisognerebbe scrivere sotto criminale di guerra''.
'Torneranno i prati' è profondamente radicato nella cittadina di Asiago che il maestro Ermanno Olmi ha scelto per vivere e si inserisce a buon diritto tra le iniziative promosse dalla presidenza del Consiglio per il centenario della I Guerra Mondiale. Il film, che nel cast annovera Alessandro Sperduti e Claudio Santamaria, dovrebbe arrivare nelle sale nel prossimo autunno.


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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... osari1.jpg

Almanco Olmi el ga vesto el corajo de dir calcosa contro la goera, contra sta goera e contro coeli ke li la ga comandà e fata; xente come de Marsi (el maestro ? ma de cosa?) fin deso no me par kel se gapie mai pronounsià contro ... De Marsi el ga scrito on mucio de canson ke le mensiona l'oltema goera mondial e li patimenti de li soldà ma mai el ga dito calcosa contro e contro el stado kel la ga fata.
Me par ke De Mrsi el sipia on nasionalista talian roso no tanto difarente da coeli neri de na olta.

http://www.antiwarsongs.org/canzone.php ... 03&lang=it

[1981]
Dall’album “Voci della montagna Vol.2”
Le parole (scritte con l’apporto del paroliere Carlo Geminiani) sono ispirate alla testimonianza di Giulio Bedeschi, medico e alpino, sopravvissuto alle campagne di Grecia e di Russia ed in seguito autore del celebre “Centomila gavette di ghiaccio”, stracensurato nel dopoguerra e pubblicato per la prima volta solo nel 1963.
Musica di Bepi De Marzi.

Alpini al monte Golico nel 1941

[Nell’autunno del 1940] “Gli Alpini, soprattutto quelli della Divisione Julia, erano partiti per il fronte greco, per una guerra che i governanti di allora si illudevano fosse poco più di una passeggiata: “Spezzeremo le reni alla Grecia …”, era lo slogan dei capi fascisti.
La Julia, che già era stanziata in Albania, iniziò la sua tragedia il 26 ottobre 1940 con l’attacco ordinato dal Comando Supremo in una stagione autunnale che, per l’arrivo delle piogge e delle prime nevi, non era quella opportuna per intraprendere una guerra. Per quanto riguarda l’organizzazione, basti pensare che già il 1° novembre gli alpini della Julia avevano già terminato la riserva di viveri. Scarseggiavano pure le munizioni e la copertura aerea promessa non si fece vedere. Dall’inizio dell’offensiva vera e propria (28/10/1940) all’11 novembre le perdite della divisione ammontarono a 1674 uomini, di cui 40 ufficiali. La resistenza greca, esercito e partigiani, bloccò le truppe italiane sui monti ai confini con l’Albania e l’inverno completò l’opera. Divenne una guerra di posizione.
Il Golico è un monte nei pressi del fiume Vojussa (quello citato in un altro famoso canto degli Alpini, Sul ponte di Perati bandiera nera il fiume che “col sangue degli alpini s'è fatto rosso…”; la montagna fu più volte presa e perduta, soprattutto nel periodo 7/3/1941-18/3/1941, e ciò con numerose perdite fra gli alpini dei Battaglioni Tolmezzo, Gemona e Cividale, della Julia, ed anche del Btg. Susa della Taurinense. Il solo Btg Cividale il giorno 18 marzo ebbe 40 morti e 240 feriti.
Il testo, anche se segue la tradizione di tutti i canti alpini, non è un testo che esalta la guerra, anzi, tutt’altro (???). Infatti l’alpino, conscio che qualsiasi azione potrebbe essere l’ultima, rivolge un pensiero alla madre e prega la Madonna di dare alla madre, che perderà il figlio, la forza di non cedere alla disperazione.” (Sergio Piovesan, dal sito del Coro Marmolada di Venezia.)

Se la Julia non fesse ritorno,
la me mama pregherà par mi,
Se la Julia non fesse ritorno,
la me mama pregherà par ti

Là sul Golico sotto la neve,
nà preghiera prima de dormir
là sul Golico sotto la neve
nà preghiera prima de morir.

Oh Madonna regina del cielo,
su me mama meti la Tua man,
daghe forza de pianzer pianelo,
daghe forza de non disperar.

