Il bene che si difende dal male, il caso Ucraina

Re: Il bene che si difende dal male, il caso Ucraina

Messaggioda Berto » dom ott 23, 2022 9:03 am

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Il bene che si difende dal male, il caso Ucraina

Messaggioda Berto » dom ott 23, 2022 9:04 am

14)
Un eroe della libertà infrantosi vergognosamente ai piedi di Putin!
La sua non è la Casa della Civiltà ma dell'inciviltà!


L'egiziano Magdi Cristiano Allam naturalizzato italiano, apostata dell'Islam convertitosi al cristianismo, perseguitato e minacciato di morte per la sua apostasia e per la sua articolata e condivisibile denuncia dell'Islam come nazismo maomettano, da quasi vent'anni vive protetto sottoscorta dell'Arma dei Carabinieri.
Un'eroe della libertà dal nazismo maomettano che si è demenzialmente schierato con il nazi fascista Putin e
contro l'Ucraina e il suo presidente Zelensky (questo sì un vero eroe della Libertà), per i quali chiede la fine di ogni aiuto economico e militare ed il loro completo abbandono alla mercè di Putin.
Io chiedo al nuovo ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi, di rimuovere la scorta protettiva a Magdi Cristiano Allam per fargli vivere quello che lui stesso vorrebbe per l'Ucraina e il suo popolo.
Questo ex eroe della libertà, ha vergognosamente fatto propria la propaganda russa contro l'Ucraina e gli ucraini che riproduce pari pari la propaganda di Maometto contro gli ebrei, i cristiani e ogni diversamente religioso e pensante. Putin ha calunniato e demonizzato gli ucraini come Maometto a suo tempo aveva calunniato e demonizzato gli ebrei e i cristiani, e non aver risconosciuto l'analogia tra le menzogne del nazismo russo di Putin con quelle del nazismo islamico di Maometto denota in quest'uomo una profonda carenza nel suo criterio di giudizio delle cose, dei fatti e della realtà.



MAGDI CRISTIANO ALLAM: “Gli Stati Uniti, la Nato e l’Unione Europea vogliono eliminare Putin e sottomettere la Russia, anche a costo di scatenare la Prima e forse l’ultima Guerra Nucleare Mondiale” - Casa della Civiltà

Magdi Cristiano Allam
Presidente della Comunità «Casa della Civiltà»
Domenica 16 ottobre 2022

https://www.casadellacivilta.com/2022/1 ... -mondiale/

Cari amici buongiorno e Buona Domenica del Signore. «Steadfast Noon», «Mezzogiorno costante», è il nome dell’esercitazione nucleare della Nato che inizierà da domani, lunedì 17 ottobre, fino al 30 ottobre. «Le forze aeree di tutta l’Alleanza eserciteranno le capacità di deterrenza nucleare coinvolgendo decine di aerei sopra l’Europa nord-occidentale», fa sapere la Nato.
L’esercitazione coinvolge 14 Paesi e fino a 60 velivoli di vario tipo, tra cui caccia di quarta e quinta generazione, velivoli di sorveglianza e aerocisterne, i bombardieri a lungo raggio B-52 degli Stati Uniti. I voli di addestramento si svolgeranno sul Belgio, che ospita l’esercitazione, sul Mare del Nord e sul Regno Unito. Non vengono utilizzate armi vive.
«Questa esercitazione contribuisce a garantire che il deterrente nucleare dell’Alleanza rimanga sicuro, protetto ed efficace», ha dichiarato il portavoce della Nato Oana Lungescu. Il nuovo «Concetto Strategico della Nato», adottato dai leader alleati al Vertice di Madrid di giugno, chiarisce che «Finché esisteranno le armi nucleari, la Nato rimarrà un’alleanza nucleare. Lo scopo fondamentale della capacità nucleare della Nato è quello di preservare la pace, prevenire la coercizione e scoraggiare l’aggressione».

Intanto il 15 ottobre il Pentagono ha autorizzato ulteriori aiuti in armi all’Ucraina per 725 milioni di dollari, portando a 18,2 miliardi l’ammontare totale con cui gli Stati Uniti hanno sostenuto il Paese sin dal gennaio 2021. Il nuovo pacchetto di aiuti include munizioni per i sistemi di artiglieria Himars a lungo raggio, comprensivi di 23 mila pezzi di artiglieria da 155 millimetri e 500 pezzi di artiglieria di precisione guidata.

La Nato sta inoltre fornendo all’Ucraina e sta dotando gli Stati europei di un sistema missilistico terra-aria di difesa aerea. Germania, Gran Bretagna e Spagna hanno annunciato la consegna di sistemi di difesa aerea all’Ucraina. Quattordici Paesi, a cui si è unita anche la Finlandia (per ora solo candidata alla Nato), hanno firmato un’intesa per uno scudo missilistico a protezione dei cieli europei.

L’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per la Politica estera, Josep Borrell ha ammonito: «Qualsiasi attacco nucleare contro l’Ucraina creerà una risposta, non una risposta nucleare, ma una risposta così potente da parte militare che l’esercito russo sarà annientato».

Il Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha detto: «Non entrerò nel modo esatto in cui risponderemo, ma ovviamente questo cambierebbe radicalmente la natura del conflitto. Significherebbe che è stata superata una linea molto importante. Anche l’uso di piccole armi nucleari avrà delle pesanti conseguenze».

Il 14 ottobre, in un messaggio per celebrare la Giornata dei difensori in Ucraina, il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky, ha detto che l’Ucraina deve «Vincere per coronare il sogno di libertà». Queste le sue parole: «Gratitudine a tutti coloro che hanno combattuto per l’Ucraina in passato. E a tutti coloro che stanno combattendo per questo ora. A tutti coloro che hanno vinto allora. E a tutti quelli che vinceranno sicuramente adesso».

Il 13 ottobre il vice-Segretario del Consiglio di Sicurezza russo, Alexander Venediktov, in un’intervista all’agenzia di stampa Tass ha detto: «L’adesione dell’Ucraina alla Nato può portare alla Terza guerra mondiale. Kiev è ben consapevole che un tale passo significherebbe un’escalation garantita alla Terza guerra mondiale».

Il 7 ottobre il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha detto: «Non possiamo tacere sulle discussioni sul tema del possibile uso delle armi nucleari, che si sono recentemente intensificate. In particolare, non possiamo tacere sulle azioni sconsiderate del regime di Kiev volte a creare il rischio di utilizzare varie armi di distruzione di massa».

Il 14 ottobre il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko, ha annunciato la decisione di schierarsi al fianco della Russia nella guerra in Ucraina: «A causa dell’aggravarsi della situazione lungo i confini del Paese, è stato introdotto lo stato di accresciuta minaccia terroristica e abbiamo avviato le procedure per uno schieramento congiunto di truppe con la Russia».
Lukashenko ha accusato l’Ucraina di preparare un attacco al suo territorio e che per tale motivo schiererà sue truppe insieme con altre russe.
Lukashenko ha aggiunto: «La Russia ha i più moderni tipi di armi e resisterà in Ucraina senza armi nucleari. Alcuni giorni fa, quando ha lanciato attacchi di precisione contro l’Ucraina in risposta alll’attacco al ponte della Crimea, Mosca ha dimostrato la sua forza. La Russia ha, lo so per certo, il più moderni tipi di armi. E non ha bisogno di usare armi nucleari. La Russia ce la farà senza armi nucleari».

Cari amici, giorno dopo giorno mi sembra sempre più evidente che l’obiettivo finale degli Stati Uniti, della Nato e dell’Unione Europeo è di rimuovere dal potere il Presidente russo Vladimir Putin, di sconfiggere militarmente la Russia per poterla occupare, smembrare e sottometterla alla strategia del Nuovo Ordine Mondiale assoggettato alla grande finanza speculativa globalizzata.
A tale fine stanno istigando Putin, per salvaguardare il proprio legittimo potere e per difendere doverosamente la Russia, a lanciare la prima bomba atomica tattica, le cui conseguenze sarebbero circoscritte, ma che scatenerebbe una reazione devastante da parte della Nato. Il risultato finale sarebbe l’annientamento della Russia e dell’Europa, lo sterminio di decine, forse centinaia, di milioni di europei.
Ebbene oggi più che mai dobbiamo, per un verso, mobilitarci contro la folle e apocalittica prospettiva della Prima e forse ultima Guerra Nucleare Mondiale, e per l’altro verso, avere l’onestà intellettuale, l’integrità morale e il coraggio umano di condannare la strategia degli Stati Uniti, della Nato e dell’Unione Europea, affermando la realtà integrale di una guerra che è iniziata nel 2014 con la discriminazione, persecuzione, violenze e massacri delle popolazioni russe in Ucraina, ciò che ha determinato otto anni dopo, l’intervento militare della Russia il 24 febbraio 2022.

Andiamo avanti a testa alta e con la schiena dritta, forti di verità e con il coraggio della libertà. Con l’aiuto del Signore insieme ce la faremo a far rinascere la nostra civiltà, salvare gli italiani, riscattare l’Italia.



Magdi Allam chiede più protezione: "L'attentato a Rushdie conferma che la fatwa non decade"

Secolo d'Italia
Penelope Corrado
16 Ago 2022

https://www.secoloditalia.it/2022/08/ma ... on-decade/

Magdi Cristiano Allam si rivolge al presidente della Repubblica Sergio Mattarella per chiedere una maggiore sicurezza e di intervenire per ”adeguare la mia protezione”. L’attentato a Rushdie, sottolinea, “è avvenuto per carenza di scorta” e dimostra che “la condanna a morte del ‘nemico dell’islam’ non decade mai”.

L’attentato a Rushdie 33 anni dopo la fatwa

“Il grave attentato terroristico islamico perpetrato negli Stati Uniti venerdì 12 agosto nei confronti dello scrittore Salman Rushdie, 33 anni dopo la ‘fatwa’, responso giuridico islamico, emessa dalla ‘Guida suprema’ dell’Iran l’imam Khomeini il 14 febbraio 1989, ci obbliga a prendere atto che la condanna a morte del ‘nemico dell’islam’, sia in quanto ‘apostata’, Rushdie è nato musulmano ma si professa ateo, sia in quanto ‘blasfemo’, perché avrebbe offeso Allah e Maometto nel suo romanzo ‘I versi satanici’ del 1988, non decade mai e non si estingue se non con la sua morte”, si legge nella lettera di Allam al Capo dello Stato.

Il musulmano che uccide il ‘nemico dell’islam’, ricorda, “lo fa nella certezza di obbedire a Allah e a Maometto, che con il suo eventuale ‘martirio’ conquisterà il Paradiso islamico e, nel caso specifico di Rushdie, riscuoterà una cospicua taglia che attualmente ammonta a 3,3 milioni di dollari promessa dalla Fondazione 15 Khordad che è un’istituzione dello Stato iraniano. Ebbene l’errore fatale delle autorità di Sicurezza americane è stato di ridurre drasticamente la protezione a Rushdie, immaginando che dopo 33 anni dalla ‘fatwa’ di Khomeini e in assenza di nuovi indizi di pericolo, la minaccia alla sua vita fosse venuta meno. Il terrorista islamico ha potuto infliggergli 15 coltellate al volto, alla gola e all’addome prima dell’arrivo di cinque poliziotti che sono riusciti a bloccarlo. Tutti noi preghiamo affinché possa salvarsi e tornare a vivere normalmente”.

“Dal 2003 vivo sotto scorta per le minacce islamiche”

“Dal marzo 2003 vivo sotto scorta per una decisione delle autorità di Sicurezza dello Stato, che ringrazio per la tutela della mia incolumità fisica, a causa di condanne e di minacce di morte da parte di terroristi e estremisti islamici all’estero e in Italia. Nell’informativa raccolta all’epoca dal Sisde (Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica) si afferma che il Movimento islamico palestinese Hamas, ad oggi considerato dall’Unione Europea una organizzazione terroristica, ha ‘manifestato un forte risentimento nei confronti di Magdi Allam, editorialista de ‘La Repubblica’ ed inviato attualmente in Kuwait’, e che ci sono ‘possibili rischi incombenti sul giornalista, con particolare riguardo alla sua incolumità fisica'”.

Magdi Cristiano Allam è reo di essersi convertito al cattolicesimo

“Successivamente autorevoli rappresentanti in Italia e in Europa che ideologicamente fanno riferimento al Movimento estremista dei “Fratelli Musulmani” a cui aderisce Hamas, messo fuorilegge in quanto organizzazione terroristica da Egitto, Russia, Siria, Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Tagikistan e Uzbekistan, mi hanno pubblicamente condannato come ‘nemico dell’islam’, una sentenza che si traduce inequivocabilmente nella mia condanna a morte”, sottolinea Magdi Cristiano Allam. “Nel 2008, dopo la mia scelta di convertirmi dall’islam al cristianesimo, a seguito dell’intercettazione di comunicazioni di terroristi islamici in cui si manifestava la decisione di uccidermi, menzionandomi insieme al Papa Benedetto XVI che mi aveva battezzato nella Basilica di San Pietro, e in una distinta comunicazione insieme all’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, la mia scorta fu portata al “primo livello eccezionale” con complessivi 11 carabinieri, 4 macchine blindate, mentre per gli spostamenti più lunghi usufruivo degli aerei dei Servizi segreti. Ero il civile più scortato d’Italia”.

Magdi Cristiano Allam convertito col battesimo di Benedetto XVI

“Per 56 anni sono stato il cittadino italiano di fede islamica che più di altri si è prodigato per affermare in Italia un ‘islam moderato’ e un ‘islam italiano’. Il 10 settembre 2004 il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, per la prima volta nella Storia d’Italia, mi ricevette al Quirinale insieme a una delegazione di sette cittadini italiani musulmani, firmatari del ‘Manifesto contro il terrorismo e per la vita’, da me pubblicato sul “Corriere della Sera” di cui ero vice-Direttore. Il Presidente Ciampi ci manifestò l’apprezzamento per l’iniziativa e ci esortò a essere il modello di riferimento per i musulmani in Italia. Ma quel Manifesto e l’iniziativa del Presidente Ciampi furono condannati dai rappresentanti delle organizzazioni islamiche che controllano gran parte delle moschee presenti sul territorio italiano”.

“Mi hanno ridotto drasticamente la scorta, Mattarella intervenga”

“Sono anni che gradualmente si sta allentando la sicurezza accordatami dopo che lo Stato aveva ritenuto di portarla al massimo livello. Nonostante la mia denuncia di minacce di morte ricevute sia in Rete sia in luoghi pubblici, non vi è stato alcun seguito concreto. Attualmente la mia protezione è limitata a due carabinieri, che si riduce a un carabiniere quando scendo dall’auto della scorta. Dal 15 giugno 2018 mi è stata tolta la vigilanza fissa che avevo presso la mia abitazione e nelle strutture dove pernottavo ovunque in Italia. Io non ho paura della morte. A 70 anni so bene che la morte ci appartiene. Da credente mi riconosco nel testamento spirituale di Paolo Borsellino: ‘È bello morire per ciò in cui si crede; chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola’. Chiedo a Lei, Signor Presidente della Repubblica, di fare ciò che in suo potere per tutelare in modo adeguato la mia sicurezza e consentirmi di andare avanti nella missione di dire la verità in libertà anche nei confronti dell’islam. Siamo tutti sulla stessa barca. Se dovessero uccidere la mia libertà, morirà la libertà di tutti noi”, conclude.


Apostati dell'Islam, eroi dell'umanità
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=1922
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 1143583218
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 0147022373




TONI CAPUOZZO: «Sono preoccupato perché chi ci governa sembra incapace di fermarsi per scongiurare la Guerra Nucleare Mondiale» - Casa della Civiltà

Magdi Cristiano Allam
Presidente della Comunità «Casa della Civiltà»
Martedì 18 ottobre 2022

https://www.casadellacivilta.com/2022/1 ... ano-allam/

Cari amici buongiorno. Ieri ho avuto nuovamente il piacere di riabbracciare il mio amico Toni Capuozzo, uno dei rari «giornalisti» italiani degni di questa professione, che onorano una nobile e decaduta attività, un tempo ribattezzata «quarto potere», che si connotava della doverosa rappresentazione della realtà oggettiva, assoluta e universale, nonché della libera valutazione dei fatti contestualizzandoli nella Storia scandita dalla specificità spazio-temporale che non è mai identica e che va correttamente conosciuta.

L’incontro con Capuozzo è avvenuto presso l’Hotel Niccolò V alle Terme dei Papi a Viterbo, poco prima che lui iniziasse la presentazione del suo ultimo libro «Giorni di guerra. Russia e Ucraina, il mondo a pezzi», nell’ambito della manifestazione culturale «I Pirati della Bellezza, il Festival dei diritti», organizzato da Carlo Galeotti e condotto da Alessio Bernabucci.

A una mia precisa domanda, se ritenesse che potrebbe esplodere la Guerra Nucleare Mondiale, Capuozzo ha risposto: «Per la prima volta sono veramente preoccupato. In passato ci è capitato di dire “ci troviamo di fronte a un evento straordinario”. Ma questa volta è diverso perché l’uso dell’atomica oggi è una realtà plausibile e cambierà radicalmente la vita e il mondo».
E ha puntualizzato: «Le prossime due settimane saranno decisive per le sorti della guerra. Putin è costretto ad andare avanti perché costretto. Biden porta avanti una strategia che è il riflesso dello scontro interno agli Stati Uniti tra i Democratici e i Repubblicani. L’Unione Europea si limita a accodarsi alle decisioni statunitensi. Zelensky fa ciò che gli dicono di fare.»

Nel successivo incontro pubblico, Capuozzo ha così argomentato la sua preoccupazione:
«Mosca e Washington hanno condiviso l’idea che l’atomica non va usata, nella consapevolezza che se uno avesse premuto quel bottone, l’altro avrebbe fatto lo stesso. Oggi siamo incerti se la useranno. Ci domandiamo: Putin arriverà a usarla? Siamo incerti sull’esistenza di una razionalità comune. Gli altri lo spingeranno, spalle al muro, fino al punto di usarle? Sono domande a cui non c’è una risposta razionale. Perché se tu continui a camminare sull’orlo di un baratro, e tutti continuano a tagliarsi i ponti dietro alle spalle, e quindi non possono fare un passo indietro, tu continui a andare avanti. Io sono un ottimista, sono convinto che non ci arriveremo, perché voglio convincermi. Ma non è che nel 1939 dicevano “siamo alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale”. Ho la netta sensazione che la situazione non sia governata da chiarezza nelle strategie da quelli che governano il mondo».

Con il sano pragmatismo che da sempre lo caratterizza e gli conferisce credibilità e autorevolezza, Capuozzo ci fa capire che la «la guerra è la guerra», che al di là delle ragioni degli uni e degli altri, il comportamento sul campo di battaglia degli uni e degli altri non consente di tracciare una netta linea di distinzioni tra “buoni” e “cattivi”, tra il “bene” e il “male”.
Queste sono le sue parole: «La Seconda Guerra Mondiale l’hanno vinta i “buoni”, l’abbiamo vinta noi, ed è un bene. Ma come l’abbiamo chiusa nel Pacifico? Con due bombe atomiche. Erano due caserme? Hiroshima e Nagasaki erano due basi militari? No, erano due città, uomini, donne, bambini.
Io ero a Belgrado nel 1999 quando la Nato bombardava Belgrado per l’indipendenza del Kosovo. Ma come: il Kosovo può essere indipendente e il Donbass no? Ci sono delle volte in cui una secessione è sciagurata e delle altre in cui è benedetta. E chi lo decide? Io mi ricordo il titolo del Corriere della Sera: “Diluvio di missili sulla città di Milosevic”. Belgrado è una città di uomini, donne e bambini, non di Milosevic. Ebbene perché a volte metti l’accento sul leader che bisogna abbattere e altre volte sui civili uccisi?»

Cari amici, nella breve ma intensa chiacchierata con Capuozzo abbiamo affrontato, seppur sinteticamente, le cause di questa guerra. A suo avviso l’inizio della guerra non è certamente il 24 febbraio 2022, data dell’invasione dell’esercito russo in Ucraina. Comunque l’inizio deve comprendere le vessazioni e le persecuzioni dei russi del Donbass a partire dal 2014. «Ma ritengo che l’inizio vero sia nel 1989, con il crollo del Muro di Berlino e la dissoluzione dell’Unione Sovietica», precisa Capuozzo, «Gli Stati Uniti erano consapevoli che peggio della sconfitta dell’Unione Sovietica, sarebbe stata la dissoluzione dell’Unione Sovietica».
Ed ora che, giorno dopo giorno, emerge netta la determinazione a eliminare Putin dal potere, a sconfiggere, occupare e smembrare la Federazione Russa, il più grande Stato al Mondo, anche qualora venisse scongiurato l’uso delle armi atomiche, tutti noi rischiamo di essere travolti da una valanga di guerre ininterrotte all’insegna dello scontro etnico e confessionale che potrebbero dilagare in tutta l’Asia, in Medio Oriente, in Africa e in Europa, i cui effetti potrebbero essere pari o addirittura più gravi della guerra atomica.

Ringraziamo l’amico Toni Capuozzo per continuare a tenere alto il vessillo della verità e della libertà.
Andiamo avanti a testa alta e con la schiena dritta, forti di verità e con il coraggio della libertà. Con l’aiuto del Signore insieme ce la faremo a far rinascere la nostra civiltà, salvare gli italiani, riscattare l’Italia.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Il bene che si difende dal male, il caso Ucraina

Messaggioda Berto » dom ott 23, 2022 9:04 am

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Re: Il bene che si difende dal male, il caso Ucraina

Messaggioda Berto » dom dic 04, 2022 11:02 pm

15)
Liberazione di Kherson che torna all'Ucraina



Ritirata russa da Kherson, l'ambasciatore Stefanini: «Kiev è superiore sul campo»
Marco Ventura
10 novembre 2022
https://www.facebook.com/Messaggero.it/ ... 6228400384
https://www.ilmessaggero.it/mondo/ritir ... 42619.html

Il ritiro russo da Kherson è una svolta nella guerra? «Lo scenario militare non cambia radicalmente: conferma la superiorità dell’Ucraina sul campo di battaglia e la imbaldanzisce, ne rafforza la convinzione di poter liberare, se non tutti, gran parte dei territori occupati. Ma la strategia politica è tutto un altro discorso: è il momento buono per avviare il negoziato, però a certe condizioni». Luci e ombre nell’analisi dell’ambasciatore Stefano Stefanini, ex rappresentante d’Italia presso la Nato ed ex consigliere diplomatico del Presidente Napolitano.

Putin nasconde le navi sul fiume Dnipro, il simbolo della ritirata da Kherson

Quali condizioni?

«Da parte ucraina, la consapevolezza che il sostegno occidentale ha un limite. La capacità reattiva di Kiev non può arrivare fin dentro la Russia, deve restare difensiva e non diventare offensiva per un sentimento anche legittimo di rivincita».

E da parte russa?

«Che ci sia la disponibilità a un negoziato il cui punto finale sia la rinuncia alle annessioni nei termini in cui la Russia le ha fatte. Finora, ogni volta che ha subìto uno scacco Putin ha reagito alzando il tiro. Abbiamo sempre pensato che fosse un grande stratega, che sta dimostrando di non essere. Se gli resta un po’ di sale in zucca, stavolta non può alzare la posta e uscirne con le ossa sempre più rotte».

Dovrebbe ammettere la sconfitta?

«È un passo difficile per lui. Anzitutto, perché la sua posizione è che la nazione russa comprende l’Ucraina e che gli ucraini, volenti o nolenti, sono russi. In secondo luogo, il Paese potrebbe sfuggirgli di mano dopo averlo trascinato in questa guerra avendo un consenso diffusissimo. Ma il consenso è come uno strato di ghiaccio sottile, si può spezzare. È sempre più difficile mascherare sconfitte come quella di Kherson. Anche i russi cominciano a vedere che il Re… lo Zar, è nudo. Terzo, il rischio è che di fronte all’insuccesso militare prevalga l’ala ancora più dura, fra gli altri di Prigozhin».

E c’è sempre la minaccia nucleare…

«Lo spettro nucleare è un motivo in più per l’Ucraina per negoziare. Gli ucraini non hanno i mezzi per reagire a un attacco nucleare, la risposta sarebbe affidata alla Nato. Il problema è che passato l’inverno, i russi riverseranno nella guerra le risorse addizionali della mobilitazione. È una questione di rapporto di forze, di masse dei due Paesi. E di quella “massa” in un certo senso fa parte anche l’arma nucleare, che l’Ucraina non ha».

Che interesse ha Kiev a negoziare, se crede di potersi riprendere tutta l’Ucraina?

«L’obiettivo politico dichiarato è la liberazione completa fino ai confini internazionalmente riconosciuti, compresa la Crimea. Quanto è successo a Kherson rafforza questa linea di pensiero. Ma gli americani hanno molto discretamente incoraggiato l’Ucraina a non mettere precondizioni alla trattativa. Più territori riguadagna Kiev, più diventa forte e al contrario si fa insostenibile la posizione di partenza dei russi che mai hanno controllato tutti i territori annessi, e hanno anche perso metà di quelli occupati. E può esserci una spinta internazionale a negoziare da Cina e India...».

L’Ucraina potrebbe cedere la Crimea in cambio della restituzione del Donbass?

«Prima della guerra sarebbe stato più facile. Per Kiev sarebbe un boccone amaro rinunciare alla Crimea dopo l’invasione, le brutalità, e adesso i bombardamenti per togliere elettricità e calore alla popolazione».

Che cosa succede se non parte il negoziato?

«Kherson era indifendibile e si sapeva, i russi avevano anticipato il ritiro spostando gli abitanti e l’amministrazione civile a 50 km dalla città. Senza ritirarsi, avrebbero rischiato perdite pesanti e l’umiliazione di migliaia di prigionieri di guerra. Gli ucraini dovrebbero ora riconquistare più territorio possibile fino ai primi di dicembre. Poi col fango i movimenti di truppe si fermano e riprenderanno a febbraio-marzo».


CONSIDERAZIONI
Niram Ferretti
10 novembre 2022

https://www.facebook.com/niram.ferretti ... 6584654116

Con molta cautela va commentato il ritiro russo dalla città di Kherson. A Kiev non c'è esultanza, ma prudenza e circospezione. La situazione è in fieri. I russi controllano ancora buona parte della regione che porta il nome della città. Hanno lasciato solo il 10% cento. Manovra diversiva, difficoltà reale? E' presto per dirlo. Non è presto invece per fare un punto sui soldati morti e quelli feriti secondo fonti americane, centomila da parte russa e più o meno lo stesso numero per gli ucraini.
Gli Stati Uniti hanno detto di no all'Ucraina per la fornitura dei droni d'attacco Grey Eagle. Siamo sempre lì. Se volessero armare meglio l'Ucraina, gli Stati Uniti lo potrebbero fare senza problemi visto il materiale che hanno a disposizione, il più sofisticato del pianeta, ma non vogliono. E perchè non vogliono? L'ho già scritto più volte, perchè non desiderano un confronto ancora più aspro con la Russia. Allora cosa vogliono? Vogliono un negoziato con un Putin reso consapevole che il suo disegno di asservire l'Ucraina, di farla entrare nell'orbita russa è fallito e non potrà che fallire.
Putin deve perdere ma non in modo eclatante. Il messaggio arriva anche alla Cina a proposito di Taiwan. "Siamo intervenuti a sostegno dell'Ucraina contro la Russia, interverremo a sostegno di Taiwan contro la Cina".
A proposito dell'asse sino-russo. Quando tutto questo scempio stava per avere inizio, Putin andò a trovare Xi Jinping a Pechino, per l'inaugurazione delle Olimpiadi invernali. Era il 21 febbraio scorso. Tre giorni dopo ci sarebbe stata l'invasione. Putin rassicurò il despota cinese che sarebbe stata una passeggiata. L'Europa era divisa e sotto ricatto energetico, gli Usa erano usciti dall'Afghanistan in modo ignominoso e avevano un presidente debole e irresoluto. In Ucraina la resistenza sarebbe stata minima. Sorrisi, ammiccamenti. Soddisfazione anticipata. La facile conquista dell'Ucraina e la debolezza occidentale sarebbero stati per Xi Jinping un semaforo verde per prepararsi a invadere Taiwan.
Purtroppo per loro è andato tutto storto. La Cina è rimasta a guardare allibita il progressivo impantanamento russo, gli errori strategici, la compattezza della resistenza ucraina, la determinazione americana a sostenerla, la volontà di entrare nella NATO di Svezia e Finlandia, il mancato scompaginamento del fronte occidentale.
Solo chi è fortemente dissociato dalla realtà può pensare che questa guerra fallimentare non abbia indebolito Putin, così come ha indebolito la Russia sganciandola dal fronte occidentale, rendendola sostanzialmente ostaggio della più grande potenza asiatica, la Cina, costretta a chiedere aiuto a Stati delinquenziali come l'Iran e la Corea del Nord per il rifornimento di armi.
La Russia, al di là dei danni materiali enormi che ha causato all'Ucraina, esce a pezzi da questa guerra. A livello di immagine e di risultati.
Quando, il luglio scorso intervistai Daniel Pipes a proposito della situazione, alla mia domanda, "Questa guerra procurerà più lacrime all'Ucraina e all'Occidente o alla Russia?" mi rispose, "Alla Russia. Questa crisi finirà in una tragedia per la Russia, indipendentemente dall'esito delle sue truppe sul campo di battaglia, indipendentemente da quanto la Cina o altri vorranno aiutarla. L'invasione dell'Ucraina da parte della Russia è paragonabile all'invasione del Kuwait nel 1990 da parte di Saddam Hussein. L'aggressore ne esce più danneggiato dell'aggredito".
Putin dovrà a un certo punto sedersi a un tavolo con Zelensky, e non alle sue condizioni. E' a questo che gli USA spingono, non alla sua capitolazione totale, ma alla presa di coscienza che questa guerra non la può vincere come voleva vincerla. A sua volta, l'Ucraina dovrà accontentarsi di un compromesso. Non si libererà completamente della presenza russa ma potrà rivendicare di avere respinto l'invasore, di avergli impedito di soggiogarla, di avere frantumato definitivamente il mito del grande e invincibile esercito russo. Non è poco.


IL POST-PUTIN
Niram Ferretti
11 novembre 2022

https://www.facebook.com/niram.ferretti ... 9974567777

È presto forse per esultare per il ritiro dei russi da Kherson, sono ancora ben presenti in tutta la regione omonima, ma certo si tratta di un fatto positivo. La guerra, intanto prosegue. Una cosa però la si può dire, e chi mi legge da quando la guerra è cominciata, lo sa, perchè l'ho scritto fin dal principio. Siamo nel post-Putin.
Il post-Putin non è stato inaugurato dalla ritirata dei soldati russi da Kherson, è iniziato il 24 febbraio. Un po' prima. E' iniziato quando, convinto che si sarebbe trattato di un Blitzkrieg, Putin ha ordinato l'aggressione dell'Ucraina. Lì si era già nel dopo Putin. E il dopo Putin si è rivelato progressivamente e implacabilmente, con un insuccesso dietro l'altro, mentre gli ucraini difendevano splendidamente la loro terra con le unghie e con i denti.
A un certo punto comincia il tramonto e può essere un tramonto lungo. Quando cominciò il tramonto di Hitler? Si può probabilmente situarlo il 22 giugno del 1941. Fu un tramonto lungo. Quello di Putin, a parere dello scrivente sarà più breve. Non durerà altri quattro anni.
No, non userà il nucleare. Non siamo in uno scenario wagneriano, la Germania hitleriana aveva una sua grandezza fosca e tenebrosa, come il suo Führer, qui siamo in uno scenario dove non c'è nessun respiro epico, manca il pathos del tragico, c'è solo brutalità, stupidità, velleità. C'è una manica di esaltati incapaci e mentitori compulsivi.
Ripeto, non è la ritirata russa da Kherson che segna l'epoca del post-Putin. E' l'invasione dell'Ucraina.
A ognuno la sua Nemesi.