Se la Julia non fesse ritorno,
la me mama pregherà par mi,
Se la Julia non fesse ritorno,
la me mama pregherà par ti

inviata da Bartleby - 23/6/2011 - 11:43

No la me par purpio na canson de cretega contro la goera.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: I goera mondial

Messaggioda Berto » ven mar 21, 2014 8:30 pm

Da Bismarck alla Merkel, la grande Germania tiene l’Italietta in soggezione

http://www.lindipendenza.com/da-bismarc ... soggezione

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Da Bismarck alla Merkel, la grande Germania tiene l’Italietta in soggezione


di ROMANO BRACALINI

Renzi che va a Berlino col berrettuccio in mano e la parlantina senza freni di un fiaccheraio toscano, rimanda ai viaggi d’ossequio dei reali italiani che a fine Ottocento con Crispi, bombardiere nero, erano ansiosi di mostrarsi a Birsmarck come alleati affidabili e potenti. Ma il cancelliere di ferro, nella sua rigidezza prussiana, non riusciva a considerare l’Italia una potenza alla pari; e a Vienna l’Italia la si vedeva come “la caricatura di una grande potenza”. In Etiopia gli italiani erano scappati davanti agli abissini scalzi e male armati. La regina Margherita, sangue misto piemontese e sassone, spingeva Crispi alla conquista dell’Africa, dove il siciliano aveva sacrificato capitali e giovani vite, per arrivare al disastro finale di Adua nel 1896. Gli scambi di visite tra Roma e Berlino erano frequentissimi e precedettero in quel periodo le scalmane più reazionarie di Umberto. L’alleanza con la Germania rafforzava il traballante trono dei Savoia. I giornali umoristici riferivano puntualmente le cronache più esilaranti dei viaggi reali in Germania. I tedeschi si sforzavano di rivolgere ai sovrani d’Italia discorsi in italiano, senza poter attenuare l’orrendo accento dei “crucchi”. Così nell’autunno 1893 l’Asino, foglio satirico, presentò il testo di “uno dei quarantadue brindisi guerreschi fatti nei centoventinove banchetti militari da S.M. l’imperatore di Germania, in una delle seicentododici caserme da Lui e dal Principe di Napoli visitate”. Dunque il nuovo imperatore Federico III prese la parola rivolto al principe Vittorio Emanuele,erede al trono d’Italia:

“Altitudine! Befo vostra salutazione e salutazione fostro genitore Umperto Primo e prosperitudine fostri cannoni fostre spade fostri fucili! Befo nostra amicizia difesa troni interessi nostri bajocchi -come a Roma dicere- conservare”. L’imperatore terminò il discorso con un saluto a re Umperto, “eroe del Quadrilatero” nella guerra del 1866 che maldestramente fruttò all’Italia il Veneto, e volendo rendere omaggio alla bontà e alla gentilezza della regina, di cui nessuno si era mai accorto, disse che “Margherita è un angolo”; concluse con il grido tedesco “Hoche” che l’Asino da par suo tradusse in “Oche”.

L’alleanza con gli imperi centrali finì nell’ignominia del tradimento più plateale, quando l’Italia in gran segreto sottoscrisse nel maggio 1915 il patto di Londra che rovesciava l’alleanza. L’Italia vinse la guerra per il rotto della cuffia, annettendo il Sud Tirolo austriaco per raggiungere la sicurezza delle frontiere al Brennero. Mussolini, da bravo italiano, era transitato dalla neutralità socialista all’intervento nazionalista. Era fatale che il nazionalismo straccione si accodasse un’altra volta alla Germania di Baffino. La Germania non aveva avuto modo di sperimentare il “valore italiano” che veniva descritto nei libri ed era una pura invenzione dei retori di corte. Così un’altra volta fottemmo i tedeschi e quando Hitler nel 1938 venne in visita ufficiale in Italia rimase impressionato dal potenziale d’armi dell’esercito italiano che in omaggio all’ospite sfilava a passo romano,passo romano che non esisteva, ed era solo l’imitazione del passo dell’oca fatto da un esercito con le gambe corte. Anche i fascisti come i napoletani di re Ferdinando avevano trovato il modo di fare “ammujna”. Hitler non sapeva che i carri armati che vedeva erano quelli fatti venire da tutta Italia. Dice Leo Longanesi che Hitler salutando il duce al Brennero aveva le lacrime agli occhi, non si sa se dal piangere o dal ridere. In ogni caso c’era poco da ridere, come poi i tedeschi avrebbero sperimentato. Il patto d’acciaio venne firmato a Berlino da Ciano, genero e ministro degli esteri di Mussolini. Ciano aveva la voce chioccia e i piedi piatti, ed essendo stato fatto conte di Cortellazzo a Livorno lo chiamavano con una brutta parola che faceva rima col predicato. I crucchi, lenti di comprendonio, non avevano capito che quello italiano era un altro bluff di un popolo di pizzaioli e di magliari. Il complesso della Germania è rimasto nell’animo truffaldino dell’italiano. L’ammiriamo e ne abbiano paura. Vediamo in essa ciò che non riusciamo e non possiamo essere. Renzi, come un vu cumprà dell’Arno, è andato a Berlino col medesimo senso di inferiorità e con i compiti da fare.