KHERSON LIBERATA, LA CITTA' "ETERNAMENTE RUSSA" TORNA NELLE MANI DI KIEV: LE DUE VERSIONI DELLA RITIRATA
di Andrea Nicastro, Il Corriere della Sera
Niram Ferretti
11 novembre 2022

https://www.facebook.com/niram.ferretti ... 5694569205

INVIATO A ODESSA - Prima dell’alba, quando in Italia erano le tre, tutte le forze russe sulla riva destra del fiume Dnipro hanno lasciato la città di Kherson e hanno ripiegato verso Oriente. Il ministro della Difesa Mosca, Sergei Shoigu, l’ha annunciato come uno squillo di fanfara. Operazione perfettamente riuscita. L’ordine per il ritiro era stato ufficializzato mercoledì e in meno di tre giorni è stato portato a termine. Se fosse tutto vero ciò che riferisce Mosca, in modo decisamente brillante.
Il Cremlino non denuncia alcuna perdita, Shoigu dice, letteralmente, che nessun soldato e attrezzatura, munizione o veicolo militare è stato lasciato sulla sponda occidentale. L’abc della tattica militare insegna: ritirati e fai saltare i ponti. Comando, anche in questo caso, perfettamente eseguito. Il ponte Anotonovsky è il principale collegamento tra la città di Kherson e la sponda occidentale del Dnipro che conduce verso la penisola di Crimea. I blogger militaristi russi mostrano le immagini di un’enorme voragine in mezzo. Un civile in bicicletta osserva il crollo di uno dei due bracci del ponte mobile. Da lì gli ucraini non potranno passare a lungo.
Tutto bene quindi per Mosca? I russi hanno completato in modo fulmineo un’operazione che gli esperti militari occidentali prevedevano potesse venir compiuta in settimane. C’era da trasferire quasi 40mila fanti, migliaia di blindati e tank, centinaia di cannoni. Le perdite avrebbero potuto essere ingenti, i combattimenti feroci. Invece ora, con l’apparato bellico intatto, avendo salvato la vita dei propri soldati, Mosca si prepara a tenere le difese sulla sponda orientale con uomini e armi in perfetta efficienza. Tutto bene? Tutto vero? Alla versione russa si contrappone quella ucraina. Dal vicegovernatore di Kherson, Serhiy Khlan, arrivano notizie di soldati russi annegati mentre attraversavano con le barche il grande fiume sotto bombardamento; di militari abbandonati dalle loro unità e costretti a travestirsi da civili e occupare gli appartamenti vuoti di Kherson; di una centrale elettrica fatta brillare. Non una disfatta, ma la solita immagine dei russi incapaci di coordinare le loro stesse azioni.
E’ presto per capire gli esatti contorni del ritiro. E’ probabile che mercoledì mentre il comandante in capo Surovikin e il ministro Shoigu recitavano a favore di telecamere la sceneggiata di un consiglio di guerra («Propongo il ritiro perché le linee di collegamento rendono difficile la protezione dei soldati”. «Concordo con lei generale, le do ordine di procedere al ripiegamento»), l’operazione fosse già in avanzato stato di realizzazione. Il successo sarebbe stato quindi duplice. Da una parte aver realizzato il piano con perdite basse, dall’altra essere riusciti a nasconderlo fino all’annuncio dell’alba. Un movimento di migliaia di uomini e mezzo occultato agli occhi dei satelliti, dei droni e anche alle grandi orecchie di intercettazione occidentali che fino a questa fase della guerra hanno sempre dato un enorme vantaggio agli ucraini. Un altro modo per decifrare l’evacuazione indolore dei russi da Kherson alla sponda orientale del Dnipro è inquadrarla in possibili trattative in cui, in cambio del «safe passage», i russi avrebbero offerto qualcosa sul piano diplomatico. Se ne parla in diversi ambienti diplomatici e militari, ma sono speculazioni che è troppo presto per avvalorare o smentire. Il ritiro da Kherson è comunque reale, a tre giorni dall’annuncio i russi hanno abbandonato la città che avevano dichiarato «eternamente russa» meno di due mesi fa. La guerra entra in una nuova fase.



Kherson, città che a detta di Putin e dei suoi compari sarebbe stata eternamente russa è stata liberata.
Giovanni Bernardini
11 novembre 2022

https://www.facebook.com/giovanni.berna ... 2088747650

Kherson, città che a detta di Putin e dei suoi compari sarebbe stata eternamente russa è stata liberata. Malgrado le previsioni del professor Orsini e di Marco Travaglio la città è tornata all'Ucraina. Come mostra la foto i suoi abitanti sono felicissimi di questo evento. Strano, perché a detta dei putiniani di ogni schieramento politico gli ucraini sono dei terribili nazisti. Che lo siano anche coloro che festeggiano?
Sia ben chiaro, la guerra non è finita, sarà probabilmente ancora lunga, purtroppo ed è difficile fare previsioni sul suo andamento. Quella di oggi però è un'ottima notizia, alla faccia dei Santoro, degli Orsini, dei Travaglio, dei Fusaro e dei loro pari in tutto il mondo.



Il principale propagandista russo afferma che la Russia ha aspettato per annunciare il ritiro di Kherson fino a dopo l'8 novembre, per assicurarsi che non aiutasse Joe Biden e i Democratici a medio termine.
Walter Luvisotto
https://www.facebook.com/groups/1913650 ... 1998393689
Reporter: la Russia aveva affermato di aver evacuato da Kherson
Biden: Ho trovato interessante che abbiano aspettato fino a dopo le elezioni per esprimere quel giudizio.
I compari del Cremlino sono stati mandati a vacillare in diretta TV per le elezioni di medio termine negli Stati Uniti.
Il russo Tucker Carlson, il principale propagandista Vladimir Solovyov, ha affermato che il ritiro di Kherson è stato posticipato per evitare di aiutare inavvertitamente Joe Biden e i Democratici a medio termine.
Questo piano per screditare le elezioni statunitensi e convincere i repubblicani che la potente mano del Cremlino li aveva aiutati di nascosto a spingerli alla vittoria si era ritorto contro. Mercoledì, i propagandisti della TV di stato si stavano grattando la testa sull'onda che si è rivelata essere solo un rivolo. Durante la trasmissione di 60 Minutes, la conduttrice Olga Skabeeva ha chiesto a un'esperta: "Come stanno i nostri ragazzi in America?" Il politologo Vladimir Kornilov ha chiarito con una risatina: "I nostri repubblicani".




Zelensky esulta: «Cherson è nostra: i residenti abbattono i simboli russi». La festa ai primi soldati in città tra le lacrime – I video
11 Novembre 2022
https://www.open.online/2022/11/11/ucra ... son-video/

«Cherson è nostra», ha dichiarato Volodymyr Zelensky nel consueto video serale sui suoi account social. Per il presidente dell’ucraina, l’11 novembre è una giornata storica. «Stiamo tornando Cherson. Per ora i nostri difensori si stanno avvicinando. Ma le unità speciali sono già in città. La gente di Cherson stava aspettando. Non hanno mai rinunciato all’Ucraina», spiega. Secondo quanto riporta Zelensky, nonostante Cherson non sia ancora completamente liberata, gli abitanti della città «stanno già rimuovendo i simboli russi dalle strade e dagli edifici e ogni traccia della permanenza degli occupanti». Il presidente ucraino si è poi rivolto al suo esercito ringraziando ogni soldato e tutte le unità delle Forze di Difesa che stanno operando a sud: «Grazie alle forze armate, all’intelligence, alla SBU, alla Guardia Nazionale, tutti coloro che hanno lavorato per la giornata di oggi nell’Oblast». Alle forze russe ha detto: «Vi troveremo comunque. L’unica possibilità di salvezza per voi è arrendervi alla prigionia ucraina. Garantiremo che sarete trattati in conformità con la legge e le norme internazionali».




Dopo Kherson | Il mistero dei grandi esperti del conflitto, che dicono sempre il contrario di quello che accadrà - Linkiesta.it
Francesco Cundari
12 novembre 2022
https://www.linkiesta.it/2022/11/espert ... n-ucraina/

Da febbraio a oggi un gran numero di esperti, quotidianamente ospitati da giornali e tv, ci ha spiegato, sempre con inflessibile perentorietà, come sarebbero andate le cose a loro giudizio.

Generali, filosofi, sociologi, politologi e geopolitologi delle più diverse provenienze ci hanno assicurato, nell’ordine, prima che i ripetuti allarmi lanciati dagli Stati Uniti sull’imminente invasione russa erano pura propaganda (perché Mosca non avrebbe mai attaccato l’Ucraina), poi che la Russia avrebbe conquistato l’intero Paese in poche settimane (e dunque la resistenza era un sacrificio del tutto inutile), infine che la controffensiva di Kyjiv non aveva alcuna possibilità di cambiare gli equilibri (perché i russi non avrebbero mai lasciato il terreno conquistato), e qualcuno addirittura che era già fallita, in particolare proprio nella regione di Kherson, anche se i grandi giornali – i «giornaloni» e i «media mainstream», per usare il loro atroce lessico – non ce lo dicevano. E infine, sempre lo stesso qualcuno di prima, che a Kherson sarebbe stato un «bagno di sangue» perché «i russi intendono combattere per mantenerla».

La ritirata russa da Kherson, annunciata già da qualche giorno su tutte le televisioni russe, comprese le trasmissioni dei propagandisti putiniani più radicali, dimostra che i loro epigoni italiani hanno ormai superato il modello, e i talk show moscoviti sono persino più attendibili di certi talk show e di molti giornali (sia «ini» sia «oni», a dir la verità) del nostro Paese.

Da ultimo i nostri raffinati analisti, sempre gli stessi, dopo essersi dimostrati capaci di mettere in dubbio le evidenti atrocità di Bucha e di presentare le peggiori fake news russe sull’ospedale di Mariupol come questioni assai controverse, dopo aver detto che i russi avrebbero vinto in cinque minuti e poi che gli ucraini non avrebbero vinto nemmeno in un milione di anni, hanno ripiegato sulla tesi secondo cui l’umiliazione di Vladimir Putin aumenterebbe il rischio di un’apocalisse nucleare.

Nel frattempo, quella controffensiva ucraina che secondo le loro previsioni non avrebbe mai dovuto neanche partire liberava ogni giorno nuove città e nuovi villaggi, da cui emergevano ogni volta nuove fosse comuni e nuove camere di tortura, di cui i suddetti esperti raramente facevano parola. Perché avrebbero dovuto ammettere che è lì che avrebbero lasciato gli abitanti di quelle zone, fosse stato per loro, ed è lì che lascerebbero domani i residenti delle regioni ancora occupate, quando parlano della necessità di trattare con la Russia, ovviamente sempre alle condizioni della Russia.

Il punto non è solo che non ne hanno azzeccata una. Il punto non è solo che hanno sbagliato sempre nella stessa direzione, contro tutte le leggi della statistica e anche contro quel minimo di furbizia che normalmente spinge qualsiasi analista a dare, almeno ogni tanto, un colpo al cerchio e uno alla botte.

Il punto è che nonostante le abbiano sbagliate tutte, e nonostante abbiano sbagliato sempre nella stessa direzione (quella della propaganda russa), hanno continuato a essere invitati, intervistati e interpellati come autorevolissimi esperti da giornali e televisioni, da dove continuano a sfornare previsioni con la stessa inscalfibile sicumera, come se niente fosse.

Escludendo che tante autorevoli personalità – ma soprattutto tante reti televisive e tanti giornali – siano tutti a libro paga di Putin, ci dev’essere senz’altro una ragione che spieghi un comportamento così irrazionale. Se vi dovesse venire in mente, scrivete alla redazione.


L'EVIDENZA
Niram Ferretti
12 novembre 2022

https://www.facebook.com/niram.ferretti ... 6684523106

Per mesi, dall'inizio del conflitto Russia-Ucraina, i trombettieri italiani del Cremlino ci hanno detto che non bisognava armare l'Ucraina perché, 1) tanto la Russia avrebbe vinto vista la mole soverchiante del suo esercito e dei suoi armamenti, 2) si sarebbe soltanto prolungata l'agonia di un paese destinato a essere sconfitto.
Ciò che immediatamente sottointendeva questa posizione era evidente anche a un bambino: bisognava arrendersi alla Russia, poi ci avrebbero pensato i russi con la loro nota propensione per le cautele umanitarie a gestire ordinatamente il passaggio di Kiev a Mosca.
Ora, dopo l'abbandono da parte russa dell'"eternamente russa" Kherson, ultima tappa di una serie di arretramenti e insuccessi, si è visto, anche se era chiaro anche da prima, come armare gli aggrediti a fronte degli aggressori può determinare, 1) la messa in grave difficoltà degli aggressori, 2) la loro capitolazione.
È sempre accaduto così in tutte le guerre che si sono cambattute sul pianeta terra, non si capiva perché nel caso del conflitto in corso avrebbe dovuto essere fatta una eccezione. Anzi, si capiva bene.
Finora questo conflitto ha ribadito degli insegnamenti elementari che arrivano diretti alla comprensione anche di chi non abbia mai letto nè Sun Tzu nè Clausewitz, ovvero che un esercito fortemente motivato, soprattutto quando combatte sul proprio suolo e a difesa della propria patria, se armato bene e fornito dell'aiuto militare, strategico e logistico di altri paesi, o di uno in particolare molto potente, può causare al proprio aggressore gravi se non gravissimi problemi.
Putin ha sbagliato tutto, fin dal principio. Tutto. Questa guerra sarà ricordata nei manuali di storia come uno dei peggiori esempi di gestione strategico-militare degli ultimi decenni. Per molti anni a venire l'esercito russo dovrà sottoporsi a una lunga seduta di autoterapia per riuscire a ricostiture la fiducia in se stesso, nella propria forza e efficienza. Cosa sarebbe questo esercito se alle sue spalle, ogni volta che prendeva e che prende una batosta, non veniva e viene (adesso meno dopo l'altolà della Cina) minacciato l'uso dell'atomica?
Non si può ancora cantare vittoria a scquarciagola, questo no, l'inverno è lungo, ma certamente al Cremlino e in tutta la Russia nessuno se la sente, proprio no, di alzare il calice e brindare.


DOPO KHERSON
Niram Ferretti
12 novembre 2022

https://www.facebook.com/niram.ferretti ... 0194515755

I russi se ne vanno da Kherson non nel caos come quando hanno abbandonato in fretta e furia le regioni a nord di Kiev, o peggio ancora a sud di Kharkiv. Qui la ritirata è stata più ordinata, veloce, anche se non sembra sia andato tutto per il meglio. Per il comando ucraino il delta del Dnipro ha accolto per l'eternità numerosi soldati russi in fuga.
La ritirata da Kherson è un evidente smacco per la Russia, viene persa l’unica capitale di provincia catturata dalla fine di febbraio, un trofeo importante che avrebbe dovuto essere, nelle intenzioni degli aggressori, “eternamente russo” e che invece è stato restituito ai legittimi possessori.
Si ruba la terra, la si prende con la forza delle armi, la si annette illegalmente, ma poi qualcosa va storto, la brutalità selvaggia dell’aggressore si scontra con la resistenza degli aggrediti, che strategicamente hanno gestito al meglio le operazioni fino ad ora. Una serie paziente e mirata di mosse ben ponderate come sul riquadro di una scacchiera, già da luglio, quando, con l’arrivo degli Himars, gli ucraini iniziarono ad attaccare ponti chiave che facevano da tramite per le truppe russe a Kherson e nei dintorni per i rifornimenti a est e a sud. Poi ci fu l’offensiva su Kharkiv che colse Mosca completamente di sorpresa, poi venne fatto saltare in aria il ponte Kerch che unisce la Russia alla Crimea, e ora l’ingresso a Kherson.
Si avanza, i russi in ritirata si preparano all’inverno sfruttando la protezione naturale offerta dal Dnipro, preparando trincee sulla sponda orientale del fiume. Mentre a Washington il Generale Milley, Capo di Stato Maggiore, ritiene che questo sia il momento giusto per portare Putin a un tavolo negoziale, c’è chi dice, che no l’Ucraina può ancora guadagnare terreno e proseguire nella sua avanzata.
Prima o poi qualcuno dovrà fare capire a Putin che il suo sogno di piegare l’Ucraina trasformandola in uno Stato vassallo della Russia, o di strapparle con la forza il Donbass si è infranto contro la realtà.




KHERSON: CACCIATI I RUSSI, INIZIA LO SCARICABRILE DEL REGIME. GLI UNICI PER CUI NON È SUCCESSO NULLA DI RILEVANTE? I PUTINIANI DI CASA NOSTRA, ANCORA UNA VOLTA PIU' PUTINIANI DI PUTIN.

https://www.facebook.com/davide.romano. ... HKv5yTDZbl

Interessante articolo della sempre ottima Anna Zafesova che chiarisce cosa succede a Mosca dopo la sconfitta di Kherson: è iniziato lo scaricabarile: il portavoce della presidenza Dmitry Peskov commenta la resa di Kherson con un clamoroso «andate a chiederlo ai militari». Putin latita dai media, come fa sempre quando è in difficoltà. L’ideologo Dugin, fino a ieri suo seguace, ora lo attacca dicendo che la sorte del «re della pioggia», è quella di essere sacrificato se non riesce a «salvare il suo popolo

L’articolo integrale lo riporto qui sotto.

Un uomo è stato arrestato nel centro di Mosca per un manifestino con la scritta «Traditori, avete perso Kherson». La resa dell'unico capoluogo regionale conquistato dagli invasori russi in otto mesi segna una svolta anche sul fronte interno: a finire in manette non sono quelli che si oppongono alla guerra, bensì i suoi sostenitori. Mentre Mosca per la quinta volta in due giorni chiede i negoziati "senza condizioni" con l'Ucraina, a creare problemi al regime di Vladimir Putin sono ora i suoi principali sostenitori, i falchi nazionalisti e militaristi. La "zrada", la caccia ai traditori, un classico tormentone della politica ucraina, arriva a Mosca, e perfino un fedelissimo putiniano come lo scrittore Zakhar Prilepin giustifica la disastrosa resa da Kherson con un «comandante supremo tratto in inganno» da innominabili ignoti. Il mito di una "ritirata strategica", presentato nei talk show e nei canali Telegram del Cremlino dai propagandisti, è sbiadito con il passare delle ore, e verso la fine della giornata di venerdì, quando Volodymyr Zelensky annuncia ufficialmente il ritorno di Kherson all'Ucraina, le immagini degli abitanti che abbracciano i soldati di Kyiv (mostrate anche dalla Tv russa), e quelle dei soldati russi in fuga precipitosa, convincono anche i più scettici: la Russia ha perso. Una vittoria ucraina molto attesa, e molto annunciata: il destino di Kherson era diventato chiaro il 12 luglio scorso, quando gli ucraini avevano colpito per la prima volta il ponte Antonivskiy con i missili americani Himars. Il giorno prima, il Kyiv Independent pubblicava un dettagliato piano della controffensiva, con la distruzione dei ponti annunciata come primo atto di un assedio. Ovviamente, si trattava di un parziale depistaggio - aveva spinto infatti i russi a dirottare verso Sud il grosso delle loro truppe, scoprendo il fianco a Kharkiv e nel Donbass - che però conteneva un messaggio vero: i russi erano invitati ad andarsene dalla sponda destra del Dnipro con le buone, prima di venire isolati dai rifornimenti provenienti dal Donbass e dalla Crimea. Nei mesi successivi, i ponti sul Dnipro erano diventati oggetto di un tiro a segno quotidiano con gli Himars, e la notizia che i militari russi avessero spazzato dai negozi di Kherson ogni mezzo natante, inclusi i canotti gonfiabili, risale a settembre. Nello stesso periodo, a Mosca circolava voce che i militari russi si fossero perfettamente resi conto dell'inesorabile finale, e avessero chiesto a Vladimir Putin di ritirarsi dalla città prima di dover venire costretti alla fuga. Il presidente russo ha preferito invece aggiungere un altro errore alla montagna di quelli già commessi, annunciando la "annessione" dei territori ucraini occupati. Soltanto pochi giorni fa era apparso davanti alle telecamere con alle spalle una sagoma della Russia con le regioni annesse bene in vista. Non è dato sapere chi abbia "tratto in inganno" il presidente russo, spingendolo a dichiarare suoi territori sui quali non solo non aveva alcun diritto, ma che non controllava nemmeno. Così come non è chiaro se sia stata un'idea di Putin minacciare l'uso dell'atomica per difendere quelle che riteneva "terre russe". Il risultato è una figuraccia di dimensioni epiche, che con la sua stessa esistenza cancella qualunque ipotesi di "ritirata strategica": è impossibile fingersi un Kutuzov che lascia Mosca a Napoleone, quando poco più di un mese fa scandivi "Russia, Russia", in compagnia dei collaborazionisti che avevi insediati a Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhia. Alcuni di loro sono già morti in strani incidenti d'auto, i ponti sono stati fatti saltare dagli stessi russi in ritirata, e gli abitanti delle città liberate stanno strappando i manifesti "Kherson è Russia, per sempre", sui quali le autorità dell'occupazione avevano investito budget cospicui. Il Cremlino ripudia la paternità di questa sconfitta umiliante, e il portavoce della presidenza Dmitry Peskov commenta la resa di Kherson con un clamoroso «andate a chiederlo ai militari». Putin latita dai media, come fa sempre quando è in difficoltà, e i volti della sconfitta sono i generali e il ministro della Difesa Sergey Shoigu, mentre i blogger militaristi un tempo amati dal Cremlino - già minacciati dalla magistratura dopo le critiche alla ritirata russa da Kharkiv - preferiscono tacere. Una posizione che suscita critiche nemmeno tanto velate di molti alleati, come Mikhail Leontiev, il portavoce del potente capo di Rosneft Igor Sechin, che in tv dichiara: «Deve essere la politica ad assumersi la responsabilità». La realtà sembra aver bussato finalmente alle porte del castello di sabbia ideologico costruito da e per Putin, e gli stessi personaggi che inneggiavano alla "Russia per sempre" ora sembrano rassegnarsi non solo alla perdita di Kherson, ma anche alla sconfitta nella guerra. Nei canali Telegram gira la voce di un Putin pronto a ritirarsi nel 2024, a favore di un "delfino" che inizi un negoziato con Kyiv, Bruxelles e Washington. E Aleksandr Dugin, il mistico neonazista che ha contagiato il Cremlino con l'idea che la Russia sta «combattendo l'Occidente satanista», arriva a minacciare Putin con la sorte del «re della pioggia», sacrificato se non riesce a «salvare il suo popolo». Proprio ieri Putin ha deciso di non partecipare al G20 di Bali nemmeno online: segno che non spera in una svolta diplomatica, e non vuole umiliazioni pubbliche, ma forse anche preferisce non lasciare Mosca.



Ucraina, l'esperto israeliano: "Mosca ha una sola possibilità", come finirà la guerra
Maurizio Stefanini
14 novembre 2022

https://www.liberoquotidiano.it/news/es ... uerra.html

Israeliano esperto di sicurezza, antiterrorismo militare e strategia militare, Lion Udler aprì un canale Telegram per venire incontro alle richieste di «20-30 amici» che sapendolo bene informato gli chiedevano di spedire loro «informazioni di quelle che su giornali e tv normalmente non finiscono». Adesso ha oltre 10.000 iscritti, ed è una delle fonti in italiano oggi più frequentate da chi segue gli eventi in Ucraina. Gli abbiano chiesto se Kherson è una svolta decisiva di questa guerra, oppure è solo una tappa.

«Quello che è successo a Kherson è quasi uguale a quello che è successo a Kharkiv. Una tappa di questa guerra, ma non credo decisiva. La differenza è che i russi questa volta hanno preso la decisione giusta».

Però l'effetto psicologico sembra devastante, anche perché Kherson la avevano appena annessa.
«Vero, ed è già la seconda regione che i russi devono lasciare. Basta solo andare un po' sui Social russi per rendersi conto di come per i loro morale sia una grave botta».

Cosa ha permesso agli ucraini di resistere e contrattaccare?
«Ovviamente c'è un grosso ruolo della Nato. L'Ucraina fornisce la manodopera, chi sta combattendo è a tutti gli effetti l'esercito ucraino, ma è la Nato che fornisce all'esercito ucraino l'intelligence per via satellitare; gli dice dove si trovano le truppe russe e le forze speciali, i magazzini, i depositi di armi e di munizioni; gli consegna armamenti, alcuni anche moderni come gli Himars; decide la strategia che gli ucraini devono implementare sul terreno. $ evidente che l'esercito ucraino da solo non ce l'avrebbe fatta».

Però all'inizio sembrava che neanche la Nato agli ucraini desse troppe chances. Che è successo?
«Penso che la Nato abbia volto evitare di ripetere gli errori fatti in Afghanistan, dove si sono investiti miliardi per addestrare e armare un esercito di 300.000 soldati afghani che però al momento del ritiro della stessa Nato ha lasciato andare al potere i Taleban praticamente senza combattere. Già prima della guerra la Nato aveva spedito agli ucraini qualcosa, soprattutto missili anticarro. Man mano che l'esercito ucraino ha mostrato che non crollava come quello afghano ma sapena combattere e resistere l'aiuto è stato aumentato».

C'è però una diffusa sensazione che le armi vengano date col contagocce per paura che una disfatta russa troppo clamorosa determini a Mosca un vuoto di potere pericoloso.
«Questa è una guerra che sta andando avanti da nove mesi e teoricamente potrebbe andare avanti così fin quando ci sono gli armamenti. Ma sia la Russia che la Nato non vogliono andare avanti così per troppo tempo, e a un certo punto dovranno arrivare a una qualche soluzione diplomatica che vada bene ai russi come agli ucraini e alla Nato. Ovviamente, per ora è difficile ipotizzare quale potrebbe essere. Però condivido questa visione. L'obiettivo della Nato non può essere quello di umiliare la Russia, ma non può neanche permettere che la Russia lanci altrri sfde del genere».

Quindi questa guerra la vinceranno gli ucraini...
«Difficile dirlo. Una guerra si sa quando e come inizia, ma non si sa mai come e quando finirà. C'è anche da dire: vincere che cosa? Qual è l'obiettivo che si è posta ad esempio la Russia? Non lo sappiamo esattamente. Anche l'Ucraina e la Nato non hanno mai detto qual è esattamente il loro obiettivo. È possibile che questa guerra finirà con il dubbio di chi veramente la abbia vinta».

Ma sono ancora possibili ritorni offensivi russi?
«È evidente che i russi stanno finendo certi armamenti. Vediamo ad esempio i missili Iskander, che hanno usato moltissimo all'inizio della guerra, ormai non li utilizzano più da due o tre mesi, e invece sono stati costretti a comprare doni dall'Iran. Difficile dunque ipotizzare che possano davvero, ad esempio, provare a riconquistare Kherson, come hanno detto».

Sono anche a corto di uomini?
«Quello no, perché di recente avevano reclutato almeno 300.000 soldati. È vero che hanno avuto dei grossi problemi logistici, quasi a livello di barzelletta. Però un po' di giovani li hanno comunque arruolati, alcuni con esperienza di guerra in Siria. Il punto, però, è che i russi non riescono a mantenere il territorio conquistato. Hanno dimostrato di essere capaci di conquistare cinque regioni, ma ne hanno poi perse due, perché non sono stati in grado di difenderle dai continui attacchi degli ucraini. È importante per un Paese, prima di invaderne un altro, poter contare sulla possibilità militare di difendere i territori conquistati. I russi non riescono a farlo».
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Il bene che si difende dal male, il caso Ucraina

Messaggioda Berto » dom dic 04, 2022 11:02 pm

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Re: Il bene che si difende dal male, il caso Ucraina

Messaggioda Berto » dom dic 04, 2022 11:03 pm

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Re: Il bene che si difende dal male, il caso Ucraina

Messaggioda Berto » dom dic 04, 2022 11:03 pm

16)
Risoluzioni di condanna ONU e non solo, contro la Russia e i filorussi

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 9003863100

Risoluzioni ONU di condanna della Russia per il caso Ucraina, e non riconoscimento degli stati e dell'ONU dell'annessione della Crimea e delle autoproclamate repubbliche separatiste e dei referendi nel Donbass e della successiva annessione di queste da parte della Russia.
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Re: Il bene che si difende dal male, il caso Ucraina

Messaggioda Berto » dom dic 04, 2022 11:03 pm

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Re: Il bene che si difende dal male, il caso Ucraina

Messaggioda Berto » dom dic 04, 2022 11:04 pm

17)
La Russia di Putin è il male, una delle fonti principali del male che infesta la terra



"Il costo della libertà. Se vincono i russi crolla l'Occidente"
Roberto Fabbri
23 Novembre 2022

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 87968.html

L'ultimo libro di Vittorio Emanuele Parsi è prezioso e necessario. Il posto della guerra e il costo della libertà fa razionale giustizia di una quantità di luoghi comuni ed equivoci penosi che imperversano, soprattutto in Italia, in questo 2022 segnato dall'aggressione militare russa all'Ucraina. In primo luogo quello secondo cui può esistere, e anzi sarebbe moralmente giustificabile, una pace senza libertà da imporre agli ucraini in cambio di un ipotetico ma in realtà impossibile, e Parsi lo dimostra ritorno a ciò che l'Europa è stata prima dello scorso 24 febbraio. Il libro non è solo un'analisi lucida di ciò che c'è in gioco la sopravvivenza stessa dei valori democratici messi sotto attacco a livello globale dall'alleanza russo-cinese - ma anche un'esortazione a comprendere che, poiché Putin ha deciso di interrompere 77 anni di pace europea, siamo costretti a riconsiderare l'idea stessa che abbiamo della guerra: in altre parole, siccome la democrazia non è gratis, se non la difenderemo noi nessun altro lo farà.

Professor Parsi, perché afferma che il punto non è «fermare la guerra» bensì «salvare la democrazia»?

«Perché esiste un rapporto sostanziale reciproco tra le istituzioni dei Paesi democratici e quelle delle istituzioni internazionali. Se l'egemonia passasse alle autocrazie, verrebbe meno un intero sistema di valori».

Come risponde a chi afferma che la Nato avrebbe «abbaiato ai confini russi» e sarebbe quindi responsabile della guerra all'Ucraina?

«La Nato non aggredisce nessuno, è un'organizzazione difensiva. Tutti i Paesi dell'Europa orientale che vi hanno aderito lo hanno fatto per libera scelta. Nessuno di loro si è rivolto alla Russia, il cui regime basato sulle menzogne non ha capacità attrattiva e i cui difetti essi ben conoscono».

Nel libro evidenzia il ricatto economico di Putin e il «disegno orwelliano» che ha in serbo per noi...

«È un elemento di debolezza dell'Occidente aver creduto che la crescita dei commerci favorisca l'avvicinamento tra i Paesi. Questo purtroppo non vale per quei Paesi autoritari in cui il potere politico coincide con quello economico, il quale diventa così un'arma per trasformare la vulnerabilità economica in sottomissione politica».

Lei critica, pur senza far nomi, il ruolo di «propagandisti prezzolati» delle autocrazie...

«Mi colpisce che chi era un attento cane da guardia delle responsabilità occidentali ad esempio in Irak, oggi si accucci volentieri sulle ginocchia di Putin che aggredisce l'Ucraina. Così dimostrando di agire per pregiudizio anti-occidentale. Ciò detto, è vero che in Irak abbiamo sbagliato e che figure come Bush e Blair meritavano la censura per i loro errori».

Cosa direbbe a chi afferma che l'Ucraina non ci riguarda?

«Che la nostra libertà ha un costo. Che il costo per sostenere Kiev è alto, ma quello del rischio del crollo dei principi fondativi del nostro sistema in caso di vittoria russa è molto superiore».

Perché in Italia tanti non capiscono la differenza tra vivere liberi e non liberi?

«Siamo così concentrati sui nemici interni da non capire la gravità delle minacce esterne. La democrazia italiana non durerebbe più di due-tre anni senza connessione con le istituzioni europee e occidentali».

Come finirà la guerra?

«Finirà in primavera, quando a Mosca capiranno che nessun obiettivo in Ucraina è stato conseguito. Che l'Ucraina resiste, che Svezia e Finlandia entrano nella Nato, che la Cina sceglierà l'ordine internazionale. La pace verrà col ritiro russo dalle terre occupate nel '22 e con un negoziato su quelle prese nel 2014».