L’Italia era già un fallimento alla fine dell’Ottocento, quando i Veneti rimpiangevano il Leone e i Lombardi il buon governo austriaco. Dopo 153 anni il vincolo nazionale non è mai stato così debole. Non erano necessari Monti, Letta o Renzi per farci scendere nella considerazione stupefatta dell’Europa. Dobbiamo liberarci dal giogo italiano insieme alla vergogna di essere italiani. A Nord-Est i primi segnali di cedimento e di liberazione. Poi tutto crollerà come un castello di carte.


Comenti================================================================================================================================


giuliano
21 Marzo 2014 at 6:37 pm #
Mai lette tante stupidagini, io non mi vergogno di essere italiano, se voi vi vergognate e’ grazie a vostri compagni di sinistra che in70anni vi hanno trasmesso un immagine ridicola dell’esercito italiano per apparire loro eroi. Nella mia famiglia abbiamo datto il sangue in ogni conflitto a partire dall’Etiopia al 15/18 e la seconda guerra mondiale. In africa gli italiani si sono arresi dopo dei tedeschi dopo essere stati abbandonati dagli stessi (mio nonno diceva che i tedeschi sono bravi combattenti ma quando scappano sono veloci). E non tutti gli italiani hanno tradito .

Alberto Pento
21 Marzo 2014 at 7:26 pm #
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... talega.jpg

Caro Xułian, no sta vargognarte, mi no me vargogno miga parké a so veneto e no tałian e prasiò no gò de sti problemi edentetari e te garantiso ke se ghe fuse na goera mi a me metaria contro łi tałiani e sensa dir ai o bai.

Alberto Pento
21 Marzo 2014 at 6:11 pm #
Ke beła ła Merkel, co ke ła veste bianca ła par on papa-dona e kel diavolo de Rensi ła ła fa ridar, parké el tałian Rensi el crede de esar figo e furbo e eła ła sa come ke łi xe sti tałiani tosco-romani.

leandro
21 Marzo 2014 at 5:25 pm #
“Poi tutto crollerà come un castello di carte”
—————-
MAGARI, non vedo l’ora. Attualmente c’è perfino da vergognarsi di essere italiani.

Gennaro
21 Marzo 2014 at 3:18 pm #
“Anche i fascisti come i napoletani di re Ferdinando avevano trovato il modo di fare “ammujna”.”
Ancora con ‘sto falso storico dell’ “ammuina”, per di più attribuito all’epoca ferdinandea. E basta dai!
https://it.wikipedia.org/wiki/Facite_ammuina

Gennaro
21 Marzo 2014 at 3:04 pm #
Ancora con ‘sto falso storico dell’ <>, per di più attribuito all’epoca ferdinandea. E basta dai!
https://it.wikipedia.org/wiki/Facite_ammuina

lucano
21 Marzo 2014 at 9:46 am #
Poi tutto crollerà come un castello di carte…… speriamo

marco svel
21 Marzo 2014 at 9:44 am #
Bellissimo articolo non vedo l’ora di andare all’estero e non vergognarmi più di esibire il passaporto di un paese di merda

Dan
21 Marzo 2014 at 9:31 am #
L’italia o meglio il regno di sard… cioè no il ducato di savoia è sempre stato uno staterello del menga che si guadagnava la pagnotta cambiando alleato storico ogni cent’anni circa.
Franza, Spagna o pure Austria purché se magna.
Chi avrebbe mai dovuto considerarci degni di qualcosa ?
Quando la Margherita spinse per l’Africa confidava nel buon esito della distanza, magari sperava che agli occhi degli Etiopi potessimo giocare un ruolo tipo Spagna contro Aztechi.
Ah la povera margherita, fosse rimasta a mangiare il pollo con le dita…
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: I goera mondial

Messaggioda Berto » dom apr 13, 2014 7:31 pm

Onti Taliani

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http://www.itinerarigrandeguerra.it/La- ... tobre-1917

La disfatta di Caporetto

All'alba del 24 ottobre 1917 Luigi Cadorna, nella sede del Comando Supremo di Udine, venne informato del pesante bombardamento sulla linea Plezzo-Tolmino. Fedele alle sue convinzioni, il generale la ritenne una simulazione per distogliere l'attenzione dal fronte carsico.
Contemporaneamente, sul monte Krasij a nord di Caporetto si trovava la terza linea difensiva formata da alcuni battaglioni alpini tra cui quello comandato dal volontario interventista Carlo Emilio Gadda. Lui ed i suoi uomini furono svegliati alle due dal mattino dai bombardamenti massicci che proseguirono fino all'alba. Non subendo però alcun attacco e non ricevendo alcun ordine, rimasero nelle loro posizioni, isolati e completamente avvolti nella nebbia. Verso le 12 videro alcuni soldati italiani inseguiti da quelli austro-germanici e, alle 15, udirono le esplosioni dei ponti sull'Isonzo. Capirono quindi di essere bloccati ed attesero con rassegnazione l'attacco nemico.

I primi ordini giunsero dopo 24 ore quando il Comando Supremo venne informato che Caporetto era caduta e che gli austro-germanici erano riusciti ad avanzare a Saga e sul Kolovrat. Venne deciso l'abbandono di tutte le posizioni sulla riva sinistra dell'Isonzo. Gadda iniziò quindi a scendere lungo il crinale. In pochi minuti si rese conto che la situazione era veramente disperata: migliaia di soldati italiani cercavano di attraversare il fiume (privo di ponti) mentre i tedeschi li inseguivano su entrambe le rive. Molti decisero di gettare il fucile, arrendersi e farsi catturare dagli uomini guidati da Krauss.

Nel frattempo Rommel ed il suo gruppo di soldati del Württenberg proseguirono l'avanzata sul Kolovrat arrivando con facilità fino ai pressi del Monte Matajur, la cima più alta delle Valli del Natisone. Il giorno seguente un'altra azione di aggiramento permise di catturare migliaia di soldati italiani, arresisi senza combattere, e alle 12 del 26 ottobre 1917 la montagna venne conquistata dai tedeschi. In due soli giorni avevano percorso 18 chilometri catturando 150 ufficiali, 9mila soldati e perdendo appena 39 uomini.

La situazione ormai stava precipitando velocemente anche a livello politico: a Roma il presidente del Consiglio Paolo Boselli, dopo aver perso un voto di fiducia, si dimise. Poche ore dopo iniziarono a circolare le notizie di quanto stava succedendo nell'Alto Isonzo. La Seconda Armata venne totalmente abbandonata dai propri ufficiali e migliaia di soldati si diressero senza alcun ordine verso la pianura friulana. Molti gettarono con sollievo le armi convinti che la guerra fosse terminata. Contemporaneamente, nelle strade riempite dai militari in rotta, si aggiunsero i primi civili friulani, costretti ad abbandonare le proprie case dall'avanzata austro-germanica.

Il 26 ottobre Cadorna cercò di nascondere la verità al Paese con dei bollettini ottimistici ma ormai era chiaro: l'azione compiuta tra Plezzo e Tolmino da parte degli austro-germanici aveva portato ad una disfatta del fronte italiano. Gli stessi vertici, nonostante le palesi mancanze ed errori, si gettarono in una "corsa convulsa a scrollarsi di dosso ogni responsabilità della disfatta […] e mantenere così intatti il prestigio e l'onorabilità" (Ernesto Ragionieri, "Lo Stato Liberale", in "Storia d'Italia Vol. 11", Einaudi, Torino, 2005, p. 2034). La colpa, secondo loro, era del disfattismo imperante all'interno del Regno.
Due giorni dopo venne diffuso in tutta Italia un nuovo bollettino, sempre firmato da Cadorna: "La mancata resistenza di reparti della Seconda Armata, vilmente ritiratisi senza combattere o ignominiosamente arresisi al nemico, ha permesso alle forze armate austro-germaniche di rompere la nostra ala sinistra sulla fronte giulia" (Nicola Labanca, "Caporetto - Storia di una disfatta", Giunti, Firenze, 1997, p. 38). Queste gravi accuse segnarono definitivamente la fine della sua carriera ai vertici dell'esercito italiano.

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Re: I goera mondial

Messaggioda Berto » lun mag 12, 2014 2:15 pm

Ła barbarie tałiana de ła prima goera mondial
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Alpini tricolorà
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Via da ła tera veneta łi barbari viołenti tałiani
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El tricołor, ła canta mamełega el nasionałeixmo tałian
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Straje de ła I goera mondial ente l'ara veneta
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Alpini e tricolor
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Stermegno de łi afregani da parte de łi tałiani
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ANPI e 'l so 25 april, n'oror tuto tałian
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Foibe - par colpa dei nasionałeixmi edeołojeghi
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