"Troppo cauti contro Putin". Le rivelazioni di BoJo sullo scoppio della guerra
Federico Giuliani
24 novembre 2022

https://www.ilgiornale.it/news/guerra/j ... 88485.html

La Germania di Olaf Scholz, la Francia di Emmanuel Macron e pure l'Italia di Mario Draghi sono finite nel mirino di Boris Johnson per le loro reazioni iniziali all'attacco russo in Ucraina dello scorso 24 febbraio. L'ex premier britannico ha lanciato frecciatine velenose all'indirizzo dei tre membri di spicco della Nato, lasciando intendere che il Regno Unito, al contrario di altri, ha subito sostenuto Kiev senza esitazioni. In un'intervista alla Cnn Johnson ha fornito la propria ricostruzione dei fatti, tra toni di comprensione e attacchi diretti, quasi a volersi paragonare ad un Winston Churchill contemporaneo di fronte ai tentennamenti attribuiti ad altri leader e governi europei. Va da sé che le sue parole hanno scatenato non poche polemiche per un modus operandi ben poco diplomatico.

L'affondo di Johnson

Secondo Johnson, la Francia "negava" la prospettiva di un'invasione russa dell'Ucraina, mentre il governo tedesco è stato accusato dall'ex inquilino di Downing Street di favorire inizialmente una rapida sconfitta militare ucraina anziché un lungo conflitto. L'ex primo ministro britannico non ha lesinato critiche neppure alla risposta iniziale del governo Draghi: "A un certo punto ci stava semplicemente dicendo che non sarebbe stato in grado di sostenere la posizione che stavamo assumendo", data la "massiccia" esposizione dell'Italia agli idrocarburi russi.

Certo, Johnson ha spiegato che questi atteggiamenti sono poi evaporati come neve al sole, sottolineando che, in seguito, le nazioni dell'Unione europea si sono mobilitate per sostenere l'Ucraina, fornendo a Kiev un supporto costante. Ma, ha ribadito, la situazione sarebbe stata ben diversa prima dello scoppio delle ostilità.

Critiche e polemiche

"Potevamo vedere i gruppi tattici del battaglione russo accumularsi, ma Paesi diversi avevano altre prospettive", ha ricordato Johnson. "L'opinione tedesca – ha proseguito - ad un certo punto era che se ci fosse stata un'invasione russa, allora sarebbe stato meglio che tutto terminasse in fretta e che l'Ucraina si piegasse".

L'ex primo ministro ha spiegato che non poteva sostenere un simile modus operandi: "Pensavo fosse un modo disastroso di vedere la cosa. Ma posso capire perché lo hanno fatto". Dalla Germania è arrivata una risposta secca e pungente. La Francia di Macron, nel ricordo di Johnson, avrebbe invece negato fino all'ultimo la prospettiva di un'invasione dell'Ucraina, malgrado gli avvertimenti di Usa e Gran Bretagna.

La replica di Berlino: "Parole senza senso"

Berlino ha accusato Johnson di avere "un rapporto unico con la verità". Steffen Hebestreit, portavoce del governo Scholz, ha definito le parole di Johnson "senza senso", tenuto conto che la Germania è arrivata a rompere a beneficio dell'Ucraina il proprio tabù post nazista sul divieto "d'invio di armi a Paesi in guerra". Da Parigi, così come da Roma, non sono arrivate repliche.

Al netto degli affondi, Johnson non ha mancato di rendere "omaggio all'Ue" per il graduale allineamento alla strategia delle "sanzioni dure". E per aver contribuito alla fin fine "in modo brillante" a un fronte occidentale "unito". Tanto da invocare il via libera in tempi brevi dell'ingresso dell'Ucraina nel club di Bruxelles come "una cosa positiva" per Kiev.



LA RUSSIA STA IMPLODENDO? E DOBBIAMO SPERARLO O TEMERLO? IL RISCHIO CAOS E LA PROFEZIA DI EISENHOWER
di Gianluca Mercuri, Il Corriere della Sera
Niram Ferretti
24 novembre 2022

https://www.facebook.com/niram.ferretti ... 2630052178

Arrivati a nove mesi, tondi, di guerra, una questione riaffiora puntualmente: Putin può cadere? La Russia può implodere? Il conflitto può terminare finalmente con l’autocombustione del contendente meno atteso, l’aggressore superpotente anziché l’aggredito indifeso? Il fatto che i due assunti di partenza si siano rivelati sballati — l’aggressore non è così superpotente e l’aggredito non è affatto indifeso — finirà per tradursi in un crollo degli invasori, sul fronte interno prima ancora che sul campo di battaglia? E quali potrebbero essere le conseguenze globali di quel crollo?
Finora, al ciclico riproporsi di queste domande, il consueto giro di analisi sulla stampa internazionale finiva per convenire a stragrande maggioranza che no, il frutto di Putin è avvelenato ma non ancora abbastanza maturo da cadere, il grosso della popolazione sta con lui per paura, convinzione, abitudine o convenienza, l’élite si guarda bene dallo sfidarlo, i potenziali successori sono screditati dall’andamento della guerra e in competizione fra loro, eccetera eccetera. In sostanza, l’opinione comune era che Putin fosse, e sia, uno zar non di nome ma di fatto, per la presa ferrea sul Paese e la capacità di declinare a suo favore la miscela di nazionalismo, nichilismo e frustrazione che è la sottotraccia perenne dell’anima russa.
Per questo ieri sera in molte redazioni di giornali sparse sul pianeta qualcuno è sobbalzato vedendo arrivare la mail dell’Economist che annunciava il nuovo intervento del suo stimato Russian editor, Arkady Ostrovsky, dal titolo così sbilanciato — «La Russia rischia di diventare ingovernabile e di precipitare nel caos» — da farsi aprire immediatamente.
Ma cosa dice Ostrovsky? In sintesi, questo:
• Uno Stato fallito
«La guerra di Putin sta trasformando la Russia in uno Stato fallito, con confini incontrollati, formazioni militari private, popolazione in fuga, decadenza morale e la possibilità di un conflitto civile. Sebbene la fiducia dei leader occidentali nella capacità dell’Ucraina di resistere al terrore di Putin sia aumentata, cresce la preoccupazione per la capacità della Russia di sopravvivere alla guerra. Potrebbe diventare ingovernabile e precipitare nel caos».
• I confini in via di liquefazione
L’annessione farsa di 4 territori ucraini e il successivo, rapido ritiro da Kherson hanno stabilito un precedente devastante: la Russia perde territori che considera suoi, e dopo averli appena dichiarati suoi. Già Lucio Caracciolo ha sottolineato che questo, di per sé, vuol dire che tecnicamente è cominciata la disintegrazione dell’impero. L’Economist è sulla stessa linea, e cita la politologa Ekaterina Schulmann: «La Federazione Russa, così come la conosciamo, si sta autoliquidando e sta entrando in una fase di Stato fallito. L’annessione non scoraggerà le forze ucraine, ma creerà dei precedenti per le regioni russe in crisi, comprese le repubbliche del Caucaso settentrionale, che probabilmente si dirigeranno verso l’uscita se il governo centrale inizierà ad allentare la presa».
• La fine del monopolio statale della forza
Da che Stato è Stato, da che Hobbes ne ha spiegato le caratteristiche precipue, la prima è che detenga in modo esclusivo l’uso della forza, allo scopo di garantire la sicurezza dei cittadini in cambio della loro obbedienza. In Russia, ora, è tutto un proliferare di milizie che rispondono solo ai loro capi, dai mercenari della Wagner di Evgeny Prigozhin ai «Kadyrovtsy», l’esercito privato del leader ceceno Ramzan Kadyrov, finora un alleato ferreo di Putin ma pronto — dopo averlo represso — a cavalcare il ricorrente irredentismo ceceno se a Mosca dovesse scoppiare il caos (vedi l’analisi dell’australiano Matthew Sussex su The Conversation). Non solo: l’anarchia dilaga proprio nella capitale, dove «anche le agenzie di sicurezza governative sono sempre più al servizio dei propri interessi aziendali». Una rivalità, quella tra i vari servizi segreti, che Putin ha usato per vent’anni pro domo sua ma che ora può scoppiargli in mano.
• Il senso di minaccia per la gente comune
Questo è un fattore decisivo: «Putin ha rotto il fragile consenso in base al quale la gente aveva accettato di non protestare contro la guerra e, in cambio, di essere lasciata in pace». Ora, i trecentomila coscritti di settembre non sanno se saranno vivi tra pochi mesi. Altre trecentomila persone sono fuggite dopo l’ultima mobilitazione e si aggiungono alle altrettante trecentomila delle prime settimane di guerra. «La maggior parte di loro sono giovani, istruiti e pieni di risorse. Il pieno impatto della loro partenza sull’economia e sulla demografia del Paese non si è ancora manifestato, ma la tensione sociale sta aumentando».
• La strada senza uscita
«Putin non può vincere, ma non può nemmeno permettersi di porre fine al conflitto». Conta su tre cose: propaganda, repressione e stanchezza delle opinioni pubbliche occidentali.
• La profezia di Navalny
Ha detto il leader dell’opposizione durante una delle sue udienze in tribunale: «Non siamo stati in grado di prevenire la catastrofe e non stiamo più scivolando, ma volando verso di essa. L’unica domanda sarà quanto duramente la Russia toccherà il fondo e se cadrà a pezzi».
Tutti questi ragionamenti, naturalmente, si incrociano con noi, con la nostra tenuta politica, morale ed economica nell’appoggio che da sette mesi assicuriamo agli ucraini, una delle pagine di storia di cui l’Occidente potrà andare più orgoglioso per secoli. Ma come dobbiamo porci di fronte all’ipotesi del caos russo? È chiaro che la fine ideale della guerra sarebbe: l’uscita di scena definitiva di Putin, la sua sostituzione con governanti in grado di assicurare stabilità interna e riallacciare un rapporto fecondo con il mondo libero, la restituzione del maltolto agli ucraini con l’aggiunta delle dovute riparazioni. È altrettanto chiaro, però che tutto questo, e tutto insieme, si colloca nell’improbabile con ampie oscillazioni verso l’impossibile.
Per questo conviene sempre avere a mente la lezione di un grande leader.
Si tratta di Dwight David Eisenhower, che da soldato fermò il nazismo e da presidente il comunismo. Negli anni ‘50, la sua politica estera oscillò tra velleità di Rollback — la dottrina che teorizzava la necessità di contendere territori ai sovietici palmo su palmo, e fu attuata in Iran e Guatemala — al più cauto Containment, la scelta di limitare la loro espansione. Dopo l’invasione sovietica dell’Ungheria, Eisenhower decise di tornare al Containment, basato essenzialmente sull’equilibrio nucleare. Alla fine, la dottrina più lungimirante della sua presidenza si rivelò il cosiddetto Detroit Deterrent, in base al quale alla lunga avrebbe prevalso la superiorità economica e industriale dell’America. Si trattava solo di aspettare, senza sparare un colpo.
Ma tra tutte queste mosse e contromosse, alla fine c’è una frase del 34° presidente degli Stati Uniti che può aiutare a riflettere sulla situazione attuale:
«L’unica cosa peggiore di una vittoria russa è una sconfitta russa».
Che cosa vuol dire? Che fin da allora il meglio della leadership occidentale ragionava sull’ovvia necessità di badare alla tracotanza moscovita ma anche sui rischi di un collasso dell’impero nemico. Quei rischi si sono mostrati in tutta la loro evidenza al crollo dell’Urss, e le conseguenze di quel crollo il mondo le paga ancora: un’esplosione salutare di libertà e autodeterminazione dei popoli, ma anche la bomba a tempo del risentimento russo e di piccoli Stati canaglia fuori controllo e magari armatissimi.
Scrive Matthew Sussex, l’analista australiano: «A parte l’emergenza diritti umani che rappresenterebbe, una Russia frammentata (o nel bel mezzo di una guerra civile) metterebbe la sicurezza regionale e globale in una posizione precaria. Anche una rottura localizzata avverrebbe inevitabilmente lungo linee etniche, e potenzialmente creerebbe una serie di aspiranti staterelli dotati di armi nucleari. E mentre la fine dell’Unione Sovietica ha letteralmente rimodellato la mappa dell’Eurasia, qualsiasi scissione contemporanea del potere russo sarebbe potenzialmente molto più pericolosa, senza alcuna garanzia di poter evitare un effetto domino potenzialmente sanguinoso. È quindi solo ipotetico parlare di un futuro collasso russo? Sì. Ci sono prove che sia imminente? No. Ma per molti versi è proprio questo il problema: quando i regimi autoritari implodono, tendono a farlo molto rapidamente e con poco preavviso».
Il punto è che a coltivare questo scenario, indipendentemente dai rischi che porta con sé, sono esplicitamente alcuni membri della Nato: la Polonia e i Paesi baltici. La loro russofobia va capita e perfino rispettata perché ha radici storiche serie, ma arriva a concepire la guerra in Ucraina come occasione per promuovere la fine della Russia. Ne ha parlato a lungo Limes: in maggio, la Polonia ha ospitato un Forum con gruppi indipendentisti tatari, bashkiri, ceceni, nord caucasici, siberiani e altri. Il refrain: «La completa liberazione della nostra parte di mondo sarà possibile solo quando tutti i popoli che sono ancora oppressi dall’impero del Cremlino diventeranno liberi». I polacchi e i baltici pensano che non sia una questione di «se» ma solo di «quando» anche loro saranno attaccati dai russi, e che l’unico modo per evitarlo sia che la Russia crolli prima, tra fattori interni — ribellione delle repubbliche etniche — ed esterni, una guerra senza compromessi in Ucraina, che non eviti nemmeno di correre il rischio nucleare.
Per tutti questi motivi, ogni volta che si legge della possibilità del collasso russo viene un brivido. Vai a capire se di piacere o di paura.



Grigory Yudin: "La guerra contro l'Ucraina è catastrofica anche per la società russa"
Nona Mikhelidze
27 giugno 2022

https://www.affarinternazionali.it/inte ... eta-russa/

Grigory Yudin è uno scienziato politico e sociologo russo, un esperto di opinione pubblica e sondaggi in Russia. Il podcast dell’intervista realizzata da Nona Mikhelidze, ricercatrice senior dell’Istituto Affari Internazionali, è disponibile qui https://www.affarinternazionali.it/podc ... a-suicida/ .

Vorrei iniziare con una domanda sul 24 febbraio. Si aspettava lo scoppio della guerra su larga scala? E cosa significa questa guerra per la Russia e per il suo futuro?

Sì, purtroppo me l’aspettavo! Avevo capito già nel 2020 che ci sarebbe stata una grande guerra contro l’Ucraina. E credo che dalla metà del 2021 tutto sia diventato ancora più chiaro. Voglio dire, era chiaro che ci sarebbe stato un grande scontro tra la Russia e la Nato. E dal 2021 era ovvio che la prima fase di questa guerra sarebbe avvenuta in Ucraina. Penso che fosse abbastanza ovvio soprattutto dopo la comparsa del famoso articolo del presidente Putin sull’Ucraina, al quale hanno fatto seguito molte analisi militari. Parlavano dell’imminente invasione, quindi aspettavo ogni giorno che la guerra scoppiasse. Questo, ovviamente, non ha reso la vicenda meno dolorosa!

Ho cominciato ad avvertire la gente di questa guerra imminente, sia in Europa, parlando con i politici europei, sia in Russia. Cercavo di far capire loro l’inevitabilità della guerra. Praticamente senza successo però, tutti erano scettici al riguardo.

Così siamo arrivati al 24 febbraio. Ora, parlando di cosa significa questa guerra per il futuro del Paese, la diagnosi generale è che a lungo termine tutto questo sarà devastante per la Russia. È una guerra suicida. La Russia ha avuto guerre ingloriose nel suo passato, ma questa è la guerra più stupida, la più catastrofica per il Paese stesso, perché fondamentalmente distrugge i legami che la Russia ha con quasi tutti i Paesi.

La Russia è davvero legata e culturalmente vicina agli ucraini, ovviamente, ma anche ai bielorussi che sono molto, molto coinvolti in questa guerra.

Questo è il primo aspetto. Il secondo aspetto è la cosiddetta fratellanza slava, che ora si sta distruggendo. E poi l’appartenenza più ampia all’Europa, che è anche, ovviamente, assolutamente cruciale per la Russia. La Russia è un Paese molto speciale. Ha un posto speciale nella storia europea e non può essere separata dall’Europa. È assurdo che le persone ora parlino dell’avvicinamento alla Cina. Voglio dire, non capiscono nemmeno di cosa stiano parlando. La Russia è sempre stata un Paese europeo, da Kaliningrad a Vladivostok. E questo è estremamente evidente quando si esce per strada. Si tratta quindi di un suicidio, di un colpo di testa!

E poi come se non bastasse, è una guerra che non si può vincere. Non può essere vinta, non c’è nessuno scenario in cui la Russia possa avere successo a lungo termine. Quindi le conseguenze per la Russia saranno totalmente devastanti. Onestamente penso che questa sia una delle decisioni peggiori di tutta la storia russa… e la storia russa è ricca di decisioni non ponderate. Questa probabilmente è la peggiore.

E allora perché è stata presa questa decisione?

Beh, la decisione è stata presa da Putin e probabilmente anche da alcune persone a lui molto vicine. Ma ora dobbiamo rivalutare anche questo aspetto, perché prima pensavamo almeno che ci fosse un’élite di potere dietro di lui, ma dopo questa famosa riunione del Consiglio di sicurezza abbiamo dovuto riconsiderare questa assunzione perché molte delle persone che si pensavano molto, molto vicine al processo decisionale, si sono rivelate dei burattini, come tutti hanno avuto modo di vedere.

Quindi la decisione è stata presa dal Presidente stesso e per lui si tratta di una guerra difensiva. Si sta difendendo, si sente minacciato esistenzialmente. Pensa di essere molto vicino a essere ucciso e vuole proteggere la sua vita. E l’unico modo per proteggere la sua vita è rimanere al potere.

Stiamo parlando di due cose inseparabili: deve rimanere al potere per proteggere la sua vita e la sua posizione. La situazione negli ultimi anni si è lentamente deteriorata, sia internamente che esternamente. C’era un crescente senso di stanchezza per il governo di Putin, anche tra le persone che generalmente gli sono grate, era abbastanza evidente che c’era un significativo distacco dei giovani dal regime. Soprattutto negli ultimi quattro o cinque anni abbiamo assistito a una netta spaccatura negli atteggiamenti della popolazione tra gli anziani e i giovani. Questa era una parte del problema.

L’altra parte del problema era rappresentata dal fatto che l’Ucraina, in quanto Paese culturalmente molto vicino alla Russia, per lui era sul punto di ottenere un’alleanza militare con gli Stati Uniti. E questo avrebbe trasformato l’Ucraina in una roccaforte per le forze di opposizione contro Putin. Credo che il modo migliore per capire questo sia il paragone con il colonnello Gheddafi che ha affrontato il movimento di resistenza in Libia. Era pronto a schiacciarlo, a uccidere le persone, probabilmente centinaia di migliaia. Gli è stato impedito dalla Nato e alla fine è stato rovesciato e ucciso. E sappiamo che impressione ha avuto la morte di Gheddafi su Vladimir Putin. Ne è rimasto assolutamente scioccato, terribilmente scioccato.

Queste due cose di cui parlavo, le cause interne e le cause esterne, non vanno distinte perché qualsiasi tipo di opposizione o malcontento in Russia, Putin lo percepisce immediatamente come un complotto contro di lui orchestrato dall’Occidente. E anche questi atteggiamenti critici dei giovani sono intesi come il risultato della propaganda occidentale. Quindi per lui l’unico motivo per cui la gente potrebbe essere scontenta del regime è perché c’è una propaganda occidentale che opera per distorcere i valori russi che per lui sono importanti.

È così che si è arrivati all’idea di condurre una guerra inevitabile contro l’Occidente, contro la Nato e contro gli americani. Questi termini sono usati in modo intercambiabile e l’Ucraina è diventata solo il primo campo di battaglia, come dice lui, che la vede come anti-Russia. L’ha ripetuto molte volte, e questo è il significato: in sostanza da qui si può vedere che l’esistenza stessa dell’Ucraina è sentita come una minaccia per la Russia. E per Russia, ovviamente, intende sé stesso. Quindi l’esistenza stessa dell’Ucraina è già una minaccia mortale per la sua vita. Ecco come siamo arrivati all’inevitabilità di questa guerra.

Prima ha detto che per lei era chiaro che doveva esserci uno scontro con la Nato, e poi ha parlato delle cause interne ed esterne, delle ragioni che hanno portato Putin a invadere Ucraina. In tanti pensano che una delle cause per scatenare questa guerra fosse anche o soprattutto l’allargamento della Nato.

Sono d’accordo, ma solo con riserva. La stessa esistenza della Nato sarà sempre un fattore provocatorio per Putin per iniziare una guerra, a meno che non venga sciolta. Negli anni Novanta si era creata una chiara prospettiva di scioglimento della Nato dopo la fine della guerra e del Patto di Varsavia. Se il Patto di Varsavia non esisteva più, perché la Nato non avrebbe dovuto sciogliersi? O almeno rimodellare o riformulare in modo significativo i suoi obiettivi? Oppure si poteva parlare di inclusione della Russia in un sistema di sicurezza più ampio in Europa. Beh, questo è stato fatto, in una certa misura, con il consiglio Russia-Nato, ma dopotutto, forse ci si aspettava proprio il suo scioglimento. Non si è sciolta anche per ragioni comprensibili, perché c’erano i paesi dell’Europa orientale che giustamente si sentivano minacciati dalla Russia e facevano pressione per unirvisi.

È così che la Nato, forse anche non intenzionalmente, si è estesa a est, nonostante le promesse di non farlo. Promesse che non sono mai state formalizzate: non c’è mai stato un obbligo formale da parte della Nato di non espandersi, ma per la Russia si è trattato di un abuso della sua fiducia.

Ma in realtà, basta parlare della Nato… il vero problema è che la Russia, e in particolare Putin, non hanno mai considerato i vicini come paesi sovrani con i quali cercare un linguaggio comune dopo la dolorosa esperienza sovietica di coesistenza. La Russia non si è mai preoccupata di fornire le garanzie di sicurezza a quei Paesi, le garanzie che li avrebbero dissuasi dall’entrare nella Nato. Anzi, la Russia ha fatto di tutto per incoraggiarli a entrarci e sotto il governo di Putin la Nato si è espansa in modo significativo verso est.

Quindi, in pratica, ora Putin con questa guerra sta cercando di coprire il completo fallimento della sua politica estera. Lui non è stato in grado di impedire ai paesi vicini di entrare in questo blocco militare. Perché non li ha mai trattati come partner, li ha sempre considerati come nazioni inesistenti, paesi inesistenti. E questa è la vera radice del problema. Si può quindi parlare dello scioglimento o non scioglimento della Nato, ma poi la colpa è solo della folle politica estera di Putin.

Ripeto, non è stata la Nato ad espandersi. Sono stati i Paesi realmente, genuinamente volenterosi ad entrare in questo blocco. E questo è un problema enorme per la Russia, perché significa che quei Paesi hanno paura della Russia. Una politica ragionevole, ovviamente, sarebbe stata quella di renderli meno timorosi, di offrire loro qualcosa, di includerli in un sistema di sicurezza diverso, invece di ricattarli con il gas o con le armi, come ha sempre fatto Putin. Questo, secondo me, è vero fallimento per Putin.

Passando alla parte ideologica di questa guerra e all’idea di Putin di creare Ruskyi Mir, il mondo russo: il concetto, da come è stato disegnato, ha sempre riguardato un mondo fatto da popoli ma non da cittadini con senso civico, non dalla società civile. Insomma, un concetto che rispecchiava la Russia dove i russi sono sottomessi al sistema autoritario. Quindi stiamo parlando di un modello completamente opposto a quello Ucraino dove, soprattutto dal 2014, dopo la rivoluzione di Euromaidan, stiamo assistendo alla creazione di una società civile vibrante e di una governance liberale. Due cose che il Cremlino ha sempre impedito che accadessero in Russia. Non pensa che questa guerra sia anche lo scontro fra questi due mondi diversi?

Credo sia giusto descrivere questa guerra come una lotta tra due sistemi politici molto diversi, visioni politiche molto diverse di ciò che costituisce lo spazio post-sovietico. Una può essere sommariamente descritta come il sistema imperiale, non necessariamente nel senso espansionistico, nonostante abbia anche questa caratteristica, ma piuttosto il modo di strutturare il sistema politico, che è monarchico in Russia.

Non so se la gente ne sia consapevole, ma in realtà la concentrazione di potere in Russia è quasi senza precedenti per il nostro Paese. Non è vero che la Russia è sempre stata così. Ci sono probabilmente episodi nella storia russa in cui abbiamo avuto questa concentrazione di potere politico, ma non spesso. Probabilmente è successo con Stalin ad un certo punto. Probabilmente, anche se il paragone non è esatto, con Ivan il Terribile e, in una certa misura, con Pietro il grande. Altri, come Nicola I, hanno cercato di farlo, ma in realtà non ci sono mai riusciti. Quindi ora stiamo assistendo a qualcosa di quasi senza precedenti nella storia. Si tratta di uno Stato ultra-monarchico. Questa è l’immagine della struttura dello spazio politico. E questo vale per tutta la Russia, perché ovunque, a ogni livello, ci sono quei piccoli Putin che pensano fondamentalmente che usare la violenza e la forza sia l’unico modo per governare nel servizio pubblico e nelle imprese. Questa è l’intera filosofia.

E poi c’è la filosofia repubblicana, che è il caso dell’Ucraina, che si contrappone ad essa con una posizione molto più pluralistica e con una maggiore fiducia in alcune fazioni indipendenti del potere. Perciò nel sistema politico ucraino l’élite è molto meno consolidata attorno ad un unico leader. Il sistema è oligarchico, ma ha anche un significativo elemento democratico, perché sappiamo che gli ucraini hanno sviluppato una cultura politica che ha sempre il potenziale per una rivolta, per una rivoluzione.

Si tratta quindi di due visioni molto, molto diverse ed è importante vedere come queste visioni si riflettono in ciascuno di questi Paesi. Guardate cosa sta succedendo in Ucraina. C’è la prevalenza di questo punto di vista repubblicano, ma ci sono anche persone che sono felici di essere, diciamo così, liberate da Putin, perché hanno questo atteggiamento imperiale, si sentono più naturali nel ripristinare l’impero.

Si pensi alla Bielorussia: lì c’è una situazione molto interessante. Abbiamo il presidente che appoggia questa visione imperiale e più o meno tutta la popolazione è contraria e viene terrorizzata per questo. I bielorussi sono ovviamente per la maggior parte dei repubblicani. E poi ci sono i russi, ma c’è lo stesso problema: la stessa lotta tra coloro che sostengono Putin e quelli che cercano un’impostazione repubblicana nel Paese. Quindi, in sostanza, in questi Paesi c’è la stessa, identica lotta. E questo spiega, ovviamente, perché alcune persone in Russia provano maggiore simpatia per gli ucraini, non perché siano grandi fan dell’Ucraina o della cultura ucraina o di qualsiasi altra cosa, o del nazionalismo ucraino, ma solo perché vedono la situazione come uno scontro tra la visione repubblicana e imperialista. Lo stesso vale per la Bielorussia e il Kazakistan in una certa misura.

Questo è ciò che stiamo vedendo. Ed è per questo che penso che etichettare questa guerra come guerra russo-ucraina sia in realtà fuorviante. Non si tratta di russi contro ucraini. Si tratta di una guerra fra due modelli politici molto diversi.

Come viene percepita oggi la guerra dalla società russa? E che dire dell’indice di gradimento del presidente Putin? Se non sbaglio, il centro di Levada lo dava intorno all’82% ad aprile… Ora, capisco che non possiamo prendere sul serio i sondaggi condotti in sistemi autoritari, specialmente in tempo di guerra, ma forse possiamo comunque spiegare qualcosa sui sentimenti dei russi e della società nei confronti della guerra.

Permettetemi di introdurre il concetto. La Russia è un sistema plebiscitario, il che significa che il potere dell’imperatore si basa sul ricevere il sostegno popolare attraverso i plebisciti. Quindi l’imperatore sovrasta l’intero sistema politico, sostenendo di avere una legittimità popolare e per lui anche democratica! E questo è fondamentalmente il bastone con cui minaccia la sua élite, la sua burocrazia, ma anche il popolo stesso, perché la Russia è un Paese molto depoliticizzato. L’unico modo per i russi di sapere cosa pensano i russi è guardare la televisione e osservare i numeri dei sondaggi, perché normalmente i russi non comunicano tra di loro. Quindi il modo più semplice per sapere cosa pensa il tuo vicino è accendere la TV e guardare gli ultimi numeri dei sondaggi.

Dialogare, comunicare con il prossimo non è usuale per molte persone in Russia. Si tratta quindi di un sistema plebiscitario in cui il leader riceve la cosiddetta “acclamazione” da parte del popolo. Ora abbiamo diverse istituzioni per l’“acclamazione”. Abbiamo, naturalmente, le elezioni, che sono di carattere plebiscitario e “acclamazione” significa che coloro che partecipano alle elezioni o a qualsiasi tipo di votazione non le vedono come un meccanismo per fare una scelta tra vari candidati, ma piuttosto come una convalida di una decisione già presa. Quindi c’è il leader che prende la decisione e il popolo che acclama questa decisione. Questa è l’idea delle elezioni in Russia sia durante il voto nazionale o presidenziale che alle amministrative.

Questo è anche il caso dei veri e propri plebisciti. Nel 2020 abbiamo avuto una sorta di gioco costituzionale, quando a Putin si è data la possibilità di rimanere al potere fino al 2036. Dico gioco costituzionale perché ha costituito una convalida di una decisione già presa ed era anche inquadrata in questo modo, perché tecnicamente il plebiscito non era necessario dal punto di vista costituzionale, era superfluo, ma doveva essere convalidato dalla popolazione.

La stessa cosa accade con i sondaggi d’opinione che funzionano anch’essi in questo modo, in modo che la gente capisca che le si chiede di acclamare il leader. E questo è ancora più vero durante i periodi di emergenza come questo, perché fondamentalmente tutti coloro che vengono contattati con il sondaggio capiscono che gli viene chiesto di acclamare il leader. Probabilmente le persone reagirebbero in modo diverso. Alcuni direbbero: “no, non acclamerei, odio Putin”, ma questo non cambia il quadro generale. Il quadro di base è che viene chiesto di acclamare. Ovviamente è possibile sfidarlo, ma è comunque inteso come una richiesta di acclamazione.

Non tutti i russi sono disposti a giocare a questo gioco. E quindi il segreto che viene nascosto è che i tassi di risposta sulle domande poste dai sondaggi sono molto, molto bassi. Questi dati di solito non vengono riportati ma, dall’esperienza che abbiamo avuto sappiamo che sono, in qualche modo, a seconda della metodologia, tra il 7 e il 15% del campione iniziale. Cosa pensa il resto della gente non lo sappiamo, perché le persone tendono a non rispondere. Piuttosto che sfidarlo o acclamarlo, tendono fondamentalmente a non rispondere.

Questo ci dice molto sui russi, perché i russi non vogliono avere a che fare con la politica. Vivono la loro vita privata. Ed è così che è stato costruito questo regime. Gli è stato chiesto di non occuparsi della politica, quindi alla gente non interessa la politica e non importa dell’Ucraina. L’unica cosa di cui si preoccupano è la loro vita privata orientata al consumismo. Ai russi interessa pagare i mutui e forse fare carriera. Quindi questo è ciò di cui si preoccupano. Il resto può essere delegato al Putin di turno. Putin è lì, pensa lui a tutto. Se lui pensa che gli ucraini siano nazisti, beh, saprà lui come affrontarli. Quindi la popolazione è molto depoliticizzata. E credo che il modo migliore per spiegare questo, per spiegare questi indici di gradimento, sia di immaginare il 24 febbraio in un modo diverso. Immaginiamo che Putin avesse detto che per motivi di sicurezza la Russia dovesse restituire Donetsk e Lugansk all’Ucraina. Il tasso di approvazione sarebbe stato esattamente lo stesso di oggi. Assolutamente lo stesso, perché l’approccio è questo: Putin sa meglio di noi.

Allora questo vuol dire che in realtà c’è una via d’uscita da questa guerra per Putin, perché qualsiasi tipo di risultato può essere descritto come una vittoria e verrà accettato dalla società

Credo che questo sia vero solo fino ad un certo punto. Voglio dire, se si sottolinea la sua capacità di imporre ogni tipo di decisione alla popolazione e di ottenere l’acclamazione, penso che allora lei abbia ragione. Ma dal momento che la posta in gioco è alta e ovviamente richiede alcuni sacrifici da parte della popolazione russa – ed è molto, molto chiaro che ci saranno sacrifici – allora penso che ci sia un’aspettativa generale di una vittoria significativa.

Ormai questa guerra è stata inquadrata come la lotta esistenziale per la Russia. Questa non è una lotta per il Donbass. Non so perché le persone in Europa abbiano questa idea folle che si tratti di una lotta per il Donbass. No, questa è una lotta esistenziale per la Russia, con la quale la Russia deve sconfiggere l’Occidente. Questa è la missione e non quella di prendere Kramatorsk. Questo aspetto è così secondario rispetto a ciò che sta accadendo. Il 99% dei russi non sa neanche dove si trovi Kramatorsk. Quindi questa è una lotta esistenziale e conquistare Kramatorsk è solo il primo passo.

Ma se l’esercito russo dovesse davvero fallire in Ucraina, cedendo, ad esempio, i territori controllati prima del 24 febbraio, sarebbe davvero difficile per Putin venderla come una vittoria. Il problema non sono tanto i numeri dei sondaggi, ma alcuni strati della società russa, che si renderebbero improvvisamente conto che Putin può anche fallire, perché l’intero potere politico si regge sulla forte convinzione che Putin vince sempre. Se lui non vince, se qualcuno comincia a dubitare della sua vittoria, la situazione cambierebbe.

Il cambiamento, però, non si rifletterebbe subito nei sondaggi d’opinione, perché lì funziona al contrario: ci sarà per primo un vero e proprio cambio di potere, e poi si vedrà come questo si rifletterà nei sondaggi d’opinione, e non il contrario. Non vincere questa guerra, credo, potrebbe significare la fine di questo regime.

Ma nella realtà russa che sta descrivendo, cosa potrebbe essere percepito come un fallimento dell’operazione militare e cosa come una vittoria? Cioè, qual è il minimo che dovrebbe essere raggiunto per dichiarare la vittoria?

È difficile a dirsi. Beh, per quanto riguarda il fallimento, è abbastanza facile: in realtà dovrebbe essere una sconfitta militare, una vera e propria sconfitta, che non lascia spazio per le interpretazioni. Quindi…

… quindi lo status quo prima del 24 febbraio?

Si, ma ormai il 24 febbraio è militarmente impossibile perché se l’Ucraina riuscisse a respingere le forze armate russe fino alle posizioni pre-24 febbraio, perché dovrebbe fermarsi lì? Voglio dire, in Donbass non ci sono confini naturali. La Crimea è una questione diversa, forse lì ci sono confini naturali, ma, per quanto riguarda il Donbass, il pre-24 febbraio è andato per sempre. Non sarà mai ripristinata quella linea di separazione delle forze. Quindi questa sarebbe una vera e propria sconfitta.

Per quanto riguarda la vittoria, come ho detto, la conquista e l’annessione delle quattro regioni – Zaporizhia, Kherson e dell’intero Lugansk e Donetsk – sarebbe la prima tappa. Questa sarebbe una sorta di vittoria, visto che Putin non controllava tutte le quattro regioni prima. Si tratterebbe quindi di un’acquisizione e credo che sarebbe un passo preliminare per un’ulteriore espansione, che includerebbe sicuramente Transnistria e presumo anche l’intera Moldavia. Ora abbiamo questo limbo con il sud Ossezia. L’Abkhazia è forse più difficile, ma il sud Ossezia sicuramente verrebbe incluso in Russia. Quindi questo sarebbe un passo preliminare verso ulteriori annessioni. E poi si andrà sempre più avanti perché, ancora una volta, qua non si tratta di ripristinare l’appartenenza imperiale all’Unione Sovietica, no, si tratta di spezzare la schiena all’Occidente. Per questo motivo mi aspetto che il prossimo passo avvenga molto presto dopo questa sorta di vittoria.

Quindi non ci sarà nessun negoziato fra Russia e Ucraina in un futuro vicino?

Assolutamente no!

La maggior parte delle sanzioni occidentali prende di mira l’economia e l’establishment politico della Russia, mentre altre mirano specificamente all’arte e alla cultura russa. Questo sta causando molte discussioni e speculazioni qui in Occidente sulla “cancel culture”. Qual è la sua opinione in merito?

A dire il vero, credo che sia un fenomeno enormemente esagerato. Voglio dire, a parte alcuni casi spiegabili di reazione eccessiva, personalmente non ne sono stato colpito. Nessuna persona che conosco è stata colpita da una sorta di boicottaggio immeritato o qualcosa del genere.

Ammetto che ci siano stati casi di reazione eccessiva, ma sono abbastanza comprensibili. E dietro c’è una lobby ucraina. Posso capirli. Ad essere onesti, penso che stiano facendo qualcosa di controproducente per loro stessi, perché fondamentalmente dicendo: “beh, guardate che tutti i russi sono come Putin”, stanno rendendo il miglior servizio a Putin stesso, perché in questo modo trasmettono questo tipo di messaggio agli italiani, per esempio, o ai tedeschi… E come vuoi che reagiscano gli Europei? Diranno che se tutta la Russia è così, allora è meglio negoziare con Putin, tanto non si può fare la guerra e sconfiggere l’intera Russia. Quindi forse gli ucraini sbagliano quando promuovono la narrazione che tutti i russi sono uguali, anche se capisco perfettamente la loro rabbia. E penso che questa reazione sia in misura significativa giustificata.

In generale penso che, anziché lamentarsi di un trattamento immeritato, si dovrebbe far sentire la propria voce e esprimersi contro la guerra. Altrimenti è un’ipocrisia. Se si sostiene questa enorme guerra fondamentalmente contro l’intera Europa, cosa ci si può aspettare? Un’accoglienza di benvenuto da parte degli europei? Questa è ipocrisia. Perché qua non si chiede di sostenere gli ucraini. La questione è diversa, perché ovviamente i soldati russi stanno morendo e questo crea naturalmente un problema morale per i russi. Bisogna semplicemente dire “non in mio nome! questa guerra non in mio nome!”. Penso che questo sarebbe sufficiente per far capire che si è contrari alla guerra.

Non credo che si tratti veramente di cancel culture o come la chiamate ora. Ovviamente ci sono misure che colpiscono tutti e, ad essere onesti, personalmente subisco un danno collaterale. Viaggiare in Europa è diventato complicato. Proprio ieri sera stavo pensando a come viaggiare in Germania. È logisticamente molto difficile. E poi non posso pagare il biglietto per il viaggio perché le mie carte sono bloccate. Quindi è davvero difficile, ma c’è poco da lamentarsi. È la guerra. Voglio dire, gli ucraini sono stati e continuano ad essere bombardati quindi perché dobbiamo sorprenderci che le sanzioni ci portino dei danni collaterali? Ci sono alcune misure o azioni alle quali non dobbiamo opporci e lamentarci.

Non penso che siano moralmente sbagliate, penso solo che sanzioni contro le strutture di istruzione e cultura siano controproducenti. Non me ne lamento: gli europei sono liberi di imporle. Penso solo che siano controproducenti. Voglio dire, guardate per esempio, all’università di Tartu in Estonia: ora non sono più disposti ad accettare gli studenti russi… Ripeto, non mi lamento, ma credo solo che azioni simili siano controproducenti perché in pratica fanno il gioco di Putin consolidando la sua immagine come rappresentante di tutti i russi, il che non è assolutamente vero.

Lei ha detto che alcune persone appoggiano questa guerra mentre altri forse dicono “non in mio nome”. Fino a che punto è responsabile la società russa di questa guerra? E, in termini generali, cosa pensa della colpa collettiva e della responsabilità collettiva?

Perché la società russa sia responsabile della guerra, dovremmo avere chiaro cosa sia la società russa. Ma non esiste nulla che possa esser definito come “la società russa”. Si pensa che sia la collettività a prendere questa decisione, ma non è vero. Ancora una volta, l’intero regime politico è stato costruito sulla distruzione di qualsiasi tipo di soggettività politica.

È difficile, credo, per molte persone in Europa capire fino a che punto sia stata distrutta la concezione di essere soggetti, attori in politica. Qualsiasi discorso su qualsiasi tipo di azione politica, qualsiasi tipo di pensiero normativo, tutto è diventato illegittimo in Russia. Tanto per fare un esempio: anche solo pensare di discutere di migliorare qualcosa nelle nostre vite è già percepito come un’assurdità perché, per come è strutturato il mondo, le cose non possono essere migliorate. Questo è come i russi si approcciano alla vita e al loro posto nella vita politica.

I russi pensano che il mondo sia fondamentalmente un brutto posto. Lo ha detto anche Putin: durante la conferenza stampa dopo l’incontro con Biden, è stato abbastanza chiaro nel dichiarare che “nel mondo non esiste la felicità”. Perché mi chiedete di migliorare il mondo? Il mondo non può essere migliore di quello che è. È solo un luogo in cui gli esseri umani si uccidono a vicenda. Questo è normale. Questo è ciò che gli esseri umani fanno normalmente”.

E questo è un pensiero abbastanza diffuso in Russia. Un pensiero notevolmente sottovalutato ma che preclude qualsiasi possibilità di azione politica collettiva. Se non ti fidi di nessuno, perché dovresti impegnarti in qualcosa con il prossimo? Così uno finisce a preoccuparsi solo di sé stesso, dei suoi soldi, dei suoi affari personali. Quindi, credo, che l’intera questione della responsabilità della società russa sia del tutto irrilevante.

Naturalmente questo non esime i russi dalla responsabilità individuale, ma credo che la responsabilità stia nell’altro… Dobbiamo distinguere due cose: non si tratta dei russi che sostengono davvero questa guerra, non è questo il caso finora, ma si tratta della loro indifferenza. Vedo una sorta di fascistizzazione della società e questo è molto pericoloso. Questa completa indifferenza alla sofferenza umana è un problema importante. Ma questo è sempre stato un problema in Russia: i russi sono indifferenti non solo nei confronti degli ucraini ma anche verso i propri compaesani. Per esempio, lei pensa che la gente si preoccupi davvero delle sofferenze della gente di, non so, Krasnodar? No, per niente! Finché non è un mio problema non mi interessa! Quindi questo è il vero problema: la totale mancanza di idea di responsabilità per i problemi politici e sociali, e questo è ciò che rende le cose terribilmente pericolose. Implica, infatti, che qualsiasi azione da parte del governo venga percepita come qualcosa al di fuori del controllo del singolo, che quindi non ha alcuna responsabilità su qualsiasi cosa stia accadendo in Russia. Questo credo sia terribile e qui sta il problema, perché la gente dice: “Non mi piace questa guerra, ma cosa ha a che fare con me? Non è affar mio, non potrei cambiare nulla, come potete chiedermi di oppormi a questa guerra? Potrei oppormi, ma in quel caso probabilmente perderei il lavoro”.

Questo senso di impotenza diffusa nella società è stato alimentato e poi strategicamente usato da Putin. E in questo e, voglio sottolineare questo punto, Putin è stato aiutato in modo significativo dagli europei, dalle élite globali in generale, ma soprattutto dagli europei. Perché ogni volta che i russi cercavano di trovare una soggettività politica, di condurre qualche azione politica, di resistere, di impedire che accadessero le cose peggiori, ogni volta Putin riceveva un enorme sostegno dall’Europa, enormi contratti finanziari, enormi investimenti… Insomma, si è creata inevitabilmente una situazione strana. Beh, voglio dire, non stiamo chiedendo aiuto per risolvere i nostri problemi, ma potreste per favore non aiutare Putin almeno in modo massiccio? Ogni volta che c’è un movimento di resistenza, lui ottiene immediatamente un grande accordo che porta milioni in Russia e che viene poi investito nell’esercito per sopprimere la protesta… Beh, questo ovviamente fa sentire la gente disperata. Questo sentimento di disperazione può essere spiegato, ma non esime la Russia dalla responsabilità politica della propria posizione. Questo è, a mio avviso, un grosso, grosso problema, un pericolo terribile per l’Europa e ovviamente un problema con terribili conseguenze per la Russia nei prossimi decenni.

Quindi lei pensa che l’Occidente abbia tradito la società russa aiutando Putin?

Beh, pensando all’Occidente… chi è l’Occidente? Chi è responsabile di questo, non saprei fino in fondo. Ma, sapete, una cosa che vorrei davvero respingere è l’idea di Putin come un orso russo che esce dalla Taiga e all’improvviso, di punto in bianco, scatena questa guerra contro l’Ucraina. Ecco, questo non è vero. Putin sa come funzionano le cose nel capitalismo contemporaneo. Non è un caso che sia riuscito a corrompere le élite finanziarie e politiche in tutta Europa e anche in Italia. Ha semplicemente capito come funzionano le cose, in una certa misura è un maestro di questo sistema capitalistico.

Non parlo quindi di una responsabilità dell’Occidente, ma di élite politiche ed economiche molto specifiche. E questa élite occidentale corrotta, proprio ora che stiamo parlando, sta ancora facendo pressioni sui propri governi, stanno facendo lobbying per promuovere fondamentalmente l’idea del “bene, lasciamogli un pezzo di Ucraina e così otteniamo la pace perché vogliamo tornare a fare affari come prima”. E gli uomini d’affari italiani sono ancora qua in Russia a fare business anche se ci sono delle sanzioni perché a loro non interessa nulla dell’Ucraina, vogliono fare soldi e basta. E per loro Putin va bene finché possono fare soldi in Russia. Qui ci sono ottime condizioni per fare affari. Perché dovrebbero occuparsi dell’Ucraina? Questo è il problema. Non darei la colpa all’Occidente, ma se siamo arrivati fino a questo punto è colpa anche dell’élite politica ed economica corrotta di alcuni Paesi occidentali, e l’Italia è certamente tra questi.

Articolo realizzato nell’ambito del progetto dell’IAI – “L’impegno selettivo dell’Ue con la Russia”, finanziato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale
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Il bene che si difende dal male, il caso Ucraina

Messaggioda Berto » dom dic 04, 2022 11:04 pm

Tutto quello che Rete4 non vi ha fatto vedere di Putin
di Stefano Magni - L'Intraprendente
Guido Gazzola
Un articolo premonitore di Stefano Magni su Putin in data 8 ottobre 2015

https://www.facebook.com/guido.treviso/ ... VZoptgC1el

Ci avevano promesso di farci vedere Putin come non lo avevamo mai visto. In effetti, di cose non viste ne abbiamo notate parecchie nel documentario Il Presidente, trasmesso ieri notte da Rete4. Trattasi di un documentario russo, prodotto da Rossija 1, Mediaset lo ha tradotto e riprodotto per un pubblico italiano. Che si tratti di un documentario russo, per chiunque sia appassionato di cinematografia di propaganda sovietica, è abbastanza evidente. Ricorda molto da vicino le agiografie di Partito fatte in onore del compagno Stalin. Quelle in cui il padre della Rivoluzione, bonario con i suoi baffoni, era ritratto assieme a operai, madri, minatori, contadini, intento a comporre assieme a un musicista o a fumare la pipa assieme a uno scrittore, sempre dispensatore di ottimi consigli e architetto di una nuova era. Anche Putin è un uomo che lavora h24, è umano, è sincero, sa ascoltare, impara cose, combatte, scia, pattina, guida la Formula 1, suona il piano, canta, in mezzo a folle gaudenti, collaboratori estasiati e un giornalista che lo “intervista”, arrivando a interpretare il suo pensiero e ad anticiparlo: “Vero (capo) che gli oligarchi erano lupi pronti a sbranarla?” “Sì è vero” (e “io gli ho fatto fare una brutta fine” si legge fra le righe).
Quello che appunto non abbiamo visto è la realtà dietro a questa facciata idilliaca. Oggi sappiamo, ad esempio, che dietro a quell’uomo bonario coi baffoni, chiamato Stalin (“acciaio”) che parlava con mamme e operai, c’erano i gulag, le fucilazioni di massa, lo sterminio per quota. Sappiamo oggi che c’erano milioni di morti, fino a venti milioni secondo stime ancora prudenti. Sappiamo anche che quei gaudenti collaboratori che ridono, suonano, festeggiano, prendono appunti al fianco di Stalin, erano terrorizzati. E la stragrande maggioranza di loro non è arrivata viva alla fine dell’anno. I morti, gli epurati, non li vediamo più nei documentari girati in anni successivi: il loro ruolo è stato sbianchettato con grande perizia da professionisti della comunicazione.
Nel documentario che abbiamo visto ieri su Putin, noi non sappiamo ancora quanti e quali personaggi sono stati sbianchettati dalla storia e dalle nuove purghe. Ma qualcuno ce lo ricordiamo. Ci ricordiamo di un certo Mikhail Khodorkovskij, di cui non si accenna neppure il nome. Era uno dei “lupi feroci” che finanziava l’opposizione democratica e sognava una Russia libera. Fra processi e accuse assurde (fra cui quella di aver rubato a se stesso) è finito nel dimenticatoio dopo più di un decennio di galera. Non si accenna neppure a una certa Anna Politkovskaja, grande giornalista investigativa, ammazzata a colpi di rivoltella nell’ascensore di casa sua, nel giorno del compleanno di Vladimir Putin. Investigava sui crimini di guerra russi in Cecenia. Non vediamo Antonio Russo, Stanislav Markelov, Anastasia Baburova, Natalia Estemirova morti ammazzati mentre documentavano la stessa guerra. A dire il vero, ad essere sbianchettato è l’intero eccidio dei giornalisti russi, in questo quindicennio di sangue: in Russia c’è un tasso di mortalità dei giornalisti pari a quello di un conflitto. Non si accenna neppure a Boris Nemtsov, che giornalista non era, bensì un uomo di spicco dell’era Eltsin, ammazzato a colpi di rivoltella di fronte al Cremlino.
Pretendiamo troppo? Forse sì, ma pretendevamo di vedere almeno gli eventi storici che ci ricordavamo. Ad essere sbianchettati, qui, sono interi pezzi di storia. Sono stati cancellati i bambini morti nella scuola elementare di Beslan, molti dei quali uccisi durante il maldestro blitz di liberazione. Di Beslan, l’11 settembre russo, non se ne sente proprio parlare. Pudore? Orgoglio ferito? Sono stati cancellati gli ostaggi morti nel teatro della Dubrovka, uccisi dai gas lanciati in dosi troppo massicce dagli Spetnatz nella peggior operazione di recupero che la storia ricordi. Putin ammette che si sia trattato del momento più difficile della sua carriera. Ma né lui, né il suo intervistatore, né i produttori del documentario ci spiegano perché.
Non vediamo neppure di striscio come era conciata Grozny dopo i bombardamenti russi, le stragi fra i civili, le granate che piovevano sulle vie, sulle piazze dei mercati affollati, le operazioni di rastrellamento condotte dai successori del Kgb. Della Cecenia assistiamo solo all’apologia di Ramzan Kadyrov, il guerrigliero indipendentista poi passato alla causa russa e ora padre e padrone incontrastato della sua terra. Di Kadyrov abbiamo solo l’immagine stereotipata del buon fedele alleato dalla voce profonda che ha ricostruito un paese in cui si vive felici e contenti. Sappiamo dalle Ong in difesa dei diritti umani, ben altre cose a proposito del leader islamico fedele alleato di Putin. Ancor più incredibile è la rimozione completa del conflitto in Georgia, un evento che tenne incollato il mondo alle agenzie stampa e ai teleschermi nel caldo agosto del 2008, mentre i tank russi invadevano per la prima volta nella storia recente un paese europeo. Di quella crisi, dei suoi drammi e delle centinaia di morti non si vede neppure un singolo fotogramma: la nuova storiografia lo considera ininfluente o imbarazzante?
Si parla della Crimea. Non del Donbass (i 7-8000 militari russi presenti in quel conflitto ufficialmente “non esistono”), ma della Crimea sì. Putin ammette di averla invasa e di aver fatto bene. Putin lo definisce un atto di “equità storica”, per salvare i russi dai “neonazisti, estremisti” ucraini, cioè di coloro che hanno osato ribellarsi al suo uomo a Kiev. Fine del documentario. Buona notte. Andiamo a letto con l’incubo che Putin possa raddrizzare a modo suo qualche altra iniquità storica in Europa, magari facendo scoppiare una guerra, con gran gioia di tanta gente molto semplice che ammira un uomo molto piccolo.



Dugin o dalla Russia con terrore
Davide Cavaliere
29 Maggio 2023

http://www.linformale.eu/dugin-o-dalla- ... yQO2tfivmI

La Russia di Putin, negli ultimi dieci anni, ha criminosamente annesso la Crimea, sfidato lo spazio aereo della NATO, assassinato spie in Inghilterra, tentato di influenzare la politica interna degli stati europei e, infine, come ultimo atto di un crescendo mortifero, aggredito militarmente l’Ucraina. La condanna internazionale e le sanzioni occidentali sembrano aver avuto scarso o nullo effetto sul comportamento e sul pensiero russi. Il paese continua a rimanere, come disse Winston Churchill, “un indovinello avvolto in un mistero all’interno di un enigma”.

Una sfilza di libri è stata pubblicata nel tentativo di svelare il suddetto mistero, cercando di gettare un po’ di luce sulle idee politiche che orientano l’azione del Cremlino, cittadella di terrore che mai era stata così impenetrabile nel corso della sua fosca storia. Putin appare freddo e razionale, motivato da obiettivi politici e metapolitici, non sempre compresi appieno dagli analisti occidentali. L’uso della forza in Ucraina è stato certamente determinato da un insieme di valori diversi da quelli della civiltà democratica.

Negli ultimi anni, infatti, una dottrina politica anti-liberale e anti-occidentale nota come Eurasiatismo, o neo-Eurasiatismo, ha preso piede non solo tra gli elettori russi ma anche tra alcuni funzionari del regime, e le dichiarazioni pubbliche di Putin rivelano chiaramente un certo grado di simpatia per gli eurasiatisti. Per comprendere la mente di Putin, dunque, è necessario cimentarsi con forme di pensiero antimoderno e reazionario, tra cui quelle di Alexander Dugin, ex consigliere politico del Cremlino e filosofo di punta dell’Eurasiatismo, capace di ritagliarsi un certo qual seguito anche qui in Italia.

I valori, in politica, contano, e il ruolo di primo piano che l’ideologia eurasiatica gioca da tempo nel discorso pubblico russo ci obbliga a considerarla come una potenziale causa della guerra in corso. Allo stesso tempo, dobbiamo tenere presente che è difficile quantificare l’effettiva influenza di un’idea sugli eventi storici. Certo è, che senza un quadro chiaro del pensiero di Dugin, è difficile comprendere la strategia a lungo termine di Mosca in Ucraina e nel Caucaso, ma è comunque necessario resistere alla tentazione di considerare Dugin come una chiave universale per comprendere la politica estera russa. Se la filosofia politica di Putin è indubbiamente informata dall’Eurasiatismo, la sua promozione delle varianti più estreme di tale dottrina può essere la copertura di un’agenda ben più pragmatica.

Giornalista durante gli ultimi anni dell’Unione Sovietica, Dugin è stato, con lo scrittore Ėduard Limonov, fondatore del Partito Nazional-Bolscevico nel 1994. Da allora è salito alla ribalta, consolidando la sua reputazione nel 1997 con il libro Foundations of Geopolitics: The Geopolitical Future of Russia, adottato come libro di testo presso numerose istituzioni, inclusa l’Accademia di stato maggiore delle forze armate russe. Nel 1998 viene nominato consigliere di geopolitica di Gennady Seleznev, allora presidente della Duma di Stato russa e di Sergej Naryškin, membro di spicco di Russia Unita, il partito di Putin. La sua teoria geopolitica e filosofica è diventata, col passare degli anni, il credo politico di numerosi alti funzionari della cerchia “putiniana”.

A livello “pratico”, Dugin propone una nuova unificazione, da realizzarsi anche mediante il ricorso alla violenza, delle ex repubbliche sovietiche, nonché della Mongolia, del Caucaso e delle coste orientali e settentrionali del Mar Caspio. Il progetto eurasiatico dovrebbe essere supportato, a livello internazionale, da alleanze diplomatiche lungo “assi” che si irradiano da Mosca a Berlino, da Tokyo a Teheran. In merito alle questioni di “valore”, Dugin si oppone al liberalismo moderno, inteso, in senso lato, come ideologia materialista alla base dei diritti individuali, dell’economia di mercato e dell’attuale sistema di diritto internazionale. Nel 2009, ha pubblicato la sua opera più nota e importante, intitolata La quarta teoria politica, in cui riunisce la sua teoria geopolitica, la sua ideologia antiliberale sincretica, la sua visione apocalittica della storia moderna e il posto che la Russia occupa in essa.

Con il titolo del suo corposo saggio, La quarta teoria politica, Dugin si riferisce all’ideologia dell’Eurasiatismo come alternativa al liberalismo, presuntivamente, “dominante” nel panorama mondiale. Secondo il pensatore russo, il mondo moderno sarebbe stato plasmato da tre ideologie – liberalismo, fascismo e comunismo – con il liberalismo che, al termine della Guerra Fredda, avrebbe trionfato sui suoi rivali, inaugurando l’era della post-modernità, caratterizzata da un individualismo sfrenato e da un consumismo dilagante. Sarebbe così sorto un nuovo ordine mondiale, governato dalle leggi del mercato e dall’etica universale dei diritti umani; affinché gli stati eurasiatici preservino la loro sovranità geopolitica, per Dugin è necessaria una nuova sintesi ideologica, che coaguli tutti i nemici del liberalismo di marca occidentale. Questa avversione alla civiltà democratica occidentale, porta Dugin a una radicale opposizione al sionismo, concepito come tradimento di un presunto “tradizionalismo ebraico”, che concepirebbe il ritorno nella Terra Santa come un evento messianico. Inoltre, lo Stato d’Israele, non solo sarebbe un “pervertimento” del “vero” ebraismo, ma costituirebbe il principale strumento del dominio americano in Medio Oriente.

Ispirato da Martin Heidegger, Carl Schmitt, Alain de Benoist e da un numero incalcolabile di pensatori antimoderni, Dugin adotta gli strumenti filosofici della fenomenologia e dell’ermeneutica per capire come si possa tornare a una comprensione premoderna e mitica della realtà. Inoltre, rifiuta la concezione lineare della storia, responsabile di aver prodotto la nozione di “progresso”, preferendo una visione reversibile del tempo: le società cambiano sé stesse non seguendo un unico percorso di sviluppo, bensì trasformandosi secondo una peculiare identità collettiva, che implica anche la possibilità di “tornare” ai valori della tradizione, della teocrazia, del mito come principale forma di pensiero.

Pertanto, l’Eurasiatismo di Dugin può essere classificato come un fascismo postmoderno: una dottrina che, da un lato, si proclama tradizionalista e nazionalista, mentre, dall’altro, rifiutando qualsiasi valore metafisico o morale oggettivo, si rivela di un relativismo estremo. L’Eurasiatismo concepisce le civiltà umane come strutture chiuse, incomparabili, la cui “purezza” è costantemente minacciata dall’universalismo occidentale. La lotta contro l’Occidente, il mercato e i diritti umani viene formulata nella lingua tollerante e “accettabile” del pluralismo culturale, incentrandosi sull’imperativo di “conservare sé stessi” di fronte all’avanzare della società aperta.

Nel suo libro, La missione eurasiatica di Nursultan Nazarbayev, Dugin fornisce un modello di come la sua visione eurasiatica possa essere applicata alla politica internazionale. Secondo Dugin, esisterebbero quattro sfere di influenza geopolitica: le Americhe con al centro gli Stati Uniti; l’Europa e l’Africa; la Russia e l’Asia centrale e, infine, il Pacifico. Per controbilanciare gli Stati Uniti, la Russia dovrebbe consolidare il suo potere all’interno della sua tradizionale sfera di influenza, vale a dire l’Asia centrale, l’Europa orientale e il Caucaso. In altre parole, la Russia dovrebbe ricostruire il suo impero come un’unità politica e di civiltà, tenuta insieme dai simboli e dai miti profondi dell’identità collettiva euroasiatica, prospettando un impero benevolo, rispettoso delle differenze culturali, ma saldamente nelle mani di Mosca e dei suoi apparati di potere. L’espansione imperiale russa non è concepita come una conquista di popoli giudicati inferiori, ma come la liberazione altruistica degli “altri” in una crociata mondiale contro il liberalismo “livellante”. È chiaro come Dugin tenti, ancora una volta, di edulcorare l’imperialismo russo facendogli parlare la lingua del “rispetto delle diversità”.

In breve, il suo progetto è quello di affermare l’esistenza politica della “civiltà slavo-ortodossa”, attraverso la creazione di un Großraum transnazionale sotto tutela moscovita. Il tutto rientra in una visione teorica più ampia in favore di un mondo “multipolare”, composto da Grandi Potenze autonome, in aperta opposizione all’attuale ordine internazionale di stati-nazione sovrani. Più specificamente, è incompatibile con la sovranità nazionale dell’Ucraina, riconosciuta dalla Federazione Russa nel 1994. Il filosofo russo ha dell’Ucraina la stessa idea che ha di Israele, ossia quella di uno “Stato atlantista” al servizio della Casa Bianca.

In Putin contro Putin, Dugin fa un appello diretto al presidente russo affinché adotti la visione eurasiatista come stella polare della sua politica. Secondo il barbuto pensatore, l’equilibrio promosso dal padrone del Cremlino tra liberalismo e patriottismo non sarebbe più sostenibile, in particolare a causa delle sfide lanciate dai movimenti filo-occidentali in Georgia e Ucraina.

È evidente, soprattutto alla luce degli eventi in Ucraina, che in Russia siano prevalsi gli orientamenti più antioccidentali e antidemocratici, ma quanto il messianismo eurasiatista abbia veramente attecchito presso i vertici del Cremlino, che non di rado usano la retorica reazionaria e la religione ortodossa come instrumentum regni, è ancora da chiarire. Dugin stesso considera Putin un politico cinico e “moderato”, poco incline a all’idea d’innescare uno scontro apocalittico con l’Occidente. Si può perfino ipotizzare che sia proprio l’assenza di una ideologia forte e codificata la condizione che consente a Putin di rimanere al potere, ma che priva la Russia della possibilità di diventare qualcosa di più di un minaccioso stato terrorista di second’ordine, “una pompa di benzina mascherata da Paese” nella definizione del compianto John McCain.

La Russia di Putin, a molti studiosi, appare soprattutto come una cleptocrazia autoritaria, mantenuta in piedi dall’omicidio, dalla corruzione e dalle frodi elettorali; una sorta di Stato-Behemoth, dove una ristretta cerchia di potere domina tutte le decisioni e utilizza ogni mezzo per accumulare ricchezze – che investe in Occidente – mentre, allo stesso tempo, si proclama nemica dei valori mercantili dell’Occidente.

Cos’è, allora, la Russia del presente? È chiaro che il potere è in capo a un presidente “infinito” e alla sua cerchia di amici. Alcuni, come Dugin, vorrebbero che questo potere si addensasse maggiormente attorno all’Eurasiatismo messianico. Tuttavia, come dimostrano gli immensi patrimoni degli oligarchi, non sono tanto le idee a guidare la Russia di Putin, quanto una forza bruta che si maschera dietro a un discorso antimoderno e tradizionalista. La Russia contemporanea non possiede una dottrina di fondo o un principio generale che ne articoli lo scopo nel mondo. La fusione di potere, postmodernità e retorica ultrareazionaria ha reso la Russia di Putin imprevedibile. I suoi leader non sanno cosa vogliono, oltre, ovviamente, al potere stesso. Per questa ragione, l’Occidente, non sa come rispondere adeguatamente alla sfida russa. Non ci resta che un mistero, perché la Russia continua a essere un enigma anche per sé stessa.
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